La prima volta che vidi il cincillà

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La prima volta che vidi il cincillà
La prima volta che vidi i cincillà, ebbi la sensazione che, forse, i raccapriccianti
pronostici di un futuro popolato di mostri, avevano, a differenza di molti altri
pronostici, un qualche fondamento, poiché l'impressione che ne ebbi - nonostante io
sia uno che ama le bestie e non teme le sorprese - fu davvero notevole.
Non che la bestiolina in questione sia proprio brutta, pur non essendo propriamente
bella, né che abbia una qualche particolarità singolarmente raccapricciante, o mai
veduta prima, no, è solo che non so che mi prese a vedermeli davanti, così
all'improvviso, che mi sfuggì un'espressione così poco solita per me, in special modo
per interrogar le bestie: E tu, che roba sei?
Il fatto è che il cincillà, non solamente quello che mi trovavo davanti ma tutti i
cincillà, ora lo so, in realtà ha un aspetto così familiare, che sa tanto di già visto,
anche quando non lo si è mai veduto prima, sembra che esso sia presente addirittura
nella nostra memoria storica, che la sua idea, non quella del cincillà che forse non ne
concepisce molte, ma quella che noi abbiamo di lui sia una di quelle idee connaturate
all'uomo che tanto hanno fatto arrovellare i filosofi, i quali le chiamavano innate o a
priori e su di esse hanno fondato scuole, formato i discepoli e versato fiumi
d'inchiostro.
Per chi ancora non lo sapesse, ed io ero uno di quelli, il cincillà è tale quale un sorcio.
Uguale è il colore, uguale l'aspetto ingobbito, uguale il muso appuntito e in perenne
moto rosicatorio, uguali gli occhietti a capocchia di spillo, neri e dallo sguardo
sfuggente, uguali le zampette sottili ed elastiche, fitte di unghiette, uguali solo un po'
ingigantite le orecchie, che a pensarci bene furono la maggior causa del mio stupore.
Insomma, pensai a una specie degenerata di topi. Invece venni a sapere che si trattava,
nientemeno, dell'elegante sontuoso cincillà.
Un topo? Le donne hanno sognato e sognano, di coprirsi di pelle di topo? Passi per
l'ermellino, passi pure per il visone, ( povere bestiole, il diavolo si porti le anime di
quelli che li spelacchiano ) ma un topo! Un topo deforme, per giunta, che pare uscito
da un bestiario del medio evo.
E che si fa con i cincillà? Perché li avete in gabbia? - chiesi alla moglie del rivenditore
che mi guardava come si guardano gli imbecilli.
Si fa l'allevamento - rispose come se si trattasse della cosa più naturale di questo
mondo, e tutti si dedicassero ad allevare topi deformi allo stesso modo che ci si corica
la sera e ci si alza la mattina.
L'allevamento? Una mandria di cincillà, un gregge, un branco di simil - ratti che
avanza e si riproduce senza sosta? Sotto i propri occhi?
Chiusi a brancolar nelle gabbie chissà quanto, in attesa di salire, ormai istupiditi, il
calvario dello scotennamento? Chissà perché.
Non fa per me. No certo. Vorrei vedere in faccia l'anima persa che se li piglierà.
Ma non la vidi. I due cincillà, o simil - topi che dir si voglia, passarono l'inverno nella
loro stia, come polli scordati in una stiva, polli falliti ma vivi.
Non so se ne fossero contenti, d'esser lì di non esser stati comprati di non esser stati
ancora scuoiati di passare addirittura inosservati, ma io sì.
Tanto, meglio di così non poteva andare. Davvero non avrei saputo pensare a una
sorte migliore di quella, per loro, visto che ormai si trovavano in gabbia.
Non sapevo nulla e non so nulla delle loro abitudini, di quale sia il loro ambiente
naturale, niente di niente del tipo di vita che la natura ha loro assegnata.
So solo che allo splendore dei primi giorni succedette una sorta di appannamento, che
sostituì la vivacità con l'apatia, la curiosità con l'indifferenza, l'energia con la fiacca.
Mi chiedo se sono bestie che usano andare in letargo, ma non lo credo possibile visto
che non ne mostrano i segni. Al più se ne stanno accovacciati uno sull'altro, non si sa
se per freddo, solitudine o noia. E chi può sapere ciò che passa nella testa di una
bestia? Una bestia in gabbia, poi.
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