Questioni e problemi Sistema dei partiti e politiche di sostegno al

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Sistema dei partiti e politiche di sostegno al Mezzogiorno
La crisi del sistema politico italiano negli anni del pentapartito fu soprattutto una crisi degli
strumenti tradizionali con i quali i partiti si garantivano il consenso elettorale, ricorrendo a pratiche
clientelari.
Consenso e denaro pubblico
Il sistema dei partiti di governo sopravviveva grazie al consenso dei settori meno efficienti e più
tradizionali della società, concentrati prevalentemente nelle regioni meridionali e fortemente
dipendenti dai flussi di denaro pubblico che, attraverso la Cassa per il Mezzogiorno e numerosi altri
enti pubblici, sostenevano consumi e attività economiche. Inoltre la forza dei grandi gruppi
industriali e il peso che ancora deteneva il movimento operaio spingevano il governo a orientare
parte della spesa pubblica a sostegno della ristrutturazione della grande impresa.
Per tutti gli anni ottanta il governo riuscì a finanziare la riorganizzazione della grande impresa senza
ridurre le tradizionali forme di intervento nel Mezzogiorno, provocando però uno sviluppo abnorme
del debito pubblico.
Finché è durato il ciclo espansivo degli anni ottanta, questo meccanismo, che comportava un
tendenziale incremento della pressione fiscale ed elevati livelli di inflazione, continuò a funzionare,
ma alla fine del decennio, quando le ombre di una nuova fase critica dell’economia apparvero
all’orizzonte, entrò in rotta di collisione con gli interessi dei gruppi sociali legati alla nuova
industrializzazione diffusa e apparve chiaramente insostenibile, provocando una progressiva
erosione del consenso ai partiti di governo e la nascita di movimenti autonomisti e di protesta come
la Lega nord.
Gli effetti della crisi economica
Ha scritto l’economista Carlo Trigilia:
Il reperimento del consenso nelle forme tradizionali è diventato più costoso», «mentre scricchiola il
vecchio equilibrio tra le diverse aree territoriali del paese. L’intervento pubblico e i consistenti
meccanismi redistributivi (non solo a favore del sud) hanno alimentato un’inflazione più elevata di
quella di altri paesi concorrenti e un deficit pubblico nettamente superiore, che si avvita su se
stesso per effetto degli interessi sul debito. Ciò ha richiesto tra l’altro un consistente aumento della
pressione fiscale. Inefficienze dei settori politicamente protetti e pressione fiscale pesano però ora
maggiormente sulle imprese, oltre che sulle famiglie, dal momento che il processo di integrazione
monetaria europea non consente (almeno finora) di scaricare sui prezzi, come in passato, i costi di
una maggiore inflazione; impedisce infatti il ricorso ai frequenti episodi di svalutazione che hanno
in precedenza caratterizzato l’esperienza italiana. Ne è derivata una perdita di competitività che ha
assunto ultimamente caratteri preoccupanti e ha alimentato critiche crescenti del mondo
imprenditoriale alla classe politica. Dall’altro lato, però, continua a manifestarsi una domanda di
intervento pubblico per far fronte ai fenomeni di disgregazione economica e sociale che investono
in particolare alcune aree meridionali.
Inoltre, questa situazione del Mezzogiorno costituisce una risorsa sempre più preziosa per la classe
politica di governo, nella misura in cui si riduce il consenso nella parte settentrionale del paese per
i fenomeni di disaffezione e di protesta. Forte è dunque la tentazione di continuare nelle vecchie
forme di intervento straordinario e ordinario nel Mezzogiorno. La riproduzione stessa di una parte
consistente della classe politica di governo, non solo meridionale, viene infatti a dipendere da tali
politiche. Ogni cambiamento si profila dunque come molto rischioso per le sue possibili
ripercussioni elettorali.
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