CONVEGNO DELLA REGIONE ECCLESIASTICA ABRUZZESE-MOLISANA A QUARANT’ANNI DALLA GAUDIUM ET SPES: IL SENSO DI QUEL TEMPO, IL SENSO DI OGGI Pescara, 31 agosto 2006 Angelo Card. Scola Patriarca di Venezia I. LA RECEZIONE DELLA GAUDIUM ET SPES 1. Le tappe della recezione Vorrei, innanzitutto, dire una parola sul titolo e, pertanto, sullo scopo del mio intervento. Il punto di riferimento assegnatomi è la Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo – Gaudium et spes -, documento che, in un certo qual modo, è diventato un po’ l’emblema di tutto il Concilio Vaticano II e del movimento di rinnovamento che esso ha avviato nella vita della Chiesa. Infatti una chiave privilegiata per leggere la storia della recezione del Vaticano II – a cui vi state dedicando, mi pare, da qualche anno – è quella di considerare le vicissitudini della Costituzione Pastorale. Guardando soprattutto l’ambito della riflessione teologica, ma non solo, scopriamo che ad una prima fase di ‘entusiasmo’ nei confronti della Gaudium et spes, ne seguì un’altra piuttosto critica e negativa dovuta a dubbi circa la sua effettiva portata teologico-pastorale1. Queste prime due tappe, spesso intrecciate e non sempre chiaramente distinguibili, occuparono il periodo dal termine del Concilio alla celebrazione dell’Assemblea Straordinaria del Sinodo dei Vescovi del 1985, in occasione dei vent’anni dalla chiusura del Vaticano II2. L’Assemblea Sinodale del 1985 costituì obiettivamente un momento decisivo della recezione conciliare. Mise, infatti, in evidenza le coordinate fondamentali per un’adeguata assunzione dell’intero Vaticano II ed, in modo particolare, delle quattro costituzioni lette secondo l’importante criterio ermeneutico dell’unità. Proprio per il carattere di “nervo scoperto” della Costituzione Pastorale, l’Assemblea Sinodale dell’85 avviò anche una terza fase nella recezione della Gaudium et spes. Con buona approssimazione, credo si possa dire che, a vent’anni dall’Assemblea Sinodale Straordinaria, questa terza fase è tuttora in pieno svolgimento. Essa si iscrive nella recezione conciliare in quanto figlia della traditio che attua quella che Benedetto XVI, nel discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, ha definito «l’ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino». 2. Il Popolo di Dio in cammino ed il principio dell’arricchimento della fede Queste parole di Benedetto XVI spalancano opportunamente la seconda anta della relazione che mi è stata richiesta: il senso di quel tempo, il senso di oggi. Infatti, ciò che permette di valutare gli elementi di continuità nella discontinuità tra il tempo in cui fu promulgata la Gaudium et spes (il senso di quel tempo) ed i nostri giorni (il senso di oggi), è la natura specifica del soggetto Chiesa quale Popolo di Dio in cammino: soggetto inesorabilmente legato alla storia umana ma che, in forza della sua origine “celeste”, resta sempre uno e lo stesso. Chinarsi di nuovo sulla Costituzione Pastorale, assecondando il cammino delle Chiese abruzzesimolisane ed in vista del Convegno di Verona, conduce pertanto alla seguente domanda: quale via la Gaudium et spes indica alla testimonianza cristiana ad un tempo “compenetrata” ed “alternativa” al mondo, naturale campo dell’azione ecclesiale3? Per rispondervi partiremo da un’altra domanda: qual è la strada aperta dalla Gaudium et spes al Popolo di Dio in cammino? Questo ci permetterà di cogliere il senso di quel tempo. Quanto poi al senso 1 Cfr. J. RATZINGER, Dogma e predicazione, Queriniana, Brescia 1973, 352-359; N. COLAIANNI, La critica del concilio Vaticano II nella letteratura attuale, in «Concilium» 19 (1983) 1182-1190. 2 Cfr. W. KASPER, Teologia e Chiesa, Queriniana, Brescia 1989, 302-303. 3 Cfr. Programma del Convegno La Chiesa e la città. Le Chiese di Abruzzo e Molise si interrogano sulla Gaudium et spes. 1 dell’oggi esso dovrà essere guadagnato dall’interno del frangente storico che il Popolo di Dio si trova a vivere nel presente. Prima di entrare più direttamente in materia conviene richiamare il principio ermeneutico che, esprimendo la continuità nella discontinuità dell’unico Popolo di Dio può legare il senso di quel tempo con il senso di oggi. Karol Wojtyla, diretto testimone e redattore di qualche parte della Gaudium et spes4, lo chiamava il principio dell’arricchimento della fede: «l’arricchimento della fede, che riteniamo il postulato fondamentale dell’attuazione del Vaticano II, deve intendersi in due modi: come arricchimento, cioè approfondimento del contenuto della fede, racchiuso nell’insegnamento conciliare, e come arricchimento – che scaturisce da questo contenuto – di tutta l’esistenza dell’uomo credente che fa parte della Chiesa. Questo arricchimento della fede nel senso oggettivo, che costituisce una nuova tappa nel cammino della Chiesa verso la “pienezza della verità divina”, è al tempo stesso arricchimento nel senso soggettivo, umano, esistenziale. È proprio da quest’ultimo che si attende maggiormente l’attuazione auspicata. Il Concilio “pastorale” ha aperto un nuovo capitolo nella pastoralità della Chiesa, pastoralità intesa nel suo significato più ampio»5. 3. Il percorso delle Chiese italiane sulla scia di Gaudium et spes Il cammino delle Chiese in Italia, con le proprie peculiarità e difficoltà, può essere letto nel complessivo quadro ermeneutico che, in modo troppo sintetico, abbiamo tracciato. Ne sono conferma significativa i Convegni Ecclesiali: Roma 1976, Loreto 1985 e Palermo 1995. Per quanto si può evincere dalla fase preparatoria anche il Convegno di Verona del prossimo mese di ottobre si muove in quest’ottica. Infatti la scelta dei Vescovi italiani di «dedicare tali eventi alla considerazione del ruolo dei cristiani nel contesto della realtà storica in cui vivono e operano»6, interpreta il dettato conciliare di Gaudium et spes. Il Vaticano II ha consegnato alla Chiesa una Costituzione definita come pastorale, ove il termine possiede un’ampiezza dottrinale e pratica, dalla cui adeguata percezione siamo normalmente assai lontani, legata alla natura sacramentale e salvifica del Popolo di Dio. Lo rivela chiaramente l’intenzione programmatica ben espressa nel Proemio e nell’Esposizione introduttiva, particolarmente indicative di questa indole pastorale. E lo documenta la riflessione sui problemi urgenti della Seconda Parte dove i tratti della pastoralità sono presenti per lo più in actu exercitu7: vi vengono affrontati in successione temi come il matrimonio e la famiglia (cfr. GS 47-52), la cultura (cfr. GS 53-62), la vita economico-sociale (cfr. GS 6372), la vita della comunità politica (cfr. GS 73-76), e la pace e la comunità delle nazioni (cfr. GS 77-90). È forse utile riconoscere qui, per inciso, che è più difficile ravvisare questa indole pastorale nella Prima Parte della Gaudium et spes, di carattere antropologico. Questo dà conto della relativa giustapposizione tra Proemio ed Esposizione Introduttiva (La condizione dell’uomo nel mondo contemporaneo) da un lato e Parte Prima (La Chiesa e la vocazione dell’uomo) e Parte Seconda (Alcuni problemi più urgenti) dall’altro8. Ciò può dipendere dal fatto che, all’inizio della redazione, le questioni scottanti che formeranno 4 «Devo confessare che la Gaudium et spes mi è particolarmente cara, non solo per le tematiche che sviluppa, ma anche per la diretta partecipazione che mi è stato dato di avere alla sua elaborazione. Quale giovane Vescovo di Cracovia, infatti, fui membro della sottocommissione incaricata di studiare i “segni dei tempi” e, dal novembre 1964, fui chiamato a far parte della sottocommissione centrale, incaricata di provvedere alla redazione del testo. Proprio l’intima conoscenza della genesi della Gaudium et spes mi ha consentito di apprezzarne a fondo il valore profetico e di assumerne ampiamente i contenuti nel mio magistero fin dalla prima Enciclica, la Redemptor Hominis. In essa, raccogliendo l’eredità della Costituzione conciliare, volli ribadire che la natura e il destino dell’umanità e del mondo non possono essere definitivamente svelati se non alla luce del Cristo crocifisso e risorto…», GIOVANNI PAOLO II, Commemorazione della Costituzione Gaudium et Spes, 8 novembre 1995. 5 K. WOJTYLA, Alle fonti del rinnovamento, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1981, 20. 6 Cfr. COMITATO PREPARATORIO DEL IV CONVEGNO ECCLESIALE NAZIONALE, Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo. Traccia di Riflessione, 29 aprile 2005, Presentazione. 7 La pastoralità della costituzione emerge soprattutto dai contenuti della Seconda Parte sottoposti, per loro natura, ad evoluzione: «dinanzi alla immensa varietà delle situazioni e delle forme di civiltà questa presentazione non ha, in numerosi punti, che un carattere del tutto generale; anzi, quantunque venga presentata una dottrina già comune nella Chiesa, siccome non raramente si tratta di realtà soggetta a continua evoluzione, la proposizione della dottrina dovrà essere continuata ed ampliata. Confidiamo che molte cose che abbiamo esposto, basandoci sulla parola di Dio e sullo spirito del Vangelo, possano portare un valido aiuto a tutti, soprattutto dopo che i cristiani, sotto la guida dei Pastori, ne avranno portato a compimento l’adattamento ai singoli popoli e alle varie mentalità» Gaudium et spes 91. 8 Cfr. G. COLOMBO, La teologia della Gaudium et spes e l’esercizio del magistero ecclesiastico, in ID., La ragione teologica, Glossa, Milano 1995, 265-303, qui 274-281. L’articolo originale fu pubblicato in «La Scuola Cattolica» 98 (1970) 477-511. 2 la seconda parte della Costituzione9 avevano di fatto polarizzato l’attenzione dei Padri, mentre solo durante l’iter si iniziò ad avvertire la necessità di premettervi una trattazione dottrinale, di carattere più generale. 4. Un cantiere sempre aperto Quanto richiamato finora conferma la bontà della scelta del titolo della presente relazione. La Gaudium et spes consentì l’apertura di un cantiere cui sempre di nuovo si deve mettere mano. Per essere più rigorosi, la Costituzione Pastorale segnò un momento di felice ed acuta presa di coscienza di una delle caratteristiche essenziali della vita ecclesiale: la necessità di partire sempre dalla realtà storica effettuale in cui il cammino del ben identificabile Popolo di Dio è inevitabilmente immerso. Acutamente, poco tempo dopo la chiusura dei lavori conciliari, uno dei più accreditati ed autorevoli testimoni dell’iter di redazione della Gaudium et spes, si espresse in questi termini: «il Concilio, quindi, con questo documento non ha inteso chiudere l’indagine, ma invece prevederla e stimolarla, fissare un punto di partenza, porre le premesse di un dialogo fecondo. Ed è un fatto positivo che la Chiesa abbia ad ogni modo avuto quello che un acuto osservatore definiva “Mut zur Unvollkommenheit”, il coraggio di contentarsi delle cose imperfette, cioè di cominciare e di affidarsi al futuro con umile fiducia in Dio e nell’uomo sua immagine»10. II. L’EREDITÀ PERMANENTE DI GAUDIUM ET SPES 1. Il soggetto ecclesiale nel mondo Abbiamo affermato che l’unico soggetto ecclesiale è il fattore che permette una considerazione ultimamente unitaria del senso di quel tempo e del senso dell’oggi. Bisogna però subito precisare che se il soggetto ecclesiale è strutturalmente intrecciato alle indeducibili vicende della storia, allora non può essere pensato astrattamente come una realtà a sé stante, definibile a priori quasi fosse costituita in sé prima di ogni rapporto ad “altro”. Infatti per descrivere chi è la Chiesa – per Balthasar11 è questa, e non che cosa è la Chiesa, la formulazione adeguata della domanda ecclesiologica12 – si deve riconoscere che essa appare come una realtà essenzialmente ellittica, definibile sempre solo a partire da due fuochi. Essa vive di una duplice, costitutiva relazione: da una parte (primo fuoco) è relativa a Cristo e alla Sua missione; dall’altra (secondo fuoco) al mondo, nel quale è immersa e a cui è continuamente inviata. Separare la Chiesa dal mondo è impresa vana oltre che artificiosa, destinata - come purtroppo le vicende storiche e non poche elaborazioni teologiche documentano - a suscitare gravi malintesi13. Non si può, pertanto, disgiungere, per tutto il tempo storico che ci separa dal nuovo eone, la vicenda dei cristiani da quella di tutti gli uomini. Chiesa e mondo individuano una polarità storicamente insuperabile all’interno dell’unico disegno del Padre. Chiesa e Sui famosi adnexa cfr.: P. DELHAYE, Histoire des textes de la Constitution Pastorale, in Y. M.-J. CONGAR – M. PEUCHMAURD (ed.), L’Église dans le monde de ce temps. Constitution pastorale “Gaudium et spes” t. 1, Les Editions du Cerf, Paris 1967, 215-277, qui 243-251. Per avere un’idea dell’importanza con cui furono considerati i cosiddetti problemi urgenti da parte dei Padri può essere utile riportare le occorrenze dei termini presenti nei titoli dei capitoli della Seconda parte della Gaudium et spes cui si riferisce il testo promulgato: socialis 127, familia 78, communitas 76, oeconomicus 68, cultura 55, populus 54, politicus 53, pax 48, matrimonium 22, progredior 22, cfr: P. DELHAYE – M. GUERET – P. TOMBEUR, Concilium Vaticanum II. Concordance, Index, Listes de fréquence, Tables comparatives, Publications de CETEDOC – Université Catholique de Louvain, Louvain 1974, 922. 10 R. TUCCI, Introduzione storico-dottrinale alla Costituzione Pastorale “Gaudium et spes”, in AA. VV., La Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Elle Di Ci, Torino 19683, 15-134. qui 134. Dello stesso avviso sono altri testimoni diretti del Concilio: J. RATZINGER, Problemi e risultati del concilio Vaticano II, Queriniana, Brescia 1967, 125; P. DELHAYE, Histoire…, op. cit., 275-277. 11 Cfr. H. U. VON BALTHASAR, Chi è la Chiesa?, in ID., Sponsa Verbi. Saggi teologici 2, Morcelliana, Brescia 1972, 139187. 12 Cfr. A. SCOLA, Chi è la Chiesa? Una chiave antropologica e sacramentale per l’ecclesiologia, Queriniana, Brescia 2005. 13 Si possono citare, ad esempio, le vicende storiche francesi legate alla comparsa del neologismo catholicisme. Il termine, apparso come sostantivo nel XVIII secolo, è diventato poi, agli inizi del XIX, l’espressione di un’alternativa culturale all’aggettivo catholique applicato alla Chiesa. Ha finito per indicare un’appartenenza ecclesiale diafana, centrata più su un insieme di idee o, al massimo, di costumi e di linguaggio che, sulla concretezza della regula fidei dei sacramenti. Sul processo che ha condotto a concepire la Chiesa come contro-società cfr.: C. HELL, Catholicisme, in J.-Y. LACOSTE (dir.), Dictionnaire critique de la théologie, PUF, Paris 1998, 211-213; A. BESANÇON, Trois tentations dans l’Eglise, Calmann- Lévy, Parigi 1996. 9 3 mondo stanno quindi in un rapporto di unità duale – come i due fuochi di un’ellisse o i due poli di una pila quindi inevitabilmente dialogico, fatto di luci ed ombre. Non in un “rapporto dialettico” che hegelianamente pretenda di fondere Chiesa (tesi) e mondo (antitesi), in una “sintesi” superiore. Contro le troppo rapide accuse iniziali di ottimismo irenistico, la Costituzione pastorale Gaudium et spes rappresenta proprio un chiaro tentativo di superare la deriva moderna di un’impostazione dialettica nel rapporto Chiesa-mondo. Esito di questa deriva sono le varie figure della secolarizzazione del cristianesimo che si sono avvicendate nella storia, come intento programmatico, a partire da Hume e che hanno trovato definizione nella celebre opera kantiana La religione nei limiti della sola ragione (1793). Come ha osservato l’acuto storico Michel de Certeau questo processo ha condotto alla rimozione della religione dalla sfera pubblica. Scrive de Certeau che, con la modernità, «la religione comincia a essere percepita dall’esterno. Viene collocata nella categoria del costume, o in quella delle contingenze storiche. A questo titolo, essa si oppone alla Ragione o alla Natura»14. Si delineano in tal modo, a partire dal XVI secolo, le varie figure sostitutive del precedente rapporto tra religione e società civile: il tentativo di ricondurre a una delle confessioni religiose tutte le rivali (integralismo/fondamentalismo); quello di risalire ad una religione naturale universale, più fondamentale delle religioni storiche (naturalismo illuministico); quello di attribuire alla “politica” lo stesso ruolo di fattore unificante di cittadini, corpi intermedi, società civile e nazioni precedentemente ricoperto dalla religione (totalitarismo); e, infine, quello di assumere l’atteggiamento della “morale provvisoria”, cioè lo scetticismo (liberalismo agnostico). Il risultato storico di questo processo è duplice. Da una parte l’uso politico della religione sia in senso autoritario (religione di stato) sia in senso liberale (religione come fattore di utilità sociale 15). E dall’altra la privatizzazione della religione, la riduzione della religione a fatto privato, senza rilevanza o liceità pubblica. In ogni caso occorre riconoscere che ciò che la modernità non ha saputo o non è riuscita a pensare è la rilevanza pubblica della religione. E siamo con questo alla difficoltà più acuta del postconcilio che individua un travaglio nel quale tuttora, anche in Italia, siamo immersi. Mi riferisco alla necessità di fondare con equilibrio l’inevitabile nesso tra fede e religione senza cadere in diaspore più o meno mascherate da una parte (“basta la Croce”) o nella religione civile dall’altra (il riferimento è a certi discorsi su Occidente e cristianesimo). Si tratta invece di approfondire adeguatamente la rilevanza pubblica della genuina fede cristiana. La base per questo lavoro è la riaffermazione dell’originario ed inscindibile legame della Chiesa con il mondo che impedisce di identificarla con una realtà precostituita, senza rapporto con la storia, da trasferire, poi, nel mondo come in una regione straniera, quasi come un’opera che vi si sovrapponga dall’esterno. La viva edificazione della Chiesa ha a che fare, costitutivamente, con la storia, con uomini toccati al cuore della propria libertà, sempre storicamente situata, dal dono dell’evento di Gesù Cristo. A tal punto trasformati dalla Sua presenza, nel ritmo quotidiano degli affetti e del lavoro, da comunicarla, gratuitamente, a quanti entrano naturalmente in rapporto con loro. L’essenza della Chiesa è intimamente missionaria perché il Regno cresce quasi emergendo dal suolo del mondo e gli uomini ne sono – lo sappiano o meno – co-agonisti. Il protagonista Gesù Cristo, mostra questo intreccio originario di Chiesa-mondo nel disegno arcano del Padre (cf Gv 17, 21) perché in Gesù Cristo e attraverso di Lui il Regno dei cieli è definitivamente in atto16. Posto questo quadro di riferimento possiamo accennare, ovviamente in modo molto sintetico, a tre chiavi di lettura della Costituzione Pastorale. Esse ci aiuteranno a meglio considerare il chi della Chiesa e la natura della sua missione. a) Il dialogo La Gaudium et spes ci impone, innanzitutto, di far riferimento alla categoria di dialogo. La Costituzione Pastorale è considerata l’emblema del carattere dialogico di tutto il Vaticano II. La maggior parte degli storici e dei teologi sono concordi nell’affermare che la Gaudium et spes rappresenti l’espressione particolarmente significativa di un mutato atteggiamento della Chiesa, a partire dal Concilio Vaticano II, nei confronti del mondo contemporaneo17. La categoria di dialogo era stata M. DE CERTEAU, La scrittura della storia, “Il pensiero scientifico” Ed., Roma 1977, 162-163. MONTESQUIEU: «Tutte le religioni contengono dei principi utili alla società», in Lettres persanes, lett. 86. 16 Cfr. Mt 13, 53-57; Mc 6,16; Lc 4,14-30. Origene parlava in proposito di autobasileia. 17 Per la storia della redazione della costituzione Gaudium et spes sono ormai da considerare come dei “classici” e come punti di riferimento obbligato i seguenti contributi: M. G. MCGRATH, Note storiche sulla Costituzione, in G. BARAÚNA (dir.), La Chiesa nel mondo di oggi, Vallecchi Editore, Firenze 1966, 141-156; H. DE RIEDMATTEN, Storia della costituzione pastorale, in E. GIAMMANCHERI (a cura), La Chiesa nel mondo contemporaneo, Queriniana, Brescia 1966, 14 15 4 esplicitamente approfondita dal magistero di Paolo VI nell’enciclica Ecclesiam suam18. La Gaudium et spes vi fa riferimento, non tanto nella lettera (cfr GS 40, 43, 56, 85, 92) quanto, soprattutto, nello spirito19. Tuttavia, le vicende ecclesiali e la riflessione teologica dopo il Concilio hanno obiettivamente messo in luce come il tema del dialogo avrebbe richiesto non poche determinazioni ed approfondimenti20. Mediante una rinnovata sensibilità dialogica i Padri conciliari vollero affrontare talune questioni nodali: il desiderio di riuscire a parlare a tutti gli uomini, il rapporto con la modernità ed, infine, la delicata relazione tra Gesù Cristo verità assoluta ed universale e l’incoercibile libertà, sempre storicamente situata, di ogni singolo uomo. Sono temi essenzialmente connessi all’essenza della Chiesa concepita in strutturale rapporto col mondo. Per comprendere il grado di recezione che la categoria di dialogo ha avuto dopo il Concilio, è necessario chiedersi: su quali basi teologiche poggiava di fatto la categoria di dialogo? Quali sono le colonne portanti di questa nuova fase di autocoscienza della Chiesa? La risposta ci conduce a fare spazio ad altre due categorie chiave di lettura di Gaudium et spes. Mi sembra possano essere identificate in una nuova visione dell’uomo riferita a Gesù Cristo (antropologia cristocentrica) e nella sottolineatura della missione salvifico-sacramentale della Chiesa, cioè di una pratica e di una dottrina finalmente adeguate alla pastorale. b) Antropologia cristocentrica Occorre anzitutto riconoscere che un’antropologia dagli intenti cristocentrici attraversa, di fatto, la Gaudium et spes. La Costituzione mira ad una fondazione appropriata della dignità della persona umana come base efficace per l’approccio ai cosiddetti problemi più urgenti contenuti nella Seconda Parte. Per riconoscere la chiara intenzione cristocentrica dell’antropologia presente nella Costituzione basta citare i loci classici in proposito: GS 10, 22, 32, 38-39, 40-41, 4521. D’altra parte occorre riconoscere che questa intenzione è stata attuata solo frammentariamente. In sintesi è equilibrato affermare che la Costituzione Pastorale propone un’antropologia chiaramente cristocentrica negli intendimenti, ma frammentaria e ancora legata al manuale neo-scolastico nella sua attuazione22. Per questo la recezione della Gaudium et spes ha richiesto e continua ad esigere un approfondimento del carattere cristocentrico dell’antropologia23. Si tratta di pensare fino in fondo la duplice celebre affermazione della costituzione: «con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo» e quindi «nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo» (GS 22). Un’antropologia obiettivamente cristocentrica comporta l’affermazione della verità assoluta della singolarità di Gesù Cristo che implica, nello stesso tempo, la sua capacità di abbracciare ogni determinato ed indeducibile aspetto dell’umano. Singolarità di Gesù Cristo vuol dire che la Sua è l’umanità unica ed irrepetibile del Figlio di Dio. Ma siccome è l’umanità del Figlio di Dio è la cifra (forma, silhouette) di ogni 19-59; P. DELHAYE, Histoire…, op. cit., 215-277; R. TUCCI, Introduzione…, op. cit., 15-134; G. TURBANTI, Un concilio per il mondo moderno. La redazione della costituzione pastorale “Gaudium et spes” del Vaticano II, Il Mulino, Bologna 2000, 829pp. 18 Cfr. PAOLO VI, Ecclesiam suam, in Enchiridion Vaticanum 2, 163-210. 19 Cfr. P. DELHAYE – M. GUERET – P. TOMBEUR, Concilium Vaticanum II. Concordance..., op. cit., 184. Come giustamente osserva il Guerra, per dare obiettivo conto del peso della categoria di dialogo (dialogus) nella Gaudium et spes e nel Concilio, bisogna considerare l’uso di altri termini, ad esempio quello di colloquium, cfr: A. GUERRA, Gaudium et spes: diálogo con el mundo moderno, in «Revista de espiritualidad» 48 (1989) 391. Il lemma dialogus nei documenti del Concilio è riscontrabile in 28 passi, di cui 6 in Gaudium et spes (40, 43, 56, 85, 92 due volte). Gli altri passi si trovano in Unitatis redintegratio (12 volte), Ad gentes (6 volte) Gravissimum educationis (2), Optatam totius (1), Dignitatis humanae (1 volta), cfr: P. DELHAYE – M. GUERET – P. TOMBEUR, Concilium Vaticanum II. Concordance…, op. cit., 184. Quello invece legato al termine colloquium si trova in 33 passi di cui 13 in Gaudium et spes (3, 19, 21, 23, 25, 28, 43, 68 due volte, 90, 92 tre volte), cfr: ibid., 110-111. 20 Cfr. H. DE LUBAC, La rivelazione divina e il senso dell’uomo, Jaca Book, Milano 1985, 199-205, dove è contenuta la seguente precisazione: «dialogo, incontro, lotta: tre parole che, se sono comprese bene, anziché escludersi reciprocamente, si integrano», 203. Inoltre cfr: O. DE DINECHIN, Les innovations de Vatican II: Gaudium et spes vingt ans après, in «Revue de l’Institut Catholique de Paris» 12 (1984) 38-40. 21 A questo proposito si veda il commento di Tremblay a GS 22: R. TREMBLAY, L’«homme» (Eph. 4,13) mesure de l’homme d’aujourd’hui et de demain. Pour un approfondissement de Gaudium et spes, in «Studia moralia» 35 (1997) 8992. 22 Cfr. L. SARTORI, L’antropologia teologica della Gaudium et spes, in «Studia Patavina» 53 (2006) 51-55; G. COLOMBO, La teologia…, art. cit. 23 Cfr. A. SCOLA – G. MARENGO – J. PRADES, La persona umana. Antropologia teologica, Jaca Book, Milano 2000, 3943. 5 uomo. Dalla singolarità di Gesù Cristo non deriva solo il dogma del Suo essere salvatore e redentore di ogni uomo, ma secondo una solida scuola teologica si deve giungere adll’afermazione del suo essere capo della creazione24. Perciò Egli è in senso pieno e oggettivo il «centro del cosmo e della storia»25. Una simile antropologia supera, all’origine, ogni tentazione dualista, mostrando la natura intrinseca del dialogo con il mondo. Il radicamento cristocentrico offre all’antropologia un doppio guadagno. In primo luogo rende possibile accogliere fino in fondo quanto il miglior pensiero filosofico e teologico ha maturato negli ultimi decenni circa la decisività della libertà di ogni singolo26. Essa è la dimensione costitutiva ed irriducibile della persona a cui si rivolge l’appello misericordioso del Padre. Ogni uomo, più o meno consapevolmente, fa l’esperienza che la sua libertà per compiere ogni suo atto ha, nello stesso tempo, bisogno di trascendersi, cioè di uscire da sé, ma è incapace da sola di operare questo trascendimento. Lo si vede bene in ogni autentica esperienza amorosa. La libertà umana necessita pertanto di un evento che le documenti e soprattutto le consenta, nella sequela, la possibilità di questo passaggio. Gesù Cristo è questo evento costitutivo, permanentemente elargito all’umana libertà per opera dello Spirito Santo. Perché? Perché la libertà umana di Gesù Cristo, nel dono totale di Sé sulla croce, “corrisponde” pienamente alla volontà del Padre, un Altro con la maiuscola. Cristo per compiere la Sua libertà esce completamente da Sé in forza dell’abbandono alla volontà altra del Padre. Perdendosi nella morte obbediente di croce incontra la pienezza della risurrezione. In tal modo Gesù attua l’irriducibile anelito della libertà umana al proprio trascendimento in vista del proprio compimento. Ogni uomo, affidandosi liberamente a Cristo nella concreta appartenenza ecclesiale, può così fare l’esperienza di quell’offerta totale di sé che rende «liberi davvero» (cfr Gv 8, 36). In secondo luogo il riferimento cristocentrico da una parte risolve l’enigma dell’uomo, spiega cioè che è questo singolare essere che esiste ma non ha in sé il fondamento della propria esistenza. Dall’altra tale spiegazione non pre-decide il dramma dell’uomo perché non scavalca mai la storia della singola persona e della famiglia umana. L’antropologia, in forza del carattere sempre situato dell’umana libertà, è costitutivamente drammatica. Questa natura drammatica si documenta nel fatto che l’uomo, nel tentativo inevitabile di rispondere alle questioni centrali - Ed io che sono? Alla fine di fronte alla morte (rischio di finire nel nulla), chi mi assicura? Qualcuno da altrove mi ama? - dall’interno del suo concreto esserci storico, si scopre portatore di una unità costitutivamente duale (polare). Egli è uno di anima e di corpo, di uomo e di donna, di individuo e di comunità. Sono qui enucleate le cosiddette polarità costitutive dell’uomo27. Tali polarità (differenze) originarie non minano l’unità personale dell’io, ma costituiscono la strada preziosa per imparare l’altro. Un’antropologia drammatica, attenta alle tre polarità costitutive, risponde alla necessità di offrire un fondamento adeguato ai problemi urgenti di quel tempo e dell’oggi. Rappresenta pertanto la linea di continuità necessaria ad una piena recezione della Gaudium et spes. c) La pastorale La seconda chiave di lettura connessa alla natura dialogica della Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo è il ripensamento della pastorale. L’indole pastorale, mediante la quale il Concilio, attento ai cosiddetti segni dei tempi, intende proporre Gesù Cristo alla famiglia umana è ben espressa dalla centralità data all’affermazione che identifica la stessa missione salvifica della Chiesa: «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tim 2, 4)28. Sono diversi gli argomenti che la Gaudium et spes mette in campo per descrivere la natura intrinsecamente salvifico-pastorale della Chiesa. È possibile qui ricordare rapidamente tre temi. Anzitutto quello dell’aggiornamento. Adeguatamente compreso l’aggiornamento indica un’autentica apertura missionaria per la salvezza integrale del mondo, nella quale ogni dimensione dell’umano è assunta e rispettata, perché criticamente vagliata, dal movimento impresso alla storia dalla morte e resurrezione di Gesù Cristo. In secondo luogo quello della natura pastorale della stessa dottrina insegnata dal magistero. Infine quello della dimensione pastorale di ogni teologia con il peso dato alla teologia pastorale come disciplina specifica. 24 Cfr. ibid., 51-54; 95-105. GIOVANNI PAOLO II, Redemptor hominis 1. 26 Cfr. A. BERTULETTI, Sapere e libertà, in G. COLOMBO (a cura di), L’evidenza e la fede, Glossa, Milano 1988, 444-466. 27 Cfr. H. U. VON BALTHASAR., Teodrammatica 2. Le persone del dramma. L’uomo in Dio, Jaca Book, Milano 1978, 327-370; A. SCOLA – G. MARENGO – J. PRADES, La persona umana…, op. cit., 152-183. 28 Cfr. Gaudium et spes 45. 25 6 Questi ed altri elementi conducono ad interpretare in chiave sacramentale-salvifica l’indole pastorale della Chiesa proposta dal Vaticano II in generale e da Gaudium et spes in particolare. Questa prospettiva illumina il fecondo rapporto che intercorre tra verità, storia e libertà effettuale della singola persona. Si svela, in tal modo, l'universale coinvolgimento degli uomini da parte del disegno di Dio. E, così, la prospettiva dialogica del Concilio trova effettiva recezione. Cristianesimo e storia non sono più pensati come due fattori estrinseci e tra loro presupposti. Ciò conduce alla questione centrale: in che modo la Chiesa può proporsi come medium intrinseco tra Cristo e la libertà del singolo di ogni tempo e luogo 29? Detto altrimenti, quale rapporto intercorre tra storia umana e storia della salvezza? La risposta chiede che si ricuperi fino in fondo la logica dell’Incarnazione intesa come logica salvifico-sacramentale30. In forza di essa la mediazione intrinseca non è magica trasposizione, ma segno efficace dell’unico irripetibile evento di Gesù Cristo che, qui ed ora, interpella l’atto irriducibile dell’umana libertà. Come si esplica concretamente nella vita dei cristiani questa mediazione intrinseca? Suggeriamo un’ipotesi in merito che mi sembra illuminare vividamente l’indole pastorale della Chiesa. Tutte le circostanze e tutti i rapporti, che formano la trama dell’umana esistenza sono, in un certo senso, iscritti nella logica sacramentale caratteristica del disegno unitario del Padre. Pertanto, circostanze e rapporti rappresentano analogicamente il sacramento del mistero di Dio che interpella l’umana libertà. La stessa esistenza del cristiano, in quanto membro della comunità ecclesiale, lo rende evento comunicativo (“sacramento”) di quella verità cui prende parte31. In quest’ottica ogni rapporto che gli è dato chiede di essere vissuto sacramentalmente. Qualcosa di analogo si può dire di tutte le circostanze (da intendere qui in senso lato, come fatti o insieme di fatti con le più variegate caratteristiche). Esse non sono date, ultimamente, per caso. Anche senza negare le molte concause che le determinano, le circostanze non sfuggono, in ultima analisi, al gioco della singolare relazione della libertà di Dio che chiama in causa (vocazione) e mobilita (missione) quella dell’uomo. Per inciso è necessario osservare subito che l’uomo, lasciato a se stesso, non saprebbe cogliere il carattere di evento sacramentale di rapporti e circostanze. Egli ha bisogno per questo di essere immanente ad una comunità ecclesiale sensibilmente espressa. La logica dell’Incarnazione come logica sacramentale rivela quindi, in profondità, in cosa consista la vera natura dell’umana esistenza e descrive il metodo di vita cristiana (la pastorale): la vita stessa è vocazione in quanto la libertà dell’uomo, in ogni suo atto, è chiamata a decidere (rispondere) per il dono di Dio anticipato come promessa in ogni circostanza ed in ogni rapporto. È vero che al di fuori del sacramento non è possibile neppure intuire il valore sacramentale della circostanza e del rapporto. D’altra parte però, finché questo valore non diventa esperienza concreta del credente, sempre mosso in ogni atto della sua libertà da circostanze e rapporti, si può legittimamente dubitare dell’effettiva immedesimazione di quest’ultimo al sacramento. Il metodo della vita cristiana, cioè la pastorale, rivela pertanto la natura essenzialmente pedagogica della Chiesa: «Erunt sempre docibiles Dei» (Gv 6, 35). 2. Inviati dall’origine La prospettiva ecclesiologica inaugurata da Gaudium et spes avendo favorito una doppia concentrazione in chiave antropologica (cristocentrismo) e sacramentale (pastorale), mostra la natura intrinsecamente dialogica della Chiesa. Come la persona di Gesù Cristo non è separabile dalla Sua missione, a tal punto che la Lettera agli Ebrei può definire Gesù in senso assoluto l’apostolo (cfr. Eb 3, 1), così la missione non si aggiunge dall’esterno alla “persona” della Chiesa32. Per comprendere adeguatamente 29 «Ci occuperemo della Chiesa solo nella misura in cui essa può e vuole essere una mediazione della forma (Gestalt) della Rivelazione di Dio in Gesù Cristo. Dicendo questo abbiamo probabilmente posto la questione decisiva. E forse, nei riguardi della Chiesa non c’è più alcuna domanda da porre oltre questa... Questa, però, non è senz’altro ovvia», H. U. VON BALTHASAR, Gloria.Una estetica teologica 1. La percezione della forma, Jaca Book, Milano 1975, 522; A. SCOLA, Chi è la Chiesa?, op. cit., 133-157. 30 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Fides et ratio 12-13, 94; A. SCOLA, Libertà umana e verità a partire dall’enciclica «Fides et ratio», in R. FISICHELLA (a cura di), Fides et ratio, San Paolo, Cinisello Balsamo 1999, 223-243. 31 «Col suo agire egli dà testimonianza della sua fede (ed in essa di Cristo stesso)… L’apostolato dei laici si fonda dunque immediatamente nel suo cristianesimo (…) È missionario se vive esemplarmente il suo cristianesimo», K. RAHNER, L’apostolato dei laici, in ID., Saggi sulla Chiesa, Edizioni Paoline, Roma 1969, 246. 32 Cfr. H. U. VON BALTHASAR, Teodrammatica 3. Le persone del dramma. L’uomo in Cristo, Jaca Book, Milano 1983, 400: «la missione di Gesù non si addiziona alla sua persona ma è identica ad essa, così la missione della Chiesa è tutt’uno con la sua essenza». 7 la portata di questa maturazione dell’autocoscienza ecclesiale favorita da Gaudium et spes e, soprattutto, per coglierne tutte le implicazioni decisive per l’odierna azione ecclesiale è importante considerare sommariamente la genesi di questo Popolo di Dio in cammino, di questo soggetto cristiano, immerso nel mondo. La genesi della Chiesa, come ben ci mostrano i Vangeli e gli Atti, sta nel gratuito incontro personale con Gesù Cristo che affascina l’uomo al punto da deciderlo ad una sequela radicale. Ne scaturisce una esperienza di amore per Cristo e per i fratelli carica di una bellezza che urge spontaneamente alla missione, la quale, in ultima analisi, sfocia sempre nell’invito al “vieni e vedrai”. Il soggetto ecclesiale, personale e comunitario, si costituisce propriamente come il luogo, fisicamente identificabile per qualunque uomo, del «venite e vedrete» (Gv 1, 39), cioè della proposta viva del fascino di Gesù Cristo. Il soggetto ecclesiale è chiamato dallo Spirito del Risorto a rendere testimonianza all’evento incontrato, cioè ad autoesporsi nella sequela di Gesù Cristo. Il Vangelo di Giovanni descrive la grazia profonda di questa straordinaria novità sperimentata dai pescatori di Galilea, che documenta la genesi pneumatologica della Chiesa: «perché ho detto queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore (…) è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. E quando sarà venuto, Egli convincerà il mondo» (Gv 16, 6-8). L’apostolo non è tale finché lo Spirito del Risorto non lo manda, non fa di lui il testimone attraverso il quale lo stesso Spirito unirà a Sé (cum-vinco) e tra di loro quanti si lasciano coinvolgere dal Suo soffio. L’etimologia più probabile del vocabolo testimone lo fa derivare da ter-stis, il terzo che sta tra i due. Tutti i seguaci di Gesù (dai pescatori della Galilea fino a noi) sono il terzo che sta tra Lui ed il fratello uomo che - magari senza saperlo, forse addirittura bestemmiandolo - anela alla Sua salvezza. La testimonianza è, alla fine, la gioiosa sovrabbondanza di una vita buona perché trasformata dal fascino di Gesù. Essa muove la persona e la comunità ad obbedire a ciò che la Provvidenza chiede qui ed ora. Possiamo descrivere la testimonianza, nella sua dinamica interna, almeno con due tratti. Da una parte auto-esposizione significa permanente docilità a quanto lo Spirito opera nella vita della Chiesa e nel mondo. Dall’altra significa assunzione stabile di uno stile oblativo di vita secondo la legge della prossimità, che parte dalla comunità cristiana di appartenenza per giungere fin dentro ogni ambito dell’umana esistenza. Sono due dimensioni che si richiamano reciprocamente e non si possono mai separare: non c’è possibilità di testimonianza se non nasce dalla docilità all’opera dello Spirito che rende testimonianza in noi, perché anche noi possiamo essere testimoni del Risorto nel mondo (cfr. Gv 15, 26-27). Così si comprende che la missione non è anzitutto un’attività ulteriore, una qualche azione straordinaria da aggiungere alla vita ordinaria, al quotidiano. Al contrario, se in forza della “logica sacramentale” della Rivelazione, ogni circostanza e rapporto è quasi-sacramento dell’incontro con Cristo, la persona stessa, affascinata dall’incontro con Cristo, ne comunica, piena di gioia, la bellezza nella trama quotidiana dell’esistenza - affetti, lavoro e riposo - dove avviene il dia-logo di salvezza del Risorto con ogni uomo. Qui sta la radice dell’essenzialità e dell’universalità della missione cristiana. La missione ecclesiale ha, come sappiano, i confini del mondo: «il campo è il mondo» (Mt 13, 38). La missione è propria di tutti i chiamati cioè, potenzialmente, di tutti gli uomini. III. LA MISSIONE DEI CRISTIANI: TESTIMONIARE LE IMPLICAZIONI ANTROPOLOGICHE, COSMOLOGICHE E SOCIALI DEI MISTERI DELLA FEDE In che modo questa prospettiva ecclesiologica inaugurata quarant’anni fa da Gaudium et spes illumina la missione testimoniale di noi cristiani di oggi in Italia? Per rispondere a questa domanda e suggerire nel contempo più puntuali contenuti di azione ecclesiale, reputo necessario formulare qualche premessa. Intendo limitarmi alla situazione della Chiesa in Italia. Spesso faccio questo paragone. In un paese in cui l’87% degli abitanti se interpellato risponde di voler essere cattolico, le nostre comunità appaiono come un braccio. Come il braccio è uno, così la nostra Chiesa è una. Ma nel braccio si distinguono il braccio vero e proprio, che può rimandare ai non pochi battezzati un po’ smemorati, un avambraccio che fa pensare all’insieme dei praticanti della domenica, e la mano, costituita dagli “impegnati”. Come non auspicare che, come avviene nel nostro corpo, la capacità prensile della mano rimetta in moto l’azione dell’avambraccio e del braccio? Se ora passiamo dal paragone, che per sua natura è sempre inadeguato, ad una valutazione di questo stato di cose, si può dire che le Chiese in Italia debbano concepire la missione evangelizzatrice come la 8 rigenerazione del Popolo di Dio attraverso una proposta pastorale che mantenga in adeguato equilibrio fede e religione. Fede e religione non sono mai separabili. La fede, infatti, è una grazia donata all’uomo concreto, uno di anima e di corpo, di uomo e di donna, di individuo e comunità. Per questo è normalmente un fatto di popolo che si incarna in una religione. D’altro canto la religione, che per sua natura riveste di tradizioni caduche l’imperitura Traditio della Chiesa, ha bisogno della fede nell’evento di Gesù Cristo che continuamente la purifichi. Il lavoro di purificazione che le Chiese del Centro – Sud stanno compiendo sull’importante aspetto pastorale della pietà popolare ne è significativo esempio. L’azione missionaria dei cristiani in Italia può in concreto tendere alla rigenerazione del Popolo di Dio se si fa testimonianza di come l’incontro con Cristo investa tutti gli ambiti dell’umana esistenza. A partire dagli affetti, dal lavoro e dal riposo, genera una vita nuova che anticipa eucaristicamente su questa terra in modo germinale il destino di pienezza che la risurrezione della carne, garantita da Gesù Cristo, ci assicura. Nei fatti questo significa mostrare le implicazioni a livello antropologico, cosmologico e sociale dei misteri della vita cristiana - dalla Trinità fino alla vita eterna - enucleati nel credo e resi accessibili dal comandamento dell’amore invocato nella preghiera liturgica e personale. Questa è la strada per coniugare correttamente il rapporto fede e religione. Mi sembra, tuttavia, importante, dire una parola su cosa intendo con l’espressione implicazioni dei misteri cristiani. L’idea nasce da una formidabile opera di Henri de Lubac, Catholicisme, che aveva come felice sottotitolo: les aspects sociaux du dogme. Ricordo per inciso che la decisiva espressione di Gaudium et spes 22 che abbiamo richiamato («nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo»), è presa quasi alla lettera da questo volume. Rispetto ai tempi di De Lubac l’urgenza principale della missione e della testimonianza che oggi ci viene chiesta è quella di mostrare non solo gli aspetti (ma la parola implicazioni è più stringente) antropologici, ma anche quelli sociali e cosmologici della fede. Questo può assecondare l’opera di “convinzione” dello Spirito di cui parla san Giovanni. I misteri del cristianesimo, come ci ha insegnato lo Scheeben33, non identificano il non-ancora-noto, bensì il fondamento vivificante di tutto il reale – in ultima analisi la Santissima Trinità – che si comunica alla nostra libertà finita. La Trinità si dona a noi, ma lo fa con tale riguardo che noi non ne restiamo annientati. Il Roveto arde - e per questo attira - ma non si consuma. Continuamente arde a nostro beneficio. Il mistero è inesauribile. Ci alimenta, ma per noi viandanti resta mistero. Perché ci attira? Perché intercetta in noi il desiderio costitutivo di compimento. In concreto ciò significa che il mistero ci offre la via per cercare, in comunione con i nostri fratelli uomini, le risposte alle domande decisive e al modo inedito con cui la storia nella sua imprevedibilità le propone. Nei misteri cristiani, celebrati e vissuti nella liturgia, è implicata la possibilità di affrontare le questioni radicali che appaiono oggi come condizione di vita o di morte per l’uomo (antropologia), per il cosmo (ecologia), per i popoli (giustizia sociale). Questioni antropologiche, cosmologiche, sociali, che nel secolo scorso sembravano del tutto svincolate tra loro e addirittura irrilevanti, appaiono oggi indissolubilmente legate ed imponenti. La società delle reti e della globalizzazione mostra l’interdipendenza stretta di questi fattori nello stesso momento in cui rivela nella questione antropologica (l’uomo continuerà ad esistere?) la miccia di un esplosivo ad alto potenziale. Come risponder a quanti sostengono che la straordinaria somiglianza del DNA di tutte le specie viventi che le neuroscienze significa che non si dà più differenza di qualità di vita tra i generi vegetale, animale ed umano? Esistono solo differenze quantitative dentro l’unico continuum della vita? L’unità che, attraverso il corpo, l’uomo ha da sempre percepito col cosmo – in una parola, il suo costitutivo essere-nelmondo – ma che tuttavia non gli ha impedito la dissennata riduzione dell’ambiente a semplice contenitore di materiali a nostra disposizione, ci salverà dal rischio di distruggere il pianeta? La fame, la guerra, il terrorismo, la volontà di potenza di popoli su altri popoli sono un’ineluttabile prezzo del progresso come molti uomini del Nord del pianeta sembrano di fatto dare per scontato? Il soggetto ecclesiale, personale e comunitario, è chiamato a misurarsi con tutti questi interrogativi. Il Popolo di Dio in cammino li condivide con tutti i fratelli uomini e non gli è permesso disertare dall’agone contemporaneo. Il costitutivo dialogo ecclesiale con il mondo diventa l’annuncio gioioso e drammatico ad opera del testimone. Appassionato di ogni interlocutore il cristiano è teso ad instaurare un instancabile processo di verifica circa la capacità dell’evento di Gesù Cristo di saper interpretare e condurre a verità ogni frangente 33 Cfr. M.-J. SCHEEBEN, I misteri del cristianesimo, Morcelliana, Brescia 19682. 9 dell’esistenza umana. In questa prospettiva Gesù Cristo non è più un superadditum, ma rappresenta l’interlocutore contemporaneo della libertà di ciascuno e di tutti34. Rendere ragione della nostra speranza significa mostrare come la vita in Cristo, in tutti i suoi misteri, consente alla libertà di coloro che lo seguono di porsi al lavoro per affrontare, con i fratelli uomini, queste brucianti questioni. Mettersi all’opera come chi, per grazia, conosce la meta del proprio cammino. Conoscere la meta non significa conoscere le vie, i modi ed i mezzi concreti per raggiungerla. Il cristiano non cerca nella Rivelazione risposte preconfezionate alla triplice domanda antropologica, cosmologica e sociale. Nei misteri del Dio vivente egli cerca il significato certo del suo “esserci” che comprende la ragion d’essere della ricerca che ha in comune con tutti e trova inoltre, nella quotidiana esistenza della comunità, l’alveo in cui i misteri del cristianesimo gli aprono orizzonti di verità da condividere quale fertile terreno per il proprio lavoro. Per concludere vogliamo solo accennare a queste implicazioni antropologiche, cosmologiche e sociali della testimonianza cristiana che costituiscono il prolungamento nell’oggi di quella sensibilità per i cosiddetti problemi urgenti che caratterizzò la redazione della Gaudium et spes. 1. Implicazioni antropologiche Gli affetti sono parte dell’esperienza umana elementare. Con questa dimensione ogni uomo di ogni tempo ha a che fare tutti i giorni. Ora la radice dell’amore non si trova forse nel rapporto nuziale di Cristo Sposo con la Chiesa sposa che riflette, a favore di ogni uomo e di ogni donna, il nucleo incandescente che vive di personale differenza in perfetta unità nella Trinità stessa? Implicazioni antropologiche decisive del dogma trinitario e cristologico sono la differenza sessuale ed il suo strutturale orientamento all’amore oblativo e fecondo. Un mondo che non pensa la Trinità non sa pensare la differenza sessuale. Rendere visibile nel mondo la possibilità di amare per sempre ed in modo esclusivo nel matrimonio e quella di generare ed educare figli costituisce una strada decisiva per ridare speranza ai nostri fratelli uomini. Quella speranza di cui sono segno privilegiato ed escatologico coloro che sono stati chiamati a seguire Gesù Cristo nella vita verginale. Gesù ha posto il Regno dei cieli come ragione sia dell’indissolubilità del matrimonio che della verginità (cfr. Mt 19, 1-12). Ma non basta ridire la necessaria dottrina morale in proposito. Bisogna mostrare la rilevanza antropologica dei due misteri costitutivi del cristianesimo. Così, tra l’altro, parlando dell’amore che tutti sperimentano si annuncia a tutti Gesù Cristo ed il Dio Uno e Trino. Legate alla dimensione affettiva troviamo le delicate e complesse questioni bioetiche che riguardano la vita umana dal concepimento alla sua morte naturale. Possiamo forse limitarci a riproporre meccanicamente la risposta corretta a domande del calibro di chi è l’embrione? o quale vita e quale morte? Non è forse necessaria una rinnovata testimonianza dei cardini dell’esperienza umana elementare per indicare la strada di una retta comprensione della dignità dell’essere umano dal concepimento alla morte naturale? In proposito il mistero della risurrezione della carne dicendo il destino definitivo dell’uomo, non mette forse lo scienziato cristiano, pur nel pieno rispetto dell’oggetto e del metodo della sua ricerca, di fronte ad una affascinante ipotesi regolativa del proprio lavoro? Ecco un altro esempio di implicazione antropologica dei misteri cristiani. 2. Implicazioni cosmologiche Oggi è sempre più urgente evitare alla radice, almeno in linea di principio, due gravi rischi che comprometterebbero pesantemente il rapporto uomo-cosmo. Anzitutto quello di un antropocentrismo esasperato che fa dell’uomo il padrone assoluto del creato. Infatti, i protagonisti del rapporto uomo-creato non sono semplicemente due, la comunità degli uomini ed il cosmo, ma tre. Confermando quanto già contenuto nel secondo racconto della creazione (cfr. Gn 2, 4b-25) «L’unico rapporto etico che si può avere con la grandezza (così anche con Cristo) è la contemporaneità. Rapportarsi a un defunto è un rapporto estetico: la sua vita ha perduto il pungolo, non giudica la mia vita, mi permette di ammirarlo… e mi lascia anche vivere in tutt’altre categorie: non mi costringe a giudicare in senso deciviso», S. KIERKEGAARD, Diario, BUR, Milano 1988, 348. E così Kafka quando afferma: «Lei continuamente impara a proprie spese che si può salvare un altro soltanto mediante la propria esistenza. Ed ora mi ha già salvato con la sua esistenza e cerca ancora di farlo in un secondo tempo con altri mezzi, infinitamente minori. Se uno salva l’altro dall’affogare, compie beninteso una grandissima azione, ma se in seguito dona al salvato anche un abbonamento a lezioni di nuoto, a che serve? Perché cerca, questo salvatore, di alleggerirsi il compito, perché non vuol continuare a salvare l’altro ancora con la sua esistenza, con la sua esistenza sempre pronta, perché vuol scaricare il compito sulle spalle di maestri di nuoto?», F. KAFKA, Lettere a Milena, Praga 31 luglio 1920. 34 10 vi è un Terzo che mette in relazione uomo e creato: Dio che, fin dall’inizio, pose l’uomo nel “giardino” perché lo coltivasse e lo custodisse. Uomo e cosmo sono uniti nell’unica historia salutis guidata da Dio. Nella redenzione, Cristo apre la prospettiva della glorificazione finale all’uomo e al cosmo, ridimensionando definitivamente ogni pretesa antropocentristica. In secondo luogo l’equilibrato rapporto tra Dio, uomo e cosmo esclude ogni biocentrismo o ecocentrismo che conduca ad eliminare la differenza ontologica e assiologica tra l’uomo e gli altri esseri viventi35. Sviluppare le implicazioni cosmologiche contenute nei sacramenti celebrati nella liturgia – acqua, pane, olio, frutti della terra e del lavoro dell’uomo sono assunti ed acquistano nuovo significato dalla libera accettazione dell’opera dello Spirito - conduce a considerare l’ambiente vissuto dall’interno e non di fronte all’esperienza umana elementare. In quest’ottica Giovanni Paolo II ha parlato dell’ambiente come casa e dell’ambiente come risorsa36. I due termini dicono il valore dell’ambiente per l’uomo. Quando la tecnologia, l’economia e la politica smarriscono questo concreto orizzonte perdono di umiltà. E se si staccano dalla “terra” (umiltà viene da humus) cadono inesorabilmente nell’“ideologia”. Allora l’ambiente come risorsa minaccia l’ambiente come “casa”. 3. Implicazioni sociali Sul piano sociale urge proporre concretamente una nuova civiltà dal volto umano, fatta di affetti, lavoro, riposo concepiti come generatori di “vita buona” sul piano personale e sociale. Amando e lavorando in Cristo e per Cristo senza temere sacrificio e dovere, il desiderio e la libertà trovano la via sicura del compimento. Si diventa uomini condotti dalla logica dell’Incarnazione a condividere le forme più elementari del desiderio, a partire dal bisogno (cfr. At 4, 32-35; Rm 15, 25-27; 1Cor 16; 2Cor 8). Ed è del tutto naturale che più il bisogno è imponente e radicale più provochi la libertà di condivisione del cristiano. In questo modo si verrà configurando una cultura sociale imperniata sui principi della solidarietà e della sussidiarietà, costantemente approfonditi dal Magistero sociale della Chiesa. Si sarà capaci di incontrare e collaborare con uomini e donne di tutte le latitudini e longitudini nell’edificazione di forme sostanziali di democrazia e di buon governo. In proposito il mistero cristiano della communio, pensato nella sua radice ed in tutte le sue conseguenze, contiene implicazioni sociali decisive. Non è un caso che il Santo Padre, nell’enciclica Deus caritas est, abbia richiamato i fedeli laici a percorrere la strada della purificazione dell’amore. Una strada che va simultaneamente dall’eros all’agape e dalla giustizia alla carità37. I cristiani - dice il Papa - in quanto «cittadini dello Stato, sono chiamati a partecipare in prima persona alla vita pubblica. Non possono pertanto abdicare “alla molteplice e svariata azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune”»38. L’importanza di questa testimonianza nel sociale, in grado di distinguere i diversi ambiti dall’interno dell’unità vitale del soggetto, è segnata da una chiara coscienza del rapporto tra diritti, doveri e leggi. A questo riguardo è significativo il peso che ultimamente ha avuto il dibattito su cosa siano “religione” e “laicità”, almeno in Europa e negli Stati Uniti. Da una parte vi è chi assolutizza il rapporto cittadino-Stato, relegando nel privato ogni appartenenza o identità (culturale, religiosa). Si giunge così ad un’ipertrofia dei diritti, sganciati dai doveri e dalle leggi, e alla separazione tra pubblico e privato. Essa porta inevitabilmente con sé una concezione formalistica della democrazia. Censurando la dimensione religiosa dell’uomo l’ordinamento statuale tende quasi inevitabilmente ad occupare il posto di Dio. Dall’altra parte assistiamo ad un’enfatizzazione delle “differenze” culturali, religiose ed etniche fino a renderle tra loro incomunicabili. Da qui l’impossibilità di pensare la comune appartenenza alla famiglia umana. Non si riesce a fondare l’universalità e, quindi, a stabilire un termine di paragone fra le diversità sulla base dell’esperienza elementare di ciascuno e di tutti. L’antropologia che nasce dall’incontro con il Risorto, proprio perché rispettosa della natura specifica dell’esperienza elementare, permette di non lasciarsi irretire in simili posizioni. L’uomo, costitutivamente 35 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti ad un convegno su ambiente e salute, 24 marzo 1997, n. 5. Cfr. ID., Discorso ai partecipanti ad un Convegno su ambiente e salute, 24 marzo 1997, n. 2: «L’epoca moderna ha registrato una crescente capacità d’intervento trasformativo da parte dell’uomo. L’aspetto di conquista e di sfruttamento delle risorse è diventato predominante e invasivo, ed è giunto oggi a minacciare la stessa capacità ospitale dell’ambiente: l’ambiente come “risorsa” rischia di minacciare l’ambiente come “casa”». 37 Cfr. A. SCOLA, Introduzione e commento a Deus caritas est, Cantagalli, Siena 2006, 108-112. 38 BENEDETTO XVI, Deus caritas est 28. 36 11 religioso, è capace di ospitare tutto il reale che a sua volta, nei suoi lineamenti essenziali, è conoscibile. La società è sempre correlata alla persona, pertanto la separazione tra pubblico e privato è arbitraria. Il cristiano propugna una visione dell’uomo e della società a misura di tutti, non teme la natura plurale delle moderne realtà civili perché stima i corpi intermedi in cui il singolo è sempre inserito. È così aiutato a non vivere individualisticamente i diritti, perciò stima il dono della vita, l’oggettiva natura dei rapporti affettivi, familiari e sociali, ed è convinto che si possano coniugare giustizia e carità. I cristiani sono chiamati in proposito a testimoniare la natura intrinseca alla loro fede dell’ecumenismo e del dialogo interreligoso. L’ecclesiologia propugnata dal Vaticano II, non ultimi gli aspetti legati al rapporto universale-particolare e libertà-autorità, può offrire implicazioni assai utili per pensare il sociale. IV. CONCLUSIONE La Chiesa e la città. Le Chiese di Abruzzo e Molise si interrogano sulla Gaudium et spes. Così suona la ragione di questo vostro convenire. Per questo, personalmente e come comunità cristiane, siamo chiamati ad una testimonianza integrale che, partendo dall’annuncio della croce e risurrezione di Gesù Cristo, giunga fino a queste implicazioni che sono essenziali e chiedono di essere considerate come intrinseche a tale annuncio. Né riduzione della nostra fede ad etica privata o pubblica, né trasformazione dell’integrale annuncio cristiano - l’eterno che brilla nel tempo - a religione civile che funga da puro collante di una democrazia affaticata, né fede che rinneghi la religione in nome di più o meno mascherate diaspore “profetiche e critiche”, ma il coraggio semplice di essere Chiesa, Popolo di Dio che attraversa la storia, tutta la storia, testimoniando la bellezza dell’evento di Gesù Cristo che ci apre alla salvezza eterna donandoci come caparra il centuplo quaggiù. Un simile popolo rischia l’avventura più appassionante: quella della speranza, che come diceva Péguy, sa parlare agli uomini perché è la virtù bambina. Per questo vogliamo essere testimoni del Risorto che è, più che mai oggi, speranza per il mondo. 12