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-CAMELOT-
Il Tradizionalismo di Julius Evola
L’epoca che stiamo attraversando, quel grande mercato fatto di comunicazioni, di borse che si rincorrono
freneticamente, di episodi capaci di stravolgere gli assetti politici di paesi tra loro lontani, in una parola sola
globalizzazione, rendono attuale il pensiero di un grande filosofo (definiamolo filosofo per interderci, anche se la
differenza con coloro che di solito definiamo filosofi è notevole), dai più accusato e ricordato –e per questo rimosso
dai libri di storia e dalla memoria culturale che ognuno di noi dovrebbe avere per operare critiche e opinioni ben
ponderate- per le sue idee politiche e le tesi sulla difesa della razza. Ma di Evola (Roma, 1898 – Roma, 1974), che
fu anche poeta e pittore, nonché teorico con TZARA del
Dadaismo, è bene ricordare quanto di utile ha prodotto e
quanto del suo pensiero torna utile comprendere per meglio
affrontare i tempi che percorriamo. In particolare, come
negazione della globalizzazione, che in nome di un presunto
benessere sociale ed economico “mondiale”, ha accentuato
gli squilibri esistenti, scalzando l’uomo dal suo ruolo all’interno della società e ponendolo in balia di eventi che
salvaguardano solo il diritto e il benessere di pochi, è
opportuno rievocare il concetto di “Tradizionalismo”, che
Evola, assieme alla riscoperta dell’Esoterismo, promuove
come cammino da percorrere alla ricerca di un’identità, di
una personalità che portano alla conoscenza e alla realizzazione dell’IO, cioè alla difesa e all’evoluzione del SINGOLO.
Comprendere il pensiero di Evola, che prende il nome di
Idealismo Magico, significa, oggigiorno, capire che processi
come la globalizzazione sono avversari della TRADIZIONE,
intesa come rimedio allo snaturamento e al dissolvimento
dell’identità di comunità, di stirpe, di famiglia. La globalizzazione ha radici lontane, discende dal liberalismo illuministico, contrario ai principi di Autorità e di Gerarchia (capisaldi
di una Stato Tradizionale) e fautore dello Stato Moderno,
dove l’uomo, libero da ogni autorità e da ogni appartenenza,
non condivide con gli altri un destino e una comune origine.
L’uomo all’interno di una comunità mira a soddisfare il
proprio interesse, e le relazioni sociali all’interno di essa
sono solo il frutto di una convivenza tesa a garantire l’appagamento dei propri interessi economici e sociali. E’ un
uomo che ha perso la via del SACRO, che in nome dell’uguaglianza, non avverte che in ogni aspetto della vita c’è un ordine superiore, e che la Gerarchia non è un nemico da distruggere, ma semplicemente una “manifestazione visibile
dell’ordine Sacro”, che la libertà non è sentirsi libero da ogni Autorità, da ogni appartenenza, inseguendo la vana
illusione di poter fare ciò che si vuole, salvo accorgersi poi che si lotta per il soddisfacimento dei propri interessi,
per raggiungere un’emancipazione che non appiattisca la propria identità, facendoti sentire “un atomo tra gli
atomi”. E’ questo il nemico da combattere, quella standardizzazione che l’ordine moderno impone, che livella e
comprime ogni umano tentativo di sollevarsi, di tendere ad una visione del mondo che porti l’uomo a riscoprire il
SACRO, che nella COMUNITA’ TRADIZIONALE era legato ad ogni aspetto della vita, era il riflesso di un ordine
superiore, che investiva l’uomo di un ruolo all’interno della comunità, scoraggiandolo dal perseguimento del proprio benessere e facendogli riscoprire il vero significato della parola LIBERTA’: non una mera illusione di poter fare
ciò che si vuole, ma la possibilità all’interno della collettività di esprimersi, di assolvere il proprio dovere, liberandolo da quel bisogno di trasgressione, di emancipazione, nefasta conseguenza della globalizzazione e di tutto ciò
che abbiamo ereditato dal liberalismo illuministico.
Evola 20 anni dopo
In quasi sessant’anni di attività culturale Julius Evola ha scritto una ventina di libri, pubblicato molte centinaia di
saggi e articoli, affrontato tutti i possibili argomenti, dai più complessi ai più contingenti, segnandoli tutti con
l’inconfondibile lucidità ed anticonformismo. A 26 anni dalla sua morte risulta dunque arduo indicare quale fra le
sue idee e le sue intenzioni costituisca l’eredità più feconda. Si possono indicare quattro punti generali di indirizzo. Il primo riguarda il singolo: Evola insiste sulla necessità di restare “persona” (secondo il senso dell’etimologia
latina) in società sempre più massificata, di mantenere una qualifica spirituale, di restare –come lui diceva- un
“uomo differenziato”. Il secondo punto è una conseguenza del primo. Come e in che modo restare se stessi in una
società in balia di forze incontrollabili, priva di valori e preda delle mode più negative? La risposta è: far parte del
mondo senza allo stesso tempo farne parte; essere come un “convitato di pietra” che assiste a quanto avviene
intorno a lui partecipandovi ma senza venirne coinvolti; assorbire tutti i veleni, trasformarli in farmaci, secondo
una massima orientale che divenne il titolo di uno dei suoi più famosi libri, “cavalcare la tigre”. Il terzo punto è
più generale e riguarda quella che potremmo chiamare la comunità, la società: Evola ha indicato l’organicismo, la
struttura del mondo tradizionale, come controaltare alla proposta del capitalismo e del comunismo che si basano
sostanzialmente su di un punto di vista economicistico. Un ideale da porre come meta, un modo diverso di vivere
la vita, i rapporti con gli altri e col Potere; anch’essa un’indicazione per combattere la massificazione da un lato e
l’atomizzazione dall’altro. Il quarto punto è anch’esso generale e riguarda una metodologia. Evola ha indicato un
metodo di indagine, di analisi storico-culturale, sociologica ed artistica, che è quello simbolico, che si rifà al mito
e a quanto di mitico si è perpetuato attraverso i millenni nella nostra vita. Amplia così le indicazioni di Bachofen e
di Guènon, portandole anche su altri piani più attuali, che gli hanno procurato l’accusa di “nonscientificità”. Concludiamo dicendo che Evola, come Nietzsche, è senza dubbio un pensatore che deve essere ben compreso, non
equivocato, preso a piccole dosi per non farne indigestione o ubriacarsi.
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