ORDINAZIONE PRESBITERALE DI DON THOMAS LE BOURHIS Ventimiglia, Cattedrale, 16 settembre 2006 Il sacerdote: un “uomo di Dio” Per la seconda volta, in pochi mesi, siamo testimoni di un grande evento: una nuova ordinazione presbiterale, quella di Don Thomas Le Bourhis, che viene ad arricchire e a ringiovanire il nostro presbiterio diocesano. A questa celebrazione vi associate innanzitutto voi, sacerdoti di questa Diocesi, che portate il peso gioioso e leggero, ma sempre “peso” del vostro ministero al quale rimanete legati, nonostante le difficoltà. Presenti e numerosi siete anche voi, parenti, amici e fedeli tutti, che volete associarvi a questo cammino di Chiesa diocesana che oggi cresce con un nuovo presbitero, frutto certamente di tante e tante preghiere che quotidianamente salgono al Signore da persone devote e sollecite ai bisogni della Chiesa. «Vi darò pastori secondo il mio cuore» (Ger 3,15). Con queste parole del profeta Geremia, Dio promette al suo popolo di non lasciarlo mai privo di pastori. La Chiesa, popolo di Dio, sperimenta la realizzazione di questo annuncio profetico in modo particolare oggi e, per questo, nella gioia, essa continua a rendere grazie al Signore. Il sacramento dell’Ordine è profondamente radicato nel mistero della chiamata che Dio rivolge all’uomo. Nell’eletto si realizza il mistero della vocazione divina. Ce lo rivela la prima lettura tratta dal libro del profeta Geremia. Dio manifesta all’uomo la sua volontà: «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, / prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; / ti ho stabilito profeta delle nazioni» (Ger 1,5). La chiamata dell’uomo è prima di tutto in Dio: nella sua mente e nell’elezione che Dio stesso realizza. L’uomo, nel percepire con chiarezza questa vocazione che viene da Dio, sperimenta il senso della propria insufficienza. Cerca di difendersi davanti alla responsabilità della chiamata. Dice, come il profeta: «Ahimé, Signore Dio, ecco io non so parlare, / perché sono giovane» (Ger 1,6). Di fronte alle riserve e alle difficoltà che, con ragione, l’uomo oppone, Dio indica il potere della sua grazia. E con il potere di questa grazia l’uomo ottiene che la sua chiamata si realizzi: «Va’ da coloro a cui ti manderò / e annunzia ciò che io ti ordinerò. / Non temerli, / perché io sono con te per proteggerti. /... Ecco, ti metto le mie parole sulla bocca» (Ger 1,7-9). Queste parole del profeta Geremia esprimono, con particolare efficacia, l’identità del sacerdote come “chiamato”, “consacrato” e “inviato” per una missione. Esse trovano conferma in quelle di Gesù che, nel parlare ai suoi discepoli, dice: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15,16). Altrettanta chiarezza c’è quando Gesù dice agli Apostoli: «Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi» (Lc 10, 6). E ancora: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi» (Mt 5, 11-12). Da non dimenticare neppure ciò che abbiamo appena sentito proclamare nel Vangelo, quando Gesù annunzia la sua glorificazione attraverso la croce e la morte: «Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna» (Gv 12, 25). Da tutto questo arriviamo a capire come la vocazione al sacerdozio sia sempre una chiamata per l’annuncio e l’evangelizzazione. La “consacrazione” configura il candidato a Cristo sacerdote perché possa agire in suo nome (Praesbiterorum Ordinis, 3). Gesù Cristo è quindi il punto centrale 1 di riferimento. C’è, infatti, un solo supremo sacerdote, Cristo Gesù, unto e inviato al mondo dal Padre. Di questo unico sacerdozio partecipano i Vescovi, i Presbiteri e i Diaconi, ciascuno secondo il suo ordine e grado, per continuare nel mondo la consacrazione e la missione di Cristo. Partecipi, quindi, della sua unzione sacerdotale e della sua missione, i presbiteri agiscono sempre «in persona Christi» (Lumen Gentium, 28); per questo ricevono l’unzione dello Spirito Santo. Sì, caro don Tommaso, con l’ordinazione riceverai uno speciale carattere sacro, lo Spirito di santità, che ti configurerà a Cristo sacerdote perchè tu possa agire in suo nome (cfr. Presbyterorum Ordinis, 2). Chiamato, consacrato, inviato: questa triplice dimensione spiega e determina tutta la tua condotta e il tuo stile di vita. Sei «messo da parte», «segregato», ma non «separato» (Presbyterorum Ordinis, 3). Così ti dovrai dedicare pienamente all’opera che sta per esserti affidata: ossia il servizio dei tuoi fratelli, con spirito di amorosa obbedienza al Vangelo, alla Chiesa, al suo magistero. Consacrato per mezzo del ministero della Chiesa, diventerai «cooperatore dell’ordine episcopale». Con spirito di filiale obbedienza dovrai essere sempre unito al tuo Vescovo, conformemente alla bella espressione di sant’Ignazio di Antiochia, «come le corde alla lira» (Ad Ephesios, 4). Inviato ad una comunità particolare, raccoglierai la famiglia di Dio, istruendola con la parola, per farla «crescere nell’unità» (Presbyterorum Ordinis, 2) e per «condurla attraverso Cristo nello Spirito al Padre» (n. 4). Non dimenticarti mai di essere anche il ministro dei sacramenti della salvezza e, in primo luogo, del sacramento della misericordia e della riconciliazione. Fonte e culmine di tutto quest’importante ministero dovrà essere la celebrazione quotidiana dell’Eucaristia, molto raccomandata sia dal Codice di Diritto Canonico, sia dai numerosi documenti pontifici. Quanto ha detto su questo specifico argomento Giovanni Paolo II. Il Direttorio per il ministero e la vita dei Presbiteri, nel sintetizzare la ricca dottrina spirituale su questo argomento, scrive: «È necessario richiamare il valore insostituibile che per il sacerdote ha la celebrazione quotidiana della Santa Messa, anche quando non vi fosse il concorso di alcun fedele» (n. 49). Insisterei su quel “anche quando non vi fosse concorso di fedeli”, essendo la Messa, come ricordava Giovanni Paolo II ai presbiteri, «la nostra più grande forza e la più profonda fonte di gioia, il più grande contributo alla Chiesa, il nostro maggior servizio sacerdotale al popolo». La consacrazione che stai per ricevere ti assorbirà totalmente, ti impegnerà radicalmente, farà di te uno strumento vivo della presenza di Cristo nel mondo, prolungamento della sua missione per la gloria del Padre. A questo risponde il tuo “Sì”, espressione del tuo dono totale al Signore, quel dono totale che è impegno di santità, dovere di imitare ciò che tratterai nella celebrazione dei sacri misteri, come dice l’esortazione del Pontificale Romano delle ordinazioni. Tutto questo è e sarà sempre un dono di grazia per poter tu riprodurre nel ministero e nella condotta l’immagine di Cristo, sacerdote e vittima, redentore crocifisso, immagine che hai voluto riprodurre sul biglietto d’invito alla tua ordinazione. In questo contesto di donazione totale, di unione a Cristo e di comunione con la sua dedizione esclusiva e definitiva all’opera del Padre, si comprende l’obbligo del celibato. Non è una limitazione, né una frustrazione. E’ l’espressione, di una donazione piena, di una consacrazione peculiare, di una disponibilità assoluta. Al dono che Dio concede nel sacerdozio, risponde la donazione dell’eletto con tutto il suo essere, con il suo cuore e con il suo corpo, con il significato sponsale che ha il celibato sacerdotale, riferito all’amore di Cristo e alla donazione totale alla Chiesa. L’anima di questa donazione è l’amore, un amore profondo, sincero, radicale, totalizzante. «Essere sacerdote – affermava Benedetto XVI – parlando ai sacerdoti nel Giovedì Santo di quest’anno – significa diventare amico di Gesù Cristo, e questo sempre di più con tutta la nostra esistenza. Il mondo ha bisogno di Dio – continuava il Santo Padre – non di un qualsiasi dio, ma del Dio di Gesù Cristo, del Dio che si è fatto carne e sangue, che ci ha amati fino a morire per noi, che è risorto e ha creato in se stesso uno spazio per l’uomo. Questo Dio deve vivere in noi e noi in Lui. È questa la nostra chiamata sacerdotale: solo così il nostro agire da sacerdoti può portare frutti». 2 Alle luce di queste sapienti parole in mio affettuoso augurio non può essere che questo: sii solo e sempre “uomo di Dio”! Ti aiuti in questo grandioso cammino di santità, scaturito dalla tua chiamata, la Vergine Santissima. Che nella grazia del sacerdozio tu possa sempre dire, come il venerabile Giovanni Paolo II, Totus tuus! Con lei, Madre di Cristo sommo ed eterno sacerdote, i tuoi giorni saranno fecondi di vita e ricchi di frutti e pieni di consolazione, anche quando le amarezze e le incomprensioni ti potranno rendere ardua la salita. 3