Scarica allegato - San Simpliciano

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Parrocchia di san Simpliciano – Ciclo di 4 incontri sul tema
Un “nuovo umanesimo”?
tenuti da don Giuseppe Angelini, nei lunedì di aprile/maggio 2015
4. Il compito presente della testimonianza cristiana
Il tema del nuovo umanesimo, scelto per il Convegno di Firenze, è interpretato per lo più in termini
riduttivi. Per esempio in questo testo di papa FRANCESCO:
La crisi finanziaria che attraversiamo ci fa dimenticare che alla sua origine vi è una profonda crisi
antropologica: la negazione del primato dell’essere umano! Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione
dell’antico vitello d’oro (cfr Es 32,1-35) ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e
nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano. La crisi mondiale che investe
la finanza e l’economia manifesta i propri squilibri e, soprattutto, la grave mancanza di un orientamento
antropologico che riduce l’essere umano ad uno solo dei suoi bisogni: il consumo. (PAPA FRANCESCO,
Evangelii Gaudium 55)
Dubbio è il nesso qui suggerito tra la crisi finanziaria e la perdita della centralità dell’umano. Ma
soprattutto dubbio è il fatto che la crisi dipenda dalla negazione del primato; essa consiste invece
nella progressiva evanescenza della figura dell’umano.
Il nesso incongruo mi pare a sua volta attestare due altri inconvenienti:
(a) il persistente intellettualismo o ideologismo (i fatti spiegati dalle idee) della critica sociale della
Chiesa;
(b) l’incongruo privilegio che la Chiesa accorda alle questioni sociali nei suoi pronunciamenti
pubblici.
La profonda crisi antropologica, che invoca un nuovo umanesimo, non consiste nella negazione del
primato dell’uomo; ma nella perdita di ogni immagine per l’uomo. La perdita comporta
l’impossibilità di fare di tale immagine la misura del bene e del male.
Città e immagine dell’uomo
L’immagine dell’umano non è scritta nei libri; neppure nel libro per eccellenza, la Bibbia, sicché si
possa procedere dal libro per costruire la città (contro Bossuet). Essa si configura attraverso le forme
della vita comune; dunque attraverso la città e la sua cultura.
A dare parola alle esperienze sorprendenti di prossimità in Occidente ha concorso in misura cospicua
anche la fede, e con essa la Scrittura. Proprio il cristianesimo è stato artefice del tratto umanistico,
che differenzia la tradizione occidentale da quelle orientali (Hegel). Ma in un certo senso si deve dire
che non c’è cultura che non sia umanistica; e non c’è immagine dell’umano se non espressa da una
città, o da una civiltà.
Il nesso originario e necessario tra cultura e immagine dell’umano emerge soltanto a tratti alla
consapevolezza riflessa. Soltanto allora prende forma qualche cosa come un umanesimo. Questo
succede quando si fa evidente lo scarto tra rapporti umani effettivi e immagine dell’umano.
L’umanesimo antico, l’Atene di Pericle
«L'uomo è la misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono, e di quelle che non sono in quanto non
sono » (PLATONE, Teeteto, 152a)
Protagora fu un sofista, il primo a volersi espressamente chiamare così. E chi è un sofista? Oggi è
qualificato così chi gioca con le parole per confondere le cose. La dottrina di Protagora è descritta da
Platone come improntata a radicale scetticismo e relativismo. Ma in realtà egli non era così. Era
attento alla mediazione umana di ogni verità. L’affermazione che l’uomo è la misura di tutte le cose
equivale a una precoce affermazione della mediazione antropologica di ogni verità; della mediazione
esperienziale e dialogica di ogni conoscenza.
I sofisti, a differenza dei filosofi precedenti, non si occupano di cosmologia, ma si concentrano sulla
vita umana, diventando primi filosofi morali. Gli studiosi parlano correntemente di antropocentrismo
sofistico.
La valutazione della sofistica e del suo antropocentrismo rimane fino ad oggi incerta: si tratta degli
inizi del dubbio e del soggettivismo moderno? Oppure si tratta soltanto degli inizi appunto
dell’umanesimo?
L’umanesimo italiano del Quattrocento
La categoria di umanesimo fu coniata però soltanto per riferimento al rinascimento italiano.
a) Il termine umanesimo deriva dal latino humanae litterae: attraverso la coltivazione della
letteratura classica antica, greca e latina, gli umanisti cercarono di sottrarsi al tratto imperialistico del
sapere ecclesiastico, del sapere scolastico in genere (che ha si propone di ordinare le auctoritates) e
della filosofia scolastica in specie (aristotelismo deduttivo).
b) Sotto altro aspetto, il movimento dell’umanesimo corrisponde alla nascita (o rinascimento) della
vita urbana, che corregge lo spiccato ascetismo (fuga mundi) della stagione medievale, segnata
dall’egemonia del monachesimo e dal sospetto verso la città terrena. Appunto questo è il clima che
propizia la celebrazione della dignità dell’umano, la grande fiducia nelle sue capacità inventive,
fabbrili e di conoscenza.
L’«umanesimo» moderno
La categoria umanesimo può essere usata anche per definire la forma del moderno, il movimento
civile segnato dalla emancipazione del singolo rispetto al cielo sociale della vita. Il moderno, età del
soggetto, è anche l’età dell’uomo. L’emancipazione del soggetto è nutrita da diversi fattori ed ha
diverse espressioni.
a) C’è anche un volto espressamente religioso nel processo di emancipazione del singolo. Il pensiero
va ovviamente alla Riforma di Lutero, una delle cui espressioni è il cosiddetto libero esame, la
proclamazione dunque del diritto del singolo ad accedere al testo sacro e darne una lettura sua
propria, non in debito nei confronti di un’autorità dottrinale. Il prezzo del libero esame è la
separazione tra la vita dell’anima e vita del corpo, tra il regno della mano destra e regno della mano
sinistra, tra la religione e la politica, tra la religione e la morale, la cultura in genere.
b) C’è un volto decisamente più ‘materiale’, quello reso possibile e necessario dal mercato. La
generalizzazione della forma mercantile dello scambio fa sì che si produca la separazione sistemica
tra scambio reale e scambio simbolico. Una tale separazione certo per una parte alimenta la libertà
del singolo e l’eguaglianza di tutti (le giornate di fiera della città anseatiche), la rende possibile e
addirittura necessaria; per altro lato però opera nel senso di isterilire i processi che un tempo
provvedevano in maniera indeliberata alla creazione e rigenerazione del senso.
c) C’è infine un volto più atmosferico, più pervasivo e sfuggente dell’antropocentrismo moderno,
che è la progressiva lievitazione del sapere scientifico, e strettamente legato ad essa del potere
tecnologico. L’uomo diventa artefice di se stesso. Progresso scientifico e potere tecnico paiono
autorizzare la concezione progressistica della storia, alla fine dell’Ottocento comune.
Lo schema di Giambattista Vico nella Scienza nuova (1725): tre epoche nelle vicende umane, degli
dei, degli eroi e degli uomini; tre età anche nella vita del singolo; fanciullezza, adolescenza, età
matura.
Lo schema di Auguste Comte: l’avvento di un’era positiva in cui la scienza prende il posto centrale
nella vita degli uomini. Lo stadio positivo della civiltà segue a quello teologico e a quello metafisico.
Le risposte della Chiesa alla modernità
Appunto sullo sfondo di questo profilo antropocentrico e ‘irreligioso’ del moderno si intendono le
prese di posizione del cattolicesimo per rapporto all’umanesimo.
a) La risposta della religione colta, del pensiero filosofico religioso moderno in specie, assume
prevalentemente la figura di una visione tragica della religione. “tanto più presenti a Dio, quanto più
assenti da questo mondo”. Il Dio dei filosofi moderni è un Dio soprattutto nascosto (L. GOLDMANN,
Le Dieu caché)
b) La risposta del cattolicesimo popolare devoto e di quello ecclesiastico ufficiale è stata soprattutto
quella intransigente; un cattolicesimo offeso e risentito.
- A livello spirituale, predilige atteggiamenti vittimistici ed espiatori.
- A livello politico, è sensibile alla causa di una restaurazione nostalgica.
- A livello di pensiero, passa dalla forma tradizionalista a quella neoscolastica, intenzionalmente
dialogante, di fatto incapace di confronto effettivo con la nuova cultura.
c) Nell’ambito dei ceti emergenti, della borghesia dunque, è da registrare anche la figura del
cattolicesimo più ‘umanista’, quello liberale. Essa è risposta segnata da un indubbio umanesimo; è
risposta ottimistica, ma anche parecchio velleitaria ed ingenua. Le forme sono molteplici. Occorre
distinguere due tempi:
- Il liberalismo cattolico dell’Ottocento (Rosmini, Newman) e del primo Novecento (Sturzo e De
Gasperi) minoritario, proporzionalmente colto.
- Il liberalismo cattolico del dopo Concilio, decisamente pop, plebiscitario, ma anche ingenuo. Si
affida alla retorica dei valori comuni; non ha risorse per vedere e intendere gli interrogativi gravi
posti dalla trasformazione antropologica (vedi il tema della libertà).
- Il cattolicesimo spiritualista (gruppi di preghiera, il cielo contro la terra) e quello movimentista (la
comunità che prende il posto della società inaffidabile)
L’urgenza del presente
Alla radice del difetto di libertà sta – paradossalmente – il difetto di evidenze morali. Di evidenze
dunque che siano in grado di autorizzare la dedizione della libertà. Il difetto di evidenze etiche
impone alla predicazione cristiana un supplemento di attenzione ai vissuti soggettivi. La Chiesa fino
ad oggi invece appare decisamente più impegnata e apprezzata sul terreno della promozione delle
istanze sociali che sul terreno della comprensione dei vissuti esistenziali del singolo.
Parlare alla coscienza “privata”. Offrire dunque ad essa una lingua per dirsi, risorse perché essa
possa “parlare”, possa articolare i significati obiettivamente iscritti nei vissuti immediati, ma in
maniera muta.
A tal fine occorre che il ministero pastorale acquisisca una expertise in cose umane. Non (subito)
dottrine, non conoscenze di carattere teorico, ma conoscenze di carattere empirico (Paolo VI
all’Assemblea delle Nazioni Unite, 4 Ottobre 1965).
L’esperienza in umanità per diventare effettiva capacità di discernimento deve realizzare due
condizioni.
a) La Chiesa deve provvedersi di strumenti concettuali adeguati: dal vecchio modello di antropologia
delle facoltà al modello del soggetto la cui identità è definita da una storia.
b) La predicazione cristiana deve produrre una descrizione fenomenologica delle forme assunte oggi
dalla avventura umana. Essa dovrebbe produrre una tipologia delle figure umane fondamentali, delle
esperienze primarie in specie: uomo/donna, genitori/figli, fratelli.
Da questa tipologia potrebbe prendere alimento una rinnovata lettura del testo biblico. La lettura
della Bibbia è resa feconda dagli interrogativi che noi poniamo ad essa. Se essa parla, questo molto
dipende dal fatto che poche domande noi poniamo al testo.
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