Sante Spine 2011 I Giovanni 2,12-14 Premessa Onorare la corona

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Sante Spine 2011
I Giovanni 2,12-14
Premessa
Onorare la corona di spine del Signore è per noi occasione di devozione a Gesù sofferente. Ci
fermiamo questa sera a riflettere e a pregare prendendo idealmente nelle nostre mani lo strumento di
tortura posto sul capo di Cristo. Che cosa è avvenuto infatti di queste Spine laceranti, crudele gioco
utilizzato per dileggio e per crudeltà? Esse sono diventare un segno di gloria, e la trasformazione è
avvenuta perché il Signore ha accolto con amore l’umiliazione, il dolore, la volontaria crudeltà dei
suoi carcerieri.
Gesù infatti ha voluto percorrere la vicenda umana in tutte le sue possibili dimensioni; nella storia
degli uomini vi è anche la noia dei violenti che diviene voglia di far soffrire, vi è il tempo
dell’accusa ingiusta e della difesa dei propri spazi di potere anche a costo della condanna
dell’innocente.
Le Spine dunque ci parlano della pazienza e della misericordia del nostro Salvatore che ha
conquistato una fraternità decisiva e piena nei confronti del prepotente brutale che lo ha torturato e
che viene perdonato; ma ancora più profonda e decisiva è l’unità che Cristo ha realizzato unendo a
sè ogni vittima della crudeltà dell’uomo nei confronti del suo simile.
In questo anno vorrei con voi soffermarmi su di una spina presente come stimolo doloroso nella
nostra comunità cristiana e civile: la difficile riconciliazione tra la società degli adulti e i giovani.
Prendo la parola ‘giovani’ per indicare non tanto una categoria sociale, quanto quel momento della
vita di un uomo e di una donna nel quale appare con chiarezza la distanza tra le attese e le speranze
che si coltivano, e l’assetto della società che gli adulti hanno delineato. E’ in questo luogo simbolico
che si deve attuare una sorta di riconciliazione tra i giovani e gli adulti; ciascuno ha un passo da fare
verso l’altro.
Il testo biblico
Ogni persona attenta e matura sa benissimo che il confronto, per quanto faticoso, è immediatamente
anche una opportunità positiva offerta. Nella stessa linea vorrei domandarmi quale risorsa ci offre la
fede per vivere il tempo della difficile riconciliazione tra giovani e adulti. Ci aiuta in questo
cammino il testo della lettera di Giovanni che ci è stato letto (1 Giovanni 2, 12-14)
Scrivo a voi, figlioli,
perché vi sono stati perdonati i peccati in virtù del suo nome.
Scrivo a voi, padri,
perché avete conosciuto colui che è da principio.
Scrivo a voi, giovani,
perché avete vinto il Maligno.
Ho scritto a voi, figlioli,
perché avete conosciuto il Padre.
Ho scritto a voi, padri,
perché avete conosciuto colui che è da principio.
Ho scritto a voi, giovani,
perché siete forti
e la parola di Dio rimane in voi
e avete vinto il Maligno.
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L’Apostolo scrive alla comunità cristiana. E noi ci sentiamo tra i destinatari della sua lettera. Nel
percorso del suo pensiero, Giovanni pone un intermezzo: è proprio il brano che abbiamo ascoltato.
Egli sembra dimenticare per un momento il filo del suo discorso per soffermarsi a incoraggiare i
credenti, e lo fa ricordano ai suoi lettori quali sono le caratteristiche della comunità di cui essi fanno
parte per la loro fede.
Per essere fiduciosi, anche nelle difficoltà di quell’ora che essi vivono, che pure ogni generazione
vive, Egli ci ricorda, ci sono buone ragioni: sappiamo di essere stati perdonati, e la corona di spine
appunto ci ricorda questa verità; abbiamo la dote inestimabile della fede in Cristo, inviato dal Padre
per la nostra salvezza; c’è in noi la Parola di Dio, forza e luce per il cammino quotidiano di
ciascuno di noi.
L’Apostolo tuttavia non si accontenta di delineare la preziosità dei beni posseduti dai credenti; egli
vuol far cogliere un aspetto ulteriore della vita della comunità cristiana. San Giovanni afferma che
nella Chiesa sono presenti fanciulli, figlioli come egli scrive, padri, e dunque adulti, e giovani.
Ciascuna di queste componenti ha caratteristiche proprie, ma proprio in ragione di ciò, dalla loro
presenza, nella comunità ecclesiale tutti sono vicendevolmente arricchiti.
La comunità infatti è composta da fanciulli, non solo perchè ci sono in essa dei bambini, ma nel
senso che si tratta di una comunità amata, accompagnata e protetta dal Signore come si fa sempre
quando si ha a che fare con un piccolo. E’ una comunità degna di rispetto, quasi di venerazione
perché è composta da adulti che hanno sperimentato la vita; inoltre in essa ci sono i giovani, capaci
di slanci di generosità e di forti esperienze ed emozioni.
In particolare ci soffermiamo sul fatto che la comunità ha in sè [Scrivo a voi, giovani, perché avete
vinto il Maligno..] la forza della giovinezza spirituale, del vigore di spirito che anima i giovani.
Dato che c’è un dono nella giovinezza, la comunità gode di questa freschezza, che la aiuta ad uscire
dalle nebbie dell’incertezza e della comoda arrendevolezza agli squilibri presenti che talvolta
segnano la società degli adulti e la trattengono in schemi rigidi, rendendola stretta e disagevole ai
giovani.
[Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti e la parola di Dio rimane in voi e avete vinto il
Maligno]. I credenti, sostenuti dalla giovinezza spirituale, hanno il potente aiuto della Parola di Dio,
che essi conoscono e fanno risuonare dentro di loro. Accogliendola con la generosità tipica dei
giovani, custodendola, osservando i comandamenti che essa propone, sanno mostrare il vigore dello
Spirito presente in loro e la potenza di Dio operante nella loro vita.
I giovani e la comunità cristiana oggi
Ecco come la Scrittura presenta la considerazione e il vero dialogo che avviene, per la grazia di Dio,
all’interno della comunità cristiana tra i giovani e gli adulti. Si tratta di riconoscere che la comunità
intera è chiamata all’ascolto e alla conoscenza dei giovani, per attuare un dialogo che è fatto di
comprensione del mondo giovanile, di rielaborazione di quanto essi ci offrono, di proposte di scelte
da compiere e di cordiale condivisione delle situazioni.
Alla luce rassicurante della Parola della Scrittura, e persuasi che è grazia il poterci confrontare con i
giovani, patrimonio prezioso della comunità ecclesiale e civile, vorrei condividere con voi uno
sguardo al mondo giovanile che interpella la società civile e la comunità ecclesiale.
La vicenda della pastorale giovanile
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L’attenzione e lo sguardo alla Pastorale giovanile nella nostra diocesi accompagna i passi della vita
della comunità ecclesiale nelle nostre parrocchie, nelle diverse aggregazioni giovanili, nelle
associazioni, movimenti, gruppi e anche nelle proposte diocesane.
Con viva memoria è ancora custodito l’evento significativo della accoglienza nelle nostre
parrocchie e nelle famiglie di 450 giovani stranieri in occasione della Giornata mondiale della
gioventù del 2000. Erano gli anni di celebrazione del XX Sinodo diocesano, evento ecclesiale che
ha coinvolto molti sacerdoti, religiosi, laici, anche giovani e che ha indicato nella pastorale
giovanile una delle attenzioni prioritarie della nostra chiesa particolare, all’interno del grande
orizzonte della evangelizzazione e degli evangelizzatori.
Lo sguardo al mondo giovanile si è ripresentato con la celebrazione del Sinodo Diocesano dei
giovani, concluso all’inizio del 2009. Mettendo a fuoco l’attenzione alla gioventù sono state
coinvolte le parrocchie, i gruppi giovanili e diversi giovani che hanno partecipato al momento
assembleare. Si è lavorato attorno al tema “Vi è un dono di Dio nella giovinezza”. Così scrivevo
nella lettera introduttiva del documento conclusivo di questo evento (25 gennaio 2009): “La
comunità diocesana, attraverso il Sinodo dei giovani, propone di guardare alla realtà giovanile con
rinnovato slancio e presenta una proposta per il rinnovamento della pastorale giovanile; tra queste
osservazioni e orientamenti vorrei individuare alcune priorità, una per ogni ambito entro il quale si è
mossa la riflessione”, richiamando così i seguenti ambiti: la cura della vita spirituale, la vita
affettiva, le scelte che il giovane è chiamato a compiere, gli oratori, l’assunzione di responsabilità
nel mondo e nella Chiesa, abitare i luoghi della informalità.
Ritengo ancora valido impegnarsi come chiesa locale in tutti questi ambiti, i primi tre riguardanti
dinamiche fondamentali della vita umana e cristiana dei giovani, e gli altri tre maggiormente
focalizzati sui luoghi di vita e di impegno dei giovani.
La lettura della situazione del mondo giovanile in Pavia non si discosta molto dalle condizioni
presenti nel resto del nostro Paese.
Ascoltare i giovani
Facendoci discepoli della Lettera di Giovanni, sappiamo che la comunità cristiana è se stessa
quando sa porsi in ascolto del mondo giovanile, e condividere quanto essi dicono alla comunità
adulta, sia civile sia cristiana. I giovani ci parlano talvolta con parole chiare, dette a volte sottovoce,
altre volte gridate, oppure ci parlano con i loro silenzi o con significative testimonianze. La loro
parola può presentarsi a noi come domanda.
Vorrei raccogliere brevemente alcune delle domande.
Una domanda di ascolto… Dei giovani conosciamo gli slanci di generosità, vediamo alle volte il
cammino di maturazione, ma sappiamo che domande, dubbi, fatiche segnano i loro passi. A noi
chiedono di essere ascoltati e accolti, compresi nei linguaggi che usano e che talvolta ci irritano e ci
respingono, e altre volte ci sembrano incomprensibili.
Una domanda di appartenenza. Certo, i giovani sembra che vogliano guadagnarsi e difendere una
loro autonomia, soprattutto dai luoghi educativi consueti, e da chi è visto come adulto. Eppure
l’esperienza di amicizia, di gruppo, di incontro spesso informale racconta una esigenza di
appartenere a qualcuno. I giovani ci raccontano il loro bisogno di sentirsi persona, di avere
“famiglia”, di riconoscersi in una significativa appartenenza. E’ una domanda che interpella
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fortemente le nostre comunità che dovrebbero offrirsi come luoghi in cui persone o gruppi
consentono a un giovane di appartenere.
Una domanda di abitare i luoghi. Vediamo i giovani in famiglia, come nei nostri oratori (non molto
numerosi purtroppo), oppure nel ritrovarsi di diverse realtà associative; molti abitano le piazze della
città. Tante volte essi si sono rivolti a noi, alla diocesi, alle parrocchie, al Comune per avere spazi di
incontro e di libera e creativa espressione. I giovani ci dicono il loro bisogno di avere luoghi di
incontro che non siano solo il bar o altri luoghi occasionali di ritrovo. E’ evidente il desiderio di
incontrarsi e insieme ci chiedono di poter abitare la città, ogni suo spazio, quello delle vie, delle
piazze, delle case.
Una domanda di essere accolti e accompagnati nelle loro fragilità. Certo, spesso vediamo bene le
inconsistenze dei nostri giovani. Non ci nascondono le loro debolezze, anzi a volte esse sono
presentate con prepotenza, con nostro sconcerto. In particolare la notte è il tempo in cui più evidenti
si manifestano le bizzarre trovate dei giovani, le loro dipendenze e le loro fragilità. Eppure quello
che ci mostrano, i segni di una umanità talvolta fragile, racconta qualcosa di noi comunità adulta e
ci chiede di domandarci che cosa abbiamo segnalato loro come importante o significativo nella vita.
E dopo esserci fatti un esame di coscienza, sarà positivo il scegliere di divenire compagni di strada,
capaci di accogliere e farci carico delle loro fragilità perché possano imparare il vivere di una piena
umanità.
Una domanda di parlare la stessa lingua. Nuovi linguaggi segnano oggi la grammatica dei giovani;
sono i linguaggi dei mezzi di comunicazione, di internet in particolare. Sono i linguaggi dei gruppi
di pari età, che si danno proprie regole per la loro vita, come la intendono. In questi casi ci
accorgiamo con ancor maggiore chiarezza che i nostri linguaggi invece sono distanti, che il nostro
modo di vivere è fatto ugualmente di regole che sono però differenti dalle loro. Spesso si parla, ma
non si comunica.
Una domanda di autorevolezza. I giovani ci chiedono di dire le parole che aiutano a crescere e che
sanno indirizzare nella vita. Sono il linguaggio non delle parole, ma delle scelte della proprie
esistenze. Tuttavia le parole parlate, che aiutino a riconoscere il bene e il male, sono importanti. Gli
adulti sono chiamati a dire le ragioni per cui compiono le scelte che fanno, farsi carico anche della
incomprensione che talvolta li mettono a distanza dai giovani. Le parole di chi è autenticamente
autorevole sono seriamente considerate, anche se non sempre condivise. Questa domanda dei
giovani mette in luce uno dei punti critici della nostra comunità adulta, il suo saper essere comunità
autorevole.
Una domanda, molte volte tacita, è la richiesta di essere accompagnati nelle scelte che qualificano
la vita, cioè di saper vivere la dimensione vocazionale della propria esistenza. Ci si accorge come
l’ambiente e le circostanze di vita dei giovani oggi consentono o costringono a spostare le scelte di
vita in là nel tempo, quando ormai l’epoca della giovinezza volge al termine o è già stata superata.
Ci viene chiesto dunque di aiutare i giovani a non rimandare le scelte possibili, a saper discernere i
tempi di una decisione che, se rimandata, non consente di qualificare la propria vita, di giungere ad
una collocazione nella società e nella vita che aiuta a chiarire se stessi, a vivere in maniera serena e
positiva. Soprattutto ci viene chiesto di ricordare e raccontare le regole di una buona scelta che
sempre sono le regole del servizio e del dono di sé, negli affetti, nella professione, nella vita di
Chiesa.
Una domanda di qualità nella formazione e nell’avvio della vita professionale. Attorno a questa
domanda ruota il tema dell’impegno nello studio, in particolare nell’Università e la possibilità dello
sbocco nel mondo della professione, del lavoro. Ci si accorge come i giovani oggi non sempre sono
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attrezzati a vivere queste diverse circostanze. La loro è la domanda di chi chiede di essere preso
seriamente nel mondo universitario e in quello del lavoro; si tratta per l’intera comunità di farsi
carico dell’interrogativo di chi non cerca semplicemente sicurezze nel futuro, ma vuole vedere
realisticamente praticabile un percorso professionale di inserimento significativo nella società.
Una domanda di gratuità. Vi sono molti giovani che fanno scelte di impegno volontario. Tante
scelte di gratuità dei nostri giovani, per lo più non clamorose e non propagandate, sono appello a
riscoprire, da parte di noi adulti, l’opportunità di segni di gratuità. Vi è una gratuità dei giovani nel
saper vivere scelte e tempi di servizio e di volontariato. Ma vi è un discorso di gratuità che
possiamo ascoltare da loro quando scelgono la semplicità della vita, quando mostrano di saper
gustare il poco di ogni giorno. Di gratuità ci parlano nel ricercare di vivere una carità operosa con la
capacità di assumersi il sacrificio.
Rispondere ai giovani
Se queste sono le domande, le parole dei giovani alla nostra comunità, ecclesiale e civile, quali
risposte dare? Non abbiamo la pretesa di dare risposte a tutto, ma vorremmo mostrare una comunità
che si sente arricchita dalle domande dei giovani, e stimolata a riflettere e a dialogare con i giovani,
raccogliendo le ricchezze che derivano dalle necessità che essi manifestano.
Non è tanto importante dare risposta ad ogni domanda sopra richiamata, ma piuttosto è utile far
emergere alcuni punti attorno ai quali tentare un dialogo, perché la grazia della giovinezza, evocata
dalla lettera di Giovanni, aiuti a formare una coscienza comunitaria vigile. Solo così si realizza
quella visione positiva di Chiesa di cui abbiamo parlato, e si giunge ad uno scambio di doni tra le
diverse età che compongono il tessuto della comunità ecclesiale.
Una prima riflessione si sofferma sulla domanda di appartenenza che abbiamo sopra raccolto.
Questa domanda dei giovani tocca la loro vita e arriva a interpellare la loro identità. Riflettere sulla
appartenenza vuol dire chiedersi da dove vengo, perché la vita che ho ricevuto, a chi devo
gratitudine per l’intero mio vivere; appartenenza significa conoscere e riconoscere la propria storia,
saperla accogliere e benedire, anche con i suoi tratti bui e più faticosi. Appartenenza richiama il far
luce sulla propria identità personale, in ogni suo ambito e pensare ad un progetto, desiderare il
proprio futuro, muovere dei passi consapevoli verso la realizzazione di un quadro di vita pianificato
e pure aperto all’imprevisto.
In molti dunque siamo interpellati a questo riguardo. Anzitutto la famiglia. E’ questa la prima realtà
di appartenenza, un legame non scelto, ma da tutti noi scoperto e accolto così come è. Sappiamo
bene quanto questa appartenenza sia vitale, cercata, desiderata anche quando apparentemente
sembra negata o rifiutata. La famiglia è chiamata a riflettere su quale attenzione e maturità sa
mettere in campo per offrire occasioni e possibilità reali e rispettose ai figli che hanno bisogno di
questo legame di appartenenza familiare. Si tratterà di muoversi nella pazienza, nei tentativi ripetuti
anche dopo i fallimenti, nel saper accettare i cambiamenti delle persone a cui vogliamo bene…
Anche alla comunità ecclesiale e civile è richiesto di sapersi prendere cura delle famiglie perché i
giovani rechino la loro ricchezza alla società e alla Chiesa. Politiche di promozione della famiglia,
incentivi riguardo ad una organizzazione della società che sia aperta alla promozione della natalità,
l’investimento nel campo dell’educazione, con l’attenzione sia alla scuola pubblica sia a quella
privata sono alcuni degli aspetti che tutti invocano perché i giovani decidano di sposarsi e non solo
di convivere. E si tratta di scelte normative già presenti ed efficaci in altri paesi europei a noi vicini
per sensibilità e storia.
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Nell’ambito ecclesiale: occorre saper maturare ambienti di accoglienza e di promozione della
famiglia e di un cammino anche di condivisione e confronto fra famiglie. Si tratta di saper
accogliere anche quelle famiglie che siamo soliti chiamare irregolari, come pure quelle segnate da
storie di sofferenza e da fatiche di mancanza di armonia o da scelte immature. Sono le famiglie
della nostra Chiesa, della nostra città, quelle che i giovani si ritrovano e che ricercano come luoghi
di appartenenza.
E poi c’è la comunità cristiana come luogo di appartenenza. Se idealmente le nostre comunità sono
accoglienti e desiderano l’incontro con i giovani, si aspettano di avere giovani in oratorio, in
concreto si può riconoscere come anche le diverse comunità ecclesiali faticano a rendersi luoghi
reali di incontro, confronto e di appartenenza. Una prima riflessione deve spingere la comunità
ecclesiale, le nostre parrocchie soprattutto, a chiedersi in che modo possono essere attraenti per i
giovani e laddove non lo siano devono mettersi in crisi per cambiare. Che cosa può attrarre un
giovane oggi guardando alle nostre comunità? Come preghiamo, come viviamo i legami tra di noi,
come si abita l’oratorio da adulti…? I giovani vedono le nostre comunità così come sono. Ne
possono essere attratti? Possono desiderare di appartenervi?
Comunità accoglienti e capaci di relazione, di favorire una appartenenza, richiedono la presenza di
guide spirituali (sacerdoti, religiosi/e, adulti maturi nella fede) che trovino il tempo da dedicare
all’ascolto, al discernimento, alla celebrazione del sacramento della riconciliazione. Solo una
comunità che ha adulti autorevoli, i ‘padri’ di cui ci parla San Giovanni, sia sul piano ecclesiale che
civile, potrà offrirsi come luogo vero e desiderabile di appartenenza.
In questa direzione si avverte la necessità che nascano gruppi di giovani. Sono pochi i gruppi
giovani nelle nostre parrocchie; quando ci sono, non è facile intravvedere un cammino formativo
per loro. Appartenenza vorrà anche dire promuovere l’esistenza di un gruppo di giovani che possa
essere luogo di incontro, dialogo, esperienza, cammino e confronto formativo. In questa luce è
indispensabile ridare dell’Azione cattolica il suo spazio e il suo ruolo nelle parrocchie; attraverso di
essa è possibile promuovere la presenza di adulti cristiani che sanno far gustare la comunità e
mostrano il cammino possibile del gruppo giovani perché si riconoscano in questa appartenenza.
Una seconda riflessione riguarda i luoghi di incontro e di vita dei giovani.
La nostra comunità ecclesiale gode di numerosi luoghi di incontro: parrocchia, oratorio, sale di
comunità e di accoglienza. Una prima immediata attenzione riguarda gli spazi disponibili e abitabili
dai giovani. Occorre domandarsi con sincerità quale cura reale c’è nelle nostre parrocchie e oratori
per la presenza di giovani. Ci sono luoghi che i giovani possano sentire come loro, abitare con i loro
gusti, potendo esprimere la propria creatività, oppure sono sempre luoghi ove si trovano come
“ospiti”? E come comunità, quali luoghi informali siamo capaci di offrire?
Un altro luogo particolare abitato dai giovani è la piazza. Conosciamo i rischi e i limiti… Ma noi
come abitiamo la piazza? Quali dialoghi sappiamo intessere con i giovani là dove si trovano? La
piazza è l’immagine dello stare con i giovani così come sono e non richiedendo primariamente che
si adeguino a nostre attese e ai nostri stili. Si tratta di abitare insieme il mondo, la città, luoghi vari
di aggregazione. Dovremo attrezzarci per avere persone preparate a stare in questi ambienti.
E’ un problema non solo della comunità cristiana, ma anche di quella civile. Comune, società civile,
aggregazioni varie insieme possono inventare modalità per rendere i luoghi della città abitabili dai
giovani e come giovani.
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Un luogo particolare è quello della “rete”. Per i giovani oggi la “rete” non è semplicemente un
ambiente utilizzato come strumento, ma è l’ambiente in cui si vive, si coltivano relazioni, si
comunica, si cerca l’incontro e si manifestano i propri disagi, si dà voce alle proprie passioni…
Pane quotidiano è per i giovani abitare luoghi quali i social network (ad esempio, facebook…). A
noi adulti e alla comunità cristiana è chiesto di conoscere, utilizzare, “abitare” questi luoghi, anche
se per noi rimarranno comunque “strumenti” più che luoghi di normale ambientazione. Coloro che
si curano del mondo giovanile, nelle parrocchie e in diocesi, dovranno impegnarsi a crescere in
competenza riguardo al luogo della “rete” e dovranno tentare di abitarlo in modo significativo e con
gli strumenti tipici di questo mondo (social network, blog, ecc.).
Un terzo ambito di attenzione è delineato dalla questione del linguaggio.
Già ricordavo l’ambiente “internet” come luogo abitato dai giovani oggi, luogo ormai di vita.
Questa stessa consapevolezza e attenzione ricade sul tema del linguaggio, in quanto internet oggi
deve essere una delle occasioni di dialogo e di comunicazione con i giovani.
Linguaggio non è solo parlare la stessa lingua ed usare la stessa grammatica. Linguaggio significa
sapere e poter comunicare. Il linguaggio richiede una grammatica condivisa e bene applicata. Ci si
chiede se, come comunità cristiana, sappiamo comprendere il linguaggio e i messaggi che i giovani
ci trasmettono. Alcune vicende di trasgressione, di fatica nella comunicazione, di scontro con il
mondo adulto, come anche vicende di grande generosità, di volontariato, di coraggiosa
testimonianza, diventano occasioni di dialogo e in esse i giovani manifestano il desiderio di
trasmettere a noi adulti un messaggio. Cosa vuol dire dialogare con lo stesso linguaggio? Si tratta di
studiare il mondo giovanile per capirlo. Parlare lo stesso linguaggio non vuole dire appiattirsi sugli
stessi modelli culturali, ma saper comprendere i giovani mantenendo i propri ruoli e le proprie
responsabilità.
Il tema del linguaggio richiama anche la problematica della proposta di un progetto di vita
evangelica che la Chiesa esprime anche con le parole della morale, ad esempio sui temi della
morale sessuale e sulla vita di coppia. Siamo chiamati ad assumere come comunità l’avventura di
sostenere una proposta, tentare il dialogo, comprendere le ragioni e la visuale dei giovani in merito.
E’ ben chiara per noi la proposta morale per la vita: essa vale anche per i giovani. Occorre partire
dalla consapevolezza di quanta distanza ci sia spesso tra i loro pensieri e la proposta di vita secondo
lo sguardo del Vangelo; non scuotere la testa sconsolati, non gridare allo scandalo, ma aprire un
discorso che parte dalla certezza che la morale evangelica apre, a chi la accoglie, cammini di
maturità personale e di pace del cuore.
Lo sguardo al linguaggio ci porta a riflettere anche sulle qualità dell’educatore, del formatore. Si
tratterà di curare la formazione degli educatori.
Fa parte della attenzione al linguaggio saper accogliere e accompagnare quelle che la lettera della
CEI sulla educazione ha delineato come le “fragilità” dei giovani. Si tratta di camminare con i
giovani cominciando là dove loro si trovano. Si tratta di situazioni di vita comuni di particolare
“sofferenza” e “fragilità”. Riconosciamo il tema della solitudine, delle ferite nel vivere gli affetti e
l’esperienza dell’amore, le contraddizioni della esperienza della dimensione della sessualità, lo
sconcerto di esperienze segnate da fallimenti e incomprensioni, la trasgressione che spesso si
manifesta nella “notte”. I giovani nei momenti di difficoltà e di fragilità chi trovano? Il mondo
adulto è un mondo che rimette in cammino, ridà fiducia, incoraggia, aiuta a scoprire le proprie
qualità e i propri carismi oppure emette sentenze inappellabili dalle quali un giovane non può più
sfuggire e rialzarsi?
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In questo quadro va collocata l’importanza della educazione alla vita spirituale e alla preghiera
come spazio di costruzione di una robustezza di vita che sa affrontare e gestire le fragilità. Decisiva
è la conoscenze e la frequentazione della Parola di Dio.
Ancora voglio con voi pormi di fronte agli stimoli che vengono dalla domanda sulla gratuità dei
giovani.
Non è trascurabile, già lo notavo, il numero dei giovani che portano in sé la domanda di esperienza
senza profitto, senza necessario ritorno. E’ ciò che il Signore ha indicato come un essere “servi
inutili”, “soltanto servi”. E penso alla vita quotidiana, alle relazioni della vita e dei tempi ordinari.
In questa luce è da comprendere bene e valorizzare l’esperienza della amicizia come luogo e
dinamica che aiuta ad apprezzare il quotidiano, la semplicità, la cura del “tempo libero”, la ricerca
di tutto quanto favorisce la qualità della vita, come ad esempio le letture, la musica, l’interesse per i
viaggi. In questo orizzonte si colloca anche la richiesta del giovane di assumere la vita nella sua
radicalità. La comunità cristiana può aiutare a fare scelte di essenzialità, è importante che le
sostenga. Penso ad esempio alle scelte nell’orizzonte del commercio “sostenibile”, alle esperienze
caritative, alla promozione di stili di vita alternativi capaci di dire l’autenticità di vita di cui un
giovane ha certamente sete.
Molti sono gli stimoli che potremmo raccogliere a questo riguardo. Si tratta anzitutto di favorire
come comunità ecclesiale e civile le diverse opportunità di volontariato, di carità, di missione.
L’esperienza per un giovane in questo campo fa crescere molto. E poi si vorrebbe raccogliere la
testimonianza dei giovani circa la semplicità della vita e il gusto delle piccole cose. La semplicità
di vita, la quotidianità, la gratuità sono il terreno in cui si giocano i tempi e le svolte fondamentali
della vita dei giovani: la formazione negli studi, il lavoro, le scelte. La sfida è quella di consentire
che in questi ambiti la responsabilità dei giovani possa maturare, in una cornice però dove non
venga meno la freschezza della vita e la essenzialità di cui lo spirito giovanile è portatore.
Il tempo della formazione negli studi. E’ tempo molto delicato e che richiede vicinanza, consiglio,
aiuto. La formazione di un giovane oggi passa attraverso il mondo della scuola e poi
dell’Università. La riflessione non vuole qui toccare le problematiche della scuola e dell’Università
oggi, ma solo richiamare l’esigenza di un lavoro integrato di queste agenzie educative con il resto
della vita di un giovane. Chi lascia una traccia nella vita di un giovane oggi, cioè nel suo modo di
pensare, di scegliere, di vivere la cultura? La questione di fondo è quella di far dialogare gli
interlocutori diversi di un giovane, tra cui si colloca la scuola e poi l’Università. Sappiamo per
esperienza che aver incontrato docenti capaci di gratuità, di impegno non solo tecnicamente
adeguato, ma professionalmente impegnato, consente di sentirsi accompagnati alla crescita verso
una maturità positiva e gioiosa. Penso alla partecipazione numerosa e commossa dei giovani al
saluto che è stato fatto in Università al Prof. Grevi. Essi ci hanno detto che sanno ben riconoscere la
professionalità che si integra con la dedizione, il rispetto per lo studente, la lungimiranza di chi si
mette a fianco di un giovane, per promuoverne la maturità di uomo e di cittadino.
E poi il lavoro. Accennavo alle difficoltà del mondo giovanile lavorativo: precariato, flessibilità
sono temi su cui ci siamo soffermati nella riflessione a proposito delle Spine nello scorso anno.
Oggi un giovane arriva tardi ad affacciarsi al mondo del lavoro; le esigenze della vita professionale,
i tempi che possono occupare il tutto della giornata del giovane, l’esperienza frequente del
pendolarismo rischiano di schiacciare gli orizzonti dei giovani e di spegnere una intraprendenza
buona all’inizio della esperienza di vita giovanile. Il tutto del lavoro rischia di diventare il tutto
della vita di una persona. Come possiamo noi tutti aiutare ad allargare gli orizzonti di vita, di
interesse, di confronto e di impegno?
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Una ultima questione che vorrei richiamare riguarda la necessità di aiutare i giovani ad arrivare a
fare delle scelte.
Come comunità cristiana siamo chiamati a far fare delle scelte ai giovani. Occorre promuovere ‘la
partenza’, come si usa dire nel mondo dello scoutismo. E’ quel momento importante in cui si decide
che un tratto della vita è concluso ed è giunto il tempo della scelta di una nuova direzione da dare
alla vita. Ci si chiede anzitutto quale prospettiva si propone ai giovani oggi. La vita della famiglia,
la vita del prete, la vita della religiosa…: è da noi presentata e vissuta come vita buona, capace di
attrarre un giovane oggi? La proposta vocazionale per i giovani e l’educazione alle scelte richiede
da noi la coerenza e la esemplarità di una vita umana buona e appetibile, capace di esprimere in
pienezza le ricchezze della umanità. Tutto il resto aiuterà a scegliere: dialoghi, confronti, proposte,
esperienze varie, ma solo una vita vissuta con desiderio di coerenza e senza resistenze al confronto
e alla giusta critica può condurre altri a scegliere e a donare la vita..
Conclusione
Come concludere formulando una parola di sintesi? Una comunità riconcilia in sé giovani e adulti
quando sa esprimere gratitudine. E così vi invito tutti, giovani e adulti, a far nascere e poi nutrire
questi sentimenti:
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Gratitudine per la giovinezza e per i giovani; essi richiamano tutti a dire grazie per il dono
della vita
Gratitudine per le parole forti e schiette che sono dai giovani rivolte agli adulti quando
ricercano una autenticità di vita più coraggiosa.
Gratitudine per scelte di generosità e di dedizione che i giovani compiono, anche al di fuori
degli schemi che sono consueti per gli adulti.
Gratitudine per la comprensione e pazienza di fronte alle incoerenze del mondo adulto
Gratitudine ai giovani che in modi diversi nelle nostre parrocchie e realtà ecclesiali oppure
nel mondo del servizio civile e anche politico, dedicano impegno, competenza e creatività.
Il Signore che si è fatto nostro maestro ed esempio nella fede e nel sacrificio, propizi e faccia
crescere una riconciliazione che aiuti i giovani a scoprire il senso e il valore dei ‘padri’, e sappia
suggerire agli adulti fiducia, rispetto, attenzione per i ‘figlioli’ e i ‘giovani’, di cui ci ha parlato San
Giovanni.
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