J. Evola, "Rassegna Italiana (1933-1952)

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Evola e la Nuova Oggettività
Gli scritti evoliani comparsi sulla rivista “Rassegna italiana” (1933-1952)
di Giovanni Sessa
(Pubblicato su “Il Borghese”, Anno XII, n. 6, giugno 2012)
E’ da poco nelle librerie, grazie alla solerzia e alla sensibilità culturale dell’editore Luciano
Lucarini, una nuova pubblicazione evoliana. Come da noi preannunciato in un precedente articolo
comparso su queste pagine, si tratta della raccolta degli articoli che
il filosofo romano scrisse per la prestigiosa testata Rassegna
Italiana, diretta da Tomaso Sillani (J. Evola, Rassegna Italiana
(1933-1952), a cura di G. F. Lami, i libri del Borghese, Roma
2012, per ordini: 06/45468600; [email protected]). Quest’organo di
stampa apparve nel panorama nazionale, in un momento storico
cruciale: nel 1918, anno che segnava, da un lato, la fine del
conflitto mondiale, ma nelle attese della redazione della Rassegna,
anche la definitiva apertura della politica italiana all’Europa,
l’ingresso del nostro paese, con un ruolo di primo piano, nel
consesso internazionale. La vita di Rassegna italiana è stata
condizionata naturalmente dei contraccolpi politici che segnarono
profondamente quegli anni: cessò le pubblicazioni nel 1943, nel
momento più tragico del secondo conflitto, per tornare in
distribuzione nel 1950, quale organo del “Centro italiano per la
riconciliazione internazionale”.
Pertanto, anche la collaborazione di Evola risentì dei cambiamenti del clima politico. Il nome del
tradizionalista comparve, per la prima volta ,sulla testata nel 1931, in una recensione che Salvatore
Rosati dedicò al volume La tradizione ermetica. In essa, l’autore non lesinò lodi alla competenza
evoliana, in riferimento alle vie di realizzazione occidentali e orientali. In seguito lo stesso Rosati,
ma anche altre eminenti firme del periodico, dedicarono attenzione ad altre pubblicazioni del
filosofo, cogliendo come il suo fondamentale insegnamento, lo ricorda l’accorto curatore della
raccolta in prefazione, consistesse, nei diversi ambiti di indagine, nel tentare di aprire lo spirito
individuale e comunitario, a significati trascendenti la quotidianità dell’esperienza. In ogni caso,
Evola iniziò ufficialmente a collaborare alla rivista nel 1933, negli anni in cui il Regime aveva nel
paese un consenso ampio e diffuso. Il suo ultimo pezzo comparve nel 1942, anche se dopo la
guerra, nel 1952, la sua firma riappare in un articolo dedicato alla Rivoluzione Conservatrice.
Nel dopoguerra, quindi, la collaborazione di Evola viene meno nel momento in cui la destra
istituzionale, mira a proporsi come partner di governo dei partiti centristi, in quanto la presenza,
anche in Rassegna, di una significativa componente confessionale e clericale, spingeva le scelte
editoriali della testata ad appoggiare le politiche del centro democristiano. Al contrario,
l’apprezzamento del Direttore e della redazione per l’operato di Evola erano stati determinati, nel
periodo precedente, dalla conoscenza della situazione politica, ma soprattutto culturale, dei paesi di
lingua tedesca, riconosciuta al filosofo che, da sempre, aveva avuto frequentazioni e relazioni con
intellettuali d’Oltralpe. Non è casuale, quindi, che il primo articolo del pensatore della Tradizione,
presentato da Lami in questa sua ultima fatica esegetica, prima dell’improvvisa scomparsa avvenuta
nel 2011, sia dedicato all’analisi della Nuova Oggettività, il movimento intellettuale e artistico che
fiorì nei primi anni trenta in Germania, ad opera di Motzke.
Evola precisa, nell’incipit, di preferire l’espressione Nuova Essenzialità, ma valuta, comunque,
positivamente il tentativo tedesco, in quanto in grado di indurre l’effettivo superamento dello scacco
esistenziale, cui l’uomo europeo era stato condotto dal razionalismo illuminista e dal
sentimentalismo romantico. Più in particolare, l’approccio di Nuova Oggettività al reale,
consentirebbe di recuperare la visione classica del mondo, centrata sulla corporalità dell’anima di
tutte-cose, mediante il ritorno all’elementarità della vita, al suo freddo rigore. In ciò Evola, ricorda
Lami, mostra un’evidente vicinanza alla riproposizione della fusis in Hiedegger, della natura in
senso greco. Infatti, Nuova Oggettività, è il percepire la coincidenza di idealità e realtà, in un
equilibrio di contenente e contenuto. Tale visione è latrice di uno scetticismo speculativo positivo,
in grado di tradursi in uno stile interiore, che sospinge l’esistenza, in senso eminentemente
trascendentale, all’alto. È esattamente tale atteggiamento spirituale, che permette ad Evola negli
scritti successivi, di contrapporre alle forme degradate del politico proprie della modernità, le
liberal-democrazie capitaliste ed il sovietismo, l’alternativa dell’Impero, letto dal pensatore come il
totalmente altro rispetto a qualsivoglia cosmopolitismo.
Il carattere profetico, tratto costitutivo della filosofia di Evola, mai come nella trattazione della
Nuova Oggettività, mostra la sua attualità. Infatti, in questi ultimi mesi, come reazione al
decostruttivismo del pensiero e dell’arte postmoderna, nel panorama culturale del nostro paese, ma
non solo, hanno fatto sentire la loro voce movimenti di idee che, sia pure per vie diverse, alla Nuova
Oggettività si richiamano anche per conferire dignità al Politico. Ciò è testimoniato dalla
pubblicazione del volume curato da S. Giovannini, Per una Nuova Oggettività. Popolo,
partecipazione, destino (Heliopolis, 2011), che nelle posizioni evoliane ha uno dei suoi antecedenti,
ma anche dal significativo lavoro di M. Ferraris, Manifesto del nuovo realismo (Laterza, 2012), per
non citare che alcuni dei testi che, in argomento, stanno animando il dibattito filosofico
contemporaneo.
Anche gli altri articoli evoliani (in alcuni casi si tratta di veri saggi), apparsi sulla Rassegna,
sono particolarmente significativi, tanto per le proposte specifiche che presentano, quanto per
l’ausilio che possono fornire per una corretta esegesi dell’iter della filosofia del tradizionalista.
In particolare, dalle lettura della raccolta che presentiamo, si evince che il colloquio di Evola con
Gentile, nonostante sia stata sottolineata, da parte della critica, soprattutto la distanza tra i due, è una
costante della via filosofica di Evola, tanto che il pensatore romano sembra condividere, in queste
pagine, le critiche al Fascismo che, larvatamente, erano emerse anche nei testi del pensatore di
Castelvetrano. Più in generale, questi articoli testimoniano l’azione di costante educazione, di
paideia in senso classico, tentata da Evola nei confronti del proprio tempo, mirata a formare un tipo
umano che si levasse a spirito vivente della nuova spiritualità, valido non solo per il caso nazionale
e per la data contingenza storica, ma universalmente capace di farsi testimone vivente della
dedizione al bene comune. Per questo, egli confidò, in assonanza con le posizioni di Spann e della
sua “Scuola di Vienna”, nell’affidabilità di una struttura nobiliare, di un “Ordine”, disponendosi a
paladino dell’ideale romano, in evidente alternativa imperiale al III Reich, in quanto i tedeschi
avevano degradato l’idea di nazione a quella di razza biologica.
È significativo l’emergere del rifiuto, nettissimo e ribadito in più occasioni, del naturalismo, che
congiungeva, in un medesimo atteggiamento condiviso, la casta borghese e quella servile, e che
riaffiorava anche nelle correnti “sangue e suolo” del nazional-socialismo. Di qui, la chiara presa di
posizione e di distanza riguardo all’uomo mediterraneo di Clauss, ma anche riguardo all’uomo
nordico del Volk di Rosenberg. Insomma, dagli scritti evoliani di questo secondo decennio dell’era
Fascista, emerge la ferma convinzione dell’autore che, solo la cultura “vera”, in grado di aprire
all’alto, di ricondurre l’uomo alle energie del cosmo, avrebbe saputo trasformarsi in alimento per
individualità emergenti, viatico di idealità rinvenute lungo il percorso della rinascita spirituale ed
etica.
Alla luce di queste posizioni, tutti gli scritti della Rassegna italiana richiamano a una Città
davvero dai confini sovra-nazionali e permettono di cogliere come nel Fascismo per Evola fosse
apprezzabile quel che, sotto il velo innovativo delle forme e della storia patria, consentiva di
riconnettersi alla Tradizione eterna.
Conclusivamente, pensiamo che la raccolta evoliana qui presentata, sia tra quelle curate dalla
Fondazione Evola di G. de Turris, una tra le più stimolanti, significative e attuali. Per questa ragione
ci sentiamo di consigliarla vivamente ai lettori de il Borghese, quale miniera intellettuale nella quale
rintracciare le argomentazioni che effettivamente ci possano consentire di pensare ad un Nuovo
Inizio, ad un’altra modernità.
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