LA DESTRA STORICA AL POTERE (Ricasoli, Rattazzi, Minghetti, Quintino Sella) Dal 1861 al 1876 l'Italia fu governata dalla "Destra storica", così chiamata perchè come la sinistra di quel periodo ebbe un ruolo "storico" nella formazione dell'Italia; l'aggettivo storica ha inoltre la prerogativa di distinguere i due schieramenti di allora da quelli attuali. Di fatto la Destra storica occupò una posizione centrale nel dibattito politico. Questi erano gli schieramenti parlamentari dell'epoca: al centro vi erano i liberal-moderati, eredi di Cavuor (la Destra storica), esponenti dell'aristocrazia terriera, sostenitori di uno Stato paternalistico e di un'alta moralità pubblica; la destra, in senso stretto, era costituita dai clericali e dai reazionari; la sinistra era formata dalla Sinistra storica, liberal-progressisti, ex democratici (mazziniani e garibaldini convertiti alla monarchia) espressione prioritaria della borghesia cittadina, favorevoli a un allargamento della base sociale e al suffagio universale. Destra e Sinistra storiche avevano entrambe una concezione liberale dello Stato: si trattava, infatti, della destra e della sinistra liberale; nonostante la Sinistra fosse di impostazione più democratica non c'era tra i due schieramenti una effettiva differenza profonda perchè entrambi erano costituiti da un'elitè di notabili legati da interessi locali e rapporti clientelari. In parlamento era rappresentata una piccola parte del paese: solo il 2% della popolazione aveva il diritto di voto, in base al censo e all'istruzione, quindi la base elettorale era ridottissima (400.000 persone, di cui votava solo la metà, su una popolazione di 22 milioni di abitanti); non c'erano dei veri partiti dotati di una struttura organizzata, ma partiti di notabili, schieramenti politici che raggruppavano gli eletti in Parlamento. Politica interna: accentramento o decentramento? - legge elettorale - istruzione Il successore di Cavuor alla Presidenza del Consiglio fu Bettino RICASOLI. La Destra storica dovette decidere l'assetto del nuovo Stato; le soluzioni possibili erano due: lo Stato accentrato, sostenuto da Ricasoli, prevedeva un forte controllo del governo centrale sugli enti locali: comuni e provinceI prefetti e sindaci erano nominati dal governo, i prefetti erano quasi tutti piemontesi. (modello della Francia napoleonica) lo Stato decentrato, sostenuto da Minghetti, lasciava ampia libertà amministrative e giudiziarie agli enti locali. Prevedeva una forma di autogoverno per le regioni. (modello della Gran Bretagna) Fu scelto l'accentramento per paura che le forti spinte repubblicane rendessero difficile il governo dello Stato appena costituito e ancora debole. Il centralismo e l'estensione del modello piemontese al resto della penisola indicavano come l'Italia fosse considerata un'estensione del Regno di Sardegna. La Destra storica fu perciò accusata di PIEMONTESISMO: lo Statuto Albertino e tutta la legislazione piemontese (compresa la legge elettorale*) furono estese al nuovo Regno così come la moneta (lira); il sovrano mantenne il nome di Vittorio Emanuele II anzichè iniziare una nuova numerazione. Fu imposta la leva obbligatoria. Tra i problemi che la Destra dovette affrontare c'era anche quello dell'ISTRUZIONE. In tasso di analfabetismo era molto elevato, soprattutto al Sud (Sardegna picchi di 90%); la Destra approvò la Legge Casati (1859) che prevedeva l'obbligo d'istruzione per due anni, nonostante ciò gli interventi dello Stato in questo settore furono insufficienti e inefficaci e la questione dell'analfabetismo rimase a lungo una grave piaga sociale. * requisiti per votare: essere di sesso maschile – avere 25 anni di età – saper leggere e scrivere – pagare almeno 40 lire di imposte all'anno Il brigantaggio (Campania. Lucania, Puglia) Anche la rivolta sociale, esplosa nel Mezzogiorno dopo l'unificazione, aveva spinto il governo verso l'accentramento. Le masse popolari avevano sperato in un cambiamento non solo politico, ma anche sociale, ma erano state deluse (Spedizione dei Mille – Garibaldi – Nino Bixio/Bronte estraneità delle masse dal Risorgimento). La QUESTIONE MERIDIONALE, scaturita dalla necessità di garantire accesso alla proprietà ai contadini (QUESTIONE TERRA), con l'imposizione di nuove tasse e del servizio militare causò lo scoppio della rivolta. Molte bande di "briganti", sobillati dal clero (che auspicava un ritorno dei Borboni) e appoggiati dallo Stato pontificio, iniziarono una guerriglia contro lo Stato percepito come nemico. Obiettivi principali degli attacchi furono quindi: le carceri e gli archivi comunali, per distruggere i registri di leva e quelli fiscali; i proprietari terrieri ei latifondisti, per saccheggiarne le fattorie. Dopo ogni attacco i briganti cercavano rifugio sulle montagne. La Destra reagì duramente, in un'ottica esclusivamente repressiva, inviando l'esercito a sedare le rivolte, senza cosiderare i problemi sociali che le avevano determinate. La rivoltà si tramutò in una vera e propria guerra (1861-1865) che costò migliaia di morti fra briganti, militari e civili e impose allo Stato uno sforzo pesantissimo: in certi momenti della repressione furono, infatti, impegnati anche 120 000 uomini. L'incomprensione dei problemi del sud da parte del nuovo Stato italiano alimentò il diffondersi di fenomeni di malavita organizzata (come la camorra e la mafia, già esistenti) che ancora oggi devastano il Paese. Politica economica e finanziaria: libero scambio e pareggio del bilancio L'Italia era: uno Stato arretrato: povertà diffusa, soprattutto nelle campagne, fame, malattie, ignoranza, mortalità infantile, reddito pro-capite bassissimo, mancanza di infrastrutture, insufficienza della rete ferroviaria... il bilancio era in deficit a causa delle guerre d'indipendenza, che avevano determinato un enorme debito pubblico. Per risolvere questi problemi la Destra storica: avviò una politica liberista, favorendo il libero scambio sia all'interno del Paese sia verso l'esterno, ma l'eliminazione di tutte le barriere protezionistiche pregiudicò il destino delle manifatture meridionali; ricercò il pareggio del bilancio (soprattutto su indicazione del ministro delle finanze Quintino Sella) per dare credibilità all'Italia nell'ambito della comunità finanziaria internazionale e attirare capitali stranieri, i quali avrebbero favorito l'accelerazione lo sviluppo economico. A questo scopo vennero venduti terreni ecclesiastici e del demanio pubblico. Ma soprattutto vennero introdotte pesanti imposte, in particolare indirette come l'IMPOSTA SUL MACINATO (1868) "odiatissima" dagli Italiani. Politica estera: completamento dell'unità Veneto, Trentino, Friuli Venezia Giulia, Lazio e soprattutto Roma non facevano ancora parte del Regno d'Italia. Mentre mazziniani e garibaldini sollecitavano la conquista armata di Roma, la Destra storica era contraria: temeva la reazione della Francia di Napoleone III, cattolica e schierata col papa. Si cercò allora una soluzione per via diplomatica: con la CONVENZIONE DI SETTEMBRE (1864) l'Italia s'impegnò a difendere lo Stato Pontificio in cambio del graduale ritiro delle truppe francesi da Roma. La capitale venne spostata da Torino a Firenze come segno di rinuncia a Roma. Ma, nel dicembre del 1864, Pio IX pubblicò un'enciclica – Quanta cura – che conteneva anche Il Sillabo: un atto di denuncia contro il comunismo, il liberismo, l'ateismo... costituito da un elenco di "errori", quali la libertà di stampa o di coscienza, condannati perchè contro la dottrina cristiana (80 proposizioni). Oltre a difendere con forza la legittimità del potere temporale, quindi, la Chiesa attaccava e criticava tutte quelle forme di libertà che il pensiero liberale del tempo prevedeva fossero riconosciute dallo Stato. Anzichè sanarsi l'attrito Regno d'Italia/Stato della Chiesa si intensificava aprendo quella che, dopo la presa di Roma, sarà denominata QUESTIONE ROMANA. Nel 1866 l'Italia affiancò la Prussia di Guglielmo I, guidata dal "cancelliere di ferro" Otto van Bismarck, nella guerra contro l'Austria. La terza guerra d'indipendenza, nonostante le sconfitte italiane a Custoza e Lissa (importante battaglia navale) venne vinta dagli italo-tedeschi grazie alla vittoria prussiana a Sadowa. Con la pace di Vienna l'Italia ottenne il Veneto. Dopo il tragico episodio, precedente alla Convenzione di settembre, in cui sull'Aspromonte, le truppe garibaldine in marcia verso Roma, erano state fermate dall'esercito italiano (1862), i mazziniani e i garibaldini si riorganizzarono per liberare Roma. Garibaldi, penetrato con tremila volontari nello Stato Pontificio, si scontrò con i Francesi a Mentana e fu sconfitto. Fu, solo, grazie alla caduta del Secondo Impero francese seguita alla sconfitta di Napoleone III a Sedan (guerra franco-prussiana) che l'esercito italiano potè entrare in Roma. Essa venne annessa al regno d'Italia il 20 settembre 1870 (Breccia di Porta Pia). Il pontefice, Pio IX, respinse la LEGGE DELLE "GUARENTIGIE" (le garanzie offertegli dallo Stato italiano, come l'extraterritorialità del Vaticano o un'indennità in cambio dei territori sottratti) e si dichiarò "prigioniero in Vaticano", successivamente, nel 1874, con il non expedit ("non conviene", "non è oppurtuno") vietò ai cattolici di partecipare alla vita politica italiana, aprendo una profonda frattura tra il mondo cattolico e quello laico (QUESTIONE ROMANA) che verrà sanata solo nel 1929 con la firma dei Patti Lateranensi, nonostante un primo passo compiuto da Leone XIII con l'enciclica Rerum Novarum (1891) che autorizzò i cattolici alla partecipazione alla vita sociale. LA SINISTRA STORICA AL POTERE (Depretis, Crispi, Giolitti, Di Rudinì, Zanardelli) Dalla Destra alla Sinistra storica La Destra storica aveva scongiurato il fallimento economico e dato credibilità internazionale all'Italia, ma la politica aveva dei grossi limiti: non aveva compreso l'esigenza di riforme; il libero scambio aveva messo in crisi l'economia meridionale ed esposto la nascente industria italiana alla concorrenza straniera. La Destra, sempre più divisa al suo interno, nel 1866 perse l'appoggio della maggioranza. Le nuove elezioni furono vinte dalla Sinistra storica, che avrebbe governato fino al 1896. La Sinistra, guidata da Agostino Depretis, aveva attenuato la sua tendenza democratica, ma rimaneva promotrice di riforme: l'obbligo scolastico fu innalzato fini ai nove anni d'età (Legge Coppino) si cercò una politica fiscale meno oppressiva, nel 1980 fu eliminata l'imposta sul macinato, ma ciò fece lievitare la spesa publica e ricomparire il deficit del bilancio; nel 1882 una riforma elettorale allargò il diritto di voto abbassando censo ed età*; la base elettorale passò dal 2,2% al 6,9%. * requisiti per votare: essere di sesso maschile – avere 21 anni di età – saper leggere e scrivere – pagare almeno 20 lire di imposte all'anno La politica parlamentare La Sinistra vinse le elezioni nell''82, ma la Destra ottenne un buon risultato elettorale. Depretis allora si rivolse ai deputati della Destra invitandoli ad entrare nella maggioranza. Questo fenomeno fu detto TRASFORMISMO. Con il trasformismo si creò una forte maggioranza di centro. Inoltre, vennero isolate la destra conservatrice e la sinistra estrema. Così facendo però si finì col favorire la corruzione e il clientelismo: a seconda della legge d'approvare si costituivano maggioranze diverse con scambi di favore tra Governo e parlamentari. La politica economica Negli anni Ottanta l'agricoltura (che era ancora il settore prevalente) e l'industria entrarono in crisi. Nel 1887 il Governo, spinto da blocchi di agrari e industriali, abbandonò la politica libero-scambista e adottò alte tariffe doganali (nuova politica doganale) per proteggere la produzione nazionale dalla concorrenza straniera. Gli effetti del PROTEZIONISMO furono positivi, sulla produzione industriale: nascono industrie chimiche (Pirelli), metalmeccaniche (Breda), acciaierie (Terni) e centrali elettriche; ma danneggiarono l'agricoltura del sud, colpita dalle ritorsioni degli altri Paesi. Inoltre, si verificò un generale aumento dei prezzi che causò il peggioramento delle condizioni di vita delle masse popolari, con conseguente crescita dei conflitti sociali e dell'emigrazione. La politica estera Nel 1882 l'Italia uscì dall'isolamento internazionale e si alleò a Germania e Austria costituendo la TRIPLICE ALLEANZA, un accordo militare difensivo. Questa alleanza: suscitò le proteste degli IRREDENTISTI coloro che lottavano per la liberazione delle terre ancora in mano austriaca (Trentino, Friuli Venezia Giulia), in quanto l'Italia, firmando l'alleanza, rinunciava implicitamente ad esse; fu economicamente vantaggiosa: in quanto l'afflusso di capitali tedeschi permise il finanziamento dell'industria italiana. Contemporaneamente prendeva il via l'avventura coloniale nel Corno d'Africa (Eritrea, Somalia ed Etiopia-Abissinia), ma il tentativo di conquistare l'Etiopia fallì con la grave sconfitta di Dogali (Eritrea 1887) dove 7 000 Abissini massacrarono un reparto italiano di 500 uomini. L'avventura coloniale iniziava con una grave sconfitta. Lo Stato forte di Francesco Crispi Nel 1887, alla morte di De Pretis, il re affidò il compito di formare il nuovo governo a Francesco Crispi (primo ministro meridionale), egli rimase in carica dal 1887 al 1896 (con l'eccezione del biennio 1891-93). Mazziniano e democratico in gioventù, dopo l'unità era passato nelle file dei monarchici. Sostenitore della necessità di uno stato forte, su modello di quello di Bismarck, col consenso del sovrano Umberto I assunse su di sè contemporaneamente le cariche di presidente del Consiglio, ministro degli Esteri e degli Interni ottenendo così un grandissimo potere. Avviò una politica autoritaria; l'apparato amministrativo venne riformato in senso centralista; la politica filo-tedesca e anti-francese portò alla "guerra doganale" contro la Francia che danneggiò soprattutto l'economia del sud in quanto la Francia era il principale acquirente dei prodotti del Mezzogiorno; ci furono anche aperture progressiste: venne prumulgato un nuovo codice penale (CODICE ZANARDELLI) che prevedeva, tra l'altro, l'abolizione della pena di morte e venne riconosciuta una limitata libertà di sciopero, ma contemporaneamente vennero ristretti i diritti sindacali, di associazione e di sciopero mentre vennero accresciuti i poteri della polizia. Il primo governo Giolitti Crispi cercò di rilanciare la politica coloniale ma la maggioranza, data la crisi economica, era preoccupata dei costi dell'operazione. Così nel 1891 Crispi si dimise. La presidenza del Consiglio passò prima a Di Rudinì poi a Giovanni Giolitti, che dovette affrontare il moto popolare dei FASCI SICILIANI, aggregazione eterogenea di lavoratori, d'ispirazione democratica e socialista, che protestavano contro le pesanti tasse e contro i latifondisti. Giolitti, accusato di debolezza per non aver adottato metodi repressivi nella gestione dei moti e di aver coperto lo scandalo della Banca Romana, alla fine del 1893 si dimise. Il ritorno di Crispi Tornato al potere, Crispi: represse duramente la protesta dei fasci, dichiarando lo Stato d'assedio e sciogliendo il partito socialista che sosteneva il movimento popolare; promulgò leggi antianarchiche; rilanciò la politica coloniale attraverso una falsa propaganda che mostrava il Corno d'Africa come una terra fertile e ricca di materie prime nella quale indirizzare gli emigranti. Crispi puntò, nuovamente, alla conquista dell'Etiopia, ma nel 1896 gli Italiani furono sconfitti presso Adua (16 000 Italiani contro 70 000 Abissini). Travolto dalle critiche Crispi si dimise. Terminava l'età della Sinistra storica e si apriva un periodo di crisi politicoistituzionale. La crisi di fine secolo La fine del secolo fu caratterizzata da un periodo di crisi dovuto: 1. al fallimento della politica coloniale (crisi politica) autoritarismo descreti legislativi lesivi delle libertà costituzionali 2. alla diffusione della povertà (crisi economica) difficoltà economiche: industriali investono all'estero esportazioni aumentano i disoccupati anarchici e socialisti "denunciano" il capitalismo 1. Il nuovo presidente del Consiglio, Di Rudinì, concluse col negus Menelik (imperatore d'Etiopia) il trattato di Addis Abeba con cui l'Italia rinunciava alle pretese sull'Etiopia (che verrà in seguito conquistata da Mussolini nel 1936) e limitava il suo dominio all'Eritrea e alla Somalia. 2. Nel 1898 una grave crisi economica colpì l'Italia. A causa dell'improvviso aumento del prezzo del pane, dovuto al cattivo raccolto e al blocco delle importazioni dagli Stati Uniti in guerra con Cuba, ci fu un'ondata di proteste e a Milano il generale Bava Beccaris (poi decorato da Umberto I) ordinò di cannoneggiare la folla causando una strage. Molti dirigenti socialisti vennero arrestati, la libertà di stampa fu limitata. Data la situazione, Di Rudinì si dimise e fu sostituito dal generale Pelloux, il quale inendeva proseguire con la linea repressiva. L'ostruzionismo dell'estrema sinistra lo costrinse però a sciogliere le camere e a indire nuove elezioni, che videro avanzare i socialisti (nel 1892 era nato il partito socialista dei lavoratori italiani che con Antonio Labriola e Filippo Turali diventò il Partito socialista italiano) Il 29 luglio 1900 l'anarchico Antonio Bresci uccise a Monza, davanti a Villa Reale, uccise Umberto I. Il nuovo re, Vittorio Emanuele III, affidò il governo a Zanardelli esponente della sinistra costituzionale progressista. Giovanni Giolitti divenne ministro degli Interni. Iniziava così l' ETÀ GIOLITTIANA.