- Figlie della Chiesa

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VII Domenica del Tempo Ordinario
Antifona d'ingresso
Confido, Signore, nella tua misericordia.
Gioisca il mio cuore nella tua salvezza,
canti al Signore che mi ha beneficato. (Sal 13,6)
Colletta
Il tuo aiuto, Padre misericordioso,
ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito,
perché possiamo conoscere
ciò che è conforme alla tua volontà
e attuarlo nelle parole e nelle opere.
Oppure:
O Dio, che nel tuo Figlio
spogliato e umiliato sulla croce,
hai rivelato la forza dell’amore,
apri il nostro cuore al dono del tuo Spirito
e spezza le catene della violenza e dell’odio,
perché nella vittoria del bene sul male
testimoniamo il tuo Vangelo di pace.
PRIMA LETTURA (Lv 19,1-2.17-18)
Ama il tuo prossimo come te stesso.
Dal libro del Levìtico
Il Signore parlò a Mosè e disse:
«Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono
santo.
Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti
caricherai di un peccato per lui.
Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te
stesso. Io sono il Signore”».
SALMO RESPONSORIALE (Sal 102)
Rit: Il Signore è buono e grande nell’amore.
Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici. Rit:
Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia. Rit:
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Non ci tratta secondo i nostri peccati
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e non ci ripaga secondo le nostre colpe. Rit:
Quanto dista l’oriente dall’occidente,
così egli allontana da noi le nostre colpe.
Come è tenero un padre verso i figli,
così il Signore è tenero verso quelli che lo temono. Rit:
SECONDA LETTURA (1Cor 3,16-23)
Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di
Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.
Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare
sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: «Egli fa cadere i
sapienti per mezzo della loro astuzia». E ancora: «Il Signore sa che i progetti dei sapienti sono vani».
Quindi nessuno ponga il suo vanto negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita,
la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio.
Canto al Vangelo (1Gv 2, 5)
Alleluia, alleluia.
Chi osserva la parola di Gesù Cristo,
in lui l’amore di Dio è veramente perfetto.
Alleluia.
VANGELO (Mt 5,38-48)
Amate i vostri nemici.
+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio;
anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in
tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un
miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri
nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa
sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi
amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri
fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è
perfetto il Padre vostro celeste».
Preghiera sulle offerte
Accogli, Signore,
quest’offerta espressione della nostra fede;
fa’ che dia gloria al tuo nome
e giovi alla salvezza del mondo.
Antifona di comunione
Annunzierò tutte le tue meraviglie. In te gioisco ed esulto,
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canto inni al tuo nome, o Altissimo. (Sal 9,2-3)
Oppure:
Signore, io credo che tu sei il Cristo,
il Figlio del Dio vivente, venuto in questo mondo. (Gv 11,27)
Oppure:
“Se amate quelli che vi amano,
quale merito ne avete?”,
dice il Signore. (Mt 5,46)
Preghiera dopo la comunione
Il pane che ci hai donato, o Dio,
in questo sacramento di salvezza,
sia per tutti noi pegno sicuro di vita eterna.
Lectio
“Avete inteso che fu detto: occhio per occhio, dente per dente”. Da chi fu detto? Certo anzitutto da Mosè.
L’espressione si trova nel “codice dell’alleanza” (Es 21,24), nel quadro delle norme penali che disciplinano la
materia degli atti di violenza.
Se non esistesse un diritto penale, se l’uomo fosse abbandonato all’arbitrio dei suoi sentimenti, spesso
colui che viene ferito si vendicherebbe infliggendo al suo feritore un danno assai più grande di quello
ricevuto. Perché così è la vendetta; è esplosiva, non cerca semplicemente il risarcimento, ma cerca
l’umiliazione, l’avvilimento, l’offesa dell’altro.
Il risarcimento d’altra parte non è neppure sempre possibile: se uno perde un occhio in una lite, nessuno
può restituirglielo. Più profondamente si deve dire che il risarcimento è impossibile, perché il male di cui si
tratta è un’offesa dello spirito, e non un danno materiale. L’unico risarcimento pensabile sarebbe forse
quello che l’altro si pentisse e mi chiedesse perdono. Non dovrebbe però trattarsi di domanda suggerita
dalle convenienze sociali, di domanda che semplicemente restaurasse il mio onore, la mia dignità di fronte
al pubblico. Dovrebbe piuttosto trattarsi di una domanda suggerita dal sincero dispiacere, dal desiderio
dell’altro di non aver mai fatto ciò che invece egli ha fatto. Il mio offensore dovrebbe riuscire a convincermi
che i suoi sentimenti sono cambiati, e che addirittura lui non potrebbe vivere senza il mio perdono.
Chiedere perdono infatti vuol dire, alla lettera, mettersi nelle mani dell’altro, e attendere da una sua parola
l’autorizzazione a vivere, la parola che solleva dall’avvilimento mortale della colpa.
Ma un risarcimento di questo tipo è quasi impensabile. Noi di fatto per lo più non ci crediamo. All’offesa
reagiamo con l’ira, e quindi con la smania di offendere e di avvilire. Nascondiamo il desiderio più profondo,
quello di avere l’altro come amico, dietro il desiderio più cattivo di ridurlo al silenzio, alla vergogna, alla
paralisi, quasi non esistesse più.
Mosè che conosceva questa incontenibile violenza dell’ira, pose ad essa un confine, una misura: “Occhio
per occhio, dente per dente”. La formula appare crudele e barbara ai nostri orecchi raffinati. L’altro non si
tocca, non gli si possono mettere le mani addosso in alcun modo. Se però, invece delle mani, gli si mettono
addosso parole di fuoco, oppure parole fredde e velenose di disprezzo, o addirittura soltanto sentimenti
segreti di rancore, questo non appare neppure oggi crudele e barbaro. In tal senso non solo “fu detto”, ma
ancora oggi si dice e si sente così: occhio per occhio dente per dente.
“Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche
l’altra”.
La legge nuova, che Gesù propone, appare tanto chiaramente impraticabile e remota dalle concrete
necessità della vita quotidiana, che a questo punto il cristiano chiude nostalgicamente il vangelo e si
arrende all’evidenza: il vangelo non è per tutti, non è certamente adatto a me. Il vangelo è solo per i santi, e
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quella della santità è una professione esigente, incompatibile con ogni altra professione, con ogni
responsabilità sociale. Chi non può rinunciare alla sua professione di operaio o di impiegato, di dipendente
o di datore di lavoro, di moglie o di marito, di genitore o di figlio deve rinunciare alla professione di santo.
Quanto al modo di regolarsi di fronte alle offese, cercherà caso per caso un ragionevole compromesso.
La forma paradossale, iperbolica, della parola di Gesù diventa in tal modo pretesto per il nostro segreto
desiderio, quello cioè di non lasciarci troppo inquietare dal vangelo. Invece occorre chiarire l’iperbole, e
riconoscere che la legge nuova di Gesù – pure espressa in forma tanto abbreviata e oscura – è
praticabilissima, è tutto e solo ciò che esige un effettivo perdono.
Quando uno riceve uno schiaffo, il compromesso ragionevole è per lo più di questo tipo: certo, non glielo
restituirò, non sarò grossolano come lui, non mi metterò sul suo stesso piano – e già questi pensieri
mostrano come prenda figura nell’animo la forma più sottile della vendetta, e cioè il disprezzo – ma mi
guarderò bene dal continuare a considerarlo come amico, dall’espormi ancora una volta ad una familiarità
che si è mostrata tanto immeritata; piuttosto, lo considererò un estraneo, lo cancellerò dalla mia vita, farò
come se neppure esistesse, lo punirò con la mia indifferenza.
A questo ragionevole compromesso accade talora che si dia addirittura il nome di “perdono”; questi
sentimenti infatti spesso si nascondono sotto la formula: “L’ho perdonato, ma non posso dimenticare”.
Contro questi sentimenti Gesù dice: “Porgigli l’altra guancia “: e cioè, fuori di iperbole, continua a cercarlo
come amico, come prossimo, come fratello, come uno del cui affetto e della cui stima non puoi fare a
meno. E non addurre a pretesto la scusa che fare cosi equivarrebbe ad offrire la faccia agli schiaffi: perché
io ti dico che proprio questo chiede l’amore, che cioè ci si renda vulnerabili nei confronti dell’altro.
Anche Dio si rende vulnerabile, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti, fa brillare il suo sole su tutti,
anche su quelli la cui esistenza proclama a grandi lettere: “Dio non esiste, Dio non vede, Dio non può nulla”.
Tu forse pensi che meglio farebbe Dio a spegnere il sole sulla vita di costoro. E invece no. Egli continua a
illuminarli, perché crede ed attende che essi si convertano.
Se davvero credi in questo Padre, se vuoi essere suo figlio, se vuoi aiutare la sua luce a brillare in questo
mondo, devi anche tu amare i tuoi nemici e pregare per i tuoi persecutori.
Appendice
Non ci viene richiesto il martirio, ma l`amore del prossimo
Forse qualcuno obietta che oggi non è più il tempo in cui ci sia dato di sopportare per Cristo ciò che gli
apostoli sopportarono ai loro giorni. E` vero: non vi sono imperatori pagani, non vi sono tiranni persecutori;
non si versa il sangue dei santi, la fede non è messa alla prova con i supplizi. Dio è contenta che gli serviamo
in questa nostra pace, che gli piacciamo con la sola purità immacolata delle azioni e la santità intemerata
della vita. Ma per questo gli è dovuta più fede e devozione, perché esige da noi meno, pur avendoci elargito
di più. Gli imperatori, dunque, sono cristiani, non c`è persecuzione alcuna, la religione non viene turbata,
noi non veniamo costretti a dar prova della fede con un esame rigoroso: perciò dobbiamo piacere di più a
Dio almeno con gli impegni minori. Dimostra infatti di essere pronto a imprese maggiori, se le cose lo
esigeranno, colui che sa adempire i doveri minori.
Omettiamo dunque ciò che sostenne il beatissimo Paolo, ciò che, come leggiamo nei libri di religione scritti
in seguito, tutti i cristiani sostennero, ascendendo così alla porta della reggia celeste per i gradini delle loro
pene, servendosi dei cavalletti di supplizio e dei roghi come di scale. Vediamo se almeno in quegli ossequi di
religiosa devozione che sono minori e comuni e che tutti i cristiani possono compiere nella pace più stabile
ed in ogni tempo, ci sforziamo realmente di rispondere ai precetti del Signore. Cristo ci proibisce di litigare.
Ma chi obbedisce a questo comando? E non è un semplice comando, giungendo al punto di imporci di
abbandonare ciò che è lo stesso argomento della lite pur di rinunciare alla lite stessa: "Se qualcuno" - dice
infatti -"vorrà citarti in giudizio per toglierti la tunica, lasciagli anche il mantello" (Mt 5,40). Ma io mi chiedo
chi siano coloro che cedano agli avversari che li spogliano, anzi, chi siano coloro che non si oppongano agli
avversari che li spogliano? Siamo tanto lontani dal lasciare loro la tunica e il resto, che se appena lo
possiamo, cerchiamo noi di togliere la tunica e il mantello all`avversario. E obbediamo con tanta devozione
ai comandi del Signore, che non ci basta di non cedere ai nostri avversari neppure il minimo dei nostri
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indumenti, che anzi, se appena ci è possibile e le cose lo permettono, strappiamo loro tutto! A questo
comando ne va unito un altro in tutto simile: disse infatti il Signore: "Se qualcuno ti percuoterà la guancia
destra, tu offrigli anche l`altra" (Mt 5,39). Quanti pensiamo che siano coloro che porgano almeno un poco
le orecchie a questo precetto o che, se pur mostrano di eseguirlo, lo facciano di cuore? E chi vi è mai che se
ha ricevuto una percossa non ne voglia rendere molte? E` tanto lontano dall`offrire a chi lo percuote l`altra
mascella, che crede di vincere non solo percuotendo l`avversario, ma addirittura uccidendolo.
"Ciò che volete che gli uomini tacciano a voi" - dice il Salvatore - fatelo anche voi a loro, allo stesso modo"
(Mt 7,12). Noi conosciamo tanto bene la prima parte di questa sentenza che mai la tralasciamo; la seconda,
la omettiamo sempre, come se non la conoscessimo affatto. Sappiamo infatti benissimo ciò che vogliamo
che gli altri ci facciano, ma non sappiamo ciò che noi dobbiamo fare agli altri. E davvero non lo sapessimo!
Sarebbe minore la colpa dovuta ad ignoranza, secondo il detto: "Chi non conosce la volontà del suo
padrone sarà punito poco. Ma chi la conosce e non la eseguisce, sarà punito assai" (Lc 12,47). Ora la nostra
colpa è maggiore per il fatto che amiamo la prima parte di questa sacra sentenza per la nostra utilità e il
nostro comodo; la seconda parte la omettiamo per ingiuria a Dio. E questa parola di Dio viene inoltre
rinforzata e rincarata dall`apostolo Paolo, il quale, nella sua predicazione, dice infatti: "Nessuno cerchi ciò
che è suo, ma ciò che è degli altri" (1Cor 10,24); e ancora: "I singoli pensino non a ciò che è loro, ma a ciò
che è degli altri" (Fil 2,4). Vedi con quanta fedeltà abbia egli eseguito il precetto di Cristo: il Salvatore ci ha
comandato di pensare a noi come pensiamo agli altri, egli invece ci comanda di badare più ai comodi altrui
che ai nostri. E` il buon servo di un buon Signore e un magnifico imitatore di un Maestro unico:
camminando sulle sue vestigia ne rese, quasi, più chiare e, scolpite le orme. Ma noi cristiani facciamo ciò
che ci comanda Cristo o ciò che ci comanda l`Apostolo? Né l`uno né l`altro, credo. Siamo tanto lungi tutti
noi da offrire agli altri qualcosa con nostro incomodo, che badiamo sommamente ai nostri comodi,
scomodando gli altri. (Salviano di Marsiglia, De gubernatione, 3, 5-6)
La pagliuzza e la trave
Ma io che predico eseguo forse le cose che predico? Miei fratelli, le eseguo se prima le attuo in me stesso, e
le attuo in me stesso se dal Signore ricevo [il dono di attuarle]. Ecco, le eseguo: odio i miei vizi, offro il mio
cuore al mio medico perché lo risani; gli stessi vizi per quanto mi è possibile perseguito, ne gemo, riconosco
che sono in me ed, ecco, me ne accuso. Tu che vorresti rimproverarmi, correggi te stesso. La giustizia è
infatti questa: che non ci si possa dire: "Vedi la pagliuzza nell`occhio di tuo fratello e non vedi la trave che è
nell`occhio tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi vedrai di togliere la pagliuzza dall`occhio di
tuo fratello" (Mt 7,3-4). L`ira è una pagliuzza, l`odio è una trave. Ma alimenta la pagliuzza e diventerà una
trave. Un`ira inveterata diventa odio: una pagliuzza accresciuta diviene una trave. Affinché pertanto la
pagliuzza non divenga trave, "non tramonti il sole sopra la vostra ira" (Ef 4,26). Vedi, t`accorgi di esser
divorato dall`odio, e vorresti riprendere chi è adirato? Liberati prima dall`odio e farai bene a rimproverare
chi è in preda all`ira. Costui ha nell`occhio una pagliuzza, tu hai una trave. Se in effetti tu sei pieno di odio,
come farai a vedere colui al quale devi togliere [la pagliuzza]? Nel tuo occhio c`è una trave. E perché nel tuo
occhio c`è una trave? Perché hai preso alla leggera la pagliuzza che vi era nata: con quella ti addormentasti,
con quella ti levasti, la facesti sviluppare nel tuo intimo, la innaffiasti con sospetti infondati. Credendo alle
parole degli adulatori e di coloro che ti riferivano parole cattive sul conto del tuo amico incrementasti la
pagliuzza, non la strappasti via. Col tuo affetto la facesti diventare trave. Togli dal tuo occhio questa trave!
non odiare il tuo fratello. Ti spaventi o non ti spaventi? Io ti dico di non odiare e tu rimani tranquillo..., e
rispondendo mi dici: Che significa odiare? E che male c`è se un uomo odia il suo nemico? Tu odii il tuo
fratello! Se prendi alla leggera l`odio, ascolta come non fai caso alle parole: "Chi odia il suo fratello è un
omicida" (1Gv 3,15). Chi odia è un omicida. Non ti sei procurato del veleno; ma forse che per questo puoi
dirmi: Che c`entro io con l`essere omicida? "Chi odia è omicida". Non ti sei procurato il veleno, non sei
uscito di casa con la spada per colpire il tuo nemico, non ti sei comprato l`esecutore del delitto, non hai
programmato né il luogo né il tempo. E, infine, il delitto effettivamente non l`hai compiuto. Hai solamente
odiato. Eppure, hai ucciso: ucciso te prima dell`altro [che odiavi]. Amate dunque la giustizia e non nutrite
odio se non contro i vizi. Quanto alle persone, amate tutti. Se vi comporterete così e praticherete questa
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giustizia, preferirete cioè che gli uomini, anche se viziosi, siano piuttosto risanati che non condannati,
compirete opere buone nella vigna [del Signore]. Occorre però che a questo vi esercitiate, o miei fratelli.
Ecco, terminato il discorso si darà il congedo ai catecumeni e resteranno solo i fedeli. Si giungerà al
momento della preghiera. Voi sapete dove si giungerà. Che diremo a Dio in antecedenza? "Rimetti a noi i
nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori" (Mt 6,12). Fate presto a rimettere, fate presto!
Dovrete infatti arrivare a queste parole della preghiera. Come farete a dirle? e come farete a non dirle? Alla
fin delle fini la mia domanda è questa: Le direte o non le direte? Odii, e le dici? Mi replicherai: Allora non le
dico. Preghi, e non le dici? Odii, e le dici? Preghi, e non le dici? Via, presto, rispondi! Ma se le dici, mentisci;
se non le dici, resti senza meriti. Controllati, esaminati. Ecco, ora dovrai pronunziare la tua preghiera:
perdona con tutto il cuore. Vorresti altercare con il tuo nemico; intenta prima la lite al tuo cuore. Ripeto:
Alterca, alterca col tuo cuore! Di` al tuo cuore: Non odiare! Ma il tuo cuore, il tuo spirito, continua con
l`odio. Di` alla tua anima: Non odiare! Come farò a pregare, come dirò: "Rimetti a noi i nostri debiti?"
Questo veramente lo potrei dire, ma come potrò dire il seguito: "Come anche noi?" Cosa? "Come anche noi
rimettiamo". Dov`è il tuo cristianesimo? Fa` ciò che dici: "Come anche noi".
Ma la tua anima non vuol perdonare, e si rattrista perché le dici di non portar odio. Rispondile: "Perché sei
triste, anima mia, e perché mi turbi?" (Sal 41,6). "Perché mi turbi?", o: "Perché sei triste?" Non odiare per
non portarmi alla perdizione. "Perché mi turbi? Spera in Dio". Sei nel languore, aneli, ti opprime l`infermità.
Non sei in grado di liberarti dall`odio. Spera in Dio, che è medico. Egli per te fu sospeso a un patibolo e
ancora non si vendica. Come vuoi tu vendicarti? Difatti in tanto odii in quanto ti vorresti vendicare. Guarda
al tuo Signore pendente [dalla croce]; guardalo così sospeso e quasi in atto d`impartire ordini dall`alto di
quel legno-tribunale. Guardalo mentre, sospeso, prepara a te malato la medicina ricavata dal suo sangue.
Guardalo sospeso! Vuoi vendicarti? Lo vuoi davvero? Guarda a colui che pende [dalla croce] e ascolta ciò
che dice: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34). (Agostino, Sermo 49, 7-9)
Cari fratelli e sorelle!
In questa settima domenica del Tempo Ordinario, le letture bibliche ci parlano della volontà di Dio di
rendere partecipi gli uomini della sua vita: «Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo» - si
legge nel Libro del Levitico (19,1). Con queste parole, e i precetti che ne conseguono, il Signore invitava il
popolo che si era scelto ad essere fedele all’alleanza con Lui camminando sulle sue vie e fondava la
legislazione sociale sul comandamento «amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lv 19,18). Se ascoltiamo,
poi, Gesù, nel quale Dio ha assunto un corpo mortale per farsi prossimo di ogni uomo e rivelare il suo
amore infinito per noi, ritroviamo quella stessa chiamata, quello stesso audace obiettivo. Dice, infatti, il
Signore: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). Ma chi potrebbe diventare
perfetto? La nostra perfezione è vivere con umiltà come figli di Dio compiendo concretamente la sua
volontà. San Cipriano scriveva che «alla paternità di Dio deve corrispondere un comportamento da figli di
Dio, perché Dio sia glorificato e lodato dalla buona condotta dell’uomo» (De zelo et livore, 15: CCL 3a, 83).
In che modo possiamo imitare Gesù? Gesù stesso dice: «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi
perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,44-45). Chi accoglie il Signore nella
propria vita e lo ama con tutto il cuore è capace di un nuovo inizio. Riesce a compiere la volontà di Dio:
realizzare una nuova forma di esistenza animata dall’amore e destinata all’eternità. L’apostolo Paolo
aggiunge: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?» (1 Cor 3,16). Se siamo
veramente consapevoli di questa realtà, e la nostra vita ne viene profondamente plasmata, allora la nostra
testimonianza diventa chiara, eloquente ed efficace. Un autore medievale ha scritto: «Quando l’intero
essere dell’uomo si è, per così dire, mescolato all’amore di Dio, allora lo splendore della sua anima si riflette
anche nell’aspetto esteriore» (Giovanni Climaco, Scala Paradisi, XXX: PG 88, 1157 B), nella totalità della
vita. «Grande cosa è l’amore – leggiamo nel libro dell’Imitazione di Cristo –, un bene che rende leggera ogni
cosa pesante e sopporta tranquillamente ogni cosa difficile. L’amore aspira a salire in alto, senza essere
trattenuto da alcunché di terreno. Nasce da Dio e soltanto in Dio può trovare riposo» (III, V, 3). (Papa
Benedetto XVI, Angelus del 20 febbraio 2011)
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