Parte seconda IDENTITÀ FORMATIVA DELL`ISTITUTO Il Liceo

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Parte seconda
IDENTITÀ FORMATIVA
DELL’ISTITUTO
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Il Liceo Scientifico di Arzano intende perseguire il successo formativo dello studente, lo indirizza e lo
sostiene nel rispetto delle diverse individualità, ne osserva l’evoluzione e le diverse fasi, promuove iniziative
di riflessione e di ricerca per migliorare l’efficacia dell’azione didattica e garantirne l’equità.
Finalità
L’offerta formativa tende a sviluppare nello studente l’autonomia culturale e intellettuale attraverso:
 l’acquisizione di valide conoscenze specifiche, sia in ambito scientifico, sia in ambito
umanistico-artistico, sia con riferimento a contenuti di carattere metadisciplinare;
 l’educazione al rigore logico nei processi di apprendimento, lo sviluppo ed il potenziamento
delle capacità logiche e critiche, lo sviluppo delle abilità trasversali di studio e di risoluzione di
situazioni problematiche attraverso gli strumenti più opportuni;
 la conoscenza di sé e le capacità di autovalutazione, anche ai fini dell’orientamento nelle scelte
future di studio, di lavoro, di vita civile e sociale;
 l’educazione ad una visione complessa ed articolata dei fenomeni, trasferibile dall’ambito
teorico-disciplinare all’interpretazione della realtà in cui si è calati;
 la consapevolezza delle proprie radici culturali e civili e la valorizzazione delle diversità;
 il rispetto dei valori civili e della pratica democratica e la ricerca libera ed autonoma di
riferimenti ideali ed etico-morali, da porre a supporto delle proprie scelte e dei propri
comportamenti.
La didattica
La pratica concreta dei vari curricoli è sempre stata accompagnata dalle riflessioni dei docenti sulle strategie
didattiche e valutative di volta in volta più adeguate. Nelle opportune sedi e nei momenti assembleari
costantemente si affrontano temi nodali per la programmazione, quali l’articolazione e l’adattamento dei
curricoli alle diverse esigenze della platea scolastica, nonché gli interventi metodologici più idonei al
successo formativo. A questo proposito, si riconosce particolare valenza alla metodologia
dell’apprendimento per “scoperta”, il più efficace a facilitare il recupero o il potenziamento della
motivazione e i processi di orientamento e riorientamento. E’ infatti fondamentale che gli alunni, oltre ad
avere chiara la “storia” delle discipline, imparino a costruire reti di saperi e attività con cui le discipline
stesse sono naturalmente preparata a dialogare; che sappiano, cioè, del carattere costitutivamente
intrecciato del sapere e che comprendano come i modelli esperti di cui fanno uso le discipline non siano
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mai del tutto “originali”, e anzi, più spesso di quanto si creda, risultano generati in altri campi disciplinari e
per altri scopi.
Nessuna disciplina può compiutamente insegnarsi, in altre parole, se non spiegando i nessi e le relazioni
che collegano e differenziano le sue strutture conoscitive da quelle delle altre discipline. Si tratta perciò di
prospettare una didattica articolata, che si alimenti di più punti di vista e che proceda in direzione di una
alleanza tra scienze esatte e umane, nel senso di un pluralismo disciplinare aperto e non gerarchizzato.
E’, altresì, vero che non tutto l’apprendimento avviene per scoperta o, meglio ancora, non è necessario che
tutto l’apprendimento avvenga per scoperta (come avverte Laeng, 1973: “guai a noi se volessimo, secondo
un radicalismo portato all’estremo o all’esagerazione di una pedagogia pseudo-attivistica, riscoprire da soli
tutto lo scibile umano”). Agli insegnanti, quindi, spetta il compito di dosarne l’uso, individuando i contenuti
della propria disciplina più adatti al più classico insegnamento lineare. Tutto ciò a seguito di una analisi
della propria disciplina, un lavoro approfondito di scomposizione e ricomposizione di ciascuna disciplina
che individui e definisca della stessa l’oggetto, le teorie fondamentali, i concetti chiave, il metodo specifico,
il linguaggio che usa, le operazioni che le si addicono, gli strumenti che utilizza, le tappe evolutive, la
rilevanza sociale. Non si tratta, quindi, di abbandonare la lezione frontale o stabilire la definitiva adozione
di un metodo a scapito di altri. Si tratta, piuttosto, di introdurre opportunamente metodologie
“problematizzanti”, tali da facilitare la creazione di menti “flessibili” e, quindi, l’acquisizione di competenze
e abilità.
Una riflessione così profonda non può essere del singolo docente ma collegiale, e il luogo privilegiato in cui
deve svolgersi è il Dipartimento.
Qualsiasi esperienza effettuata, e i risultati che essa sarà stata in grado di produrre, sarà condivisa a livello
collegiale e nei dipartimenti, perché il confronto tra i docenti e tra le diverse modalità del loro operare
possa in ogni momento costituire uno strumento di orientamento per tutti e l’occasione di un
ripensamento critico e regolativo del proprio metodo di lavoro.
Una didattica coerentemente organizzata considera sostanzialmente concluso il proprio iter al mostrarsi
delle abilità e delle conoscenze previste in sede di progettazione, di modo che il controllo venga riferito a
ciascun segmento del curricolo in modo da rendere più semplice la certificazione delle competenze.
Tale certificazione dovrà pienamente tesaurizzare un’impostazione culturale complessiva che veda il
riconoscimento della diversità come valore positivo, esiga il diritto all’originalità del metodo e proceda alla
taratura degli interventi secondo i bisogni particolari degli alunni e nel rispetto degli stili cognitivi. Gli studi
di Ausubel hanno affermato il principio delle “intelligenze multiple” ed è ormai assodato che l’intelligenza,
in quanto funzionamento mentale, procede effettivamente secondo modi distinti e diversi, per la
dominanza di alcune caratteristiche e la recessività di altre. Pertanto, uno sforzo particolare va fatto per
individuare i metodi e le tecniche più idonee a motivare e far esprimere le potenzialità personali.
Noi non possiamo accontentarci del fatto che una parte rilevante dei nostri ragazzi consegue i livelli minimi
di apprendimento; da un lato dobbiamo andare oltre i livelli minimi e dall’altro dobbiamo recuperare
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tendenzialmente tutti a un risultato positivo. Detto con una metafora, noi dobbiamo combattere contro la
curva di Gauβ. Questo diagramma ha un’importanza fondamentale nelle scienze esatte, ed in pedagogia
esprime l’evidente fatto che le prestazioni medie degli individui abbondano, mentre tanto le performance
eccezionali quanto quelle eccezionalmente scadenti sono piuttosto rare. Normalmente le verifiche
misurano gli esiti di prove che riguardano ampie fasce di popolazione studentesca; appare perciò naturale
che le attività indagate si distribuiscano secondo la campana di Gauβ, la quale prevede grosso modo un
70% che si situa ad un livello medio, un 13% ad un livello buono e altrettanto per mediocre, un 4% diviso
a metà tra l’eccellenza e un risultato francamente insoddisfacente.
La scelta pedagogica della nostra scuola è di non uniformarsi a queste statistiche, ed anzi di lottare proprio
contro la curva di Gauβ intesa come strumento di selezione, risolvendo i punti di sofferenza troppo spesso
collocati sul punto nodale della relazione didattica tra docenti e discenti.
Alcuni interventi pratici per migliorare tale relazione ci sembrano oggi più consolidati. Per esempio non
succede più che durante la costruzione delle prove di verifica si eliminino i quesiti che verrebbero risolti dai
“troppi”. Istruire non è selezionare, bensì sforzarsi di far riuscire tutti. Il che, ovviamente, non vuol dire
non dare possibilità di esprimersi agli alunni che possono dare di più. Possono essere infatti previste
sollecitazioni particolari in aggiunta all’impianto-base della verifica sia orale che scritta, in modo da aprire la
strada a svolgimenti di grande positività che gratifichino l’impegno e le attitudini degli alunni, e che
andranno comunque debitamente registrati.
Va insomma costruita una scuola pienamente inclusiva, che chiede senz’altro impegno e dedizione agli
alunni, me che è capace anche di incoraggiare le potenzialità di ciascuno.
Va anche detto che una tale impostazione implica un utilizzo molto sobrio dello spirito di competizione e
postula invece un quadro attivo di collaborazione tra gli alunni. La stessa valorizzazione delle loro attitudini
particolari va articolata con estrema prudenza. La parola attitudine, infatti, è troppo spesso utilizzata come
sinonimo di caratteristiche innate o acquisite, considerate come sintomatiche della capacità di un individuo
di accedere ad un livello di competenza più o meno elevato in un determinato campo. Ma se si considera
l’attitudine come la quantità di tempo richiesta da chi apprende per padroneggiare la materia, allora è
possibile che la curva gaussiana si trasformi, per così dire, in curva a J, ovvero nell’innalzamento
progressivo di un punto di partenza in direzione di una conoscenza più compiuta; la qual cosa altro non è
che una maggiore attenzione pedagogica al successo per tutti.
Dobbiamo insomma evitare di accettare come ineluttabile la presenza di una fascia comunque ampia di
insuccesso scolastico; e quest’anno ci si deve sforzare a fare ancora meglio. Per dirla in una battuta, prima
di insegnare, o contemporaneamente all’insegnamento, bisogna far maturare negli alunni l’amore per la
disciplina; anzi, l’obiettivo prioritario dei docenti deve essere soprattutto quello di “far amare” le diverse
materie. Bisogna, perciò, verificare se gli alunni vengono contenti a scuola e se maturano un’attesa positiva
di incontro col sapere. Se questo non succede bisogna interrogarsi sui motivi e chiedersi se possiamo fare
“di più”.
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Ovviamente l’amore per una specifica disciplina non può essere imposto. Si può, però, trasmettere
l’intenzione affettiva verso il sapere e farne apprezzare la bellezza, costruendo in questa dinamica un nesso
forte tra la didattica e il flusso di sensazioni che anima i ragazzi. Pedagogia ed estetica, insomma. Se gli
alunni colgono la bellezza del sapere, il successo scolastico si rafforza. Una tale impostazione implica un
netto rafforzamento dell’effettiva comunicazione orizzontale tra i docenti e un dialogo costante sui temi
della pedagogia e dell’epistemologia, oltre che uno scambio continuo sullo stato dei programmi e sulla
positività (o negatività) delle esperienze consumate. Non basta scambiarsi le informazioni secche
sull’insuccesso scolastico di un alunno, ma occorre capire insieme i motivi che lo hanno determinato.
Nell’ambito della pedagogia di curva a J assume così particolare rilievo il concetto di valutazione formativa,
espressione coniata da Michael Scriven nel suo testo “The methodology of evaluation”. Si tratta di un
procedimento diagnostico incentrato su specifici temi, in stretta correlazione con lo sviluppo didattico dei
programmi specificamente definiti. La sua particolarità risiede nel fatto che la stessa valutazione si traduce
in struttura dialogica tra docente e allievo, in vero e proprio input didattico, una occasione ulteriore per
aiutare l’alunno a raggiungere una maggiore consapevolezza dei suoi limiti e, soprattutto, delle sue
potenzialità.
Protagonismo degli alunni
Scuola aperta al pomeriggio
Il Liceo Scientifico di Arzano, nell’ambito dell’offerta formativa, riconosce il valore e l’importanza
dell’aggregazione spontanea dei giovani sulla base di interessi comuni emergenti quali musica, politica,
sport, ecc. ed apre la scuola ai giovani nelle ore pomeridiane, creando così uno spazio polifunzionale,
capace di nuove opportunità di utilizzo delle strutture scolastiche quali incontri, assemblee, manifestazioni
culturali ed ogni altra attività di stimolo alla socializzazione e alla crescita culturale degli alunni.
In tal modo, oltre che luogo d’istruzione, la scuola diventa luogo di formazione ed autoformazione
attraverso l’ascolto, spazio di animazione e di confronto per il miglioramento nella comunicazione.
Atteggiamento aperto verso le attività degli alunni
La Scuola, in tutte le sue componenti, assume un atteggiamento aperto verso le proposte e le attività degli
studenti, e fa propria la richiesta implicita all’attenzione e al rispetto da parte degli alunni, i quali non a caso
rivendicano, sin dall’adolescenza, la libertà di crescere e di scegliere il proprio futuro.
Il nostro liceo rivaluta e riscopre, inoltre, le attività rispetto alle quali gli alunni appaiono fortemente
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motivati: culturali e formative (letture, cinema, teatro, musica, ecc.); sociali (volontariato, partecipazione ad
associazioni), e sportive. Si riconosce altresì un valore formativo alle attività ludiche, le quali vanno
declinate, in ogni caso, entro le regole e le finalità della vita scolastica.
Nel quadro generale di valorizzazione della soggettività studentesca si inseriscono il giornalino d’istituto, la
gestione unitaria delle componenti e la “libertà di riunione”. Il giornalino d’istituto viene gestito
liberamente dagli alunni con il solo ausilio tecnico di alcuni docenti. Infine la “libertà di riunione” si
garantisce mediante la definizione di spazi e tempi autogestiti dagli studenti, nella convinzione che ciò
possa realmente concorrere alla loro crescita culturale.
La definizione di un protagonismo attivo degli alunni, sia nell’attività didattica curriculare che
extracurriculare, facilita altresì l’apertura verso l’esterno. Le visite guidate, la partecipazione ad eventi
culturali, la predisposizione di progetti di gemellaggio o di costruzione di reti informative tra scuole entrano
così di diritto in un ambito di esplicito dialogo tra docenti e alunni.
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