platone - Eliscuola

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PLATONE (Aristocle)
Atene 428/427 – 347
Platone è uno dei più grandi pensatori della storia della filosofia occidentale. La sua opera investe i campi della
metafisica, della gnoseologia, dell'etica, dell'estetica, della cosmologia… e trova nella POLITICA la sua
giustificazione più profonda. Il suo interesse per la politica rappresenta il riflesso di una mente POLIEDRICA e
UNIVERSALE.
VITA e OPERE
Platone nacque ad Atene da una famiglia aristocratica nel 428/427 a.C.
Suo padre sosteneva di essere discendente del mitico re Codro, sua madre era parente di
Solone e un suo prozio, Crizia, era capo dei Trenta tiranni. Per Platone, ciò significò che, fin dalla nascita, egli
fosse predestinato ad entrare in politica.
L'educazione adatta gli fu impartita dai sofisti e da Socrate che cominciò a frequentare a vent'anni. Secondo
quello che egli stesso dice nella Lettera VII (che è di fondamentale importanza per la sua biografia e per
l'interpretazione della sua stessa personalità), avrebbe voluto dedicarsi alla vita politica e le occasioni, per farlo
furono molteplici: sia a fianco dei Trenta tiranni (governo oligarchico guidato dal generale Lisandro), sia nel
partito democratico che effettuò la condanna di Socrate. Platone rifiutò entrambe le offerte perché la morte di
Socrate lo dissuase dal fare politica in patria, ma non per questo rinunciò a perseguire l'ideale di un reggimento
filosofico della città. «Io vidi, egli dice, che il genere umano non sarebbe mai stato liberato dal male, se prima
non fossero giunti al potere i veri filosofi o se i reggitori di Stato non fossero, per divina sorte, diventati
veramente filosofi».
Negli anni seguenti, iniziò una serie di viaggi: si recò a Megara, poi in Egitto e a Cirene.
Infine giunse nell'Italia meridionale, a Taranto, dove venne a contatto con la comunità pitagorica e soprattutto a
Siracusa dove strinse amicizia con Dione, parente e consigliere del tiranno Dionisio il Vecchio.
Entrato in conflitto con Dionisio, fu venduto come schiavo. Riscattato, ritornò ad Atene, dove fondò nel 387 a.C.
l'ACCADEMIA. La scuola di Platone, così chiamata perché istituita nel ginnasio fondato da Accademo, fu
organizzata sul modello delle comunità pitagoriche come un'associazione religiosa. Durante i suoi viaggi Platone
constatò che nessuna città era governata bene, da tale consapevolezza derivò la sua considerazione più
importante: LA PRINCIPALE CONDIZIONE PER GOVERNARE BENE È SAPERE COSA SIA IL BENE DI
CONSEGUENZA IL GOVERNO DEVE ESSERE ESERCITATA DA “COLORO CHE SANNO IL BENE”: I FILOSOFI.
Platone indicò, quindi, un nuovo modo di intervenire in politica: formare i futuri politici. Proprio a questo scopo
fondò l'Accademia. In questa scuola i discepoli discorrevano su temi etici e politici, ma anche di matematica e
astronomia perché è LA VIRTÙ PRESUPPONE LA SCIENZA ossia la conoscenza del bene.
Alla morte di Dionisio, Platone fu richiamato a Siracusa da Dione alla corte del nuovo tiranno Dionisio il Giovane,
per guidarlo nella riforma dello Stato in conformità con il suo ideale politico (UNIRE LA POLITICA ALLA FILOSOFIA
NEL GOVERNO DELLA POLIS). Ma l'urto fra Dionisio e Dione, che fu esiliato, rese sterile ogni tentativo di
Platone. Alcuni anni dopo, Dionisio stesso lo richiamò insistentemente alla sua corte e Platone vi si recò nel
361, spinto anche dal desiderio di aiutare Dione, che era rimasto in esilio. Ma nessun accordo fu raggiunto e
Platone, dopo essere stato trattenuto per un certo tempo, quasi come prigioniero, lasciò Siracusa e ritornò ad
Atene. Qui egli trascorse il resto della sua vita, dedito solo all'insegnamento. Morì a 80/81 anni, nel 347,
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lasciando i propri averi in eredità ai suoi continuatori nella direzione dell'Accademia, la quale durò per più di otto
secoli, fino a quando fu chiusa per ordine di Giustiniano nel 529 d.C.
Il corpus delle opere di Platone è composto dall'Apologia di Socrate, da 34 dialoghi e da 13 lettere,
complessivamente 36 titoli ordinati in 9 tetralogie dal grammatico Trasillo (I sec. d. C.).
La principale fonte che ci permette di comprendere il pensiero di Platone è, come abbiamo detto, la Lettera VII,
una sorta di autobiografia di cui l’autenticità non è certa, ma la storicità della lettera è attendibile.
La scelta del DIALOGO è dettata dal fatto che per Platone esso sia la forma più adatta a rappresentare le
conversazioni orali proprie di una filosofia intesa come discussione dialettica.
Le opere possono essere suddivise in tre gruppi:
- OPERE GIOVANILI: prima dell'Accademia (rapporti con Socrate e coi sofisti)
- OPERE della MATURITÀ: tra la fondazione dell'Accademia e il secondo viaggio (teoria dello Stato)
- OPERE della VECCHIAIA: scritte a Siracusa e dopo il definitivo ritorno ad Atene (teoria dell’anima e della conoscenza)
Oltre a queste opere, è bene ricordare l’insieme delle cosiddette “dottrine non scritte” cioè non contenute nelle
opere a noi arrivate: le “lezioni sul bene”. In relazione ad esse si è svolta, all’interno del mondo filosofico, una
disputa sulla verità delle dottrine stesse.
Con Platone entriamo in tutto un altro mondo rispetto quello di Socrate; innanzitutto, in un mondo storicamente
molto diverso: mentre Socrate ha vissuto l'apogeo della potenza ateniese, Platone vive nell'Atene che è stata
sconfitta da Sparta. In secondo luogo, lo stesso Platone è una figura molto diversa da Socrate. Non c'è niente di
particolarmente pittoresco in Platone: egli era un aristocratico estremista, molto critico nei confronti della
democrazia, la riteneva un male minore rispetto alla tirannide, di cui era però, a suo avviso, l'anticamera. Nella
storia politica, secondo Platone, il governo migliore e quello aristocratico, perché è il “governo dei migliori”. Poi il
governo aristocratico si corrompe e diventa governo oligarchico, cioè “governo di pochi”, ma non
necessariamente migliori; successivamente diventa democratico, cioè “governo del popolo”, e infine dalla
democrazia si passa appunto alla tirannide. Platone pensava che il governo perfetto fosse quello di “un re che si
fa filosofo o di un filosofo che si fa re”.
Per Platone la filosofia, più che semplicemente per interrogare, come suggeriva Socrate, è fatta per costruire:
costruire il mondo sociale e spiegare come è costruito il mondo fisico.
LA RICERCA DEL BENE
Il punto di partenza della ricerca platonica è il desiderio di elaborare una riflessione in grado di orientare la
società verso il BENE. Platone, attraverso la filosofia, intende fornire una rinnovata visione dell'essere e
dell'uomo capace di sostenere un progetto politico radicalmente nuovo.
Platone sviluppa la sua filosofia affrontando ed analizzando quattro problemi (non consequenziali, ma
interconnessi):
1. PROBLEMA ONTOLOGICO (2° navigazione – dottrina delle idee – Demiurgo)
2. PROBLEMA GNOSEOLOGICO (sapere è ricordare – anima reminescenza)
3. PROBLEMA MISTICO-RELIGIOSO (prove immortalità dell’anima – mito della biga)
4. PROBLEMA POLITICO (mito della caverna)
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Cardine dell'intera riflessione platonica è
LA DOTTRINA DELLE IDEE
Mentre Socrate diceva di non sapere, Platone dichiara apertamente di sapere, di sapere una grande quantità di
cose e di sapere insegnare nel modo migliore e più organizzato dal punto di vista razionale. Ma qual è l’idea
metafisica su cui Platone costruisce tutto il suo sistema? L'idea è abbastanza semplice: si tratta appunto delle
“IDEE”. Per Platone non esistono “principi” eterni e immutabili, tutto il mondo sensibile è composto da materia
che il tempo logora, ma ogni cosa è costituita da una “forma” atemporale, eterna e immutabile: IDEA/MODELLO
Le idee rappresentano, quindi, il parametro eterno e immutabile per giudicare la realtà, hanno una propria
esistenza autonoma rispetto al pensiero umano: sono entità immutabili e perfette, vere e proprie sostanze ideali
poste in un altro mondo, il MONDO DELLE IDEE o IPERURANIO, che in greco significa letteralmente "al di là" del
cielo e quindi "al di là" delle cose sensibili. Sono un numero limitato.
Es: un foglio rettangolare, un registro, un taccuino, un libro hanno in comune l’”essere rettangolari”, ma nessuno
di questi oggetti coincide con il rettangolo in quanto tale. Tutte queste cose hanno qualcosa in comune, però
questo qualcosa non sta dentro gli oggetti stessi. Secondo Platone questo qualcosa, che hanno in comune
gli oggetti simili, è l'idea; idea che sta fuori dallo spazio e dal tempo (nell’iperuranio).
L’IDEA È AL DI LÀ DEL MUTARE DELLE COSE DENTRO IL MONDO, È QUALCOSA DI PERENNE FUORI DAL MONDO
CHE NE È L’ORIGINE E IL FONDAMENTO.
Di ciò che appartiene al mondo sensibile noi abbiamo solo PERCEZIONI INSICURE (non riusciremo mai a
conoscere qualcosa che muta continuamente) di conseguenza la VERE CONOSCENZA l’abbiamo solo di ciò che
vediamo con la RAGIONE (identica in tutti gli esseri umani, eterna e universale perché si esprime su relazioni
eterne ed universali)
⇓
SENSI → CONOSCENZA INCERTA: NULLA È TUTTO SCORRE (dòxa)
RAGIONE → CONOSCENZA CERTA: IDEE UNIVERSALI, ETERNE E IMMUTABILI (epistème)
Anche l’uomo è diviso in due parti:
-
SENSI: inattendibili, legati al corpo
-
ANIMA: immortale, sede della ragione (poiché non è costituita da materia può guardare al mondo delle idee)
La conoscenza delle idee è la scienza che devono possedere i filosofi (Repubblica)
1. PROBLEMA ONTOLOGICO
A) Platone parla di 1° navigazione riferendosi al percorso dei filosofi naturalisti: scoperta del mondo sensibile
(SENSI) e di 2° navigazione riferendosi al proprio apporto: la scoperta dell’essere intelligibile non visibile ai
sensi, ma solo alla RAGIONE.
La 2° navigazione, fatta con le proprie forze, porta alla consapevolezza dell’esistenza di due piani dell’essere:
essere, non più UNIVOCO (Parmenide), ma sensibile ed intelligibile al tempo stesso. Platone arriva a questa
conclusione riflettendo sulla morte di Socrate, non spiegabile in maniera materialistica, essendo Socrate MORTO
PER UN IDEALE (la giustizia).
Le cose sono quello che sono perché espressione di qualcosa che non si vede (es.: bello beltà; Socrate in
carcere per un ideale non per cause meccaniche/fisiche).
Questa intuizione platonica rappresenta la TAPPA PIÙ IMPORTANTE DELLA METAFISICA OCCIDENTALE
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B) Stabilito che le cose sensibili esistono Platone si chiede: Qual è la CAUSA delle COSE SENSIBILI ?
È l’Idea
Ma cosa differenzia l’idea di Platone dal moderno concetto?
Mentre per i la maggior parte dei filosofi moderni gli oggetti (sedie, uomini,…) sono le cose concrete e i concetti
sono cose astratte (ente logico); per Platone gli oggetti che abbiamo nel mondo sono SEMPLICE APPARENZA
(sedie, uomini…) mentre la cosa concreta, vera, che non cambia è l’idea (di sedia, di uomo…) che sta fuori dal
mondo. Ciò perché è la cosa che non cambia e ciò che è eterno si coglie con la mente e non con i sensi. L’idea
è ciò che una cosa è veramente, non un ente logico, ma REALTÀ ONTOLOGICA.
Per Platone esistono davvero due mondi: il mondo delle apparenze e il mondo delle idee - MITO DELLA
CAVERNA -
La scoperta della teoria delle idee nasce da un approfondimento del CONCETTO DI SCIENZA (ciò che STA, che
è veramente, non ciò che muta). La scienza è quindi sapere di ciò che è, ma qual è l’oggetto della scienza? È
l’Idea, infatti, la scienza non pensa alle cose mutabili, ma all’Idea (stabile) all’ESSENZA (non visibile, ma che
sta).
Platone individua QUATTRO GRADI DELLA CONOSCENZA (Mito della caverna – Teeteto):
→ 2 SENSIBILI (sapere incerto, “opinione”, mondo sensibile, doxa):
→ IMMAGINAZIONE (eikasīa)
→ CREDENZA (pistis)
→ 2 INTELLIGIBILI (sapere certo, idea, epistème):
→ CONOSCENZA INTERMEDIA CONCETTUALE (diánoia)
→ CONOSCENZA PURA o INTUIZIONE SPIRITUALE (noésis)
Nel “Fedone” , Platone analizza le CARATTERISTICHE DELLE IDEE. Esse sono:
-
IN SÉ E PER SÉ → perseità
-
ASSOLUTE → opposto del relativismo di Eraclito e Protagora
-
IMMUTABILI → identiche a sé, sottratte al mutare delle cose
-
ESSERE in senso pieno → rendono ragione del divenire (Parmenide)
Le Idee sono inoltre caratterizzate dal limite e dall'illimitato (ovvero finito ed infinito):
-
appartengono al LIMITE le idee caratterizzate da numero e misura (Idee in genere, i numeri, i rapporti ecc.);
-
appartengono all' ILLIMITATO le qualità caratterizzate dal più e dal meno (caldo, freddo, forte, debole, amaro
dolce ecc.);
-
ci sono poi moltissime cose che appartengono al cosiddetto GENERE MISTO, che comprende tutte quelle
cose che hanno un inizio ed una fine (la salute, le stagioni, una musica ecc.). Il genere misto è importante
anche in ambito morale, poiché la vita migliore è quella in cui si troverà una mescolanza proporzionata di
intelligenza e di piacere.
La dottrina delle idee ha per Platone anche un profondo significato ETICO, cioè serve a fornire all'uomo un
criterio di comportamento in vista della realizzazione della sua perfezione (areté). Infatti, affinché sia possibile la
virtù e quindi sia possibile un'etica, è necessario che esistano dei valori oggettivi, immutabili e universali. Se
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non esistessero il Bene, il Bello, il Buono ecc. in sé, come potremmo noi giudicare un comportamento bene,
bello, buono ecc.?
Dunque le Idee di tali valori esistono, sono immutabili perché sempre uguali e in più vengono riconosciuti come
tali da tutti, e sono quindi UNIVERSALI. Tra tutte le Idee, la più alta realtà esistente è l'Idea del Bene: essa è il
principio di tutte le idee ed è quindi al di sopra di essa; non si può chiamarla Dio solo perché essa non è un
soggetto, ma può essere solo oggetto di intelligenza e di amore.
Il successivo interrogativo al quale deve risponde Platone è: DOVE SONO LE IDEE ?
Abbiamo già detto che per Platone le idee hanno un’esistenza reale in un altro mondo (iperuranio) di
conseguenza esse sono TRASCENDENTI, non immanenti proprio perché hanno un esistenza separata dalle
cose sensibili. Ma che rapporto esiste tra i due mondi ? Per Platone essi non sono separati nettamente, ma IN
RAPPORTO. Egli individua quattro diversi tipi di rapporto tra COSE e IDEE:
1. IMITAZIONE del mondo vero: MIMESI
2. PARTECIPAZIONE: le cose partecipano alle idee (METESSI)
3. COMUNANZA: le cose hanno in comune con le idee l’ESSERE
4. PRESENZA: le idee sono presenti nel mondo SENSIBILE
Nel “Timeo”, Platone analizza la figura del DEMIURGO (artefice, sorta di architetto) per spiegare l’origine
dell’Universo (COSMOGONIA) e la relazione tra idee e cose. Si tratta di un racconto verosimile (non mito) perché
indaga l’ambito del divenire, quindi una realtà sensibile tra essere e dover essere.
Il Demiurgo plasma la MATERIA PRIMA (assolutamente informe) alla luce del mondo delle idee, a FIN DI BENE (le
idee sono il modello ideale da imitare). Il COSMO è, quindi, positivo perché creato a fin di bene e principio di
ordine e misura. La cosmogonia platonica riduce il tutto a RAPPORTI MATEMATICI. Il Demiurgo introduce una
proposizione matematica tra terra, fuoco, aria e acqua e impone FORMA e NUMERI agli elementi.
Anche il cosmo è animato: l’anima mescola tra loro l’ identico, il diverso e il misto; il corpo gli da’ forma sferica e
lo fa ruotare su se stesso. Il cielo e gli astri, intorno alla Terra, essendo in movimento, danno la misura del
tempo: immagine MOBILE contrapposta all’eternità delle idee.
Il Demiurgo è, quindi, l'artigiano divino, dotato di intelletto e volontà che, essendo buono e amante del bene,
mette ordine tra le cose del mondo (forma il cosmo) che, in origine, erano un ammasso informe o caos. La
materia è resa viva dall'Anima del Mondo che, appunto, trasforma l'universo in un immenso organismo vivente,
ed in esso si riflette l'armonia del mondo delle Idee. Il Demiurgo genera anche il tempo, che è l’"immagine
mobile dell'eternità" poiché riproduce, col succedersi degli eventi, l'ordine che c'è nell'eternità. Il Demiurgo,
comunque, è solo l'artefice delle cose naturali e non delle Idee e tanto meno dell'idea suprema, quella del Bene.
La divinità è costituita da vari dei, ed il Demiurgo è solo uno dei tanti anche se “capo gerarchico”.
Che rapporto intercorre tra le idee , la materia ed il Demiurgo ? Tutti e tre sono coeterni, sono sempre esistiti. A
differenza della divinità cristiana , che crea il mondo, quella platonica si limita a plasmarlo e non è onnipotente :
ha infatti due limiti : la materia, che gli impedisce di costruire un mondo perfetto, e le idee che sono il modello a
cui deve per forza attenersi. Il Demiurgo guarda sì al meglio, ma il suo comportamento è dato da qualcosa da lui
esterno ed indipendente.
Platone spiega il perché della nascita dell’universo attraverso un PRINCIPIO DI CAUSALITÀ: tutto ciò che nasce,
nasce per qualcosa. In particolare Platone individua tre cause necessarie:
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1. DEMIURGO: “artefice divino”, “fattore e padre dell’universo” che, essendo nato, deve essere stato fatto da
qualcuno; essere intelligente, attivo e buono, MA NON CREATORE, opera imitando un modello, una realtà
intelligibile ed eterna, cioè il mondo delle idee.
2. MONDO DELLE IDEE: “vivente perfetto” che costituisce il modello dell’universo (essendo l’universo animato
anche il modello dev’essere animato ossia vivente); esemplare eterno, superiore al Demiurgo.
3. LUOGO dove si agitavano acqua, aria, terra e fuoco, prima che il Demiurgo le ordinasse; in quanto caos il
luogo è causa “opposta” rispetto al Demiurgo. Esso è spazio, contenitore, ricettacolo, madre, sede,
disordine… dove le cose, immagini delle idee, vengono a collocarsi per prendere corpo.
LA CLASSIFICAZIONE DELLE IDEE
Platone raggruppa le idee in tre grandi tipologie: le idee che si riferiscono ai valori dell'etica, dell'arte e della
politica; le idee che corrispondono gli enti matematici universali; le idee degli oggetti naturali o artificiali.
L'universo ideale, pertanto, viene considerato con una dimensione articolata e gerarchicamente organizzata,
al cui vertice si pone, appunto, L'IDEA DEL BENE, LA PIÙ PERFETTA DI TUTTE, PARAGONATA ALLA LUCE DEL
SOLE: come quest'ultimo è causa della visibilità degli oggetti sensibili, così l'idea del bene è la fonte di ogni
conoscenza.
Le Idee sono tra loro connesse da rapporti reciproci, alcune, ad es., sono più "generali" di altre, dunque tra esse
vi è una sorta di gerarchia, in cui alcune idee ne includono altre e ne escludono altre ancora.
L'attività razionale a cui compete l'indagine del mondo delle Idee è chiamata da Platone dialettica, e si identifica
in pratica con la filosofia.
La filosofia fa fare il percorso al contrario: obiettivo della conoscenza è la contemplazione delle idee (etica e
ascetica) perché solo così l’anima realizza la propria felicità ⇒ la morte è da desiderarsi, in quanto permette di
tornare a contemplare le idee (non c’è più il corpo che ostacola).
Nel “Parmenide” Platone chiarisce i principi della dottrina delle idee ed affronta un ulteriore problema: il rapporto
IDEA/ESSERE. Ciò è necessario in quanto la dottrina delle presentava delle difficoltà: infatti, finché si tratta di
ammettere idee di caratteristiche generali (il simile, l'uno ecc.) oppure di valori (giusto, vero, buono ecc.) non vi
sono obiezioni. Ma vi possono essere le idee di cose che non sono valori, come il fuoco, l'acqua, l'uomo? E vi
possono essere idee di cose negative come ad es. la sporcizia?
La risposta di Platone è che l' “IDEA È LA FORMA UNICA DI UNA MOLTEPLICITÀ”. Definita in tale modo, ogni
idea è identica a sé stessa e diversa dalle altre, come di ogni cosa possiamo dire che è se stessa e non è le
altre cose. Da questo punto di vista, Platone può parlare anche del non-essere (e quindi di Parmenide) nel
senso che dire di una cosa che essa non è ... non significa necessariamente che essa non sia in senso
assoluto, bensì che essa è diversa dalle altre ("parricidio di Parmenide")
RICAPITOLANDO:
1. L’ESSERE ELEATICO È FISICO (Parmenide): non ammette molteplicità, perché implicherebbe il nonessere (essere è: assolutamente UNO)
2. L’ESSERE PLATONICO È METAFISICO: occorre superare Parmenide perché il molteplice non implica il
non-essere (essere è insieme UNO – in quanto universale- e MOLTI – poiché partecipe di molte cose)
⇓
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Platone parla di “generi” sommi, supremi dell’essere, cioè delle idee generalissime di cui partecipano tutte le
idee. Diverso non è il nulla, come sosteneva Parmenide, DIVERSO È DIVERSO
A questo punto i caratteri propri dell’idea sono:
- ESSERE
- IDENTICO
- DIVERSO
Concetto di idea come concetto
RAZIONALE di UNITÀ
- QUIETE
- MOVIMENTO
2. PROBLEMA GNOSEOLOGICO
Platone espone la propria teoria della conoscenza nel “Menone”
Ultima questione da risolvere è: da dove vengono all'anima umana le idee?
Su cosa fonda Platone la teoria delle idee ?
Nel “Menone” il filosofo racconta di uno schiavo (Menone) in grado di risolvere il teorema di Pitagora. E si chiede
come sia possibile. La soluzione di Platone è che Menone risolve il problema perché ha già in sé i criteri di
soluzione ⇒ CONOSCENZA PREGRESSA: SAPERE È RICORDARE
La tesi di Platone si basa sul RICORDO e si sviluppa in tre momenti:
1. la nostra anima è preesistente al corpo e immortale, prima di cadere nel corpo, ha visto tutte le idee e
conosciuto tutti i principi nell’iperuranio;
2. con la nascita l’anima è entrata nel corpo e ha cominciato una nuova vita in cui conosce le cose
SENSIBILMENTE
3. questa conoscenza sensibile (RICERCARE ed APPRENDERE) è in realtà il ricordo di ciò che l’anima ha
sperimentato nel mondo delle idee.
Le Idee sono, quindi, come dimenticate in fondo all'anima e vengono apprese, conosciute, ogni volta che l'anima
ci riflette sopra. Così conoscere non è altro che ricordare e cioè riportare alla luce della coscienza le Idee che
sono come sepolte in noi.
TUTTO IL NOSTRO SAPERE È IN REALTÀ SOLTANTO UN RICORDARE, ED È RICORDARE CHE CI RIPORTA A
QUELLO STATO DELLA NOSTRA VITA ANTERIORE ALLA CADUTA NEL CORPO
È questa la DOTTRINA DELL'ANIMA E DELLA REMINISCENZA: una volta affermata la natura universale e
immutabile delle idee, Platone risolve così il problema di come la nostra anima arrivi a conoscere le idee.
Nella dottrina delle idee, per rispondere a questo interrogativo, Platone riprende la dottrina orfica della
reincarnazione: l'anima umana, essendo di natura divina, prima di incarnarsi viveva nel mondo ideale, dove
poteva contemplare tutti gli esemplari perfetti delle cose; nel "trauma" della nascita dimentica ciò che ha
appreso, ma la sua conoscenza si risveglia a contatto con le cose sensibili che partecipano del mondo ideale.
Per Platone, dunque, conoscere è ricordare e l'esperienza ha solo la funzione accessoria di sollecitare tale
reminiscenza.
È nel “Fedone” (il dialogo sull’immortalità dell’anima che segnerà la tradizione spirituale dell’occidente) che
Platone analizza il rapporto tra sensazione ed idea; come abbiamo visto la sensazione fornisce l’occasione per
riaccendere nell’anima il ricordo delle idee. Noi conosciamo (CONSTATIAMO) con i sensi, ma se riflettiamo
comprendiamo che i dati dell’esperienza trasmettono l’idea (CRITERO UNIVERSALE); secondo Platone c’è una
sproporzione tra ciò che incontriamo (cose sensibili) e i criteri di giudizio universali.
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Lo strumento più adatto a “guidare” il percorso conoscitivo, sarà naturalmente la filosofia → l’uomo-filosofo
percorre una strada (VITA) nell’intento di riportare a casa la propria anima, ma la maggior parte degli uomini si
accontenta di vivere in UN MONDO DI OMBRE → MITO DELLA CAVERNA
Nel VII libro della Repubblica vieni narrato uno dei più famosi miti di Platone, cioè il “MITO DELLA CAVERNA”.
Dentro questo mito possiamo vedere incarnato e rappresentato l'ideale della conoscenza della filosofia
secondo Platone.
Platone racconta che gli uomini possono essere paragonati ad alcuni uomini incatenati, posti all'interno di una
caverna, i quali sono costretti a volgere lo sguardo sulle pareti di essa, su cui si proiettano le ombre delle cose
esterne, grazie ad un fuoco posto all'esterno dell'antro. In un primo tempo, gli schiavi scambiano la vera realtà
con le ombre (verità come percezione di immagini, eikasia). In seguito uno di essi riesce a voltarsi e si rende
conto che la realtà non era l'ombra ma l'oggetto corrispondente (verità come credenza,pistis). Poi riesce a
liberarsi e va all'esterno, dove prima è abbagliato dal Sole ma, quando riesce ad abituarsi alla luce, scopre
gradualmente la verità fino a contemplare il Sole stesso (conoscenza razionale, dianoia, e poi filosofica, noesis).
Egli però non se ne va via, ma ritorna alla caverna per far partecipi gli altri di ciò che ha visto, a rischio di essere
preso per matto. Il che significa che il filosofo non deve limitarsi a contemplare da solo la verità, ma è importante
il suo ritorno alla caverna per aiutare gli altri ad arrivare alla conoscenza del vero bene. (immagine del coraggio
della filosofia e della sua responsabilità pedagogica -ved. probl. politico)
Il mito della caverna rappresenta una sintesi del pensiero politico, ontologico e gnoseologico di Platone: gli
oggetti rappresentano livelli successivi. Proviamo a trovare la corrispondenza tra l’oggetto e il significato ad esso
attribuito dal filosofo:
-
CAVERNA …………………………………………….
-
SCHIAVI …………………………………………….
-
CATENE …………………………………………….
-
OMBRE …………………………………………….
-
STATUETTE
-
FUOCO …………………………………………….
-
LIBERARSI dalla CATENE …………………………………………….
-
MONDO …………………………………………….
-
SOLE …………………………………………….
…………………………………………….
Cerchiamo adesso di attribuire un significato allo SCHIAVO che TORNA nella caverna
………………………………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………………………………
3. PROBLEMA MISTICO-RELIGIOSO (REMINESCENZA – IMMORTALITÀ)
Nel “Gorgia” Platone critica i sofisti ed analizza il destino di Socrate:
- la sofistica non è in grado di pervenire alla comprensione razionale
- la sofferenza di Socrate lo porta a riflettere sul ruolo della giustizia →
- l’uomo giusto non è felice, ma vittima delle barbarie → vince chi è più forte (Gorgia: concetto di giustizia
relativa; non esiste giustizia, ma il proprio tornaconto personale).
Partendo da queste riflessioni Platone affronta il problema del DESTINO ESCATOLOGICO (destino ultimo
dell’uomo e del mondo): - Che ne sarà dell’uomo?
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- Che ne sarà della sua ANIMA? È IMMORTALE o MORTALE ?
Per Platone l’anima è immortale e vivere, per l’anima, vuol dire vivere PURIFICANDO l’anima in un progressivo
sviluppo. Platone, prima di analizzare il destino dell’anima, ne dimostra l’immortalità attraverso alcune PROVE
(“Fedone” e “Repubblica”) tra cui:
1. PROVA dei CONTRARI: i contrari si escludono, non possono coesistere, quindi non possono coesistere
cose sensibili che partecipano di idee contrarie (il fuoco non può essere freddo). L’idea che presiede
all’anima è l’idea di vita, perché la morte è il contrario della vita e quando sopraggiunge la vita finisce. Ma
l’anima è vita (immortale per definizione) per cui non può accogliere il suo contrario: la morte e quando
essa arriva muore solo il corpo, mentre l’anima va altrove. Fedone
2. PROVA dell’AFFINITÀ: l’anima è capace di cogliere cose immutabili ed eterne quindi anche lei è
immutabile ed eterna. L’anima è come l’intelligenza (solo il simile conosce il simile). L’ ANIMA è DIVINA; il
CORPO è MORTALE Fedone
3. ARGOMENTO della REMINESCENZA Fedone
Dopo queste dimostrazioni Socrate passa a descrivere il destino che le anime avranno dopo la morte. Lasciato il
corpo, l'anima buona (cioè di chi ha praticato la filosofia e si è astenuto dalla stoltezza del corpo), di natura
invisibile, va verso un luogo altrettanto invisibile; le anime di quanti, invece, si sono dedicati solo a ciò che è
corporeo, risulteranno appesantite da tutte le impurità accolte e potranno solo vagare come fantasmi per tombe
e sepolcri per poi tornare nuovamente in un corpo di persona o animale.
Tra una reincarnazione e l’altra Platone prevede un tempo di 10000 anni, scontato per i filosofi.
Un’ulteriore prova è la
4. PROVA della CORRUZIONE: ogni cosa è corrotta solo dal male proprio di quella cosa → l’anima può
essere malvagia, ma il male non può distruggere l’anima perché non è proprio dell’anima, quindi l’anima
è immortale perché le anime cattive, malvagie esistono per cui l’anima immortale.
Il corpo è “carcere” dell’ anima Repubblica
Conseguenza di queste dimostrazioni è l’affermazione ontologica l’ANIMA È SOVRASENSIBILE e IMMORTALE ed
è questa un’acquisizione irreversibile.
Stabilita l’esistenza dell’anima Platone ne esamina il DESTINO: cosa succede dopo la morte?
Per la prima volta ne parla nel “Gorgia” dove sostituisce il GIUDIZIO DIVINO di Zeus al giudizio, non puro, dato
dagli uomini il giorno stesso della morte, perché, in questo modo, nell’aldilà arrivavano buoni a cattivi al “posto
sbagliato”. Zeus, allora, per correggere l’errore indica tre elementi che dovranno essere introdotti:
- gli uomini non potranno prevedere la morte
- saranno giudicati dopo la morte, spogli di ogni cosa (anche i giudici saranno spogliati di tutto, perché è l’anima
del giudice a giudicare l’anima)
- i giudici indicano la via; le vie possibili sono due: l’isola dei Beati (dove i giusti e i filosofi potranno contemplare
le anime) e il Tartaro (luogo di pena ed espiazione); se i giudici sono indecisi interviene Minosse
Il "Gorgia" si conclude con il primo dei grandi miti platonici della maturità: il mito del giudizio dei morti. Socrate afferma
che questo racconto è in realtà un logos, e ha solo l'apparenza di mythos. Tanto è vero che egli stesso dice di vivere
cercando di non commettere ingiustizia, piuttosto che di non subirla, perché teme molto di più il giudizio dei morti, con
la cui narrazione si congeda da noi, che quello dei vivi.
SOCRATE: E allora, ascolta, come si dice, un gran bel racconto, che tu considererai un mito, credo, e che io, invece,
considero un ragionamento. Infatti, ti narrerò ciò che sto per narrarti come se fossero cose vere. Come racconta
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Omero, Zeus, Posidone e Plutone si spartirono il potere, dopo che l'ebbero ereditato dal padre. All'epoca di Crono,
dunque, vigeva, e vige tuttora fra gli dèi, questa legge circa gli uomini: che chi fra gli uomini abbia vissuto in modo
giusto e santo, una volta morto, vada ad abitare nelle Isole dei Beati, in completa felicità e al di fuori dei mali, e che
chi, invece, abbia vissuto in modo ingiusto e senza dio, vada nel carcere dell'espiazione e del castigo, che chiamano
Tartaro. Giudici di costoro, all'epoca di Crono [età dell’oro] e anche all'inizio del regno di Zeus [età di carestie], erano
uomini vivi, giudici di uomini a loro volta vivi, poiché li giudicavano nel giorno stesso in cui dovevano morire. I giudizi,
dunque, erano dati male. Allora Plutone e i guardiani delle Isole dei Beati andarono da Zeus a dire che arrivavano da
loro, nell'uno e nell'altro luogo, uomini che non meritavano di esser mandati lì . Zeus, dunque, disse: "Farò in modo
che questo non accada più. Ora i giudizi sono dati male, perché coloro che vengono giudicati, sono giudicati vestiti:
vengono infatti giudicati da vivi. Molti, dunque, pur avendo anime malvagie, indossano bei corpi, nobiltà e ricchezze,
e, quando si tiene il giudizio, vengono molti testimoni a deporre, in loro favore, che essi hanno vissuto nel rispetto
della giustizia. I giudici, allora, si lasciano impressionare da queste cose, e giudicano a loro volta vestiti, avendo
l'anima coperta dagli occhi, dalle orecchie e dal resto del corpo. E tutte queste cose sono loro d'intralcio, sia i loro
abiti sia quelli di coloro che vengono giudicati. Come prima cosa, dunque, bisogna fare in modo che d'ora in poi non
prevedano la propria morte, perché ora la prevedono. Ed è già stato dato ordine a Prometeo di far cessare questa
loro preveggenza. Poi, devono essere giudicati nudi di tutte queste cose: bisogna che siano giudicati dopo che siano
morti. Anche il giudice deve essere nudo, morto, e la sua anima deve contemplare l'anima di ognuno subito dopo la
morte, da sola senza tutta la sua parentela, e dopo che abbia lasciato sulla terra tutta quell'ornamentazione, perché la
sentenza sia giusta. E io, avendo saputo queste cose prima di voi, ho nominato giudici i miei figli, due dall'Asia,
Minosse e Radamante, e uno dall'Europa, Eaco. E costoro, appena gli uomini saranno morti, li giudicheranno sul
prato, nel trivio da cui partono le due strade, l'una che porta alle Isole dei Beati, l'altra che porta al Tartaro.
Radamante giudicherà gli uomini dell'Asia ed Eaco quelli dell'Europa; a Minosse, invece, assegnerò il privilegio di
giudicare come arbitro aggiunto, quando un caso sia insolubile per gli altri due, perché sia più giusta possibile la
sentenza sulla destinazione degli uomini. Questo, o Callicle, è ciò che ho sentito dire, e credo che sia vero. E da
questo ragionamento io deduco la seguente conseguenza. La morte, come mi sembra, altro non è che la separazione
di due cose, l'anima e il corpo, l'una dall'altra. Una volta Platone Gorgia che si siano staccate l'una dall'altra, ciascuna
di esse conserva, tuttavia, la condizione che le è propria, quella che aveva, cioè, quando l'uomo era ancora in vita: il
corpo mantiene la sua particolare natura, e conserva visibili i segni delle cure che gli siano state prodigate e delle
vicissitudini attraverso cui sia passato. Ad esempio, se il corpo di un uomo, quando questi era in vita, era grande per
natura o per alimentazione o per entrambe le cose, anche il suo cadavere, allorché egli muoia, sarà grande; e se era
robusto, sarà robusto anche dopo morto, e così via. [….]
Ebbene, mi pare che accada la stessa cosa anche per l'anima, Callicle: nell'anima, quando essa si sia spogliata del
corpo, tutto è visibile, le sue naturali caratteristiche e le impressioni che l'uomo riceveva nell'anima da ogni faccenda
di cui si prendeva cura. Dunque, una volta giunti al cospetto del giudice, [….] dopo averla fermata, osserva l'anima di
ognuno, senza sapere a chi appartenga; [….]
Ma i potenti, carissimo, sono per la maggior parte malvagi. Dunque, come stavo dicendo, quando Radamante trova
uno di costoro, su di lui non sa niente altro, né chi sia né di chi sia figlio, tranne che è malvagio; e, visto questo, lo
manda al Tartaro, indicando con un contrassegno se egli sia, a suo giudizio, sanabile o insanabile. E quello, giunto lì ,
patisce ciò che gli tocca patire. Talora, invece, vedendo un'altra anima che abbia vissuto con santità e verità, sia essa
l'anima di un privato cittadino o di chiunque altro, ma soprattutto, io ti dico, Callicle, l'anima di un filosofo che nella vita
abbia fatto ciò che gli competeva fare e non si sia intromesso in troppe faccende, prova per essa ammirazione e la
manda alle Isole dei Beati. [….]
Minosse, invece, siede sovrintendendo, ed è il solo a tenere in mano uno scettro d'oro, come l'Odisseo di Omero dice
di averlo visto con uno scettro d'oro fare giustizia ai morti. Io dunque, Callicle, mi sono lasciato persuadere da questo
racconti, e cerco di poter mostrare al giudice la mia anima quanto è possibile sana. E così , lasciati perdere gli onori,
quelli che la maggior parte della gente considera tali, coltivando la verità cercherò di vivere e di morire, quando
giunga l'ora di morire, al meglio di me stesso, per quanto mi sia possibile. Ed invito anche tutti gli altri uomini, per
quanto è in mio potere, e a mia volta ricambio anche te con un altro invito a questa vita e a questa lotta, che secondo
me vale più di tutte le lotte di questo mondo, e ti rimprovero che non sarai capace di soccorrere te stesso, quando si
terrà per te quel processo e quel giudizio di cui parlavo poco fa. [….]”
Repubblica: le anime sono limitate per cui anche castighi e premi sono limitati nel tempo (1000 anni) poi le
anime sono pronte a reincarnarsi. Ma qualora avessero commesso colpe in espiabile esse sarebbero
condannate al Tartaro. Nelle ultime pagine dell'opera, nel decimo libro, Platone descrive il MITO DI ER, che
affronta proprio il problema del destino umano. Er è un guerriero morto in battaglia che ritorna in vita dopo alcuni
giorni trascorsi, diciamo così, nell'aldilà. Egli racconta appunto quel che succede dopo la morte. Al momento
della scelta, da parte delle anime, del prossimo corpo in cui reincarnarsi sono presenti le tre Parche (Cloto, il
presente, che fila il filo della vita; Lachesi, il passato, che lo distribuisce e Atropo, il futuro, che lo taglia). Ogni
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anima può scegliere il modello di vita ad essa più adatto e, in genere, sceglie in base a quella che è stata la vita
precedente. Ciò implica che la scelta fatta dall'anima sia comunque libera e ciò vuol dire che ognuno è
responsabile del proprio destino mentre la divinità non c'entra. Platone conclude dicendo che già in questa
vita bisogna prepararsi alla scelta del proprio destino. Man mano che l'uomo procede nelle vita, sceglie di volta
in volta il bene e il male, dunque determina il proprio destino.
Fedro: in quest’opera Platone presenta la più completa analisi dell’anima: essa, per natura, risiede presso gli
dei, ma per errore “cade” nel corpo.
Attraverso il MITO DELLA BIGA Platone chiarisce la TRIPARTIZIONE dell’anima che già aveva analizzato nella
Repubblica e nel Timeo (virtù = armonia tra le parti → giustizia)
L’anima è costituita da tre parti:
-
anima CONCUPISCIBILE
-
anima RAZIONALE
-
anima IRASCIBILE
Nel mito l'anima è paragonata ad una coppia di CAVALLI ALATI TIRATI DA UN AURIGA. Uno dei cavalli è
eccellente (bianco, docile, ma non sa dove andare), l'altro è pessimo (nero, selvaggio, tira verso terra). Compito
dell'auriga è indirizzare verso l'alto (il mondo delle Idee) la coppia di animali. Il cavallo nero cerca sempre di
tirare verso il basso cosicché l'auriga non riesca a contemplare il mondo delle Idee. Quando poi l'anima si
“appesantisce” (prevale cavallo nero), perde le ali dei cavalli e va ad incarnarsi in un uomo che sarà tale quale
essa lo rende. L'anima che è riuscita a vedere di più, andrà nel corpo di un uomo che si dedicherà alla sapienza
e all'amore, mentre l'anima che ha visto dei meno andrà a finire in un corpo dedito solo alle sollecitazioni più
egoistiche. Il bene consiste invece nell’obbedire all’auriga, quindi, solo la verità rappresenta la salvezza per gli
uomini e solo le anime che conoscono il vero restano con gli dei. I giusti piaceri sono infatti guidati dalla
RAGIONE: il massimo piacere è la VIRTÙ = CONOSCENZA DEL BENE
TEMA DELL’AMORE Simposio – Fedro
Nel Fedro Platone celebra la realizzazione dell'unione tra anima e corpo, tra sensibile e soprasensibile,
attraverso l'amore, la forza mediatrice che consente all'anima di salire, di grado in grado, al mondo ideale:
dall'amore per la bellezza del corpo dell'amato essa si eleva progressivamente alla scienza e al sapere
intellettuale, per tuffarsi, infine, nel "grande mare" della bellezza ideale e assoluta, fonte e modello di quella
terrena. Dal momento che per i Greci il bello (kalós) e il buono (agathós) coincidono, l'amore si configura anche
come la via verso il bene e la virtù.
Per la prima volta si parla di AMORE e di AMICIZIA che è la forma di amore alla base dell’educazione intesa
come dialogo tra amici (Accademia: vita in comune, in compagnia di amici).
L’amore implica la passione, l’attrazione fisica tra le persone, ma se la passione è incontrollata e non permette
di elevarsi alla contemplazione delle idee è da condannarsi (Fedro: auriga, anziché guidare, viene trascinato).
AMORE è figlio di PENIA (mancanza, povertà) e POROS (espediente) è in mezzo tra ignoranza e sapienza, tra
sete di possesso e mancanza. Nel Simposio, banchetto offerto da Agatone, sul tema dell’amore, si discute sulla
natura di EROS: egli non è un dio, ma un demone; non ha bellezza, ma la desidera; non ha sapienza, ma aspira
a possederla. Attraverso i diversi gradi della bellezza Eros perviene all’IDEA di BELLEZZA grazie alla quale
avviene il passaggio dall’ignoranza alla scienza. L’anima TRASCINANTE porta gli uomini dalla bellezza
sensibile dei corpi al bello in sé generando azioni virtuose.
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Nell'anima incarnata - quindi nell'uomo - il ricordo delle realtà ideali è risvegliato proprio dalla bellezza. L'uomo
non può fare a meno di riconoscere la bellezza e, al suo richiamo, risponde con l'amore. L'amore è quindi la
guida dell'anima verso il mondo dell'essere e della verità. L'eros, allora, si trasforma nella ricerca filosofica che
è, contemporaneamente, ricerca della verità ed unione delle anime nello sforzo comune di apprendere qual è la
vera realtà. È questo l'autentico significato di quello che viene tradizionalmente chiamato "amore platonico".
Nel Simposio è detto che Eros (amore) è desiderio di qualche cosa che non ha, ma di cui ha bisogno (=l'amato),
ed è quindi mancanza, desiderio di qualcosa. Eros è il mitico figlio di Penìa (povertà) e di Poros (espediente o
acquisto), dunque non è un dio ma un semidio, un demone. Egli non ha la bellezza ma la desidera, non ha la
sapienza ma la cerca e quindi è per eccellenza filosofo (al contrario degli dèi che sono già sapienti e belli e
beati). L'amore è perciò desiderio di bellezza, e la bellezza si desidera perché è il bene che rende felici. L'uomo,
destinato a morire, tende a generare nella bellezza e quindi a "immortalarsi" attraverso la generazione,
lasciando, dopo di sé, un figlio che gli somigli. La bellezza è dunque il fine dell'amore. Ma quale bellezza? Essa
ha diversi gradi e ad essi l'uomo può procedere solo dopo un lungo cammino di riflessione. C'è dapprima la
bellezza corporea, da cui l'uomo viene subito attirato. Ma sopra di essa, più importante, vi è la bellezza
dell'anima. E, più importante ancora, vi è la bellezza delle leggi e delle istituzioni. Al di sopra ancora si trova la
bellezza delle scienze e, infine, c'è la bellezza in sé, l'Idea di Bellezza, che è la fonte di ogni altro tipo di
bellezza.
4. IL PROBLEMA POLITICO e LA CONTINUITÀ TRA ETICA E POLITICA
Repubblica – Mito della caverna – Le Leggi
Secondo Platone partecipare alla vita politica, non solo è doveroso, ma anche indispensabile. Egli dichiara il
proprio intento nella Lettera VII “Solo la retta filosofia rende possibile di vedere la giustizia negli affari pubblici e
in quelli privati”. La filosofia diventa condizione della politica, intesa in senso etico (arte di rendere migliori).
Il tema della virtù domina la trattazione dell'etica e della politica, strettamente connesse in quanto per Platone,
come per tutto il mondo greco, non è possibile concepire l'uomo indipendentemente dal suo ruolo di "cittadino"
La connessione tra filosofia e politica è, quindi, possibile solo ad Atene.
Nel Gorgia, Platone, dimostra come etica e politica coincidano. Possiamo riassumere il suo pensiero col
seguente schema:
VIRTÙ = GIUSTIZIA ⇒ GIUSTIZIA = BENE DELL’UOMO ⇒ L’UOMO REALIZZA IL SUO BENE NEI RAPPORTI CON GLI
ALTRI ⇒ SCIENZA DEL BENE = POLITICA (intesa come scienza della città, della società in cui l’uomo
sviluppa rapporti)
Compito del buon governante è, allora, rendere migliori gli uomini, ossia aiutarli a realizzare la giustizia. Ecco
allora che ETICA e POLITICA COINCIDONO: la prima è inconcepibile senza la seconda, e questa è
fondamentalmente etica!
Nella Repubblica, Platone, per rispondere alla domanda: Cos’è la giustizia?, sposta l’attenzione dal singolo alla
città (più grande e più facile da decifrare) Ciò è possibile in quanto il bene del singolo coincide col bene della
città come se la città fosse una specie di uomo in grande e l’uomo una specie di città in piccolo. La città nasce,
infatti, perché i singoli non possono soddisfare i propri bisogni, la necessità di associarsi è insita in essi. La
collaborazione permette una migliore distribuzione dei compiti.
È per questo che Platone fa corrispondere le QUATTRO VIRTÙ, fondamentali dell'individuo:
-
la saggezza,
-
il coraggio,
-
la temperanza e
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-
la giustizia
alla stratificazione della società. Esse sono anche alla base dell'organizzazione stessa dello Stato, che è
l'IMMAGINE SPECULARE DELL'ANIMA UMANA. L’anima, come abbiamo visto, è suddivisa in tre parti, che è
compito dell'uomo virtuoso armonizzare tra loro; allo stesso modo lo stato è suddiviso in tre classi sociali, che
concorrono, insieme, al benessere generale della comunità. Le classi individuate da Platone sono:
-
la classe dei governanti (………………………….) che corrisponde all'anima razionale e ha come virtù
fondamentale la saggezza; il loro compito è guidare la città a realizzare il proprio bene (che coincide con
quello del singolo);
-
la classe dei guerrieri/custodi (……………………..) che corrisponde all'anima irascibile e ha come virtù
il coraggio; il loro compito è difendere la città e mantenere l’ordine;
-
la classe dei lavoratori manuali (………………………….) che corrisponde all'anima concupiscibile e ha
come virtù fondamentale la temperanza; il loro compito è produrre i beni necessari alla città.
La città funziona bene (è GIUSTA) quando ogni categoria svolge bene il proprio compito, quindi, la giustizia, che
rappresenta la virtù più importante dello Stato, coincide con l'armonia e l'equilibrio che si attengono quando tutte
le componenti dell'anima e dello Stato svolgono il ruolo che è loro assegnato dalla natura.
L'ordine dell'anima sarà garantito dal predominio della parte razionale sulle due parti passionali e istintuali;
l'ordine dello Stato si avrà quando i governanti-filosofi, in virtù della conoscenza che hanno conseguito, in un
impegnativo percorso di formazione, domineranno sulle classi inferiori dei guerrieri e dei lavoratori.
Alla tripartizione di classi sociali, anima e virtù, Platone fa corrispondere un’ulteriore tripartizione: quella del
corpo suddiviso in TESTA – TORACE – ADDOME perché anche nell’uomo, così come nello Stato solo quando le
tre parti del corpo e dell’anima operano insieme egli sarà armonico e giusto.
Riassumiamo completando la tabella:
CORPO
CLASSI
ANIMA
VIRTÙ
NOTE
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La visione dello Stato che emerge e quello di uno stato che oggi definiremmo TOTALITARIO, esso ricorda, tra
l’altro, il sistema indiano delle caste (bramini-sacerdoti, guerrieri, artigiani).
I FILOSOFI AL POTERE
Sulla base di queste considerazioni, la forma ideale di governo, per Platone è l'aristocrazia, intendendo con
questo termine un'aristocrazia dello spirito e della ragione: i filosofi, infatti, sono considerati i migliori governanti
perché hanno affrontato il difficile percorso della conoscenza razionale. Quest'ultimo consiste nel progressivo
superamento dell'esperienza sensibile, caratterizzata dall'opinione, e nel lungo tirocinio che di grado in grado
sfocia nell'esercizio della dialettica (l'arte somma e divina) che permette di cogliere le relazioni tra le idee, per
culminare nella visione dei beni. Al termine di tale processo formativo, i filosofi hanno l'obbligo morale di
impegnarsi nella vita civile per infondervi la perfezione e l'ordine contemplati nel mondo ideale. Si tratta di un
l'itinerario impegnativo e difficile, quello rappresentato nel ............................... ..............………........
……………………………………..
Anche il mondo visibile, descritto da Platone nel Timeo appare, come l'anima e lo stato, regolato dall'ordine.
Esso, come abbiamo visto, pulsa di una vita armoniosa avvolto nelle braccia protettive di una grande e
intelligente divinità, che il filosofo definisce "anima del mondo". Mito del ……………………………….……
LA CONCEZIONE DELL’ARTE Repubblica
L'arte è essenzialmente per Platone una "imitazione dell'imitazione": le opere artistiche non sono altro che
un'imitazione della realtà, che a sua volta è un'imitazione delle idee iperuraniche.
Platone è convinto che l'arte corrompa le menti dei giovani, perché spesso diffonde l'idea di un uomo irrazionale,
preda delle passioni, sottomesso ad forza superiore che è il fato, e questo risulta fortemente in contraddizione
con il pensiero filosofico, che invece vede l'uomo realizzato nel raziocinio e nel dominio della propria vita. Per
questo, Platone, afferma che l' educazione dei ragazzi deve seguire tappe precise, ad essi, come al resto della
comunità, deve essere proibito qualsiasi contatto con l'arte, colpevole di proporre imitazioni fuorvianti del
mondo delle idee, secondo il filosofo infatti, gli artisti imitano il bello allontanando gli uomini dal vero concetto del
bello e conducono gli animi verso la contemplazione delle forme sensibili. Platone ritiene che l'arte sia
diseducativa al massimo, in quanto risulta negativa in ogni sua forma: gli scultori e i pittori si ripropongono di
riprodurre la realtà,mentre non fanno altro che realizzare copie di copie; la poesia epica dà una visione distorta e
perversa degli dei, che hanno qui vizi e comportamenti tipicamente umani; la poesia tragica, con le forti
emozioni che provoca, rischia di causare una scissione dell'anima di chi la segue,mentre infine la poesia comica
induce ad atteggiamenti scomposti e per nulla dignitosi (ad esempio: il riso). I ragazzi saranno educati allo
sviluppo del corpo e dell'anima, attraverso le discipline ginnico-militari e quelle musicali. La musica,infatti,
infonde il senso del ritmo e insieme alla matematica, plasma la mente e la predispone ad un apprendimento
superiore: la filosofia.
LA CITTÀ PERFETTA e le sue degenerazioni
Vediamo come Platone arriva ad indicare l’aristocrazia come miglior forma di governo.
Secondo, il fiolosofo, per realizzare la città perfetta è necessario:
1. ABOLIRE la FAMIGLIA → comunismo di averi e famiglie
2. AFFIDARE IL POTERE AI FILOSOFI
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1. Il “comunismo di averi e famiglie” è fondato sui seguenti elementi:
-
uomini e donne sono uguali e, quindi, devono ricevere la stessa educazione sia nel corpo, attraverso gli
esercizi ginnici, sia nell’anima attraverso la musica, le scienze…. ; devono inoltre essere sollevate da casa e
figli di cui si occuperà lo Stato (scuole pubbliche). Essendo pari agli uomini anche le donne possono
governare (perché fornite di ragione come gli uomini e il “governo vien fatto attraverso la ragione”);
-
non devono costituirsi delle coppie fisse, ma tutti devono vivere insieme ed allevare in comune i propri figli,
l’educazione dei quali è troppo importante perché possa occuparsene un singolo;
-
le nozze, di guerrieri e governanti, non possono essere libere, ma decise dai governanti stessi.
È questo un modello utopistico, Platone ne è consapevole, ma lo indica comunque, come massima aspirazione,
obiettivo a cui avvicinarsi il più possibile.
2. I filosofi sono coloro che SANNO IL BENE e dunque sono saggi e virtuosi (vero modello è …………………).
Essi possono, quindi, guidare al bene, rendere virtuosi e, di conseguenza, felici.
Ma chi può essere filosofo? Solo i migliori tra i guerrieri che devono sottoporsi ad muna lunga e complessa
opera di educazione, al termine della quale non sarà possibile rifiutarsi di diventare governante..
Anche la città perfetta (guidata dall’amore per la sapienza e dall’anima razionale dei filosofi) può tuttavia
degenerare. Platone indica quattro forme di degenerazione via via sempre più gravi:
1. TIMOCRAZIA: amore per l’ambizione, l’onore, la città non è più governata dai filosofi, ma dai guerrieri nei
quali domina l’anima irascibile
2. OLIGARCHIA: governo di pochi, spinti dall’amore per il denaro, a governare saranno i produttori più
ricchi caratterizzati dall’anima concupiscibile
3. DEMOCRAZIA: governo in cui i poveri i poveri (popolo) si ribellano ai ricchi (pochi) ciò determina
anarchia, disordine e disubbidienza
4. TIRANNIDE: uno s’impadronisce del potere e lo esercita per il proprio interesse.
Dialogo: Il Politico
Platone abbandona la rigida distribuzione dei cittadini nelle tre categorie e sviluppa l’idea di comunismo,
allontanandosi dalla “chiusura” del modello spartano.
Il perfetto uomo politico è un buon moderato (ARTE della MISURA) in grado di governare qualsiasi comunità
facendosi guidare solo dalla scienza e non dalle leggi (non adatte alle singole comunità perché sempre
generali).
Ne Il Politico, Platone supera l’ideale di aristocrazia quale forma migliore di governo ed individua sei possibili
Costituzioni (tipi di ORDINAMENTO della città): tre “BUONE” e tre “CATTIVE”, le “cattive” corrispondono ognuna
alla degenerazione degli ordinamenti positivi
BUONE
MONARCHIA o REGNO
CATTIVE
TIRANNIDE
ARISTOCRAZIA
OLIGARCHIA
DEMOCRAZIA
DEMOCRAZIA
Analizzati i possibili ordinamenti, Platone conclude che la forma di COSTITUZIONE MIGLIORE sarà quella che
riuscirà a prendere il meglio dalle tre buone:
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dalla monarchia, l’UNITÀ (concretizzata nella figura del re),
dall’aristocrazia, la SAGGEZZA (concretizzata nel Consiglio di saggi),
dalla democrazia la LIBERTÀ (rappresentata dall’Assemblea del popolo).
Quella proposta una COSTITUZIONE MISTA, derivata da una sintesi delle esperienze di Atene e Sparta.
Dialogo: Le Leggi
In questo scritto della vecchiaia, Platone rivede ulteriormente il suo ideale allontanandosi sia dalla Repubblica
sia da Il Politico. Egli delinea una CITTÀ (non perfetta, ma quasi perfetta) caratterizzata dallo STATO DI LEGGE,
ossia governata da leggi. Nella nuova concezione reintroduce la proprietà privata e i legami familiari ma, al
tempo stesso, considera la donna meno libera.
IL MITO
Concludiamo parlando di un aspetto fondamentale del filosofare platonico e cioè del significato del mito. Platone
contrappone il mito al logos, in quanto esso afferma senza dimostrare, è opinione, non spiegazione razionale →
per Platone il mito:
- è AL SERVIZIO DELLA RAGIONE: la arricchisce,
- ha una funzione simbolica di TRASMISSIONE DEL SAPERE,
- ha valore EDUCATIVO e MORALE
egli ricorre, quindi, al mito ogni volta che ha di fronte questioni non dimostrabili. Il mito non è una favola o un
racconto fantastico, ma un racconto per immagini, altamente simbolico, utilizzato appunto per spiegare concetti
difficili. Egli attribuisce al mito un ruolo determinante ed in questo si distacca da Socrate, mitigando il parte il suo
razionalismo. Il mito serve a Platone per illustrare le verità più profonde. Esso inoltre non pretende di dimostrare
in senso stretto ogni cosa, ma vuole stimolare, spronare alla ricerca degli ultimi perché. Con ciò Platone ha
evitato di usare, da un lato, il mito solo in senso fantastico o in modo astratto e intellettualistico, dall'altro ha
superato lo scoglio del razionalismo, cioè la pretesa di ridurre tutto ad una spiegazione puramente razionalistica
o logica. Del resto la filosofia, avendo a che fare con i problemi più difficili, si trova spesso ai confini del dicibile e
dunque, per risolverli, si avvale del ricorso al mito, il quale illustra qualcosa che si può ritenere valido e
significativo anche se non è rigorosamente spiegabile o dimostrabile. Platone delinea così questo carattere del
mito: “…non si può dimostrare che sarà così, ma è buona cosa crederci, fa bene e permette di dare un’occhiata,
uno sguardo al di là dei limiti della nostra conoscenza”
Platone indica due tipologie di mito:
A. INFERIORE ALLA SCIENZA PRE-SCIENTIFICO: è come l’opinione. Es. biga: anima come coppia di cavalli;
caverna: sole come bene. Essi hanno SCOPO DIDATTICO.
B. INFERIORE ALLA SCIENZA POST-SCIENTIFICO: posso dire cose che vanno al di là della scienza. Es: Er che
torna dopo la morte. Essi hanno SCOPO DI COMPLETAMENTO DELLA SCIENZA o DANNO INDICAZIONI
AGGIUNTIVE, in particolare su due concetti non analizzabili razionalmente: il destino delle anime e
l’intervento divino nella storia
Non rientra in questa classificazione il discorso, contenuto nel Timeo, relativo alla figura del Demiurgo.
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Platone “RIFIUTÒ COMPLETAMENTE IL MONDO SENSIBILE E CHIUSE GLI OCCHI INTORNO A TUTTO QUELLO
CHE VEDIAMO INTORNO A NOI ⇒SI SERVÌ ESCLUSIVAMENTE DELLA RAGIONE.”
Al contrario, scopriremo che Aristotele “SI MISE CARPONI E STUDIÒ I PESCI E LE RANE, GLI ANEMONI E I
PAPAVERI ⇒SI SERVÌ DI RAGIONE E SENSI.”
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