Antonio Olmi Il consenso cristologico tra le chiese calcedonesi e non calcedonesi (1964-1996) Premio Bellarmino 2002 [Analecta Gregoriana 290] Editrice Pontificia Università Gregoriana, Roma 2003, pp. 852, € 45. Si tratta della pubblicazione, nella nota collana Analecta Gregoriana, della tesi di dottorato in teologia difesa dall’A., sacerdote domenicano già laureato in filosofia, nell’anno accademico 20022003 presso la Pontificia Università Gregoriana. Il grosso e impegnativo volume si apre con una Introduzione (pp. 7-20), nella quale l’A. presenta rapidamente la questione del dissenso cristologico nato nel V secolo e il faticoso cammino che ha portato negli ultimi quarant’anni ad un ritrovato consenso cristologico, ed indica la distribuzione della materia del suo lavoro. Esso si articola in tre parti: la prima (pp. 21-214) offre un’ampia panoramica storica, teologica ed ecclesiale relativa alla cosiddetta “crisi” cristologica del V secolo; la seconda (pp. 215-652) ricostruisce le tappe della ricerca del consenso cristologico promossa sotto le spinte innovatrici del movimento ecumenico e sviluppatasi nella seconda metà del XX secolo; la terza (pp. 653-785) è una sorta di conclusione dove l’A. si sofferma a guardare al percorso compiuto e alle prospettive che il ritrovato consenso cristologico apre sul futuro. Il libro si chiude con le Sigle e abbreviazioni (pp. 787-790), la Bibliografia (pp. 791-847) e l’Indice generale (pp. 849-852). Lo studio, molto documentato e analitico, è scorrevole e, malgrado la mole, invita alla lettura. L’A. sa semplificare questioni assai tecniche e complicate, e nello stesso tempo approfondire adeguatamente dati che in apparenza potrebbero sembrare agli inesperti di poco conto. Il lavoro non manca peraltro di sintesi, e l’esposizione mostra la serietà di una ricerca lunga e matura. La ricerca ivi presentata intercetta diverse discipline, dalla filosofia alla patristica, dalla cristologia all’ecclesiologia, dalla teologia fondamentale all’ecumenismo, dalla storia del dogma alla storia della Chiesa, dalla liturgia al diritto canonico e alla linguistica. L’A. muove la sua indagine dalla situazione determinatasi col III grande concilio ecumenico di Efeso (431) che condannò gli eccessi della cristologia divisiva di Nestorio, e col IV concilio, quello di Calcedonia (451) che, al contrario, anatematizzò le esasperazioni della cristologia unitiva di Eutiche. Nestoriani e monofisiti costituirono da allora ai giorni nostri le chiese non calcedonesi: assira d’oriente, copta ortodossa, etiopica ortodossa, eritrea ortodossa, siro ortodossa, siro ortodossa malankarese, ortodossa siro malankarese, apostolica armena (cf. p. 9 e parte I, cap. II). L’A. vede bene che la perdita del consenso cristologico determinatasi col rifiuto di Efeso e Calcedonia si mescolò effettivamente ad intricate questioni di politica ecclesiastica, ad interessi economici, a incomprensioni di carattere culturale e linguistico, ed anche a cattiva volontà. Successivamente l’A. passa in rassegna le differenti prese di posizione, attraverso dichiarazioni e comunicati, dei rappresentanti delle chiese sulla questione cristologica: si parte dalla dichiarazione di Aarhus del 1964 e si perviene al comunicato del II colloquio di Vienna dell’inizio del 1996 e alla dichiarazione congiunta firmata a Roma alla fine del 1996 tra il papa Giovanni Paolo II e il katholicos armeno Karekin I. Si trovano qui numerosissime informazioni, testi di documenti abbreviati o citati per esteso, considerazioni estremamente chiare e lucide sia sugli stili generali dei dialoganti ortodossi, cattolici e protestanti sia sui singoli pronunciamenti, che non vengono solo presentati ma anche vagliati, soprattutto al fine di dedurre il metodo teologico in essi applicato. Infine l’A. presenta gli studi più importanti degli ultimi decenni che hanno accompagnato e commentato lo sviluppo del dialogo cristologico tra le chiese, e soprattutto – e questo rappresenta in definitiva, a nostro avviso, l’originalità della tesi qui pubblicata - utilizza il concetto di analogia applicandolo alla sua ricerca sul dissenso e sul consenso cristologico. Per l’A. “il consenso cristologico…è interamente attraversato da una rete di rapporti analogici: unità della fede nel mistero di Cristo, nella distinzione degli schemi cristologici che tentano di comprenderlo; unità degli schemi cristologici, nella distinzione dei linguaggi che li esprimono; unità dei singoli documenti d’intesa, nella distinzione delle posizioni dei loro firmatari; unità del consenso cristologico “universale”, nella distinzione degli accordi “particolari” che lo costituiscono. L’analogia, dunque, è la chiave del consenso cristologico” (pp. 717-718). Da tale impostazione deriva la vera tesi dell’A. sulle ragioni profonde e formali che hanno di fatto secondo lui permesso il ricupero del consenso cristologico smarrito nella crisi originatasi nel V secolo: “È stata l’assunzione dell’atteggiamento analogico – sia pure non tematizzato e forse neanche riconosciuto come tale – ad aver consentito il superamento dell’aspetto dottrinale della crisi cristologica del V secolo, e il raggiungimento del consenso tra le chiese calcedonesi e non calcedonesi. Il pensiero multilaterale, utilizzato dai partecipanti al dialogo cristologico, ha preso in considerazione le posizioni discordanti, riconoscendo a ciascuna di esse un certo grado di verità e cercando di attenuare – anziché radicalizzare, come era stato fatto per secoli – i loro contrasti. (…) Nessuno degli interlocutori ha “fatto sconti” all’altro, né si è minimamente prestato a rinnegare la propria tradizione. Semplicemente, ognuno di loro ha accettato di guardare al mistero di Cristo anche con gli occhi dell’altro, ha accettato di parlarne anche con le parole dell’altro: rendendosi conto che le diverse immagini e i diversi linguaggi rappresentano ed esprimono, in modo differente ma ugualmente adeguato, la medesima realtà” (pp. 764-765). In conclusione, si tratta di un lavoro assai pregevole dal punto di vista qualitativo e consistente, anche dal punto di vista quantitativo, senz’altro raccomandabile agli studiosi interessati a conoscere e a promuovere un dialogo ecumenico seriamente costruito nel profondo rispetto delle differenti identità a confronto e nella coscienza lucida delle antiche radici storiche, teologiche e culturali che lo hanno originato e progressivamente sviluppato. GIUSEPPE SCIMÈ