Intervista a Madre Antonia Colombo

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(Intervista a Madre Antonia Colombo da parte della giornalista Sig.na Dahiana Sánchez in occasione della visita all’Ispettoria delle Antille – 11 marzo 2004)
1. Qual è l’apporto insostituibile che possono offrire le donne nella Chiesa e nella società?
L’apporto che le donne sono chiamate a dare nella Chiesa e nella società mi pare sia principalmente
quello di esprimere con coerenza la visione antropologica maturata in questi ultimi decenni, ma
radicata nel primo libro della Bibbia, là dove si afferma: «Dio creò la persona umana a sua
immagine, maschio e femmina li creò» (Gn 1,27). È il principio biblico di reciprocità che rivela il
disegno di Dio sulla persona umana. La somiglianza con Lui, iscritta come qualità personale
dell’uomo e della donna, è per entrambi una chiamata e un compito: chiamata a vivere in
comunione; compito di valorizzare la diversità nel reciproco arricchimento e nel servizio alla vita.
Se le donne, consapevoli di questa loro chiamata, si aiutano a viverla come un compito, superando i
forti condizionamenti sociali antichi e nuovi, danno un contributo insostituibile alla cultura della
vita, denunciando il pericolo di un progresso unilaterale, che può comportare una graduale
scomparsa della sensibilità per ciò che è essenzialmente umano.
In questo senso, soprattutto i nostri giorni, attendono la manifestazione del genio della donna che assicuri la sensibilità per l’essere umano in ogni circostanza, per il solo fatto che è persona umana (cf n. 30).
A nessuno di noi sfugge l’apporto di molte donne a favore della vita e della umanizzazione della
cultura, la disponibilità a prendersi cura della ricostruzione del tessuto sociale quando è lacerato da
tensioni o a rendere possibile la sopravvivenza per tutti in situazioni precarie o di guerra, l’impegno
a denunciare situazioni che interrogano la nostra coscienza e responsabilità. Penso al fenomeno
della tratta delle donne e dei bambini per il commercio sessuale. Non sono solo le donne e i bambini
le vittime nella perdita della loro dignità, ma tutti coloro che sfruttano la corporeità umana e
mercificano il dono della sessualità. Gli effetti più gravi sono la perdita del genuino senso
dell’amore umano, la disgregazione della famiglia, la disumanizzazione della cultura. Oltre alla
denuncia, questa situazione chiede, particolarmente a noi donne, di impegnarci nella elaborazione e
realizzazione di una proposta educativa che trasmetta il senso della vita come dono e come
vocazione per tutti.
L’antropologia biblica a cui ho accennato, proietta una luce nuova non solo sulla comprensione
della relazione uomo-donna, ma anche sulla bellezza di ogni differenza umana - personale e
culturale - quando è assunta come polo di reciproco potenziamento nell’accoglienza, nel dialogo,
nella comunione.
2. Qual è l’apporto specifico delle FMA, donne consacrate, nel mondo di oggi?
Siamo donne che Dio ha chiamato ad essere segno ed espressione del suo amore per le giovani e i giovani,
mediante l’educazione. Il Sistema preventivo di don Bosco, vissuto con fedeltà creativa dalla confondatrice
Maria Domenica Mazzarello, è la nostra caratteristica nella Chiesa e nella società. Crediamo, con don Bosco,
che «l’educazione è cosa di cuore», cioè questione di relazione; siamo convinte che la persona umana si
realizza nell’amore e deve essere educata all’amore mediante un cammino quotidiano di crescita che non
allontana dal mondo, ma rende responsabili degli altri nella trama delle relazioni quotidiane, nell’esercizio
della propria professione, nella più ampia sfera sociale.
Se l’educazione è cosa di cuore, il processo educativo tocca le sfere più profonde della persona; include
apprendimenti che con DELORS identifichiamo nella progressione: imparare a conoscere, imparare a fare,
imparare a vivere insieme, imparare ad essere1. In particolare, educare a vivere insieme, nell’era della
1
Cf Rapporto UNESCO 1996, curato da Delors, che considera tali apprendimenti quali pilastri fondamentali
dell’educazione.
globalizzazione e dei rinascenti nazionalismi, è un’urgenza che avvertiamo come sfida per la qualità della
vita nel futuro e per la stessa sopravvivenza umana. La scuola, l’oratorio, gli ambienti di vita delle ragazze e
dei ragazzi, perfino la strada, possono diventare autentici laboratori dove si impara la mutua comprensione,
la gestione e il superamento dei conflitti, l’accoglienza della diversità, il dialogo interculturale che aiuta a
riconoscere i valori e i limiti di ogni cultura, compresa la propria.
Educare alla solidarietà in questo contesto è una forma dell’educare a vivere insieme, che sollecita a rendere
coscienti della responsabilità per la vita di tutti, considerati fratelli e sorelle di un’unica grande famiglia.
L’attrazione per il volontariato è forse segno che un altro volto di giovani sta emergendo: quello solidale. Ho
potuto costatare il cambiamento prodotto nei giovani dopo esperienze di volontariato. Hanno minori esigenze
e prospettive più ampie. Si considerano cittadini del mondo, responsabili della vita di tutti, consapevoli del
valore politico delle loro scelte quotidiane. Avendo trovato un perché esistenziale riescono più agevolmente
a sopportare tutti i come, a collegare più facilmente il locale e il globale, a vivere la vita come servizio.
La nostra presenza nei cinque continenti ci rende, inoltre, molto sensibili all’impoverimento del mondo.
Riaffermiamo la scelta di don Bosco e di Maria Domenica Mazzarello di dedicarci in forma privilegiata
alle/ai giovani poveri impegnandoci perché questi stessi giovani, recuperati alla loro dignità, diventino agenti
di cambiamento culturale e sociale, in grado di proporre una visione alternativa a quella dominante.
La scelta dei giovani poveri, specialmente delle giovani donne, è per noi espressione di fedeltà al carisma
salesiano, risposta alla situazione sociale che ci interpella in quanto educatrici consacrate. L’apertura di
centri di alfabetizzazione per donne adulte, di accoglienza per bambine della strada e la collaborazione a
livello culturale, sociale, religioso con altre istituzioni sono segni concreti posti dalle nostre comunità per
rispondere alle nuove povertà, che toccano specialmente la donna. Siamo consapevoli infatti che, nel
fenomeno di impoverimento progressivo, la donna è la più penalizzata. Per questo, con la specificità del
nostro carisma, da donne ci impegniamo ad aiutare altre donne perché sappiano difendere, insieme con la
propria dignità, quella inviolabile di ogni vita umana.
3. Il Rettor Maggiore in visita da queste parti ha sottolineato la necessità di una maggiore unità tra i
diversi gruppi della Famiglia salesiana. Cosa pensa lei, espressione della ricchezza femminile del
carisma salesiano nel mondo, a riguardo?
Condivido in pieno la sottolineatura del Rettor Maggiore. Il carisma salesiano è il tesoro di cui,
come gruppi della famiglia di don Bosco, tutti partecipiamo. La comunione nel medesimo carisma
si esprime necessariamente nella comunione tra gli stessi gruppi, nella convergenza verso la
comune missione di evangelizzare educando, perseguita con la specificità propria a ciascun gruppo.
Don Bosco aveva compreso che la missione educativa esigeva l’apporto differenziato e coordinato
di molte persone e cercò consenso anche tra i non credenti che in qualche modo potevano
riconoscersi nel volto sociale della sua opera di evangelizzazione. Rigenerare il tessuto della società
richiedeva sinergie nell’arte di prendersi cura dei giovani: l’arte preventiva che punta sul positivo,
fa leva sulle risorse interiori dei giovani e sull’espansione delle loro potenzialità; li accompagna
nell’esperienza quotidiana, nel coinvolgimento a servizio del bene dei compagni e del bene comune.
Il cammino realizzato in questi anni come Famiglia salesiana, in rete con altri organismi, è notevole.
Sempre più la Carta di comunione della Famiglia salesiana e la Carta della missione ispirano le
nostre programmazioni, uniscono e moltiplicano le risorse per la missione.
Ma perché il servizio alla vita delle/dei giovani porti più frutto occorre che valorizziamo
maggiormente le risorse della comunione tra persone che condividono la medesima spiritualità o
almeno il progetto educativo salesiano; continuare il cammino per un coinvolgimento più attento e
differenziato di tutti nell’azione educativa; potenziare il processo che porti gradualmente, a seconda
dei contesti, dalla collaborazione alla corresponsabilità, alla reciprocità, nel rispetto dell’autonomia
di gruppi e persone; optare per una formazione comune, sistematica al medesimo carisma.
Il richiamo all’unità, come espressione di comunione nel carisma, ci trova particolarmente sensibili
in quanto donne consacrate FMA. La comunione, radicata nel vangelo, è stata la consegna dell’Assemblea generale del nostro Istituto celebrata nel 2002: In comunione su strade di cittadinanza
evangelica. Si tratta di una comunione che fa leva sulla ricchezza delle diverse vocazioni. Come
Istituto abbiamo riaffermato l’importanza del nostro apporto femminile e mariano nella Famiglia
salesiana, riconfermando il compito di esprimere, secondo le sfumature femminili, già presenti alle
origini, il sistema preventivo per una proposta educativa che manifesti nella cultura contemporanea
la visione dell’antropologia biblica. Le categorie dell’affidamento, del prendersi cura, della
condivisione e della comunione, strettamente collegate al principio di reciprocità, offrono una base
non solo per una traduzione del sistema preventivo sul piano della prassi, ma per avviare una sua
interpretazione che lo ravvivi con il colore e le sfumature della sensibilità femminile. Un impegno
che condividiamo particolarmente con le exallieve, in virtù dell’educazione ricevuta nei nostri
ambienti.
4. Messaggio ai giovani e alle giovani della Repubblica Dominicana
È passato tra voi da poco tempo il IX Successore di don Bosco. Certamente vi ha ricordato il 50°
anniversario della canonizzazione di Domenico Savio e il centenario della morte di Laura Vicuña:
due ragazzi che hanno vissuto la gioia e l’impegno della santità come misura alta della vita cristiana
ordinaria.
Nel suo messaggio per la XIX Giornata mondiale della gioventù ( 4 aprile 2004) Giovanni Paolo II
addita il percorso per vivere la misura della santità. Ve lo ripropongo, stralciando:
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lasciatevi guardare negli occhi da Gesù perché cresca in voi il desiderio di vedere la luce,
di gustare lo splendore della verità. L’insopprimibile nostalgia di Dio che ogni essere umano
porta nel cuore manifesta la nostra vocazione: siamo stati creati per amore e per amare a
nostra volta. Con il Santo Padre vi invito a sostare in silenzio per lasciare emergere dal
profondo del cuore questo ardente desiderio, talvolta soffocato dai rumori, dalla fretta, dalla
seduzione del piacere effimero. Cercatelo per mezzo della preghiera e della meditazione
della parola di Dio;
imparate a scoprire Gesù nell’Eucaristia per saperlo poi scoprire nel volto dei fratelli e
sorelle, specialmente più poveri. L’Eucaristia è scuola di libertà e di dono di sé fino al
sacrificio della vita. Frequentandola, imparate a superare le emozioni superficiali, a liberarvi
dal ripiegamento su voi stessi per aprirvi agli altri, passando da un amore soltanto affettivo
ad un amore effettivo;
siate testimoni di Colui che avete incontrato e che vi fa vivere, testimoni dell’amore nella
realtà quotidiana, capaci di impegnare i talenti e l’entusiasmo giovanile nell’annuncio della
buona notizia. Gli altri, attorno a voi, hanno bisogno di vedere Gesù. Non abbiate paura di
mostrarlo con la vostra fede coraggiosa, con una vita aperta al dono dell’amicizia e della
solidarietà.
Maria, la Madre di Gesù, sia madre e Ausiliatrice della vostra vita, sostenga il vostro impegno
di collaborare a costruire un mondo più umano, dove ognuno possa vivere con dignità e gioia.
Vi aiuti a non spegnere la speranza perché, come dice un Autore, il mondo apparterrà, domani,
a chi avrà offerto una speranza più grande. Quando questa speranza è Gesù, siamo certi che
l’avvenire è nelle vostre mani e la civiltà dell’amore è già iniziata.
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