Federazione Italiana Lavoratori Funzione Pubblica piazza Vittoria, 7 – 87100 Cosenza tel. 0984 687125/9 – fax: 0984 76622 e-mail: [email protected] SEGRETERIA TERRITORIALE A COSENZA UNA SANITÀ SENZA TIMONIERE (E SENZA TIMONE?) UN DOCUMENTO DELLA CGIL SULLA SITUAZIONE POLITICO SANITARIA DELLA CITTÀ E DEL SUO COMPRENSORIO La parabola del Commissariamento dell’ASL 4 ha dell’incredibile. Dopo una falsa partenza (un candidato nominato da pochi giorni era stato sostituito dal Dott. Bossio) a meno di due mesi dalla scadenza del mandato vediamo quest’ultimo gettare la spugna. E di fronte a questo spettacolo inquietante, gratuitamente offerto dal governo regionale, nessuna forza politica di opposizione ha sentito il bisogno di fare commenti e porsi domande. La stampa ha parlato di finanze storicamente deficitarie, di pressioni delle lobby della sanità privata, di incrostazioni burocratiche che impediscono il cambiamento ma nessuno ha tentato di approfondire la cosa né ha voluto chiedersi quali fossero le reali difficoltà incontrate da Bossio. Tutti fermi, in attesa di vedere come le manovre di spartizione avrebbero sortito il loro effetto. Sembrerebbe un’avvincente partita a Monopoli, se non ne andasse della funzionalità dei servizi sanitari di una intera area metropolitana e del suo circondario. Le lunghe ed estenuanti liste d’attesa nei poliambulatori pubblici per molte prestazioni specialistiche sono ormai diventate un ambiguo e preoccupante elemento di stabilità nel panorama cosentino: non è più rassegnazione o indolenza, ma con tutta evidenza è la prova di un progetto di smantellamento del sistema sanitario pubblico. Un progetto di smantellamento che emerge da una facile constatazione: vi è un’assoluta mancanza di programmazione nell’offerta di prestazioni e nell’ubicazione dei servizi distrettuali; si ignorano le liste d’attesa, i dati epidemiologici e, soprattutto, la consistenza dei bacini di popolazione. Mentre si registra un incremento della dotazione organica aziendale, per il passaggio in ruolo di molti medici già convenzionati e per un flusso ininterrotto, e peraltro poco trasparente, di trasferimenti da altre Aziende. Un progetto che evita accuratamente di investire in servizi per i cittadini, che sono rigettati dalle strutture del servizio pubblico e costretti a ricorrere, non per mancanza di qualità, ad altre strutture specialistiche accreditate o allo stesso ospedale, con ulteriore deficit delle casse dell’ASL 4 e intasamento degli ambulatori ospedalieri. Questa è l’evoluzione del “federalismo sanitario” nella nostra Regione? La massima disuguaglianza di cure col massimo spreco? Che tutto sia ambiguo e sotterraneo lo dimostra anche la “commedia” della nuova sede del Poliambulatorio di Cosenza. Dopo che tutti hanno riconosciuto l’inadeguatezza irreversibile della sede di Via Milelli, dopo qualche velleitaria proposta di collocare la nuova sede del Centro Diagnostico presso edifici scolastici ubicati nel cuore della stessa Circoscrizione, ci si è facilmente arresi. Non abbiamo neppure assistito ad una ipocrita ma sacrosanta tinteggiatura per pulizia degli ormai famigerati locali dell’ex Coldiretti. Senza dimenticare che nella gestione di tutto il personale si assiste ad una politica clientelare invereconda, che prevede pratiche di pesatura dei buoni e dei cattivi, degli allineati e dei disobbedienti. Nell’Azienda Sanitaria di Cosenza vige una inaccettabile, cronica provvisorietà degli incarichi dei Dirigenti medici e non medici. Una serie di incarichi sono stati conferiti con provvedimenti “temporanei e urgenti”, che nel tempo hanno prodotto un nucleo di “mandarini”, privi di ogni legittimità contrattuale. Questi fatti sono ormai denunciati dallo stesso Collegio dei Revisori dei Conti, che ha invitato la Direzione a “rivisitare” alcuni atti, evidentemente illegittimi, “ribadendo le censure sulle modalità di nomina” (e non si può escludere che a determinare la resa di Bossio sia stata anche una constatazione d’impotenza di fronte a certe resistenze). Quel nucleo cerca di nascondere l’origine assai incerta della sua investitura gerarchica, ma resta saldamente ancorato ai suoi privilegi e ai suoi vantaggi economici, sempre più consolidati, che cerca di far passare per diritti contrattuali: quegli stessi diritti che sono puntualmente negati ai colleghi. Quel nucleo ha condotto, anche per le guerre intestine nel frattempo succedutesi, al collasso di ogni tentativo di governo clinico aziendale, sotto la protezione o l’inerzia di tutti i “manager” ordinari e straordinari che si sono succeduti. Tutto ciò rappresenta un danno economico per i singoli e per le stesse casse dell’Azienda, già ampiamente in passivo, e una situazione di iniquità nell’uso delle risorse professionali. La CGIL ha cercato di contrastare tutto ciò, nella maggioranza dei casi in assoluta solitudine rispetto alle altre organizzazioni sindacali, che spesso hanno solo cercato di cooptare qualche amico nell’area dei tutelati. La CGIL rilancerà la battaglia per ottenere che a ciascuno sia dato ciò che spetta, innanzitutto sul terreno della contrattazione ma inevitabilmente anche sul terreno legale, non solo su quello della giustizia amministrativa, ma anche su quello della giustizia contabile e penale. Solleciteremo l’intervento delle forze politiche democratiche e delle istituzioni civili, a partire dai Comuni, che hanno un ruolo imprescindibile e non delegabile, che è previsto dalla legge di riforma e che si esprime sia nelle scelte di politica sanitaria sia nella valutazione dei metodi di gestione. Un ruolo che non dovrà più limitarsi ad un giudizio finale (talvolta troppo indulgente) sull’operato dei Direttori Generali. Un'altra vicenda che ha intorbidito le acque in questi anni (e che potrebbe avere avuto il suo peso nella scelta di Bossio) è “l’affaire psichiatria-porte girevoli”, in cui è sembrato emergere un conflitto di interessi tra personale pubblico con funzioni di controllo e strutture sanitarie dell’imprenditoria privata. La vicenda non presenta solo questi aspetti, sui quali torneremo alla fine dell’inchiesta in corso, dopo che la Procura cosentina avrà chiarito le contestazioni che intende muovere. Siamo certi che l’obiettivo degli inquirenti non siano solo le condanne nei confronti di alcune famiglie, che hanno beneficiato impropriamente delle indennità di invalidità, e purtroppo anche nei confronti di alcuni ammalati di mente. Più volte abbiamo denunciato, insieme alle organizzazioni che rappresentano i familiari e il privato sociale, l’assenza di programmazione anche in questo settore. Un settore dove non c’è alcuna corrispondenza tra gravità dei casi e percorso terapeutico, dove i casi più gravi spesso non trovano asilo sia nel “pubblico” che nel “privato”. Dove un apposito censimento condotto dal dipartimento ha ammesso che la metà dei ricoverati potrebbe avere una diversa collocazione abitativa e una diversa modalità assistenziale. Dove non si riesce a dimettere – e quindi a guarire – mai nessuno. In genere i controlli si concludono constatando che i ricoverati devono restare tali perché non esistono sul territorio altre soluzioni (quelle residenze alternative al ricovero, con le caratteristiche previste dal Progetto obiettivo nazionale) perché non sono state mai realizzate e quelle costruite con fondi pubblici non sono neppure attivate. Nessuno, che sia il direttore generale o sanitario, il dipartimento di salute mentale o il distretto, ha mai negoziato un numero di ricoveri commisurato alle esigenze degli assistiti del proprio territorio. Anzi molti pazienti provengono da altre regioni, ma risultano residenti nei comuni in cui sono ubicate le strutture di ricovero. Per colmo del paradosso, questo settore è stato escluso dalle limitazioni previste recentemente dalla Regione Calabria per ridurre la spesa sanitaria e l’uso improprio dei ricoveri (senza volere entrare nel merito della reale efficacia di tali limitazioni). Tutto questo a noi sembra una storia di malcostume, forse il paradigma di molte altre forme di assistenza sanitaria, in cui l’ammalato gira portandosi dietro il suo profumo di soldi e in cui egli è centrale fin quando produce profitto! Questo è l’esempio più eloquente di come l’imprenditoria privata locale intenda investire nei servizi sanitari: il massimo profitto con il minimo sforzo. Che è la regola di ogni saggia impresa. Ma in campo sanitario (ed anche altrove, per carità!) sono pure necessarie altre regole, perché si ha a che fare con bisogni e ansie primordiali, che possono essere facilmente catturati da certe campagne pubblicitarie accattivanti. Non vogliamo emarginare il “privato”, che poi privato non è dal momento che non rischia granché di tasca propria. Conosciamo esempi di buone capacità assistenziali, anche se registriamo casi paradossali in cui le eccellenze sono ridimensionate e le aziende floride poste in liquidazione. Abbiamo tanti iscritti tra i lavoratori della sanità privata, che spesso sono usati dagli imprenditori come testa d’ariete per ottenere i pagamenti da parte dell’ente regionale (magari a bordo di pullman, che fa movimento). Vogliamo che le regole siano valide per tutti, non siamo paladini degli sprechi quotidiani, largamente documentati nelle strutture gestite dal pubblico. Ma ci piacerebbe conoscere quali miglioramenti sono stati attuati nella qualità dell’offerta, in nuove tecnologie e dotazione strumentale, in aumento e qualificazione del personale, a fronte degli enormi ricavi realizzati a partire dal 1995. Con l’entrata in vigore del sistema di remunerazione “per gruppi di diagnosi”, infatti, i costi delle giornate di degenza sono triplicati, come ha dimostrato recentemente un’indagine della Ragioneria dello Stato. Pensiamo che parlare di libera scelta del cittadino è un modo subdolo per privarlo di ogni reale possibilità di scelta, perché un sistema a risorse definite, quale è il servizio sanitario, deve decidere quali bisogni può soddisfare e quali diritti deve garantire a tutti. Dietro l’angolo ci sono le assicurazioni private, che garantiscono solo quello che ciascuno è in grado di pagarsi (come avviene in USA, nel sistema sanitario più costoso e più iniquo dell’occidente). Altro che ticket sui farmaci, già tanto odioso specialmente per i più poveri e i più ammalati (che di solito sono anche anziani)! Esempi di cattiva gestione del servizio pubblico sono facilmente reperibili nell’Azienda Ospedaliera cosentina e soprattutto nella mancanza di concertazione tra le due aziende del nostro territorio. Grave ed esemplificativa appare l’ultima denuncia sullo stato di abbandono del Servizio di Emergenza 118, dove la “difficoltà interpretativa del protocollo d’intesa” tra ASL 4 ed Azienda Ospedaliera porta il personale a lavorare su mezzi di soccorso poco affidabili e con le divise stracciate. Neanche l’Azienda Ospedaliera onora sempre le regole nella gestione del personale. È il caso della recente nomina del Direttore Sanitario, avvenuta dopo le dimissioni scarsamente motivate del Dott. Risoli, uomo interno all’azienda dove ha svolto le funzioni di direttore sanitario dell’Annunziata per molti anni. Al suo posto è stato nominato un medico neonatologo senza alcuna esperienza di direzione sanitaria, senza i requisiti previsti dalla legge per fare il Direttore Sanitario di una Azienda Ospedaliera, anche solo per pochi mesi. Siamo certi dei suoi meriti, ma non pensiamo che tra questi si debba annoverare il fatto di aderire a Forza Italia. Nella partita che sta per aprirsi in questa azienda, dove finalmente saranno individuati e affidati gli incarichi dirigenziali, non ci è sembrato un buon calcio d’inizio. Il quadro complessivo che si ricava da quanto abbiamo detto è che la sanità cosentina sia diventata terreno di conquista di una fazione politica, che la gestisce a fini esclusivamente clientelari e di rafforzamento del proprio potere. Sorprende ancora una volta in tutto ciò il silenzio assordante delle forze politiche, che sono all’opposizione nella Regione ed al governo nel Capoluogo di Provincia e in alcuni Comuni ricadenti nel bacino dell’Azienda Sanitaria n.4. Mentre si impegnano volentieri in accesi dibattiti su un Piano Sanitario Regionale ancora virtuale, evitano accuratamente di commentare anche il minimo episodio concreto di cattiva amministrazione. Forse per non disturbare equilibri di cui alcuni esponenti del centro sinistra fanno organicamente parte? La CGIL come sindacato dei diritti vuole affermare che il diritto alla salute è fondamentale. In attesa che ci sia fatta una proposta seria e responsabile di piano sanitario regionale, su cui potersi confrontare, intendiamo ribadire con forza che alcune proposte e iniziative, che si possono realizzare immediatamente per migliorare il livello dell’assistenza sanitaria in questa città e nel suo comprensorio. 1) Che sia dato l’avvio definitivo e operativo al centro unico di prenotazione per le prestazioni specialistiche e che in detto centro confluiscano tutti gli erogatori di prestazioni pubblici (ospedale e territorio) e convenzionati. 2) Che siano portate almeno a 12 le ore giornaliere di utilizzo delle strutture e delle apparecchiature diagnostiche, in modo da ridurre i tempi di attesa e la durate delle degenze. 3) Che siano fissati i criteri di accesso al ricovero per le patologie non urgenti e rese chiare e controllabili le liste di attesa dei ricoveri stessi. Cosenza 11 marzo 2003 Per la Segreteria FP CGIL, Coordinamento Sanità e CGIL Medici (Franco Bozzo, Piero Piersante, Nicoletta D’Ambrosio, Valerio Formisani, Giacomo Bruni, Alfonso Longobucco)