“ EUCARESTIA: DONO DELLA TRINITA’ “ LEZIONE ALLA SETTIMANA LANTERIANA Rocca di Papa -Mondo Migliore-, 25/08/2005 Introduzione E’ con trepidazione e al tempo stesso con gioia che mi accingo a trattare il tema “Eucaristia: dono della Trinità” che Padre Carlo Rossi, Provinciale degli Oblati di Maria Vergine, e prima ancora, amico di vecchia data, mi ha invitato ad approfondire in questa Settimana Lanteriana, mentre ormai l’anno dell’Eucaristia voluto da Papa Giovanni Paolo II sta volgendo verso la sua conclusione in coincidenza con la celebrazione della XI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, in cui si tratterà dell’Eucaristia come “fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa”. Ho accettato di svolgere il tema “Eucaristia: dono della Trinità” proprio perché pur avendo tante volte riflettuto sull’Eucaristia, non vi avevo mai posto una particolare attenzione da questo versante, che a prima vista sembrerebbe non particolarmente centrato sul mistero eucaristico stesso; ciò poteva quindi costituire per me, una occasione preziosa per tuffarmi e per aiutare altri a tuffarsi nel mistero dell’amore del Dio trinitario, che da sempre ci è venuto incontro per primo e che al culmine della “pienezza dei tempi”ci dimostra ancora una volta la grandezza del suo amore quando “prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”(Gv 13,1), cioè fino alla pienezza dell’amore e in modo tale da non porre alcun termine temporale a questo stesso amore, cioè per sempre, scegliendo, come ben sappiamo di rimanere in mezzo a noi, fino alla consumazione del mondo, nel grande mistero dell’Eucaristia. Volendo impostare una riflessione che facesse riferimento e tenesse conto delle abbondanti riflessioni che ci sono state offerte dal Magistero ecclesiale in rapporto con l’anno dell’Eucaristia, da una ricognizione su questi testi, ho dovuto però costatare che il rapporto tra Trinità ed Eucaristia non è entrato nella trattazione magisteriale se non attraverso qualche cenno. La lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia Nella lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia, nel capitolo IV dedicato a “L’Eucaristia e la comunione ecclesiale” si dice che “L’Eucaristia appare dunque come culmine di tutti Sacramenti nel portare a perfezione la comunione con Dio Padre mediante l’identificazione col Figlio Unigenito per opera dello Spirito Santo”(34), specificando che “la celebrazione dell’Eucaristia, però, non può essere il punto di avvio della comunione, che presuppone come esistente, per consolidarla e portarla a perfezione. Il sacramento esprime tale vincolo di comunione sia nella dimensione invisibile che, in Cristo, per l’azione dello Spirito Santo, ci lega al Padre e tra noi, sia nella dimensione visibile implicante la comunione nella dottrina degli apostoli, nei sacramenti e nell’ordine gerarchico”(35). In effetti, si parla sì di rapporto tra Eucaristia e Trinità, ma non in quanto l’Eucaristia è dono della Trinità, ma semmai in quanto porta a vivere e sperimentare la pienezza della vita trinitaria in noi. Cioè siamo, in qualche modo, alle conseguenze, più che alle premesse, di questo rapporto. La stessa cosa la ritroviamo pure al n° 17, quando il Papa scrive che “attraverso la comunione al suo corpo e al suo sangue, Cristo ci comunica anche il suo Spirito”. E si riporta a questo proposito una citazione da S.Efrem: “Chiamò il pane suo corpo vivente, lo riempì di se stesso e del suo Spirito. (…) E colui che lo mangia con fede, mangia Fuoco e Spirito. (…) Prendetene, mangiatene tutti, e mangiate con esso lo Spirito Santo. Infatti è veramente il mio corpo e colui che lo mangia vivrà eternamente”. Continua il Papa: “La chiesa chiede questo Dono divino, radice di ogni altro dono, nella epiclesi eucaristica. Si legge ad esempio, nella Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo: “T’invochiamo, ti preghiamo e ti supplichiamo: manda il tuo Santo Spirito sopra di noi tutti e su questi doni (…) affinché a coloro che ne partecipano siano purificazione dell’anima, remissione dei peccati, comunicazione dello Spirito Santo”. E nel Messale Romano il celebrante implora: “A noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio dona la pienezza dello Spirito Santo, perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito”. Così con il dono del suo corpo e del suo sangue, Cristo accresce in noi il dono del suo Spirito, effuso già nel Battesimo e dato come “sigillo” nel sacramento della Confermazione”. Ma, ancora una volta, l’attenzione è posta sugli effetti che il dono dell’Eucaristia opera nel cristiano in relazione alla Trinità, e non sull’Eucaristia in sé come Dono che viene dall’alto. Una indicazione per la nostra riflessione mi è stata offerta dall’Istrumentum laboris per l’XI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, quando nella Introduzione si dice che per favorire il lavoro dei Vescovi chiamati al Sinodo si propone di verificare “se la legge della preghiera corrisponde alla legge della fede”, ovvero che è necessario “chiedersi che cosa creda e come viva il popolo di Dio perché l’Eucaristia possa essere sempre più la fonte e il culmine della vita della Chiesa e di ciascun fedele mediante la liturgia, la spiritualità, la catechesi negli ambiti culturali, sociali e politici”(2). Se la “legge del credere stabilisce la legge del pregare” (lex credendi legem statuam orandi), è anche vero che “la legge del pregare manifesta pure la legge del credere” in uno scambio reciproco intimo e indissolubile. Prendere allora in considerazione i testi liturgici, può essere una strada maestra per risalire, attraverso questi, a quella che è la fede della Chiesa, in modo tale che pregare celebrando i misteri della nostra salvezza non può che illuminare i contenuti stessi della nostra fede, come una consapevolezza più viva e profonda del nostro credere porta a celebrare la liturgia con quella disponibilità interiore che ci permette di renderci davvero conto e di accogliere il dono di Dio senza remore ed ostacoli. Considerato tutto ciò ho scelto di prendere come guida per la nostra riflessione una delle preghiere eucaristiche, la Quarta, che potrà permetterci di cogliere in piena luce come l’Eucaristia sia davvero il grande dono della Trinità divina quale “risposta ai segni dei tempi della cultura contemporanea” come dice l’Instrumentum laboris per il Sinodo, perché:” Alla cultura della morte l’Eucaristia risponde con la cultura della vita. Contro l’egoismo individuale e sociale l’Eucaristia afferma la donazione totale . All’odio e al terrorismo l’Eucaristia contrappone l’amore. Davanti al positivismo scientifico l’Eucaristia proclama il mistero. Opponendosi alla disperazione l’Eucaristia insegna la speranza certa della eternità beata”(IL10 ). Per una lettura trinitaria della IV Preghiera Eucaristica “Il più teologico di tutto il messale”( E.Mazza), il testo della IV Preghiera eucaristica, che qualcuno definisce “fatta di getto”(Divo Barsotti) ci spalanca non solo la storia della salvezza nel suo complesso e grandioso sviluppo, ma spinge lo sguardo della nostra fede sul mistero stesso di Dio Trinità. “Padre Santo”: in apertura abbiamo la proclamazione del nome di Dio che viene chiamato Padre Santo, appellativo che viene ripetuto quattro volte in tutta l’anafora: si tratta della proclamazione dell’essenza stessa di Dio: la santità non è un attributo tra gli altri che possiamo rivolgere a Dio. In Gv 17,11, Gesù si rivolge al Padre chiamandolo Santo: “Padre santo, custodisci nel tuo amore coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola come noi”. Essere conservati nel Nome del Padre o essere santificati nella verità, significa essere conservati nella vita filiale, nella comunione con il Padre grazie alla comunione con Cristo. Questa invocazione va dunque intesa come proclamazione dello stato filiale dei credenti e quindi proclamazione dell’evento di salvezza che si è compiuto una volta per tutte nella storia, ma che sempre di nuovo si attualizza permettendo ai credenti di vivere lo stato filiale rivelato in Cristo. Tale appellativo scandito appunto per ben quattro volte nella narrazione dei Mirabilia Dei, fa sì che il racconto dei grandi avvenimenti della salvezza non sia una semplice enumerazione storica di fatti avvenuti nel passato, bensì diventi proclamazione e profezia di salvezza sempre in atto. Con la proclamazione di Dio Padre Santo inizia pure un itinerario di contemplazione di Dio su tre attributi: “unico, vivo e vero” che esprimono il mistero del Dio unico che è “prima del tempo e in eterno, nel suo regno di luce infinita”. E questa luce infinita che è Dio stesso, al cui splendore si allietano tutte le creature, è la stessa luce di Colui che è “luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato della stessa sostanza del Padre”; una luce che però non splende soltanto nell’eternità divina, ma che oltrepassa l’eternità, per risplendere nel tempo, perché l’uomo, grazie allo splendore della luce vera che viene ed è venuta nel mondo, possa “vedere la luce”. E la luce divina che risplende nel tempo è Cristo “il sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace”(Lc 1,79). C’è dunque un orizzonte quanto mai ampio che si spalanca di fronte a Dio Padre Santo: è l’orizzonte che parte dal mistero della eternità divina e che si fa storia in cui l’amore eterno che è Dio stesso si ”effonde” come vita che si comunica e si dona e che nella rivelazione dello Spirito d’amore, “che è Signore e dà la vita”si manifesta come Colui che permette all’uomo di rivolgersi al suo Dio ad una sola voce con gli angeli e i santi del cielo nell’inno della lode. E’ nello Spirito che possiamo dire che Gesù è Signore, e cioè proclamare la nostra fede in Cristo nostra salvezza; ed è sempre nello Spirito che possiamo rivolgerci a Dio e chiamarlo “Abbà-Padre”. Già dunque nel testo del prefazio si adombra il mistero di una vita, quella divina, che è unica, ma non solitaria, perché comunione d’amore tra le tre divine Persone; un mistero di comunione che, come vedremo, non rimane chiuso in se stesso, ma “trabocca” al di fuori di sé verso quell’uomo che nella sua stessa struttura creaturale è immagine e somiglianza di Dio stesso e quindi del suo mistero di comunione e d’amore. E l’uomo, ogni uomo redento da Cristo, fatto voce del creato e di ogni creatura, riecheggia sulle labbra del celebrante che innalza al Padre Santo la lode della Chiesa: “Noi ti lodiamo per la tua grandezza: tu hai fatto ogni cosa con sapienza e amore”. Oggetto della lode è la grandezza di Dio che si esprime nella sua azione creatrice sapiente e frutto d’amore che ha la sua massima espressione nell’uomo formato a immagine di Dio stesso alle cui mani operose il Creatore ha affidato l’universo perché lo custodisse, come collaboratore di Dio e partecipe della sua signoria su tutto il creato. In questa visione, niente è estraneo all’uomo, come nulla è estraneo a Dio: ciò che è di Dio, e tutto è di Dio, Dio lo ha affidato all’uomo; tutto ciò che è uscito dalla sapienza e dall’amore di Dio porta in sé i segni di questa sapienza e di questo amore; l’uomo stesso è al vertice della creazione, chiamato a manifestare la signoria stessa di Dio su ciò che esiste. Una visione ampia, gioiosa, aperta e che già in qualche modo prelude e aiuta a considerare i beni della terra, e fra questi il pane e il vino, “frutto della terra e della vite e del lavoro dell’uomo” come i segni per eccellenza di tutto ciò che donatoci da Dio, a Lui, in qualche modo ritorna, mediante l’uomo, arricchito della fatica, del sudore, delle difficoltà, delle gioie e della vita stessa dell’uomo, come materia prima, perché, trasformata nel mistero dell’Eucaristia, ritorni all’uomo come “cibo di vita eterna e bevanda di salvezza”. In questa visione ampia come l’intero universo creato, entra anche il mistero dell’iniquità, il peccato, il male e la morte. E tutto ciò per la disobbedienza a causa della quale l’uomo perse la propria amicizia con Dio. Può sembrare riduttivo l’uso del termine “amicizia” nel rapporto tra Dio e l’uomo: l’amicizia è qualcosa che si instaura tra “uguali”; ed invece, tra Dio e l’uomo c’è una distanza infinita. In realtà, in questa visione che ci riporta alle origini, non può non venire in mente Dio che passeggia nel giardino alla brezza del giorno (Gen 3,8) in una condiscendente e intima vicinanza con l’uomo; un Dio che, poi, dopo la disobbedienza dei progenitori, non li abbandona in potere della morte, bensì continua a venire incontro a tutti perché da coloro che lo cercano possa essere incontrato. Ciò che viene messa in evidenza è la fedeltà di Dio; una fedeltà a tutta prova che si dipana nella storia d’ Israele sempre di nuovo amato nonostante tutte le sue infedeltà; al quale Dio invia i profeti, l’uno dopo l’altro, perché l’alleanza e le promesse sono irrevocabili e sempre di nuovo riaffermate da parte di Dio in vista di quella “pienezza dei tempi” in cui il Verbo si sarebbe fatto carne per venire ad abitare in mezzo a noi. In questo senso non possono non riecheggiare ad esempio le parole di Osea: “In quel tempo farò per loro un’alleanza con le bestie della terra e gli uccelli del cielo e con i rettili del suolo (…) Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore, ti fidanzerò a me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore. E avverrà in quel giorno –oracolo del Signore – io risponderò al cielo ed esso risponderà alla terra ( …) amerò Non-amata e a Non-mio-popolo dirò: Popolo mio, ed egli mi dirà: Mio Dio (Os 2,20-25). Ci sarà dunque come una “nuova creazione”, un nuovo ordine, in cui ogni opposizione si comporrà in armonia: tra le cose visibili e quelle invisibili, tra le realtà materiali e quelle spirituali; tra ciò che è temporale e ciò che è eterno: una nuova alleanza tra Dio e l’uomo, tra l’uomo e l’altro uomo, tra l’uomo e le cose, così che tutto riacquisti il suo splendore e la propria capacità di manifestare i segni dello stesso Creatore. E tutto ciò sarà frutto della fedeltà di Dio a se stesso e all’uomo. Punto di arrivo di questo itinerario di salvezza è “la pienezza dei tempi”: è il Padre, il Santo, che manda il suo unico Figlio come salvatore. Dio ha tanto amato il mondo che questo amore ha la sua manifestazione più alta e definitiva nell’opera redentrice del Verbo incarnato il quale prende per sé tutto ciò che è nostro, “in tutto simile a noi fuorché nel peccato”: incarnazione, divina maternità di Maria, nascita, missione, annuncio del lieto messaggio della salvezza ai poveri, della libertà ai prigionieri e della gioia per gli afflitti, ci conducono come per mano attraverso la vicenda umana del Figlio di Dio fattosi uomo e con poche pennellate viene dipinto l’intero itinerario evangelico che culmina nel mistero pasquale e che si estende al tempo della Chiesa attraverso l’invio dello Spirito Santo nella Pentecoste “a perfezionare l’opera di Cristo nel mondo e compiere ogni santificazione”. Davvero è la Trinità che è all’opera nella storia della salvezza; è alla Trinità che ci si deve riferire in questa successione di avvenimenti tra loro strettamente compaginati che sono la creazione, la redenzione e la santificazione dell’uomo, dove le tre divine Persone sono all’opera in un’unica volontà di salvezza e in un’unica azione di amore anche se i singoli momenti di questa divina avventura sono attribuiti in particolare al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. E dopo aver contemplato l’azione creatrice del Padre, l’incarnazione e l’intera vita del Redentore fino alla sua Pasqua e il dono dello Spirito Santo, l’anafora si rivolge al Padre perché “lo Spirito Santo santifichi questi doni perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo Signore nella celebrazione di questo grande mistero che ci ha lasciato in segno di eterna alleanza”. Il Padre è sempre e comunque la fonte di tutto: è a Lui che ci si rivolge nella preghiera; è lo Spirito Santo che compie ogni santificazione perché pane e vino diventino il corpo e il sangue di Cristo Signore. L’anafora dice che è Gesù a mandare lo Spirito del Padre; Lo Spirito è parte in causa nell’opera di salvezza: portandola a compimento, opera ogni santificazione; lo Spirito attualizza la Parola e così rende presente Gesù nella comunità; per cui il Santificatore è primizia di ogni dono ai credenti e la sua venuta è assicurata e garantita come frutto di ogni preghiera. E la designazione dello Spirito come santificatore fa sorgere immediatamente la preghiera affinché egli venga mandato sui santi doni per santificarli. Tutto questo non solo come ricordo di avvenimenti antichi e lontani nel tempo, ma “nella celebrazione di questo grande mistero”, affidatoci, meglio, donatoci da Cristo “in segno di eterna alleanza”. Celebrazione, segno, alleanza: tre termini che meritano attenzione e che ci dicono in che modo si realizza per noi il dono dell’Eucaristia. Il rito liturgico non è mai soltanto fredda esecuzione di gesti e di formule sempre uguali a se stessi e che nello scorrere del tempo si ripetono monotonamente quasi a voler rincorrere qualcosa che non c’è più; si tratta bensì di una “celebrazione”, cioè di una azione sacra che attraverso il regime dei “segni” rende presente e sempre contemporaneo un avvenimento di salvezza che storicamente è ormai lontano nel tempo. Gesti e segni codificati nel rito, ma che nascono dalla volontà esplicita di Gesù che per primo ha “celebrato” e ha voluto che si celebrasse quell’evento di salvezza perché fosse reso perpetuo, per ogni uomo e in ogni tempo: il patto di alleanza sigillato dalla offerta di se stesso sull’altare della croce. In altre parole, si tratta della celebrazione di quel grande mistero che è appunto la nostra salvezza che il Signore Gesù ci ha conquistato attraverso la sua Pasqua di morte e di risurrezione, cioè in quella “glorificazione” di cui ci parla il Vangelo di Giovanni e che è il segno dell’amore del Padre per il Figlio nello Spirito e della Trinità santissima per ogni uomo. “Egli, venuta l’ora di essere glorificato da te, Padre santo, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine; e mentre cenava con loro, prese il pane e rese grazie, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli…”. Le parole dell’istituzione eucaristica vengono introdotte con le stesse parole con cui Giovanni introduce nel racconto dell’ultima Cena il gesto della lavanda dei piedi, quasi riecheggiando le parole di Gesù riportate da Luca: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi prima della mia passione”(22,15). Non si tratta di qualcosa che è avvenuto per caso, bensì della manifestazione della esplicita volontà d’amore di Gesù per il Padre e per ogni uomo, così come ciò che si svolge nel rito liturgico non è qualcosa che si distacca o si sovrappone in maniera impropria a ciò che ha fatto il Signore nella notte in cui fu tradito: il racconto dell’istituzione sarà sempre e soltanto quello il modello della nostra celebrazione perché essa abbia sempre a corrispondere ai contenuti, agli scopi e ai valori che emergono dall’istituzione di Cristo così che essa sia sempre il “mangiare la Cena del Signore”. In fondo, il celebrante, raccontando al Padre la norma istitutiva della nostra celebrazione, proclama la nostra obbedienza a tale norma e gli presenta la celebrazione stessa come fedeltà e sequela nei confronti di Cristo, cioè come opera di Cristo in noi. Attraverso la nostra fedeltà all’istituzione, è Cristo stesso che celebra la sua Cena nelle nostre comunità. E nella reiterazione della Cena di Gesù, che è la conclusione e sintesi di tutta la sua vita, noi, in qualche modo abbiamo il vertice e la sintesi di tutta l’opera della salvezza; il “punto” in cui converge l’intero percorso della storia della salvezza e da cui dipende la salvezza stessa del tempo prima di Cristo, del tempo del Cristo su questa terra e del tempo dopo Cristo fino alla consumazione dei secoli. Davvero la Cena del Signore è sempre di nuovo annuncio, profezia, simbolo di tutto il suo percorso di vita che comporta anche la sua venuta finale, quando tutto in Lui sarà ricapitolato e consegnato definitivamente al Padre. Il racconto dell’istituzione viene come incorniciato dalla esclamazione “Mistero della fede!”. Ciò che si è compiuto non è comprensibile se non nell’ottica della fede: è “mistero” di fede, cioè segno di una salvezza a cui si accede soltanto nella fede; è avvenimento a cui nella fede si prende parte realmente e personalmente: “Annunziamo la tua morte , Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”, non come qualcosa che è ormai irrimediabilmente consegnato al passato, ma come realtà perennemente presente, attuale, efficace, vera per la vita e la storia di ognuno. E l’anamnesi, cioè il “ricordo” degli avvenimenti della nostra redenzione è così presenza degli stessi, grazie alla celebrazione del “memoriale”, e mentre attendiamo la venuta del Signore nella gloria, offriamo al Padre “il suo corpo e il suo sangue, sacrificio a te gradito per la salvezza del mondo”. Ancora una volta è al Padre che si rivolge la nostra attenzione con l’offerta del sacrificio di Cristo; un sacrificio che ci coinvolge e nel quale siamo chiamati a realizzare il sacrificio di noi stessi: “Guarda con amore o Dio, la vittima che tu stesso hai preparato per la tua Chiesa; e a tutti coloro che mangeranno di quest’unico pane e berranno di quest’unico calice, concedi che riuniti in un solo corpo dallo Spirito Santo, diventino offerta viva in Cristo a lode della tua gloria”. Come lo Spirito è stato invocato per la santificazione del pane e del vino, cioè perché questi diventassero il corpo e il sangue di Cristo, ancora una volta lo Spirito Santo viene invocato perché attraverso la comunione al corpo e al sangue di Cristo, fatti una cosa sola, un solo corpo, proprio grazie alla comunione eucaristica, “diventino offerta viva in Cristo a lode della tua gloria”. A Cafarnao Gesù aveva esclamato: “Le parole che vi ho dette sono spirito e vita”(Gv 6,63); davvero “è lo Spirito che dà la vita”; è lo Spirito che agisce e trasforma il cuore e la vita dell’uomo; che unisce i tanti e i diversi e li rende una cosa sola, che fa della storia di ognuno, una storia di salvezza e che consente soprattutto di far sì che la vita di ognuno non sia soltanto il cammino di ricerca per una vita moralmente sana e autentica, bensì di una vita che sia essa stessa culto reso al Padre in Spirito e verità, attraverso un forte e profondo inserimento in Cristo, così che in noi viva Cristo come prolungamento e frutto del memoriale eucaristico. La preghiera eucaristica ha così il suo approdo nelle intercessioni. E’ ancora al Padre che ci si rivolge perché si ricordi “di tutti quelli per i quali noi ti offriamo questo sacrificio” della Chiesa e dei suoi ministri, dei vivi e dei defunti, facendo insieme memoria della Vergine Maria e dei Santi nella prospettiva di quel regno dove con tutte le creature “liberate dalla corruzione del peccato e della morte canteremo la tua gloria in Cristo nostro Signore”. Possiamo ben dire che alla fine della preghiera eucaristica si chiude quel cerchio che aveva preso il suo avvio con il prefazio: tutto viene e tende all’incontro con Dio nel suo regno; a quella gioia e a quella lode dove Dio sarà finalmente tutto in tutti e in cui si compirà ogni più vera e profonda aspirazione del cuore dell’uomo che ha nostalgia di Dio e non si acquieta finché non potrà vederlo “faccia a faccia così come Egli è” e godere perfettamente inebriato della sua luce d’amore. La Dossologia conclusiva e sintetica dell’anafora è insieme una ripresa dell’azione di grazie iniziale e una lode anticipata per l’esaudimento di ciò che è stato chiesto nell’anafora stessa e che, sappiamo, è già stato concesso. “Per Cristo, con Cristo e in Cristo” presente nell’Eucaristia come Agnello sacrificato e insieme come Risorto e Signore della storia “a te, Dio Padre onnipotente” fonte di ogni bene e di ogni benedizione “nell’unità dello Spirito Santo”, Santificatore, dal quale e grazie al quale non soltanto abbiamo la possibilità di ricevere il dono dell’Eucaristia, il sacrificio del corpo e del sangue del Signore Gesù, ma noi stessi possiamo diventare sacrificio spirituale gradito a Dio, “ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli”: onore e gloria nel tempo, in ogni tempo, come nell’eternità beata viene cantata senza fine dalle schiere degli angeli e dei santi. Ed è pure significativo che pronunciando queste parole il celebrante innalzi i “santi misteri” cioè le specie eucaristiche sul popolo di Dio come manifestazione visibile della misericordia e della fedeltà del Padre che ci ha voluto chiamare dalle tenebre alla luce, per amore gratuito, Lui che è benedetto nei secoli. Alcune osservazioni Al termine di questa rapida lettura della IV Preghiera Eucaristica, fatta più per accenni che con un vero e proprio approfondimento che esigerebbe capacità e tempi diversi, credo che appaia ben chiaro come tutto il mistero dell’Eucaristia graviti in realtà proprio intorno al mistero della Trinità divina. Davvero possiamo affermare che l’Eucaristia è dono della Trinità, perché in essa tutta la Trinità è all’opera, così come è all’opera in ogni realtà della rivelazione cristiana, nella storia della salvezza e nella vita stessa della Chiesa e di ogni credente in Cristo. La “lex orandi” ci ha davvero spalancato davanti agli occhi del cuore e della mente la “lex credendi” che insieme ci conduce a quella che è poi la “lex vivendi” : credere, pregare e vivere infatti sono aspetti profondamente concatenati e necessariamente comunicanti della nostra identità cristiana e che debbono andare di pari passo in quello che è il cammino della nostra sempre più profonda assimilazione a Cristo. A questo proposito ci possono essere di aiuto alcune osservazioni che riporto dall’Instrumentum laboris per il prossimo Sinodo dei Vescovi e che affido alla riflessione personale di ognuno. Lo sguardo che siamo chiamati a rivolgere all’Eucaristia come dono della Trinità è prima di tutto uno sguardo di fede. “Il Mistero della fede è Dio che si dona a noi, il Primo, l’Ultimo e il Vivente entrato nel tempo. Il Signore Gesù è veramente uomo e veramente Dio in mezzo a noi. Egli è il Figlio di Dio e il Figlio dell’uomo. (…) Il mistero del Verbo, il mistero del Padre e il mistero dell’uomo non rimangono come un enigma insolubile, ma trovano risposta in Gesù Cristo che è vero Dio e vero uomo. Egli facendosi veramente uno di noi ed essendo unito in certo modo ad ogni uomo, ha permesso a chiunque lo desideri di trovare la via che conduce al senso pieno dell’esistenza. Egli non si è estraniato dall’umano, ma ha portato a compimento la verità della creazione”(28). “Il fatto e il mistero dell’incarnazione e della morte e risurrezione di Gesù Cristo Signore, che consente all’uomo di partecipare alla vita divina, è presente nell’Eucaristia, pane di vita eterna, perché porta con sé la forza di vincere la morte. (…) L’Eucaristia annuncia la morte di Cristo, che nella sua drammaticità, tutti possono capire. Ma proclama pure la sua risurrezione, che richiede la fede e l’apertura ad accogliere Dio nella nostra esistenza. La fede è il nuovo stile di vita che nasce dall’Eucaristia”(29). Affermare questo significa proclamare la sostanziale unità di tutta la storia della salvezza, così come dell’azione salvifica di Dio: creazione, redenzione, santificazione e glorificazione dell’uomo sono opera dell’unico Dio Trinitario: c’è un unico disegno d’amore; un’unica volontà salvifica; un unico fine a cui è diretto l’uomo e tutta la sua storia. C’è una profonda e sostanziale unità di vita che siamo chiamati a sperimentare sempre più profondamente proprio grazie alla nostra stessa professione di fede; e proprio nell’Eucaristia, sintesi e vertice di tutta questa storia, abbiamo la possibilità di cogliere l’unità stessa del nostro essere, della nostra identità e del nostro vivere quotidiano, in cui nulla è estraneo se “noi siamo di Cristo, come Cristo è di Dio”. “L’amore, poi, attua e completa la fede. La fede cambia il cuore del credente, lo converte e lo apre all’amore. Fede e amore, insieme alla speranza fondano l’essere cristiano. L’Eucaristia è il sacramento dell’amore che apre l’uomo all’amore e gli fa trovare la sua origine e la sua ragion d’essere. Senza amore non c’è vita nello Spirito”(31): “avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine”, cioè fino alla pienezza, e questa pienezza, è ancora una volta l’Eucaristia, il sacramento del corpo e del sangue di Gesù che testimonia attraverso i tempi e le generazioni la completezza d’amore del suo dono per noi. Nell’Eucaristia, come abbiamo visto nella riflessione sulla IV Preghiera Eucaristica converge, come in un solo punto, il visibile e l’invisibile, l’eterno e il tempo, la materialità delle cose e la soprannaturalità della presenza di Dio in mezzo a noi. Afferma l’Instrumentum laboris :”Il superamento della distanza tra la povertà delle specie sacramentali e Gesù Cristo che si dona realmente e sostanzialmente, consente all’Eucaristia di porre nel mondo il germe della nuova storia. Il mistero pasquale conferma la condiscendenza di Dio e la kenosi del Figlio, permanendo la trascendenza assoluta della Trinità”(38). Da qui pure uno stile di vita del cristiano che non rifugge dal nascondimento della povertà dei mezzi e delle possibilità umane, senza però niente disprezzare di tutto ciò che il Signore ci ha messo a disposizione, ma che confida pienamente nella potenza di Dio che si manifesta nella nostra debolezza, così che, come dice l’apostolo Paolo, “quando siamo deboli, è allora che siamo davvero forti”. L’Eucaristia è la potenza di Dio nella povertà di un pezzo di pane; è lo splendore del mistero che abbaglia gli occhi della mente superba, ma che risplende come luce straordinaria in chi sa usare il collirio della grazia; è presenza misteriosa, ma reale, nascosta nella ordinarietà del pane e del vino che alimentano la vita di ogni giorno. Ma in questa ordinarietà, fatta di segni poveri, possiamo però dire che “l’Eucaristia è centro della liturgia cosmica in cui è presente la Trinità, eternamente adorata da Maria e dagli angeli che servono Dio, offrendoci un modello di servizio. Il Dio uno e trino viene adorato anche dai santi e dai giusti che godono la sua visone beata e intercedono per noi, come pure dalle anime dei fedeli che si purificano in attesa di vedere Dio”(42) in una visione di Chiesa che davvero racchiude cielo e terra, tempo ed eternità, in un unico e immenso coro di lode e di amore. Ogni volta che celebriamo l’Eucaristia si attua una realtà a cui pone veramente mano cielo e terra: una realtà che ci trascende, ma che insieme ci coinvolge e ci racchiude totalmente; qualcosa che sta ben oltre le nostre possibilità e le nostre capacità umane, ma che insieme le attiva e le racchiude tutte. Se da una parte, in qualche modo il mistero eucaristico ci espropria di quelli che sono i beni – pane e vino – che la provvidenza creatrice di Dio ci ha donati, dall’altra parte quella stessa Provvidenza d’amore ce li riconsegna trasformati, trasfigurati, transustanziati nel corpo e nel sangue di Cristo Signore, morto e risorto per noi. Da qui l’impegno a “riscoprire la bellezza dell’adorazione, della preghiera personale e comunitaria, del silenzio e della meditazione, che è sempre incontro personale dell’uomo con Dio, Trinità Santissima, con Gesù Cristo risorto presente nell’Eucaristia, per la potenza dello Spirito santo a lode di Dio Padre”(66). Lode e preghiera, come più sopra abbiamo sentito ripetere il termine “servizio” che diventano anima di uno stile di vita eucaristica alla quale siamo tutti chiamati, nel momento stesso in cui il Signore, soprattutto nel suo giorno di festa ci convoca intorno all’altare nella celebrazione dell’Eucaristia. A modo di conclusione Nel X° prefazio delle Domeniche ordinarie la Chiesa ci invita a pregare con queste parole: “E’ veramente giusto benedirti e ringraziarti, Padre santo, sorgente della verità e della vita, perché in questo giorno di festa ci hai convocato nella tua casa. Oggi la tua famiglia, riunita nell’ascolto della parola e nella comunione dell’unico pane spezzato, fa memoria del Signore risorto nell’attesa della domenica senza tramonto, quando l’umanità intera entrerà nel tuo riposo. Allora noi vedremo il tuo volto e loderemo senza fine la tua misericordia. Con questa gioiosa speranza, uniti agli angeli e ai santi, cantiamo a una sola voce l’inno della tua gloria”. Così dice il prefazio. Ma così vogliamo augurarci gli uni gli altri al termine di questa riflessione che se da una parte ha cercato di gettare qualche sguardo di fede sul mistero impenetrabile del nostro Dio Trino ed unico, dall’altra ha sicuramente colto una verità che è concretezza realizzata nel tempo e nella storia: questo nostro Dio non ha voluto rimanere lontano e distante dall’uomo, bensì si è consegnato a noi; si è fatto pane e dono d’amore; si è messo nelle nostre mani povere e spesso sporche di polvere di peccato e ci ha detto “prendete e mangiatene tutti”nel momento stesso che ha ripetuto a noi, suoi discepoli, un’altra parola che non può lasciarci indifferenti di fronte alla fame del mondo intero: “Voi stessi, date loro da mangiare”, per una vera e fraterna comunione di vita tra uomo e uomo, che diventa per il mondo intero, eloquente e concreta immagine della comunione d’amore della Trinità divina. Bibliografia D. Barsotti – Meditazioni sulle preci eucaristiche – Cantagalli, Siena 1992 E. Mazza – Le odierne preghiere eucaristiche – 1/Struttura, teologia, fonti - EDB 1984 C. Giraudo – In unum corpus – Trattato mistagogico sull’Eucaristia – San Paolo 2001