Interazioni elettriche
Il fatto che un certo tipo di materiale, dopo essere stato strofinato, quale ad es. l’ambra (elektron in
Greco), sia in grado di attrarre o respingere alcuni corpi leggeri, era già noto agli antichi (Talete ad
es.). I risultati fondamentali sui fenomeni elettrici, da un punto di vista quantitativo, furono però
raggiunti solo dopo il 1600.
Gray (1729) scoprì che i metalli, quando venivano messi a contatto con corpi che erano stati
elettrizzati per strofinio, acquistavano anch’essi proprietà simili; egli mostrò inoltre che i metalli
conducono elettricità: infatti se si pone a contatto un metallo già elettrizzato con un altro metallo,
anche il secondo metallo risulterà elettrizzato. Questo portò alla classificazione delle sostanze in
conduttori e non conduttori (isolanti).
Du Fay (1730) scoprì che l’azione elettrica non è sempre attrattiva, ma può essere repulsiva e per
spiegare ciò postulò l’esistenza di due fluidi (chiamati elettricità positiva e negativa rispettivamente) i
cui componenti più piccoli venivano denominati cariche elettriche e stabilì che corpi aventi cariche dello
stesso segno si respingono, mentre corpi con cariche opposte si attraggono.
In sostanza: esistono in natura dei nuovi tipi d’interazione a distanza, che si possono sviluppare tra
corpi indipendentemente dalla massa da essi posseduta e dunque non prodotte dalla massa di questi,
denominate interazioni elettriche.
L’origine di tali interazioni è fatta risalire alla presenza delle cariche contenute in essi.
La carica elettrica è cioè una nuova grandezza fisica che, analogamente alla massa, è in grado di
generare un campo attorno a se e perciò di esercitare una forza su un’altra carica.
E’importante sottolineare come la carica possa essere definita solo dalla presenza di questo nuovo tipo
d’interazione: essa cioè resta una grandezza fisica primitiva, difficilmente definibile (a differenza
della massa che per le leggi della relatività ristretta può essere vista come una forma di energia
condensata).
Osserviamo che le cariche elettriche non si creano tramite strofinio: esse sono già preesistenti nel
materiale; lo strofinio dà alle cariche già esistenti una nuova distribuzione (dislocazione spaziale).
Sperimentalmente i due tipi di carica (positiva e negativa) non si manifestano mai singolarmente ma
sempre in coppia.
Immaginiamo un corpo M che in qualche modo sia stato
elettrizzato per strofinio; esso sarà in grado di attrarre o
respingere altri corpi elettrizzati, ad es. dei piccoli corpi
di prova P.
Consideriamo come corpi di prova delle piccole sferette di
diametro molto piccolo rispetto alla distanza r dal corpo M.
Se poniamo nelle vicinanze di M un corpo di prova P, su P
agisce una forza statica d’intensità e direzione definite, misurabile con esperienze di tipo meccanico:
qualitativamente si trova che la forza diminuisce al crescere della distanza r.
Prendiamo successivamente due corpi di prova P1 e P2 e portiamoli a turno nello stesso punto in vicinanza
di M; misuriamo poi in ciascun caso le forze F1 e F2, in grandezza e direzione. Adotteremo d’ora in poi
la convenzione secondo cui si considerano forze opposte quelle che hanno la stessa direzione e segni
opposti. L’esperienza mostra che le due forze F1 ed F2 hanno la stessa direzione ma possono avere
grandezze e segni diversi.
Portiamo ora i due corpi di prova, P1 e P2 in un punto diverso a distanza r' sempre in vicinanza di M e
misuriamo di nuovo le forze F1' ed F2' in grandezza e direzione: le forze hanno ancora la stessa
direzione, ma in generale sono diverse in grandezza e segno.
Però, se consideriamo il rapporto F1/F2 delle forze nel primo punto ed il rapporto F1'/F2' nel secondo
punto, si trova che essi hanno lo stesso valore, che può essere positivo o negativo:

F1 F1

F2 F 
2
1
la conseguenza di queste osservazioni è che:
1.
la direzione (non il verso!) della forza esercitata da un corpo elettrizzato M su un piccolo corpo
di prova P, non dipende dalla natura e dalla quantità di elettricità del corpo di prova, ma solo
dalle proprietà del corpo M;
2. il rapporto delle forze esercitate su due corpi di prova posti successivamente nello stesso
punto, è del tutto indipendente dalla scelta del punto (cioè dalla posizione, dalla natura e dallo
stato elettrico del corpo M; esso dipende solo dalle proprietà dei corpi di prova; ciò si traduce
dicendo che se indichiamo con q1 la carica del corpo di prova P1 e con q2 la carica del corpo di
prova P2 il rapporto delle forze esercitate su tali corpi dal corpo M nel medesimo punto è pari al
rapporto delle cariche da essi possedute: F1/F2 = q1/q2, ovvero la forza esercitata da M sui
corpi di prova è proporzionale alla carica da essi posseduta: F1  q1 e F2  q2
Scegliamo ora un corpo di prova ben definito, elettrizzato in un determinato modo, assumendo la sua
quantità di elettricità o di carica elettrica q come unitaria (considerando cioè q pari a 1 nelle unità di
misura della carica elettrica).
Servendoci di tale corpo di prova, misuriamo la forza Fq esercitata dal corpo M in punti diversi. Questa
forza determinerà allora, per quanto prima asserito nel punto 1, anche la direzione della forza F
esercitata su un qualsiasi altro corpo di prova P ; il rapporto F/Fq dipende invece solo dal corpo di prova
P e definisce, per quanto scritto nel punto 2, il rapporto fra la carica elettrica e di P e l’unità di carica
q. Esso può essere positivo o negativo a seconda che le forze F e Fq abbiano la stessa direzione o
direzioni opposte.
Avremo perciò in ogni punto F/e = Fq/q e da ciò si può concludere che F/e dipende soltanto dallo stato
elettrico del corpo M. Al quoziente F/e = Fq/q daremo allora il nome di intensità del campo elettrico E.
La quantità E descrive l’azione elettrica di M nello spazio circostante, detta campo elettrico . Da F/e
=E segue che F = eE in termini scalari ed F = eE in termini vettoriali.
Possiamo ora dare una definizione operativa della quantità di elettricità (o carica elettrica).
Adotteremo il criterio che due cariche sono uguali quando, poste in un o stesso punto nell’intorno di un
terzo corpo M, sono soggette alla stessa forza. Se forniamo a due corpi di prova due cariche uguali,
essi si respingeranno quindi con la medesima forza; diremo che le loro cariche sono uguali all’unità di
carica q, se essi si respingono con una forza unitaria quando la distanza fra due corpi è uguale all’unità
di lunghezza. Vale a dire: se le due cariche, poste alla distanza di 1m, si respingono con la forza di 1N,
allora si diranno unitarie. Osservate che finora non si è ancora fatta alcuna ipotesi sulla forma
matematica della dipendenza della forza dalla distanza.
Mediante tale definizione, la quantità di elettricità (o carica elettrica), diventa una grandezza
misurabile, allo stesso modo in cui lo sono la massa, la lunghezza e la forza.
Sempre in riferimento al punto 2, si può notare che se consideriamo l’interazione tra due cariche q1 e q2
poste ad una certa distanza , la forza F12 esercitata dalla prima carica sulla seconda dev’essere
proporzionale a q2 : F12  q2 e la forza F21 esercitata dalla seconda carica sulla prima dev’essere
proporzionale a q1 : F21  q1 , ma per il principio di azione e reazione le due forze devono essere uguali in
intensità e contrarie in verso: F12 = F21 ; ma perché ciò si verifichi entrambe le forze devono essere
proporzionali ad entrambe le carica q1 e q2 ovvero al loro prodotto:
F12  q2 · q1 e F21  q1 ·q2 .
Conseguenza:
la forza d’interazione tra due cariche è direttamente proporzionale al loro prodotto.
La legge più importante relativa alle cariche elettriche, enunciata indipendentemente da Watson e
Franklin nel 1747, è che in ogni processo elettrico si formano sempre uguali quantità di elettricità
positiva e negativa. Se ad es., strofiniamo una bacchetta di vetro con un pezzo di seta, il vetro si carica
positivamente, e un’uguale quantità di elettricità, negativa, si ritrova nella seta.
Questo risultato empirico può essere interpretato dicendo che i due tipi di elettricità non sono
generati per strofinio, ma vengono soltanto separati e possono essere considerati come due fluidi
2
presenti in tutti i corpi in quantità uguali. Nei corpi “neutri”, non elettrizzati, essi sono sempre presenti
nella stessa quantità, di modo che i loro effetti esterni si bilanciano. Nei corpi elettrizzati essi sono
separati: si ha ad esempio, che una parte di elettricità positiva è fluita da un corpo all’altro, così come
si ha il passaggio della stessa quantità di elettricità negativa nella direzione opposta.
E’ chiaro , a questo punto, che basta supporre l’esistenza di solo fluido in grado di fluire
indipendentemente nella materia. Attribuiremo allora alla materia, priva di tale fluido, una carica
definita, ad esempio positiva, e al fluido la carica opposta, negativa; il processo di elettrizzazione
consiste allora nel passaggio del fluido negativo da un corpo all’altro, cosicché il primo corpo si carica
positivamente, in quanto la carica positiva della materia non è più completamente compensata, mentre il
secondo corpo si carica negativamente, avendo un eccesso di fluido negativo.
Tali differenze indicano che l’elettricità positiva è in realtà legata stabilmente alla materia, mentre
quella negativa può muoversi più o meno liberamente.
Storicamente, da un punto di vista empirico e sperimentale, le interazioni elettriche furono scoperte
prima di quelle gravitazionali; a causa di ciò, poiché prima di Newton l’idea di un’azione a distanza era
ritenuta inconcepibile, si prestava ancora fede ad ipotesi di natura metafisica, quale,ad esempio, che la
materia potesse agire solo nei punti in cui è effettivamente presente (ricordate il famoso horror
vacui?) e dunque tutte le congetture relative alla natura di tali forze, prima delle teorie di Newton,
risultarono errate.
Il primo a concepire l’idea che le forze elettriche agiscano a distanza come la forza gravitazionale fu
Epino nel 1759, il quale, se non riuscì a formulare correttamente la legge sulla dipendenza delle azioni
elettriche a distanza, fu però in grado di spiegare, almeno qualitativamente, il fenomeno dell’ induzione
elettrostatica. Tale fenomeno consiste nella proprietà dei corpi carichi di agire attrattivamente non
solo su altri corpi dotati pure di carica, ma anche su quelli elettricamente neutri e in particolare sulle
sostanze conduttrici:
una carica di segno opposto è indotta
è indotta sulla parte del corpo
+
+ + +
influenzato più vicina al corpo carico,
+
+ M +
mentre una carica dello stesso segno
+
+ + +
si manifesta sulla parte più lontana;
è chiaro quindi che, poiché le forze
decrescono all’aumentare della distanza, l’azione attrattiva deve prevalere su quella repulsiva.
La legge esatta di tale decremento fu presumibilmente trovata per la prima volta, indipendentemente
l’uno dall’altro, da Priestley e Cavendish, tra il 1767 ed il 1771; tale legge ricevette però il nome del
fisico Coulomb (1785), il quale per primo ne diede una prova diretta, misurando effettivamente la forza.
Il ragionamento di Priestley e Cavendish si
sviluppava sostanzialmente in questo modo: dal momento che due cariche dello stesso segno si
respingono, le cariche elettriche possedute da un conduttore non possono distribuirsi nel suo interno,
ma devono tendere a portarsi sulla superficie esterna in modo da realizzare una situazione di equilibrio
(statico). Ora, gli esperimenti dimostrano con assoluta certezza che nessun campo elettrico esiste nello
spazio circondato da un involucro metallico, per quanto alta sia la carica dell’involucro stesso; le cariche
devono quindi distribuirsi sulla superficie che racchiude lo spazio vuoto in modo che nessuna forza
venga ad agire nella regione interna. A proposito: avete mai pensato dove rifugiarvi quando, dopo aver
iniziato una gita in aperta campagna (ad esempio nelle campagne di Pattada, Nugheddu o affini…),
comincia un brutto temporale con lampi, tuoni e fulmini? Per potervi riparare avete a disposizione solo
due posti possibili: qualche albero dei dintorni o la vostra auto (grotte o cavità nelle vicinanze non ce ne
sono…e nascondervi dentro la giacca del vostro fidanzato non servirà a nulla……..). La risposta che
darete può essere….vitale (P. S.: suggerimento da amico: in tali occasioni separatevi di tutti gli oggetti
metallici di vostra proprietà,quali orologi, occhiali, pattadesi e affini…). E se vi trovaste in prossimità
di un lago (es. Tula)?
Se la cavità ha la forma di una sfera, la carica, per ragioni di simmetria, può distribuirsi solo sulla
superficie sferica in modo uniforme.
r1
3
S1
S2
Detta  la carica distribuita sull’unità di
di superficie (densità di carica), le quantità
di elettricità possedute dai due elementi di
superficie S1 ed S2 saranno S1 e S2 , e
quindi S1 eserciterà su un corpo di prova P,
situato all’interno della sfera e dotato della
carica e, una forza
F1 
eS1
 R1 ,
q2
ricordiamo infatti che una forza che si esercita tra due cariche q1 e q2 per il principio di azione e
reazione, dev’essere proporzionale al prodotto di queste ( per quanto già visto…) e dunque se e e S1
sono rispettivamente le cariche in P ed in S1 dev’essere
F1  eS1 , mentre se in P ed in S1 stanno rispettivamente le cariche unitarie q ed
R1 è la forza agente su due cariche unitarie q poste in P ed S1 , dev’essere R1  q2 per le stesse ragioni
addotte; allora il rapporto tra le due forze misurate nello stesso punto, per le proprietà delle
interazioni elettriche viste in precedenza, deve coincidere (a meno di una costante di proporzionalità)
con il rapporto tra i prodotti delle cariche viste :
F1 eS1
 2 da cui la relazione precedente;
R1
q
R1 deve dipendere, ovviamente, dalla distanza r1 fra P ed S1 . Si osservi inoltre che dovendo avere F1
ed R1 avere le dimensioni fisiche di una forza, la diretta proporzionalità di F1 dalle cariche e e S1
dev’essere dimensionale: per far ciò si dividono entrambe per l’unità di carica q, da cui il denominatore
q2 .
Ad ogni elemento di superficie S1 , ne corrisponde uno opposto S2, formato dalle intersezioni sulla
superficie sferica delle congiungenti i punti di contorno di S1 con P: S1 ed S2 rappresentano quindi due
sezioni intercettate sulla sfera da un doppio cono con vertice in P, e gli angoli fra esse e gli assi del
cono sono uguali. Deve valere allora la relazione tra le aree S1 ed S2 e i quadrati delle distanze da P :
2
S 2 r2

S1 r1 2
Analogamente, la carica S2 posta in S2 esercita su P una forza
F2 
eS 2
 R2 ,
q2
con R2 funzione di r2 ; F2 è diretta naturalmente in verso opposto a F1 ( le cariche sono assunte dello
stesso segno!), e il punto P non è soggetto ad alcuna azione solo se le forze dovute a due elementi di
superficie opposti sono esattamente in equilibrio, cioè quando F1 = F2 da cui:
eS1
eS 2

R

 R2
1
q2
q2
per cui elidendo i fattori comuni ad entrambi i membri dell’equazione si ricava:
S1 ·R1 = S2 ·R2
Ovvero:
4
2
R1 S 2 r2


R2 S1 r1 2
e quindi:
R1 ·r12 = R2 ·r22 = C ,
dove C è una quantità indipendente dalla distanza. Ma perché il prodotto tra due quantità sia
indipendente da entrambe una delle due dev’essere inversamente proporzionale all’altra: diremo allora
in generale che fra due cariche unitarie poste a distanza r si esercita una forza
C
r2
R
e quindi la forza F agente fra due cariche e1 ed e2 alla stessa distanza r dev’essere:
F
C e1  e2

r 2 q2
Conformante alle convenzioni sull’unità di carica elettrica, scriveremo C=1  unità di forza  (unità di
lunghezza)2 e le dimensioni della carica saranno fissate ponendo C = q2. Con questa convenzione la forza
con cui due cariche e1 ed e2 poste alla distanza r si attraggono o respingono è:
F
e1  e2
r2
Legge di Coulomb
In realtà, nel sistema di unità di misura più adottato, il S. I., l’unità di misura della carica si chiama
Coulomb (C) ed indica la quantità di carica che attira o respinge la stessa quantità di carica posta ad 1m
di distanza nel vuoto, con la forza di 8,988  109 N; la forza espressa dalla Legge di Coulomb è corretta
in tal caso da una costante di proporzionalità dimensionale dipendente dal mezzo in cui sono immerse le
cariche:
k = 8,988  109 N m2/C2
per cui:
F k
e1  e2
r2
Và sottolineato che tale legge è valida nell’approssimazione di cariche puntiformi.
Sussiste inoltre il seguente principio:
Principio di conservazione della carica elettrica:
la carica elettrica di un sistema chiuso, somma algebrica delle cariche positive e negative, si mantiene
costante nel tempo.
Tale principio è in accordo con le caratteristiche prima viste dei fenomeni di induzione elettrostatica e
con le proprietà viste delle interazioni elettriche.
Se indichiamo con Q la carica puntiforme del corpo M e con q la carica (puntiforme) di un corpo di prova
P posto a distanza r da M, si può definire l’intensità del campo elettrico generato da Q come il
rapporto tra la forza esercitata da essa su q la carica q medesima:
E
F
Q
k 2
q
r
mentre si può definire il campo elettrico vettoriale completo nella forma di:
E = F/q = k 
Q
r
r3
Per convenzione si considera il verso del campo uscente nel caso sia prodotto da una carica positiva ed
entrante nel caso in cui sia negativa.
5
Essendo la forma matematica della legge d’interazione elettrica formalmente identica a quella delle
interazioni gravitazionali, si può dimostrare in modo analogo che il lavoro necessario per spostare
all’interno del campo elettrico prodotto da una carica Q lungo una direzione rettilinea per una distanza
r una carica q sarà l’opposto della variazione di una grandezza fisica , lungo tale percorso, denominata
energia potenziale elettrica della forma:
U k
Qq
r
formalmente identica a quella gravitazionale.
Ne consegue che anche le interazioni ed i campi elettrici sono conservativi in quanto l’intensità della
forza può essere espressa come:
F 
U
r
Possiamo definire ora il concetto generale di linea di campo :
definiamo “linee di campo” quelle linee aventi per tangente in ogni punto dello spazio la direzione del
vettore campo in quel punto.
In sostanza le linee di un campo possono essere ricostruite a partire dalla determinazione del vettore
campo in ogni punto dello spazio.
Infine, le interazioni ed i campi elettrici soddisfano analogamente a quelli gravitazionali, al principio di
sovrapposizione:
se due cariche (o due masse) producono contemporaneamente un campo in un determinato punto dello
spazio, in tale punto risulterà presente un campo dato dalla sovrapposizione dei singoli campi prodotti
dalle singole cariche (ovvero la loro somma vettoriale).Di analoga proprietà gode il potenziale elettrico.
La circuitazione
Anche in questo caso, la conservatività della forza discende direttamente dal fatto che il lavoro fatto
da questa può essere espresso come l’opposto della variazione di una grandezza fisica, detta energia
potenziale, dipendente unicamente dalla posizione spaziale. In particolare, se posizione iniziale e
posizione finale coincidono, anche l’energia potenziale iniziale e finale devono coincidere, per cui
dev’essere L = -U = 0. Ciò avviene in generale, quando il percorso in cui si sposta la carica risulta
essere una linea chiusa:
F
se la linea è suddivisa in tratti sufficientemente
P
piccoli s la forza F può essere considerata
s
costante per tutto il tratto e parallela a questo.
Indicando con s1 , s2 , …….. sn i tratti
in cui è scomposta la linea chiusa e con
F1 , F2 , ………Fn i rispettivi valori della forza
in tali tratti, si ottiene che il lavoro totale lungo la
linea chiusa sarà:
L = F1  s1 + F2 s2 + ……+ Fn  sn =
= q E1  s1 + q E2 s2 + ……+ qEn  sn =
= qi Eisi = 0
dove i indica la somma di tutti i termini.
In realtà, si può notare che il lavoro si annulla quando si annulla la seguente grandezza:
C(E) = i Eisi = 0 detta “Circuitazione”
Questa proprietà è del tutto generale e vale per tutti i campi conservativi:
la circuitazione di un campo conservativo lungo una qualsiasi linea chiusa è sempre zero.
6
In alcuni casi, a seconda del campo in questione, è più facile determinare la circuitazione e verificare
tramite essa se esso è conservativo o meno, piuttosto che il lavoro a causa dell’eventuale forma
matematica assunta dalla forza.
E’ ovvio che le considerazione fatte valgono anche per i campi gravitazionali
Confronto tra interazioni, campi elettrici e interazioni, campi gravitazionali.
Terminiamo ora la trattazione delle proprietà delle interazioni e dei campi elettrici in raffronto con
quelle gravitazionali.
1.
I campi gravitazionale ed elettrico sono di tipo “centrale”, dipendono cioè entrambi dalla
distanza:
gravitazionali
elettriche
F G
g
M m
r2
F k
F
M
G 2
m
r
E
C(g) = 0
lungo linea chiusa
Qq
r2
F
Q
k 2
q
r
C(E)=0
lungo linea chiusa
2. I campi gravitazionale ed elettrico sono entrambi di tipo “radiale”, nel senso che sia la massa
che la carica creano un campo la cui origine risiede nel punto in cui è posta la massa o la carica:
P
E
g
P
Se Q e q
hanno segno
opposto
Q
M
Q
E
Se Q e q
hanno stesso
P segno
7
Le interazioni
attrattive
gravitazionali
sono
sempre Le interazioni elettriche possono essere sia
attrattive che repulsive
N.B.: si stanno considerando gli effetti
esercitati dalla carica sorgente Q sulla carica di
prova, le frecce indicate non indicano quelle che
definiremo in seguito linee di campo!
3. Le interazioni gravitazionali si esercitano fra qualsiasi coppia di corpi e sono le stesse a
prescindere dal mezzo in cui i corpi sono immersi; le interazioni elettriche invece si creano solo tra
corpi in cui si manifesta la presenza di cariche positive o negative, dipendono dal mezzo circostante
e sono più intense:
Se e = 1,602  10 –19 C esprime la carica elettrica di elettrone e protone,
mp = 1,673  10-27 Kg ed me = 9,109  10-31 Kg le masse di protone ed elettrone site ad una distanza r
dev’essere:
Fg  G 
per cui:
m p  me
r2
,
Fe  k 
e2
r2
Fe
k  e2

 2,27  10 39
Fg G  m p  me
ovvero la forza gravitazionale è enormemente più piccola della forza elettrica; ciò poteva essere
intuito confrontando numericamente le due costanti:
G = 6,67  10-11 N  m2 /Kg2
Linee del campo gravitazionale
M
,
k = 8,988  109 N  m2 /C2
Linee del campo elettrico
m
Q
q
per cariche di segno opposto: Q>0,q<0
le masse hanno sempre lo stesso
segno (positive) e sono solo attrattive
Q
q
per cariche di egual segno
8
Energia e potenziale elettrico
Se F = qE è la forza esercitata dalla carica Q sulla carica di prova q, nell’approssimazione in cui
essa è costante, il campo elettrico risulta uniforme (il che significa considerare il caso in cui il
campo elettrico è costante) ed il lavoro fatto da questa forza per spostare q lungo la congiungente
le due cariche per una distanza s sarà dato da L = F s = qE s .
Poiché F è conservativa, il lavoro effettuato dovrà essere uguale all’opposto della variazione
dell’energia potenziale elettrica, L = - U = -(U – U0) ; dunque
qE s = U0 – U ; se dividiamo
entrambi i membri dell’equazione per q ricaviamo:
Es 
U0 U
U
L
 

q
q
q
q
è possibile allora definire una nuova grandezza, dipendente dalla distanza come U, data dal rapporto
tra l’energia potenziale elettrica e la carica di prova q, detta potenziale elettrico :
V 
ne consegue che la sua variazione sarà data da:
U
q
V  V  V0   E  s , ovvero la variazione subita
dal potenziale elettrico durante lo spostamento della carica di prova è data dal prodotto del campo
elettrico per lo spostamento da essa subito.
Essendo
V0  V 
L
q
possiamo definire l’unità di misura del potenziale come il Volt ( V ): 1V 
1J
.
1C
Tale definizione può essere estesa anche al caso di campo radiale prodotto da una carica
puntiforme: la forza è matematicamente identica a quella gravitazionale ed è perciò conservativa;
adottando il medesimo ragionamento fatto per il lavoro svolto dalle forze gravitazionali si ottiene la
medesima definizione anche per il potenziale elettrico:
V
U
Q
k
q
r
Come il campo elettrico, il potenziale elettrico risulta completamente indipendente dalla carica di
prova considerata: esso dipende solo dal punto dello spazio in cui si trova la carica di prova.
Dal punto di vista matematico, il potenziale rappresenta un’iperbole equilatera nel piano di ascissa r
ed ordinata V.
Viceversa, nota la differenza di potenziale tra due punti dello spazio, è possibile determinare il
lavoro necessario per portare la carica q da un punto all’altro:
L = q (V0 – V)
Dalla definizione di potenziale
V 
U
q
segue che U = qV e dunque per le variazioni di energia
potenziale e di potenziale elettrico si ha: U = qV ; poiché la forza elettrica è conservativa
dev’essere proporzionale all’opposto della variazione dell’energia potenziale: F -U = -qV .
Ciò significa che l’intensità della forza elettrica (a prescindere dal segno) cresce con il diminuire
del potenziale: ma le cariche elettriche q si muovono proprio in virtù della forza (e quindi del campo
9
elettrico) generata dalla carica sorgente Q; dobbiamo tener conto però anche del tipo di carica
(cioè del suo segno): da ciò si può dedurre che le cariche positive tendono a muoversi sempre dai
punti a potenziale elettrico maggiore ai punti di potenziale elettrico minore e viceversa quelle
negative dai punti a potenziale minore ai punti a potenziale maggiore.
La determinazione del potenziale elettrico in tutti i punti dello spazio consente così di poter
individuare la direzione del campo elettrico: esso sarà cioè diretto dai punti a potenziale maggiore
ai punti a potenziale minore nel caso in cui sia prodotto da cariche positive e viceversa.
Ricordiamo infine che, essendo il campo elettrico (e dunque la forza elettrica) conservativo, dovrà
essere rispettato il principio di conservazione dell’energia meccanica E, per ad es. ,cui nel caso di
campo generato da una carica puntiforme Q e di una carica di prova q a distanza r da Q, deve
essere:
E
1
qQ
 mv 2  k 
 cos t
2
r
Consideriamo ora il campo ed il potenziale creati da una carica puntiforme Q >0
ed analizziamo la struttura
delle linee di campo e della
regione dello spazio in cui
è presente il potenziale:
Q
E k
Q
r2
V k
Q
r
per quanto visto in precedenza, poiché il campo generato da una carica puntiforme è radiale e la
carica è positiva, le linee di campo sono tutte delle rette uscenti dal punto in cui è ubicata la carica;
il potenziale risulta inoltre avere lo stesso valore in tutti i punti equidistanti dalla carica Q in
quanto per r = cost si deve avere V = cost : di conseguenza, come nel caso della circonferenza
piana, le superfici in cui tale potenziale è costante devono essere necessariamente sferiche in
quanto la sfera è proprio l’insieme dei punti dello spazio equidistanti da un centro prefissato.
Tali superfici si dicono superfici equipotenziali e le loro sezioni piane (parallele al piano del foglio
qui usato…) sono delle circonferenze. Si è visto inoltre durante il corso di geometria analitica, che i
raggi uscenti dal centro della circonferenza risultano essere perpendicolari alle rette tangenti alla
circonferenza nei punti d’intersezione tra esse ed raggi: possiamo così dedurre che nel piano del
foglio tali circonferenze, in tali punti risultano perpendicolari alle linee di campo (prolungamenti dei
raggi) se assumiamo una curva perpendicolare ad una retta in un punto, quella avente per tangente
in quel punto la perpendicolare a tale retta. Possiamo allora generalizzare dal piano allo spazio
dicendo anche le superfici sferiche risultano perpendicolari ai prolungamenti di tali raggi e
concludere che:
Le linee di campo sono perpendicolari in ogni punto alla superficie equipotenziale passante per quel
punto.
Tale proprietà è valida in generale ed in particolare, poiché il vettore campo elettrico risulta
sempre tangente alle linee di campo, si può evincere che anche il campo elettrico in un punto risulta
sempre perpendicolare alla superficie equipotenziale in quel punto.
Da quanto affermato ne consegue che per determinare un moto di cariche è necessaria la presenza
di un campo elettrico e per produrre tale campo, occorre produrre una differenza di potenziale.
10
Questo può essere realizzato ad es. ponendo una certa zona di spazio tra due corpi dotati di
elettricità opposta: uno carico positivamente e l’altro carico negativamente.
In generale un dispositivo capace di creare una differenza di potenziale, ad es. agli estremi di un
conduttore , si chiama “Generatore di tensione” e viene indicato con il seguente simbolo:
- +
i due trattini verticali si chiamano
elettrodi , entrambi conduttori, uno
carico positivamente e detto
polo positivo, l’altro carico negativamente e detto polo negativo. Essi si collegano infine ad un
conduttore rettilineo, indicato con i trattini orizzontali.
Se la differenza di potenziale tra due punti dello spazio è nulla, non vi potrà essere alcun
spostamento di carica da un punto all’altro.
Applichiamo questa proprietà ad un conduttore carico in equilibrio elettrostatico:
si è visto che il campo elettrico
all’interno di tale conduttore
+
+
dev’essere nullo, in quanto in
+
+
condizioni di equilibrio elettrostatico
+
+
le cariche si portano tutte alla superficie
+
+
esterna. Da ciò segue che il potenziale,
+
+
in tutti i punti del conduttore, ha lo
+ + + + +
ha lo stesso valore:
infatti poiché il campo elettrico è in
tali punti nullo, il lavoro compiuto per
spostare una carica di prova tra due qualsiasi di questi punti è nullo, per cui tutto
il conduttore ha lo stesso potenziale.
Si può allora dedurre che anche la superficie del conduttore sia una superficie equipotenziale;
poiché, infine, le linee di campo e le superfici equipotenziali sono perpendicolari tra loro, il campo
elettrico all’esterno di un conduttore, nei punti prossimi alla superficie, è sempre perpendicolare
alla superficie.
+ + +
Il Teorema di Gauss
Per dimostrare alcune proprietà descritte dei conduttori in equilibrio elettrostatico è necessario
definire una nuova grandezza fisica detta “flusso di un campo vettoriale attraverso una superficie”.
n
Consideriamo una superficie piana di area S
e indichiamo con n un vettore unitario
ad essa perpendicolare.

Consideriamo poi un campo vettoriale E uniforme
E che attraversi tale superficie in modo da
formare con n un angolo .
S
Definiamo “flusso del campo E attraverso la superficie S” la seguente quantità:
S (E)=E cos S = En S
dove En = E cos la proiezione di E su n .Per costruzione dev’essere:
S (E)= E S per  = 0
S (E)= 0 per  = 90
ovvero che il flusso è massimo quando E ed n sono paralleli
Nel caso di superficie non piana il campo risulta necessariamente non uniforme rispetto all’intera
superficie; si può allora scomporre la superficie in un reticolato di tante sottosuperfici di area Si
11
sufficientemente piccole da poter essere considerate piane: in ciascuna di queste si avrà un campo
uniforme Ei la cui proiezione lungo la normale alla superficie i-ma sarà Ein .
Il flusso totale del campo E attraverso la superficie S sarà allora dato dalla somma dei flussi  iS
(Ei)= Ein Si ovvero:
S (E)= E1n S1 + E2n S2 + + Emn Sm
n
Ei
i
S
Si
A questo punto possiamo enunciare e dimostrare il :
Teorema di Gauss:
il flusso S (E) del campo elettrico E attraverso una qualsiasi superficie chiusa S (in cui non sono
presenti cariche) contenente una regione di spazio dotata di carica Q nel vuoto è:
 S E  
Q
0
Dimostriamolo prima nel caso più semplice di superficie sferica:
E
S
Q
r
il vettore campo elettrico è perpendicolare
alla superficie in ciascun suo punto; se il
raggio della sfera misura r l’area di tale
superficie è S = 4r2 , mentre il campo
radiale generato dalla carica Q è
E k
Q
r2
per cui alla fine sarà:
 S E   E  S  k 
Q
Q
 4  r 2  4  k  Q 
2
0
r
Nel caso generale, consideriamo una qualsiasi superficie chiusa S che racchiuda però al suo interno
la precedente superficie sferica con una carica interna Q:
R
n
E1
E2
eee
S
a
A
a
A
a
Q
r
all’interno di S prendiamo una
superficie conica con vertice in Q
che interseca la superficie sferica
con una superficie a e la superficie
esterna S con una superficie A;
siano r ed R le rispettive distanze
delle due superfici da Q , E1 ed E2
i rispettivi valori del campo.
Essendo il campo inversamente
proporzionale al quadrato della
distanza dev’essere:
12
E1 R 2

E2 r 2
ovvero:
E 2  E1 
r2
R2
Consideriamo adesso l’area A1 ottenuta intersecando la superficie conica con la superficie sferica
centrata in Q con raggio R:
n
R
r

Q
n1
A
A1
A
dalla geometria euclidea spaziale
si sa che coni aventi il vertice in
comune e generatrici sulle stesse
rette sono simili, il che significa
che le loro aree delle superfici di
base sono in proporzione con i
quadrati delle loro altezze:
a
r2
 2
A1 R
ovvero:
A1  a 
R2
r2
inoltre se  è l’angolo formato dalle normali alle superfici A 1 ed A dev’essere:
A1 = Acos da cui:
R2
1
A  a 2 
r cos 
il che ci permette di calcolare i flussi a e A attraverso le superfici a ed A:
 a  E1  a
 A  E 2  A  cos   E1 
r2
R2
1

a


 cos   E1  a
2
2
R
r cos 
Conseguenza: il flusso che attraversa le due superfici a ed A è lo stesso: a = A
Il medesimo discorso può essere fatto per ogni porzione sufficientemente piccola della superficie
esterna mettendola in relazione con una corrispondente porzione di superficie sferica, per cui il
flusso totale attraverso le due superfici è lo stesso.
Sempre dal teorema è facile dedurre che:
il flusso di un campo attraverso una qualsiasi superficie chiusa è zero se la carica è esterna alla
superficie stessa
Il teorema di Gauss è uno strumento potente quando si tratta di determinare il campo elettrico
generato da distribuzioni superficiali di cariche dalla geometria particolare. Analizziamo in
particolare il campo elettrico creato da una distribuzione piana uniforme indefinita (di estensione
teoricamente infinita) di cariche: indichiamo con  la densità di carica superficiale sul conduttore
e con E il campo elettrico immediatamente vicino alla superficie. Prendiamo infine un’area s della
superficie del conduttore sufficientemente piccola da poter considerare costante la densità  su
di essa. Ciò ci consente di considerare il metodo in modo del tutto generale perché applicabile ad
13
una superficie qualunque (ovvero non piana e non uniformemente carica). La carica Q su di essa
dovrà perciò essere Q =   S .
E
Immaginiamo ora un piccolo
parallelepipedo avente per basi
due superfici s' ed s'' ottenute
per traslazione di s
rispettivamente verso l’esterno
e verso l’interno del conduttore,
con superfici laterali
perpendicolari ad s;
all’interno di esso è contenuta
la carica Q e potesi così
applicare il teorema di Gauss :
s'
BB
s
B s''
S
Conduttore con superficie S
carica

Q
0

 S
0
il flusso  attraversante la superficie esterna s del parallelepipedo è facilmente calcolabile
essendo E perpendicolare ad s :  =Es = E s , mentre E è nullo su s perché interno al
conduttore ed infine il suo flusso è nullo anche attraverso le superfici laterali essendo il campo
parallelo a questo e dunque privo di componente lungo la perpendicolare a queste. Ne consegue che
 =  ed
Es 
 s
0
che eliminando s da entrambi i membri dà:
E

0
Teorema di Coulomb
il teorema di Coulomb fornisce così il campo elettrico in prossimità della superficie di un
conduttore.
In particolare se il conduttore è piano e indefinito il teorema di Coulomb fornisce il valore
dell’intensità del campo elettrico da esso generato in un punto qualsiasi dello spazio esterno ad
esso:
infatti in tal caso il campo E è uniforme, ovvero è costante in direzione e modulo ovunque.
E’ costante in direzione per ragioni di simmetria: solo una asimmetria nella distribuzione di cariche
sul piano può creare un campo con una direzione non perpendicolare al piano medesimo (le
componenti lungo il piano dei campi prodotti da due cariche del piano simmetriche rispetto ad un
asse ad esso perpendicolare si annullano compensandosi…).
E’ costante anche in intensità:
condutt.
applicando il teorema di Gauss
s
E
ad un parallelepipedo di basi
Es E
s ed s di area s parallele ed al piano del conduttore ed esterne ad esso e con superfici laterali
ad esso perpendicolari, denotando con E e con E i campi rispettivamente in s ed s si ha che il
flusso totale attraverso la superficie chiusa dell’intero parallelepipedo è la somma dei flussi
attraverso le due superfici s ed s ed è uguale a zero, in quanto la carica del conduttore è
esterna alla superficie (in quanto esterna ad esso) :  +  = E s - E s = ( E-E ) s = 0 ,
ovvero E = E .
14
Con le medesime argomentazioni si può dedurre che il campo generato all’interno di due superfici
piane parallele tenute ad una differenza di potenziale costante (condensatore) è costante.
Dimostriamo ora, facendo uso del teorema di Gauss, che
in un conduttore in equilibrio elettrostatico le cariche rimangono o si portano sulla superficie:
S
infatti se le cariche sono statiche in ogni punto
interno al conduttore dev’essere E = 0; per cui
se S è una superficie interna al conduttore
dev’essere S (E)= 0; allora se Q è la carica
posta eventualmente all’interno della superficie S
per il teorema di Gauss si ha:
 S E  
Q
0
ma S (E)= 0 e dunque dal confronto Q = 0.
e che
le cariche elettrostatiche separate per induzione da una carica Q su di un conduttore che la
circonda completamente, sono – Q nella faccia interna e + Q sulla faccia esterna ad esso:
Infatti in ogni punto P interno al
+ + + ++
conduttore dev’essere E = 0 , da
+
+
cui per il teorema di Gauss sarà
+
+
S (E)= 0 essendo S una
+
-- +
qualsiasi superficie chiusa tutta
+
- + +
+
interna al conduttore considerato
+
- +
+
X+ Indicando con X la carica sulla
Q+
+
- +
+ faccia interna ad esso, per il
+
- + + +
+
teorema di Gauss si ha anche:
+
- - -
S+
 S E  
Q X
0
+
+
+ +
+
e dunque:
+
+
Q+X=0
ovvero : X = - Q . Per la conservazione della carica sulla faccia esterna è distribuita
carica + Q.
Osserviamo che il Teorema di Gauss può essere esteso anche agli altri campi.
Condensatori e cariche in movimento
invece la
Si è visto come, nel caso semplificato di campo elettrico uniforme (costante) sia possibile
determinare il lavoro fatto dalle forze del campo per spostare una carica da un punto all’altro.
Sperimentalmente, un campo elettrico uniforme può essere realizzato attraverso il seguente
dispositivo:
si tratta di due lastre piane
conduttrici, una connessa al
+ + + + + + + + + + + + + + + + +polo
+ + positivo di un generatore
A
di tensione, l’altra al polo
negativo:
d
E
s
poiché le cariche negative
+
sono le uniche in grado di
muoversi, il generatore non
fa altro che sottrarre cariche
B
negative dalla lastra superiore
per trasferirle a quella
----- - ---------------- - ---
15
inferiore; la lastra superiore
risulterà così dotata di sole cariche positive e dunque carica positivamente e viceversa. Se d è la
distanza tra le due lastre, supponendo per semplicità, che non via sia alcun mezzo interposto tra le
due lastre, il campo elettrico risulterà in ogni punto dello spazio compreso tra le lastre, sempre
diretto dal + al – (per definizione!) e sempre perpendicolare alla superficie delle lastre: infatti le
cariche, una volta raggiunta la lastra, raggiungono l’equilibrio elettrostatico e quindi si dispongono
tutte sulla superficie di essa, ma la superficie di un conduttore carico è equipotenziale e, per
quanto visto prima, dev’essere necessariamente perpendicolare alle linee del campo e elettrico e
dunque al campo elettrico medesimo. Il fatto che il campo sia costante può essere dimostrato
teoricamente facendo uso del Teorema di Gauss, ma ciò esula dai fini di questa trattazione.
Se A rappresenta un punto della superficie della lastra superiore e B il punto corrispondente (sulla
perpendicolare condotta da A) sulla lastra inferiore, la differenza di potenziale tra i punti sarà la
differenza di potenziale tra due lastre essendo questa costante (in quanto il campo elettrico è
uniforme!) e sarà indicata con VA – VB . Per spostare una carica da A a B bisogna compiere un lavoro
L=qEd e dunque dalla definizione di potenziale elettrico segue q(VA – VB ) = qEd.
Tale formula ci consente di determinare il campo elettrico a partire dalla misura della differenza di
potenziale tra le lastre e della distanza tra esse: Ed= VA – VB e:
E
V A  VB
d
Poiché le cariche vengono portate sulle lastre del condensatore attraverso la differenza di
potenziale ad esse applicata, esiste, e si verifica sperimentalmente, una proporzionalità diretta tra
questa e la quantità di carica Q che può essere contenuta da ciascuna lastra:
Q
C
V A  VB
la costante di proporzionalità C viene chiamata Capacità di un condensatore tale capacità si misura
in Coulomb/Volt (C/V) e la nuova unità di misura espressa da tale rapporto si chiama Farad (F). In
generale la capacità di un condensatore dipenderà dalla superficie delle armature (geometria
inclusa) e dalla loro distanza; infatti se  = Q/S esprime la densità superficiale di carica
dell’armatura di area superficiale S da cui Q = S e poiché, facendo uso del teorema di Gauss, si è
visto che E = /0 per cui VA – VB = E d = d/0 , sostituendo tali valori nell’espressione della
capacità e semplificando la frazione si ottiene:
C
0  S
d
La relazione di proporzionalità è valida in ogni istante, nel senso che tale rapporto resta costante al
variare della Tensione V (differenza di potenziale) e della carica accumulata nelle lamine.
Quale sarà l’energia necessaria per caricare ciascuna lamina del condensatore con una carica Q
(ovvero l’energia immagazzinata dal condensatore)?
Il si è già visto che il lavoro in tal caso, dimensionalmente, è dato dal prodotto tra una carica ed una
differenza di potenziale; ne consegue che, in modo analogo a quanto era stato fatto per il calcolo
del lavoro fatto dalle forze elastiche e gravitazionali, il lavoro potrà essere determinato attraverso
l’area formata dal grafico della differenza di potenziale elettrico nel diagramma cartesiano avente
la carica in ascissa e tale differenza in ordinata:
V
la proporzionalità diretta tra carica e tensione
si traduce in una relazione di linearità:
16
V
V 
1
q
C
che rappresenta l’equazione di una retta
nel piano cartesiano (q, V)
O
q
Q
Ne consegue che il lavoro fatto per carica il condensatore di una quantità di carica Q attraverso
una tensione V sarà dato dall’area sottesa dalla retta nel tratto che và da O a Q , ovvero l’area
del triangolo di base Q e di altezza V :
L
1
 Q  V
2
e poiché in tal caso q = Q = CV sostituendo si ricava:
L
1
 C  V 2
2
e viceversa ponendo
V 
Q
C
si può esprimere:
1 Q2
L 
2 C
entrambe le formule rappresentano in modo diverso, la stessa energia elettrica immagazzinata dal
condensatore.
Il condensatore viene indicato con il simbolo:
e lo schema prima visto viene indicato con la seguente combinazione di simboli:
+
-
+
-
ovvero generatore di tensione connesso con
un condensatore.
Possiamo ora passare al moto di una carica in un campo elettrico.
Se una carica q è immersa in un campo elettrico E essa sarà soggetta ad una forza F = qE ; se m è
la massa del corpo contenente la carica, esso si muoverà con un’accelerazione a e dunque per il
secondo principio della dinamica dev’essere:
a 
q
E
m
tale accelerazione sarà ovviamente diretta come la forza e dunque nello stesso verso del campo se
la carica è positiva e nel verso opposto se la carica è negativa.
17
Analizzeremo due casi:
1.
Moto di una carica in campo uniforme.
y
+++++++++++++
+
q
E
v
x
F
------------------
Se si lancia la carica in direzione
orizzontale tra le armature di un
condensatore, la sua velocità
iniziale v sarà parallela all’asse x.
Se la carica è positiva, essa sarà
diretta come il campo elettrico e
perciò avrà una componente solo
lungo l’asse y e verso il basso.
Orizzontalmente invece non sarà soggetta ad alcuna forza; si può così concludere che lungo l’asse x la
carica sarà dotata di moto rettilineo uniforme mentre lungo l’asse delle y, essendo il campo costante, lo
sarà anche l’accelerazione e dunque il moto sarà rettilineo uniformemente accelerato:
x  v  t

1 qE 2

 y   2  m  t
in particolare, se si ricava t in funzione di x nella prima equazione e si sostituisce l’espressione t = x/v
così ottenuta nell’altra equazione si ottiene:
1 qE
y    2  x2
2 mv
se invece si considera E 
V
, con V tensione tra le armature e d distanza tra di esse si ha:
d
1 qV
y 
 x2
2 dmv 2
in ciascuno dei due casi si deduce che :
il moto di una carica tra le armature di un condensatore esegue una traiettoria spaziale di tipo
parabolico
il risultato, com’era prevedibile, è identico a quello del moto di un proiettile in prossimità della
superficie terrestre, soggetto unicamente alla forza di gravità.
2. Moto di una carica in campo radiale.
18
E’ il caso del moto di una particella carica nel campo elettrico generato da una carica puntiforme fissa.
La forza che il campo elettrico esercita sulla carica mobile non è più costante, ma variabile con la
distanza r tra le cariche.
Se Q è la carica fissa e q quella mobile, la forza che agisce su quest’ultima è:
F k
qQ
r2
mentre l’energia meccanica totale è:
E
1
qQ
 mv 2  k 
2
r
che è un’equazione quasi formalmente identica (da un punto di vista matematico) a quella vista per le
interazioni gravitazionali.
In realtà se le 2 cariche hanno lo stesso segno la forza diventa repulsiva e la traiettoria eseguita dalla
carica è di tipo iperbolico.
Se invece le cariche hanno segno opposto, allora il valore dell’energia potenziale è negativo ed il moto
della carica è identico a quello di un corpo celeste nel campo gravitazionale generato da un altro corpo
celeste di dimensioni maggiori.
Nel secondo caso si è già visto che possono esserci diversi tipi di orbite:
se la carica q dotata di massa m è lanciata ad una distanza r dalla carica fissa con una velocità tale che
la sua forza centripeta sia uguale alla forza prodotta dalla carica fissa medesima, si deve ottenere,
come nel caso gravitazionale, un’orbita circolare per cui:
qQ
v2
k 2 m
r
r
in cui la forza è presa solo nel suo valore numerico positivo (senza cioè il segno negativo). Da tale
equazione si ricava la velocità che la carica deve avere per eseguire un’orbita circolare:
v k
qQ
mr
in modo identico a come fatto nel caso gravitazionale la velocità di fuga (cioè quella al di sopra della
quale la carica fugge al campo elettrico prodotto dalla carica fissa) si trova che è:
v f   2k 
qQ
mr
per cui se v < vf la carica effettuerà una traiettoria ellittica o circolare, in corrispondenza della
velocità di fuga effettuerà una traiettoria parabolica, per velocità maggiore una traiettoria iperbolica.
19