il recesso da societa` di persone

IL RECESSO DA SOCIETA' DI PERSONE
Il recesso consiste nello scioglimento del rapporto sociale per iniziativa del singolo socio e non influisce sulla
continuazione del rapporto sociale nei confronti dei soci superstiti.
L’art. 2289 del Codice Civile recita:
"Nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi o i suoi eredi hanno diritto soltanto ad una
somma di denaro che rappresenti il valore della quota.
La liquidazione della quota è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo
scioglimento.
Se vi sono operazioni in corso, il socio o i suoi eredi partecipano agli utili e alle perdite inerenti alle alle operazioni
medesime.
Salvo quanto è disposto nell'art.2270, il pagamento della quota spettante al socio deve essere fatto entro sei mesi dal
giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto.
La norma di cui al primo comma stabilisce che il socio uscente non può sottrarre i beni alla loro destinazione produttiva
restando questi acquisiti al patrimonio della società e non possono essere, salva la contraria convenzione sociale,
restituiti in natura: l’oggetto del credito del socio recedente è soltanto una somma di denaro e tale credito è soggetto al
principio nominalistico stabilito per i "debiti di somma di denaro" dall’art. 1277 Codice Civile.
Scopo della norma è evidentemente la tutela della società, alla quale non devono essere sottratti i beni produttivi, onde
poterne permettere la "conservazione" (della società).
La quantificazione della somma di denaro corrispondente al valore della quota deve essere fatta con riguardo al
momento dello scioglimento del rapporto sociale e non a quello dell’effetivo pagamento, a differenza di quello che
avviene, ad esempio, per il risarcimento danni e per i crediti di valore.
Quando si realizza lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, come avviene nei casi di morte,
recesso o esclusione, non ricorre un debito di valore, non vi è una lesione al patrimonio del socio da risarcire, ma sin
dall’origine, cioè sin dal giorno in cui si verifica lo scioglimento, un diritto di credito dello stesso ad una somma di
denaro, un credito di valuta sin dalla nascita, anche se intesa come misura di valore.
Il socio che recede ha diritto alla liquidazione della quota di sua spettanza e il Codice Civile stabilisce che il pagamento
deve essere fatto entro sei mesi dal giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto. Allo scopo di quantificare il
valore della quota sarà necessaria una situazione patrimoniale straordinaria dove la valutazione dei beni aziendali dovrà
essere fatta con riferimento ai valori effettivi e non a quelli contabili.
Per valore effettivo si deve intendere non tanto il valore di mercato quanto piuttosto il valore della capacità reddituale
futura dei beni: gli elementi attivi e passivi devono essere valutati in funzione della loro attitudine alla produzione di
redditi futuri.
Nella determinazione del valore della quota si deve comprendere anche il valore dell’avviamento dell’azienda
appartenente alla società , salvo sempre che dall’atto costitutivo non risulti una diversa volontà.
Il socio uscente ha diritto anche agli utili (e alle perdite) delle operazioni in corso, intendendosi per tali tutte quelle
operazioni che, pur non in atto al momento dello scioglimento del rapporto sociale, debbano considerarsi la
conseguenza necessaria ed inevitabile dei rapporti giuridici preesistenti , anche se la loro definizione sia avvenuta solo
dopo l’uscita del socio.
Nonostante la liquidazione della quota, il socio receduto è sempre responsabile verso i terzi per le obbligazioni sociali
assunte fino al giorno in cui si è verificato il recesso.
Attraverso la "pubblicità legale" il socio receduto potrà invece evitare di rispondere anche delle obbligazioni sorte
successivamente alla sua uscita, portando a conoscenza dei terzi la cessazione del rapporto sociale.
Uno dei temi piu’ dibattuti è se il credito derivante dal diritto alla liquidazione della quota del socio receduto rappresenti
un debito della società oppure dei soci in proprio, e di conseguenza su chi esercitare eventuali pretese di natura
economica.
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Iscritto al Collegio dei Ragionieri Commercialisti di Roma al n. 3051 - Codice fiscale DSNLCN51T12H282D – Partita IVA 00125840579
La Giurisprudenza prevalente è sicuramente a favore della tesi che vuole la società titolare del dovere di liquidazione,
con eventuale responsabilità sussidiaria dei soci superstiti.
La società dovrà diminuire il proprio capitale sociale e le quote di partecipazione dei soci dovranno essere modificate di
conseguenza.
Dal punto di vista fiscale e piu’ in particolare sotto l’aspetto delle imposte dirette, allo scopo di giungere alla giusta
tassazione delle eventuali plusvalenze, occorre ripartire la somma percepita dal socio recedente tra quota di natura
reddituale e rimborso del capitale, in quanto solo la prima deve essere tassata.
In linea di massima concorreranno a formare il reddito tassabile il valore dell’avviamento, la quota di riserve in
sospensione d’imposta e la quota di utile dell’esercizio maturata dall’inizio del periodo d’imposta fino alla data in cui
avviene lo scioglimento del rapporto sociale.
Al contrario, non costituiscono reddito per il socio receduto, ma soltanto reintegrazione del suo patrimonio, il valore dei
conferimenti effettuati ed il valore degli utili già tassati ma non ancora prelevati.
Riepilogando: le somme ricevute dal socio recedente devono essere assoggettate all’imposizione nel limite in cui le
stesse costituiscono utile e non capitale.
Ai sensi dell’art.16, comma 1, lettera l), del D.P.R. 917/86 sono tassati "separatamente" i redditi compresi nelle somme
attribuite o nel valore normale dei beni assegnati ai soci a condizione che il periodo di tempo intercorso tra la
costituzione della società (o associazione di artisti o professionisti) e la comunicazione del recesso o dell’esclusione, la
deliberazione di riduzione del capitale, la morte del socio o l’inizio della liquidazione, sia superiore a cinque anni.
Si cerca cioè di colpire, attraverso la tassazione ordinaria, una eventuale speculazione agevolando invece l’investimento
a lungo termine.
L’interpretazione letterale della norma porta però a concludere che, ai fini della decorrenza del quinquennio, è
ininfluente il momento in cui il socio recedente sia entrato in società: si deve sempre avere riguardo alla data di
costituzione.
In caso di convenienza, da valutarsi caso per caso, è sempre possibile optare per la tassazione ordinaria e far confluire
tali redditi nel quadro H del mod. 740.
Il Ministero delle Finanze, in linea con la prevalente giurisprudenza, ha piu’ volte chiarito che le somme liquidate al
socio receduto costituiscono, per la società, un componente negativo interamente deducibile.
Sotto il profilo I.V.A. va segnalato che la somma pagata dalla società per il recesso del socio non è soggetta ad
imposizione salvo che non vi sia assegnazione di beni aziendali perchè in quest’ultimo caso, l’art. 2, comma 2, n.6) del
DPR 633/72, ne prevede l’imponibilità.
Per ciò che concerne l’imposta di registro la Suprema Corte ha chiarito che l’atto con cui un socio dichiara di recedere
puramente e semplicemente dalla società, configura un mero atto di recesso e non una cessione di quota per cui, in
applicazione del principio secondo cui gli atti devono essere tassati in base alla loro natura ed agli efetti giuridici che
producono, il negozio unilaterale di recesso va assoggettato ad imposta in misura fissa.
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