Capitolo Primo Le odierne fonti del diritto dei contratti Sommario: 1. L’attuale assetto delle fonti del diritto dei contratti. Crisi del principio di sovranità dello Stato. Tendenza alla compenetrazione delle regole domestiche sia nella forma che nel contenuto con le regole aventi la veste formale domestica ma contenuto di matrice comunitaria. Riflessioni introduttive. – 2. Il contratto ieri e oggi. Breve storia dell’istituto del contratto dalle sue origini ai giorni nostri. I rapporti tra contratto e proprietà: il contratto come fonte dell’obbligazione di trasferire la proprietà; il contratto come modo di acquisto/trasferimento della proprietà; il contratto come strumento per la creazione di nuovi beni. Dalla definizione di contratto al concetto di operazione economica. Le new properties. Le nuove figure proprietarie. Per una nuova categoria della proprietà. Il complicarsi delle operazioni economiche richiede l’elaborazione di nuovi strumenti giuridici, tali da essere maggiormente idonei, rispetto a quelli già noti, a fornire la veste giuridica a rapporti commerciali nuovi e complessi. Dal contratto ai contratti. Frammentazione della categoria unitaria del contratto così come viene concepita nella parte generale del Codice civile. Creazione di una pluralità di modelli contrattuali. L’asimmetria di potere negoziale: i contratti business to business e business to consumer. Il nuovo volto dell’autonomia negoziale. – 3. Intorno alla nozione di “diritto privato europeo”. Le norme contrattuali di settore “a contenuto comunitario”. Il Codice del consumo: una forma di tutela del contraente debole. Intorno alla sostanziale carenza, all’interno del Codice civile, di regole in materia di contratti con disparità di potere negoziale. Uso improprio del termine “codice” con riguardo alla legislazione consumeristica. La ricodificazione, ovvero lo strapotere dello strumento della “legge delegata”. L’ acquis communautaire. – 4. Dalle codificazioni ai Principi: una nuova vicenda del diritto dei contratti. Esigenza di elaborazione di un tessuto di regole comuni per permettere lo svolgersi di contrattazioni dai contenuti sostanziali essenzialmente uniformi. A livello internazionale: i Principi Unidroit; iter genetico, obiettivi funzionali e presupposti per l’operatività. La dilatazione dell’ambito di applicazione dei Principi Unidroit. A livello comunitario: il Draft Common Frame of Reference. – 5. “Terra e mare”1: le fonti del diritto di derivazione legislativa e la prassi contrattuale internazionale. Crisi della fonte legale e lex mercatoria contemporanea. Le caratteristiche della nuova soft law. – 6. Per un approccio al diritto europeo dei contratti in chiave di armonizzazione. – 7. L’ integrazione tra ordinamenti: tra principi inviolabili e diritti fondamentali. “(il diritto)… trova la misura della sua storicità nel fatto di rendersi, esso stesso – intuisca concezioni teoriche precorritrici o constati la sedimentazione di radicate applicazioni giurisprudenziali- , come criterio di valutazione critica del complessivo contesto sociale”2. N. Lipari 1 Espressione con cui un grande studioso del diritto, Carl Schmitt, ha inteso intitolare quel suo lavoro in cui egli stesso ha ripercorso le tappe salienti della storia del mondo attraverso l’alternativa dicotomica terra – mare e fornendo una visione della “storia dell’umanità” quale “un cammino attraverso i quattro elementi”. Schmitt sembra quindi aver individuato le uniche categorie che sono suscettibili di rimanere sempre immutate ed uguali a se stesse nel corso del tempo, a tal punto da meritare l’osservazione, da parte dell’amico Junger, secondo cui “Carl Schmitt è tra i pochi che cercano di valutare gli eventi in base a categorie che non siano di breve respiro come le categorie nazionali, sociali, economiche”. Il riferimento è a C. SCHMITT, Terra e mare. Una riflessione sulla storia del mondo, Milano, 2002, p. 127. 2 N. LIPARI, Presentazione. Una ricerca per l’insegnamento del diritto “privato”, in ID., Diritto privato. Una ricerca per l’insegnamento, Bari, 1974, p. XII. In tale modo, viene autorevolmente rintracciato il nucleo identificativo del diritto, dal quale il fenomeno giuridico sembra oggi essere lontano, per tale ragione postulando la necessità di una profonda riflessione sui temi che sono intrinsecamente connessi con il diritto stesso, attraverso l’autorevole percorso delineato dallo stesso N. LIPARI, Diritto e valori sociali, Roma, 2004, nonché, in un approccio di tipo filosofico, a partire dalla risalente indagine intorno all’argomento che è stata compiuta da L. LOMBARDI VALLAURI, Amicizia, carità, diritto. L’esperienza giuridica nella tipologia delle esperienze di rapporto, Milano, 1974. 1 1. L’attuale scenario delle fonti del diritto, in generale, e delle norme che regolano la materia dei contratti, in particolare, si presenta, quanto mai dedaleo3. Si assiste, infatti, ad una frenetica nonché assai generosa produzione di regole4 - dettate dalla esclusiva esigenza di disciplinare le varie vicende commerciali che trovano la loro ambientazione in un mercato di portata ormai prevalentemente transnazionale – le quali non costituiscono più esclusiva espressione della sovranità di ciascuno Stato, dal momento che sono autori di tali predette regole centri di potere che, tuttavia, non sono titolari del potere legislativo nel senso tradizionalmente inteso5. Da un 3 Il pensiero intorno alle vicende giuridiche che vedono oggi protagonista la materia dei contratti non può prescindere da una indagine sull’assetto contemporaneo delle fonti del diritto. Osserva acutamente in proposito V. ROPPO, Il contratto del duemila, Torino, 2005, pp. 3-5, nell’incipit del suo volumetto che “la riflessione sui rapporti fra contratto e fonti del diritto si sviluppa, tendenzialmente, intorno a due assi: il contratto come fonte, e le fonti del contratto”, permettendo in questo modo di meditare sul contratto in termini di “norma”, ove egli afferma che “sul piano empirico, la concezione che vuole il contratto partecipe della natura di fonte del diritto trova sostegno in fenomeni del nostro tempo, che esaltano il valore generale, o comunque superindividuale, della regola contrattuale. Il pensiero va, naturalmente, ai contratti standard”; introducendo altresì il “fenomeno, sempre più esteso, dell’autoregolamentazione di categoria”, laddove “le associazioni rappresentative delle categorie di operatori professionali elaborano regole per disciplinare i comportamenti degli associati nell’esercizio dell’attività di riferimento e nei corrispondenti rapporti esterni”. 4 L. ROSSI CARLEO, Diritto comunitario, “legislazione speciale” e “codici di settore”, in Riv. Not., 2009, 1, p. 11, osserva, sul punto, che ci troviamo dinanzi ad “una fase caratterizzata da una vera e propria “iperregolazione”, determinata anche, se non soprattutto, dall’irrompere di discipline di origine comunitaria”. 5 Attualmente, è quanto mai necessario, al fine di poter comprendere il vigente assetto del panorama delle fonti del diritto dei contratti, tenere bene a mente le tradizionali nozioni che costituiscono le fondamenta dell’ordinamento giuridico, quest’ultimo inteso come un complesso di regole e strutture che acquistano la loro piena identità e ratio essendi proprio nel momento in cui si traducono, in termini di effettività, nell’organizzazione di una determinata collettività e nel riconoscimento che quest’ultima accorda alle prime. In particolare ai nostri giorni, e comunque da non breve periodo, uno dei prodotti vittoriosi della rivoluzione francese, l’aver posto le prime pietre per l’attuazione in concreto del principio della sovranità dello Stato, a cui si ricollega l’esclusiva titolarità del potere legislativo in capo ad esso, vede la sua operatività fortemente temperata, da un lato, da quel complesso di limitazioni richieste sia dalle esigenze di ordine pubblico internazionale e dalle intuizioni dei Padri Costituenti di cui la formulazione degli articoli 10 e 11 della nostra Costituzione sono il risultato e, dall’altro, dal progressivo rafforzamento del potere normativo rispetto al potere legislativo per cui su quest’ultimo da tempo sta gradualmente prendendo il sopravvento il fenomeno della creazione di regole, che si vanno ad inserire nell’ordinamento, in chiave di effettività, con la vincolatività propria delle leggi, da parte di soggetti che tuttavia non sono titolari del potere di fare le leggi! Nella storia del diritto, si è soliti attribuire l’elaborazione in termini teorici della nozione di sovranità all’illustre costituzionalista del XVI secolo Jean Bodin, definita peraltro, come autorevolmente ricordato da M.S. GIANNINI, Sovranità (dir. vig.), in Enc. Dir., XLIII, Milano, 1990, 225, quale “somma delle potestà pubbliche dello Stato”, la quale quindi “si esercita su un territorio definito e sul corpo sociale su di esso stanziato”, cosa che “vale già a connotarla rispetto ad ogni altro gruppo di somme potestà di altri ordinamenti giuridici”, e da quel momento “la sovranità rimase nelle realtà giuridiche degli Stati, e divenne altresì una nozione accettata da tutte le scienze costituzionalistiche, in ogni Paese”. Sovranità è sinonimo di autonomia, in capo a quegli organi dello Stato che sono titolari del potere legislativo, nel compimento degli atti di posizione delle regole; dunque, autonomia: termine che per molti anni è stato la parola chiave della piramidale roccaforte delle fonti del diritto e che tuttavia ha iniziato a conoscere le prime incrinature già con l’attribuzione e l’esercizio del potere normativo alle autorità amministrative indipendenti: enti dotati di competenze tecniche ben determinate, creati con lo scopo di attribuire ad essi il compito di controllare, in modo corretto ed imparziale, che lo svolgimento delle attività connesse ad un 2 lato, le istituzioni proprie dell’Unione Europea sono titolari, per espressa previsione del Trattato, del potere di adottare atti normativi idonei a dettare regole cogenti che devono essere osservate all’interno di tutti gli Stati membri o comunque, a seconda del tipo di atto adottato, all’interno dello Stato o degli Stati membri ai quali l’atto stesso sia indirizzato6. Questi strumenti sono chiaramente utilizzati per creare le condizioni affinché possa essere attuata quella libera circolazione di merci, persone, determinato settore avvenga in conformità con i precetti di legge che lo disciplinano. Le competenze delle cosiddette Authorities non si esauriscono tuttavia nella mera vigilanza e garanzia del rispetto di regole poste da altri; le Authorities stesse sono infatti titolari del potere di stabilire regole, le quali vanno ad incidere sui rapporti negoziali tra i soggetti che operano nel settore regolamentato, e quindi sull’autonomia negoziale nonché sul contenuto del contratto, intervenendo a complicare il panorama delle fonti del contratto e domandando che l’approccio all’argomento abbia luogo coinvolgendo tanto le norme interne, di varia matrice, quanto quelle di derivazione internazionale e comunitaria, e con una elasticità di pensiero tale da permettere una consapevole e matura capacità di ripensamento dei criteri che regolano i rapporti tra le fonti includendo tra essi anche il principio di preferenza, piuttosto che guardare ad essi esclusivamente in termini di preferenza, e questo è l’arduo compito affidato all’interprete. In questa prospettiva, appare pertanto condivisibile la posizione assunta in dottrina da L. DI BONA, Potere normativo delle autorità indipendenti e contratto, Napoli, 2008, 93, la quale osserva, in merito alle fonti autoritative, che “esse rappresentano uno dei più significativi punti di emersione dell’evoluzione che progressivamente ha investito il sistema, testimoniandone l’apertura verso fonti, anche extra ordinem, che stabilmente contribuiscono a formare la disciplina di settori economici di rilevanza strategica e ad arricchire di nuova valenza lo stesso principio di legalità”. Per una compiuta ricostruzione della problematica dei confini dell’autonomia negoziale oggi si veda F.S. TONIATO, Autonomia dei privati e autorità indipendenti, in Studi in onore di Nicolò Lipari, cit., II, p. 2889 ss. Amplius sul punto della crisi dello Stato moderno si vedano in particolare gli autorevoli lavori di P. BARCELLONA, Il declino dello Stato, Bari, 2008; S. CASSESE, Oltre lo Stato, Roma-Bari, 2006; ID., La crisi dello Stato, Roma-Bari, 2002. In particolare, M.R. FERRARESE, Le istituzioni della globalizzazione. Diritto e diritti nella società transnazionale, Bologna, 2000, p. 133, nel ricordare, anche attraverso il richiamo al noto storico dell’economia Max Weber, come l’idea di diritto in termini di monopolio statale abbia costituito il momento apicale dell’elaborazione giuspositivistica, rileva come, essendo lo Stato moderno un “monopolista”, attualmente, con la globalizzazione, ci troviamo invece in una situazione in cui “gli stati non sono più l’unica fonte del diritto: altri soggetti, anche privati, partecipano alla produzione del diritto”. Sul problema dell’impatto dell’intervento delle Autorità indipendenti sulle forme di manifestazione negoziale dell’autonomia privata si veda G. GITTI, Autorità indipendenti, contrattazione collettiva, singoli contratti, in Riv. Dir. priv., 2003, 2, p. 255- 258. 6 Così dispone testualmente l’art. 249 (ex 189) del Trattato sull’Unione Europea: “Per l’assolvimento dei loro compiti e alle condizioni contemplate dal presente trattato il Parlamento europeo congiuntamente con il Consiglio, il Consiglio e la Commissione adottano regolamenti e direttive, prendono decisioni e formulano raccomandazioni o pareri. Il regolamento ha portata generale. Esso è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri. La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatari da essa designati. Le raccomandazioni e i pareri non sono vincolanti.”. Questi sono gli atti delle istituzioni comunitarie; regolamenti, direttive e decisioni, seppure con una diversa incidenza, si inseriscono nello spettro delle fonti del diritto interne, imponendo un determinato contegno tanto al legislatore (obbligo di trasposizione delle direttive comunitarie nel diritto nazionale) quanto all’interprete. In particolare, gravano su quest’ultimo i vincoli che si sostanziano in primo luogo nella disapplicazione di fonti di diritto interno che siano in contrasto con il precetto di matrice comunitaria, siano esse anteriori o successive a quest’ultimo, ed in secondo luogo nell’interpretazione conforme delle fonti di diritto interno la quale consiste nell’obbligo, in capo ai giudici nazionali, in sede di applicazione del diritto interno, di interpretare quest’ultimo alla luce della lettera e dello scopo della direttiva trasposta. 3 servizi e capitali in cui si sostanzia il nucleo del programma dell’Unione7. E ciò approntando una medesima disciplina per un determinato fenomeno giuridico così che esso trovi una regolamentazione uniforme all’interno dei vari Paesi membri, tutto questo essendo reso possibile da quella previsione della nostra Carta costituzionale8 che ammette, ricorrendo determinati presupposti, la limitazione della sovranità dello Stato9. Vi è poi, dall’altro lato, la cosiddetta lex mercatoria, intendendosi denominare, con tale antico sintagma, quel complesso di regole le quali nascono dalla pratica dello svolgimento delle transazioni tra i soggetti che operano sul mercato, si consolidano mediante la ripetitività di tali comportamenti fino ad assurgere a veri e propri modelli di comportamento nel momento in cui vengono richiamate dalle parti contraenti, nell’esercizio della loro autonomia Sul punto N. IRTI, Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto, Roma – Bari, 2004, p. 79: “L’Unione ha il compito di creare uno spazio senza frontiere interne”. 8 A. CASSESE, sub art. 11, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione, Principi fondamentali, Art. 1-12, Bologna, 1975, p. 579 ss., pone in risalto l’importanza della previsione della limitazione di sovranità dello Stato laddove ciò valga ad inscriversi nel più ampio processo di realizzazione di un “assetto internazionale a carattere democratico” (p. 580), procedendo con l’evidenziare l’ampiezza della portata semantica del sintagma “limitazioni di sovranità”. Il concetto di democrazia è oggi al centro di numerosi dibattiti e di innumerevoli necessitate rivisitazioni. Ci si potrebbe chiedere, così, retoricamente se le attuali forme di limitazione di sovranità dello Stato siano in concreto dettate dalla finalità di costituire un “ordine democratico internazionale”, o piuttosto un “ordine mercantile internazionale”. G. ZAGREBELSKY, Imparare la democrazia, Roma, 2005, passim, ripercorre criticamente gli snodi caratterizzanti della forma di governo democratica, dal ruolo in essa attribuito agli individui al valore dell’uguaglianza, con l’apertura al dialogo e ad un atteggiamento favorevole al confronto rispettoso delle diversità, laddove l’operare del principio di maggioranza non si traduca nella mera prevalenza del più forte (la maior pars) sul più debole numericamente, quanto piuttosto in un’occasione per accordare garanzia e tutela alle idee meno rappresentative. L’Autore approda così al doloroso tema della attuale stanchezza della democrazia, che si avverte nell’aumento degli episodi di intolleranza, delle disparità (e non diversità) sociali, della videocrazia nonché della plutocrazia, dovuta alla iniqua concentrazione del potere politico nelle mani di pochi soggetti privati detentori di ingenti patrimoni e titolari di affari economici di enorme portata (p. 50-51). Si avverte, ai giorni nostri, uno spostamento del baricentro della democrazia dalla sfera pubblica a quella di pochi soggetti privati che, attraverso una acquisita funzione pubblica - schermo, pretendono di conferire legittimazione pubblica a provvedimenti volti sostanzialmente ad agevolare interessi privati di natura economica di ingenti dimensioni. 9 Se, come è vero, la sovranità dello Stato non è che un altro modo di chiamare, in un contesto democratico, la sovranità popolare, l’opinione di chi scrive è volta ad evidenziare come, nel contesto contemporaneo, si assista ad un progressivo, nonché preoccupante, allontanamento dalla operatività del principio della sovranità popolare in sede di formazione delle leggi, non sembrando che esse oggi riflettano quella considerazione di J. HABERMAS, Fatti e norme, Napoli, 1996, p. 203, secondo cui “il principio della sovranità popolare può anche essere immediatamente considerato in termini di potere. In questo caso richiede il trasferimento della competenza legislativa alla totalità dei cittadini, i quali soltanto riunendosi “insieme” possono generare la forza comunicativa di convinzioni comuni”. In un corretto funzionamento del meccanismo della democrazia indiretta, il ruolo del parlamento consiste proprio nel rappresentare la collettività dei cittadini in sede di formazione delle regole alle quali gli stessi saranno vincolati. Sulla odierna crisi della democrazia si veda N. GRECO, Crisi del diritto, produzione normativa e democrazia degli interessi, Roma, 1999, passim, il quale, attraverso l’analisi dell’assetto della normazione tecnica in materia ambientale, lascia emergere come attualmente gli interessi di cui le leggi e le norme si fanno portatrici non coincidano più con il tradizionale “interesse pubblico, quanto piuttosto con gli interessi di gruppi di potere. Nel panorama della funzione e dello scopo che le fonti del diritto sono oggi chiamate ad effettuare e perseguire, pare quindi che l’interesse pubblico sia stato relegato in posizione residuale. 7 4 negoziale10, che vuol dire, tra l’altro, possibilità di dettare esse stesse le regole alle quali sottoporre il contratto ed il rapporto giuridico-economico che da esso trae origine11. Il contratto, quale strumento d’elezione per lo svolgimento degli scambi commerciali, è, insieme con il complesso di regole che lo disciplinano, al centro della vicenda12. La normativa in materia di contratto si fonda, procedendo in ordine cronologico, in primo luogo, sull’impianto codicistico del 1942, che conosce, nella seconda parte del Libro IV intitolato “Delle obbligazioni”, dapprima la trattazione del contratto in generale e, successivamente, le previsioni relative a ciascuno dei singoli contratti tipici. Nel corso degli anni sono stati operati alcuni interventi volti a modificare o compiere aggiunte alle norme codicistiche in materia di contratti, ed in seguito sono state adottate varie leggi, contenute in testi normativi esterni al codice (e che hanno anche, in talune circostanze, acquisito esse stesse il nome di “codice”), volte a disciplinare specifici fenomeni legati ai contratti: le cosiddette leggi di settore. La complessa situazione in cui versa, da non breve periodo, il diritto, in generale, e, più specificamente, la materia dei contratti, e che trova il suo culmine proprio nel teatro in cui si ambienta la presente stagione giuridica, postula la necessità di interrogarsi per scoprire quale sia il rapporto intercorrente tra le norme generali di 10 G. VETTORI, Autonomia privata e contratto giusto, in Riv. dir. priv., 2000, I, p. 21 ss., nel ripercorrere le fasi salienti della vicenda dei contratti sotto il profilo della giustizia contrattuale, rivisita il tema dell’autonomia privata alla luce dell’emergere di quelli che attualmente sono denominati “contratti asimmetrici”, inducendo implicitamente il lettore a porsi l’interrogativo circa la possibilità che le nuove configurazioni del mercato possano mutare i tradizionali tratti somatici della tradizionale autonomia privata. L’interrogativo trova oggi una piena conferma di segno positivo nel contingente assetto del diritto dei contratti. 11 Per una ricostruzione della “storica vocazione extrastatuale della cultura del diritto civile”, cui è da ascriversi il fenomeno della “ riedificata” lex mercatoria, si veda G.B. FERRI, La “cultura” del contratto e le strutture del mercato, in N. LIPARI (a cura di), Diritto privato europeo e categorie civilistiche, Napoli, 1998, p. 157 – 158. 12 La materia dei contratti assume oggi i tratti propri del fenomeno che è stato autorevolmente definito “tecno-diritto”, espressione con cui N. IRTI, Il diritto nell’età della tecnica, 2007, p. 13 – 14, allude non più soltanto alla “tecnica del diritto”, il che vale a dire al “razionale impiego di mezzi in vista di un fine”, quanto piuttosto al “rapporto della potenza giuridica con altre potenze”, quali la potenza politica ed economica dei gruppi egemoni sul mercato, in cui si sostanzia “la situazione del diritto nel nostro tempo”. Opportunamente G. IUDICA, Globalizzazione e diritto, in Contr. Impr., 2008, 4-5, p. 870, osserva che “i mercatores che agiscono oggi come protagonisti della economia mondializzata sono gli ipermercatores, sono gli Ubermenschen dell’economia, una sorta di Uberunternehmer, che assumono la fisionomia delle public companies, delle grandi transnational corporations, delle società multinazionali”. Sul punto si veda M.R. FERRARESE, Le istituzioni della globalizzazione. Diritto e diritti nella società transnazionale, Bologna, 2000, p. 101, dove l’argomento della individuazione degli attori del diritto globale viene affrontato attraverso un approccio che guarda alla vicenda in termini di crisi e scardinamento della tradizionale “partizione pubblico/privato”. 5 matrice codicistica e il proliferare delle leggi di settore13. Si tratta di un problema che si colloca al centro di innumerevoli dibattiti dottrinari, ma che si ripropone nella sua più viva immediatezza ed attualità ogniqualvolta il giudice sia chiamato ad individuare la norma da interpretare nonché applicare ad una determinata controversia avente ad oggetto un contratto per il quale sussiste una specifica disciplina di settore. Tale problematica presenta, altresì, connotati quanto mai evidenti, dal momento che, nel nostro ordinamento, il Codice ha ricoperto per lungo tempo una posizione di assoluta centralità nel panorama delle fonti del diritto dei contratti, essendo, peraltro, considerato l’emblema, nonché il baluardo, della compattezza di questo complesso “meccanismo” che si chiama “diritto”14. Certamente, in una prospettiva di capovolgimento del rapporto regola – eccezione, quale è l’atmosfera in cui, dagli anni Settanta fino ai giorni nostri, si è andato sostanziando il fenomeno giuridico, si è reso progressivamente sempre meno possibile pensare all’impianto codicistico nei suddetti termini, per così dire, tradizionali. Con la conseguenza per cui, essendo stato attribuito fino ad allora al Codice il ruolo di chiave di volta dell’equilibrio del sistema “diritto”, si è Si assiste oggi ad una fase apicale del fenomeno della “fuga dal codice civile”, il quale “ha perduto il carattere di centralità nel sistema delle fonti: non più sede di garanzie dell’individuo, ormai assunte e svolte dalla Costituzione; non più sede di principi generali, ormai espressi, per singole categorie di beni o classi di soggetti, dalle leggi esterne”, secondo il lucido quadro prospettato da N. IRTI, L’età della decodificazione, Milano, 1999, p. 45, in merito alla tendenza centrifuga delle vicende legislative contemporanee. Altrove però egli stesso, N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, Roma – Bari, 2004, p. 154, in merito al rapporto tra diritto e mercato, nonché, in particolare, riguardo ai principi che governano quest’ultimo, si esprime in tali termini: “Il regime del mercato (o, se si vuole, il mercato come statuto giuridico della concorrenza e delle relazioni di scambio) si va costruendo fuori dal codice civile: estraneità, che indica non tanto il luogo delle norme, quanto l’emersione di principi, ignoti al codice civile del 1942 e alla stessa Costituzione repubblicana del 1948”. Compiendo poi la distinzione, che contraddistingue l’assetto economico e giuridico contemporaneo, tra regole che disciplinano i rapporti civili e regole che governano i rapporti commerciali, quasi a voler rievocare l’antica summa divisio tra Codice civile del 1865 e Codice di commercio del 1882, egli guarda con preoccupazione al carattere unitario del diritto privato, di cui il Codice civile del 1942 costituisce altissima espressione, sentendo che esso è minacciato proprio “dalla distinzione tra rapporti civili e rapporti commerciali, designando i primi gli scambi dell’economia individuale, e gli altri gli scambi, meccanicamente anonimi e ripetitivi, fra imprese e masse di consumatori”. 14 Nel momento attuale, la consapevole sensibilità del giurista incontra non poche difficoltà a denominare “diritto” il fenomeno giuridico per come oggi esso si manifesta. Sul punto osserva, in modo condivisibile, M.R. FERRARESE, Le istituzioni della globalizzazione. Diritto e diritti nella società transnazionale, cit., p. 127-128, come oggi vengano utilizzati vari termini, di matrice prettamente anglo-sassone, per fare riferimento al fenomeno giuridico, i quali “non sono perfettamente traducibili” e che noi siamo soliti ricollegare al termine “diritto”. Pertanto “l’uso di tanti termini disparati tradisce una difficoltà a far ricorso al termine diritto che, soprattutto nella tradizione giuridica europea continentale, evoca un oggetto ben definito da requisiti formali”. Al contrario, “il diritto globale appare irriconoscibile in base a quei rigidi requisiti formali”. 13 6 cominciato a lamentare l’avvio della “rottura del tutto”, della perdita del “baricentro”, da cui ha preso le mosse la “crisi” delle fonti del diritto dei contratti15. Gli operatori giuridici di tutte le file non sono rimasti insensibili di fronte allo stagliarsi di tale panorama: rottura dell’equilibrio sistematico tradizionale, dunque; ricerca di un nuovo equilibrio, pertanto. I passi verso tale ricerca sono stati mossi gradualmente, e tuttora si assiste ad un lavoro che è ancora e quanto mai in atto. In prima battuta, si è cercato di rivolgersi ai rapporti tra parte generale e norme di settore in termini di specialità, per cui si ravvisava una evidente perdita di centralità della codificazione, la cui funzionalità veniva piuttosto confinata nello scomodo ruolo di mero completamento, in via residuale, dei fenomeni contrattuali disciplinati in maniera lacunosa16. In questo periodo, all’unitarietà del sistema, rappresentata dal codice, si sostituiva il rafforzamento di autonomi “centri di potere”, le leggi speciali17. La ricerca di un valido criterio attraverso cui risolvere i rapporti tra diritto contrattuale generale e di settore era essenzialmente dettata dalla stringente necessità di evitare il verificarsi di possibili contrasti tra norme18. La prevenzione Il Codice civile del 1942, lungi dall’essere soltanto una raccolta sistematica di regole dettate in materia di rapporti inter singulos, costituisce piuttosto un’altissima forma di espressione “delle idee fondamentali che ne costituiscono il substrato” e che in esso si ritrovano “tradotte in formule giuridiche”, come osserva R. NICOLO’, v. Codice civile, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, p. 248, il quale conclude poi il suo discorso dimostrando, a p. 249, come, pur rivelando la disciplina codicistica una certa incompletezza e talvolta risultando non aderente alla realtà economica, in ogni caso le categorie codicistiche, nelle quali sono tradotte le idee di fondo che ne costituiscono il leitmotiv, “rappresentano esattamente gli aspetti primari della nostra organizzazione sociale e della nostra struttura economica”, cosa da considerarsi “non un punto di arrivo”, ma un validissimo “punto di partenza”, se si considera come “il codice contenga gli spunti essenziali per avviare nella direzione giusta il corso futuro della nostra esperienza giuridica”. L’idea di legge, e quindi anche di codificazione, era sinonimo di massima ipostasi dell’esprit politique di uno Stato, come è pacifico dal momento che la stessa Carta Costituzionale attribuisce il potere legislativo, in via fisiologica, alle due Camere. Nell’attuale contesto di produzione delle regole, non è più possibile parlare di legge nel senso appena richiamato, dal momento che i testi normativi costituiscono espressione delle esigenze, di segno esclusivamente economico e mercantile, proprie di lobbies e gruppi di potere. Per una autorevole analisi del diritto contemporaneo cfr. N. LIPARI, Diritto e valori sociali, Roma, 2004, passim. 16 P. FEMIA, Pluralismo delle fonti e costituzionalizzazione della sfera privata, in Il diritto civile oggi. Compiti specifici e didattici del civilista, Atti del I Convegno nazionale SISDIC, Napoli, 2006, p. 189 17 F. MARINELLI, Gli itinerari del Codice civile, Milano, 2008, p. 160-161, nell’osservare il panorama contemporaneo del fenomeno giuridico dall’angolo visuale del giurista e degli strumenti a disposizione di questi, introduce l’argomento della specializzazione quale requisito proprio delle scienze esatte, nel momento attuale, ricordando come l’opera di sistemazione enciclopedica del diritto, compiuta da Francesco Filomusi Guelfi, si sia scontrata con “l’ormai sempre più progredita specializzazione delle scienze esatte, tanto da rendere ormai il concetto di enciclopedia (…) del tutto superata, per non dire dimenticata”. 18 Inizialmente il problema del rapporto tra norme di diritto interno e regole del diritto comunitario è stato affrontato guardando a quest’ultimo con le medesime lenti con le quali si guarda ad un fenomeno appartenente al genus dell’internazionale o di quello comparatistico. Ci è in seguito resi conto della impossibilità di continuare a seguire tale prospettiva, anche e soprattutto a fronte della massiva ingerenza del diritto comunitario nel panorama delle fonti del diritto interno, sia attraverso i 15 7 delle antinomie era la prima preoccupazione, in particolare per l’interprete, e risolvere l’antinomia in chiave di specialità costituiva certamente una confortante risposta al problema, in quanto si trattava di un criterio elaborato in via assiologica ed astratta per essere destinato, esattamente come accade nelle scienze matematiche, a trovare poi applicazione al caso concreto19. In tale maniera, questo complesso di norme appariva l’organica risultante di un procedimento, per così dire, di composizione, articolato in due distinte fasi: la prima, caratterizzata dal completamento delle regole speciali con quelle comuni nel caso in cui nelle prime si riscontrassero lacune; la seconda, fondata sulla prevalenza delle suddette regole speciali su quelle comuni nel caso in cui nelle prime fossero presenti deroghe alle seconde. Tale assetto non era, tuttavia, destinato a rimanere privo di messa in discussione, né, per meglio dire, a resistere ad ogni tentativo di ricerca dei punti deboli, nel pesante nonché rivelatore momento in cui il criterio, di matrice astratta e aprioristica, regolamenti, che sono self-executing e che si collocano, nella complessa gerarchia delle fonti, al di sopra della legge ordinaria, sia attraverso una serie di direttive che hanno iniziato a disciplinare in modo netto determinati ambiti dei rapporti privatistici. Risulta così lungimirante e condivisibile l’autorevole considerazione di N. LIPARI, Premessa, in N. LIPARI (a cura di), Diritto privato europeo e categorie civilistiche, Napoli, 1998, secondo cui “si tratta cioè di comprendere – e di verificare all’interno degli strumenti operativi dei giuristi – che il diritto europeo non può più essere inteso come un ordinamento autonomo e distinto dal diritto interno, un ordinamento da analizzare secondo le tecniche proprie degli internazionalisti o dei comparatisti, trattandosi invece di un sistema che, al di là della peculiarità della fonte di posizione, direttamente incide sulle regole dei nostri rapporti giuridici”. A tale pregnante riflessione fa eco il pensiero di G.B. FERRI, La “cultura” del contratto e le strutture del mercato, in ivi, p. 155, il quale, nell’incipit del suo contributo, compie due notazioni secondo cui “da un lato, il diritto civile, nel nostro tempo, non può più essere sigillato nel ristretto orizzonte dei confini nazionali; d’altro lato, tematiche, di cui un tempo si interessavano esclusivamente gli studiosi del diritto commerciale, ora appartengono al patrimonio culturale anche dei civilisti”. La difficoltà che viene in concreto riscontrata nel tentativo di una piena compenetrazione del diritto europeo con la nostra quotidiana esperienza del diritto viene rilevata da A. FALZEA, Effettività del diritto europeo, in ivi, il quale, ponendosi (e ponendoci), p. 19, l’interrogativo: “le norme delle leggi di ricezione fanno corpo con le norme interne, con le norme comunitarie o con entrambe le categorie normative – ed in quest’ultimo caso, con quali modalità relazionali?”, nelle conclusioni, pone le basi per permettere al lettore di proseguire nella riflessione sul problema dei rapporti tra diritto europeo e diritto interno, tenendo presente che “la difficoltà maggiore [a permettere la piena penetrazione del diritto europeo nella quotidianità della nostra vita sociale] deriva dal fatto che il diritto europeo è un sistema normativo ancora in fieri e che la sua immaturità rende ambigui e controversi i rapporti sia con l’ordinamento internazionale, sia e soprattutto con gli ordinamenti giuridici degli Stati membri” (p.16). 19 In una lettura risalente, G. GAVAZZI, Delle antinomie, Torino, 1959, p. 84, si apprende che, secondo la mente dei giuristi, il rapporto “genere – specie” si articola secondo un “modello deduttivo”, dal momento che essi stessi ritengono “che esistano principi generali dai quali si deducono le norme specifiche; a un certo punto di codesto lavorìo di deduzione, par loro preferibile abbandonare la coerenza deduttiva e stabilire invece, per determinati casi, regole speciali”. L’opinione di chi scrive il presente lavoro in materia di contratto si fonda sulla considerazione secondo cui al giorno d’oggi, alla luce della suddetta ricostruzione della “specialità” delle leggi, sia più corretto esprimersi, con riguardo alla copiosa produzione delle regole, in termini di “norme di settore”, proprio a fronte dell’ampiezza della materia e del fenomeno disciplinato da ciascun odierno intervento normativo, di guisa che non è più possibile guardare ad esse come a mere eccezioni, ma a veri e propri ambiti di normazione. 8 peraltro retaggio della tradizionale concezione dei rapporti gerarchici tra le fonti delle regole, ha iniziato a scontrarsi con gli effetti prodotti dalla operatività del medesimo nella realtà concreta. Pertanto, in particolare verso la fine degli anni Ottanta, si è cominciata ad intuire l’opportunità di non rivolgersi più al rapporto regole generali – regole di settore in termini aprioristici e sistematici, a favore di una impostazione, al contrario, fondata sulla prevalente attenzione all’interesse in concreto che dovesse essere maggiormente tutelato, aprendo così la strada al criterio della armonizzazione. E questo è il principio, di chiara ispirazione europea, che governa oggi, sebbene in maniera ancora non del tutto pacifica, i rapporti tra disposizioni contenute nel codice civile e nuove leggi20. Il regime del favor per una delle parti è ora la chiave di volta della problematica qui in esame. E già una mera analisi normativa si mostra a sostegno dell’argomentazione: in materia di contratto di assicurazione, di intermediazione finanziaria e, massimamente, nella disciplina consumeristica. In essa, infatti, il legislatore ha formulato, in chiave generale, il criterio della prevalenza delle disposizioni più favorevoli per il consumatore, in vista di una piena integrazione europea in materia di contratti, e non solo. La formulazione di tale principio si ravvisa in quel criterio che ha affiancato al principio di specialità una politica di Uno degli ambiti nei quali si coglie in modo più nitido la saldatura tra il “luogo di posizione della norma” e il livello della concreta operatività della medesima è proprio quello delle fonti del diritto. Risulta peculiare, a tale riguardo, la considerazione di N. LUHMANN, La differenziazione del diritto, Bologna, 1990, p. 243 – 244, in un capitolo intitolato “La dottrina giuridica delle fonti del diritto nella prospettiva della sociologia”. Egli osserva che “l’idea che si fa il sociologo della dottrina giuridica delle fonti del diritto” si fonda innanzi tutto sullo stupore per il fatto di ritrovare ricondotti ad unità “concetti di fondamento così diversi”; con la conseguenza per cui “da ciò scaturisce la questione relativa al contesto dell’esperienza interna e dell’agire fattuale nel quale una tale identificazione possa funzionare”, emergendo da queste parole una grande sensibilità per il costante collegamento tra piano dei concetti giuridici e sfera sociale – applicativa, momenti dei quali, entrambi, si compone il fenomeno “diritto” considerato nella sua interezza, malgrado egli stesso presenti una elaborazione personale del diritto in chiave di “sistema giuridico”, pregna di un approccio dogmatico all’argomento, senza tuttavia limitarsi esclusivamente ad esso, come si evince dalle parole dello stesso N. LUHMANN, Sistema giuridico e dogmatica giuridica”, Bologna, 1974, p. 53, il quale, nel suo laborioso progetto di descrivere la società come sistema, ravvisando nella garanzia della giustizia la funzione essenziale del sistema diritto, osserva che “la giustizia, come perfezione dell’unità del sistema, si riferisce alle richieste che sono rivolte al diritto dall’intera società, e che la dogmatica rappresenta il livello, interno al sistema giuridico, nel quale queste richieste vengono rispecificate e operazionalizzate”. Da ciò deriva che “la dogmatica è la concezione, interna al sistema, di una complessità che come unità diventa rappresentabile solo riferendo il sistema giuridico al suo ambiente sociale”. Luhmann stesso, nella sua indagine sulla funzione del diritto in una prospettiva di “differenziazione di uno specifico sistema giuridico” con riguardo al sistema della società, ne ravvisa il nucleo dell’operatività nonché “il significato sociale del diritto nel fatto che se le aspettative possono essere stabilizzate nel tempo ne derivano delle conseguenze sociali”: N. LUHMANN, Mercato e diritto, Torino, 2006, p. 135, 137. La concezione di Luhmann si fonda, in ogni caso, sull’idea del diritto quale una specifica forma di differenziazione, e precisamente come comunicazione funzionalmente differenziata, pertanto chiusa in se stessa. Di qui deriva la sostanziale separazione del diritto dalla società, nell’elaborazione teorica che egli ha prospettato. 20 9 massima difesa, mediante lo strumento normativo, di una delle parti in conflitto, in via del tutto indipendente dal previo procedimento di imputazione di generalità o di specialità della disposizione di legge che si ritenga di dover applicare al caso concreto. Un tale ingranaggio di raccordo intrinsecamente implica, per la sua possibile operatività, l’esclusione della regola dell’assoluta prevalenza della legge speciale sulle norme generali21. Nel momento attuale, la materia dei contratti, da un lato, appare essere al centro di vari sforzi volti a portare avanti il processo di armonizzazione e, dall’altro, si presenta altamente strutturata al suo interno. Al primo profilo è da ascriversi il complesso di iniziative adottate in seno alle istituzioni dell’Unione Europea22 e tese alla elaborazione di un diritto dei contratti codificato su scala nazionale, culminanti con la formulazione del progetto del Draft Common Frame of Reference, nel quale, peraltro, si esprime, a livello metanazionale, la storica esigenza di una sistemazione organica delle regole, che è stata il motivo ispiratore della codificazione23. Volgendo lo sguardo all’odierno diritto dei contratti, si assiste ad una coesistenza, non pacifica, di due distinti fenomeni nell’ambito della normazione della suddetta materia, contraddistinti, per un verso, dal complesso delle regole e dei principi che si possono definire “nazionali” tanto nella forma quanto nel loro contenuto e, per altro verso, dai precetti di matrice comunitaria24. Si tratta di due impianti normativi che vengono ad esistenza in ambienti molto diversi, soprattutto se si pensa che alla vocazione essenzialmente sistematica che caratterizza le sedi domestiche degli ordinamenti cosiddetti di civil law si contrappone il carattere sostanzialmente giurisprudenziale delle disposizioni comunitarie, nonché una ratio fisiologicamente volta al perseguimento di determinati risultati nell’ambito economico e del 21 C. CASTRONOVO, Diritto privato generale e diritti secondi. La ripresa di un tema, in Eur. dir. priv., 2006, p. 397 22 Osserva opportunamente a tale riguardo G. GANDOLFI, Il diritto privato europeo agli inizi del terzo millennio, in Riv. Dir. civ., 2008, 2, p. 226, che “non può parlarsi di inerzia delle Istituzioni comunitarie”. 23 Sul DCFR cfr. G. ALPA – G. CONTE, Riflessioni sul Progetto di Common Frame of Reference e sulla revisione dell’ Acquis Communautaire, in Riv. Dir. civ., 2008, 2, p. 155 – 157; nonché G. ALPA, Presentazione, a G. ALPA – G. IUDICA – U. PERFETTI – P. ZATTI (a cura di), Il Draft Common Frame of Reference del diritto privato europeo, Padova, 2009, p. V ss. 24 P. PERLINGIERI, La dottrina del diritto civile nella legalità costituzionale, in Rass. dir. civ., 2007, p. 499, pone in risalto la crescente importanza del ricorso “all’applicazione dei principi costituzionali anche nei rapporti intersoggettivi”, proprio a fronte del congestionato assetto delle fonti del diritto, esaltando il principio di legalità costituzionale quale “garanzia di soggezione ai valori fondanti l’ordinamento giuridico”. 10 mercato25. Per la verità, l’idea stessa di elaborare un codice europeo dei contratti, quale risposta allo stringente problema di attuare una armonizzazione del diritto nella predetta materia26, al fine di portare a compimento quel processo di integrazione normativa che è funzionale alla piena concretizzazione del mercato unico, trae maggiormente origine dalla impostazione degli ordinamenti a vocazione codicistica, piuttosto che da quelli di matrice comunitaria27. Per quanto concerne, invece, il variegato panorama degli strumenti contrattuali, si deve considerare che attualmente si possono rintracciare pacificamente tre diverse sottocategorie di contratti, e precisamente: quella dei contratti di diritto interno comune, che trova la sua disciplina nel codice civile; quella dei contratti dei consumatori, i cosiddetti contratti “business to consumer”; quella degli accordi tra imprese, denominati contratti “business to business”28, i quali necessitano anch’essi di grande attenzione sia da parte del legislatore sia nelle sedi in cui si fa valere la giustizia contrattuale, dal momento che, così come nei contratti del consumatore29, anche in quest’ultima tipologia di negoziazioni accade che per esigenze del mercato 25 G. ALPA, La creatività della giurisprudenza, in G. ALPA (a cura di), I precedenti. La formazione giurisprudenziale del diritto civile, I, Torino, 2000, p. 5 ss., nell’indagare sulla crescente influenza delle decisioni giurisprudenziali sui contenuti delle nuove regole giuridiche, ricordando che negli ordinamenti di common law la giurisprudenza è la precipua delle fonti di produzione del diritto, evidenzia la idoneità dei modelli giurisprudenziali a costituire uno dei pilastri per l’elaborazione del “diritto privato comune europeo” (p. 20). La giurisprudenza si trova, del resto, sempre più frequentemente a compiere una vera e propria attività creativa di schemi e strumenti giuridici nei quali possano essere inquadrati i casi concreti che si presentano all’esame delle Corti, per i quali accade spesso di non potersi rinvenire lo schema astratto all’interno della legislazione vigente, che dimostra di continuo carenze e vuoti normativi dovuti allo “scarto cronologico”. 26 G. ALPA, Le “fonti” del diritto civile: policentrismo normativo e controllo sociale, in Il diritto civile oggi. Compiti specifici e didattici del civilista, Atti del I Convegno nazionale SISDIC, Napoli, 2006, p. 126 27 V. ZENO-ZENCOVICH, Le basi costituzionali di un diritto privato europeo, in Eur. dir. priv., 2003, p. 20 ss., in cui l’Autore si sofferma sull’elenco dei diritti fondamentali riconosciuti a livello europeo dalla Carta di Nizza. Tra essi, in primo luogo, la dignità umana, l’integrità della persona, la tutela dei dati personali, la protezione per il bambino, la parità tra uomo e donna, nonché la libertà di espressione e di informazione. Certamente, la strada dell’armonizzazione non può compiersi in modo efficace se non passa attraverso la tutela della persona considerata nella sua interezza. 28 Definiti, con una fortunata espressione coniata da R. PARDOLESI, Prefazione a G. COLANGELO, L’abuso di dipendenza economica tra disciplina della concorrenza e diritto dei contratti, Torino, 2004, XI ss., nei termini di “terzo contratto”, intendendo con tale sintagma l’insieme delle negoziazioni attraverso cui vengono poste in essere le relazioni tra le imprese, ambito che trova il nucleo della propria disciplina nella legge 18 giugno 1998 n. 192. Sul punto cfr. anche A. GIANOLA, v. Terzo contratto, in Digesto. Disc. Priv., sez. civ., Agg., Torino, 2009, p. 570 ss. 29 P. NEBBIA, La politica comunitaria di tutela dei consumatori nell’ottica del mercato interno, in Obbl. contr., 2007, p. 740 ss., nel ricordare che al legislatore comunitario è stata attribuita indirettamente la competenza a legiferare in materia di tutela del consumatore con la sentenza “Cassìs de Dijon”, ripercorre i momenti salienti dell’armonizzazione di tale diritto contrattuale, avendo particolare riguardo all’opzione del legislatore comunitario di rinunciare all’impiego della clausola di armonizzazione minima, in quanto ritenuto dalla Commissione inidoneo a realizzare, in tale materia, quell’uniformità di soluzioni per situazioni analoghe che si svolgono nel mercato interno, e che invece costituisce l’obiettivo essenziale da perseguire. 11 la formazione delle regole che disciplinano il rapporto negoziale avvenga in pregiudizio del principio del libero e paritario intervento delle parti in sede di fissazione di tali regole30. I contratti appartenenti alla seconda ed alla terza tipologia appena menzionate presentano, pertanto, elementi in comune, ed, in particolare, il rischio che all’interno di queste negoziazioni si verifichino degli abusi di potere da parte del contraente forte sul contraente debole. Di qui la necessità di incisivi interventi normativi volti a delimitare rigidamente il margine di prevalenza di un contraente sull’altro, al fine di apprestare una efficace tutela della parte debole31. Comprendere il mutato o, per meglio dire, l’assai dilatato ambito di operatività dello strumento contrattuale, che caratterizza il momento attuale, implica un Il termine business, che fisiologicamente è connesso all’ambito dell’economia degli affari e degli scambi, appare oggi invece funzionalmente collegato al fenomeno del diritto, dal momento che le leggi attualmente si riducono a complessi di regole volte a garantire tecnicamente l’avvento del business sul mondo del mercato transnazionale, internazionale e globale. Oggi ci si preoccupa che la regola sia idonea ad assicurare la quantità del business, piuttosto che la qualità. L’etica del “di più” sostituisce così quella del “meglio”, come del resto non deve sorprendere, dal momento che le leggi sono oggi fatte dalle lobbies e a tutela degli interessi delle stesse lobbies. Pur non condividendo l’approccio formalistico al fenomeno del diritto, tuttavia ad avviso di chi scrive si ritengono essenziali le riflessioni compiute sul punto da N. IRTI, Nichilismo giuridico, Bari, 2004, il quale, dopo avere nelle premesse, p. V – VI, rilevato che “il diritto moderno si è consegnato per intero alla volontà degli uomini. (…) questo volere è scelta di scopi e di mezzi: la norma giuridica, orientata a perseguire uno scopo, determina il mezzo idoneo, ossia la condotta capace di raggiungerlo. La volontà di scopo non soggiace ad alcun criterio esterno, ad alcun controllo di ammissibilità”, a p. 83, afferma che “l’antitesi camusiana tra il meglio e il più richiama subito quella tra melior pars e maior pars, cioè la disputa intorno ai criteri procedurali della politica”, laddove “la maior pars è una parte maggiore di volontà, una volontà dei più, legittimata proprio dal suo esser dei più”; “il metodo quantitativo anche domina i mercati. Il consenso dei consumatori stabilisce il valore dei beni: è davvero straordinaria questa conversione del volere in valore”; “la maior pars decreta il successo di centri commerciali o di grandi magazzini”. In tale modo l’autore qui richiamato identifica alcuni dei soggetti che si possono ascrivere alla categoria delle lobbies, che, non a caso, sono i protagonisti della scena economica “delle catene di magazzini”; quella di grande scala o, meglio, della scala più grande che vi sia: quella globalizzata, quindi. Sul punto cfr. anche F. GALGANO, La forza del numero e la legge della ragione. Storia del principio di maggioranza, Bologna, 2007, passim. 31 L’idea che il sintagma “parte contraente” rievoca nella mente del giurista oggi è diversa da quella invalsa per molto tempo. Se infatti G.B. FERRI, v. Parte del negozio, in Enc. dir., XXXI, Milano, 1981, p. 903, nel ricostruire la nozione di parte del negozio attraverso la pressoché unanime posizione della dottrina secondo cui “sono parti gli autori del regolamento negoziale ed anche (in quanto autori) i destinatari delle conseguenze, degli effetti che scaturiscono da esso”, ravvisa la sussistenza di un duplice ruolo al quale il soggetto contraente è chiamato, a meno che non si tratti di una parte in senso formale, oggi si può invece notare come nella copiosa vastità di figure negoziali alle quali si fa ricorso per esigenze di segno commerciale ad un lavoro ipertrofico svolto dal soggetto in posizione per così dire forte, il quale predispone unilateralmente le condizioni generali di contratto, corrisponda quasi una atrofia dell’ampio novero di facoltà riconnesse all’autonomia negoziale dell’altro contraente, la parte debole, il cui ruolo è confinato in una semplice manifestazione di volontà di adesione ad un regolamento negoziale alla cui formazione egli non ha in concreto concorso, limitandosi semplicemente ad accettarlo. Se nella tradizione i soggetti autori del regolamento negoziale, proprio in quanto autori, ne possono essere destinatari, oggi si ha invece che l’essere destinatario degli effetti del contratto può derivare semplicemente da un “sì, accetto la lunga e complessa serie di clausole che la controparte ha unilateralmente predisposto”. Ad avviso di chi scrive, si ritiene pertanto di dover ripensare il novero di poteri e facoltà di cui si compone l’autonomia negoziale, limitandosi a ricollegare ad essa essenzialmente la facoltà di dire “sì, accetto questo regolamento negoziale”, collocando in posizione residuale l’idea del ruolo attivo svolto tradizionalmente da entrambe le parti contraenti nella sede delle negoziazioni. 30 12 ripensamento dell’istituto in chiave di modernità, in una prospettiva di conciliazione dei pensieri tradizionali con le recenti novità normative, leggendo il fenomeno alla luce delle conseguenze derivanti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione europea e dall’inevitabile adesione del nostro Paese all’assetto economico di dimensione globale32. 2. Il contratto occupa una posizione di assoluta centralità nel contingente panorama economico-giuridico, e ad esso viene attribuita senza dubbio maggiore importanza rispetto al periodo storico che va dalla lunga epoca in cui il diritto romano è stato diritto vigente a quella delle codificazioni dell’Ottocento33. 32 Sui nuovi spazi, artificiali ed extrastatuali, nei quali si svolgono le relazioni commerciali e giuridiche, con la conseguente crisi del principio di territorialità del diritto, N. IRTI, Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto, cit., con particolare sensibilità e lucida consapevolezza, esordendo il suo discorso, p. 3, con la essenziale ma assai pregnante affermazione per cui “il diritto ha bisogno del dove”, e procedendo, p. 39, nel ribadire che “la presa di possesso spaziale (…) è fondamento costitutivo del diritto”, si esprime così, p. 59: “Il diritto, perdendo le radici terrestri e affinandosi nell’intima artificialità, si fa duttile e sciolto. Non ha paura degli spazi; è in grado di seguire la latitudine dell’economia. L’antitesi tra diritto territoriale ed economia planetaria cade col cadere stesso del fondamento tellurico”. Delinea poi il nucleo dell’argomento nella pacifica considerazione, p. 75, secondo cui “i fenomeni globali determinano la crisi della territorialità”, da intendersi quale “crisi del rapporto dello Stato col territorio”. All’artificialità del mercato fa eco l’artificialità normativa, la quale, p. 81, “messa in opera da accordi fra gli Stati e resa capace di qualsiasi determinazione spaziale, è l’unico modo di funzionamento del diritto dinanzi ai problemi globali”. N. IRTI, il diritto nell’età della tecnica, cit., chiarisce, p. 19, la distinzione tra la spazialità, che è propria del contesto attuale, e la territorialità, in cui si sostanzia la dimensione tradizionale, ed ormai superata, del diritto, tanto per quanto attiene al luogo di produzione delle regole quanto per ciò che concerne l’ambito di applicabilità delle stesse. 33 Nell’impostazione giusprivatistica antecedente allo sviluppo industriale del Novecento, era il dominium l’istituto posto al centro della disciplina, rispetto al quale il contratto assurgeva a mera modalità di trasferimento dello stesso. Il dominium, ovviamente inteso essenzialmente quale proprietà fondiaria, cosa ben diversa dalla nozione di proprietà che si può oggi ricavare dalla contingente esperienza del diritto, sia per quanto riguarda la sussistenza di varie forme di proprietà (si pensi alla “multiproprietà”), sia per ciò che attiene all’ampio novero dei beni, materiali e immateriali, che possono formare oggetto del diritto di proprietà. Oggi l’argomento della proprietà acquista una sua centralità nel dibattito sull’inserimento di questa tra i diritti fondamentali, dal momento che essa non è più soltanto disciplinata dal Codice civile del 1942 e dalla Carta Costituzionale, ma trova anche una propria normazione, a livello di rapporti transnazionali, nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo (firmata a Roma il 4 novembre 1950) e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Carta di Nizza del 7 dicembre 2000). Sul punto si veda amplius M. COMPORTI, La proprietà europea e la proprietà italiana, in Riv. Dir. civ., 2008, 2, p. 189 ss., in cui l’Autore si occupa del problema di conciliare la concezione della proprietà fornita a livello europeo dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Convenzione di Roma del 4 novembre 1950 concernente alcuni diritti fondamentali della persona, quale il diritto alla vita ed alle libertà personali) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Carta di Nizza del 7 dicembre 2000, in cui vengono espressamente riconosciuti a livello europeo i diritti, le libertà e i principi fondamentali tutelati nelle varie Carte costituzionali dei Paesi membri), con quella che emerge dall’art. 42 della Costituzione italiana, evidenziando come la concezione europea della proprietà esprima il carattere liberale che viene attribuito a tale diritto fondamentale, del cui contenuto si pone l’accento sui pieni poteri di godimento e di disposizione di cui gode il titolare, mentre l’impostazione della Carta costituzionale italiana, nell’affermare a chiare lettere la funzione sociale della proprietà, ha inteso collocare tale diritto in quel programma di “contemperamento fra interessi generali ed interessi individuali” (p. 195), che è proprio dell’ organizzazione statale. 13 Ma tale attuale posizione di preminenza del contratto nel novero delle categorie del diritto civile contemporaneo è il risultato di un complessa e articolata storia, che vede protagonista il contratto stesso, il cui intreccio coinvolge vari luoghi cronologici, emblematici mutamenti di carattere economico e sociale nonché alcuni eventi che hanno segnato in modo significativo momenti di rottura o, per meglio dire, fasi di passaggio, tra il vecchio e il nuovo34. Non si ritiene, pertanto, opportuno inserirsi in una riflessione sull’identità, sulle peculiarità, sulle funzioni e sul ruolo che al contratto viene oggi attribuito senza tenere in considerazione almeno i punti salienti dell’iter genetico-evolutivo di questo istituto. Per fare ciò, bisogna compiere un salto indietro di molti secoli, in particolare al periodo in cui i rapporti inter singulos erano disciplinati dal diritto romano. A quell’epoca, era infatti la proprietà la figura giuridica di maggior rilievo ed il contratto costituiva soltanto una delle modalità attraverso cui porre in essere il trasferimento della proprietà stessa. Il contratto era, dunque, lo strumento mediante il quale si rendeva possibile obbligarsi ad acquistare o disporre del diritto di proprietà su beni materiali35. 34 Rinviando ad altra sede infra la lettura in chiave contemporanea di alcune categorie ordinanti del contratto, qui ci limitiamo invece a ripercorrere sinteticamente le tappe che hanno condotto il contratto a collocarsi tra le categorie ordinanti del moderno diritto civile, ricordando, in particolare, in merito a queste ultime, con F. GALGANO, Trattato di diritto civile, Padova, 2009, p. 134 che esse “sono il frutto di una elaborazione iniziata, fra il Seicento ed il Settecento, dai giusnaturalisti francesi, come Domat e Pothier, olandesi, come Grozio, tedeschi come Pufendorf, e completata, nell’Ottocento, dai pandettisti tedeschi, artefici del cosiddetto diritto romano moderno, in una Germania che ancora non conosceva la codificazione civile e nella quale vigeva ancora il diritto romano, adattato dai giuristi alla realtà del loro tempo”. E prosegue osservando che “dall’elaborazione concettuale dei giusnaturalisti sarebbero nate le figure elementari dell’argomentazione giuridica moderna, quali i concetti di persona, distinta in persona naturale e persona giuridica, di rapporto giuridico, di fatto giuridico, di atto e di negozio giuridico”, inserendo in quest’ultima categoria l’istituto del contratto, ormai privo della qualificazione di nudum pactum proveniente dal diritto romano e già titolare delle caratteristiche che emergono dalla definizione che di esso troviamo nel nostro Codice civile del 1942. Di qui si arriva al contratto quale atto giuridico, imperniato sull’incontro delle volontà dei soggetti che lo pongono in essere, al fine di costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale, secondo quanto dispone l’art. 1321 c.c. Questa ricostruzione dell’iter genetico delle categorie del moderno diritto civile ha riguardo massimamente agli ordinamenti di civil law. Nei sistemi di common law, la fonte di produzione del diritto, di matrice prevalentemente giurisprudenziale, e quindi derivante per lo più dal lavoro compiuto in concreto dai giudici, ragione per cui si parla di case law, implica che vi sia un minor grado di astrazione, con la conseguenza per cui le categorie giuridiche sono meno elaborate e più vicine, nei loro tratti somatici, al mondo delle cose piuttosto che a quello dei concetti. Con riguardo al contratto, F. GALGANO, Trattato di diritto civile, cit. p. 142-143 ricorda che “il common law si è fermato al primo grado di astrazione: è contract solo quello che in civil law è definito contratto a titolo oneroso. Il linguaggio giuridico corrisponde al linguaggio cosale; è contratto, per common law, ciò che è tale per senso comune, ossia l’accordo per lo scambio di una prestazione e di una controprestazione. Il sistema romano-francese si è fermato al secondo grado di astrazione: il contratto può essere a titolo oneroso o a titolo gratuito. Il sistema romano-tedesco è pervenuto al terzo grado di astrazione: il negozio giuridico può essere unilaterale o bilaterale”. 35 M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, p. 532 ss., nel ricordare che il contratto era per i Romani fonte di obbligazioni, al pari di quanto si legge all’art. 1173 c.c., ricorda il noto passo del Digesto (D. 50.16.19) in cui il giurista Ulpiano riporta il pensiero di Labeone con 14 Questa visione del contratto quale istituto avente posizione ancillare rispetto alla proprietà si è conservata in quello che è stato uno dei più alti prodotti della Rivoluzione Francese nonché la prima codificazione che ha segnato la rottura con l’ancien regime36 ed il passaggio all’età moderna, il Code Napoléon del 1804. Nel tenore di tale corpus normativo, incentrato sul diritto di proprietà e, più specificamente, quella immobiliare – e ciò a ragione, se si considera che questo codice costituiva espressione di una società basata su un’economia essenzialmente rurale – l’insieme dei precetti volti a governare la materia dei contratti trae la sua ratio essendi proprio dall’essere stato pensato ed elaborato in funzione della proprietà37. I contratti trovano la loro disciplina addirittura all’interno di un libro intitolato “Dei modi di acquistare o di trasmettere la proprietà e gli altri diritti sulle cose”. La libertà contrattuale si sostanzia nella possibilità, affidata ai soggetti privati, di disporre della proprietà38. Le norme contrattuali sono state quindi dettate e concepite con lo scopo di fornire tutela e protezione al proprietario nel momento della trasmissione della proprietà39. Malgrado il contratto sia stato, nella codificazione francese del 1804, confinato nel riduttivo ruolo di strumento attraverso cui realizzare la funzione traslativa del diritto di proprietà, sulla base dell’impostazione proveniente dal diritto romano anche se con le dovute differenze, l’avvento del principio consensualistico ha segnato un momento di rottura rispetto alla tradizione, con il conseguente ancoraggio degli effetti giuridici del contratto riguardo alle categorie del gestum, dell’actum e del contractus, da cui emerge una concezione del contratto esclusivamente quale avente carattere bilaterale, venendo ad esso ascritte la compravendita, la locazione e la società. 36 Espressione coniata da A. DE TOCQUEVILLE per indicare quel lungo periodo storico antecedente alla Rivoluzione Francese. Per una trattazione dettagliata dell’argomento cfr. A. DE TOCQUEVILLE, L’antico regime e la Rivoluzione, Milano, 1942. R. NICOLO’, Attuale evoluzione del diritto civile, in Raccolta di Scritti, III, Milano, 1993, p. 13, saluta l’ancien regime e si rivolge all’avvento delle codificazioni come a “quella fondamentale svolta nella storia del pensiero giuridico rappresentata dalla Codificazione la quale (…) trova il suo presupposto nel processo di formazione dello Stato moderno”. 37 A. CANDIAN, La propriété, in A. CANDIAN – A. GAMBARO – B. POZZO, Property – Propriété – Eigentum, Padova, 1992, p. 187 ss., nel fornire una sintetica ricostruzione storica del diritto di proprietà nell’ordinamento francese, pone in risalto come alla scissione, all’antica divisione, all’interno della Francia, tra Pays de coutume e Pays de droit écrit, abbia fatto eco una diversa qualificazione genetica del diritto di proprietà, rispetto al quale la Codificazione del 1804 si è posta come momento di unificazione. 38 P. RESCIGNO, Per uno studio sulla proprietà, in Riv. dir. civ., 1972, I, p. 1 ss., dà conto della “crisi della proprietà”, laddove si è cominciato a registrare il passaggio dalla proprietà alle proprietà, a fronte della sussistenza di diversi regimi e statuti della proprietà in considerazione della specificità dell’oggetto. 39 Nella suggestiva ricostruzione della struttura del Codice civile francese, A.J. ARNAUD, La regola del gioco nella pace borghese. Saggio di analisi strutturale del codice civile francese, Napoli, 2005, passim, evidenzia come il Codice civile francese, nell’interrelazione tra le molteplici partizioni di cui si compone, sia idoneo a porsi come fonte di aggregazione degli individui nei confronti dei quali esso assume la forza di vincolatività giuridica. 15 non più alle forme quanto piuttosto alla volontà delle parti contraenti, in quanto idonea a produrre i medesimi effetti40. Il crollo della distinzione tra nudum pactum e vestimentum del contratto è stato in realtà il momento apicale di un iter che si è venuto svolgendo progressivamente, dettato dalle mutevoli modalità e circostanze in cui si ambientavano i traffici commerciali, e si deve riconoscere che senza dubbio la antica lex mercatoria ha dato un notevole contributo, proprio in quanto la prassi mercantile medievale era particolarmente sensibile alle necessità di sviluppo dei traffici commerciali nonché di rendere sempre più agevoli e celeri le contrattazioni41. Nella cosiddetta età industriale, che collochiamo cronologicamente in un passato recente rispetto all’epoca contemporanea, chiamando invece quest’ultima età postindustriale, il contratto ha cominciato ad acquistare una crescente autonomia dal fenomeno del trasferimento del diritto di proprietà, e ciò a fronte del sempre più frequente ricorso ad innumerevoli nuove posizioni soggettive di godimento dei beni, acquisibili tramite contratto, diverse e che hanno cominciato a costituire valide alternative alla configurazione in termini proprietari del rapporto soggetto – bene. Il contratto ha cominciato, così, ad essere trattato in modo autonomo e svincolato dalla proprietà. Contemporaneamente, al novero delle cosiddette res corporales si è aggiunta tutta una serie di beni immateriali la cui titolarità o il cui godimento possono essere creati o trasmessi tramite contratto42. L’attività imprenditorialecommerciale, intendendosi per tale quella modalità di produzione e di circolazione della ricchezza, implica intrinsecamente che l’imprenditore abbia a sua disposizione o si procuri gli strumenti mediante i quali svolgere l’attività stessa, necessitando di 40 P.M. VECCHI, Il principio consensualistico. Radici storiche e realtà applicativa, Torino, 1999, passim, nell’accurata trattazione dell’argomento, rintraccia molteplici circostanze in cui le parti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, derogano all’operatività del principio consensualistico, subordinando il verificarsi dell’effetto traslativo al compimento di ulteriori attività negoziali, ribadendo tuttavia che si tratta di un principio avente portata generale, rispetto al quale le deroghe si giustificano in forza di determinate esigenze che vengono in considerazione sulla base della natura dei diritti trasferiti e degli interessi ad essi sottostanti (p. 63). 41 F. GALGANO, Lex mercatoria, Bologna, 2001, p. 35 ss., nel ripercorrere le fasi salienti dell’antica lex mercatoria, ricorda che in essa si sostanzia il prodotto della “rivoluzione giuridica della classe mercantile” (p. 38), con la creazione di un diritto che si poneva in concorrenza con gli altri diritti, la cui origine era funzionalmente da rintracciarsi nella carenza ed inadeguatezza del diritto romano, fondato sulla conservazione piuttosto che sulla innovazione, a legittimare giuridicamente le nuove vicende commerciali. 42 F. GALGANO, La globalizzazione nello specchio del diritto, cit., p. 18, afferma che “un tempo i contratti servivano solo per far circolare le cose; oggi servono anche per farle, per creare prodotti finanziari”. 16 capitali, della forza lavoro, di merci43. Al termine della articolata catena della produzione si snoda poi la serie delle dinamiche attraverso cui avvengono le operazioni di distribuzione dei prodotti finiti, i quali raggiungono molto spesso il consumatore finale soltanto al termine di un lungo tragitto le cui fasi vengono regolamentate mediante una serie di accordi e negoziati predisposti ad hoc, determinando il moltiplicarsi degli schemi contrattuali che si sostanziano, così, in innovative figure giuridiche, sorte dalla prassi commerciale44. A ciò si aggiunga che, nella contingenza post-industriale, caratterizzata dalla indiscussa preponderanza dell’economia della finanza su quella della produzione, si pone il problema tanto della creazione quanto della circolazione dei nuovi valori mobiliari e degli strumenti finanziari. Si tratta di una serie di beni immateriali di nuovo conio, che costituiscono una prediletta modalità attraverso cui è possibile effettuare investimenti in denaro45. Nell’ambito della finanza, il contratto, strumento tradizionalmente responsabile della circolazione dei beni, viene invece impiegato per creare esso stesso nuovi beni46. Muta, pertanto, l’oggetto dell’atto dispositivo del diritto di proprietà; muta, di conseguenza, l’essenza stessa della proprietà. Se, per un verso, sempre più frequentemente l’atto traslativo della proprietà coinvolge beni immateriali, per altro Si pensi al leasing o al factoring, che costituiscono la risposta all’esigenza dell’imprenditore di avere immediata disponibilità di un determinato bene o macchinario da impiegare nel processo produttivo, o di poter conseguire subito la liquidità derivante da crediti che egli non possa ancora riscuotere. In merito ai problemi che inizialmente si sono prospettati in sede di operatività, in particolare, del leasing all’interno del nostro ordinamento, P. MARIANI, Il leasing finanziario internazionale tra diritto uniforme e diritto internazionale privato, Roma, 2004, p. 7, chiarisce che “nelle operazioni di leasing, le società predispongono dei modelli standard, di regola completi, ai quali, generalmente, l’utilizzatore aderisce. La qualificazione si rende necessaria non tanto per colmare eventuali lacune che il contratto possa presentare, ipotesi rara, quanto per verificare la validità, per il nostro ordinamento giuridico, delle clausole predisposte e per accertare l’applicabilità di quelle norme sparse nell’ordinamento che fanno riferimento – diretto o indiretto- ai tipi (ad esempio le norme sul fallimento o quelle tributarie)”. 44 Si pensi al franchising, definito nei seguenti termini dalla legge 6 maggio 2004 n. 129, art. 1: “L’affiliazione commerciale (franchising) è il contratto, comunque denominato, fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti d’autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi”. 45 Sono le cosiddette new properties, quali gli swap e i futures. In particolare, lo swap è definito a chiare lettere, nella sua essenza e funzionalità, da G. BAUSILIO, Contratti atipici, Padova, 2006, p. 212: “un meccanismo contrattuale finalizzato ad evitare rischi, in caso d’interscambi o di rapporti di import/export tra operatori commerciali, a motivo delle fluttuazioni monetarie che potrebbero verificarsi tra la sottoscrizione di un contratto e la sua esecuzione”. In particolare, sugli swap si veda E. GIRINO, Contratti swap: forma, autonomia, nullità e responsabilità, in Contratti, 2002, p. 27 46 V. ROPPO – G. AFFERNI, Dai contratti finanziari al contratto in genere: punti fermi della Cassazione sulla nullità virtuale e responsabilità precontrattuale, in Danno e resp., 2006, p. 25 43 17 verso si moltiplicano anche le forme proprietarie (si pensi, ex multis, alla multiproprietà) e quindi si modificano gli stessi caratteri tradizionali della proprietà così come consegnata al giurista del ventesimo secolo attraverso il disposto dell’art. 832 c.c. unitamente alla tutela di rango costituzionale che la stessa riceve. Attualmente, si attribuisce il nome di proprietà a posizioni giuridiche soggettive che sono in realtà carenti di alcuno dei tratti essenziali della proprietà tradizionale, o in quanto si tratta di forme proprietarie vincolate (si pensi alla posizione del trustee o a quella del soggetto titolare di un bene sul quale grava un vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c., si tratta di situazioni di proprietà vincolata che si qualificano diversamente sul piano funzionale rispetto alle cosiddette proprietà conformate che sono già in voga da anni), o perché nel termine proprietà si vuole far rientrare nel novero della proprietà anche una serie di situazioni in cui si è titolari di un bene immateriale essenzialmente al fine di poter godere del medesimo, tuttavia al godimento si accompagna la possibilità di esperire anche alcuni atti di disposizione. Pertanto l’elemento essenziale è l’ampio godimento, e la dilatazione dei confini di esso comporta l’inclusione di alcune facoltà dispositive, con la conseguenza per cui diviene meno netto il limes atti di godimento – atti di disposizione. Alla luce di tali considerazioni, si può pertanto osservare come attualmente si assista ad una inversione dei rapporti tra contratto e proprietà, con la conseguenza per cui a livello scientifico si spendono oggi moltissime parole intorno alla categoria del contratto, alla sua frammentazione, e ad un possibile recupero dell’unitarietà della stessa, tuttavia non accade ugualmente per la categoria della proprietà, rispetto alla quale l’unica preoccupazione di pratici e teorici del diritto sembra essere quella di riuscire a conciliare le nuove figure proprietarie con i principi inderogabili presenti nell’ordinamento giuridico (si pensi al problema della ammissibilità della posizione del trustee). Attualmente, le forme proprietarie, essenzialmente quelle che hanno origine nella rete telematica ed hanno ad oggetto beni immateriali, sono per lo più finalizzate precipuamente al godimento del bene, con la conseguenza per cui muta il rapporto tra il proprietario e la cosa. A ciò si aggiunga che il carattere reale del diritto di proprietà viene avvertito in maniera meno marcata, da parte del soggetto titolare, ove si tratti di beni immateriali. Verrebbe allora da interrogarsi intorno alla attuale fisionomia della categoria della proprietà. Ma ciò esula dalla prospettiva funzionale che domina la logica mercantile: quel che importa, nel mercato, è che l’affare vada a buon fine; che 18 l’operazione economica riesca a svolgersi con successo. Pertanto, è intorno al contratto che si annida ogni riflessione in quanto intorno ad esso ruotano le dinamiche commerciali. Il contratto permette l’affare, si potrebbe dire. La proprietà in sé non costituisce allora grande motivo di riflessione, una volta superati gli ostacoli per la ammissibilità delle forme innovative di titolarità dei nuovi beni. Lasciar prevalere la logica del mercato significa in concreto sacrificare ogni prospettiva di riflessione sia dogmatica sia di tipo solidaristico e di sociologia del diritto (se si comprende che la stratificazione sociale non può riassumersi nell’essere soggetti-operatori economici). Se, per un verso, nel contesto contemporaneo, il contratto è, all’interno del sistema dell’”economia – mondo”47, l’istituto sul quale si impernia la venuta ad esistenza di un diritto a vocazione ed operatività transnazionale, per altro verso, esso si qualifica, all’interno del nostro ordinamento, come lo strumento giuridico che più di ogni altro presenta interferenze con i più svariati ambiti della materia del diritto che regola i rapporti tra soggetti privati, da quello della famiglia, alle successioni, alla modalità extragiudiziale di composizione delle controversie, fino a spiegare la sua operatività in un ambiente di netto respiro pubblicistico quale è quello in cui si muovono gli organi e gli enti di cui si compone la pubblica amministrazione48. Nella indubbia posizione di centralità che lo strumento contrattuale ricopre sulla scena giuridica interna ed internazionale, bisogna osservare che, in una visione diacronica dell’argomento, si è, dall’epoca della codificazione del 1942 ai giorni nostri, passati, per così dire, dal fenomeno del contratto a quello dei contratti49. La letteratura tradizionale in materia di contratto si è trovata per molto tempo di fronte 47 F. BRAUDEL, Civiltà materiale, economia e capitalismo, Torino, 1982, passim, nel ripercorrere i momenti topici della storia dello sviluppo economico europeo dell’età moderna, conia il suddetto concetto. 48 E’ del tutto pacifica l’osservazione di F. GALGANO, La globalizzazione nello specchio del diritto, cit., p. 99, secondo cui “all’autonomia contrattuale sono oggi dischiuse frontiere in passato impensabili. Il contratto era, nella sua concezione classica, lo strumento per comporre interessi particolari; oggi il contratto fra privati prende il posto della legge in molti settori della vita sociale. Si spinge fino a sostituirsi ai pubblici poteri nella protezione di interessi generali, propri dell’intera collettività, qual è stato, dapprima l’interesse dei consumatori, che i meccanismi di autodisciplina hanno difeso contro gli inganni pubblicitari”. Egli prosegue inoltre (p. 100-101) considerando che “il contratto fra privati si sostituisce al regolamento amministrativo nella disciplina della borsa, oggi regolata, come consente il Testo unico dell’intermediazione finanziaria del 1998, da un contratto per adesione, predisposto dalle private società di gestione delle borse ed accettato dagli operatori all’atto del loro accesso alle negoziazioni”; rilevando, ancora, che “la via della riforma per contratto, anziché per legge, è battuta anche dall’iniziativa di organi tecnocratici dello Stato. Per ben due volte la Banca d’Italia ha promosso vaste riforme del sistema bancario non già sollecitando l’intervento legislativo dello Stato, bensì suggerendo alle banche i termini di una autoriforma dei propri statuti”. 49 In tali termini si esprime A. LECCESE, Il contratto e i contratti: alcune riflessioni, in Studi in onore di Cesare Massimo Bianca, III, Milano, 2006, p. 451 19 ad un panorama caratterizzato dalla molteplicità delle figure negoziali, espressamente previste dal legislatore del 1942, da conciliare con la parte generale della normazione in chiave di specialità50. Si è, però, parlato sempre di “contratto” con accezione al singolare, in quanto la pluralità dei contratti tipici si è comportata come una sorta di articolate e variegate ipostasi da ricondurre unitariamente all’istituto del contratto in generale51. Oggi si parla piuttosto di “contratti”, a fronte del processo di frammentazione della categoria, che è in atto, frutto del lavoro ipertrofico dell’autonomia privata, sulla base delle esigenze poste dal mercato 52. Vi sono, infatti, come si è già accennato, vari livelli di contrattazione che affiancano il contratto di diritto comune; in particolare, i contratti del consumatore e quelli che, pur essendo conclusi tra soggetti che appartengono anch’essi alla categoria degli imprenditori, presentano una asimmetria di potere contrattuale53. La complessità delle vicende contrattuali costituisce lo specchio della realtà economica, che il diritto è chiamato a governare, e da ciò traggono origine le cause del passaggio da un ordinamento giuridico di carattere sistematico, fondato sulla linearità e sulla monoliticità54, ad una pluralità di fonti che si trovano a regolare, in concorrenza le une con le altre, la materia dei contratti55. Non si può certo accogliere questo nuovo Sull’argomento dei contratti tipici cfr. in particolare A. BARENGHI, Qualificazione, tipo e classificazione dei contratti, in N. LIPARI – P. RESCIGNO (a cura di), Diritto civile, Obbligazioni, III, Il contratto in generale- II, Milano, 2009, p. 295 ss. 51 S. RODOTA’, Poteri dei privati e disciplina della proprietà, in Diritto privato nella società moderna, Bologna, 1971, p. 379 ss., ripercorre i momenti maggiormente significativi dell’evoluzione del concetto della proprietà, evidenziando come la proprietà stessa, che forma oggetto di contratto, sia incardinata, dalla nostra Costituzione, alla funzione sociale, da intendersi non come mero superamento dell’individualismo, quanto piuttosto come “benessere economico e collettivo” (p. 389). 52 G. GUIZZI, Mercato concorrenziale e tutela del contratto, in Riv. dir. comm., 1999, I, p. 67 ss., si pone il problema dell’odierno ambientarsi dell’autonomia negoziale in un mercato caratterizzato da relazioni economiche (e quindi anche giuridiche) fisiologicamente strutturate intorno alla disparità di potere contrattuale, con la conseguenza per cui è necessario un ripensamento del tradizionale trinomio contratto-libertà contrattuale- libertà di concorrenza. 53 Sulla nozione di asimmetria di potere contrattuale cfr. specificamente G. D’AMICO, Il c.d. “terzo contratto”: la formazione, in Studi in onore di Nicolò Lipari, cit., I, p. 713 ss.; nonché G. VETTORI, Libertà di contratto e disparità di potere, in Riv. Dir. priv., 2006, p. 3 54 Sull’indagine in merito alla validità, nel contesto contemporaneo, della concezione tradizionale del contratto, quale categoria unitaria e monolitica, in particolare cfr. R. PARDOLESI, Dalla Pangea al terzo contratto?, in Studi in onore di Nicolò Lipari, cit., II, p. 2143 ss., il quale, nel riassumere la problematica nella domanda “esiste una Pangea del contratto?”, ne rintraccia una risposta positiva, in termini generalissimi, sulla base della attuale operatività di “un pugno di principi fondanti, chiamati a fornire le coordinate di massima del progetto di autonomia privata per eccellenza”. 55 U. BRECCIA, Contratto e comune quadro europeo. Note introduttive, in A. D’ANGELO- V. ROPPO (diretto da), Annuario del Contratto 2009, Torino, 2010, p. 6, osserva come, nel congestionato panorama che coinvolge il diritto dei contratti oggi, le ragioni di tale disordine siano da ravvisare nell’ “eccessiva indulgenza verso il vuoto di memoria, ossia la mancanza di un serio confronto tra la forza reale delle suggestioni presenti e la misura effettiva di una perpetuazione del pensiero giuridico tradizionale”. 50 20 assetto con l’animo positivo e fiducioso con il quale si suole dare il benvenuto ad una novità, dal momento che tale processo (se si vuole, con coraggio!) evolutivo del sistema economico-sociale, e quindi anche giuridico, appare concretizzarsi, sotto molti profili, nelle forme di un brusco allontanamento, per il diritto, dalle specificità che lo connotano, se si pensa che le regole oggi costituiscono la mera risposta all’esigenza di soddisfare i nuovi interessi, di segno prettamente mercantile, di cui sono portatori gruppi dominanti sulla scena politica ed economica, limitandosi a fornire al giudice gli “utensili” più idonei a risolvere le fattispecie che in concreto sono sottoposte al vaglio di questo stesso. Il diritto, che trova la sua identità e ratio in quella “saldatura tra le regole poste e i comportamenti attuati all’interno della collettività”56, non può, per sua stessa natura, essere ridotto a mero strumento di regolamentazione degli interessi di una categoria di soggetti maggiormente influente sulla scena politico-economica57. Questo è tuttavia il quadro con il quale il giurista contemporaneo è chiamato a misurarsi. Definire la situazione dell’odierno panorama delle fonti del diritto dei contratti in termini di “crisi” non può pertanto essere considerato sintomo di refrattarietà a quella naturale tendenza all’evoluzione che è propria di tutte le società civili58. N. LIPARI, Le fonti del diritto, Milano, 2008, p. 7-8, afferma che “nella realtà dell’esperienza la qualificazione del diritto in funzione di atti formali di posizione si salda con una prospettiva fondata su atti soggettivi di riconoscimento, concretamente acquisibili, in un dato momento storico, nella concretezza delle scelte politiche, delle opzioni interpretative, delle iniziative giurisprudenziali, in una parola nella effettività dei comportamenti individuali e collettivi”. 57 Alla fine degli anni Novanta, N. IRTI, L’età della decodificazione, cit., p. 41 - 42, osserva che “la crisi del codice civile”, i cui albori si colgono a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, con l’avvio della consuetudine nella produzione delle leggi speciali, e che egli chiama appunto “età della decodificazione”, “come disciplina generale dei rapporti privati, fa tutt’uno con il tramonto del citoyen e con l’affermarsi di gruppi sociali, capaci di determinare o indirizzare le scelte dei poteri pubblici e così di raggiungere, nella forma della legge negoziata, gli scopi prima perseguiti mediante lo strumento del contratto”, chiarendo, a p. 41, come per legge negoziata si debba intendere “la legge che nasce dall’accordo tra i singoli gruppi ed i poteri pubblici”, essendo pertanto le leggi speciali “statuti di gruppi, cioè delle classi, socialmente definite e individuate, che utilizzano, o aspirano ad utilizzare, dati beni”. Il destinatario delle leggi speciali non è più quindi il cittadino, ma l’individuo, il quale, “rifugiatosi all’interno del gruppo, chiede soltanto a questo, alla sua capacità di pressione e di minaccia, alla sua forza di negoziato, la tutela di interessi e di prerogative”. Sull’argomento N. LIPARI, La formazione negoziale del diritto, in Riv. Dir. civ., 1987, I, p. 312, in cui si coglie autorevolmente l’origine del fenomeno della formazione negoziale del diritto nel momento in cui lo Stato sociale, “superando l’originaria tendenza compensativa verso le categorie più emarginate e sfruttate”, ha iniziato a farsi carico di “garanzie economiche e di sicurezze esistenziali”, si è avviata l’epoca della produzione delle regole a vantaggio degli interessi delle lobbies, con la conseguenza per cui alle ordinarie forme delle fonti del diritto vengono affidate norme, nascenti dalla contrattazione fra i gruppi di potere maggiormente influenti, volte a garantire i vantaggi delle oligarchie economicamente egemoni. Si assiste, pertanto, alla “intrinseca tensione di un diritto che è negoziale nei contenuti ma continua a coltivare la pretesa di voler essere legale nelle forme”. 58 P. RESCIGNO, La “forma” codice: storia e geografia di una idea, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 29 ss., nel ripercorrere le “vicende biografiche” salienti del Codice civile, fino all’odierno assetto delle codificazioni al plurale, critica l’attitudine a reputare il Codice civile la “fonte delle fonti” (p. 30), di 56 21 Anticipando un argomento che tratteremo diffusamente infra, il carattere patologico, piuttosto che fisiologico, che è proprio delle innovazioni che stravolgono oggi la realtà del diritto, non è tanto da ravvisarsi nella frantumazione delle categorie giuridiche monolitiche e dogmatiche tradizionali, quali quella del contratto, una volta che si accetta che le categorie non sono, contrariamente ai principi, un prius per il giurista, ma un posterius, quanto piuttosto nella perdita dell’essenza della “cifra giuridica” che si sostanzia nel “valere del diritto come valore”59, lasciando, per contro, il posto al prevalere del segno meramente “normocratico” che, in quanto tale, contraddice la specificità stessa del diritto60. La molteplicità di fonti, contenute in regole codicistiche, in norme speciali e in discipline di settore, nel domandare un ripensamento del panorama in termini di combinazione piuttosto che di prevalenza dell’una fonte sull’altra, rende prima facie maggiormente difficoltoso all’interprete individuare le linee che marcano i rapporti tra queste, se si considera che con le norme di settore è stata operata una vera e propria ricodificazione61. Mentre il Codice tradizionale ha incarnato la garanzia della certezza del diritto, nonché lo strumento attraverso cui risolvere nell’unità e nella sistematicità della regolamentazione il carattere molteplice dell’esperienza concreta, le ricodificazioni di settore si prefiggono di superare la frammentarietà di questi nuovi interventi normativi in una determinata materia, ponendosi esse stesse a presidio della semplificazione della disciplina62. Al centro della materia dei contratti vi è oggi più che mai il concetto di “operazione economica”63, la cui portata semantica va chiarita. Se, per un verso, infatti, il guisa che, ridimensionando il ruolo da attribuirsi al Codice, possa emergere il nucleo della questione che non ruota attorno alla decodificazione bensì alla delegificazione, che si traduce nella sostanziale diminuzione dei poteri legislativi in mano all’organo che ne è fisiologicamente titolare, a favore del crescente potere normativo nelle mani di organi ed autorità diversi dal legislatore ordinario. 59 N. LIPARI, Diritto e valori sociali, cit., p. 201. 60 R. NICOLO’, v. Codice civile, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, p. 240 ss., nel fornire un’autorevole ricostruzione della storia della codificazione, in particolare ripercorrendo l’ideologia sottesa al Codice civile del 1942, non trascura di metterne in evidenza i segni dell’esigenza di un rinnovamento economico e sociale, e quindi anche giuridico, di cui la stessa codificazione non si fa carico, pur manifestandone la consapevolezza. A ben considerare, il Codice vigente ha aperto la strada ai successivi progressi che si sono poi effettivamente svolti nella realtà concreta in materie quali quella del diritto di proprietà, dell’affermazione della ricchezza mobiliare su quella immobiliare nonché della nascita e diffusione di nuovi beni immateriali. 61 P. CAPPELLINI, Il codice eterno. La forma-codice e i suoi destinatari. Morfologie e metamorfosi di un paradigma della modernità, in P. CAPPELLINI – B. SORDI (a cura di), Codici una riflessione di fine millennio, Milano, 2002, passim. 62 U. PETRONIO, La nozione di Code Civil fra tradizione e innovazione (con un cenno alla sua pretesa “completezza”), in Quad. fior., 1998, p. 83 63 A. D’ANGELO, Contratto e operazione economica, Torino, 1992, p. 44 ss., in cui l’Autore, nel rintracciare il significato profondo dell’accezione del termine contratto nei vari luoghi codicistici in cui essa compare, rileva che ai Compilatori del 1942 non è sfuggito quel nesso tra contratto ed 22 contratto non può essere ridotto a mera operazione economica a tal punto da farlo coincidere con essa, non essendo il rapporto contrattuale una mera risultante di leggi economiche, quanto piuttosto il titolo giuridico sul quale l’operazione si fonda, per altro verso vi è che gli interessi che costituiscono il fondamento e la forza propellente di ogni contratto si possono riassumere nell’operazione economica stessa, così che il contratto si mostra come una sorta di formalizzazione giuridica delle varie operazioni economiche64. Contratto ed operazione economica, a ben considerare, trovano però una fonte comune nel carattere unitario dell’atto di autonomia privata, mediante il quale l’ordinamento giuridico “valuta come operazione l’assetto dei privati interessi”65. L’operazione economica assurge a categoria concettuale ed acquista il crisma della giuridicità nel momento in cui eccede, per un verso, il mero carattere descrittivo delle modalità funzionali di un determinato assetto di interessi e, per altro verso, le forme attraverso cui si operazione economica che è dato riscontrare in tutti quei fenomeni negoziali che non siano caratterizzati dal requisito dello spirito di liberalità. Egli infatti rintraccia il riferimento codicistico al concetto di operazione economica proprio nel rilievo secondo cui le norme che disciplinano la conclusione del contratto e che hanno riguardo alla natura dell’affare non sono tutte applicabili al contratto di donazione, in quanto essa non ricade nella nozione di operazione economica. 64 Le novità che riguardano la materia del contratto, implicando un inevitabile ripensamento del concetto di autonomia privata nell’accezione in cui essa è stata tradizionalmente intesa, conducono ad una condivisibile considerazione, secondo cui, con F.M. ANDREANI, “Nullità parziale e sostituzione automatica delle clausole contrattuali, in Contratti, 2003, II, p. 891, si può asserire che “oggi il contratto dovrebbe essere considerato non più come una suprema manifestazione dell’autonomia normativa dei privati, quanto, piuttosto, come il risultato di autonomia ed eteronomia vicendevolmente integrate. Si verrebbe così a realizzare quella che è stata definita come economia mista di un ordinamento, ispirato tanto a libertà di iniziativa, quanto a regolamentazione eteronormativa”. Sui limiti dell’autonomia privata P. SCHLESINGER, L’autonomia dei privati e i suoi limiti, in Giur. It., 1999, p. 230, dopo aver evidenziato come l’autonomia negoziale trovi la sua effettiva natura fenomenica nell’ambito pregiuridico, essendo essa riconosciuta e tutelata successivamente dall’ordinamento, ma non certo concessa da quest’ultimo, dal momento che spesso accade che un accordo valga a conferire il crisma della giuridicità ad una situazione di fatto in concreto preesistente, delinea il terreno su cui si svolge l’autonomia privata in quella “dialettica costante tra il piano della “libertà” –segnata dal potere dei paciscenti di “liberamente determinare il contenuto del contratto”, di autoregolamentare i propri interessi – e quello della “autorità”, continuamente tesa a fissare “i limiti” entro i quali i patti dei privati sono ammessi a generare actiones dinanzi ai tribunali dello Stato”. 65 Così G. PALERMO, Funzione illecita e autonomia privata, p. 2. Sull’argomento dei rapporti tra autonomia contrattuale e libera concorrenza sul mercato, cfr. in particolare A. ZOPPINI, Autonomia contrattuale, regolazione del mercato, diritto della concorrenza, in N. LIPARI – P. RESCIGNO (diretto da), Diritto civile. Vol. III – Obbligazioni, II – Il contratto in generale, Milano, 2009, il quale sottolinea, p. 55 – 56, la necessità che l’autonomia contrattuale conosca dei limiti, “perché non ogni disciplina degli interessi privati è coerente e garantisce una pari libertà agli altri operatori economici. Per questo il diritto della concorrenza riduce il campo delle scelte lecite e in astratto possibili, vieta taluni accordi, impone talora gravosi vincoli economici. Così che la garanzia della libertà e dell’autonomia contrattuale implica e sottende rilevanti limiti che proprio quella libertà e quella scelta finiscono in misura significativa per sacrificare”. 23 manifestano determinati fenomeni del diritto comune dei contratti66. Essa si presenta piuttosto quale unitaria epifania di un assetto globale di interessi, nonché quale strumento d’elezione per condurre un’indagine sulla legittimazione esistenziale di determinate fattispecie dalla struttura molto complessa; e, ancora, prendendo come punto di partenza l’operazione economica si può arrivare a scoprire quale sia la disciplina più idonea per una determinata vicenda negoziale, al di là delle regole previste per il singolo tipo legale67. Accade allora così che l’operazione economica avrà una struttura semplice o complessa, a seconda del numero degli strumenti contrattuali coinvolti: si pensi al fenomeno del collegamento negoziale. Dalla valutazione dell’operazione economica nel suo complesso, più che dalla causa di ciascun singolo contratto facente parte della sequenza negoziale, si riesce così a scorgere l’effettiva ragione per la quale in concreto le parti hanno voluto quella determinata modalità di regolamentazione dei loro interessi. Nel contesto contemporaneo, dai numerosi interventi legislativi in materia di contratti emerge come la stessa nozione di operazione economica costituisca oggetto diretto di regolazione, a tal punto che si è autorevolmente parlato di “tipizzazione dell’operazione economica”68. Si pensi al disposto di cui all’art. 34 primo comma Cod. cons. in cui il legislatore evidenzia la rilevanza unitaria dell’operazione economica laddove afferma a chiare lettere che “la vessatorietà di una clausola è valutata tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione ed alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o La netta preminenza dell’operazione economica sullo schema negoziale mediante il quale essa viene realizzata è segnalata da G. RACUGNO, Lo swap, in Banca borsa tit. cred., 2010, 1, p. 39 ss., in cui l’Autore si occupa della nuova figura contrattuale dello swap. 67 G. PALERMO, in A. LUMINOSO – G. PALERMO, La trascrizione del contratto preliminare, Padova, 1998, p. 123 osserva che i nomina iuris svolgono un ruolo di carattere marginale dal momento che gli schemi che il Codice civile ha approntato costituiscono oggi dei semplici “modelli di riferimento”, al fine di individuare la disciplina da attribuire al negozio “nella misura in cui lo specifico atteggiarsi degli interessi che concorrono a formarne il contenuto, ovvero la loro particolare combinazione, apprestino la stessa identità di materia che il legislatore ha inteso regolamentare”. 68 F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2003, X ed., p. 802. Una efficace ricostruzione di come attualmente si faccia ricorso all’operazione economica, con preferenza sul tipo contrattuale, quale categoria ordinante degli atti di autonomia privata, è fornita da E. GABRIELLI, Accordi di ristrutturazione del debito e tipicità dell’operazione economica, in Riv. dir. comm., 2009, p. 1071 ss., in cui l’Autore, nel trattare di questa nuova figura negoziale prevista all’art. 182-bis legge fall. (R.d. 16 marzo 1942, n. 267), illustra come la tipizzazione delle varie fasi negoziali di una complessa operazione economica comporti l’oggettivazione nella norma degli elementi della stessa, così che ne consegue una disciplina che altro non è se non la regolamentazione dell’operazione medesima, indipendentemente dal tipo legale al quale eventualmente l’operazione possa di volta in volta essere ascritta. 66 24 da cui dipende”69. In ogni caso, l’operazione economica si caratterizza quale categoria ordinante dell’unitarietà dell’affare nell’ambito dell’autonomia privata, nonché quale mezzo attraverso cui tutelare il contraente debole, assicurando così il corretto funzionamento dell’assetto concorrenziale del mercato, come risulta pacificamente se si considera che attualmente la tutela della parte debole si realizza anche attraverso il meccanismo di tipizzazione di tutta una serie di atti e fasi dell’operazione economica che precedono, che sono concomitanti o che seguono il momento in cui il contratto viene concluso70. Dall’analisi della normativa di settore emerge quindi come attualmente non si ragioni più in base ai vari tipi contrattuali, ma secondo le operazioni economiche che possono essere effettuate tramite gli strumenti contrattuali71. Questa prospettiva permette di realizzare meglio il processo di armonizzazione europea del diritto dei contratti, dal momento che l’approccio funzionale che la contraddistingue comporta il superamento di apparenti diversità tra fenomeni giuridici, appartenenti ai vari ordinamenti nazionali, che in realtà condividono la medesima identità sostanziale72. 69 In altri luoghi normativi, il legislatore, invece di esprimere chiaramente tale rilevanza unitaria, ne indica il rilievo prescrivendo piuttosto il divieto del “frazionamento” della stessa. Sul punto A.M. AZZARO, Frazionamento contrattuale e autonomia privata, Torino, 2004, p. 149 70 Si pensi, in modo esemplificativo, a quanto avviene nella normativa sulla multiproprietà: nello schema di questa operazione economica confluisce una serie di fattispecie che, se si ragionasse in termini di tipo legale, sarebbero ricondotte a figure distinte, seppur simili (la multiproprietà alberghiera sarebbe ascritta al contratto d’albergo; quella azionaria, al contratto di società; quella immobiliare verrebbe ricondotta alla vendita o alla locazione). La sussunzione della fattispecie concreta nel “tipo di operazione economica” comporta invece che essa acquisisca una propria autonomia formale, senza che essa debba essere ricondotta ad uno o all’altro dei tipi legali preesistenti, con i quali condivide alcuni caratteri. Sul fenomeno del “raggruppamento dei contratti sulla base dell’unitarietà dell’operazione economica”, G. DE NOVA, Contratto: per una voce, in Riv. dir. priv., 2000, 4, p. 655 ss., collega il fenomeno dei gruppi di contratti e della tipicità e atipicità contrattuale alle esigenze economiche sottese alla negoziazione. 71 E. GLIOZZI, Dalla proprietà all’impresa, Milano, 1985, p. 103 ss., nello scorgere nuovi volti del diritto di proprietà attraverso una disamina delle teorie tradizionali alla luce dei requisiti della proprietà capitalistica, rileva l’inidoneità delle concezioni formalistiche tradizionali della proprietà a rispecchiare il concreto assetto proprietario capitalistico, dal momento che quest’ultima si fonda sulla relazione imprescindibile tra proprietario e produttore immediato, mostrando, per tale via, i limiti della concezione della proprietà quale signoria della persona sulla cosa, descrivendo piuttosto come il rapporto di esclusione nella proprietà capitalistica si atteggi nella estraneità dei produttori immediati ad ogni controllo sugli obiettivi della loro attività e sul prodotto, in quanto entrambe le attività rientrano nelle facoltà del proprietario. 72 U. MATTEI, Il nuovo diritto europeo dei contratti, tra efficienza ed eguaglianza. Regole dispositive, inderogabili e coercitive, in Riv. crit. dir. priv., 1999, p. 611 ss., nel ricordare la nota distinzione tra diritto civile e diritto commerciale, rintraccia le patologie della elaborazione di un diritto contrattuale europeo, osserva che tra il nuovo diritto dei commercianti, consegnato ai Principi Unidroit ed ai Principi Lando, ed il diritto dei consumatori manca ogni somiglianza strutturale (p. 624), con la conseguenza per cui ci si avvia verso una frattura in due branche: diritto dei contratti orientato verso l’offerta e diritto dei contratti orientato verso la domanda (p. 629), rilevando che, “come conseguenza di quest’atteggiamento schizofrenico, si manifesta oggi in Europa una commedia di errori che fa in modo che l’unico significativo diritto dei contratti a carattere imperativo rimanga quello prodotto a Bruxelles in tema di protezione del consumatore”, ed i 25 Alla luce di queste considerazioni, si può pertanto osservare come si stia assistendo ad una progressiva frammentazione della categoria del contratto, in quell’accezione unitaria di cui la disciplina del Codice civile del 1942 costituisce altissima espressione73. Pur non essendo tuttavia mancati in dottrina autorevoli interventi volti a tentare di elaborare nuovamente uno “statuto generale” del contratto, sulla base di “soluzioni comuni” che si è preteso intravedere all’interno della disciplina di settore, tanto in quella dei contratti del consumatore quanto in quella dei contratti tra imprese, non si ritiene condivisibile tale impostazione, dal momento che, dall’analisi del contingente panorama, emerge la necessità che il giurista, il quale è chiamato egli stesso a “creare la categoria” nel corso della sua attività poieticoapplicativa del diritto74, operi secondo un criterio di differenziazione dei fenomeni sulla base del settore di appartenenza, in quanto ciò è maggiormente confacente alle esigenze di normazione postulate sulla scena economica e commerciale, piuttosto che esperire l’anacronistico tentativo della reductio ad unum, perno della sistematica tradizionale75. 3. L’affannoso tentativo di trovare una sicura e convincente via attraverso cui conciliare la disciplina del contratto, contenuta nella parte generale del Codice civile, con il lievitante novero della produzione normativa di settore costituisce oggi l’approccio alla materia più largamente condiviso negli ambienti scientifici76. Si rapporti economici che non sono ascrivibili al campo della legislazione certa vengono regolati attraverso l’attività delle Corti nazionali, massimamente mediante il ricorso ai principi generali, o tramite il nuovo diritto dei mercanti nato in via di prassi. 73 C.M. BIANCA, Diritto civile. Il contratto, Milano, 2000, p. 7-14, nell’inquadrare il contratto nella sfera dell’autonomia privata, osserva che l’opzione adottata dai Compilatori del Codice civile del 1942 di non elaborare alcuna nozione di negozio giuridico, preferendo piuttosto fornire una disciplina generale del contratto, si giustifica a fronte della “ampiezza della categoria dell’atto negoziale” (p. 11). Il leitmotiv della codificazione si rintraccia in quella tendenza a trovare criteri di unificazione e di riconduzione del molteplice all’unità, in un’ottica di sistemazione e di ordinamento della materia. 74 Nell’epoca del proliferare delle leggi di settore, le quali sembrano prendere il sopravvento sulla codificazione, muta l’approccio specifico del giurista all’attività che egli è chiamato a compiere, in quanto, come osserva R. FERRANTE, Codificazione e cultura giuridica, Torino, 2008, p. 274, “il giurista non si muove più in un sistema complessivo, affina competenze di tipo specialistico e diventa bensì il tecnico dei microsistemi”. 75 E’ condivisibile l’impostazione di G. D’AMICO, Il c.d. “terzo contratto”: la formazione, in Studi in onore di Nicolò Lipari, Milano, 2008, I, p. 723, il quale afferma in proposito che proprio la recente raccolta ed elaborazione normativa del Codice del Consumo, collocata fuori dal Codice civile, la quale va a disciplinare la materia del “contratto con i consumatori”, sembra “avallare la prospettiva della differenziazione anziché quella di una artificiale unità del diritto contrattuale”. 76 S. GRUNDMAN, La struttura del diritto europeo dei contratti, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 365 ss., nel fornire una accurata visione analitico-prospettica dell’odierno diritto europeo dei contratti, fornisce una concisa ma suggestiva immagine dell’armonizzazione che si opera attraverso le disposizioni della Convenzione di Roma del 1980 sulle obbligazioni contrattuali nonché per il 26 può ben comprendere che si tratta di un problema avente una portata notevole, se lo si legge alla luce del significato che la codificazione e, più specificamente, la presenza di una “parte generale sul contratto”, ha per molto tempo assunto nel nostro ordinamento, come in tutti i Paesi di civil law. La parte generale contiene i precetti fondamentali di tutti i contratti, dal momento che essa fornisce, per così dire, lo scheletro dell’impianto normativo contrattuale, prevedendo altresì in modo espresso alcune figure negoziali tipiche, ciò nondimeno operando la riconduzione dei contratti atipici alla normativa codicistica come emerge dal tenore del disposto di cui all’art. 1323 c.c.77 Tralasciando per un momento di guardare alla parte generale esclusivamente in termini funzionali, come abbiamo appena fatto, per cercare piuttosto di rintracciare i valori ideologici di cui essa costituisce espressione, si rammenterà allora che essa ha, per molto tempo, simboleggiato lo strumento attraverso cui l’autonomia privata ha avuto vita, dal momento che proprio mediante la formulazione delle disposizioni astratte, di cui essa si compone, può concretizzarsi la massima esplicazione della libertà contrattuale78. Le novità o, per meglio dire, gli stravolgimenti, che la normativa in materia di contratti ha conosciuto nei tempi recenti, implicano una ridefinizione del rapporto tra parte generale e norme di settore, intendendo con queste ultime il generoso novero di disposizioni di legge volte a disciplinare specifiche problematiche riguardanti i contratti, e che, nel loro contenuto sostanziale, sono di derivazione comunitaria, mutuando dal nostro ordinamento soltanto quella veste formale senza la quale non sarebbero ammesse ad avere efficacia all’interno del medesimo, argomento sul quale ci soffermeremo diffusamente infra. La enorme rilevanza che la parte generale assume nel panorama della regolamentazione dei contratti appare cosa evidente e nota anche agli altri ordinamenti di matrice codicistica, se si considera che la stessa Convenzione di Vienna fa riferimento alla parte generale contenuta all’interno dei Codici dei vari tramite dell’attività della Corte europea di Giustizia, la quale provvede ad applicare il principio dell’interpretazione conforme alle direttive comunitarie. 77 Così recita l’art. 1323 c.c.: “Tutti i contratti, ancorché non appartengano ai tipi che hanno una disciplina particolare, sono sottoposti alle norme generali contenute in questo titolo”. 78 La libertà contrattuale assume, oggi, connotati nuovi, da guardare con la coscienza del tempo e della storicità del diritto. E’ suggestiva la ricostruzione del rapporto tra il giurista (e quindi anche tra il diritto) e la storia che ci è fornita da S. RODOTA’, Ideologie e tecniche della riforma del diritto civile, in Riv. dir. comm., 1967, I, p. 89 ss., in cui l’Autore pone in risalto il legame imprescindibile tra la regola giuridica ed il momento cronologico in cui essa è volta ad operare. 27 Paesi europei al fine di completare la disciplina specificamente approntata per i singoli contratti79. Il vorticoso moto della globalizzazione80, responsabile della necessaria moltiplicazione delle fattispecie contrattuali, con il conseguente prevalere del ricorso alla prassi delle condizioni generali di contratto, ha tuttavia determinato un affievolimento dell’importanza della parte generale, ciò in quanto un contratto elaborato secondo le condizioni generali lascia uno spazio di operatività del tutto minimo ai precetti codicistici81. Sarebbe, quindi, opportuno effettuare uno spostamento del punto focale dal problema del ruolo da attribuire alla parte generale a quello del controllo delle condizioni generali, al fine di impedire che si verifichi una elusione delle “norme di cornice” in seguito alla prevalenza delle regole che provengono dall’impresa attraverso le proprie condizioni generali82. Tali testi 79 F. RAGNO, Convenzione di Vienna e Diritto europeo, Padova, 2008, p. 3 ss., osserva come, se lo scopo della Convenzione di Vienna, contenente una disciplina di diritto sostanziale e di carattere universale, consiste nel fornire una unificazione su scala mondiale delle modalità di disciplina dei contratti di vendita internazionale di beni mobili, in ogni caso viene lasciato spazio all’operare delle legislazioni nazionali. 80 D. ZOLO, v. Globalizzazione, in Digesto. Discipline Pubblicistiche, Aggiornamento, Torino, 2005, p. 378 ss., nel ripercorrere le varie autorevoli definizioni economico-sociologiche del fenomeno, ricorda che questo termine, affermatosi nell’ultimo ventennio del Novecento, alludendo a un “processo di estensione globale delle relazioni fra gli esseri umani, tale da raggiungere i confini territoriali e demografici dell’intero pianeta”, comportando così “la fine del sistema vestfaliano degli Stati sovrani”, p. 391, conduce alla necessaria realizzazione di uno “spazio giuridico globale” (p. 394 – 396), notando, a p. 397, come anche la guerra abbia perso i connotati tradizionali, a tal punto da far parlare di “processo di transizione dalla guerra moderna alla guerra globale”. E’ possibile rilevare che il termine “globalizzazione” viene oggi sovente utilizzato in modo non appropriato, dal momento che se ne parla tanto con riguardo ai traffici internazionali, ed alla conseguente produzione normativa che si sostanzia in accordi e convenzioni di diritto internazionale pubblico e privato, quanto al tentativo di dare vita ad una societas universalis. La letteratura sull’impatto che l’esplosione del fenomeno della globalizzazione ha avuto sul diritto è assai ricca; come è noto, sono infatti moltissimi i contributi, in gran parte anche molto autorevoli, sulle varie problematiche che connotano la materia, facendo emergere la stretta ed inevitabile inter-relazione tra i due termini qui in argomento, come emerge emblematicamente anche dallo stesso titolo dell’intervento di M.J. BONELL – F. MARRELLA– M.R. FERRARESE – A. ZOPPINI, Un dialogo su globalizzazione e diritto, in Contr. Impr., 2007, 4-5, p. 1345 ss. 81 M. FRIGO, L’efficacia delle condizioni generali di contratto alla luce delle convenzioni di Roma e di Vienna, in Condizioni generali di contratto a confronto con le norme comunitarie. Quarta giornata di studio sul diritto comunitario e comparato, 14 maggio 1993, Verona, 1993, p. 7 ss., nel ricordare che gli artt. 1341-1342 c.c. rappresentano un tentativo in nuce di accordare maggiore tutela alla posizione del contraente debole, ne compie un ripensamento nella cornice delle norme di matrice internazionale (quale la Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, nonché la Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale dei beni mobili). Nella Convenzione di Vienna non sono regolate le condizioni generali di contratto, pertanto le parti possono (ma non sono tenute a) rispettare la norma di cui all’art. 1341 secondo comma c.c. 82 R. CALVO, Precedente extrastatuale e interpretazione del diritto interno, in Contr. e impr. Eur., 2009, p. 1 ss., nella consapevolezza di una auspicata riforma, di segno ordinante, della materia dei contratti, di cui già i Principi Unidroit e i Principi di diritto europeo dei contratti costituiscono un avvio, mette in risalto l’importanza del lavoro svolto dalla giurisprudenza, in particolare quella extrastatuale, nella direzione dell’armonizzazione. L’argomento coinvolge la contrattazione asimmetrica se si considera che la normativa codicistica è assai esigua in merito, e il proliferare delle vicende dei contratti con disparità di potere negoziale, conclusi abitualmente secondo il 28 negoziali si presentano, infatti, estremamente dettagliati ed elaborati, andando normalmente a disciplinare anche tutto quel novero di vicende e fattispecie che abitualmente, se si guarda all’esperienza negoziale continentale, sono tradizionalmente affidate sempre alle norme contenute nella parte generale83. Il problema è che attualmente rientra nella parola contratto una serie assai eterogenea di figure negoziali, a tal punto da non potersi parlare più di contratto al singolare quanto piuttosto di contratti al plurale. E certamente l’ingerenza del diritto comunitario non è un fatto trascurabile, dal momento che esso si va ad inserire negli ordinamenti nazionali proprio mediante la sua presenza tra le fonti del diritto dei contratti, determinando pesanti modifiche e punti di rottura con il tradizionale pensiero che si basava sulla non necessità di distinguere tra contratti in base alla identità economica dei soggetti contraenti nonché sul principio di uguaglianza delle parti, elementi che costituiscono oggi un’eccezione, nel consueto panorama dei contratti, dominato essenzialmente da negozi stipulati tra operatori economici fisiologicamente dotati di un diverso potere negoziale, in virtù della loro differente incidenza sul mercato (consumatori, imprese/produttori), i quali pertanto si trovano fin dall’origine in posizione di disparità84. Questi sono i tratti salienti, in particolare, dei cosiddetti contratti dei consumatori, materia che trova oggi una ricca disciplina nel testo contenuto nel d. lgs. 6 settembre 2005 n. 206, chiamato, con espressione discutibile, “Codice del consumo”85. Quanto confluito in tale complesso normativo è il prodotto di una serie sistema delle condizioni generali di contratto, si accompagna, da un lato, ad una generosa legislazione di settore, e, dall’altro, alla crescente attività di creazione del diritto, da parte dei giudici. 83 A. LUMINOSO, Fonti comunitarie, fonti internazionali, fonti nazionali e regole di interpretazione, in Contr. e impr. Eur., 2009, p. 659 ss., inquadra la problematica della contrattazione di impresa, alla quale è essenzialmente dovuta la congerie delle nuove fonti del diritto in materia di contratti, nel più ampio argomento dell’attuale “ordine giuridico interno di segno comunitario”. 84 In merito alla recente scissione tra contratti civili e contratti d’impresa, in G. GALLI – M. ERMINI, Appartenenza e utilizzazione. Interessi in conflitto e criteri valutativi, in P. PERLINGIERI – S. POLIDORI (a cura di), Domenico Rubino. Interesse e rapporti giuridici, Napoli, 2009, p. 145, nt. 12, ci si chiede retoricamente: “E la scomposizione tra atti civili e contratti d’impresa, in questi anni più o meno esplicitamente teorizzata, e parzialmente praticata col codice del consumo, non finisce per cautamente ricondurre all’esperienza della doppia codificazione antecedente il 1942, per in qualche modo interrompere – piuttosto che sviluppare – il processo di commercializzazione del diritto privato, con tenacia perseguito da Filippo Vassalli e tuttora (…) considerato il connotato o il pregio del codice vigente?”. 85 Osserva a tale proposito V. ROPPO, Parte generale del contratto, contratti del consumatore e contratti asimmetrici, in E. NAVARRETTA (a cura di), Il diritto europeo dei contratti fra parte generale e norme di settore, Milano, 2007, p. 296, che “non c’è dubbio che per un verso questi codici (e fra essi il codice del consumo), nel momento in cui raccolgono e organizzano entro una cornice unitaria norme prima disperse in tanti diversi luoghi della legislazione, esprimono in generale un certo recupero di “pensiero sistematico”, introducendo elementi di ordine e di unità in 29 di interventi compiuti in sede comunitaria al fine di dare una disciplina uniforme alla materia, al fine di attuare quella libertà di circolazione di merci che costituisce uno degli scopi della stessa Unione europea, e ciò mediante una serie di direttive che sono state recepite dai vari Paesi membri ed il cui contenuto si è, quindi, inserito nel panorama delle fonti del diritto interno. La trasposizione di questi interventi normativi comunitari ha comportato, in prima battuta, l’inserimento all’interno del Libro IV Titolo II del nostro Codice civile del Capo XIV-bis intitolato “Dei contratti del consumatore”86, materia successivamente uscita dal luogo del Codice del 1942 e confluita in una sede dedicata esclusivamente ad essa, il Codice del Consumo. Riservandoci di trattare tra breve la diversa accezione in cui la parola “codice” viene impiegata nei due suddescritti contesti, intanto osserviamo come i contratti del consumatore costituiscano il luogo d’elezione per l’esame della posizione del contraente debole nonché della tutela ad esso accordata dall’ordinamento. Nell’impianto codicistico tradizionale, per la verità, la tutela del contraente debole è prevista in sede di predisposizione unilaterale del contenuto del contratto ad opera di una delle parti, mediante le disposizioni di cui agli artt. 13411342 c.c87. Lo strumento si è rivelato tuttavia avere scarsa efficacia, dal momento un panorama normativo prima contrassegnato da frammentazione e disordine: fanno insomma qualcosa che appartiene al proprium delle codificazioni”. Questa impostazione non ci pare condivisibile in quanto riteniamo che la Codificazione del 1942 sia contraddistinta dal requisito della sistematicità, con il quale non è da confondere il tratto dell’organicità che invece è proprio del Codice del Consumo. Peraltro, contra la possibilità di attribuire il significato tecnico della parola “codice” all’interno dell’espressione “codice del consumo” cfr. R. CLARIZIA, Codice del Consumo e contratti di finanziamento, in Scritti in onore di Nicolò Lipari, Milano, 2008, I, p. 430, il quale afferma che il Codice del Consumo è in realtà un “non Codice del consumo”, dal momento che “non è innovativo, non è completo, non è sistematico”. Non innovativo, “perché non fa altro che raccogliere in un unico corpo normativo le varie disposizioni legislative presenti nell’ordinamento, senza aggiungere o creare nuovi principi”. Non completo, poiché “talune situazioni sono ancora (o anche) disciplinate fuori dal Codice”, quale “la responsabilità del produttore per il danno cagionato da difetti del suo prodotto, a prescindere dalla natura di consumatore di chi lo usa”, per cui il soggetto non consumatore dovrà invocare l’applicazione dell’art. 2043 cod. civ.; non sistematico perché “la stessa nozione di consumatore si presenta diversamente definita nell’art. 3, nell’art. 5 e nell’art. 18 Cod. cons.”. 86 Fenomeno, questo, che è stato autorevolmente letto quale gesto attraverso cui la tutela del consumatore è assurta a principio generale del contratto, come osserva C.M. BIANCA, Diritto civile. Il contratto, cit., p. 394. 87 Nel contesto contemporaneo, la contrattazione di carattere commerciale si svolge invece quasi esclusivamente mediante il ricorso a moduli e formulari, dando luogo perciò ad una sostanziale diversità della posizione e dell’ingerenza dei soggetti contraenti in sede di formazione dell’accordo, cosa che viene autorevolmente considerata responsabile del venir meno di quella vocazione comunicativa e dialogica che è propria del contratto, inteso secondo la tradizionale dinamica della contrattazione stessa che trova il suo fulcro nella Codificazione del 1942. Sul punto N. IRTI, Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto, cit., nel trattare l’argomento degli “scambi senza accordo”, p. 109: “La parte, che adotta moduli e formulari, rifiuta e nega il dialogo. (…) L’aderire non è un risultato dialogico”. Ciò determina uno spostamento del piano sul quale opera la garanzia approntata dall’ordinamento per i soggetti contraenti: le norme di protezione non sono più incardinate sui requisiti dell’accordo, quanto piuttosto, p. 126, sulla “qualità della cosa” e sulla “consapevolezza 30 che si fonda esclusivamente sulla prescrizione di un requisito formale, quale la necessaria approvazione per iscritto delle clausole “pregiudizievoli”, cosa che molto agevolmente il contraente forte è sempre riuscito ad ottenere dalla parte debole, essendo sufficiente da parte di quest’ultimo l’apposizione di un paio di firme sul modulo prestampato. Contestualmente al moltiplicarsi dei rapporti economici e negoziali fondati sulla disparità di posizione tra le parti contraenti, ora aventi peraltro dimensione transnazionale, si è reso indispensabile approntare una tutela sicura del contraente debole sia nell’iter che culmina con la conclusione del contratto, sia in sede di esecuzione del rapporto. Il Codice del consumo, nel costituire una concreta risposta a questa esigenza, si presenta come un impianto normativo destinato ad essere sostanzialmente autonomo dalle disposizioni del Codice civile, le quali sembrano sopravvivere in posizione secondaria88. In materia contrattuale, per la prima volta, si può dire, si assiste alla delimitazione dell’ambito di applicazione di una legge sulla base di presupposti di carattere soggettivo che, come abbiamo già anticipato, vengono fatti derivare dalla qualità delle parti. Lo stesso art. 3 Cod. cons., ispirandosi chiaramente alla prassi negoziale anglo-sassone, definisce subito il significato che il termine “consumatore” assume agli effetti e per l’applicabilità di questo testo legislativo89. informativa della scelta”. La categoria della spazialità del diritto conosce, nel tempo attuale, una profonda crisi, dal momento che, come osserva N. IRTI, Le categorie giuridiche della globalizzazione, in Riv. Dir. civ., 2002, I, p. 626, per un verso, “il diritto ha, e non può non avere, una forma spaziale” e, per altro verso, p. 627, la sovranità e la proprietà sono due dei concetti fondamentali costruiti attorno alla esclusività che si risolve “in un perentorio e ineludibile aut-aut. O la sovranità di uno Stato o la sovranità di un altro. Sulla stessa terra non possono esistere, nel medesimo tempo, né due sovranità né due proprietà”, tuttavia gli affari dell’economia globale si svolgono in “un non-luogo astratto ed artificiale” (p. 629), con la conseguenza per cui, nella presente stagione, le stesse categorie di spazio e di tempo subiscono una alterazione dei loro connotati tipici e tradizionali, o, per dirla in modo non ostile, conoscono una metamorfosi. Sul punto cfr. anche A. BALDASSARRE, Globalizzazione contro democrazia, Roma-Bari, 2002, il quale, a p. 12, osserva che “lo spazio cibernetico viene comunemente definito come uno spazio artificiale nel quale si produce l’azzeramento della distanza e l’annullamento della durata”. 88 Sembra essere una prassi invalsa in tempi assai recenti quella di elaborare testi normativi di settore attribuendo ad essi la denominazione di “codice”. Il “Codice del Consumo” si inserisce pertanto all’interno di un giovane ma florido filone al quale appartengono: il Codice di protezione dei dati personali (d. lgs. 30 giugno 2003 n. 196); il Codice dei beni culturali (d. lgs. 22 gennaio 2004 n. 42); il Codice della proprietà industriale (d. lgs. 10 febbraio 2005 n. 30); il Codice delle assicurazioni private (d. lgs. 7 settembre 2005 n. 209); il Codice dell’amministrazione digitale (d. lgs. 7 marzo 2005 n. 82); il Codice dell’ambiente (d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152); il Codice dei contratti pubblici (d. lgs. 12 aprile 2006 n. 163). 89 C. DALIA, Le nozioni di consumatore e il valore della dichiarazione di agire per finalità di consumo, in Giur. merito, 2009, 6, p. 1733 ss., in cui, nel fornire una disamina delle varie nozioni di consumatore presenti nel Codice del consumo (sull’argomento si veda infra cap. 3), pone l’accento sul criterio al quale si è fatto ricorso all’art. 3 cod. cons., relativo alla estraneità dello scopo rispetto all’attività esercitata, al fine di qualificare in termini di consumatore la controparte dell’impresa. 31 Certamente, si è ravvisata nel Codice del consumo la potenzialità a disciplinare in modo completo ed omogeneo il fenomeno qui in esame, quasi con la pretesa di voler fare di esso un corpus autonomo di regole90. Una tale considerazione deriva dall’esame del tenore stesso del testo, in cui all’art. 2 sono stati elencati espressamente i diritti fondamentali riconosciuti ai consumatori e che la legge ha lo scopo di tutelare91. In aggiunta a ciò, basti pensare all’impiego del termine “codice” per un insieme di regole che, né per il loro luogo di formazione né per l’ampiezza della materia trattata né tanto meno per il significato e per la valenza in chiave ideologico-sociale dei principi in esse espressi, può minimamente essere apparentato alla Codificazione del 1942. Il Codice civile, nella sua trattazione in modo sistematico dell’intera materia del diritto dei privati, costituisce una forma storica di legislazione nonché la pietra miliare di un’epoca in cui l’elaborazione di regole e principi ha conosciuto il sostegno (ed ha costituito la più alta forma di espressione) di valori ideologici, rispetto ai quali l’esigenza di disciplinare le vicende mercantili si è collocata come una delle ragioni ispiratrici della legge e non come la prevalente, o meglio, l’unica, motivazione sulla base della quale produrre il diritto92. Codice pertanto significa tradizionalmente sistema, corpus di regole volte a disciplinare, in ossequio ai principi di certezza ed uguaglianza del diritto, in modo completo ed organizzato, un’ampia materia, quale nello specifico quella del diritto civile, mediante la previsione di una serie di istituti afferenti alle varie vicende della vita dei soggetti privati, intrecciati con l’enunciazione di (o con l’implicito riferimento a) principi di carattere generale93. Ebbene, al Codice del consumo, Tale circostanza implica che assume rilevanza giuridica la dichiarazione dell’aderente di agire per una determinata finalità, in quanto vale a qualificare la sua posizione, ai fini dell’applicabilità delle previsioni legislative di cui al codice del consumo. 90 F.D. BUSNELLI, La faticosa evoluzione dei principi europei tra scienza e giurisprudenza nell’incessante dialogo con i diritti nazionali, in Riv. dir. civ., 2009, 3, p. 293-295, rileva come, se, da un lato, si è opportunamente osservato che la disciplina del consumatore è stata dettata a garanzia delle esigenze del mercato, dall’altro, non è possibile escludere che a livello comunitario si arrivi a detenere un netto controllo sull’autonomia privata in senso generale, pertanto oltre l’ambito dei consumi, e ciò attraverso gli interventi in materia di giustizia contrattuale. 91 D. AMOROSO, I rinvii al diritto comunitario ed internazionale nelle recenti codificazioni di settore, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2008, 4, p. 1029 ss., ricordando che la legge 29 luglio 2003 n. 229 ha introdotto la forma dei decreti legislativi chiamati “codici” volti al riassetto delle regole vigenti in determinate materie di settore, pone in risalto il problema della conciliabilità di questi con le norme di parte generale, nonché dell’inquadramento dei primi nell’ambito costituzionale di riferimento. In materia di diritti fondamentali di cui all’art. 2 cod. cons. il rinvio agli artt. 2 e 3 della Costituzione appare pacifico. 92 G. GANDOLFI, Per l’assetto normativo del mercato interno europeo: proposte e prospettive, in Riv. dir. civ., 2003, I, p. 395 ss., effettua una succinta lettura degli strumenti normativi del mercato interno alla luce degli obiettivi e degli interessi economici ad essi sottesi. 93 Sul punto N. IRTI, Codice civile e società politica, Roma - Bari, 2007, p. 74, in merito al binomio “consolidazioni – codificazioni”, affermando che “la consolidazione raccoglie e semplifica un 32 proprio per il suo limitato raggio d’azione (esclusivamente la materia dei consumatori), non può essere attribuito il medesimo significato, quanto piuttosto quello di tentativo, opinabilmente ben riuscito, di elaborazione di un insieme di regole volte a disciplinare in modo organico, uniforme, settoriale e dettagliato, uno specifico e ristretto fenomeno del diritto civile94. Di qui, il problema di stabilire i rapporti tra codice civile e norme di settore, nodo che in un primo momento si è tentato di sciogliere, come detto e come diremo più diffusamente infra, sulla base del criterio di specialità, ma che in seguito ha mostrato la sua fallacia sul piano operativo, a favore del criterio dell’armonizzazione, oggi maggiormente condiviso95. 4. Tradizionalmente, ciascun Paese, sia quelli di matrice legislativa sia quelli a vocazione giurisprudenziale, rintraccia nell’ordinamento interno i principi generali in materia di contratti. Tuttavia, il radicale stravolgimento del teatro economico mondiale, con l’incessante processo di integrazione dei mercati ed il moltiplicarsi dei rapporti commerciali transfrontalieri, i quali sono soggetti ai singoli diritti nazionali, sta rivelando la carenza e l’inadeguatezza di questi ultimi ad intervenire in un tale contesto. Su queste premesse si fonda l’iniziativa, da parte dell’organizzazione intergovernativa indipendente UNIDROIT96, di elaborare un tessuto di “Principi dei contratti commerciali internazionali”, al fine di contribuire a quel processo di armonizzazione e di coordinamento del diritto privato tra gli Stati, che costituisce lo scopo principale dell’organizzazione stessa. I lavori preparatori si sono rivelati ardui, soprattutto in considerazione del fatto per cui i singoli diritti materiale dato”, ricorda che il codice, al contrario, “non raduna e ordina antiche leggi, ma è esso stesso (…) una legge nuova, un sistema di diritto nuovo”, laddove il sistema riguarda l’intera materia dei rapporti tra privati e non un mero settore. 94 Sulla organicità delle ricodificazioni di settore, contra, L. ROSSI CARLEO, Diritto comunitario,“legislazione speciale” e “codici di settore”, cit., p. 20, la quale osserva che “una rapida panoramica dei codici di settore rende evidente la mancanza di un disegno organico teso a imporre una modalità specifica di riaggregazione”. 95 Ciò avviene malgrado le difficoltà a concepire tale compenetrazione tra ordinamenti (a livello delle regole che assurgono a disciplina interna di determinati rapporti intersoggettivi) siano state molte volte poste in evidenza. R.G. FENTIMAN, Il problema dell’armonizzazione nell’ottica di un internazionalprivatista, in P. STEIN (a cura di), Incontro di studio su Il futuro Codice europeo dei contratti, Pavia, 20-21 ottobre 1990, Milano, 1993, p. 125 ss., nel farsi portavoce degli ambienti di common law, esprime la sua apprensione verso l’arduo compito di conciliare le diversità di ordine politico e ideologico, invitando, al contempo, a domandarsi se non siano sufficienti le Convenzioni di Roma del 1980 sulle obbligazioni contrattuali e di Bruxelles del 1968 sulla giurisdizione e l’esecuzione delle sentenze in tutta l’Unione europea affinché le contrattazioni transnazionali possano svolgersi sulla base di regole comuni. 96 W. RODINO’, v. Unidroit, in Digesto. Disc. Priv., sez. civ., Agg., Torino, 2000, p. 742 ss., ci fornisce una sintetica ma al contempo esaustiva descrizione dell’Istituto e delle finalità per le quali esso è sorto. 33 nazionali, pur avendo una ancestrale matrice comune, che si rintraccia nel diritto romano, non soltanto sono suscettibili di differenziarsi notevolmente nei loro contenuti, ma risultano talvolta anche inidonei a disciplinare il complesso novero di situazioni che si presentano nel commercio internazionale. Del resto, si è rivelato indispensabile porre rimedio alla diversità di disciplina a cui i contratti commerciali internazionali rimangono sottoposti, se la legge ad essi applicabile rimane esclusivamente quella individuata in virtù delle consuete regole di diritto internazionale privato97. Con la conseguenza per cui dalla esistenza stessa dei diversi diritti nazionali chiamati a disciplinare contratti internazionali si ingenera un conflitto di leggi, per cui per ogni singolo contratto internazionale è necessario, sempre secondo le regole del diritto internazionale privato, individuare quello, tra i vari diritti nazionali che presentano un qualche collegamento con il contratto e con il rapporto negoziale che da esso prende vita, che risulterà maggiormente idoneo ad essere applicato in concreto98. Ne consegue però che le parti contraenti sono, in tale modo, enormemente esposte al rischio di non conoscere con certezza quale sia il diritto applicabile al loro contratto fino al momento in cui venga fissato il foro competente, ed anche in quest’ultimo caso, a seconda delle regole di conflitto in vigore presso il territorio al quale il foro adito appartiene, lo stesso contratto può essere sottoposto al diritto di uno Stato o di un altro, senza tralasciare la tendenza dei giudici ad applicare il diritto sostanziale interno a preferenza di quello straniero99. Si è cercato, molti anni or sono, di ovviare al problema generale delle incertezze derivanti dalla coesistenza dei diversi ordinamenti nazionali, mediante l’adozione di convenzioni internazionali tanto di diritto internazionale privato Sul punto cfr. M.J. BONELL, Comparazione giuridica e unificazione del diritto, in G. ALPA – M.J. BONELL – D. CORAPI – L. MOCCIA – V. ZENO-ZENCOVICH – A. ZOPPINI, Diritto privato comparato, Roma-Bari, 2008, p. 3 ss. 98 A. GARDELLA, Regolamento CE n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (“Roma I”), in Nuove leggi civ. comm., 2009, 3-4, p. 611 ss., rileva come l’autonomia privata, tra le sue tante accezioni, ricomprenda in sé anche la facoltà, in capo alle parti contraenti, di scegliere la legge applicabile al contratto, e di ciò si tiene conto nella Convenzione di Roma sulle obbligazioni contrattuali. 99 S. PATTI, La globalizzazione del diritto e il contratto, in Obbl. contr., 2009, 6, p. 497, pone in risalto l’importanza della Convenzione di Vienna in quanto essa ha permesso di superare alcuni tra i maggiori problemi in sede di contrattazione internazionale, con riguardo al diritto applicabile all’operazione economica. L’Autore rintraccia le differenze tra il contratto nazionale e il contratto globalizzato, ricordando che tale diversità è maggiormente avvertita negli ordinamenti di civil law in quanto in essi la disciplina del primo è affidata alla codificazione, contrariamente a quanto avviene nei Paesi di common law, approdando alla conclusione secondo cui “il diritto globalizzato, inteso nel suo significato più ampio, piega quindi il diritto nazionale e impone regole che trovano applicazione in tutto il mondo” (p. 498). 97 34 quanto di diritto sostanziale100. Tuttavia il diritto internazionale privato pattizio necessita della ratifica da parte dei vari Paesi, e ciò non sempre è avvenuto, né tanto meno tempestivamente: vi sono, infatti, moltissime convenzioni che non sono mai entrate in vigore, proprio a causa della mancanza del numero necessario di ratifiche101. La scelta della convenzione internazionale quale strumento attraverso cui attuare il coordinamento delle legislazioni interne non si dimostra oggi la più conveniente, anche considerando il carattere frammentario che è proprio dei testi delle convenzioni, in cui ci si limita a disciplinare esclusivamente gli effetti che scaturiscono dal tipo di contratto di volta in volta regolato o, addirittura, talvolta soltanto il regime di responsabilità a cui è sottoposta una sola delle parti102. Basti pensare che anche la Convenzione di Vienna presenta alcune lacune concernenti, in particolare, la validità del contratto, il regime del trasferimento della proprietà delle merci vendute, il ricorso alle condizioni generali di contratto da parte di uno dei soggetti contraenti o di entrambi103. Inoltre, una volta entrate negli ordinamenti dei diversi Paesi che le recepiscono, esse sono soggette all’interpretazione dei giudici nazionali, che, con grandissima probabilità, è suscettibile di variare da Paese a P. VINCI, La “modernizzazione” della Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali: la scelta del diritto applicabile, in Contr. e impr., 2007, 4-5, p. 1235, si sofferma sul problema del significato da attribuire alla “legge applicabile”, dal momento che il proliferare delle fonti di produzione del diritto, di carattere statuale ed extrastatuale, implica che ci si chieda se si debbano in essa ricomprendere soltanto le leggi degli Stati, o piuttosto anche la lex mercatoria. La questione è controversa e ruota attorno alla qualificazione che si intende dare alla lex mercatoria. L’opinione prevalente, alla quale aderisce anche l’Autore, propende per l’opzione negativa. 101 M.J. BONELL, Il dirittto europeo dei contratti e gli sviluppi del diritto contrattuale a livello internazionale, in Eur. dir. priv., 2007, 3, p. 624 ss., osserva come i Principi Unidroit abbiano ispirato alcuni legislatori nazionali, quali la Germania, l’Estonia e la Lituania, in sede di riforma del diritto contrattuale domestico, ed abbiano contribuito notevolmente al processo di armonizzazione in atto a livello internazionale. 102 C.M. BIANCA, L’obbligazione nelle prospettive di codificazione europea e di riforma del codice civile, in Riv. dir. civ., 2006, 6, p. 59 ss., osserva che tanto nei Principi Unidroit quanto nei Principles of European Contract Law elaborati dalla Commissione Lando manca una parte dedicata all’obbligazione, pur avendo queste raccolte di Principi ad oggetto essenzialmente rapporti obbligatori. La ragione è probabilmente da ravvisarsi nella circostanza per cui manca negli ordinamenti di common law una nozione di obbligazione avente carattere generale. La conseguenza è quella di una profonda frattura rispetto all’impostazione del nostro codice civile. Il rifiuto per una parte generale dell’obbligazione è stato sostanzialmente accolto anche a livello comunitario, se si pensa che nelle varie Direttive che compongono l’acquis communautaire, aventi in effetti ad oggetto obbligazioni, si sceglie di non seguire la via della generalizzazione delle regole che invece è propria della tensione verso la costruzione di una categoria generale, come emerge dallo stesso nostro codice civile (in particolare, nella Direttiva 2000/35/CE in materia di ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali si fa riferimento al debito, ai soggetti debitori e creditori, alla mora, agli interessi, senza tuttavia voler prevedere la categoria generale dell’obbligazione pecuniaria). 103 R. ZIMMERMANN, Lo ius commune e i Principi di diritto europeo dei contratti: rivisitazione moderna di un’antica idea, in Contr. e impr. Eur., 2009, 1, p. 127-128, rileva come la Convenzione delle Nazioni Unite sulla vendita internazionale dei beni mobili si fondi essenzialmente sulle leggi uniformi in materia, riconoscendo la grande influenza che essa ha avuto sulla Direttiva comunitaria in materia di vendita di beni di consumo. 100 35 Paese; accadendo anche che le lacune della Convenzione vengano colmate mediante il ricorso ai principi e alle regole presenti nei diritti interni104. Da queste premesse ha tratto origine l’idea di elaborare un testo contenente i Principi generali di riferimento per i contratti commerciali internazionali, i cui lavori sono culminati in una prima edizione, quella del 1994, e successivamente una seconda, quella del 2004, sull’onda del grande successo ottenuto dalla prima105. Trattandosi di un lavoro all’insegna dell’armonizzazione del diritto, il criterio seguito in sede di elaborazione dei Principi è consistito nel rintracciare quegli istituti ed elementi della materia dei contratti che fossero noti alle varie legislazioni nazionali e, in assenza di questi, nel formulare regole comuni ricavabili dagli orientamenti della giurisprudenza dei vari Paesi106. Ciò in quanto lo scopo che si sono prefissi i Compilatori dei Principi Unidroit è stato proprio l’individuazione, attraverso lo studio dei vari sistemi giuridici, di una serie di regole che siano comuni alla maggior parte di essi, tuttavia non limitandosi meramente 104 La disciplina contenuta nella Convenzione di Vienna del 1980, nel costituire parte integrante del nostro sistema normativo civilistico, si connota, sul piano sostanziale, per il suo contenuto di chiaro respiro internazional-privatistico, in cui si concretizza l’intento di approntare una legge di diritto uniforme, idonea a produrre i propri effetti esclusivamente nei Paesi che abbiano proceduto a compiere la ratifica. Tale Convenzione è stata ratificata in Italia con la legge 11 dicembre 1985 n. 765. Per una trattazione accurata dell’argomento cfr. per tutti E.G. BAGNASCO, La vendita interna e internazionale, Padova, 2006. Inoltre, sulle su accennate specificità e carenze della Convenzione di Vienna cfr. F. PADOVINI, La vendita internazionale dalle Convenzioni dell’Aja alla Convenzione di Vienna, in Riv. Dir. int. Priv. Proc., 1987, p. 47. L’iter attraverso cui si è dato ingresso a questa Convenzione di diritto uniforme negli altri Paesi di civil law aderenti ha avuto luogo non senza sollecitare dibattiti e momenti critici che hanno influenzato la materia della circolazione dei beni mobili fino ai giorni nostri. Sul punto cfr. C. MONFORT, A la recherche d’une notion de conformité contractuelle. Etude comparée de la Convention de Vienne, de la directive 1999/44 et de certaines transpositions nationales, in Eur. Rev. Pr. Law, 2006, p. 487. 105 M.J. BONELL, I Principi Unidroit quale fonte di ispirazione per le corti inglesi?, in Eur. dir. priv., 2006, 4, p. 1319 ss., prende in considerazione l’argomento dell’influenza del diritto straniero sulla interpretazione del diritto interno da parte dei giudici. Pur riconoscendo un sostanziale atteggiamento di sfavore da parte dei giudici verso l’apertura a modelli stranieri per l’interpretazione delle regole domestiche, sottolinea tuttavia che in Inghilterra si registra una tendenza al richiamo ai Principi Unidroit ed alla Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili per l’interpretazione delle regole interne, ricordando una significativa pronuncia della Court of Appeal. 106 G. MUSOLINO, La disciplina dell’appalto fra Principi Unidroit e lex mercatoria, in Riv. trim. app., 2006, 2, p. 317 ss., nell’osservare che il contratto internazionale di appalto può essere disciplinato anche da regole di fonte privata, o anche redatto mediante il ricorso a modelli standard quali gli schemi di condizioni generali di contratto elaborati dalle associazioni professionali internazionali, inquadra nel fenomeno della “produzione spontanea di norme” che si verifica a livello del commercio internazionale (p. 319) una sorta di alternativa alle categorie con le quali si misurano i legislatori nazionali. In tale contesto, i Principi Unidroit trovano la loro applicazione in quanto regole comuni ad ogni contratto, che si vanno a collocare nel terreno della cosiddetta soft law, con elementi di analogia ed aspetti di diversità rispetto al modo in cui gli schemi negoziali sono regolati nelle varie leggi nazionali. Basti pensare che la causa del contratto di appalto, espressamente enunciata all’art. 1655 c.c. italiano, non trova invece spazio nei Principi Unidroit, dal momento che in essi manca ogni previsione espressa della causa negoziale. Non bisogna tuttavia trascurare che i Principi Unidroit vincolano le parti contraenti soltanto nei limiti in cui non si pongano in contrasto con le norme imperative della lex contractus che è quella legge nazionale che viene individuata facendo ricorso ai criteri di collegamento che sono propri del diritto internazionale privato. 36 all’estrapolazione di quelle regole che fossero presenti nella maggior parte di essi, quanto piuttosto aspirando a selezionare quelle soluzioni che sembrassero maggiormente idonee a rispondere affermativamente alle esigenze del commercio internazionale, trattandosi di Principi destinati a divenire effettivi tra gli operatori del commercio internazionale facenti parte dei diversi Paesi e sistemi giuridici del mondo107. Pertanto si è cercato, per un verso, di tenere conto dell’impostazione della materia contrattuale che si riscontra nelle Codificazioni moderne, ma, per altro verso, di tenere sempre a mente che i destinatari di tali Principi sono i protagonisti stessi della scena commerciale mondiale, con le loro concrete esigenze108. Di conseguenza, ogni qualvolta si è posto il problema di selezionare una soluzione tra due o più opzioni contrastanti, non è stato seguito il criterio fondato sulla scelta della regola che fosse osservata nella maggioranza degli ordinamenti nazionali; ci si è piuttosto attenuti al maggior grado di idoneità della regola a disciplinare in concreto i rapporti economici internazionali, in quanto ritenuta preferibile per il soddisfacimento delle concrete esigenze. Certamente, i Principi Unidroit, che di per sé non hanno valenza di legge109, sono nati in un contesto nettamente diverso da quello in cui vengono ad esistenza le leggi volte a governare i fenomeni del commercio internazionale, dal momento che tali Principi, essendo il risultato finale di un lungo e complesso lavoro compiuto da un Gruppo di natura scientifica, hanno conosciuto la loro origine in un ambiente, per così dire, al riparo da qualsiasi ingerenza di carattere politico, nonché in luoghi lontani da quelli in cui le lobbies esercitano attualmente il loro potere110. Le stesse querelles che sono sorte all’interno del gruppo sono di carattere prettamente 107 P. MENGOZZI, La tendenza del diritto comunitario a evolversi in senso sempre più personalistico e la disciplina generale dei servizi di interesse economico generale, in Contr. e impr. Eur., 2009, 1, p. 304 ss., pur soffermandosi sull’ambito strettamente comunitario, e con riguardo ad un argomento ben circoscritto, non manca tuttavia di evidenziare come l’armonizzazione giuridica sia l’unica via da percorrere per rendere omogenee situazioni che altrimenti incontrerebbero i limiti della normazione o a-normazione statale. 108 R. PENNAZIO, La dottrina del fondamento negoziale nel diritto giudiziale europeo, in Contr. e impr. Eur., 2009, 1, p. 391 ss., seppure in un discorso che spazia entro confini squisitamente europei, evidenzia quell’attenzione, che è propria del legislatore comunitario ma anche delle Corti, alle esigenze concrete che sono le linee guida della fattispecie che necessita di essere disciplinata. 109 P. MENGOZZI, Il DCFR, il Manifesto sulla giustizia sociale nel diritto europeo dei contratti e la giurisprudenza comunitaria, in Contr. e impr. Eur., 2009, 1, p. 523 ss., evidenzia come l’intento del DCFR sia quello di non limitarsi ad assicurare la libera concorrenza nel mercato, quanto piuttosto di promuovere una “giustizia correttiva”che orienti le contrattazioni. Malgrado il DCFR possa essere, per certi aspetti, considerato, a livello europeo, una sorta di alter ego dei Principi Unidroit, ad avviso di chi scrive, questa impostazione, peraltro difficilmente condivisibile, che ha riguardo al DCFR, non pare possa essere estesa anche agli stessi Principi. 110 Contro questa attuale tendenza, si avverte l’esigenza del recupero del ruolo del diritto nella sua specificità, che, come ricorda P. GROSSI, Oltre il soggettivismo giuridico moderno, in Studi in onore di Nicolò Lipari, cit., I, p. 1231, “non è di controllare ma di ordinare il sociale”. 37 accademico, sostanziandosi in dotte dispute tra la “fazione” dei “tradizionalisti”, i quali si sono mostrati più propensi, in sede di formulazione dei Principi, ad attenersi ai principi consolidatisi nel corso del tempo all’interno della materia dei contratti e facenti parte degli ordinamenti nazionali, e il gruppo degli “innovatori”, che ha al contrario accolto benevolmente le regole derivanti dall’attività di adattamento delle norme ai casi concreti, compiuta instancabilmente dalla giurisprudenza. In ogni caso, al di là dell’ambiente nel quale i Principi sono maturati, si può affermare che il risultato ultimo sia stato un equilibrato bilanciamento delle suddette posizioni111. Lo scopo dei Principi Unidroit, abbiamo già detto, consiste proprio nella enunciazione di una serie di regole generali in materia di contratti commerciali internazionali, con l’intento di dare una efficace risposta all’esigenza di armonizzazione che si avverte nel panorama della disciplina dei contratti, approntando uno strumento sufficientemente flessibile112 da potersi adattare ai continui mutamenti di segno economico e tecnologico che si verificano sulla scena del commercio mondiale, assicurando al contempo la correttezza nello svolgimento delle relazioni commerciali internazionali113. Questi Principi possono, dunque, essere richiamati dalle parti contraenti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, esclusivamente all’interno di un contratto “internazionale”. Ciò in quanto essi stessi mirano ad intervenire al fine di ovviare ai conflitti di applicabilità tra i vari diritti nazionali, conflitti che si verificano esclusivamente laddove un determinato rapporto negoziale presenti elementi di collegamento con più Stati, e ci si trovi in mancanza di una disciplina uniforme o la disciplina uniforme 111 Per quanto concerne i possibili ambiti di operatività dei Principi Unidroit, M.J. BONELL - E. FINAZZI AGRO’, Rassegna giurisprudenziale sui Principi Unidroit dei contratti commerciali internazionali, in Dir. comm. int., 2007, 2, p. 413 ss., ne evidenziano i profili applicativi, ove è interessante notare come, in particolare, all’interno di una controversia tra Onu e una società europea, derivante da un contratto per la fornitura di merci, in assenza di pattuizione contrattuale sulla scelta della legge applicabile, è stata convenuta, in sede arbitrale, l’applicazione della Convenzione di Vienna del 1980 (CISG) e dei Principi Unidroit. 112 La flessibilità dei Principi Unidroit è resa possibile soprattutto per l’ampio margine di operatività che in essi viene accordato agli usi. Nei Principi viene infatti conferita una posizione di assoluta centralità agli usi ed alle pratiche del commercio internazionale quali fonti per la determinazione del complesso novero di diritti ed obblighi che per le parti deriva dalla conclusione del contratto. 113 E. DI MEO – R. PELEGGI, Principi Unidroit dei contratti commerciali internazionali (2004), Principi di diritto europeo dei contratti e (Progetto di un) quadro comune di riferimento: una tavola sinottica, in Dir. comm. int., 2009, p. 207 ss., in un’ottica di comparazione, nel raffrontare i Principi Unidroit con il DCFR, rintracciano molteplici punti di contatto, quali le regole in materia di libertà di forma, del venire contra factum proprium, della formazione dell’accordo, dell’impiego di clausole standard, nonché in materia di interpretazione, di equilibrio contrattuale, di inadempimento, non rinunciando tuttavia a mettere in risalto innumerevoli discrepanze di carattere tecnico, ed anche di carattere sostanziale, dal momento che è diverso l’ambito di applicazione. 38 eventualmente applicabile ponga problemi interpretativi o presenti delle lacune114. Inoltre, l’autonomia contrattuale acquista una maggiore ampiezza in sede di contrattazione internazionale in quanto gli Stati, che sono soliti dettare una disciplina interna dei contratti assai dettagliata, tendono invece nel contesto internazionale ad accordare più libertà alle parti di regolare esse stesse i vari aspetti del rapporto che derivano in concreto dalla negoziazione, malgrado questa diversità tra contratti interni e contratti internazionali sia senza dubbio maggiormente ravvisabile nei Paesi ex socialisti dell’Europa orientale, piuttosto che nei Paesi fondati sull’economia di mercato, quale il nostro. Tuttavia, se ben osserviamo, possiamo rilevare che anche nel nostro ordinamento sussiste una, seppur lieve, differenza tra le due dimensioni della contrattazione appena richiamate. Basti pensare all’atteggiamento tenuto dai giudici italiani con riguardo alle garanzie bancarie indipendenti115. Limitandoci qui a ripercorrere esclusivamente i tratti salienti dell’iter che ha portato alla genesi dei Principi Unidroit e ad accennare in estrema sintesi le loro specificità, riteniamo tuttavia opportuno soffermarci, seppur brevemente, sul principio della libertà contrattuale che incontriamo nella formulazione dell’art. 1.1 dei Principi, in quanto, al di là del mero approccio testuale che, facendo risultare la regola assai familiare al giurista avvezzo ad operare nei sistemi fondati sulle Codificazioni, appare estremamente peculiare, se si considera che l’ambito di applicabilità dei Principi Unidroit è limitato ai contratti internazionali conclusi tra soggetti che operano entrambi nell’esercizio della propria professione. Pertanto, se libertà contrattuale significa possibilità di scegliere senza alcun vincolo il soggetto o i soggetti con i quali concludere un contratto, senza tenere conto né dello status giuridico né della nazionalità di questi, allora questa accezione della libertà 114 M.J. BONELL, I Principi Unidroit 2004: una nuova edizione dei Principi Unidroit dei contratti commerciali internazionali, in Dir. comm. int., 2004, 3, p. 561 ss., nel fornire un approccio critico alla nuova edizione dei Principi, si sofferma sull’ambito di applicabilità, chiarendo che laddove le parti richiamino espressamente i Principi Unidroit come legge regolatrice del contratto allora le disposizioni in essi contenute prevarranno su qualsiasi altro regime, domestico o internazionale. Laddove, al contrario, i principi vincolino le parti in qualità di semplici clausole contrattualmente stipulate, anche le disposizioni in essi contenute saranno vincolanti soltanto sul presupposto della non contrarietà con le norme del diritto applicabile alle quali le parti non possono derogare. La riflessione viene condotta, in modo particolare, con riguardo all’istituto della prescrizione, che trova una sua disciplina espressa all’interno dei Principi. 115 Sull’argomento delle modalità di elaborazione delle varie fonti del diritto uniforme in generale, M.J. BONELL, v. Unificazione del diritto internazionale, in Enc.dir., XLV, Milano, 1992, p. 729, osserva come “sarebbe più corretto parlare di vera e propria invenzione di modelli, visto che le soluzioni raggiunte in sede di elaborazione del diritto uniforme a ben guardare non trovano un diretto riscontro in alcuno dei modelli preesistenti”. 39 contrattuale non è certamente quella che si attaglia all’ambito di operatività dei Principi Unidroit, che in questo contesto finisce, quindi, col subire un profondo temperamento116. Si tratta, perciò, di delineare potenzialità e limiti ai quali è sottoposta l’autonomia privata in sede di contrattazione internazionale117. Ebbene, l’autonomia delle parti si sostanzia anche nella possibilità di fare ricorso a contratti dai contenuti sostanziali essenzialmente uniformi, mediante una regolamentazione contrattuale il più possibile completa ed autosufficiente e facendo espresso rinvio, all’interno del contratto stesso, a regole materiali uniformi le quali non potrebbero essere applicate altrimenti; autonomia delle parti è sinonimo di capacità di scegliere liberamente, tra i diritti interni dei vari Paesi, la legge volta a disciplinare il contratto, o piuttosto optare per una regolamentazione di carattere “extra-legale”, come la lex mercatoria; libertà contrattuale è, ancora, facoltà di scelta del giudice o dell’arbitro al quale verrà demandato il compito di comporre eventuali controversie118. In un inevitabile assetto fondato sulla centralità dello strumento contrattuale, ben si comprende il difficile ruolo al quale è chiamato il giurista contemporaneo, il quale deve essere in grado di approntare soluzioni negoziali confacenti alle esigenze del mercato119. Possiamo osservare come il giurista oggi, nella sua attività di redazione e negoziazione dei contratti internazionali, si trovi, talvolta, dinanzi alla necessità di creare le norme, dovendo dettare ab origine le “regole del gioco”, piuttosto che limitarsi ad una mera interpretazione di regole già esistenti. Egli deve, infatti, scegliere il contesto giuridico nel quale incardinare il contratto, elaborando altresì le R. PELEGGI, L’applicazione dei Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali en voie directe alla luce di un recente lodo della Corte Arbitrale della Camera di Commercio Internazionale, in Dir. comm. int., 2004, 2, p. 496 ss., evidenzia il ruolo dei Principi Unidroit quale fonte cognitiva della lex mercatoria, da intendersi quale una sorta di esplicitazione di prassi del commercio internazionale non meglio formalizzate. 117 M.J. BONELL – R. PELEGGI, Rassegna giurisprudenziale sui Principi Unidroit dei contratti commerciali internazionali, in Dir. comm. int., 2004, 1, p. 163-164, pongono in evidenza un caso di applicazione dei Principi Unidroit da parte della Corte d’Appello neozelandese, in materia di interpretazione non letterale di clausole contrattuali, basata piuttosto sull’interpretazione delle parti, la quale si poneva in armonia con la CISG e con i Principi Unidroit, definiti come “un restatement del diritto dei contratti commerciali del mondo che affina ed amplia i principi contenuti nella CISG”. 118 Per una compiuta disamina delle ragioni pratiche ed operative che hanno condotto all’adozione dei Principi Unidroit si veda M.J. BONELL, I Principi Unidroit dei contratti commerciali internazionali: origini, natura, finalità, in Dir. comm. int., 1995, 1, p. 3 ss. 119 Occorre ricordare che oggigiorno rientra nell’accezione “mercato” non soltanto il luogo, spazialmente determinabile, in cui si incontrano fisicamente gli operatori economici, ma anche e soprattutto quel complesso di luoghi telematici in cui ed attraverso cui si concludono transazioni ed affari anche di notevole importanza. L’argomento viene opportunamente posto in risalto, nel preambolo ad alcune riflessioni sull’attuale panorama delle contrattazioni, da G. IORIO FIORELLI, Contratti telematici, strumenti di diritto internazionale privato e prospettive di armonizzazione della disciplina materiale, in Dir. comm. int., 2003, 2-3, p. 427ss. 116 40 regole proprie di quel rapporto contrattuale in concreto120. Ma vi è di più: per fare ciò, il giurista si interrogherà sulle modalità di utilizzo dell’autonomia contrattuale121; sull’ampiezza e sui limiti di essa, conciliando l’arbitrio nella scelta di una soluzione piuttosto che un’altra (ad esempio, decidere di sottoporre il contratto alla legge nazionale di questo o di quello Stato) con l’indagine sui limiti che il libero arbitrio in materia contrattuale presenta (ad esempio, i limiti entro cui sia possibile effettuare la scelta della legge applicabile; o, ancora, i limiti nella scelta del foro competente o dell’opzione tra arbitrato e giurisdizione ordinaria). In altre parole, il giurista deve valutare le implicazioni e le conseguenze di ciascuna determinata scelta che le parti contraenti intendano fare, al fine di guidare queste ultime verso l’adozione delle soluzioni che risultino in concreto maggiormente convenienti per le medesime122. 120 R. PELEGGI, La compensazione nei Principi Unidroit dei contratti commerciali internazionali e nei Principi di diritto europeo dei contratti: un primo confronto, in Dir. comm. int., 2002, 4, p. 927 ss., nell’esaminare, in un’ottica di comparazione, un istituto in particolare, quale quello della compensazione, fa emergere i punti di contatto tra le scelte operate in sede di armonizzazione internazionale ed in quella europea, secondo una prospettiva di coordinamento, evidenziando come “sia i Principi Unidroit che i Principi Europei abbiano optato per anticipare l’operare dell’istituto al momento in cui uno dei crediti reciproci diviene esigibile” (p. 949), secondo una ratio maggiormente confacente alle concrete esigenze economiche. 121 S. PUGLIATTI, v. Autonomia privata, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, pp. 366-367, nel rintracciare la “pluralità di significati dell’espressione “autonomia privata”, tali per cui essi non possano essere “riconducibili ad un centro sistematico-concettuale”, in un approccio in termini per così dire filosofici al problema dell’individuazione del concetto di autonomia, ben lo ricollega al “problema della volontà”. La vicenda negoziale contemporanea, che si fonda sull’ampia e prevalente, se non esclusiva, pratica dei contratti conclusi mediante formulari prestampati, predisposti unilateralmente da una parte, potrebbe leggersi non tanto come una alterazione dell’estensione tradizionale dei poteri connessi all’autonomia privata in sede negoziale, quanto piuttosto come una diversa modalità di manifestazione della stessa, se si accetta che anche il concetto di autonomia privata, in quanto categoria generale del diritto negoziale, si riempie del suo significato peculiare nell’esperienza concreta del contesto storico e sociale nel quale essa è ambientata. Il concetto tradizionale di autonomia privata è chiamato oggigiorno a misurarsi anche con le ipotesi in cui il contenuto del contratto sia predeterminato dalla legge. Sul punto cfr. A. LUMINOSO, Sulla predeterminazione legale del contenuto dei contratti di acquisto di immobili da costruire, in Riv. Dir. civ., 2005, II, p. 727; nonché G. PETRELLI, Il contenuto minimo dei contratti aventi ad oggetto immobili da costruire, in Riv. Dir. civ., 2006, II, p. 323. Sull’argomento dei “contratti non negoziati” cfr. N. IRTI, Scambi senza accordo, in Riv. Trim. dir. proc. civ., 1998, p. 347 ss. Per una ricostruzione diacronica del significato di “autonomia privata” cfr. F. MACARIO, Ideologia e dogmatica nella civilistica degli anni Settanta: il dibattito su autonomia privata e libertà contrattuale, in Studi in onore di Nicolò Lipari, cit., II, p. 1491 ss. E’ peculiare la ricostruzione che dell’autonomia privata ci viene fornita, in termini di “diritto fondamentale della persona”, da C.M. BIANCA, Diritto civile. Il contratto, Milano, 2000, p. 30, laddove egli autorevolmente prosegue delineando i tre fenomeni in cui si sostanzia l’attuale declino della volontà contrattuale, p. 34, esprimendosi in tali termini: “il primo è quello del restringersi del ruolo dell’accordo di fronte alla regolamentazione imperativa del contratto (pubblicizzazione del contratto); il secondo concerne il restringersi del ruolo dell’accordo di fronte al significato obiettivo del rapporto; il terzo indica il restringersi del ruolo dell’accordo di fronte alla disciplina unilaterale del predisponente nei contratti di massa (standardizzazione del contratto)”. 122 F. MARRELLA, Lex mercatoria e Principi Unidroit. Per una ricostruzione sistematica del diritto del commercio internazionale, in Contr. e impr. Eur., 2000, 1, p. 46 ss., si sofferma sulle varie opzioni applicative dei Principi, evidenziando come essi possano essere impiegati per risolvere 41 I Principi Unidroit possono essere applicati, non soltanto per scelta delle parti, ma anche in via autonoma, il che significa senza che siano stati richiamati dalle parti, in qualità di insieme di regole che disciplinano in via generale il contratto, e ciò sia nell’ambito della lex mercatoria sia come legge interna di uno Stato qualora esso decida di utilizzarli come modello per l’interpretazione o l’integrazione della propria legge123. In particolare, i Principi possono trovare applicazione per scelta delle parti, quindi in quanto incorporati nel contenuto del contratto come norme contrattuali (in questo caso, le parti richiamano i Principi Unidroit scegliendo al contempo una legge nazionale come legge applicabile, e ciò significa che esse desiderano che i Principi vengano applicati come norme contrattuali nel contesto di quella legislazione); possono essere richiamati dall’autonomia negoziale delle parti come “legge applicabile” in alternativa ad un ordinamento nazionale (in questo caso, i Principi acquistano un valore autonomo in quanto sistema di norme dotate di una forza equivalente a quella della legge), anche se si tratta di un’opzione che non è accolta favorevolmente dai giudici; può altresì verificarsi che il contratto sia sottoposto alla lex mercatoria, e che le parti richiamino all’interno di essa i Principi Unidroit, inserendoli così all’interno di un sistema normativo che tuttavia in questo caso è di carattere a-nazionale124. I Principi vengono, seppur non frequentemente, richiamati come usi del commercio, che verranno considerati soltanto all’interno della legge nazionale applicabile che è stata scelta125. Talvolta la scelta dei Principi i dubbi interpretativi o colmare il vacuum di convenzioni internazionali di diritto uniforme, dal momento che accade sovente che vi sia incertezza intorno al significato da attribuire ad una disposizione contenuta all’interno di una convenzione internazionale diritto uniforme e allora l’opzione interpretativa può essere fondata sui Principi Unidroit. Risulta peculiare anche la ricostruzione dei casi in cui si ritenga di non dover applicare tali Principi, ricordando l’Autore alcuni lodi dai quali è emerso che “una clausola compromissoria portante clausola di elezione del diritto applicabile con l’espressa esclusione di ogni altro ordinamento giuridico vale ad escludere l’applicazione sia della lex mercatoria che dei Principi Unidroit” (p. 65). 123 F. MARRELLA, Nuovi sviluppi dei Principi Unidroit sui contratti commerciali internazionali nell’arbitrato CCI, in Contr. e impr. Eur., 2002, 1, p. 44-53, evidenzia la peculiarità dei Principi Unidroit oltre che come strumento di armonizzazione contrattuale internazionale anche ai fini dell’interpretazione ed integrazione della legge applicabile, determinata secondo i criteri di collegamento dettati dall’ordinamento di diritto internazionale privato, soffermandosi su come, nella concreta prassi arbitrale, il richiamo a questi Principi venga operato sempre più frequentemente al fine di confermare le soluzioni derivanti dall’applicazione del diritto interno, tanto nelle circostanze in cui le parti hanno espressamente richiamato i Principi Unidroit quanto nei casi in cui essi sono stati piuttosto invocati dagli arbitri. 124 Il carattere a-statuale dei Principi Unidroit viene evidenziato, nel quadro di alcune riflessioni concernenti l’ambito applicativo, da M.J. BONELL, Verso un regime uniforme di prescrizione per i contratti commerciali internazionali?, in Eur. dir. priv., 2003, 4, p. 773 ss. 125 A. DI MAJO, I “Principles” dei contratti commerciali internazionali tra civil law e common law, in Riv. dir. civ., 1995, 5, 1, p. 609 ss., evidenzia immediatamente, nell’incipit delle sue autorevoli considerazioni, l’esigenza di una contrattazione transnazionale dalle regole sostanzialmente uniformi, che si fondi sull’applicazione di principi condivisi di carattere generale, al 42 come norme regolatrici delle vicende contrattuali può avvenire anche in un luogo temporale successivo rispetto a quello in cui si colloca il momento della conclusione del contratto; in particolare, può accadere che nel corso di una procedura arbitrale si concordi che la controversia venga decisa in modo conforme ai Principi126. Le modalità applicative dei Principi Unidroit si rivelano essere davvero molteplici, ed il novero si amplia se si considera che i redattori, conosciuto il successo della prima versione, hanno inteso, con il lavoro del 2004, fare un passo avanti, mirando non più semplicemente a presentare delle regole che le parti possano incorporare nel contenuto dei loro contratti per relationem, quanto piuttosto a fornire delle regole che fossero in grado di dare un impulso allo sviluppo della lex mercatoria, potendo essere considerate parte integrante di essa in quanto espressione di principi che sono dagli operatori del commercio internazionale ritenuti applicabili ai loro contratti127. L’applicazione dei Principi Unidroit ad un contratto in assenza di scelta espressamente operata dalle parti contraenti può, pertanto, avvenire in due modi: o mediante l’identificazione di questi con i principi generali del commercio internazionale (il che significa dire lex mercatoria)128, o fine di agevolare lo svolgimento dei rapporti economici e commerciali che da tempo eccedono usualmente i confini nazionali. L’Autore si chiede, poi, se sia utile o meno pensare ad un diritto uniforme dei contratti in generale, piuttosto che ambientare l’uniformazione sui terreni settoriali, ove tuttavia non è da trascurare che la “specializzazione” del diritto dei contratti commerciali internazionali sembra essere pienamente rispondente alle esigenze del mercato. 126 M.J. BONELL, I Principi Unidroit – un approccio moderno al diritto dei contratti, in Riv. dir. civ., 1997, 2, 1, p. 231 ss. ripercorre le tappe salienti del Lavoro culminato con l’elaborazione dei Principi, i quali si inseriscono nella negoziazione commerciale internazionale quali fonti di carattere a-statuale, la cui ratio è strettamente collegata al fenomeno della contrattazione standardizzata, la quale presenta innumerevoli vantaggi sia per quanto concerne i costi delle transazioni sia in quanto essa permette di evitare il problema delle barriere linguistiche e degli abusi che una parte può commettere a detrimento dell’altra attraverso l’imposizione di clausole per quest’ultima svantaggiose o contro la sua volontà o imponendone l’applicazione. 127 Con i Principi UNIDROIT ci si trova in un ambito della contrattazione avente un respiro decisamente più ampio rispetto a quello proprio dei vari prodotti del lavoro di armonizzazione compiuti a livello europeo. Se, come è vero, i Principi UNIDROIT intervengono nell’ambito dei contratti commerciali internazionali, allora si può asserire che essi costituiscono un tool box operante, in senso proprio, nel contesto della globalizzazione. Amplius sull’argomento della relazione intercorrente tra il fenomeno della globalizzazione e l’attuale panorama del diritto vi è una letteratura copiosa; per tutti cfr. i significativi ed autorevoli contributi di: P. GROSSI, Globalizzazione, diritto, scienza giuridica, in Foro It., 2002, VI, c. 151 ss.; A. FRANZONI, Vecchi e nuovi diritti nella società che cambia, in Contr. Impr., 2003, 2, p. 265 ss.; P. GROSSI, Globalizzazione e pluralismo giuridico, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 29, 2000, p. 551 ss. 128 Si tratta di una delle contemporanee situazioni in cui la fonte della regola vincolante sul piano giuridico non è un organo titolare del potere legislativo. Accanto all’esperienza della c.d. lex mercatoria si pensi ai Codici deontologici, o Codici di buona condotta, o Codici di autodisciplina. Sul punto M. ARAGIUSTO, Dinamiche e regole, Padova, 2006, p. 131, ricorda in proposito ”l’iniziativa di non pochi organismi, attivi in disparati settori, non solo a dimensione nazionale, ognuno spontaneamente emanando una sorta di suo testo unico evidentemente privato, con regole di comportamento vincolanti gli aderenti e non di rado corredate dalla previsione di apposite strutture per controllarne l’osservanza oltre che per comminare sanzioni correlate agli accertati 43 come usi del commercio. Anche nell’attività di soluzione delle controversie in sede di arbitrato internazionale i Principi Unidroit stanno incontrando una larga applicazione e, molto spesso, non soltanto vengono utilizzati come mero supporto interpretativo della legge nazionale, ma vengono anche applicati essi stessi nell’ambito della legge interna sia per colmarne le lacune sia per sostituirsi alla norma nazionale ponendo, così, fine ad un eventuale conflitto tra la norma nazionale stessa e le esigenze del commercio internazionale, nel senso favorevole alla prevalenza dei Principi129. I Principi Unidroit, quale momento centrale nel complesso processo di armonizzazione ed uniformazione del diritto dei contratti internazionali, stanno pertanto conquistando, in modo crescente, un ruolo di rilievo nel panorama delle fonti dello stesso diritto dei contratti commerciali internazionali, tanto come insieme di regole che le parti possono volontariamente incorporare all’interno dei contratti, quanto come strumento suscettibile di essere utilizzato dalla giurisprudenza arbitrale sia in funzione correttiva di leggi nazionali inadeguate sia come regole transnazionali applicabili in quanto lex mercatoria, contribuendo, così, al rafforzamento ed al consolidamento di quest’ultima130. Il tentativo di armonizzazione compiuto a livello europeo attraverso l’elaborazione del Draft Common Frame of Reference esprime anch’esso, come i Principi Unidroit, l’esigenza per gli operatori economici di disporre di un corpus di principi, strettamente aderenti alla prassi delle negoziazioni commerciali, ai quali fare ricorso in sede di conclusione delle innumerevoli figure contrattuali. Se il vincolo derivante dall’accordo, e quindi dalla contrattazione bilaterale non perde la propria rilevanza, occorre tuttavia rilevare come stiano acquistando centralità le promesse unilaterali, caratterizzate dalla manifestazione di volontà di un soggetto di obbligarsi, al di là inadempimenti”. Allo spostamento della titolarità soggettiva del potere legislativo fa quindi eco anche, per così dire, una traslazione del potere coercitivo, che viene a sorgere in capo a soggetti ed organi non titolari del potere giudiziario in senso proprio. 129 G.B. FERRI, Il Code Européen des Contrats, in Contr. e impr. Eur., 2002, 1, p. 27 ss., si occupa di rintracciare le suture concettuali tra il prodotto del Lavoro dell’Accademia dei Giusprivatisti Europei (Code Européen des Contrats), i Principi Unidroit e i Principi della Commissione Lando, soffermandosi sulle categorie dell’oggetto e della causa del contratto le quali inevitabilmente assumono nuovi connotati, se si considera che una normativa contrattuale di carattere generale destinata ad essere valevole tanto nei Paesi di civil law quanto in quelli di common law non può non tenere conto delle diverse impostazioni concettuali che caratterizzano i vari ordinamenti. 130 Sull’argomento dell’ambientarsi dell’odierna autonomia negoziale nella cornice di una congerie di fonti di produzione del diritto provenienti da molteplici luoghi, anche estranei alla sfera della legittimazione giuridica in senso stretto, si veda C.M. BIANCA, Contratto europeo e principio causalista, in M. PARADISO (a cura di), I mobili confini dell’autonomia privata, Milano, 2005, passim. 44 del meccanismo dell’accordo. Il codice civile non dà molta rilevanza ai vincoli negoziali unilaterali, così come non si sofferma sulla contrattazione di massa, fenomeni che stanno conoscendo il loro apice proprio ai giorni nostri. Il momento contemporaneo si colloca lungo una linea che segna la rottura, o quanto meno l’allontanamento, dai tradizionali dogmi (a partire da quello della volontà intesa come accordo) sui quali per molto tempo si è fondata l’ossatura dei vincoli negoziali. La verità è che un’impostazione dogmatica, fondata sulla enunciazione di nozioni aprioristiche generali che, una volta abbracciate, sono destinate a rimanere immutate ed inconfutabili al di là di ogni limite temporale e sociale, mal si concilia con la prospettiva dell’armonizzazione che nasce da esigenze di carattere squisitamente pratico e di segno economico; unitamente alla necessità di dettare regole comuni di riferimento per ordinamenti nazionali che, seppur condividano radici comuni in senso ampio, tuttavia presentano specificità intrinseche non facilmente superabili, come l’avversione degli ordinamenti di common law per un eccessivo grado di concettualizzazione e l’assenza di concetti quali la causa del contratto nell’accezione dogmatica che invece è propria del nostro codice civile ed intorno alla quale fiumi di inchiostro vengono versati da non breve periodo131. 5. Il contesto contemporaneo in cui si svolgono i rapporti economici è contraddistinto dalla vocazione essenzialmente transnazionale degli scambi e dall’impiego del contratto quale strumento d’elezione non più esclusivamente per permettere la circolazione dei beni ma anche per fornire servizi e per creare prodotti finanziari, ed anzi si assiste attualmente ad un progressivo processo di dematerializzazione, che ha comportato anche una necessaria rivisitazione del tradizionale concetto di proprietà e dei beni che sono suscettibili, nell’immaginario collettivo, di formare oggetto di quel diritto reale antico ed assoluto di cui all’art. 832 c.c. e che per moltissimi anni ha svolto il ruolo di feudatario sul vassallo contratto, contrariamente a quanto si assiste ai giorni nostri, in cui il contratto assurge anche a strumento per la creazione o il trasferimento di situazioni atipiche di titolarità di un bene, materiale o immateriale, che esulano pertanto dalla figura tipica di cui alla norma codicistica su richiamata. In tale contesto, si è da tempo reso necessario un ripensamento del diritto per una società che ha maturato dei connotati nuovi e marcatamente diversi da quelli propri del periodo che va dagli anni 131 U. BRECCIA, Contratto e comune quadro europeo. Note introduttive, in Annuario del contratto 2009, Torino, 2010, p. 32-39 45 Cinquanta agli anni Ottanta. Ci si trova oggi di fronte alla più alta epifania dell’assetto dell’economia di mercato, fondato sulla efficienza della modalità capitalistica di produzione e di circolazione della ricchezza, in particolare dovuta ai notevoli sviluppi nel campo della tecnologia, che hanno influito grandemente sui vari anelli di congiunzione della catena della produzione/commercializzazione132. L’attuale svolgimento della vicenda economica su scenari internazionali richiede una regolamentazione degli affari che abbia un respiro altrettanto “universale”. Le parti contraenti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, in sede di determinazione del contenuto dell’accordo e di disciplina del rapporto, fanno sempre più ricorso alla prassi originata dal comportamento tenuto dagli operatori del commercio, che prende il nome di lex mercatoria133. Si tratta di regole uniformi che sono la conseguenza della diffusione su scala internazionale, per non dire mondiale, di determinate pratiche e di usi contrattuali ai quali si fa ricorso nel commercio che oltrepassa il confine di un singolo Stato. Contribuiscono, inoltre, alla formazione di tale prassi anche le decisioni con le quali si pone fine alle controversie in sede di arbitrato internazionale, le quali finiscono, così, con l’assurgere ad una sorta di precedenti abitualmente vincolanti per successivi arbitrati134. 132 Sul punto si rinvia a G. IUDICA, Globalizzazione e diritto, in cit., p. 867 ss. Con riguardo all’origine storica del termine lex mercatoria, F. GALGANO, Lex mercatoria, Bologna, 2001, p. 238 ricorda come l’origine di tale sintagma sia da rintracciare nel diritto universale dei mercanti medioevali, i quali diedero essi stessi vita, con le loro abitudini commerciali, ad un insieme di regole volte a disciplinare gli scambi stessi, regole le quali si ponevano in posizione derogatoria dell’allora vigente diritto dei commerci, il diritto romano, mostrando la inidoneità del medesimo a porsi come fonte di regolamentazione di traffici a vocazione universale. Allo stesso modo, chiarisce Galgano, “per nuova lex mercatoria oggi si intende un diritto creato dal ceto imprenditoriale, senza la mediazione del potere legislativo degli Stati, e formato da regole destinate a disciplinare in modo uniforme, al di là delle unità politiche degli Stati, i rapporti commerciali che si instaurano entro l’unità economica dei mercati”. 134 Non è invero pacifica la qualificazione della Lex mercatoria in termini di mera prassi. Ricorda infatti F. GALGANO, Lex mercatoria, cit., p. 239, richiamando una nota pronuncia della Cassazione (Cass. 8 febbraio 1982, n. 722, in Foro It., 1982, I, c. 2285), che “talora della lex mercatoria si è parlato come di un “ordinamento giuridico”, separato dagli ordinamenti statuali, espressione della “societas mercantile”. E prosegue affermando che “a questo modo gli usi del commercio internazionale vengono assunti quali veri e propri usi normativi, vere e proprie fonti di diritto oggettivo; ma di un diritto oggettivo non statuale, bensì sopranazionale: di un diritto oggettivo della societas mercatorum. Questo ordinamento sovranazionale non ha propri organi di coercizione; si avvale, a questi effetti, degli organi degli Stati nazionali, di volta in volta competenti per territorio. Così la business community si erige a ordinamento sovrano; gli Stati nazionali ne diventano il braccio secolare”. Procede poi con la condivisibile considerazione per cui “il futuro che si annuncia presenta questa disarticolazione: da un lato una società senza Stato: la societas mercatorum, o business community, retta dalla nuova lex mercatoria, che consolida le sue dimensioni planetarie, accentrando in sé le funzioni di normazione e, con le camere arbitrali internazionali, le funzioni di giustizia; dall’altro la moltitudine delle società nazionali, e anzi una loro moltitudine crescente, organizzate a Stato, portatrici di quegli interni interessi che non trovano rappresentanza nella 133 46 Le complesse realtà di segno economico prospettate dal mercato richiedono oggigiorno al giurista contemporaneo di ricorrere al diritto quale strumento attraverso cui soddisfare la moltitudine sempre crescente delle mutevoli richieste e necessità che provengono dal mercato stesso, e ciò mediante l’adeguamento dei mezzi giuridici a disposizione o, all’occorrenza, anche facendo ricorso alla creazione di nuovi, al fine di adeguare l’elemento regolatore ad un regolato che si sostanzia in beni ed operazioni economiche sempre d’avanguardia. Certamente, la nuova lex mercatoria, proprio in quanto creata nello stesso ambiente del mercato, appare oggi agli operatori economici maggiormente idonea alla regolamentazione dei traffici, con la sua vocazione per l’uniformazione globale delle leggi che governano le transazioni e gli scambi135. La lex mercatoria consiste, pertanto, in un complesso di regole uniformi ed aventi una operatività di carattere internazionale le quali, come sopra ricordato, affondano le loro radici in un triplice fenomeno che si compone del complesso delle pratiche contrattuali adottate e poste in essere negli ambienti del commercio internazionale136; dei veri e propri usi del commercio internazionale137 nonché degli orientamenti consolidati della giurisprudenza delle societas mercatoria, ma progressivamente esautorate delle funzioni normative e di giurisdizione, oltre che di controllo dei flussi di ricchezza”. 135 Sul punto F. GALGANO, La globalizzazione nello specchio del diritto, Bologna, 2005, p.57, osserva che “la nuova lex mercatoria opera entro una realtà caratterizzata dalla divisione politica dei mercati in una pluralità di Stati; la sua funzione è di superare la discontinuità giuridica da questi provocata. Entro questa nuova lex mercatoria si dissolvono tanto i particolarismi giuridici delle codificazioni quanto, fenomeno ancor più significativo, le differenze fra il civil law e il common law”. 136 Ricorda F. GALGANO, in La globalizzazione nello specchio del diritto, cit., p. 58, come proprio dalla prassi del mercato globale siano venute emergendo, in modo del tutto spontaneo, certe figure negoziali ignote al nostro apparato normativo, si tratta di “molteplici modelli contrattuali, come il leasing, il factoring, il performance bond”, il quali sono stati “creati da operatori economici di un dato paese, sono stati recepiti dagli operatori economici di altri paesi, dando così vita a modelli contrattuali internazionalmente uniformi, resi legittimi rispetto ai singoli diritti nazionali dal principio, vigente in ciascuno di essi, della autonomia contrattuale”. Tali modelli negoziali, sorti dalla prassi, pur avendo incontrato all’inizio senza dubbio alcune difficoltà dinanzi ai giudici nazionali prima di essere riconosciuti idonei ad essere operativi nel nostro ordinamento, tuttavia hanno superato piuttosto agevolmente tale impasse soprattutto in conseguenza della circostanza per cui “ben difficilmente un giudice nazionale potrà ritenere invalido, applicando il proprio diritto nazionale, un modello contrattuale ovunque praticato e riconosciuto come valido e vincolante; ben difficilmente, quali che siano i contrari argomenti ricavabili dal diritto nazionale, egli sarà disposto a collocare il proprio paese in una situazione di isolamento rispetto al contesto internazionale al quale appartiene”, come Galgano stesso ivi osserva. Hanno contribuito alla forte diffusione di tali schemi negoziali anche le associazioni di categoria le quali, nel predisporre formulari di contratti per gli imprenditori, hanno aderito alle predette pratiche commerciali. Si tratta di modelli negoziali idonei ad essere operativi su scala mondiale, tale quale è il tenore delle attività di produzione, di distribuzione e, più in generale, di scambio che vengono posti in essere mediante tali negozi. 137 Gli usi del commercio internazionale sono altro rispetto alle pratiche commerciali, se si intende che queste ultime assumono una valenza normativa soltanto ove ed in quanto richiamate dalle parti contraenti nell’esercizio della loro autonomia negoziale. I primi consistono invece in regole, derivanti da comportamenti reiterati in capo agli operatori economici del mercato internazionale, che 47 camere arbitrali internazionali , nel momento in cui la ratio decidendi delle controversie, che gli arbitri internazionali sono chiamati con sempre maggiore frequenza a dirimere, acquista valore di precedente vincolante, al pari di quanto accade alle decisioni dei giudici nei Paesi di common law, proprio a causa della fisiologica struttura di tali ordinamenti nonché in modo non diverso da quanto sta accadendo, nel tempo presente, nei Paesi di civil law nei quali, pur essendo essi fisiologicamente privi della presenza delle sentenze nel novero delle fonti del diritto, tuttavia l’orientamento consolidato delle decisioni della Suprema Corte di Cassazione viene sempre più spesso richiamato tanto dai Giudici di merito, nella soluzione dei casi concreti, quanto da quelli di legittimità in sede di svolgimento della funzione nomofilattica138. Il processo, che è in atto, di globalizzazione dell’economia, cui fa eco la necessità di uniformare i precetti che governano lo svolgimento dei rapporti economici, attuato nella modalità derogatoria della sovranità del potere legislativo in capo agli Stati, a favore del proliferante esercizio del potere normativo da parte di soggetti ed istituzioni che non sono titolari del potere legislativo, nonché a favore della modalità pragmatica in forza della quale, per così dire, sorgono dal mercato stesso le regole che disciplinano il mercato, determina quella crisi del principio di nazionalità di cui lo sviluppo del fenomeno della lex mercatoria costituisce altissima espressione. Nel momento in cui un diritto di matrice non statuale assurge a sistema regolatore di rapporti aventi carattere sia interno sia trans-statuale, si comprende come possa essere in crisi il tradizionale ordine concettuale, fondato sulla equazione tra sovranità statale e nazionalità del diritto, cosa che ha significato per molti anni riconoscere che ogni complesso di regole appartiene ad una determinata nazione e che negare la molteplicità dei diritti nazionali determinerebbe la cancellazione dell’identità di ciascuna comunità nazionale di soggetti. L’eliminazione, o comunque il forte affievolimento, di tale assetto peculiare porterebbe a vedere il mondo non più come un insieme di Paesi ognuno dei quali avente una propria autonomia identitaria, che si esprime nell’avere ciascuno di essi una propria storia, proprie tradizioni, nonché un proprio insieme di regole volte a gli operatori stessi continuano ad osservare proprio nella convinzione di osservare un precetto giuridico. 138 Sul punto si veda A. CATANIA, Metamorfosi del diritto. Decisione e norma nell’età globale, Roma-Bari, 2008; G. ZACCARIA, La giurisprudenza come fonte del diritto, Napoli, 2007; ALPA G., La certezza del diritto nell’età dell’incertezza, Napoli, 2006; F. VIOLA – G. ZACCARIA, Le ragioni del diritto, Bologna, 2003. 48 disciplinare i rapporti tra i membri della collettività sociale, quanto piuttosto come una cartina geografica in cui i confini tra gli Stati sono sfumati, difficilmente visibili, con la conseguenza per cui non è possibile comprendere agevolmente dove inizi e dove finisca con esattezza la forma peculiare di ciascuno di essi 139. Del resto, i traffici commerciali di dimensione transnazionale e, per di più, mondiale richiedono proprio questo sforzo di uniformazione delle regole che presiedono tecnicamente allo svolgimento di essi. La lex mercatoria si pone come superamento del principio di esclusiva appartenenza del potere legislativo in capo a quegli organi dello Stato ai quali è demandato, per espressa disposizione della Carta costituzionale, l’esercizio di esso. Con la lex mercatoria, come si è ricordato, viene ad esistenza una sorta di ordinamento normopoietico, non statuale, che arriva anche ad avere dei propri giudici, contravvenendo così ai principi che dalla Rivoluzione Francese agli anni Ottanta hanno costituito l’immaginario collettivo non soltanto dei Paesi di civil law ma anche di quelli di common law. Alla crisi della matrice legislativa della fonte di produzione del diritto si accompagna la dilatazione dei confini dell’autonomia negoziale delle parti contraenti le quali, potendo scegliere liberamente quale debba essere il diritto applicabile al rapporto economico-giuridico che prende vita con la conclusione del contratto, nonché il diritto applicabile in sede di eventuali controversie che fra di esse potranno sorgere in sede di esecuzione del rapporto, fanno ricorso, talvolta alla legge di uno Stato terzo, ovvero di uno Stato al quale non appartenga nessuna delle parti contraenti; altre volte, scelgono, invece, la legge di un determinato Stato per la disciplina del rapporto di diritto sostanziale e la legge di un altro Stato quale legge processuale applicabile140. La presenza della clausola arbitrale nei contratti 139 G. DE NOVA, Contratti senza Stato (a proposito del Draft CFR), in Riv. dir. priv., 2008, 4, p. 667 ss., nell’inquadrare l’argomento del DCFR nella più ampia cornice dell’odierno fenomeno dei “contratti senza Stato”, alludendo a quella situazione in cui “l’autonomia privata avrebbe forza normativa tale da consentirle di non operare un inquadramento in un sistema ordinamentale”, passa in rassegna i richiami presenti nello stesso DCFR alle mandatory rules (norme imperative, quindi inderogabili), evidenziando come sia possibile parlare di “contratto alieno” non soltanto con riguardo ad un contratto internazionale ma anche per un contratto domestico. Sul punto amplius, ID., Il cotnratto alieno, Torino, 2008, passim. 140 Trattasi del fenomeno che F. GALGANO, La globalizzazione nello specchio del diritto, cit., passim, chiama “shopping del diritto”, esprimendosi in termini favorevoli nei confronti di esso (p. 88): “Non si dica che con lo shopping il diritto degrada a pura tecnica, che lo si astrae dalle civiltà che lo hanno generato. Si dica, piuttosto, che esso è espressione di cosmopolitismo e, perciò, di una più matura civiltà, non più stretta entro chiusi confini nazionali. Nella esasperazione del nazionalismo giuridico si deve, semmai, intravedere il tramonto della civiltà del diritto”. Egli pone inoltre in risalto, tra le peculiarità dello “shopping” del diritto, la capacità di questo fenomeno di dare un impulso al procedimento di armonizzazione e di avvicinamento delle legislazioni nazionali 49 commerciali internazionali è quasi fisiologica, con la conseguenza per cui, nel caso in cui si tratti di un arbitrato amministrato, può accadere che, qualora le parti non abbiano indicato nel contratto la legge sostanziale applicabile, siano gli arbitri stessi a scegliere quale diritto utilizzare per disciplinare il rapporto141. Da questo panorama emerge che alla crisi della sovranità dello Stato nel fare le leggi fa eco la crisi del potere giurisdizionale tradizionale, a causa del decentramento nelle mani dei proliferanti collegi arbitrali del potere di risolvere le controversie relative a contratti che danno vita a rapporti commerciali i cui confini eccedono quelli di un singolo Stato142. 6. Lo scenario interno entro il quale è chiamato a muoversi il giurista contemporaneo si presenta caratterizzato da un costante processo di armonizzazione ed uniformazione delle varie discipline giuridiche nazionali, a tal punto da permettergli di misurarsi con un vero e proprio “diritto privato europeo”, che è diritto di matrice interna, almeno per quanto riguarda la veste formale dell’attofonte, ma che nei contenuti costituisce espressione di regole, dettate a livello delle istituzioni comunitarie, al fine di attenuare il più possibile le differenze tra le varie dei vari Paesi europei, capacità che egli stesso intravede (p. 90) nella “competizione fra sistemi nazionali” che si instaura per effetto del meccanismo del “lex shopping”. 141 F. BENATTI, Arbitrato di equità ed equilibrio contrattuale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1999, 3, p. 837 ss., affronta l’argomento dell’assenza di un principio espressamente enunciato che assicuri l’equilibrio del contenuto del contratto. La materia coinvolge massimamente l’arbitrato in quanto si ricorre usualmente a tale strumento proprio a fronte di controversie dovute all’insorgere di situazioni di squilibrio tra le prestazioni in capo alle parti contraenti, in sede di esecuzione del contratto. L’Autore, nel sottolineare la carenza nel nostro ordinamento di strumenti volti a garantire il corretto svolgimento dell’operazione economica, ricorda le norme sull’incapacità naturale, quelle in materia di vizi della volontà e di rescissione, nonché l’eccessiva onerosità sopravvenuta e il meccanismo – peraltro non codificato - della presupposizione, lamentando l’assenza di una previsione di legge che esplicitamente si faccia carico di assicurare la giustizia dell’operazione negoziale sotto il profilo economico. Il frequentissimo ricorso all’arbitrato pone gli arbitri di fronte al problema di risolvere le situazioni di squilibrio economico del contratto attraverso l’equità, mediante la valutazione concreta dell’assetto degli interessi e dell’impatto che l’esecuzione della prestazione nei termini originariamente convenuti ha sulla sfera economica di ciascuno dei soggetti contraenti, realizzando un nuovo contemperamento degli interessi sulla base delle mutate condizioni economiche dei soggetti. 142 Tale assetto è dovuto ad una sostanziale inadeguatezza dei poteri sovrani nazionali rispetto ai problemi prospettati dal mondo dell’economica – globale. Osserva opportunamente sull’argomento P. MARIANI, Il leasing finanziario internazionale tra diritto uniforme e diritto internazionale privato, Roma, 2004, p. 23 che “se i sistemi di diritto privato organizzati a livello statale non sono adeguati a garantire la sicurezza degli scambi internazionali, l’unico attuale sistema alternativo per gli operatori commerciali è il sistema dell’arbitrato commerciale internazionale aperto all’applicazione della lex mercatoria. Per sottrarsi ai sistemi di giustizia nazionali le parti devono espressamente pattuire l’arbitrato, quale metodo di soluzione delle controversie, e fonti alternative ai diritti nazionali, quale diritto applicabile”. 50 normative nazionali143. Questo processo di armonizzazione è, per la verità, in atto tanto a livello europeo quanto a livello internazionale e mondiale, ed a quest’ultimo si ascrivono i Principi Unidroit. Richiamando qui quanto si è già detto in materia dei Principi Unidroit, ci si soffermerà ora sull’iter di armonizzazione che è in atto a livello europeo. Si tratta di una complessa attività che si inserisce all’interno di quel percorso ideale segnato in primo luogo dai Lavori compiuti dalla cosiddetta Commissione Lando, che ha elaborato i Principles of European Contract Law, con riguardo alla conclusione, alla validità, alla fase della produzione degli effetti nonché all’inadempimento del contratto. In una certa misura, si può dire che questi Principi rispecchino, a livello europeo, lo spirito e la funzione alla quale intendono assolvere, a livello internazionale, i Principi Unidroit. Entrambi i lavori nascono, infatti, quali raccolte di principi e regole in gran parte già presenti nei diversi Stati ma volte a rintracciare le soluzioni che meglio si adattino alle esigenze della contrattazione commerciale transnazionale. A tale filone si ascrive, sempre a livello europeo, anche il Common Frame of Reference: una sorta di “tool box”, venuto ad esistenza su iniziativa della Commissione, e contenente un insieme di principi ai quali fare ricorso come “legge opzionale” nella materia dei rapporti tra professionisti e consumatori144. Esso si inserisce, nel panorama del diritto europeo dei contratti, quale quadro comune di riferimento che racchiude principi, concetti e M.J. BONELL, v. Unificazione internazionale del diritto, cit., p. 720 detta, nell’incipit del suo autorevole contributo, la nozione di unificazione internazionale del diritto, la quale si sostanzia in “qualsiasi iniziativa diretta al superamento delle diversità esistenti tra due o più diritti nazionali tramite l’elaborazione di una disciplina uniforme, destinata a sostituirsi in tutto o in parte ai primi nella regolamentazione della materia interessata”. Egli rintraccia le quattro modalità attraverso le quali essa si compie, e precisamente: il piano legislativo, mediante l’adozione di convenzioni e leggi uniformi; il livello giurisprudenziale, che consiste nella applicazione ed interpretazione delle leggi uniformi in modo uniforme da parte dei giudici e degli arbitri; vi è poi l’unificazione dottrinale, che si colloca nel luogo dell’interpretazione del diritto uniforme dopo che questo sia stato approvato, sostanziandosi anche nel complesso di lavori che hanno portato all’elaborazione sia dei Principles of European Contract Law, sia dei Principles for International Commercial Contracts (meglio noti con il nome di Principi UNIDROIT), entrambi derivanti dalla sapiente attività di Commissioni formate prevalentemente da esponenti del mondo accademico; infine, l’unificazione contrattuale, la quale, come si osserva autorevolmente, benché “da tempo praticata”, tuttavia “soltanto in epoca relativamente recente apprezzata in tutta la sua importanza, è quella che si attua sul piano contrattuale, attraverso l’impiego, in occasione delle singole operazioni tipiche del commercio internazionale, di strumenti negoziali largamente diffusi a livello universale o sopraregionale”. 144 G. VETTORI, L’interpretazione di buona fede nel codice civile e nel Draft Common Frame of Reference (DCFR), in Riv. dir. priv., 2008, 4, p. 675 ss., nel ribadire che la regola generale presente nel Draft in materia di interpretazione consiste nel ricostruire la comune intenzione delle parti anche qualora essa differisca from the literal meaning of the words, con la previsione di criteri interpretativi anche per il caso in cui una parte abbia maggior potere contrattuale dell’altra, novità significativa ma non imprevedibile rispetto alle regole codicistiche in materia di interpretazione del contratto in generale, sottolinea la regola dell’interpretazione conforme ai diritti umani, nonché alle libertà fondamentali e alle tradizioni costituzionali, richiamando l’art. I- 1:102 DCFR in cui si prevede che tutte le disposizioni del medesimo devono essere interpretate in modo tale da garantire i diritti umani, le libertà fondamentali e le tradizioni costituzionali comuni. 143 51 regole generali volti ad apprestare un valido sostegno per le parti contraenti all’interno della contrattazione che si svolge nel settore del consumo, e finalizzati all’attuazione del processo di coordinamento e semplificazione dell’acquis communautaire nella predetta materia. Il Draft Common Frame of Reference assurge a strumentario concettuale e normativo da ritenere un valido punto di partenza per la revisione dell’acquis comunitario145. Si tratta di un testo predisposto da una Commissione anch’essa, come la Commissione che ha dato vita ai Principi Unidroit, di carattere accademico. La prima versione è stata pubblicata nel 2008 e nel 2009 sono state apportate alcune modifiche. Il primo approccio del giurista interno al Draft non è stato certamente pacifico, se si pensa che il giurista italiano è avvezzo a lavorare con lo strumento codicistico che presenta una sua peculiare sistematica, che risale all’epoca della stessa compilazione e che, malgrado abbia conosciuto significativi interventi di riforma nel settore della famiglia e delle successioni, per la materia delle obbligazioni e dei contratti non si sono verificati né sono attualmente in atto dei progetti ufficiali di riforma, contrariamente a quanto sta avvenendo in Francia146 e in Spagna147. Con l’eccezione dell’introduzione della normativa consumeristica, che soltanto in un primo momento ha fatto parte dell’impianto codicistico, per confluire poi in un testo di legge autonomo, si può dire che l’impalcatura del diritto interno delle G. ALPA – G. CONTE, Riflessioni sul progetto di Common Frame of Reference e sulla revisione dell’Acquis Communautaire, in Riv. Dir. civ., 2008, p. 141 146 G.B. FERRI, L’avant-projet di riforma dei Titoli Tre e Quattro del Libro Terzo del Code Civil, in G.B. FERRI – P. SPADA (a cura di), L’avant-projet Catala, Milano, 2008, pone in evidenza il passaggio da una codificazione incentrata sulla proprietà ad una imperniata sulla figura dell’impresa, elemento che si può rilevare anche nel Codice civile italiano del 1942, indice sintomatico della progressiva centralità che i traffici commerciali vanno assumendo nel panorama della normativa giusprivatistica. In Francia, il progetto di riforma del Code civil avente ad oggetto i libri terzo e quarto, presentato nel settembre 2005, è la concreta risposta all’esigenza di rinnovamento della materia dei contratti, avvertita dall’illustre studioso quale “apprezzabile tentativo di suggerire, in materia, un ordine concettuale di un certo rigore che consente di razionalizzare le tante sollecitazioni che provengono dalle esperienze dottrinali e soprattutto giurisprudenziali” (p. 15). J. BEAUCHARD, Le projet de reforme du code civil français, in Eur. dir. priv., 2006, 3, p. 913, nel soffermarsi sulle novità introdotte con tale progetto, quale la creazione della figura dell’”obligation de donner à usage”, considerando che “ce droit des obligations en est modernisé. Ce que l’on peut regretter en revanche, c’est le parti, volontarie, d’accentuer le particularisme de certaines solutions ou exceptions françaises, se démarquant ainsi des solutions comune dégagées par le Principes européen, comme de celles des droits voisins” (p. 915). 147 S. SCHIPANI, Il codice civile spagnolo come ponte fra sistema latinoamericano e codici europei (il rinvio ai principi generali del diritto), in Riv. dir. civ., 1994, 2, p. 359 ss., nel ripercorrere i momenti salienti della codificazione spagnola, ricorda come la riforma del 1973 abbia dato maggiore risalto alla operatività dei principi generali, richiamando il nuovo art. 1 del codice che dispone che “las fuentes del ordenamiento juridico espanol son la ley, la costumbre y los principios generales del derecho”. Volendo raffrontare questa innovazione del codice civile spagnolo con il tenore del vigente codice italiano emerge come nel nostro ordinamento, malgrado la indiscussa operatività dei principi generali, per il tramite delle clausole generali, manchi alcun riferimento esplicito ad essi in sede di enunciazione dei pilastri del sistema giuridico. 145 52 obbligazioni e dei contratti sia rimasto essenzialmente invariato nel corso di questi quasi settanta anni di vigenza del Codice civile del 1942. Pertanto il nostro giurista è abituato a ragionare in termini di determinati principi, ad effettuare il collegamento tra la realtà concreta e la regola del diritto mediante il ricorso alle varie categorie codicistiche, a lui note, e percepisce la struttura del diritto del contratto secondo la sistemazione della materia che i Compilatori del 1942 hanno operato. Si può ben comprendere perciò la confusione che, almeno in prima battuta, potrà rendere questo giurista preda della stessa, nel momento in cui, misurandosi con il Draft, egli, aduso a ricercare il contratto nel Titolo II Libro IV, in quanto esso è la fonte principale delle obbligazioni (il riferimento è agli artt. 1173 e 1321 cod. civ.), scoprirà piuttosto che nello stesso Draft le regole concernenti il contratto sono anteposte a quelle sulle obbligazioni. E’, poi, nel Draft espressamente disciplinato il trust, strumento giuridico di derivazione anglo-sassone che ha trovato ingresso, a fatica, nel nostro ordinamento soltanto quale istituto che si è recepito conformemente all’esigenza di adeguamento alle regole del diritto internazionale privato e, comunque, di diritto straniero, per quanto riguarda la disciplina sostanziale, dal momento che nel nostro sistema del diritto non vi è alcuna legge italiana che statuisca il regime giuridico per questo fenomeno 148, se si eccettuano le polemiche sulla portata del tenore della recente novella con la quale il legislatore ha effettuato una espressa previsione della possibilità, in capo ai soggetti privati, di dare vita a vincoli di destinazione per così dire atipici (art. 2645-ter)149. In un discorso incardinato sulla materia del contratto, ed in una prospettiva di, seppur breve, comparazione tra Codice civile e Draft, non si può omettere qualche considerazione sul significato di cui si riempiono oggi i sintagmi “autonomia negoziale” e “libertà contrattuale”. Sono due principi per i quali l’antico rapporto che li ha visti per anni correlati è stato posto in crisi da questo recente assetto Dall’epoca, peraltro non risalente, del recepimento di questo istituto di matrice anglo-sassone nel nostro ordinamento al momento odierno si riscontra una letteratura giuridica molto generosa sull’argomento, a fronte sia dell’interesse nutrito verso un fenomeno innovativo, sia delle molteplici problematiche sollevate in tema di compatibilità dello strumento qui richiamato con il dettato inderogabile del sistema interno del diritto, nonché degli svariati ambiti nei quali tale strumento può operare. Il recentissimo contributo di R. SARRO, Le risposte del trust: il trust spiegato in parole semplici e tramite esperienze di vita, Milano, 2010, passim, nel coniugare excursus storiche a profili pratici ed operativi del trust, mette bene in evidenza come questo istituto sia, proprio per la sua funzionalità, suscettibile di trovare applicazione in molteplici ambiti per la sistemazione dei propri interessi nella realtà economico-giuridica quotidiana, malgrado l’opinione corrente tenda ancora a guardare al trust come ad un “evento straordinario, non alla portata di tutti”! 149 Per una compiuta disamina critica sull’argomento si veda G. VETTORI (a cura di), Atti di destinazione e trust (art. 2645-ter cod. civ.), Padova, 2008, passim. 148 53 economico e giuridico che domina la scena mondiale. Se, infatti, storicamente il contratto ha rivestito il ruolo di strumento attraverso cui si esprime l’autonomia delle parti di regolare liberamente i propri affari ed interessi, rispetto alla quale lo Stato si fa da parte, in tempi recenti si è dovuta però considerare l’eccezione del caso in cui evidenti esigenze di tutela dell’interesse pubblico e delle categorie di soggetti deboli (si pensi al consumatore) ne richiedano un intervento (ed in questo caso si verifica un allontanamento dall’autonomia negoziale)150, attualmente si assiste al manifestarsi della libertà contrattuale come possibilità di dare vita ad “accordi regolati”, in cui l’autonomia negoziale delle parti contraenti si coniuga con l’intervento riequilibratore, a protezione dei soggetti deboli e degli interessi generali, effettuato ab esterno, non più, tuttavia, esclusivamente dal potere legislativo dello Stato, quanto piuttosto dalla fiorente produzione di codici di condotta, protocolli d’intesa e procedure negoziate, ad opera delle Autorità amministrative indipendenti, a cui sono da aggiungere le regole create dai tribunali arbitrali, nonché la prassi delle negoziazioni che assurge a strumento regolatore della contrattazione151. Le sorti della libertà contrattuale oggi sono connesse all’attuale complesso e congestionato panorama delle fonti del diritto, ciò che fa I limiti all’esercizio dell’autonomia negoziale tradizionalmente posti dal legislatore sono oggi sostituiti da una serie di divieti, volti a regolare ed arginare la libertà contrattuale entro binari prestabiliti dai modelli “prefabbricati” attraverso cui le parti sono solite attualmente giungere alla conclusione di un contratto. Non più quindi autonomia negoziale come potere di creare il contenuto del contratto, quanto piuttosto come mera facoltà di apportare le modifiche (che sia possibile compiere) ad un regolamento prestabilito. Ragionare in termini di divieti piuttosto che di limiti, in termini di facoltà di modificare piuttosto che di potere di creare, in ciò si ravvisa la forte distorsione dell’identità peculiare dell’autonomia negoziale nell’accezione in cui è stata accolta dai Compilatori del 1942. Il processo di armonizzazione o, addirittura, di uniformazione dei diritti nazionali postula la necessità che sia stilato un elenco di divieti condivisi, da rendere operativi nella sede delle contrattazioni, così da veicolare la libertà contrattuale in modo più netto rispetto a quanto si sia riuscito a fare fino ad ora mediante il mero ricorso ai principi generali quali quello di buona fede. 151 Sull’esigenza di effettuare un ripensamento del concetto di libertà negoziale, osserva G. ALPA, Autonomia delle parti e libertà contrattuale, in G. ALPA – G. IUDICA – U. PERFETTI – P. ZATTI (a cura di), Il Draft Common Frame of Reference del diritto privato europeo, Padova, 2009, p. 26 che “nel contesto del Draft “libertà contrattuale” e “autonomia delle parti” non hanno più il vecchio significato che si incentrava sui confini tra ciò che le parti avevano voluto e ciò che l’autorità poteva loro imporre (…)”, in quanto qui “il contratto è inteso come l’espressione dell’autonomia delle parti, la quale può essere incisa dall’esterno; libera dunque ma con i limiti disposti dai principi fondamentali, dalle clausole generali, dalle norme mandatory”. Fornisce una limpida visione del quadro entro cui oggi opera il giurista in sede di conclusione dei contratti G. DE NOVA, I contratti di oggi e la necessità di un elenco condiviso di divieti e di clausole vietate: a proposito di armonizzazione del diritto europeo dei contratti, in E. NAVARRETTA (a cura di), Il diritto europeo dei contratti fra parte generale e norme di settore, cit., p. 451, il quale, nell’incipit della sua prolusione, osserva che “nessuno oggi scrive contratti stendendo ex novo una serie di clausole che traducano gli accordi economici raggiunti dalle parti, e nessuno oggi scrive contratti pensando che la disciplina dei rapporti fra le parti sarà data, per il resto, dalla legge applicabile. Oggi i consulenti delle parti propongono emendamenti, soppressioni, aggiunte ad un testo contrattuale preesistente, elaborato nel tempo dalla prassi, testo che costituisce patrimonio comune dei consulenti di entrambe le parti, e che ha l’ambizione di regolare esaustivamente i rapporti fra i contraenti”. 150 54 avvertire indispensabile l’esigenza di ritrovare un ordine in mezzo a tale congerie di regole, ed in relazione a tale necessità sono da collocare i Lavori per l’elaborazione del Draft CFR, nel quale all’inizio del Libro II si trova la materia dei contratti, nella quale viene offerta la nozione stessa di contratto152. Questo costituisce tuttavia soltanto uno dei fronti su cui si muove il processo di armonizzazione a livello europeo, dal momento che accanto al cosiddetto “diritto comune europeo”, che è imperniato su un tentativo di condivisione di modelli e di categorie giuridiche ed al quale appartengono le due suddette iniziative (quella dei Principi Lando e quella del DCFR), si trova il cosiddetto “diritto privato europeo”, che si compone di tutte le Direttive adottate dalle Istituzioni comunitarie con lo scopo di elaborare corpi normativi che presentino lo stesso contenuto sostanziale negli ordinamenti interni dei vari Stati membri. Il settore nel quale tale intervento si è concretizzato al massimo grado è proprio quello dei contratti dei consumatori, cosa che si può ben comprendere se si tiene sempre a mente che lo scopo precipuo della Comunità Europea consiste nella creazione del mercato interno unico, perciò ne segue logicamente che l’ambito di ingerenza del “legislatore comunitario” abbia riguardo alla materia dei contratti153. La materia della contrattazione con i consumatori costituisce un punto molto delicato e rischioso per l’andamento del mercato, in quanto la posizione di fisiologica asimmetria informativa alla quale il consumatore stesso è esposto 152 V. ROPPO, Prospettive del diritto contrattuale europeo. Dal contratto del consumatore al contratto asimmetrico?, in Corr. Giur., 2009, 2, p. 267 ss., nel passare in rassegna le nuove fonti del diritto dei europeo dei contratti, che vanno dalle direttive comunitarie, ai regolamenti (si pensi al regolamento Roma I sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, che nella sostanza sostituisce la Convenzione di Roma del 1980), ai Principles of European Contract Law (PECL, elaborati dalla Commissione Lando) e al Draft Common Frame of Reference (DCFR), invita a meditare sulla possibilità di ricostruire una categoria contrattuale unitaria che comprenda, stavolta, anche il contratto asimmetrico, o se piuttosto quella del cosiddetto “terzo contratto” si avvia ad assurgere ad autonoma categoria negoziale. E. GABRIELLI, Il contratto e l’operazione economica, in Riv. dir. civ., 2003, I, p. 93-96, fornisce una succinta ricostruzione del panorama del diritto dei contratti, ponendo in risalto come, in un assetto caratterizzato dall’incessante proliferare di forme di regolamentazione degli interessi privati, quale quello odierno, non ci si possa più concentrare sulla nozione di contratto, quanto piuttosto su quella di operazione economica, procedendo, poi, col rintracciarne la definizione in “una sequenza unitaria e composita che comprende in sé il regolamento, tutti i comportamenti che con esso si collegano per il conseguimento dei risultati voluti, e la situazione oggettiva nella quale il complesso delle regole e gli altri comportamenti si collocano, poiché anche tale situazione concorre nel definire la rilevanza sostanziale dell’atto di autonomia privata” (p. 95). 153 55 comporta un alto livello di rischio circa il potenziale verificarsi di pregiudizi alla “efficienza allocativa del mercato”154. La generosa produzione normativa di matrice comunitaria porta con sé due interrogativi: il primo, quello concernente il problema dei rapporti tra tali regole e le norme contrattuali generali contenute nel Codice civile del 1942; il secondo, imperniato sull’indagine circa i limiti oltre i quali non si può spingere l’esercizio delle competenze legislative da parte delle Istituzioni dell’Unione155. Con riguardo al primo quesito, è opportuno abbandonare l’approccio fondato sul criterio di specialità, secondo la ricostruzione dell’argomento che si è operata supra, a favore di un’impostazione fondata sulla tecnica della armonizzazione, tale per cui il primato applicativo delle norme di settore sulla parte generale codicistica non è segnato da un rapporto di specialità – residualità, e quindi non avviene sempre né tanto meno necessariamente, quanto piuttosto deve essere indagato di volta in volta sulla base dei concreti interessi che si devono tutelare, e su una valutazione effettiva della norma che sia maggiormente idonea ad essere applicata a quella fattispecie, in una prospettiva, per così dire, di “compenetrazione applicativa” delle norme tradizionali con quelle di matrice comunitaria, secondo un’attività ermeneutica del giudice fondata in ogni caso sulla lettura del diritto squisitamente interno in chiave non contrastante con i precetti di derivazione comunitaria156. La risposta al secondo quesito ha riguardo all’individuazione dei limiti ai quali il processo di armonizzazione è in concreto sottoposto. Tali limiti si rintracciano nello stesso tenore testuale del Trattato di Roma, nel quale le competenze legislative della Comunità Europea trovano la loro ratio essendi soltanto laddove esse siano volte a dettare regole a tutela dell’assetto del mercato, in modo tale da evitare il verificarsi di fallimenti all’interno dello stesso. Si comprende, così, il significato degli Sul punto si veda amplius P. SIRENA, La dialettica parte generale – parte speciale nei contratti stipulati con i consumatori, in E. NAVARRETTA (a cura di), Il diritto europeo dei contratti fra parte generale e norme di settore, Milano, 2007, p. 494. 155 V. ROPPO, Sul diritto europeo dei contratti: per un approccio costruttivamente critico, in Eur. dir. priv., 2004, p. 459, nell’interrogarsi intorno agli effetti positivi del diritto comunitario sul diritto interno, esprime la sua posizione affermando che “l’impatto del diritto europeo sui diritti nazionali, a tutta prima anche scioccante, può essere la scossa salutare che spinge l’interprete domestico a rivisitare il proprio stesso sistema, uscendo dalla pigrizia delle idee ricevute e sottoponendo a revisione anche quelli che si presentano come punti fermi della tradizione giuridica interna”. 156 S. MAZZAMUTO, Il diritto civile europeo e i diritti nazionali: come costruire l’unità nel rispetto delle diversità, in Contr. impr./Eur., 2005, p. 523 ss., rintraccia, sul piano dei profili rimediali delle vicende del rapporto contrattuale, l’elemento evolutivo rispetto alle tendenze pregresse nel rilievo per cui gli interventi normativi di settore, di matrice comunitaria, non sono tanto tesi ad attribuire rilevanza giuridica a determinati interessi quanto piuttosto a realizzare quella tutela individuale dei soggetti che si svolge anche attraverso il meccanismo rimediale. 154 56 interventi normativi afferenti alla sola materia del consumatore e di quelli relativi ai contratti stipulati nell’ambito di una specifica attività imprenditoriale (si pensi al credito al consumo157). In una prospettiva di armonizzazione tra diritto di matrice comunitaria e diritto interno, sorge l’interrogativo in merito alla possibile operatività, per il diritto comunitario, del principio di effettività. Se il concetto di effettività, letto in chiave giuridica, si sostanzia nella connessione tra la disposizione di legge che viene dettata e il tessuto sociale in cui essa viene sentita come vincolante ed alla quale, pertanto, si conforma il contegno della stessa compagine sociale, occorre osservarne l’operatività in un assetto interno caratterizzato dalla compresenza di regole domestiche tanto nella forma quanto nel contenuto e di regole le quali, pur avendo la veste formale delle fonti nazionali di produzione del diritto, tuttavia sono esogene per quanto concerne gli aspetti sostanziali. Del resto, una volta che si ammetta che “il principio di effettività guarda al momento finale del processo applicativo del diritto”158, si potrà comprendere come esso vada ad investire il diritto comunitario, in quanto quest’ultimo si inserisce nel panorama delle fonti del diritto interne159. Il 157 G. CARRIERO, Il credito al consumo, in Studi in onore di Nicolò Lipari, cit., I, p. 359, nell’incipit del suo contributo, nel definire il credito al consumo secondo la prospettiva funzionale, qualificandolo “un importante canale di finanziamento attraverso cui la domanda di beni può essere soddisfatta oltre il limite di reddito del richiedente mediante differimento temporale dei pagamenti”, ne mette in luce l’idoneità ad formare oggetto della normazione comunitaria, la quale si è poi in concreto realizzata con la direttiva in materia. In una prospettiva europea incentrata sull’agevolazione agli scambi commerciali non è del resto sorprendente riscontrare massivi interventi da parte del legislatore comunitario nel settore dei finanziamenti, in particolare nell’ambito dei contratti di vendita di beni di consumo. Sul punto cfr. la ricostruzione fornita da R. CLARIZIA, Codice del Consumo e contratti di finanziamento, in Scritti in onore di Nicolò Lipari, cit., p. 440-445. Per una analisi accurata della direttiva 2008/48/CE, contenente la disciplina dei contratti di credito dei consumatori cfr. G. DE CRISTOFARO (a cura di), La nuova disciplina europea del credito al consumo, in R. CALVO – A. CIATTI – G. DE CRISTOFARO (coordinata da), Principi regole e sistema. Biblioteca di diritto privato, Torino, 2009, in cui, in particolare F. MACARIO, Il percorso dell’armonizzazione nel credito al consumo: conclusione di un iter ultraventennale?, p. 2., mostrandosi consapevolmente sensibile verso il “ruolo particolarmente forte” svolto dal “fenomeno consumeristico”, evidenzia come la disciplina del credito al consumo costituisca contemporaneamente “uno strumento di tutela del consumatore quale parte debole del rapporto, ma anche un elemento propulsivo e incentivante, o alternativamente, disincentivante nell’erogazione del credito in questa forma, sicché a fondamento di una qualsiasi regolamentazione dell’attività (…) rimane l’opzione politico-economica sulla spinta da dare (o non dare) all’indebitamento del consumatore”. In particolare, sul punto del nesso di causalità esterna che lega il negozio di finanziamento con quello dell’acquisto, aspetto peculiare del credito al consumo, si veda F. NAPPI, Profili della disciplina del credito al consumo. La rinegoziazione dei mutui ex art. 3 l. 24 luglio 2008 n. 126, in Banca borsa tit. cred., 2010, 1, p. 24 ss. 158 In tali termini si esprime N. LIPARI, Il problema dell’effettività del diritto comunitario, in SOCIETA’ ITALIANA DEGLI STUDIOSI DEL DIRITTO CIVILE, Diritto comunitario e sistemi nazionali: pluralità delle fonti e unitarietà degli ordinamenti. Atti del 4° Convegno Nazionale 1617-18 aprile 2009 Grand Hotel Quisisana – Capri, Napoli, 2010, p. 637. 159 Sul punto si sofferma criticamente anche L. MENGONI, Note sul rapporto tra fonti di diritto comunitario e fonti di diritto interno degli Stati membri, in N. LIPARI (a cura di), Diritto privato europeo, cit. , p. 25 57 problema dei rapporti tra ordinamento interno ed ordinamento comunitario è antica questione, che, nell’alternativa tra il ritenerli due ordinamenti autonomi o piuttosto un unico ordinamento, si è risolta nell’opzione che ne risolve i rapporti in chiave di armonizzazione, che comporta l’integrazione dell’ordinamento squisitamente interno con le regole di matrice europea. Il processo di integrazione tra questi due ordinamenti si muove non soltanto sul piano delle fonti del diritto, ma anche sul terreno della giurisprudenza, ove si riconosce valore di precedente vincolante alle pronunce della Corte di Giustizia CE. Nella sostanziale compenetrazione dei due ordinamenti, si è autorevolmente osservato160 che si debba guardare all’effettività in quell’attività del giudice nazionale il quale è chiamato a compiere l’interpretazione161 del diritto interno in modo conforme alle norme del diritto comunitario162. 7. L’iter di sostanziale livellamento e tendenziale uniformazione delle normative domestiche volte a regolare molteplici vicende intersoggettive, così che lo svolgersi di tali rapporti avvenga alle medesime condizioni nei vari ordinamenti giuridici, porta con sé l’esigenza, avvertita già da tempo, di individuare, per poi fornirne una esplicitazione formale, un nucleo di principi inviolabili e di diritti fondamentali validi per tutti gli ordinamenti, ai quali accordare tutela a livello interno e comunitario163. Tale consapevolezza, giunta peraltro ad età matura ai giorni nostri, si è concretizzata in una serie di iniziative e lavori i quali, benché pregni della coscienza della attuale impossibilità in seno all’Unione europea di approntare gli strumenti e le modalità di tutela che sono invece forniti dalle Carte costituzionali dei vari Paesi, sono sfociati nell’adozione del Trattato di Lisbona che, nel consegnare il progetto per una Costituzione europea ancora essenzialmente alle intenzioni, da questa trae tuttavia in grandissima parte i propri contenuti sostanziali. Il testo del Trattato, nell’apportare modifiche al Trattato sull’Unione europea e al Trattato istitutivo della Comunità europea (che viene, con tale Trattato di riforma, N. LIPARI, Il problema dell’effettività del diritto comunitario, cit., p. 641. A. LUMINOSO, L’interpretazione del diritto privato comunitario (Regole e tecniche), in V. SCALISI (a cura di), Scienza e insegnamento del diritto civile in Italia, Milano, 2004, p. 276; nonché E. RUSSO, L’interpretazione dei testi normativi comunitari, in G. IUDICA – P. ZATTI, Tratt. dir. priv., Milano, 2008, p. 263 162 Sull’argomento del principio dell’interpretazione conforme si veda in particolare V. COLCELLI, Sistema di tutele nell’ordinamento giuridico comunitario e selezione degli interessi rilevanti nei rapporti orizzontali, in Eur. dir. priv., 2009, 2, p. 557 163 Sul punto si veda M. ROSS, solidarietà: un nuovo paradigma costituzionale per l’Unione europea?, in Riv. dir. sic. soc., 2009, 2, p. 239 160 161 58 denominato “Trattato sul funzionamento dell’Unione europea”), costituisce un intervento per l’efficace integrazione europea, procedendo così a rinforzare lo spirito democratico unitario che forse condurrà quasi alla “destatualizzazione” in forza della partecipazione all’Organizzazione sovranazionale unitaria (l’Unione Europea)164. In ogni caso, è indubbio che la tutela dei diritti fondamentali ora si svolge necessariamente sul duplice binario del “diritto costituzionale statale” (che, a nostro avviso, risulta essere un prepotente ossimoro laddove l’esigenza di tale specificazione sia dovuta alla possibilità dell’opzione alternativa del “diritto costituzionale non statale”) e del diritto affidato alle istituzioni comunitarie. Un ordinamento costituzionale si fonda fisiologicamente su un alveo di principi inviolabili e di diritti fondamentali, i quali fungono da criterio di orientamento e di delimitazione del margine di discrezionalità attribuito al legislatore. La Corte Costituzionale nella sentenza 1973 n. 183 ha affermato che le norme comunitarie non possono violare i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale interno né i diritti indisponibili della persona umana. Pertanto, se già da non breve periodo gli atti normativi comunitari sono idonei ad apportare modifiche al diritto interno, tuttavia essi non possono porsi in contrasto con quel nucleo di principi e diritti, propri dell’ordinamento costituzionale, che non può essere in alcun modo intaccato. Alla pronuncia della Consulta ne è seguita un’altra, quella del 1988 n. 1146, in cui tale impostazione è stata ribadita con maggiore vigore e determinazione, a presidio dei valori della Costituzione contro ogni eventuale ingerenza proveniente dagli ambienti comunitari. Di qui, la affermata consapevolezza della necessità di accordare tutela a tale schiera di principi anche a livello metastatale 165. Il processo di elaborazione di un diritto costituzionale comune europeo si fonda sui principi generali elaborati dalla Corte di giustizia CE, nonché su quanto contenuto nei vari trattati europei. L’indagine intorno ai rapporti tra quanto affermato dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Giustizia CE nella materia dei principi e dei diritti imprescindibili, integra la cosiddetta teoria dei “controlimiti”166, sintagma con cui si allude al novero di limiti opponibili da parte dei giudici costituzionali dei vari Paesi. 164 F.D. BUSNELLI, La faticosa evoluzione dei principi europei tra scienza e giurisprudenza nell’incessante dialogo con i diritti nazionali, in Riv. dir. civ., 2009, 3, 1, p. 287 165 E’ il cosiddetto fenomeno del costituzionalismo multilevel che domina la scena contemporanea. Sul punto si veda S. GAMBINO, Multilevel costitutionalism e diritti fondamentali, in Dir. pubbl. comp. ed eur., 2008, 3, p. 1144; nonché M. MEZZANOTTE, La ricerca della “better regulation” in un sistema di “multilevel governance”, in Rass. Parl., 2007, 4, p. 1073 166 A. RUGGERI, Tradizioni costituzionali comuni e controlimiti, tra teoria delle fonti e teoria della interpretazione, in Dir. pubbl. comp. ed eur., 2003, 1, p. 102 ss. 59 In assenza di una espressa elencazione, a livello comunitario, dei principi e dei diritti fondamentali da tutelare nel luogo sovranazionale, la garanzia di tali valori si svolge ancora sul terreno della simultanea partecipazione di più ordinamenti giuridici, nell’ottica di un necessario dialogo tra le Corti (Corti costituzionali dei vari Paesi e Corte di giustizia CE). Con la conseguenza per cui rimane impregiudicato il sindacato costituzionale delle norme comunitarie per contrarietà a principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale interno. Nella prospettiva dell’integrazione europea si inseriscono, in particolare, la Carta dei diritti e la Convenzione Europea dei Diritti Umani (CEDU)167. L’argomento dei diritti fondamentali non può più, pertanto, essere condotto sulla base del raffronto tra Codice civile e Costituzione, dal momento che la tutela civile dei diritti coinvolge oggi l’ambito comunitario168. 167 G. VETTORI, Carta dei diritti e Costituzione europea, in G. VETTORI (a cura di), Diritto dei contratti e “Costituzione” europea. Regole e principi ordinanti, Milano, 2005, p. 11, evidenzia il “passaggio da un’Europa dei mercati ad un’Europa dei diritti”, nel momento in cui si avvii al compimento il progetto di una Costituzione per l’Europa, non rinunciando ad esprimere curiosità verso il modo in cui verrà accordata tutela ai diritti fondamentali del soggetto in quanto persona, che non si esauriscono nelle libertà economiche di cui la libertà contrattuale costituisce un esempio. 168 A. PROTO PISANI, Note sulla tutela civile dei diritti, in Foro it., 2002, c. 165 60 Capitolo Secondo La posizione del giurista tra categorie e principi del diritto dei contratti SOMMARIO: 1. La categoria dei principi generali dell’ordinamento. L’ “invisibile presenza” 169 di concetti, categorie, principi. Voluta aporia del Legislatore del 1942 nel dettare nozioni e nel codificare i principi generali. (Rinvio al capitolo terzo per l’argomento delle attuali nozioni che trovano ristoro nella legislazione di settore). Le clausole generali. Intorno alla buona fede: cenni introduttivi. – 2. La buona fede: da strumento residuale a “signore della giustizia contrattuale”. Il superamento della buona fede a vantaggio dell’oggettivo assetto dell’operazione economica. Storia in breve della buona fede, dagli esordi domestici all’escatologia odierna nel quadro dell’armonizzazione europea. – 3. Analisi del principio consensualistico: pretesto per una disamina in chiave comparativa tra vendita cd. di diritto civile e vendita dei beni di consumo. – 4. Obblighi di informazione e principio di trasparenza. La pubblicità. – 5. Il principio di ragionevolezza. L’equità in materia di contratti: clausola generale, contenuto di un diritto, principio informatore della dinamica negoziale o categoria definitoria? – 6. L’equilibrio contrattuale: sopravvenienze e rimedi tra norme generali e Codice del consumo. “la categoria… strumento operativo, forgiato dall’interprete in termini sempre elastici e variabili”170. N. Lipari 1. La categoria dei principi generali dell’ordinamento giuridico viene tradizionalmente strutturata sulla base di concetti per i quali si pone il problema di reperirne la specificità semantica nonché il contenuto, andandolo necessariamente a ricercare in ambiti estranei al campo del diritto, per addentrarsi, così, nel tessuto sociale, prediligendo, al contempo, una accezione e nozione oggettiva di tali principi. L’ampio novero di situazioni che possono darsi nella concretezza della variegata compagine sociale, considerata nella sua complessità, e che trovano la loro necessaria disciplina all’interno dell’ordinamento giuridico, comporta che la struttura normativa presenti i requisiti della astrattezza e della generalità, in modo tale da essere in grado di trascendere tale predetta complessità171, dovuta alla molteplicità delle vicende che hanno luogo nella realtà effettiva, riuscendo, al tempo stesso, ad andare a disciplinarle attraverso un procedimento di sussunzione di queste ultime nella regola stessa, sulla base delle classi e categorie generali172. Si verifica, pertanto, uno “scambio continuo e crescente di informazioni tra sistema G.B. FERRI, L’”invisibile” presenza della causa, in Eur. dir. priv., 2002, p. 897 ss. N. LIPARI, Prolegomeni ad uno studio sulle categorie del diritto civile, in Riv. dir. civ., 2009, I, p. 515 ss. L’argomento viene affrontato successivamente dall’Autore in Categorie civilistiche e diritto di fonte comunitaria, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 1, p. 1 ss. 171 A. ROSS, Diritto e giustizia, Torino, 1965, p. 20, afferma che “La ricerca che si occupa del diritto in azione è detta sociologia del diritto, mentre quella che si occupa delle norme giuridiche è detta scienza del diritto”. 172 V. GUARNIERI, v. Clausole generali, in Dig., disc. priv., sez. civ., IV ed., II, Torino, 1988, p. 411 169 170 61 giuridico e ambiente sociale”173, dove il primo costituisce espressione del secondo, appartenendo fisiologicamente ad esso. Il ruolo svolto dai cosiddetti concettivalvola, quale la buona fede, all’interno dell’ordinamento giuridico, consiste proprio nel permettere una apertura dell’ordinamento a metri valutativi della realtà concreta che si riempiono del loro significato e contenuto sostanziale con una diversa peculiarità, a seconda del periodo storico nel quale essi sono operativi174. Si potrebbe, così, asserire che i concetti-valvola siano l’elemento di adeguamento dell’ordinamento alle contingenze della realtà sociale che vengono contestualizzate in un determinato momento cronologico. I concetti contenuti nelle clausole generali hanno una storia175, non sono una mera creazione della fase contemporanea176. Quel che risulta innovativo è, piuttosto, il diverso ruolo che essi sono chiamati a ricoprire, all’interno dell’ordinamento, ai giorni nostri. L’opzione del Legislatore del 1942 di spargere qua e là concetti-valvola177 in varie formulazioni normative del vigente Codice civile, senza peraltro fissarne le nozioni, corrisponde all’intuizione della necessità di non fare dell’ordinamento un “tutto esaurito” all’interno del dettato normativo espresso, poiché ciò si sarebbe rivelato fallace, se è vero che la “tenuta diacronica” di una norma è misura della capacità della stessa di adattarsi alle mutate esigenze della compagine sociale nella quale essa è effettiva, col passare del tempo178. Fra le varie clausole generali nelle quali il giurista si imbatte, quella della buona fede ricopre, in modo indiscusso, il ruolo di protagonista. Se, fin dai 173 M. BARCELLONA, Clausole generali e giustizia contrattuale. Equità e buona fede tra codice civile e diritto europeo, Torino, 2006, p. 12 174 E’significativa, al riguardo, l’osservazione di A. MUSIO, La buona fede nei contratti dei consumatori, Napoli, 2001, p. 17, secondo cui “il riferimento alla buona – o mala – fede nel nostro codice civile è effettuato circa settanta volte: questo dato numerico è stato sufficiente per convincere la dottrina dominante a ritenere quanto mai improbabile una ricostruzione unitaria di tale concetto”. 175 L. BIGLIAZZI GERI, v. Buona fede nel diritto civile, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., II, Torino, 1988, nel rintracciare i vari significati del principio di buona fede già a partire dal mondo romano, esordisce, nell’incipit dell’autorevole contributo, ricordando che “la buona fede rappresenta una costante nell’ordinamento giuridico italiano”. 176 L. MENGONI, Spunti per una teoria delle clausole generali, in Il principio di buona fede, in Atti della giornata di studio pisana, Milano, 1987, p. 5 177 A. MUSIO, La buona fede nei contratti dei consumatori, cit., p. 22, osserva che “l’inserimento nel nostro ordinamento della clausola generale della buona fede oggettiva fu accolto con un diffuso sentimento di sfavore da parte degli interpreti. Tuttavia, ciò non deve stupire dal momento che la sensibilità per la rilevanza di una clausola generale è il portato della cultura e delle scelte politicoideologiche di un’epoca. In effetti il predominio della cultura positivistica del secolo scorso, mirante a sottrarre ogni potere all’interprete, aveva condotto a considerare le clausole generali come una sorta di male minore. Esse venivano viste semplicemente come la riprova della coerenza e della completezza del sistema positivo capace da sé – fissando anche le eccezioni a conferma delle regole – di riassorbire gli scarti della realtà pur con un sacrificio rappresentato appunto dalla clausola generale”. 178 Per un approccio di carattere storico-critico all’argomento si veda amplius D. CORRADINI, Il criterio della buona fede e la scienza del diritto privato, Milano, 1970, passim. 62 suoi esordi all’interno della vigente codificazione, e per molto tempo nell’ambito della “storia della disciplina del contratto”, la clausola di buona fede è stata guardata alla stregua di un rimedio di carattere ultraresiduale, al quale fare ricorso il meno possibile, in quanto ritenuto, probabilmente, quasi un “fattore destabilizzante e sovversivo” di quella rassicurante tendenza a misurarsi con le norme che “non lasciano all’interprete tanto ampi margini di interpretazione”, sembrando, così, guidarlo ed accompagnarlo maggiormente nel suo delicato lavoro di adeguamento della formula testuale alla vicenda concreta179, mediante la trasposizione del concetto astratto in un risultato applicativo geneticamente inimitabile, a livello processuale180, nella sua specificità. Nel corso del tempo, l’emergere di innovative vicende socio-economiche, alle quali si sono accompagnati altrettanto nuovi schemi negoziali, privi, quindi, di una disciplina dettata a livello legislativo, ha dato un significativo impulso al ricorso, da parte dell’interprete, alle clausole generali, per dirimere le controversie insorte nell’ambito dell’esecuzione dei rapporti derivanti da tali contratti. Il fenomeno della atipicità negoziale, sul duplice terreno delle negoziazioni prettamente domestiche così come di quelle di respiro transnazionale, è valso a dimostrare, pertanto, l’importanza che rivestono i concetti-valvola, primo tra tutti quello di buona fede, in particolare nella sua accezione oggettiva che è operativa nella sedes dei contratti181. Le potenzialità della buona fede vengono dimostrate oggigiorno nel quotidiano svolgersi della fitta e assai complicata rete delle dinamiche negoziali che coinvolgono operatori commerciali ed anche operatori giuridici appartenenti ai più svariati Paesi, compiendo tale principio il proprio “lavoro a tempo pieno” nelle Corti nonché nei luoghi della giustizia extraprocessuale182. Attraverso la buona fede è possibile effettuare una sorta di livellamento e di accomunamento della posizione delle parti contraenti, le quali appartengono generalmente ad ordinamenti giuridici diversi, con la conseguenza L. NANNI, La buona fede contrattuale, Padova, 1988, apre l’Introduzione al suo lavoro con il considerare che “tra i grandi temi del diritto giurisprudenziale vi è senz’altro la funzione creativa svolta dai giudici nel dare contenuto alla clausola generale di maggior rilievo nell’intero settore contrattuale”, aderendo, così, alla problematica della qualificazione in termini semantici e contenutistici del concetto di buona fede. 180 Sul punto si veda G. ALPA – N. BUCCICO, Il codice civile europeo, Milano, 2001, passim. 181 Nella materia dei diritti reali, è la stessa lettera della legge a preoccuparsi di riempire di significato il “contenitore” della buona fede, conferendo ad essa una accezione prettamente soggettiva, intesa quale “ignoranza di ledere l’altrui diritto, di cui all’art. 1147 c.c. Sul punto si veda G. GIAMPICCOLO, La buona fede in senso soggettivo nel sistema del diritto privato, in Riv. dir. comm., 1965, p. 165 182 V. SCALISI, Il nostro compito nella nuova Europa, in V. SCALISI (a cura di), Il ruolo della civilistica italiana nel processo della costruzione della nuova Europa, Milano, 2007, p. 24 ss., si sofferma sul ruolo del giurista nel mutato contesto nel quale egli si trova ad operare. 179 63 per cui le regole nazionali espressamente dettate per risolvere quella specifica controversia o non vi sono (si pensi ai contratti atipici) o portano a soluzioni ed assetti nettamente diversi a seconda che venga applicata la legge di uno Stato piuttosto che quella di un altro. Se si osserva, invece, la presenza del principio di buona fede, con le sue specificità all’interno degli ordinamenti dei vari Stati, è possibile accorgersi di come tale principio sia in realtà attivo in un vasto numero di Paesi, e presenti, nelle sue applicazioni, un significato piuttosto omogeneo, che si esprime sempre in una connessione tra la sfera di ciò che è disciplinato dalla legge e la dimensione dell’etica, propria del vivere sociale, considerata nella sua prospettiva diacronica. L’apertura dell’ordinamento alle istanze sociali, con la coscienza del tempo, si attua, così, mediante l’inserimento di “monadi del mondo dell’etica” in ciò che appartiene al giuridico183. La prospettiva attraverso cui si osservano i concetti-valvola restituisce allo sguardo una immagine dell’ordinamento in continua espansione, non soltanto tramite l’attività legislativa che potremmo definire ordinaria, ma anche attraverso le applicazioni del diritto ai casi concreti, malgrado formalmente non sia ancora avvenuta, nel nostro sistema giuridico, quella rivisitazione formale della gerarchia delle fonti del diritto in seguito alla quale venga preso atto, da parte della stessa lettera della legge, che le sentenze dei giudici appartengono già, di fatto, al novero delle prime. Ci si accorge, tuttavia, che l’operatività delle clausole generali, nel permettere l’apertura e l’integrazione dell’ordinamento con la realtà sociale, costituisce, da un lato, una forma di “autopoiesi normativa”184e, dall’altro, un sintomo della esigenza di eterointegrazione dell’ordinamento giuridico mediante l’apertura alla dimensione 183 Non è da trascurare come la presente stagione giuridica presenti tuttavia delle peculiarità che eccedono il semplice evolversi cronologico, determinando profonde fratture e discontinuità rispetto alla tradizione del diritto, come osserva U. BRECCIA, Contratto e comune quadro europeo. Note introduttive, in Annuario del contratto 2009, Torino, 2010, p. 12, “il diritto va ormai da tutti analizzato sullo sfondo di un orizzonte normativo che, in maniera difficilmente comparabile con altri tempi della storia, è mutevole e non lineare”. 184 M. BARCELLONA, Clausole generali e giustizia contrattuale, cit., p. 25, in cui l’autore afferma che “la prospettiva dell’autopoiesi normativa esclude, a sua volta, che la mera formazione giudiziaria del precetto possa essere così, di per sé, assunta a indice sufficiente di un’ineffabile discrezionalità giudiziale. Segnatamente, la comprensione dei concetti-valvola nella prospettiva della teoria sistemica è in grado di apprezzare la reale natura dell’integrazione normativa, per il loro tramite perseguita dall’ordinamento,e di tracciare misura e limiti della discrezionalità giudiziale, cui danno luogo. L’ ”autonomia”, che caratterizza specificamente il diritto moderno, risiede, innanzitutto, nell’indipendenza con la quale il sistema giuridico rielabora i problemi sociali. Nella loro trasposizione dall’ambiente sociale al sistema giuridico, i problemi, i conflitti vengono “artificialmente” ricostruiti ed autonomamente rielaborati. In questa rielaborazione il sistema giuridico si avvale spesso del linguaggio degli altri (sotto)sistemi e delle loro scienze; ma tale linguaggio, quando viene trasposto dall’ambito esterno all’ambito giuridico, subisce una ritrascrizione, che lo separa dal suo originario significato e gli attribuisce il senso proprio del contesto giuridico specifico nel quale è utilizzato”. 64 sociale, alla quale appartengono i precetti ed i valori dell’etica185. Se, quindi, le clausole generali costituiscono valvole di apertura dell’ordinamento giuridico verso l’esterno, si dovrà allora tenere sempre presente, nell’approccio a principi quali la buona fede, la intrinseca connessione tra diritto e società, anche quando la disamina di un tale argomento ci immetta nella più ampia questione circa la possibilità o meno di ricostruire la buona fede in chiave di valore costituzionalmente riconosciuto186. Come già si è accennato, l’argomento assume notevole rilevanza nella prospettiva del riconoscimento alla buona fede del ruolo di strumento attraverso cui l’interprete possa decidere le controversie, in determinati contesti. In tali circostanze, si registra una maggiore libertà ed autonomia dell’interprete nell’orientare la propria decisione, dal momento che egli non si limita ad individuare la norma da applicare al caso concreto, ma si spinge alla maturazione di una decisione che si fonda sulla sua prudente valutazione degli elementi e dei comportamenti di fatto che appartengono alla vicenda, verificandone lo svolgersi in ossequio o meno ai parametri oggettivi della lealtà e correttezza, facendo ricorso, quali metri valutativi, a modelli e standard di comportamento socialmente accettati e condivisi, idonei a fungere da criteri orientativi per la maturazione della decisione. Dall’analisi della struttura dell’ordinamento risulta possibile rintracciare una sorta di doppio binario che si articola sul duplice terreno della legislazione rigorosamente dettata nelle norme di legge “in senso stretto”, da un lato, ed in una legislazione fondata sui principi, dall’altro. A ben vedere, i principi generali assolvono anche ad un’altra funzione: essi si collocano come limiti che l’ordinamento fissa per l’autonomia privata187. Se il legislatore ha consegnato all’attitudine del giurista l’elaborazione di nozioni e categorie quali quella dei concetti giuridici indeterminati, dei concetti normativi, dei concetti di discrezionalità, delle clausole generali, certamente ha però compreso che il novero delle regole non poteva esaurirsi nell’ambito delle fattispecie di carattere meramente casistico188. Merita ricordare che la dottrina sulla natura e sul significato 185 Per una compiuta riflessione sul punto si veda C.M. BIANCA, Il processo di unificazione dei principi di diritto contrattuale nell’ambito dell’Unione europea, in G. VETTORI (a cura di), Materiali e commenti sul nuovo diritto dei contratti, Padova, 1996, p. 849 ss. 186 G. SICCHIERO, Appunti sul fondamento costituzionale del principio di buona fede, in Giur. It., 1993, I, 1, p. 2129 ss. 187 A. RICCIO, La clausola generale di buona fede è, dunque, un limite generale all’autonomia contrattuale, in Contr. Impr., 1999, 1, p. 21 188 Una chiara esposizione di tali nozioni ci è fornita da A. GUARNIERI, v. Clausole generali, in Dig. Disc. priv. sez. civ., II, Torino, 1988, p. 403, ove l’Autore osserva, in particolare, come la peculiarità delle clausole generali consista, proprio per la loro indeterminatezza semantica, nel 65 da attribuire alle clausole generali è assai generosa, essendosi da alcuni ritenuto che tali clausole integrino una sorta di opzione, di alternativa alle regole di diritto scritto, laddove quest’ultimo presenti dei limiti, in forza del rinvio a standard di condotta; da altri, al contrario, si è escluso ogni rinvio ai comportamenti reiterati nel tessuto sociale ed in esso sedimentati, preferendosi piuttosto guardare alla clausola generale come ad una norma che apre il sistema ai valori propri della collettività organizzata cui essa appartiene189. Nel contesto contemporaneo, in cui il ricorso, molto frequente, alle clausole generali permette non soltanto la soluzione di controversie legate a fattispecie che esulano dalla casistica contenuta nella legge “dettata senza lasciare margini all’interprete”, ma anche di operare l’ambìto avvicinamento delle varie legislazioni nazionali, occorre ripercorrere la distinzione tra clausole generali e principi generali dell’ordinamento, malgrado l’individuazione del limes costituisca, da molti anni, un tentativo di ricerca piuttosto che un approdo incontrovertibile190. I principi generali si presentano al giurista in via aprioristica, costituendo il substrato delle previsioni di legge attraverso le quali essi trovano attuazione. Le clausole generali, invece, se, da un lato, sono contenute in disposizioni di legge, dall’altro, costituiscono esse stesse attuazione dei principi generali. Della buona fede sono state fornite, nel corso degli anni, svariate ricostruzioni, essendo in essa ravvisato, da alcuni, un principio di lealtà reciproca che si fonderebbe sulla necessaria presenza di presupposti etici nello svolgersi delle relazioni inter singulos aventi il crisma della giuridicità; da altri, la funzione eterointegrativa della buona fede ha permesso di esprimersi, con riguardo ad essa, in termini di principio generale dell’ordinamento, accostandolo al principio di solidarietà191 di cui all’art. 2 Cost. ed all’art. 12 secondo comma disp. prel. cod. civ. Ciò che vale, in via generale, ad identificare un principio è il carattere aprioristico della formulazione dell’enunciato, suscettibile di assurgere a cornice entro cui si regolare molteplici fattispecie concrete, così da colmare le lacune delle regole a fattispecie ben determinata. 189 C. CAMARDI, Tecniche di controllo dell’autonomia contrattuale nella prospettiva del diritto europeo, in Eur. dir. priv., 2008, 4, p. 831 190 G. ALPA, Il diritto giurisprudenziale e il diritto “vivente”. Convergenza o affinità dei sistemi giuridici?, in Sociologia dir., 2008, 3, p. 47 191 E. BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, Milano, 1955, passim, qualifica l’obbligo di buona fede in termini di “impegno di cooperazione”, “spirito di lealtà”, “attiva cooperazione”, “rispetto reciproco dei contraenti”. Contra S. RODOTA’, Appunti sul principio di buona fede, in Foro pad., 1964, I, p.1285 ss., tratta la buona fede alla stregua di una clausola generale, che assume rilevanza in quanto inserita nel novero delle fonti di integrazione del contratto, con la funzione di correggere l’assetto di interessi divisato dalle parti contraenti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale. 66 inscrive un ampio novero di specifiche disposizioni di legge che ne costituiscono espressa applicazione, nonché di pronunce giurisprudenziali che risolvono fattispecie concrete alla luce di esso. La tendenza, che si registra nel momento contemporaneo, al ricorso ad una “legislazione per principi” contiene in sé un dato essenziale: la consapevolezza che “i principi si possono rendere relativi, senza con questo cessare di essere validi”, mentre “le regole, o sono integralmente applicate o sono violate”192. I principi generali dell’ordinamento intervengono a colmare le lacune che le regole di legge espressamente dettate possano presentare in sede di soluzione di una vicenda concreta. I principi richiamati nell’art. 12 disp. prel. cod. civ. sono quelli tradizionali, elaborati nella veste di elementi che garantiscono e rappresentano il fondamento unitario dell’ordinamento giuridico, laddove le aporie delle regole specifiche necessitino di essere supplite in sede di regolazione delle multiformi vicende sociali. Per perseguire tale funzione, la struttura dei principi si presenta aperta, in quanto rinvia ad elementi esogeni alla sfera giuridica, da rintracciarsi nel tessuto sociale. Sono strumenti che assicurano l’apertura del sistema giuridico193, per il tramite attuativo delle clausole generali194. 2. La clausola generale di buona fede195 necessita, nel contesto contemporaneo, di una rivisitazione critica196. Essa conosce, nel quadro del contingente “spirito di armonizzazione”, dal quale è pervasa la materia dei contratti, una notevole valorizzazione, ricoprendo, in modo particolare, il ruolo di strumento che permette lo svolgersi delle negoziazioni tra soggetti diseguali, spesso appartenenti ad ordinamenti giuridici diversi, riuscendo ad attuare il compito di tutelare la posizione 192 G. ZAGREBELSKY, Intorno alla legge. Il diritto come dimensione del vivere comune, Torino, 2009, p. 102. L’Autore pone in risalto l’idoneità dei principi ad attuare il processo di “integrazione sociale”, in quanto “essi non producono un’unità staticamente realizzata, ma un’unità da realizzarsi sempre di nuovo, dinamicamente” (p. 104). 193 R. COOTER – U. MATTEI – P.G. MONATERI – R. PARDOLESI – T. ULEN, Il mercato delle regole, Bologna, 2006, p. 138 194 L. MENGONI, Spunti per una teoria delle clausole generali, in Il principio di buona fede. Giornata di studio. Pisa, 14 giugno 1985, Milano, 1987, p. 9 ss., nel considerare che le clausole generali non sono né norme di carattere generale, in quanto non sono strutturate secondo la sequenza fattispecie-comando che è propria della norma generale, né principi generali, in quanto, a differenza di questi ultimi, esse non sono principi nati per via deduttiva, quanto piuttosto “norme incomplete”, le quali “impartiscono al giudice una misura, una direttiva per la ricerca della norma di decisione” (p. 10), attraverso cui è possibile all’interprete elaborare una regola per decidere su una controversia in concreto. 195 Sul punto si veda compiutamente S. ROMANO, v. Buona fede, in Enc. dir., V, Milano, 1959, p. 683. 196 M. BARCELLONA, La buona fede e il controllo giudiziale del contratto, in S. MAZZAMUTO (a cura di), Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, Torino, 2002, p. 324, il quale evidenzia l’importanza della buona fede quale strumento attraverso cui intervenire sull’equilibrio economico del rapporto che ha origine con il contratto. 67 del contraente debole197. Emerge, pertanto, come gli odierni confini della buona fede si stiano dilatando198, con un risultato che appare quasi diametralmente opposto alla situazione che ha visto coinvolto tale principio nel periodo immediatamente successivo all’entrata in vigore del Codice civile del 1942199. Nel vigente contesto, di respiro transnazionale, alla buona fede è demandato il compito di tutelare il ragionevole affidamento200 di ciascuno dei contraenti nei confronti del vincolo negoziale, che risulta ormai costituire, in modo soltanto parziale, espressione dell’incontro delle volontà dei soggetti che lo pongono in essere, se si pensa che nei Principi di diritto europeo dei contratti elaborati dalla Commissione Lando si può leggere all’art. 2:102 che “la volontà di una parte di vincolarsi giuridicamente è quella che si ricava dalle dichiarazioni e dalla condotta di essa così come sono state ragionevolmente comprese dall’altra parte”. Ne deriva un panorama anomalo rispetto a quello al quale si è tradizionalmente avvezzi: in un’ottica di rottura con l’impostazione usuale, occorre acquisire la capacità di guardare a questa nuova serie di dinamiche negoziali, per così dire asimmetriche, abbandonando l’idea che i soggetti che si accingono a dare origine ad un vincolo contrattuale siano entrambi soggetti attivi, ed aventi pari potere di influenzare il contenuto del contratto201. Al contrario, l’innovazione si coglie proprio nella circostanza per cui ci si trova in presenza di un soggetto che predispone unilateralmente le regole che governano le fasi salienti del rapporto negoziale, rispetto alle quali l’altro contraente si limiterà ad accettarle o meno 202. L’adesione di quest’ultimo al contratto si fonda sul ragionevole affidamento che egli stesso abbia fatto, in ossequio alla regola di buona fede, sui comportamenti e sulle 197 M. GRONDONA, Solidarietà e contratto: una lettura costituzionale della clausola generale di buona fede, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2004, p. 727. 198 Risulta interessante la ricostruzione della buona fede fornita da L. BANDINELLI, L’evoluzione interpretativa della clausola generale di buona fede nella dinamica del comportamento contrattuale, in Rass. dir. civ., 2004, p. 661. 199 S. RODOTA’, Le fonti di integrazione del contratto, op. cit., passim. 200 S. TROIANO, I riferimenti alla “ragionevolezza” nel diritto dei contratti: una prima classificazione, in Obbl. contr., 2006, p. 209, evidenzia che il criterio della ragionevolezza, così come configurato nelle sue connotazioni applicative, “pare evocare quelle esigenze di equilibrio economico e normativo nonché di giustizia contrattuale che trovano normalmente collocazione, nella tradizione italiana, in alcune utilizzazioni del criterio dell’equità e, almeno in parte, anche della buona fede”, ricordando come nella Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili la correttezza sia invocata implicitamente laddove si dispone che la parte venga dispensata dalle spese irragionevoli o dai costi irragionevoli per la conservazione o la vendita delle merci, ponendo in luce “il significato del ragionevole come criterio di equilibrio e di proporzionalità” (p. 209). 201 A. DEL FANTE, Buona fede prenegoziale e principio costituzionale di solidarietà, in Riv. dir. civ., 1983, p. 156 ss. 202 A. DI MAJO, La buona fede correttiva di regole contrattuali, in Corr. Giur., 2000, p. 1479 ss. 68 dichiarazioni del primo, che vengono, così, ad incidere massimamente sull’evento della conclusione del contratto203. La sensibilità del giurista potrà avvertire agevolmente in ciò uno spostamento dalla dimensione soggettiva del contratto alla sua oggettività, una volta ancorato il momento dell’accordo non più all’incontro delle volontà delle parti contraenti, quanto piuttosto a quel binomio manifestazione – affidamento con riguardo al quale si colloca l’operatività dello stesso principio di buona fede204. Il quadro appena delineato conduce a rilevare la progressiva riduzione dell’ingerenza dei soggetti privati nella previsione e nella regolamentazione degli effetti del contratto al quale essi danno origine205. E lo stesso contenuto del contratto è suscettibile di subire modifiche ed alterazioni, in una fase successiva rispetto a quella del perfezionamento dello stesso, proprio in forza dell’operatività del canone di buona fede, al quale fa ricorso il giudice in sede di integrazione e di adeguamento del regolamento negoziale nella sua fase esecutiva, a tal punto da potersi registrare un progressivo indebolimento della volontà individuale nell’iter di determinazione degli effetti negoziali206. Dalla politica di armonizzazione delle legislazioni e dal lavoro volto a fornire una normativa uniforme per i contratti a livello non solo europeo ma anche internazionale, emerge come al predetto indebolimento della autonomia negoziale in sede di formazione del contenuto del contratto si accompagni il progressivo rafforzamento del ruolo che svolgono le clausole generali nelle varie fasi relative alla vicenda negoziale, da quella che precede il raggiungimento dell’accordo a quella di esecuzione del rapporto che trova la propria origine nello stesso contratto. Volendo riassumere in una frase i tratti salienti dell’odierno panorama dei contratti, 203 C.M. BIANCA, La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale, in Riv. dir. civ., 1983, p. 209 204 S. FORTUNATO, Clausole generali e informazione contabile fra integrazione giurisprudenziale e integrazione professionale, in Contr. e impr., 2010, 2, p. 477 ss. evidenzia l’ultraoperatività delle clausole generali in molteplici settori dell’ordinamento, emblema della necessità di costante adeguamento della legge alle esigenze di una realtà economica e sociale in incessante divenire, mettendo in luce come anche nell’ambito dell’informazione contabile societaria trovi applicazione il sistema per clausole generali che è diffuso nella materia delle obbligazioni e dei contratti. 205 F. GALGANO, Le forme di regolazione dei mercati internazionali, in Contr. e impr., 2010, 2, p. 353 ss., tratta l’argomento della regolazione dei mercati internazionali per il tramite dello strumento della convenzione internazionale fra Stati per la formazione di un diritto uniforme che permetta di superare le diversità tra i vari diritti nazionali. Viene sottolineato il ruolo svolto dalle organizzazioni internazionali, quale l’Organizzazione mondiale del commercio, con lo scopo di “favorire e promuovere accordi commerciali multilaterali aventi ad oggetto la determinazione di quelle regole, oltre che nel prestare la propria collaborazione all’attuazione degli accordi multilaterali, una volta che siano stati conclusi, e nel risolvere le controversie insorte nella loro attuazione” (p. 355). 206 Una conferma di tale rilievo è costituita dal tenore dell’art. 6:102 dei Principi di diritto europeo dei contratti, nel quale si prevede che il contratto possa, nel suo contenuto, presentare anche clausole implicite, derivanti non soltanto dalla volontà e dall’intenzione delle parti contraenti, ma anche dalla natura e dall’oggetto del negozio, oltre che dalla buona fede e dalla correttezza. 69 si potrebbe dire che esso si staglia lungo la tensione dialettica tra autonomia ed eteronomia in sede di costruzione dell’assetto degli interessi connesso al rapporto negoziale. La buona fede interviene a sottrarre la definizione del regolamento negoziale al mero monopolio della volontà di quello tra i due contraenti che ricopre “la posizione egemone”. Il canone della buona fede modula, così, l’estensione del potere riservato all’autonomia negoziale, mediante il confinarsi di essa entro i limiti derivanti dall’osservanza degli stessi principi di buona fede e di correttezza, che assurgono a clausole foriere di standard di condotta alle quali le parti sono tenute ad attenersi, senza alcuna possibilità di derogarvi207. In tale prospettiva, la buona fede andrà a condizionare il contenuto del negozio nonché la sua articolazione definitiva, non solo quella strutturale ma anche quella effettiva, intendendosi come tale quella che risulterà in sede di attuazione del vincolo208. La buona fede, quale clausola di adeguamento del sistema giuridico alle sollecitazioni derivanti dall’esigenza che il contesto economico-sociale sia ambientato nella cornice dell’etica del solidarismo, è andata assumendo, proprio per tale ragione, nel corso degli anni, una importanza crescente209. La tendenza alla forte ingerenza del canone di buona fede nella sede delle contrattazioni transnazionali prende le mosse dall’epoca in cui è stata elaborata la Convenzione di Vienna in materia di vendita internazionale di beni mobili, all’interno della quale il tenore dell’art. 7 primo comma dispone che l’interpretazione della disciplina si deve operare sulle basi della promozione dell’uniformità della sua applicazione e dell’osservanza della buona fede nel commercio internazionale210. Questo principio assurge, dunque, a pilastro delle negoziazioni internazionali. Con la conseguenza per cui il criterio della buona fede acquista importanza non soltanto nell’ambito applicativo della Convenzione, ma assume altresì una posizione di centralità nel contesto dell’intera disciplina 207 R. MANENTI, Il principio di interpretazione del contratto secondo buona fede, in I Contratti, 2001, p. 1087, in cui l’Autore rileva come il momento interpretativo del contratto debba essere saldato a due altri momenti imprescindibili: quello della qualificazione e quello dell’integrazione del contratto stesso, proseguendo col ricordare come l’intenzione dell’ordinamento nel predisporre il criterio della buona fede oggettiva sia da ravvisare in un’esigenza di tutela dell’ordine pubblico in materia contrattuale, laddove il principio di buona fede in senso oggettivo venga costantemente tenuto in correlazione con gli artt. 2 e 3 Cost., quale “strumento di valutazione del comportamento dei soggetti del rapporto obbligatorio” (p. 1088). 208 A. DI MAJO, Principio di buona fede e dovere di cooperazione contrattuale, in Corr. Giur., 1991, p. 789 209 M.R. MORELLI, La buona fede come limite all’autonomia negoziale e fonte di integrazione del contratto nel quadro dei congegni di conformazione delle situazioni soggettive alle esigenze di tutela degli interessi sottostanti, in Giust. civ., 1994, I, p. 2159 210 F.D. BUSNELLI, Note in tema di buona fede ed equità, in L. GAROFALO (a cura di), Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea, Padova, 2003, passim. 70 uniforme. Spostandosi dall’ambito europeo a quello di respiro internazionale, all’interno dei Principi Unidroit211, in materia di contratti commerciali internazionali, tale predetta centralità del criterio della buona fede è il risultato di un accurato e non facile lavoro di coniugazione dei vari ordinamenti nazionali, anche appartenenti a “branche strutturali” sostanzialmente diverse: quelli di civil law e quelli di common law. La ricostruzione della buona fede che emerge dai Principi Unidroit si riassume nell’elevazione della stessa a pilastro nonché a “criterio di orientamento” per l’intero sistema di regole. Nello stesso incipit del Testo si colloca il precetto che impone alle parti di agire in ossequio ai canoni di buona fede e correttezza nel commercio internazionale. La buona fede svolge innegabilmente una funzione normativa, se si allude con tale accezione a quel compito che si sostanzia nel disciplinare i contegni individuali, in forza di valori superindividuali, quali l’interesse all’equo svolgimento della dinamica negoziale212. Tale lavoro è reso, peraltro, possibile dall’operatività della buona fede anche a livello ermeneutico, nonché in sede di integrazione delle determinazioni convenzionali213, dimostrando, così, la propria idoneità all’incidenza nelle varie fasi e vicende della dinamica negoziale214. Nei contratti dei consumatori, il riferimento alla buona fede è, attualmente, effettuato in modo esplicito nella formulazione di cui all’art. 2 secondo comma lett. c-bis) cod. cons., che, peraltro, costituisce il precipitato di una novella legislativa del 2007, in cui si annovera tra la serie dei diritti fondamentali215, dei quali il consumatore è riconosciuto titolare, anche quello “all’esercizio delle pratiche commerciali secondo i principi di buona fede, correttezza e lealtà”. La scelta di approntare una sistemazione organica ed uniforme per la materia dei consumi è, come è noto, piuttosto recente. Le radici della normazione consumeristica nel nostro ordinamento, peraltro sempre di netta ispirazione comunitaria, vanno rintracciate G.B. FERRI, Il ruolo dell’autonomia delle parti e la rilevanza degli usi nei Principi dell’Unidroit, in Contr. impr. Eur., 1996, p. 212 F. GAZZONI, Equità e autonomia privata, Milano, 1969, p. 159 213 E.C. ZACCARIA, Sopravvenuto squilibrio delle prestazioni (hardship) e adattamento del contratto nel commercio internazionale, in G. ALPA – G. CAPILLI (a cura di), Lezioni di diritto privato europeo, Padova, 2007, p. 405 214 C.M. BIANCA, La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale, in Riv. dir. civ., 1983, 3, p. 205-216 215 Si discute, in dottrina, se l’elenco contenga o meno un numerus clausus di posizioni giuridiche soggettive da riconnettersi allo status di consumatore. L’argomento è controverso. L’opinione prevalente si mostra contraria a tale impostazione; tuttavia voci autorevoli rilevano la impossibilità di guardare alla formulazione qui richiamata con le lenti della tipicità tassativa. Sul punto si veda G. ALPA, Sub art. 1, in G. ALPA – LEVI (a cura di), I diritti dei consumatori e degli utenti, Milano, 2001, p. 18. 211 71 nella significativa novella al Codice civile con la quale sono stati introdotti gli artt. 1469-bis e seguenti. Occorre pertanto rivolgersi alle regole appena richiamate, se si vuole individuare il margine di operatività del principio di buona fede in tale settore. Certamente, l’idea, condivisibile e supportata dalla ratio della disciplina dei consumi, che risulta dal tenore dell’impianto normativo contenuto nel Codice del consumo è quella secondo cui il legislatore ha fatto ricorso al principio della buona fede al fine di vincolare gli imprenditori a determinati contegni, quale il dovere di informazione a favore dei consumatori, nonché per stabilire doveri generali di correttezza e lealtà, la cui autonomia è, peraltro, da parte di alcuni, definita discutibile rispetto alla possibilità che essi vengano considerati da riassorbirsi all’interno dello stesso principio di buona fede, a garanzia della posizione del contraente debole216. Il riferimento alla buona fede ha comportato non pochi problemi interpretativi della disposizione di cui all’art. 1469-bis c.c. La buona fede viene in considerazione certamente nell’accezione oggettiva, in qualità di criterio che, tuttavia, è suscettibile di essere superato ogniqualvolta, malgrado il predisponente si sia comportato in modo leale e corretto, le pattuizioni standardizzate determinino a carico del consumatore un significativo ed ingiustificato squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto per le parti; in tale circostanza, infatti, la necessità di apprestare una tutela di carattere altrettanto oggettivo per la posizione di debolezza alla quale è fisiologicamente esposto il consumatore comporta l’effetto della sanzione di vessatorietà delle pattuizioni idonee ad arrecare pregiudizio a questi217. La buona fede contrattuale, nel plurimo contesto in cui si articola il panorama delle fonti del diritto dei contratti, viene ad assumere sfumature operative e peculiarità diverse a seconda del luogo normativo considerato218. In ossequio alla attuale impostazione del settore dei contratti strutturata per materia, nelle sue innumerevoli partizioni interne, occorre osservare come la buona fede contrattuale si presenti saldata alla disciplina sulla trasparenza, all’interno della normativa sui consumi, assolvendo al proprio compito precipuamente tramite la funzione sanzionatoria 216 L. DELLI PRISCOLI, La tutela del consumatore fra accertamento della non professionalità del suo agire, tutela della concorrenza e affidamento della controparte, in Contr. impr., 2007, p. 1533 ss. 217 S. PATTI, Significato del principio di buona fede e clausole vessatorie: uno sguardo all’Europa, in L. GAROFALO (a cura di), Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea, Padova, 2003, passim. 218 F. PROSPERI, La buona fede tra regole di condotta e regole di validità nella tutela del contraente debole, in R. FAVALE – B. MARUCCI (a cura di), Studi in memoria di Vincenzo Ernesto Cantelmo, Napoli, 2003, II, p. 569 72 delle clausole vessatorie. Ciò non può stupire, se si considera che la regola di buona fede costituisce un perno del sistema di controlli che vengono effettuati sui contratti predisposti unilateralmente, i quali necessitano di particolari forme di tutela, in quanto la dinamica negoziale è priva della fase delle trattative, per cui la posizione del contraente che si limita ad intervenire per adesione necessita di una garanzia maggiore da parte dell’ordinamento219. Nel “contratto asimmetrico”, quali i contratti dei consumatori, la buona fede assurge ad uno dei criteri sui quali viene imperniato il sindacato sull’equità o meno dello squilibrio tra il riparto di diritti e doveri che deriva in concreto alle parti contraenti in seguito all’assetto negoziale220. Il giudizio di vessatorietà dipende, quindi, sia dallo squilibrio tra diritti ed obblighi, sia dalla valutazione che viene effettuata, sulla base del canone di buona fede, della condotta del professionista221. Il sindacato sulla violazione o meno del principio di buona fede da parte del “contraente forte” ed a detrimento del consumatore implica un giudizio maturato in via di equità222, dal momento che, all’esito positivo dell’accertamento circa una violazione del principio di buona fede che si sia sostanziata in uno squilibrato assetto di interessi derivante dal regolamento negoziale, corrisponde l’intervento dell’interprete a correzione del contenuto del contratto, mediante la dichiarazione di nullità delle clausole ritenute vessatorie223. La centralità della buona fede emerge, pertanto, laddove, fondandosi il giudizio di vessatorietà sul significativo squilibrio, la valutazione circa la sussistenza o meno di tale vizio comprende l’indagine sulla contrarietà o meno alla buona fede della V. MANNINO, Considerazioni sulla “strategia rimediale”: buona fede ed exceptio doli generalis, in Eur. dir. priv., 2007, p. 1283 220 G. LENER, La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori, in Foro It., 1996, V, p. 161 221 Sul punto si veda, in particolare, V. ROPPO, La nuova disciplina delle clausole abusive nei contratti tra imprese e consumatori, in Riv. dir. civ., 1994, I, p. 285, il quale ricorda che la formulazione secondo cui la clausola è abusiva se determina squilibrio a danno del consumatore “malgrado il requisito della buona fede” è suscettibile di diverse interpretazioni, da quella ossequiosa del criterio della buona fede in senso soggettivo, da intendersi “nel senso che la clausola può essere ritenuta abusiva anche se vi è la buona fede del predisponente, il quale per avventura ignori tale abusività”, a quella conforme al precetto di buona fede oggettiva, per la quale si aprono due alternative: attribuire al sintagma il valore concettuale del “malgrado sia presente il requisito della buona fede”, il che vale a dire che “una clausola (caratterizzata da squilibrio) è qualificabile come abusiva anche se essa non contrasta con il principio di buona fede”, o piuttosto l’alternativa secondo cui “la clausola è abusiva solo quando determina uno squilibrio che sia in contrasto con il principio di buona fede”, opzione quest’ultima non largamente condivisa, come dimostrano gli odierni approdi della giurisprudenza e della dottrina, favorevoli a svincolare dalla buona fede il sindacato sull’equilibrio sostanziale dell’operazione economica. 222 A. D’ANGELO – P.G. MONATERI – A. SOMMA, Buona fede e giustizia contrattuale. Modelli cooperativi e modelli conflittuali a confronto, Torino, 2005, p. 1 223 L. MENGONI, Problemi di integrazione della disciplina dei “contratti del consumatore” nel sistema del codice civile, in Studi in onore di Pietro Rescigno, III, Milano, 1998, passim. 219 73 clausola squilibrata224. Tuttavia, la sanzione di nullità può essere comminata anche in seguito alla acclarata vessatorietà non imputabile ad un comportamento del professionista contrario alle regole della correttezza contrattuale. Ciò vuol dire che la valutazione dello squilibrio si fonda sull’analisi dell’assetto degli interessi che in concreto quel regolamento negoziale è in grado di attuare225. Rispetto a tale valutazione certamente uno spazio viene lasciato all’analisi del contegno del professionista, ma ciò non impedisce che una clausola che non costituisce espressione della violazione del dovere di buona fede venga ugualmente sanzionata qualora essa risulti essere vessatoria dal punto di vista dello squilibrio che la stessa determina in concreto all’interno delle sfere giuridico-economiche delle parti contraenti226. La clausola di buona fede costituisce una forma di integrazione nell’ordinamento giuridico di istanze e valori di carattere sociale. Con essa si va ad inserire nella dinamica negoziale la valutazione di una serie di valori di carattere non patrimoniale, i quali si presentano maggiormente saldati alla logica solidaristica piuttosto che a quella del luogo in cui avvengono gli scambi. Nella materia dei contratti, la buona fede si colloca nell’alveo di quel novero di principi generali dell’ordinamento giuridico nella cui cornice sono da svolgersi i rapporti economici che hanno luogo sulla scena mercantile. Con riguardo ai contratti “asimmetrici”, tramite la buona fede si persegue l’obiettivo di sventare gli abusi ai quali il contraente debole sia esposto e, in generale, di evitare che abbiano luogo abusi del mercato. Se il fondamento costituzionale della buona fede contrattuale può cogliersi nel secondo comma dell’art. 41 Cost., in cui si legge che l’iniziativa economica privata “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”, allora, in una tale prospettiva, essa può ritenersi appartenente al novero delle forme di tutela della libera 224 G. VETTORI, Regole di validità e di responsabilità di fronte alle Sezioni Unite. La buona fede come rimedio risarcitorio, in Obbl. contr., 2008, p. 104 ss., nel ripercorrere la dicotomica alternativa tra regole di responsabilità e regole di validità, osservando che “ogni assetto di interessi privato va esaminato come atto, in base ad una valutazione strutturale di validità e come insieme dei contegni formativi ed esecutivi in base ad una valutazione dinamica che può condurre ad una pronunzia di responsabilità” (p. 105), rileva che “la violazione della buona fede nella fase preliminare non può che rimanere assorbita nella disciplina dello stesso contratto e nella connessa responsabilità per inadempimento, con conseguente identità della situazione giuridica tutelata e del danno risarcibile che va oltre l’interesse negativo” (p. 108), giungendo così ad affermare la sussistenza di una responsabilità da contatto sociale a fronte della quale è operativo il criterio della buona fede oggettiva. Con la conseguenza per cui la violazione di un dovere di correttezza determina il sorgere della responsabilità contrattuale con il contestuale obbligo risarcitorio. 225 G. BERTOLO, Squilibrio normativo e buona fede nei contratti dei consumatori, in Giur. comm., 2003, 4, 2, p. 497-504 226 V. RIZZO, Il significativo squilibrio “malgrado” la buona fede nella clausola generale dell’art. 1469-bis c.c.: un collegamento ambiguo da chiarire, in Rass. dir. civ., 1996, p. 15 74 concorrenza. Emerge, da ciò, la peculiarità della clausola generale quale strumento attraverso cui vengono applicati i principi generali dell’ordinamento giuridico227. Ciò che vale a determinare il passaggio della buona fede da principio generale a clausola applicativa di principi generali è l’applicazione in concreto, da parte del giudice, delle discipline contrattuali imperniate sul principio di buona fede228. Un'altra specificità della buona fede nell’odierno panorama delle contrattazioni è dato cogliere nella prospettiva secondo cui il raccordo tra la sfera dei contratti di impresa e quella dei contratti contemplati dal Codice civile è operato dalla presenza di questo principio in entrambi gli ambiti229. 3. A quella formulazione normativa, di cui alla lettera dell’art. 1376 c.c., rubricata “contratto con effetti reali”, i Compilatori del Codice del 1942 hanno demandato il compito di serbare in sé l’essenza del cosiddetto principio consensualistico, che, nel 227 G. VETTORI, Diritto privato e ordinamento comunitario, Milano, 2009, passim. E. NAVARRETTA, Complessità dell’argomentazione per principi nel sistema attuale delle fonti di diritto privato, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 794, nel condurre una disamina critica intorno al ruolo svolto dai principi all’interno della gerarchia delle fonti di produzione del diritto interno, osserva, in primo luogo, come il ricorso ai principi sia dettato o dalla carenza di previsioni normative, o dalla inadeguatezza di queste ultime a tutelare nuove esigenze, o, ancora, si impiegano i principi al fine di superare quella confusione in sede di ricerca della regola applicabile dettata dalla sussistenza di una molteplicità di norme che si sovrappongono tra loro, proprio come avviene nella materia delle contrattazioni internazionali. L’Autrice si sofferma, poi, sulle modalità applicative dei “principivalori”, saldandone l’operatività al pluralismo della società. Essi apportano innovazioni al sistema delle fonti del diritto, tuttavia non contrapponendosi “alla dimensione delle regole”. Se dell’operatività dei principi di matrice comunitaria viene posta in evidenza l’applicazione con funzione integrativa, allora emerge la residualità della loro applicazione diretta rispetto al sistema delle regole conformi ai principi, come la stessa Autrice mette in risalto, osservando che “il modello dei principi-valori, relativamente all’interpretazione adeguatrice e rispetto alla loro eventuale applicazione diretta, sembra nelle coordinate generali riprodursi nella dimensione dei principiorientativi di matrice comunitaria, e ciò in virtù della comune sovraordinazione delle due tipologie di principi rispetto alle norme primarie interne” (p. 794), rintracciando la specificità dei principi in quell’avere un “volto unitario: quello della mobilità e della capacità di vivere al tempo stesso dentro e fuori i confini delle fonti” (p. 804). 229 Per una compiuta ricostruzione delle molteplici funzioni che vengono accordate alla clausola generale di buona fede si veda S. PATTI, Clausole generali e discrezionalità del giudice, in Riv. not., 2010, 2, p. 303 ss., il quale, nel condurre alcune autorevoli riflessioni sul significato profondo delle clausole generali, le quali “impongono di precisare i confini tra discrezionalità e arbitrio del giudice”, in quanto esse si vanno ad inserire nel margine di potere creativo che viene accordato al giudice in sede di applicazione di tutte quelle norme che non definiscono la fattispecie in senso stretto, ricorda, in particolare, che la buona fede assolve nell’ordinamento a diverse funzioni, da quella integrativa a quella di puntualizzazione del regolamento contrattuale, ed anche correttiva del contratto. Inquadrando l’argomento nella più ampia cornice europea, l’Autore evidenzia come il legislatore europeo tenda sempre più ad operare mediante il ricorso alle clausole generali ed alle norme elastiche, come è dimostrato nei Principi Lando e nel Draft Common Frame of Reference, nonché, a livello internazionale, nei Principi Unidroit, rilevando tuttavia il limite applicativo della buona fede nella circostanza per cui “quando il giudice applica il principio di buona fede pone una norma, una regola del caso concreto, che risulta diversa a seconda del singolo ordinamento di riferimento, poiché ciascun giudice segue parametri vicini alla tradizione giuridica del suo Paese”, pertanto “la buona fede e le clausole generali segnano, sotto questo profilo, un ritorno al diritto nazionale” (p. 311). 228 75 segnare una netta frattura, in materia di trasferimento della proprietà per atto tra vivi, tanto col diritto romano230 quanto con il vigente sistema tedesco delle alienazioni231, è andato assumendo, nel corso degli anni, connotati del tutto peculiari. Il consenso, già elemento essenziale del contratto232, assurge, come è noto, a “strumento per l’acquisizione” della posizione proprietaria sui beni, incarnando una impostazione massimamente favorevole ad una agevole e snella circolazione della ricchezza233. Sul piano pratico, il significato di tale principio si rintraccia nel rilievo per cui l’acquirente diviene proprietario della cosa ancora prima di averla ricevuta in consegna, quindi prima di pagare il prezzo234. Da una lettura dell’art. 1376 c.c. in combinato disposto con l’art. 1465 c.c. emerge, poi, un altro profilo da riconnettere allo spettro degli effetti dell’operatività del principio consensualistico, che si riassume in quel brocardo secondo cui “res perit domino”. La portata del “latinetto” appena menzionato è dirompente, se si considera che, per effetto di tale regola, concretizzandosi il passaggio dei rischi del perimento della cosa per caso fortuito dall’alienante all’acquirente nello stesso momento in cui quest’ultimo acquista la proprietà, lo stesso perimento della res, avvenuto dopo che 230 In diritto romano, il contratto di vendita determinava esclusivamente il sorgere di effetti obbligatori in capo alle parti, pertanto il trasferimento della proprietà integrava un obbligo gravante sull’alienante il quale era tenuto a compiere un atto ulteriore che, in base alla natura della res che formava oggetto della vendita, consisteva in una traditio, in una in iure cessio o piuttosto in una mancipatio. Per una trattazione dell’argomento si veda M. TALAMANCA, Sul punto cfr. anche R. CALVO, Contratti e mercato, Torino, 2006, il quale, a p. 3, osserva che l’odierno meccanismo traslativo proprio del diritto italiano “si distacca dalla contrapposizione tra titulus e modus adquirendi di diritto romano, nel quale la vendita aveva mero contenuto obbligatorio, costituendo iusta causa traditionis”. 231 G.B. FERRI – A. NERVI, Il contratto di compravendita, in N. LIPARI – P. RESCIGNO (diretto da), Diritto civile. Obbligazioni. III – I Contratti, Milano, 2009, p. 5, osservano, in merito alla esplicita enunciazione del principio consensualistico contenuta nell’art. 1376 c.c., che “ciò costituisce il punto di arrivo di un lungo processo storico, che ha preso avvio dal diritto romano, in cui alla base dell’effetto traslativo era dato distinguere sia il titulus adquirendi (il titolo negoziale) sia il modus adquirendi (la consegna della cosa). Nel nostro sistema la consegna della cosa si è progressivamente spiritualizzata, fino a divenire oggetto di uno specifico obbligo a carico del venditore; come noto, altri ordinamenti [quale quello tedesco] mantengono tuttora la rilevanza della distinzione tra titulus e modus ai fini del perfezionamento della fattispecie traslativa”. 232 Art. 1325 c.c. 233 R. SACCO, v. Circolazione giuridica, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, nel mettere in risalto sia le ipotesi in cui il consenso del titolare del diritto non è sufficiente a determinare l’effetto della circolazione del bene, sia le ipotesi in cui, piuttosto, tale consenso non è necessario (alludendo ai casi della cosiddetta circolazione invito domino, alla quale è da ricondurre la circolazione a non domino), a p. 6, osserva che “la categoria della circolazione è dunque la categoria di quelle vicende traslative di ricchezza, che la legge ha voluto eminentemente in vista di un interesse diverso da quello del soggetto della perdita. Questa categoria, certo non strettamente indispensabile alla perfezione del sistema del diritto, può rendere qualche utilità quando si rilevi che le fattispecie, che danno luogo al trasferimento di ricchezza in questo senso, subiscono una regolamentazione tendenzialmente differenziata e caratterizzata rispetto alle altre fattispecie”. 234 F. MACARIO, Vendita, I) Profili Generali, in Enciclopedia giuridica. Istituto dell’Enciclopedia italiana fondato da G. Treccani, XXXII, Roma, 1994, p. 15 76 l’acquirente abbia prestato il suo consenso all’acquisto, non lo solleverà dall’obbligo di corrispondere al venditore il prezzo, indipendentemente dal fatto che il perimento sia avvenuto prima della consegna, purché ciò si sia verificato per causa non imputabile all’alienante. L’argomento del principio consensualistico apre la strada per una riflessione intorno alla distinzione che occorre compiere tra effetti che il contratto è idoneo a creare tra le parti, ed effetti che con esso si producono nei confronti dei terzi, laddove il fatto giuridicamente rilevante235 viene a porsi alla stregua di un elemento di mediazione tra la norma e gli effetti236. Se, per il diritto romano, la circolazione dei beni non poteva essere fatta derivare dal mero consenso delle parti contraenti, al contrario, nell’ordinamento vigente, all’atto di autonomia privata si vanno a legare sia effetti negoziali sia effetti che la legge fa discendere direttamente dalla manifestazione di volontà di porre in essere un trasferimento di beni da un soggetto ad un altro, sulla base di quella valutazione circa la meritevolezza di tutela degli interessi perseguiti che, secondo l’odierna teoria della “causa in concreto”, permette di sottoporre a tale vaglio tanto i contratti tipici quanto quelli atipici237. Il principio consensualistico, che si sostanzia nella saldatura tra consenso delle parti legittimamente manifestato ed effetto traslativo (effetto reale) automatico, assurge, nel vigente ordinamento interno, a criterio regolatore generale del meccanismo del “trasferimento della proprietà di una cosa determinata”. L’effetto reale si verifica ipso iure, il che vale a dire senza bisogno del compimento di alcun altro atto né da 235 G. VETTORI, Consenso traslativo e circolazione dei beni. Analisi di un principio, Milano, 1995, p. 62, nel ricostruire l’essenza del principio consensualistico secondo la prospettiva delle conseguenze che il “fatto” contrattuale, idoneo di per sé a dare vita alla circolazione dei beni, comporta nei confronti dei terzi, osserva, a tale proposito, che “riconoscere che non il fatto materiale, ma la fattispecie giuridica, intesa come situazione normativamente qualificata, ha l’attitudine di valere come punto di riferimento di conseguenze giuridiche, significa che la rilevanza non è altro che la forma iuris in virtù della quale un’entità extragiuridica penetra nel sistema dei fenomeni giuridici”. 236 A. CATAUDELLA, v. Fattispecie, in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, p. 926 ss., in cui l’illustre studioso ripercorre i significati del termine, che variano concettualmente a seconda che si inquadri la parola nella concezione causalistica o piuttosto al di fuori di essa. Se è pacifico che la parola in commento si connoti nell’ambito lessicale giuridico in termini di “causa degli effetti giuridici” (p. 927), allora il superamento della causalità impone di agganciare semanticamente la parola non tanto al nesso causale con gli effetti, quanto piuttosto ad una correlazione con il piano degli effetti che si svolga per altra via rispetto a quella della causalità. L’Autore suggerisce una nozione di fattispecie che, “se si considera nel quadro del procedimento di produzione degli effetti, non è causa né concausa né condizione di essi: e non è neppure condizione per il concretizzarsi della norma; costituisce piuttosto uno dei termini, col soggetto valutante, dell’atto di valutazione: vale a dire, l’oggetto della valutazione” (p. 934-935). 237 G. DE CRISTOFARO (a cura di), I “principi” del diritto comunitario dei contratti. Acquis communautaire e diritto privato europeo, Torino, 2009, passim. 77 parte dell’alienante né da parte dell’acquirente238. Dalla conclusione del contratto di compravendita, in via generale, non discende, pertanto, il sorgere di un’obbligazione di dare, che necessiterebbe di un atto esecutivo della stessa. Per tale ragione, il trasferimento della proprietà si produce in modo immediato ed automatico239. Occorre, tuttavia, osservare che il nostro sistema del diritto, seppur caratterizzato dalla presenza di questo principio, peraltro espressamente enunciato, conosce alcune ipotesi in cui il trasferimento della proprietà avviene in modo derogatorio alla predetta regola, o perché è richiesto il compimento di un cd. pagamento traslativo, o perché il trasferimento della proprietà avviene ipso iure ma in uno spazio cronologico differito rispetto a quello in cui viene prestato il consenso delle parti. Si pensi, ad esempio, alla circostanza in cui forma oggetto del trasferimento della proprietà una cosa futura, una cosa altrui o una cosa determinata solo nel genere. E’ da inquadrare in ciò la formulazione di cui all’art. 1476 n. 2 c.c. che, nel dettare il contenuto delle obbligazioni principali del venditore, annovera quella di far acquistare al compratore “la proprietà della cosa o il diritto, se l’acquisto non è effetto immediato del contratto”, enunciato che, prima facie, potrebbe apparire in contrasto con il criterio di cui all’art. 1376 c.c., ma che, al contrario, interviene a regolare quelle particolari ipotesi in cui oggetto della vendita sia una cosa non appartenente all’alienante, o non ancora venuta ad esistenza, o una cosa determinata solo nel genere. In tali circostanze, la deroga al principio consensualistico ha luogo in quanto il trasferimento della proprietà del bene dall’alienante all’acquirente, che avviene comunque automaticamente, si verifica, tuttavia, in un momento successivo rispetto a quello in cui il consenso delle parti viene legittimamente manifestato240. Certamente, il principio consensualistico, nelle peculiarità attraverso cui si è appena tentato di ripercorrere la sua fisionomia, è stato accolto favorevolmente nel nostro ordinamento, in quanto esso risponde positivamente alla esigenza di agevolare la 238 G. VETTORI, Circolazione dei beni e ordinamento comunitario, in Riv. dir. priv., 2008, p. 304, riflettendo sul contemporaneo assetto economico-giuridico europeo, osserva che “l’ordinamento comunitario richiede un’attività di costruzione giuridica che esige di scrutare la ratio delle disposizioni, di comporre gerarchie assiologiche, di precisare principi e nuove costruzioni dogmatiche, di operare attenti bilanciamenti. Tutto ciò senza alcuna astrazione, ma operando in concreto con attenzione ai problemi degli uomini e della società in un’attività quotidiana che da secoli impegna studiosi ed operatori al rispetto dei compiti che sono loro affidati dalla Legge e dal Diritto”. 239 G. GORLA, Il dogma del “consenso” o “accordo” e la formazione del contratto di mandato gratuito nel diritto continentale, in Riv. dir. comm., 1956, I, p. 923 ss. 240 G. GORLA, La “logica-illogica” del consensualismo o dell’incontro dei consensi e il suo tramonto, in Riv. dir. comm., 1966, I, p. 18 ss. 78 circolazione dei beni, requisito non trascurabile nella prospettiva economica del libero scambio241. Ciò premesso, occorre osservare come, al contrario, il tentativo di armonizzazione della materia della vendita dei beni di consumo242, culminato con la Direttiva 99/44/CE, nell’ancorare il momento traslativo della proprietà a quello in cui avviene la consegna della cosa, si mostra ispirato alla impostazione propria dei Paesi di area germanica, fondata sulla antica scissione tra titulus e modus adquirendi, per cui il contratto di vendita è idoneo a determinare esclusivamente il sorgere di effetti obbligatori ed, in particolare, il sorgere dell’obbligo, in capo al venditore, di trasferire all’acquirente la proprietà della res243. La Direttiva comunitaria, al primo comma dell’art. 3, salda alla traditio il momento traslativo del diritto di proprietà, con la conseguenza di un mutamento, rispetto al vigente diritto italiano della vendita, del regime del passaggio del rischio del perimento della cosa per caso fortuito nonché del passaggio del rischio circa la sussistenza di vizi da cui sia affetto il bene che forma oggetto della vendita244. Ciò comporta la contemporanea presenza nel nostro ordinamento, di un doppio regime della vendita245. Il necessario recepimento della Direttiva comunitaria ha posto l’esigenza di ridisegnare i confini e la portata applicativa del principio consensualistico, per incardinare l’argomento del trasferimento della proprietà sull’obbligazione di consegna della cosa, che costituisce l’impianto attorno a cui ruota il meccanismo della vendita dei beni di consumo, secondo una prospettiva che eleva a punto focale il momento in cui si realizza in concreto lo scambio246. Il diritto europeo della vendita dei beni di consumo salda il momento traslativo della proprietà a quello in cui si adempie all’obbligazione di consegnare “beni conformi al contratto”, secondo il tenore letterale dell’art. 129 cod. cons. 247, con la 241 S.T. MASUCCI, Il principio della libera circolazione dei beni, in P. CENDON (a cura di), Il diritto privato nella giurisprudenza. Compravendita e figure collegate, Torino, 2007, p. 1 242 A. LUMINOSO, Armonizzazione del diritto europeo e disarmonie del diritto interno: il caso dei contratti di alienazione e dei contratti d’opera, in Eur. dir. priv., 2008, p. 469 243 G. D’AMICO, Contratto di compravendita, effetto traslativo e problemi di armonizzazione, in E. NAVARRETTA (a cura di), Il diritto europeo dei contratti fra parte generale e norme di settore. Atti del Convegno, Pisa, 25-26 maggio 2007, Milano, 2007, p. 517 244 G. VETTORI, Circolazione dei beni e ordinamento comunitario, cit., p. 297 245 A. LUMINOSO, La vendita e i contratti di alienazione, cit., p. 325, osserva che si tratta di due figure di vendita che “sotto un nomen iuris comune, sembrano richiamare tuttavia categorie dogmatiche e discipline differenti”. 246 R. MONGILLO, Il difetto di conformità nella vendita dei beni di consumo, in cit., p. 141 247 S. TROIANO, Art. 129 – Conformità al contratto, II, I Commentari. La vendita dei beni di consumo, in Nuove leggi civ. comm., 2006, p. 372, nonché V. BARBA, Art. 129. Conformità al contratto, in G. VETTORI (a cura di), Codice del Consumo. Commentario, Padova, 2007, p. 889; G.B. FERRI, Divagazioni intorno alla direttiva n. 44 del 1999 su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, in Contr. impr./Eur., 2001, p. 76 79 conseguenza per cui il gesto della consegna individua la fase in cui avviene il passaggio dei rischi248. E’ interessante osservare come, accanto alla elaborazione, a livello comunitario, di regole, destinate a trovare ingresso nei vari Paesi dell’Unione Europea, fondate sulla consegna della cosa, i significativi Lavori di riforma del diritto delle obbligazioni del Codice civile francese hanno lasciato intatta la posizione di centralità affidata storicamente al principio consensualistico249. Ciò permette di notare come il “doppio binario” costituito dalle “norme prodotte dall’armonizzazione”, da un lato, e, dall’altro, dalle regole interne sia nella forma sia nel contenuto, che mostrano, talvolta, di fondarsi su diversi meccanismi concettuali, stia conducendo verso una frammentazione della materia dei contratti in tante categorie autonome, la cui identità è segnata dal tipo di operazione negoziale affidata a ciascuna di esse, con la conseguenza di un progressivo allontanamento da quella tendenza ad operare la reductio ad unum dei fenomeni giuridici che ha caratterizzato momenti storici precedenti250. 4. La recente evoluzione della disciplina dei consumi pone in risalto l’importanza che l’informazione assume nell’ambito delle negoziazioni251. Una corretta formazione della volontà si deve fondare su un adeguato grado di conoscenza252. Se 248 S. DELLE MONACHE, Fedeltà al principio consensualistico?, in Atti del Convegno per il Cinquantenario della Rivista di diritto civile, Il diritto delle obbligazioni e dei contratti: verso una riforma?, in Riv. dir. civ., 2006, I, p. 285 249 M. BARBERIS, L’evoluzionismo giuridico, diritti ed Europa, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 2009, passim. 250 E. RUSSO, Vendita e consenso traslativo, in Contr. impr., 2010, 3, p. 611 ss., nel riflettere sulle due modalità di circolazione della ricchezza, l’una basata sulla circolazione del diritto soggettivo e l’altra fondata su indici esterni di appartenenza (quest’ultima derogatoria all’operatività del principio del consenso traslativo), mostra le diverse specificità dell’operatività del principio consensualistico, evidenziando come tale principio sia strettamente correlato alla “spiritualizzazione della stessa ricchezza, operata dal concetto di diritto soggettivo”, secondo una prospettiva volta ad inquadrare le situazioni giuridiche soggettive nella duplice alternativa statica e dinamica, per mettere in luce il significato profondo della distinzione tra titolarità ed appartenenza del bene ad un determinato soggetto (p. 612). L’Autore abbraccia la posizione di Mengoni e Vettori, secondo cui nelle vicende di alienazione il contratto opera come fatto, osservando che l’ordinamento giuridico richiede la giustificazione causale dell’acquisto ogniqualvolta si compia la circolazione della ricchezza, tuttavia tale giustificazione causale non sempre risiede nell’efficacia negoziale, come dimostra la possibilità che si acquisti la proprietà in forza di un titolo astrattamente idoneo. In tale circostanza si può dire che il contratto opera come “fatto idoneo a fornire la giustificazione causale dell’acquisto” (p. 616). L’Autore evidenzia come il principio consensualistico sia idoneo a guidare la vicenda traslativa della proprietà nei limiti dell’acquisto a titolo derivativo, concorrendo esso tuttavia con “altri meccanismi giuridici che provocano l’acquisto della ricchezza”. 251 E’ significativa l’osservazione di V. SCALISI, Dovere di informazione e attività di intermediazione mobiliare, in Riv. dir. civ., 1994, p. 176, secondo cui “se quello scorso è stato il secolo essenzialmente della volontà, nel secolo attuale, invece, la conoscenza è venuta acquisendo negli studi giuridici un ruolo sempre più centrale e preminente”. 252 G.B. FERRI, Informare ed essere informati, in Rass. dir. civ., 2003, p. 588 ss. salda il diritto all’informazione al novero dei diritti fondamentali della persona, occupandosi di rintracciare i limiti 80 il binomio conoscenza-volontà non risulta estraneo alla sensibilità dei Compilatori del Codice del 1942, della cui consapevolezza costituisce espressione la disciplina dell’errore, incardinata, peraltro, sulla possibilità di conoscere secondo un contegno ossequioso dei canoni dell’ordinaria diligenza253, unitamente agli obblighi di comunicazione che coinvolgono la posizione del mandatario nonché dell’appaltatore, del committente, del proponente ai sensi dell’art. 1326 terzo comma c.c. Se, come è vero, il Codice civile, nel prendere in considerazione l’ipotesi del contratto con asimmetria di potere negoziale, non si sofferma a regolarne accuratamente il novero delle molteplici vicende ad esso collegate, contrariamente alla perizia e all’accuratezza con cui fissa il regime dei contratti fisiologicamente estranei ad una tale struttura, allora si osserverà come soltanto nella disciplina di settore, concernente i contratti del consumatore, sia possibile evidenziare nettamente l’importanza del ruolo svolto dall’obbligo di informazione, che si sostanzia nel principio di trasparenza. Del resto, informazioni e trasparenza costituiscono, per così dire, due risvolti, tra loro intrinsecamente connessi, di uno stesso fenomeno, che si rintraccia nell’esigenza di rimuovere tutte quelle asimmetrie del potere contrattuale che superano l’area della fisiologia del contratto asimmetrico, andandosi piuttosto ad iscrivere nel novero dei rischi “non ammessi”, che tale tipologia negoziale presenta per il contraente maggiormente esposto254. La presenza, all’interno del Codice civile, della trasparenza in sede negoziale si presenta in modo meno preponderante rispetto al ruolo che essa assume nella materia del consumatore. Nella contrattazione individuale, della quale si occupa essenzialmente e quasi esclusivamente la disciplina codicistica, l’obbligo di informazione, nel saldarsi alla buona fede, si sostanzia nell’osservanza dei canoni comportamentali provenienti dallo stesso laboratorio concettuale da cui deriva il parametro della diligenza dell’uomo medio. La violazione del precetto di una corretta informazione viene integrata nel momento in cui un contraente tace o comunica in modo mendace un’informazione della quale, secondo il dettato della della trasparenza laddove il trattamento dei dati personali incontra la sfera della riservatezza. Se il diritto ad essere informati rientra nella sfera delle libertà della persona in modo pacifico, non è altrettanto lineare l’individuazione del contenuto di tale diritto, dal momento che in esso sono da ricomprendere anche le conseguenze del diritto di non informare, ovvero la libertà di non esercitare tale diritto. 253 Della sconfinata letteratura giuridica sull’argomento ci si limita qui a richiamare, per tutti, P. BARCELLONA, Concetto di errore e delimitazione della disciplina, in Enc. dir., v. Errore, XV, Milano, 1996, passim. 254 F. GRECO, Obbligazioni Cirio e violazione dell’obbligo di informazione: un ulteriore tassello sul tavolo della roulette della giurisprudenza, in Resp. civ. e prev., 2010, 2, p. 428 ss. 81 legge, l’altro contraente avrebbe dovuto essere messo al corrente, al fine di poter formare il proprio convincimento ad addivenire o meno alla conclusione del contratto. L’indagine sulla corretta informazione si articola, nel tenore del Codice civile, esclusivamente sul comportamento delle parti, rimanendo del tutto estranea alla considerazione oggettiva del contenuto del regolamento negoziale. Nella disciplina del consumatore, al contrario, la trasparenza ha riguardo al dovere di rendere intelligibili le clausole del documento contrattuale255. Ciò si comprende agevolmente se si ricorda la collocazione di questo fenomeno negoziale nello spettro della contrattazione di massa, che presenta esigenze e caratteristiche del tutto peculiari256. L’asimmetria informativa, alla quale è maggiormente esposto il contraente debole, viene ovviata mediante specifici precetti di forma, che si giustificano sulla base del particolare contenuto del contratto257. Intendendo rimandare al prosieguo della trattazione l’argomento del neoformalismo inteso quale precetto di forma-contenuto258, quel che occorre qui è limitarsi a cogliere il tratto comune che intercorre tra lo spiraglio codicistico sulla contrattazione di massa, contenuto nell’art. 1341 c.c.259, e gli ormai noti boccioli del lavoro di elaborazione della normativa sui consumi, da ravvisare nel collegamento, condiviso in entrambi i contesti normativi appena richiamati, tra conoscibilità e forma, malgrado esso si atteggi, nei due fenomeni, con diverse specificità. Al principio di trasparenza è demandato il compito di garantire l’effettiva conoscenza del testo contrattuale, tuttavia la funzione che esso è chiamato ad assolvere nella materia del consumatore si presenta diversa rispetto all’impiego che di esso si riscontra nella normativa generale sulla contrattazione di massa, presente nell’impianto codicistico, peraltro agli albori del fenomeno, rispetto all’attuale evoluzione260. La V. RIZZO, Trasparenza e “contratti del consumatore”, Napoli, 1997, passim, in cui l’Autore pone in risalto come la trasparenza svolga un ruolo essenziale in sede di controllo sulla “giustizia sostanziale” del contratto nonché sull’equilibrio della ripartizione dei diritti e doveri che hanno origine nel contratto, in capo alle parti. 256 F. DI GIOVANNI, La regola di trasparenza nei contratti dei consumatori, in E. GABRIELLI – E. MINERVINI (a cura di), Tratt. contr., diretto da P. RESCIGNO, I contratti dei consumatori, I, Torino, 2005, p. 301-378. 257 D. VALENTINO, Obblighi di informazione, contenuto e forma negoziale, Napoli, 1999, p. 14 258 Sul punto si rinvia a infra, cap. IV, § 5. 259 M. COSTANZA, Condizioni generali di contratto e contratti stipulati dai consumatori, in Giust. civ., 1994, II, p. 544 260 M. LIBERTINI, Clausola generale e disposizioni particolari nella disciplina delle pratiche commerciali scorrette, in Contr. impr., 2009, p. 92, sul problema dell’individuazione degli indici sintomatici delle pratiche disoneste o contrarie al principio di buona fede in senso oggettivo, a fronte del comportamento del legislatore comunitario di non voler imporre alle imprese standard di comportamento troppo severi, osserva che “il principio di buona fede è testualmente indicato, nella direttiva, come criterio aggiuntivo e indipendente, rispetto a quello delle pratiche di mercato oneste; 255 82 lettera dell’art. 1341 c.c. intende tipizzare la contrattazione standard, la quale fisiologicamente esclude lo svolgersi della fase delle trattative negoziali, con la conseguenza per cui le clausole devono essere conoscibili all’altro contraente, affinché si considerino accettate secondo una volontà non viziata, in quanto supportata da una corretta informazione261. L’accorgimento di cui al secondo comma della norma appena richiamata postula inoltre la necessità dell’approvazione per iscritto con riguardo ad una serie di clausole ritenute di particolare rilevanza. L’obbligo di trasparenza investe, nel fenomeno dei consumi, sia le clausole che fissano l’assetto normativo del contratto sia quelle concernenti l’assetto economico, a tal punto da far passare in secondo piano la distinzione tra queste due sfere262. Si tratta, in ogni caso, di clausole predisposte unilateralmente dal professionista e volte a definire un regolamento negoziale idoneo per lo svolgersi delle contrattazioni con una molteplicità indefinita di consumatori263. Se l’applicabilità della disciplina concernente la nullità delle clausole vessatorie viene esclusa qualora si sia svolta la trattativa individuale, allora emerge come il ruolo della trattativa non perda la sua centralità, in seguito alla predisposizione unilaterale del documento contrattuale264. La questione del controllo sulla effettiva trasparenza non pone particolari problemi, contrariamente a quanto avviene in sede di individuazione dei criteri sulla base dei quali si potrà validamente asserire che una clausola sia stata in concreto negoziata. L’argomento è controverso in dottrina, deve quindi trattarsi di un criterio idoneo ad imporre anche comportamenti che, in atto, sono diversi da tutte le pratiche di mercato esistenti, ma sono conformi ad un dovere di solidarietà che, nella specie, non può che essere solidarietà verso il consumatore”. 261 R. SCOGNAMIGLIO, I contratti per adesione e l’art. 1341 cod. Civ., in Banca, borsa, tit. Cred., 1954, I, p. 776; S. PATTI, Le condizioni generali di contratto e i contratti dei consumatori, in P. RESCIGNO (a cura di), Tratt. contr., Torino, 1999; A. LISERRE, Le condizioni generali di contratto tra norma e mercato, in Studi in onore di Rodolfo Sacco, Milano, 1994; C.M. BIANCA, Condizioni generali di contratto (tutela dell’aderente), in Dig. Disc. Priv., III, Torino, 1988; M.J. BONELL, Le regole oggettive del commercio internazionale. Clausole tipiche e condizioni generali, Milano, 1975, passim. 262 Ciò in ossequio a quanto emergeva, già nella prima normativa dettata sui consumi, al disposto di cui all’art. 1469-quater c.c. Sul punto si veda S.T. MASUCCI, Commento all’art. 1469-quater, in A. BARENGHI (a cura di), La nuova disciplina delle clausole vessatorie nel codice civile, p. 138 263 F.D. BUSNELLI – U. MORELLO, La direttiva 93/13 sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, in Riv. not., 1995, p. 95 264 C.M. BIANCA, Acontrattualità dei contratti di massa?, in Vita not., 2001, p. 1120 ss., invocando la categoria degli “scambi senza accordo” (sono tali tutti quei rapporti di fatto che hanno contenuto analogo ai contratti tipici e che hanno origine da fatti non negoziali), inquadra l’argomento in una prospettiva di comparazione con la contrattazione di massa, la quale invece rientra nel fenomeno negoziale vero e proprio. Secondo la tesi degli scambi senza accordo, viene negata natura contrattuale ai contratti di massa in quanto si afferma che in essi non vi è lo schema propostaaccettazione, quanto piuttosto una sequenza di atti unilaterali leciti aventi carattere negoziale. Il problema viene inquadrato nella prospettiva d’indagine circa l’idoneità della volontà dell’acquirente ad avere efficacia conformante del rapporto, propendendo per la soluzione favorevole all’inquadramento dei contratti di massa nella disciplina del contratto. 83 dal momento che alcuni reputano che, affinché la negoziazione possa considerarsi effettivamente avvenuta, è necessario che sia stata operata una modifica di almeno una clausola del regolamento negoziale originario265. Altri, al contrario, ritengono che non sia necessaria una modifica testuale, occorrendo piuttosto che il consumatore abbia avuto la possibilità di influenzare il contenuto del contratto266. Il disposto di cui all’ultimo comma dell’art. 34 cod. cons. prescrive, in capo al professionista, l’onere di provare che le clausole approntate unilateralmente siano state oggetto di specifica trattativa, qualora egli stesso faccia ricorso all’impiego di moduli o formulari in sede di elaborazione dei propri documenti contrattuali. Ciò si comprende agevolmente se si ha riguardo alla sostanziale assenza della fase della trattativa individuale, da cui sono affetti i rapporti economici che si fondano sugli schemi dei contratti per adesione e delle condizioni generali di contratto. Su un tale sostrato si innesta l’esigenza di garantire chiarezza e trasparenza nello svolgimento dei rapporti con i consumatori. Il nucleo del principio di trasparenza si sostanzia, come è stato osservato, nella capacità di garantire al consumatore un certo grado di consapevolezza circa il panorama entro il quale egli presta il proprio consenso alla conclusione del contratto267. E’, pertanto, connesso allo status di consumatore il bisogno di essere correttamente informato delle condizioni effettive della contrattazione secondo le quali egli va ad accordarsi268. Il precetto della trasparenza o, in modo sinonimico, della corretta informazione, consiste in quell’obbligo di formulare le clausole contrattuali in modo chiaro e comprensibile, al quale è necessariamente conformata la contrattazione dei consumi269. Dall’attitudine, propria del giurista che si è formato alla luce della “signoria del Codice civile”, a condurre paragoni tra la normativa contrattuale di cornice e quella di settore 265 S. ORESTANO, I contratti con i consumatori e le clausole abusive nella direttiva comunitaria, in Riv. crit. dir. priv., 1992, p. 467 ss. 266 F. BOCCHINI, Contratti per adesione, in Saggi di diritto privato, Napoli, 1999, passim; S. MONTICELLI, Art. 1469-ter, in E. CESARO (a cura di), Clausole vessatorie e contratto del consumatore, Padova, 1998, passim. 267 G. MARCATAJO, Asimmetrie informative e tutela della trasparenza nella politica comunitaria di consumer protection: la risposta della normativa sulle clausole abusive, in Eur. dir. priv., 2000, III, p. 783. Sul punto si veda anche M. GAMBINI, Il nuovo statuto del consumatore europeo: tecniche di tutela del contraente debole, in Giur. merito, 2004, 12, p. 2605, nonché L. FAUSTI, Il Codice del consumo. Il ruolo ambiguo della trattativa e l’importanza della trasparenza (con nuove considerazioni sul ruolo del notaio nei contratti di finanziamento bancari), in Notariato, 2007, 1, p. 59; E. SCODITTI, Regole di efficacia e principio di correttezza nei contratti del consumatore, in Riv. dir. civ., 2006, I, p. 119 268 R. PARDOLESI, Clausole abusive, pardon vessatorie: verso l’attuazione di una direttiva abusata, in Foro It., 1994, V, p. 137; A. CATAUDELLA, Note in margine alla direttiva comunitaria sulle “clausole abusive”, in Rass. giur. en. el., 1994, p. 573 269 M. GAMBINI, Il nuovo statuto del consumatore europeo: tecniche di tutela del contraente debole, in Giur. merito, 2004, 12, p. 2605 84 contenuta nel Codice del consumo, risultano non pochi approcci critici alla disposizione di cui all’art. 35 cod. cons., tacciato di rievocare in modo troppo netto la formulazione dell’art. 1341 primo comma c.c.270. In realtà, la forza innovativa della norma di settore si coglie proprio nella acclarata espressa enunciazione, nella medesima, del principio di trasparenza, da coniugarsi, in una prospettiva di armonizzazione tra parte generale e norme di settore, piuttosto che di dicotomico rapporto genus-species, con il contenuto dell’art. 1341 c.c., a fronte della scelta, operata dai Compilatori del 1942, certamente maggiormente rispondente alle contingenze economiche di quel momento, di non affrontare apertamente il problema della trasparenza e della correttezza d’informazione in tali dinamiche negoziali derogatorie del regime ordinario di cui agli artt. 1326 - 1328 c.c. La formulazione chiara e comprensibile delle clausole negoziali è garanzia di un corretto accesso, da parte del consumatore, al contenuto del contratto, in modo tale che nulla gli rimanga oscuro, in sede di prestazione del proprio consenso. Senza dubbio, l’opzione di fissare apertis verbis il principio di trasparenza è rispondente alla necessità di apprestare il massimo grado di tutela possibile alla posizione debole del consumatore, anche quale alternativa al rischio della vessatorietà271. Procedendo nell’analisi del principio di trasparenza, il secondo comma dell’art. 35 cod. cons. prevede una regola riconducibile alla cosiddetta interpretatio contra preferentem, che attiene all’ambito interpretativo delle clausole negoziali, esprimendo il precetto del favor per il consumatore272. Il tenore del disposto di cui al secondo comma dell’art. 35 cod. cons. statuisce una regola che esula dall’ambito delle condizioni generali di contratto273, per estendere la propria operatività anche alla circostanza in cui si tratti di una singola clausola preconfezionata per una determinata specifica operazione negoziale, intervenendo, in tale modo, a colmare l’eventuale vacuum normativo che si sarebbe determinato qualora non fosse stata dettata tale disposizione, dal momento che la normativa di cornice contenuta nel Codice civile soccorre il giurista con due sole norme, l’art. 1368 secondo comma e F. FRANCESCHELLI, I contratti per adesione e l’interpretazione contro l’autore della clausola, in G. ALPA – C.M. BIANCA (a cura di), Le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, Padova, 1996, p. 463 ss. 271 V. RIZZO, Trasparenza e contratti del consumatore, Napoli, 1999, passim. 272 A. TULLIO, Il contratto per adesione tra il diritto comune dei contratti e la novella sui contratti dei consumatori, Milano, 1997, p. 92 273 C.M. BIANCA, v. Condizioni generali di contratto, in Enc. giur., Istituto dell’enciclopedia italiana fondato da Giovanni Treccani, Roma, 1988, VIII, p. 1 270 85 l’art. 1370 c.c.274 La prima norma qui richiamata prevede che “nei contratti in cui una delle parti è un imprenditore, le clausole ambigue s’interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui è la sede dell’impresa”; il secondo enunciato dispone che “le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti s’interpretano, nel dubbio, a favore dell’altro”. Qualora si riveli sussistere una incertezza circa il senso da attribuire con sicurezza ad una clausola del contratto, l’interprete dovrà abbracciare quell’interpretazione che risulti essere più favorevole per il consumatore. Se, invece, l’incertezza sia tale da rendere del tutto inintelligibile la clausola, in tale circostanza l’interprete sarà tenuto ad optare per la non inclusione della medesima all’interno del regolamento negoziale275. E’ interessante notare come l’ambito di valutazione della vessatorietà di una clausola venga ristretto dalla stessa lettera della legge, come emerge dal tenore dell’enunciato di cui al secondo comma dell’art. 34 cod. cons., nel quale si esclude espressamente la possibilità di passare al vaglio tutte quelle clausole che hanno riguardo “alla determinazione dell’oggetto del contratto e all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile”276. Qualora il controllo circa la vessatorietà della clausola dia esito affermativo, lo strumento dell’eterointegrazione negoziale, da compiersi tramite l’equità integrativa ai sensi dell’art. 1374 c.c., può soccorrere soltanto nel caso in cui si riscontri una aporia nell’accordo delle parti a tale riguardo, non potendo, al contrario, essere impiegata per correggere o modificare quanto le parti stesse abbiano previsto, nell’esercizio della loro, sia pur discutibile, autonomia negoziale277. L’operatività del sistema dell’eterointegrazione negoziale è resa possibile soltanto nel caso in cui l’interprete possa individuare una disciplina, di fonte legale, suscettibile di essere richiamata ed applicata in funzione B. ANDO’, Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, in Dir. consumi, 1997, p. 92 R. CALVO, Il codice del consumo tra “consolidazione” di leggi e autonomia privata, in Contr. Impr. Eur., 2006, p. 74 276 G. ALPA, Le clausole abusive nei contratti dei consumatori, in Corr. Giur., 1993, p. 639, rileva come il controllo circa la sussistenza dell’equilibrio tra la ripartizione dei diritti e dei doveri in capo alle parti contraenti non debba tradursi in un “controllo dell’opportunità dell’affare”. Contra M. GAMBINI, Il nuovo statuto del consumatore europeo: tecniche di tutela del contraente debole, in Giur. merito, 2004, 12, p. 2605, osserva che “la disciplina delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori, pur tendendo immediatamente a riequilibrare la condizione di inferiorità contrattuale del consumatore e a garantire l’uguaglianza di diritti ed obblighi contrattuali tra professionista e consumatore, intende, con ciò, anche tentare di riequilibrare, sia pure indirettamente, l’alterazione e l’iniquità delle prestazioni sotto il profilo economico, quindi, in qualche misura, garantire la giustizia sostanziale del regolamento contrattuale”. 277 F. GAZZONI, Equità e autonomia privata, Milano, 1970, p. 323 274 275 86 sostitutiva della clausola abusiva, rendendo, per tale via, il contenuto dell’accordo determinato o determinabile278. L’argomento della trasparenza, quale presidio della posizione debole del consumatore, comporta altresì alcune considerazioni sul disposto di cui al terzo comma lett. l) dell’art. 33 cod. cons. Si tratta della cosiddetta grey list, contenente la presunzione relativa di vessatorietà della clausola del contratto che prevede “l’estensione dell’adesione del consumatore a clausole che non ha avuto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto”279. Il tenore del disposto si comprende agevolmente non appena lo si inquadra nella più ampia cornice che consiste nell’evitare che il consumatore possa subire pregiudizio da clausole ignote rese operative per relationem a quelle a lui note280. Di qui la necessità di fissare il concetto di grado di conoscibilità del regolamento contrattuale ad un livello eccedente quello della “mera informazione potenziale ed astratta”, prediligendo piuttosto una “conoscibilità effettiva da valutarsi in concreto”281. Si può giungere a riflessioni analoghe se si analizza il disposto di cui all’art. 36 secondo comma lett. c) cod. cons., che, nell’enunciare la cosiddetta black list, ovvero il novero delle clausole alle quali il legislatore commina espressamente il carattere della vessatorietà, senza che tale presunzione possa essere superata mediante prove contrarie, ed indipendentemente dall’avvenuto svolgimento della trattativa individuale, bandisce l’estensione dell’adesione del consumatore a quelle clausole che egli stesso di fatto non ha avuto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto. Dall’assetto normativo realizzato mediante il combinato disposto degli artt. 33 terzo comma lett. l) e 36 secondo comma lett. c) cod. cons. emerge il carattere proprio della trasparenza che, oltre ad assurgere a principio generale che informa di sé la materia del contratto asimmetrico, si concretizza in ogni situazione specifica, che veda coinvolto ciascun singolo consumatore, per fornire a quest’ultimo una tutela diretta ed effettiva282. 278 C. CASTRONOVO, Profili della disciplina nuova delle clausole cd. vessatorie cioè abusive, in Eur. dir. priv., 1998, p. 28 279 Per una ricostruzione dell’argomento sulla base del regime di responsabilità si veda S. LANDINI, Obblighi di documentazione informativa e responsabilità civile, in Danno resp., 2008, p. 1073 280 G. GRISI, Gli obblighi di informazione, in S. MAZZAMUTO (a cura di), Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, Torino, 2002, p. 153 281 E. NAVARRETTA, Art. 1469 quinquies, comma 2, in C.M. BIANCA – F.D. BUSNELLI (a cura di), Commentario al Capo XIV bis del codice civile: dei contratti del consumatore, cit., p. 1244 282 F. PROSPERI, Violazione degli obblighi di informazione nei servizi di investimento e riedi contrattuali (a proposito di Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725), in Contr. impr., 2008, p. 945 87 L’esigenza, avvertita negli ambienti comunitari, di approntare sicuri strumenti di garanzia per il contraente debole, che si traduce anche nella adozione di regole in materia di obblighi di informazione, coinvolge anche la disciplina delle pratiche sleali che possano aver luogo nel mercato interno tra professionisti e consumatori, tema centrale della Direttiva 29/2005/CE283. Lo scopo della direttiva viene perseguito mediante la tutela diretta della concorrenza e dei consumatori. Occorre rilevare come il nucleo concettuale della Direttiva ruoti attorno al dovere di correttezza professionale, per il quale i molteplici richiami normativi permettono oggi di parlare di un vero e proprio “statuto della correttezza professionale”284. La Direttiva, in cui, peraltro, appare, all’art. 2 lett. b), la nozione di consumatore medio quale “il consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto”, intende agganciare al principio di proporzionalità la valutazione sulla slealtà di una determinata pratica commerciale; ciò nonostante, i giudici nazionali, in sede di verifica circa la slealtà di una pratica commerciale, sono tenuti a considerare una serie di circostanze concrete che variano caso per caso. La stessa Direttiva, nella piena consapevolezza che i consumatori non sono tutti uguali tra loro, prevede altresì regole specifiche per il caso in cui si tratti di consumatori appartenenti ad un determinato gruppo in quanto aventi caratteristiche specifiche particolari (si pensi ai minori di età), pertanto in tali casi la valutazione della slealtà deve essere compiuta facendo riferimento al consumatore medio appartenente ad un gruppo, piuttosto che al consumatore medio in generale. La nozione di pratica sleale è fornita all’art. 5 della Direttiva, intesa come ogni pratica commerciale che “è contraria alla diligenza professionale e altera o è idonea ad alterare in misura rilevante il comportamento economico in relazione al prodotto del consumatore medio, che raggiunge o al quale è diretta, o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale si diriga specificamente ad un determinato gruppo di consumatori”. Viene, per tale via, elaborata una clausola generale, destinata ad essere attivata nel caso in cui una determinata fattispecie concreta non possa essere ricondotta né al novero delle pratiche ingannevoli o aggressive né alla black list che 283 R. INCARDONA, La Direttiva 29/2005/CE sulle pratiche commerciali sleali: prime valutazioni, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 2006, p. 361 284 V. FALCE, Appunti in tema di disciplina comunitaria sulle pratiche commerciali sleali, in Riv. dir. comm., 2009, p. 423 ss., delinea la cornice entro cui si ambienta la Direttiva 29/2005/CE, in materia di pratiche sleali tra professionisti e consumatori nel mercato interno, in ossequio al programma di tutela degli interessi economici dei consumatori nonché dei “diritti civili nel mercato” (p. 424), attraverso il richiamo alla correttezza quale criterio che disciplina lo svolgimento dei rapporti tra gli operatori economici. 88 la stessa Direttiva fornisce in allegato285. Si tratta di una norma di chiusura, il cui ambito di operatività è residuale, sul presupposto dei limiti di applicabilità delle pratiche ingannevoli e di quelle aggressive. Il vero tratto di novità della Direttiva è segnato dall’esortazione nei confronti degli Stati membri ad adottare codici di condotta in materia di pratiche commerciali sleali, fornendo, all’art. 2, la nozione di codice di condotta quale “accordo che definisce il comportamento che dei professionisti si impegnano a rispettare in relazione a una o più pratiche commerciali o ad uno o più settori imprenditoriali specifici”, laddove invece per codice di condotta di livello comunitario è da intendere “un codice di condotta che consente l’adesione, su basi non discriminatorie, di qualsiasi professionista di qualsiasi Stato membro che soddisfi i requisiti stabiliti dal codice. Il codice dovrà prevedere meccanismi idonei ed efficaci che consentano di controllarne e imporne il rispetto”. Nel contesto contemporaneo, alla previsione generale dell’obbligo di informazione contenuta nell’art. 1337 c.c., si affianca una molteplicità di situazioni specifiche in cui sorgono obblighi di informazione. Il contenuto dell’obbligo generale si sostanzia nel limite imposto al soggetto maggiormente informato di disporre a proprio vantaggio della posizione di favor informativo acquisita, laddove invece gli obblighi specifici sono dettati espressamente per le forme di contrattazione asimmetrica, per la quale è fisiologico accordare forme specifiche di tutela al contraente debole fin dalla fase delle trattative prenegoziali, senza però, al contempo, andare ad ingerire sul contenuto del regolamento negoziale, la cui determinazione rimane essenzialmente affidata all’attività delle parti contraenti. Nelle norme di cornice in materia di contratto in generale, la tutela precontrattuale è affidata all’operatività della clausola generale di buona fede. Nei contratti del consumatore, al contrario, si registra una sostanziale tendenza a limitare il margine di discrezionalità del giudice, con la conseguenza per cui vengono in 285 R. SENIGAGLIA, Informazione contrattuale nella net economy e trasparenza del mercato, in Eur. dir. priv., 2002, p. 248, nel rilevare le carenze proprie del commercio transnazionale dovute alla scarsezza di trasparenza nelle informazioni, limiti che il sistema globale degli scambi nella net economy mette pienamente in luce, osserva come la concorrenza, che assurge a valore fondamentale contro qualsiasi abuso dell’imprenditore, postuli una equa divulgazione delle informazioni a tutti gli operatori della scena economica. L’Autore individua nella possibilità di dare vita ad un circuito a basso costo ove le informazioni possano muoversi così che i consumatori siano messi in condizione di effettuare tutte quelle valutazioni di carattere comparativo che precedono il momento della scelta del prodotto. Egli mette così in risalto la intima connessione tra sistema concorrenziale e sistema del diritto, rintracciandone quella medesimezza del fine che si sostanzia nello svolgimento di un mercato concorrenziale allo scopo di soddisfare il parametro dell’utilità sociale, che è sotteso ad ogni ordinamento giuridico. 89 considerazione una serie di specifici doveri di informazione, espressamente dettati, che rientrano tra le obbligazioni contrattuali del professionista. Un pregnante esempio è fornito in materia di vendita di beni di consumo, di cui all’art. 128 ss. cod. cons., in cui viene posto a carico del venditore nonché del produttore l’obbligo di commerciare un bene che soddisfi determinati standard di carattere oggettivo e che, al contempo, sia conforme a quanto dichiarato al di fuori del testo negoziale286. L’ambito dei rapporti di consumo implica inevitabilmente uno spostamento della tutela del contraente debole anche e soprattutto alle fasi che precedono in modo meno prossimo il momento della conclusione del contratto, dal momento che nella vendita dei beni di consumo la pubblicità e le informazioni di cui il consumatore è destinatario quale soggetto che opera sul mercato contribuiscono grandemente alla scelta di questi di addivenire o meno alla conclusione del contratto287. La maturata consapevolezza della importanza che, nel contesto commerciale contemporaneo, le informazioni assumono nella fase prenegoziale, si registra anche nei Principles of European Contract Law, in cui il paragrafo 6:101, nell’elencare tra le fonti dell’obbligazione anche le dichiarazioni rese sia in fase antecedente sia in fase contestuale alla conclusione del contratto, sul presupposto per cui l’altra parte le abbia ragionevolmente intese, fissa, per tale via, l’obbligo in capo al soggetto autore del messaggio pubblicitario di conformità del contratto alle dichiarazioni rese a mezzo della pubblicità, fatto salvo il caso di sopravvenienze che non potevano essere previste nel momento in cui è stato formato il messaggio pubblicitario288. Nel Codice del consumo, accanto ad obblighi di informazione specificamente imposti, si rinvengono altresì ipotesi in cui viene disciplinato il contenuto di informazioni spontaneamente trasmesse e ne viene stabilita la vincolatività. Si pensi E. RAJNERI, L’ambigua nozione di prodotto difettoso al vaglio della Corte di Cassazione italiana e delle altre Corti Europee, in Riv. dir. civ., 2008, II, p. 623 287 G. CHIAPPETTA, Il principio di autodeterminazione da leale informazione ed il corretto funzionamento del mercato, in Il diritto dei consumi, III, Rende, 2007, p. 171-238 288 C. RESTIVO, La conclusione del contratto nei Principi di Diritto Europeo dei Contratti e nel codice civile italiano, in Eur. dir. priv., 2003, p. 883 ss., mette in luce il problema del ragionevole affidamento che induce la parte contraente a prestare il proprio consenso al fine della conclusione del contratto, che si fonda sulla conoscenza che il contraente ha delle circostanze di fatto che sono connesse alla vicenda negoziale che sta per porre in essere. Mentre nei Principi di diritto europeo dei contratti il parametro della ragionevolezza è enunciato espressamente ed è saldato alla formazione del consenso, nel Codice civile la tutela dell’affidamento è invece connessa al carattere incolpevole, il che vale a dire ad una valutazione che coinvolge il contegno del soggetto contraente al fine di venire a conoscenza della volontà effettiva della controparte. La tematica si inquadra nella più ampia cornice del dibattito tra volontà e dichiarazione, ove la teoria del ragionevole affidamento consiste in ciò che “il destinatario della dichiarazione viene sollevato dall’onere di adoperarsi al fine di venire a conoscenza delle circostanza che qualificano la manifestazione della volontà a lui indirizzata” (p. 890). 286 90 a quanto previsto all’art. 88 cod. cons., con riguardo all’opuscolo informativo, in materia di contratti di viaggi vacanze, che viene reso accessibile al consumatore in sede preliminare a quella della conclusione del contratto. Vi sono, poi, determinate fattispecie di operazioni economiche, che si realizzano mediante i contratti a distanza o la vendita fuori dei locali commerciali, in cui è necessario che il professionista fornisca determinate informazioni con riguardo alla natura ed alle caratteristiche della prestazione che forma oggetto della sua obbligazione289. Nel quadro dell’informazione si inserisce il fenomeno pubblicitario che svolge un ruolo determinante nella formazione del convincimento del consumatore a voler acquistare il prodotto, soprattutto a fronte degli innumerevoli strumenti attraverso i quali l’informazione pubblicitaria viene veicolata verso i consumatori. Il Codice del consumo, in primo luogo, si è fatto carico di dettare regole a tutela della parte debole, volte ad arginare l’abuso dei poteri di informazione da parte delle imprese, nonché l’impiego improprio della pubblicità. Successivamente, con il d.lgs. 2 agosto 2007, n. 145, sono state elaborate specifiche e dettagliate prescrizioni nelle materie della pubblicità ingannevole e comparativa. Se le regole originarie, peraltro di chiara matrice comunitaria, erano volte a preservare il corretto svolgimento delle attività commerciali sulla scena mercantile, il nuovo impianto normativo, essendo, nei suoi contenuti sostanziali, essenzialmente riproduttivo di quanto contenuto nel Codice del consumo, esprime la preoccupazione del legislatore comunitario e nazionale di assicurare un adeguato livello di protezione della parte debole anche contro questi fenomeni. La pubblicità è un potentissimo canale attraverso cui si possono veicolare le scelte dei consumatori in una direzione piuttosto che in un’altra; pertanto, una volta preso atto che il consumatore è fisiologicamente in posizione di debolezza nella sede delle contrattazioni d’impresa, non si può trascurare di considerare come attraverso la pubblicità ingannevole le asimmetrie informative e negoziali eccedano il livello caratterizzante la fattispecie. I due decreti legislativi del 2 agosto 2007, n. 145 e 146, nel costituire una forma di attuazione della Direttiva 2005/29/CE, recepiscono i due principi in essa contenuti; a livello comunitario, ci si è infatti preoccupati tanto di accordare tutela alle imprese concorrenti contro gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla pubblicità ingannevole, quanto di assicurare protezione ai consumatori contro le pratiche commerciali sleali. Ne consegue che le fonti della pubblicità ingannevole e comparativa sono oggi il 289 E. SCODITTI, Regole di efficacia e principio di correttezza nei contratti del consumatore, in cit., p. 119 91 d.lgs. n. 145 del 2007, che, nel tutelare le imprese concorrenti, regola il fenomeno; la tutela nei rapporti tra consumatori e professionisti è, invece, consegnata agli articoli 18 ss. cod. cons. così come novellati dal d. lgs. n. 146 del 2007. Se è pacifico che tutta la normativa qui richiamata sia da ascrivere al valore, di investitura costituzionale, della libertà di iniziativa economica, ad avviso di chi scrive, tuttavia, essa è piuttosto da ricondurre al diritto della persona umana in quanto tale, alla libera formazione del proprio pensiero e del proprio convincimento, che costituisce il proprium delle democrazie. 5. Lo scenario dei rapporti tra privati annovera, tra i suoi strumenti regolatori, anche il principio di ragionevolezza290, del quale, pur non essendo stata fornita una espressa nozione legislativa, è tuttavia possibile riscontrare la presenza, attraverso vari riferimenti espliciti tanto nel Codice civile quanto nel Codice del consumo291. Si tratta di un criterio che pervade la materia del diritto privato da non breve periodo, inserendosi quale strumento per la ponderazione di vicende e rapporti giuridici292. Nel contesto contemporaneo, caratterizzato, per così dire, dalla “legislazione per principi”, questo, come gli altri concetti-valvola, conosce un momento di grande rivalutazione ed operatività. Leggendo il testo del Codice civile, sarà possibile rintracciare l’impiego del termine “ragionevolezza” in luoghi sporadici, quali, ad esempio, l’art. 49, l’art. 1365, nonché gli artt. 1711 secondo comma, e 1751 secondo comma, contrariamente a quanto è dato riscontrare nella legislazione consumeristica in cui tale termine compare con maggiore frequenza. Il dato che rileva concerne, tuttavia, non tanto l’aspetto quantitativo, quanto quello qualitativo: la portata semantica della parola. Nel Codice civile, l’impiego del termine si riscontra maggiormente in materia contrattuale, quale criterio orientativo del momento interpretativo del documento negoziale, nella veste di generico mezzo di adeguamento del dato normativo alla realtà concreta, senza che siano delineati gli indici sulla base dei quali condurre la valutazione della ragionevolezza, con la conseguenza per cui viene affidata all’interprete ogni valutazione concreta da effettuarsi sulla base di quei parametri di giudizio, quali gli usi e la prassi negoziale, che derogano al luogo legislativo inteso in senso stretto. Sul terreno del 290 F. MODUGNO, La ragionevolezza nella giustizia costituzionale, Napoli, 2007, passim Il criterio generale qui in esame è suscettibile a trovare applicazione in molteplici ambiti, massimamente nella materia dei contratti. Sul punto si veda A. RICCI, La ragionevolezza nel diritto privato: prime riflessioni, in Contr. impr., 2005, p. 643 292 F. CRISCUOLI, Buona fede e ragionevolezza, in Riv. dir. civ., 1984, I, p. 725 291 92 consumatore, il richiamo alla ragionevolezza si salda, invece, alla nozione di congruità. L’art. 33 secondo comma lett. h) cod. cons. annovera, tra le clausole che si presumono vessatorie fino a prova contraria, quelle che hanno per oggetto, o per effetto, di “consentire al professionista di recedere da contratti a tempo indeterminato senza un ragionevole preavviso, tranne nel caso di giusta causa”. La parola viene impiegata in materia di termini, analogamente a quanto avviene nel Codice civile, ad esempio, al terzo comma dell’art. 1748, in materia di contratto di agenzia, in cui, nell’annoverare la provvigione tra i diritti dell’agente, il legislatore prevede che tale diritto sorge con riguardo agli “affari conclusi dopo la data di scioglimento del contratto se la proposta è pervenuta al preponente o all’agente in data antecedente o gli affari sono conclusi entro un termine ragionevole dalla data di scioglimento del contratto”. In altre previsioni codicistiche, il legislatore, nel qualificare i termini, si esprime, piuttosto, tramite il concetto di congruità, come avviene, ad esempio, in materia di somministrazione, ove il disposto dell’art. 1569 c.c. statuisce che “se la durata della somministrazione non è stabilita, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, dando preavviso nel termine pattuito o in quello stabilito dagli usi o, in mancanza, in un termine congruo avuto riguardo alla natura della somministrazione”. In una prospettiva di comparazione tra congruità e ragionevolezza, emerge come, nel caso codicistico del “termine congruo”, l’indice attraverso cui commisurare la congruità a determinate esigenze (unilaterali) debba essere rintracciato all’esterno, mentre, nel caso del “termine ragionevole” in materia di clausole vessatorie, è insito nel concetto di ragionevolezza il parametro di riferimento, che si sostanzia nella stessa convenienza del termine di preavviso per entrambe le parti contraenti, in una sintesi di interessi concreti secondo cui l’interesse della parte che esercita il diritto potestativo di recesso è da valutarsi in connessione con quello della parte che lo subisca293. L’argomento coinvolge anche la vendita dei beni di consumo, la cui attuale disciplina costituisce il precipitato di un lungo iter che prende l’avvio con la Direttiva 99/44/CE in materia di garanzie nella vendita dei beni di consumo, la cui attuazione ha giustificato la novella codicistica con cui sono stati introdotti gli artt. 1519 bis e seguenti nel Codice civile, regole ora confluite negli artt. 129 ss. cod. cons. In questa sede, il concetto di ragionevolezza assume una specifica duplice portata contenutistica, che si sostanzia, in primo luogo, nella “ragionevole aspettativa” del consumatore, e, in secondo F. VIOLA, Ragionevolezza, cooperazione e regola d’oro, in Ragionevolezza e interpretazione, Ars interpretandi, Annuario di ermeneutica giuridica, VII, Padova, 2002, p. 111 293 93 luogo, nella ragionevolezza delle spese imposte al venditore. Il consumatore matura, infatti, l’aspettativa di ricevere dal venditore un bene conforme a quanto pattuito nell’accordo negoziale, e ciò assume i tratti della ragionevolezza nel momento in cui è da presumersi la conformità del bene di consumo al contratto, a fronte della natura del bene, dell’attività normalmente svolta dal venditore e delle dichiarazioni pubbliche rese dallo stesso in merito alle caratteristiche specifiche dei beni che egli commercializza, nonché dalla descrizione dei beni che viene compiuta tramite lo strumento della pubblicità o anche dalle informazioni contenute sull’etichettatura. E’ tuttavia pacifico che, talvolta, la pubblicità illustri delle qualità, in modo manifestamente iperbolico, del bene, per cui la “ragionevole aspettativa” del consumatore emergerà laddove il consumatore, in grado di ponderare e valutare le informazioni che gli vengono fornite, verificherà il bene che in concreto gli venga consegnato sulla base del complesso di qualità sulle quali può fare affidamento. Il riferimento è al consumatore medio, con la conseguenza per cui si tratta di un criterio soggettivo di valutazione del bene che tuttavia assume valenza oggettiva, il che vale a dire generalizzata, in quanto si pone come sindacato sul comportamento valevole per ogni soggetto che si trovi nella posizione di consumatore. Analogamente, il concetto di ragionevolezza della spesa assurge a strumento di valutazione dell’onerosità dell’esborso, da effettuarsi, questa volta da parte del venditore, secondo il valore che il bene avrebbe in assenza del difetto di conformità, secondo l’effettiva entità dei difetti di conformità nonché secondo la possibilità di attivare il rimedio alternativo senza che, con ciò, il consumatore subisca ingenti pregiudizi. Il consumatore non potrà infatti richiedere la sostituzione di un bene che presenti un lieve difetto di conformità, laddove si possa ovviare all’inconveniente attraverso un piccolo intervento del professionista, ed ove la sostituzione del bene possa rivelarsi eccessivamente onerosa per quest’ultimo. Le riflessioni condotte induttivamente ci immettono nel più ampio problema concernente la qualificazione giuridica della ragionevolezza. Si tratta di un concetto molto efficiente, dal punto di vista funzionale, in materia di contratti, in quanto permette, in sede di interpretazione, di rintracciare in concreto il momento di sutura tra la volontà delle parti contraenti e la capacità dell’assetto negoziale divisato di soddisfare gli interessi e le esigenze delle medesime in termini di economicità. Sotto il profilo identitario, ci si chiede se si debba annoverare la ragionevolezza tra le clausole generali dell’ordinamento, tra i principi o tra le categorie con cui il 94 civilista è chiamato a misurarsi. Se, per molto tempo, l’operatività delle clausole generali è stata tenuta a freno da un’ottica incentrata sul dogma della certezza del diritto, il repentino complicarsi della realtà sociale ha comportato, nel momento contemporaneo, una necessaria apertura verso la “legislazione per principi”, con la conseguenza tanto di un riconoscimento di “poteri creativi all’interprete” quanto della presa di coscienza dei limiti applicativi e delle aporie alle quali è esposta la “legge creata”, di fronte alla mutevolezza delle esigenze concrete294. Per tale via, è cominciato un processo di rivalutazione delle clausole generali, quali la buona fede, l’equità, l’ordine pubblico, il buon costume, la solidarietà, concetti la cui funzione (di colmare le inevitabili aporie del sistema giuridico “dettato”) può essere esplicata proprio in quanto per essi non è stato fissato un significato specifico (e che è dato rintracciare a partire da standard di comportamento sociali), che costituiscono una sorta di scettro del “potere creativo” consegnato nelle mani dei giudici. Del resto, neppure volendo andare alla ricerca di una nozione di clausola generale si troverà una definizione univoca. Si rintracciano, infatti, in dottrina le opinioni più svariate, che trattano le clausole generali talvolta alla stregua di norme incomplete295, talaltra alla stregua di fonti di eterointegrazione del sistema giuridico attraverso le quali le regole elaborate in via pragmatica sono ammesse nel tessuto normativo296, o, ancora, come espressione del “diritto vivente” che, traendo origine dalla prassi, deve necessariamente inserirsi nel terreno del “codificato”297. Le clausole generali si distinguono dai principi generali in quanto questi ultimi si presentano piuttosto quali criteri assiomatici di carattere dogmatico, che si vanno ad inserire nel sistema del diritto in qualità di premesse aprioristiche ed inconfutabili. Si pensi al principio consensualistico, o al principio di causalità o a quello della libertà contrattuale298. S. RODOTA’, Il tempo delle clausole generali, in Il principio di buona fede, Milano, 1987, p. 249 ss. 295 L. MENGONI, Spunti per una teoria delle clausole generali, in Riv. crit. dir. priv., 1986, I, p. 9 ss. 296 S. RODOTA’, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 2004, passim. 297 A. FALZEA, Gli standards valutativi e la loro applicazione, in Riv. dir. civ., 1987, I, p. 1, il quale definisce le clausole generali come una sorta di “organi respiratori” del sistema giuridico. Di qui l’accezione di “concetti-valvola”. 298 L. MENGONI, I principi generali del diritto e la scienza giuridica, in Principi generali del diritto, Roma, 1992, p. 323-324; V. CRISAFULLI, Per la determinazione del concetto dei principi generali del diritto, in Studi sui principi generali dell’ordinamento giuridico, Università degli Studi di Pisa, 1943, p. 176. Nonché G. ALPA, Una concezione realistica dei principi generali, in L. CABELLA PISU – L. NANNI (a cura di), Clausole e principi generali nell’argomentazione giurisprudenziale degli anni novanta, Padova, 1998, p. 106-109. 294 95 Una volta condivisa l’impostazione secondo cui le clausole generali sono strumenti di adeguamento del sistema alla realtà sociale, risultando facilmente comprensibile come non possa essere attribuito a ciascuna di esse uno specifico significato destinato a rimanere immutato ed immutabile, non si dovrà incorrere nell’errore di ritenere che le clausole siano tra loro sinonimiche, intercambiabili e suscettibili di essere sostituite l’una con l’altra. Ognuna delle clausole generali, dalla ragionevolezza alla buona fede e all’equità, conosce una propria storia ed un proprio iter genetico. Pur condividendo esse la medesima prospettiva funzionale, ciascuna è caratterizzata da peculiari elementi che valgono a compiere la differenziazione. Si consideri, a titolo esplicativo, che la ragionevolezza, che ha origine nel sistema di common law, sottende valutazioni connesse all’efficienza economica del contratto per le parti contraenti, mentre la buona fede, propria squisitamente del civil law, contiene in sé ed invoca i parametri della morale soggettiva contrattuale (il dovere delle parti contraenti di comportarsi secondo lealtà e correttezza). Certamente, le clausole generali operano secondo un filo di connessione funzionale che le lega le une alle altre299. Ma v’è di più. Se, a partire dalla clausola generale di ragionevolezza, si può dare vita ad un vero e proprio principio generale dell’ordinamento, in quanto regola della sensata adeguatezza tra scopi e mezzi300, la ragionevolezza si va ad inserire nel novero degli strumenti di controllo dell’impiego della clausola di buona fede da parte dei giudici, segnando i confini dai quali il dovere di correttezza non può esorbitare. Ne deriva che la buona fede, quale criterio di “valutazione dell’opportunità soggettiva” dell’effettivo esercizio dell’autonomia negoziale, viene impiegata ove essa non si presenti incompatibile con i parametri dell’efficienza oggettiva dell’operazione economica. La nozione di equità sostanziale vale, in via generale, a nominare una delle fonti di integrazione del contratto, espressamente richiamata all’art. 1374 c.c. Essa interviene quale criterio di determinazione della regola da applicare al contratto, permettendo al giudice di assumere a fondamento della correzione che egli opererà alla pattuizione negoziale, tutte quelle circostanze di fatto le quali risulteranno maggiormente idonee allo scopo301. L’equità appartiene tradizionalmente all’ordinamento giuridico interno in qualità di clausola generale, al pari della buona 299 Cass., 11 febbraio 2005, n. 2855, in , in cui vengono posti in luce in punti di interconnessione tra l’una e l’altra clausola generale. 300 F. CRISCUOLI , Buona fede e ragionevolezza, in Riv. dir. civ., 1984, p. 754 301 S. RODOTA’, Le fonti di integrazione del contratto, cit., p. 222-225 96 fede. Ed in tale guisa è stata trattata per molto tempo, senza trascurare la diffidenza che, per anni, è stata riservata a tutte le clausole generali, nell’ottica in cui la certezza del diritto era saldata alla avversione per il “ruolo creativo” dell’interprete. Il Codice del consumo, nel fornire, all’art. 2, l’elenco dei diritti dei consumatori, vi annovera il diritto alla correttezza, alla trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali. Dalla legislazione di settore sembra emergere l’equità quale oggetto di un diritto di cui è titolare il consumatore, piuttosto che quale strumento affidato all’operato dell’interprete. Il contenuto del diritto all’equità è da ricollegare al novero degli strumenti a tutela del contraente debole, tra cui, in primo luogo, la disciplina delle clausole vessatorie, approntata anch’essa per far fronte a situazioni di squilibrio contrattuale. Nella formulazione di cui all’art. 2 secondo comma lett. e) cod. cons. viene attribuita una posizione di autonoma preminenza all’equità, in quanto essa viene a rilevare autonomamente, in qualità di diritto del consumatore ad ottenere una proporzione tra prestazione e controprestazione, compatibilmente con il fisiologico squilibrio che è proprio della contrattazione asimmetrica. In una tale prospettiva, l’equità si discosta dal ruolo di mero strumento per il sindacato della vessatorietà di una clausola, per assurgere a contenuto di una posizione giuridica soggettiva ben delineata. 6. L’argomento delle garanzie e dei rimedi302, posti a tutela delle parti contraenti, all’interno del contratto di vendita, si incardina, se affrontato nei termini tradizionali, sulla alternativa tra l’opzione favorevole a saldare le garanzie per evizione e per vizi della cosa venduta al regolamento negoziale costruito ed attuato dalle parti, o, piuttosto, a rintracciare nella legge la fonte diretta di tali garanzie, con la conseguenza per cui, secondo tale prospettiva, si verificherebbe una integrazione esterna delle regole che presiedono allo svolgimento del rapporto negoziale 303. In ogni caso, risulta condivisibile l’impostazione secondo cui la questione risiede, con riguardo alla cosiddetta vendita di diritto civile, nell’indagine sui poteri e sui limiti della teoria generale del negozio giuridico304. Nel quadro dell’armonizzazione, l’esigenza di accordare la tutela (in modo particolare, al contraente debole), nella 302 C. SCOGNAMIGLIO, Regole di validità e di comportamento: i principi ed i rimedi, in Eur. dir. priv., 2008, p. 599 303 Per una significativa ricostruzione del rapporto tra “diritti” e “rimedi” si veda A. DI MAJO, Il linguaggio dei rimedi, in Eur. dir. priv., 2005, 2, p. 341 ss., in cui l’Autore pone in risalto come sia necessario che un rimedio si ricolleghi sempre ad un interesse, tutelato dall’ordinamento, che viene leso; al contrario, il rimedio non deve sempre necessariamente innestarsi su un diritto. 304 G.B. FERRI – A. NERVI, Il contratto di compravendita, cit., p. 24. 97 dinamica dei consumi, si sostanzia nella predisposizione di una molteplicità di espedienti rimediali305 volti a proteggere gli interessi coinvolti nella contrattazione306. Si potrebbe, così, osservare che la questione non viene affrontata in termini concettuali307, quanto piuttosto in chiave prettamente economica e pratica308. Nell’elaborazione delle garanzie in materia di vendita di beni di consumo a livello europeo, si è tenuto conto delle diverse impostazioni proprie degli ordinamenti dei Paesi ai quali la normativa è indirizzata309. Certamente, una volta che ci si sia occupati, a livello europeo, della tematica dei rimedi e delle garanzie, vuol dire che si è intaccato (o, quanto meno, toccato) uno dei nuclei della materia delle obbligazioni e dei contratti, quale fonte principale del rapporto obbligatorio310. Il legislatore europeo, nel trattare le garanzie e i rimedi nella vendita dei beni di consumo, si è ispirato alla Convenzione di Vienna, avente ad oggetto la disciplina della vendita internazionale di beni mobili311, potendosi, comunque, rintracciare significativi punti di divergenza tra le due normative312. Ciò anche a fronte del diverso impatto che i due complessi di regole hanno sul panorama del diritto interno, dal momento che la Convenzione di Vienna si limita a regolare i rapporti di vendita internazionale, mentre il legislatore europeo interviene a dettare prescrizioni operative nelle contrattazioni nazionali313. Conducendo un approccio sinottico all’argomento dei vizi nella vendita dei beni di consumo ed in quella cd. di diritto civile, emerge come l’impostazione del Legislatore del 1942, essenzialmente Per un’analisi trasversale dell’odierno panorama dei meccanismi che interessano la fase dell’esecuzione del negozio si veda A. LUMINOSO, Il contratto nell’Unione Europea: inadempimento, risarcimento del danno e rimedi sinallagmatici, in Contratti, 2002, p. 1037 306 A. LUMINOSO, Armonizzazione del diritto europeo e disarmonie del diritto interno: il caso dei contratti di alienazione e dei contratti d’opera, in Eur. dir. priv., 2008, p. 469 307 G.B. FERRI, La vendita in generale – Le obbligazioni del venditore – Le obbligazioni del compratore, p. 486 308 E. NAVARRETTA, La complessità del rapporto fra interessi e rimedi nel diritto europeo dei contratti, in Nuova giur. civ. comm., 2007, II, p. 415; R. CALVO, Contratti e mercato, Torino, 2006, passim. 309 R. ALESSI, L’attuazione della Direttiva nel diritto italiano: il dibattito e le sue impasse, in ID. (a cura di), La vendita dei beni di consumo, Milano, 2005, p. 3 310 R. CALVO, L’attuazione della Direttiva n. 44 del 1999: una chance per la revisione in senso unitario della disciplina sulle garanzie e rimedi nella vendita, in Sette voci sulla Direttiva comunitaria riguardante le garanzie nella vendita dei beni di consumo, in Contr. impr./Eur., 2000, p. 463 311 C.M. BIANCA, Conformità dei beni e diritti dei terzi. Art. 35, in C.M. BIANCA, Commentario, Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili, in Nuove leggi civ. comm., 1989, p. 147 312 A. DI MAJO, Il regime delle restituzioni contrattuali nel diritto comparato ed europeo, in Eur. dir. priv., 2001, p. 531 313 La Convenzione di Vienna, all’art. 45, delinea nettamente l’opzione tra i rimedi di carattere satisfattivo e quelli di carattere sinallagmatico. P.M. VECCHI, La richiesta di riparazione o sostituzione dei beni di consumo, in Studi in onore di C.M. Bianca, III, Milano, 2006, p. 1007 305 98 fondata sulla connessione - quasi fisiologica - tra vizio e risoluzione del contratto (volendo, con ciò, enunciare una regola rispetto alla quale il rimedio manutentivo integra un’ipotesi derogatoria ed eccezionale)314, venga sostituita, nell’ambito di settore, dal trinomio vizio-rimedio-conservazione degli effetti del contratto, in omaggio ad una visione nettamente pratica e funzionale dell’accordo negoziale che sorregge l’operazione economica315. Dallo stesso ambito settoriale emerge la categoria della “conformità al contratto”, che interviene a porsi quale criterio valutativo dell’esatto adempimento dell’obbligazione che forma oggetto della prestazione del venditore316. Il venditore è, così, tenuto ad adempiere ad un’autonoma obbligazione, quella di garantire che la res consegnata sia conforme a quanto pattuito in sede contrattuale, con il contestuale insorgere della responsabilità per inadempimento317. Come si evince dal tenore testuale dell’art. 130 cod. cons., il Codice del consumo fonda su un dato oggettivo la responsabilità del venditore nei confronti del consumatore “per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene”318. Ciò indipendentemente dall’occorrenza di dolo o colpa da parte del venditore319. Tale responsabilità ha origine meramente dal dato oggettivo consistente nella sussistenza del difetto di conformità320. La norma appena richiamata prosegue, poi, andando ad ossequiare pienamente il principio di conservazione del contratto, dal momento che il secondo comma contiene, in primo luogo, a favore del consumatore, “il diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione”, o, in alternativa, alla riduzione del prezzo, o, secondo quanto ci appare, come extrema ratio, la risoluzione del contratto321. Malgrado il legislatore europeo sembri voler porre sullo stesso piano l’alternativa tra la riduzione del prezzo e la risoluzione del contratto, 314 L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, in Riv. dir. comm., 1953, I, p. 3 315 G.P. CALABRO’, Tutela del contraente debole e mercato: la dialettica tra norme e valori, in P. PERLINGIERI – E. CATERINI (a cura di), Il diritto dei consumi, Rende, 2004, p. 36 316 G. AMADIO, Difetto di conformità e tutele sinallagmatiche, in Riv- dir. civ., 2001, I, p. 870 317 G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, in E. GABRIELLI – E. MINERVINI (a cura di), I contratti dei consumatori, in Tratt. contr. Rescigno Gabrielli, Torino, 2005, p. 967 318 R. PARDOLESI, La direttiva sulle garanzie nella vendita: ovvero, di buone intenzioni e risultati opachi, in Riv. crit. dir. priv., 2001, p. 437 319 Il codice del consumo attribuisce altresì al consumatore, da intendersi qui quale ulteriore strumento di tutela, il diritto di recesso. Recentemente la Corte di giustizia CE, sez. IV, 15 aprile 2010, n. 511, Soc. Handelgesellschaft vs. Verbraucherzentrale, in Guida al dir., 2010, 19, p. 96, ha affermato che al consumatore il quale eserciti il diritto potestativo di recesso non possono essere addebitate, per previsione di legge interna, le spese di consegna dei beni. 320 R. FADDA, La riparazione e la sostituzione del bene difettoso nella vendita (dal codice civile al codice del consumo), Napoli, 2007, passim. 321 A.M. GENOVESE, Conformità al contratto e qualità delle tutele nella vendita, Bari, 2005, passim. 99 nel ribadire, al settimo comma della norma de qua, che “il consumatore può richiedere, a sua scelta, una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto”, a fronte del sussistere di alcune condizioni tassativamente elencate nella stessa lettera della legge, tuttavia, la lettura di tale disposizione all’interno della cornice funzionale nella quale essa è inserita, ci induce a ritenere che il legislatore europeo abbia inteso demandare al consumatore il compito di condurre la graduazione tra rimedio manutentivo (riduzione del prezzo) e risoluzione del contratto, non potendosi, però, ritenere che le due opzioni rappresentino, nell’intenzione dello stesso legislatore, due alternative equivalenti 322. La risoluzione del contratto, che già di per sé svolge un ruolo di carattere residuale nella normativa di settore, rispetto alla posizione che vediamo ad essa attribuita all’interno della disciplina della vendita cd. di diritto civile, risulta, nella vendita dei beni di consumo, un’opzione attivabile soltanto in seguito ad una valutazione che potremmo definire economico-funzionale che è lasciata esclusivamente al consumatore, il quale seguirà criteri di segno prettamente economico al fine di decidere se optare per il mantenimento in vita del rapporto negoziale o piuttosto per lo scioglimento del vincolo323. Alla prestazione della garanzia per vizi si ricollega il sorgere, in capo al venditore, di una responsabilità, rispetto alla quale si pongono problemi di qualificazione giuridica, che hanno dato vita in dottrina alla vexata quaestio intorno alla possibilità di ricondurre tale responsabilità a quella generale per inadempimento contrattuale di cui all’art. 1218 c.c. o, in alternativa, di configurarla quale forma autonoma di responsabilità per “inattuazione dell’effetto reale” del contratto324. Il novero dei rimedi nella vendita dei beni di consumo è da combinare con la disciplina codicistica generale, secondo la duplice fisionomia che l’obbligazione di garanzia assume nei due luoghi normativi325. Il superamento dell’approccio “gerarchico” tra Codice civile e Codice del consumo, a favore dell’armonizzazione dei due complessi normativi, comporta il sorgere del quesito circa la possibilità di applicare alla fattispecie della vendita dei beni di consumo l’art. 1494 c.c. o piuttosto l’art. 1218 c.c., ove sia stato consegnato al consumatore 322 C. IURILLI, Le garanzie nella vendita di beni di consumo tra Codice civile e Codice del consumo, in Studium Iuris, 2006, p. 1365 323 F. ADDIS, La fornitura di beni di consumo: “sottotipo” della vendita?, in Obbl. contr., 2006, p. 585 324 E. RUSSO, La responsabilità per in attuazione dell’effetto reale, Milano, 1965, p. 210 contra: C. CASTRONOVO, Il diritto di regresso del venditore finale nella tutela del consumatore, in R. ALESSI, (a cura di), la vendita di beni di consumo, Milano, 2005, passim. 325 Sul significato del termine “garanzia” si veda M. FRAGALI, v. Garanzia (dir. priv.), in Enc. dir., XVIII, Milano, 1969, p. 448 ss. 100 un prodotto “affetto da difetto di conformità”326. Il quesito non ha scarsa rilevanza, se si considera che l’opzione per l’una o l’altra delle due norme codicistiche appena richiamate determina l’inquadramento della garanzia prestata dal professionista nella tutela risarcitoria che sorge dal regime delle garanzie nella vendita, o piuttosto nel quadro generale della responsabilità per inadempimento, con la conseguenza per cui, in quest’ultima circostanza, la mancata consegna di un “bene conforme” verrebbe ad integrare un mero inadempimento contrattuale327. L’opzione preferibile, accolta anche in seno alla giurisprudenza, ricostruisce la garanzia per vizi nel quadro dell’impegno traslativo che assume il venditore nei confronti dell’acquirente, che si sostanzia anche nell’obbligo di verificare che la res trasferita sia conforme a quanto pattuito e si trovi in condizioni tali da poter essere utilizzata secondo la funzionalità che le è propria328. Una volta condivisa l’impostazione secondo cui la garanzia del venditore è da ritenersi foriera di una autonoma forma di responsabilità329, nonché considerando il testo dell’art. 135 cod. cons. primo comma che prescrive che “le disposizioni del presente capo non escludono né limitano i diritti che sono attribuiti al consumatore da altre norme dell’ordinamento giuridico”, si ritiene che il consumatore possa invocare, nei confronti del professionista, la forma di tutela di cui all’art. 1494 c.c.330. Nell’analisi comparata del novero di rimedi, il Codice del consumo si connota per l’innovazione contenuta nell’art. 131, che disciplina il diritto di regresso. La figura è nota al diritto privato tradizionale da non breve periodo. Si pensi, ad esempio, alla materia della fideiussione, ove il tenore degli artt. 1950 e 1951 c.c. espressamente prevede il regresso del fideiussore contro il debitore principale, o contro più debitori principali. La novità si coglie piuttosto nel dato per cui il diritto di regresso assurge a rimedio accordato al venditore finale nei confronti del precedente venditore all’interno della medesima catena distributiva, inscrivendosi così nel complesso meccanismo delle vendite a catena e della distribuzione di massa. Più specificamente, la norma di settore accorda al venditore finale, il quale sia 326 A. SCARPA, La vendita dei beni di consumo: la conformità al contratto e i diritti del consumatore tra codice del consumo e codice civile, in Giur. merito, 2008, 11, p. 3038 327 G. AMADIO, La “conformità al contratto” tra garanzia e responsabilità, in Altre otto voci (e due progetti) sulla Direttiva comunitaria riguardante le garanzie nella vendita dei beni di consumo, in Contr. impr./Eur., 2001, p. 5 328 E. BARCELLONA, Le tutele dell’acquirente nella vendita di beni di consumo tra responsabilità garanzia ed esatto adempimento, in Contr. impr., 2009, p. 194 329 R. PARDOLESI, Le garanzie relative ai beni di consumo venduti on-line. Pubblicità, affidamento, responsabilità, in Dir. internet, 2007, p. 545 330 F. GALGANO, Un codice per il consumo, in Vita not., 2007, p. 52 101 “responsabile nei confronti del consumatore a causa di un difetto di conformità imputabile ad un’azione o ad un’omissione del produttore, di un precedente venditore della medesima catena contrattuale distributiva o di qualsiasi altro intermediario”, il diritto di regresso nei confronti dei soggetti i quali siano effettivamente responsabili per il suddetto difetto. Dalla lettura della norma, eventualmente anche in combinato disposto con l’art. 36 cod. cons., emerge l’assenza di un sistema che permetta di attivare la responsabilità diretta del produttore. Per tale ragione, trova spazio il diritto di regresso, così come delineato all’art. 131 cod. cons., all’interno della complessa catena di vendita e di distribuzione dei beni di consumo. Se si è detto, da poco, che il diritto di regresso è uno strumento ben noto al diritto privato, occorre ora considerare che, ad un’analisi più accurata, l’impiego del sintagma “diritto di regresso” per nominare il sistema rimediale di cui all’art. 131 cod. cons. appare improprio, dal momento che, in tale fattispecie, si riscontra l’assenza di un regime di responsabilità solidale tra i vari operatori della catena produttiva e distributiva331, e quest’ultimo rilievo integra uno dei presupposti del regresso in senso stretto332. Tuttavia, si verifica, anche in questo caso, che un soggetto, il quale sia tenuto ad adempiere un’obbligazione che è da attribuirsi soggettivamente al contegno inadempiente di un altro soggetto, e che viene dalla legge posta oggettivamente a carico del primo stesso, può agire in regresso contro i soggetti obbligati per ripetere quanto pagato333. Malgrado il meccanismo introdotto con il diritto di regresso di cui all’art. 131 cod. cons. sembri, da un lato, esprimere la consapevolezza, in seno alle Istituzioni comunitarie, circa la necessità di approntare una ulteriore forma di tutela per il consumatore il quale si trova al termine di una lunga catena di produzione e di distribuzione, dall’altro, esso rivela che è ancora acerba la stagione dell’azione diretta del consumatore nei confronti del produttore334. L’approdo ad un tale sistema di garanzie a tutela del consumatore, per il caso in cui il prodotto acquistato sia affetto da un difetto di conformità, ha dietro di sé un lungo iter in cui il legislatore comunitario ha dovuto far fronte alle notevoli differenze tra i vari ordinamenti nazionali per quanto concerne la nozione di prodotto difettoso, il A. GENTILI, I contratti d’impresa e il diritto comune europeo, in Riv. dir. priv., 2006, p. 7 A. SOMMA, Problemi di diritto comparato, IV, Diritto comunitario vs. diritto comune europeo, Torino, 2003, passim 333 A. ALBANESE, La ripetizione dell’indebito nei modelli di civil law, in Contr. impr. Eur., 2007, 2, p. 833 334 G. ALPA, Autonomia privata e “garanzie” commerciali, in Contr. impr./Eur., 2002, p. 456 331 332 102 novero degli strumenti attribuiti all’acquirente per ottenere l’eliminazione del difetto, i presupposti per l’operatività della garanzia nonché i termini della garanzia legale. L’esigenza di attuare il progetto di armonizzazione ha indotto la Commissione europea a pubblicare il Libro verde in materia di garanzie e servizi post-vendita dei beni di consumo, che ha costituito il punto di partenza per la successiva elaborazione del testo della Direttiva sulle garanzie nella vendita di beni di consumo. Il problema della nozione di “non conformità” del bene non è questione trascurabile, in quanto essa non è contemplata in alcuni Paesi membri quali, peraltro, l’Italia, dove il parametro di riferimento per l’invocazione della garanzia si sostanzia nel “vizio occulto”. L’esame comparativo dei vari ordinamenti giuridici nazionali, utile ai fini della elaborazione, a livello comunitario, di un diritto sostanziale uniforme, non ha omesso di portare alla luce le difficoltà connaturate all’espletamento di una tale attività, funzionale ad un agevole svolgimento degli acquisti transnazionali, in un’ottica di massima tutela della parte debole della contrattazione. Malgrado ciò, la Direttiva 99/44/CE può dirsi costituire un notevole risultato per un’impresa così ardua. Occorre considerare come la Direttiva abbia operato la distinzione, seppur implicita sotto l’aspetto terminologico, tra garanzia legale e garanzia convenzionale. 103 Capitolo Terzo Categoria della soggettività e identità giuridica del consumatore SOMMARIO: 1. Intorno alla soggettività giuridica nel suo sviluppo diacronico. - 2. Ricostruzione della personalità giuridica quale ipostasi della categoria della soggettività. Dall’affermazione del concetto di personalità giuridica all’abuso nonché al superamento della persona giuridica. Critica all’impostazione dicotomica persona fisica – persona giuridica. Teoria della articolazione della soggettività in persone fisiche – enti. Persone fisiche e persone giuridiche: i diritti fondamentali. - 3. Dilatazione della categoria della soggettività. Il destinatario delle norme di “diritto privato europeo”: l’homo oeconomicus. La “soggettività funzionale”. Il soggetto di diritto nel mondo contemporaneo: tra diritti fondamentali ed interessi economici. Il problema del rapporto tra mercato e diritto dall’epoca della transizione all’assetto contemporaneo. Divagazioni sul mercato. Il mercato quale fisiologico “strumento di indebolimento delle relazioni sociali”; il “buon diritto” quale garanzia del soddisfacimento degli interessi economici nel rispetto dei diritti della persona 335. – 4. Dalla nozione di consumatore alla individuazione della sua condizione giuridica. Regole di “sostanziale” derivazione comunitaria e “vocazione per la pluralità”: le molteplici nozioni di consumatore contenute nel Codice del consumo. – 5. Gli strumenti a tutela del consumatore. Dalla tutela individuale a quella collettiva all’azione collettiva risarcitoria. I mezzi alternativi di risoluzione delle controversie nella materia dei consumi. “…nel qual caso è chiaro che non sarebbe una buona scelta far dipendere la qualifica del definire dall’illusione ottica dell’emittente”336. A. Belvedere 1. Accade sovente al giurista di misurarsi con categorie civilistiche delle quali, nel costituire i capisaldi ed i punti di orientamento per l’attività di questi, tuttavia non è stata dettata alcuna nozione dal legislatore, contrariamente a quanto accade per il contratto, per il testamento o anche per il contenuto del diritto di proprietà. Si pensi alla categoria del negozio giuridico, a quella dell’obbligazione, della capacità giuridica e della capacità di agire, ma anche alla soggettività come alla personalità giuridica. Si tratta di concetti dalla portata forse troppo ampia per essere confinati all’interno di una mera ed imprigionante definizione, che potrebbe conferire alla codificazione quasi l’abito di un dizionario! Certamente, nella carenza di una nozione non è da ravvisarsi un indice sintomatico della mancanza di tale necessità. Le nozioni possono essere tanto un rischio quanto uno strumento di validissimo ausilio per il giurista, a seconda del modo in cui vengono utilizzate, nonché dell’approccio ad esse condotto dallo stesso operatore del diritto. Se, infatti, come è vero, l’essenza del diritto è da cogliere nella sua specifica ed insostituibile operatività all’interno di una determinata collettività organizzata, in un certo periodo storico ed economico, allora il giurisperito dovrà maturare la consapevolezza della intima elasticità delle nozioni, così che esse, nel riempirsi del loro significato concreto in sede applicativa, saranno suscettibili di assumere 335 336 P. PERLINGIERI, Mercato, solidarietà e diritti umani, in Rass. dir. civ., 1995, p. 88 ss. A. BELVEDERE, Definizioni giuridiche e ideologie, Milano, 1979, p. 15 104 connotati specifici differenti a seconda della “esperienza” alla quale appartengono337. I molteplici aspetti innovativi che dominano oggi la scena del diritto, dovuti essenzialmente alla nascita del cosiddetto “diritto privato europeo”338, di cui si è parlato nel corso della presente trattazione, nel condurre il giurista alla necessaria rivisitazione di moltissime categorie civilistiche, nei loro tratti somatici tradizionali, non potevano affatto risparmiare la categoria della soggettività339. Dalla irrinunciabile e fisiologica impostazione sistematica tradizionale emerge come il diritto sia intrinsecamente imperniato sulla figura del destinatario delle norme giuridiche: il soggetto di diritto340. L’elaborazione concettuale della categoria della soggettività è uno dei risultati della complessa attività svolta dalla pandettistica, che si rispecchia in quella identità strutturale, propria del codice tedesco, che ha il suo nucleo nelle due categorie, che in alcune fasi della storia del diritto sono state presentate in maniera quasi dicotomica ma che in realtà sono da leggersi in modo complementare341, quella delle persone e quella delle cose, e che lo stesso nostro impianto normativo ha abbracciato. La nozione di soggetti di 337 N. LIPARI, Diritto e mercato della concorrenza, in Riv. dir. comm., 2000, I, p. 315, nel ricordare il noto aforisma, semanticamente palindromo, secondo cui “l’essere del diritto sta nel suo dover essere” e, per contro, “il dover essere del diritto sta nel suo essere”, afferma che “l’apparente contraddizione esprime l’essenzialità della connessione tra la regola dettata e la concretezza dei rapporti che si vengono attuando nell’esperienza sociale. A nessun enunciato può essere riconosciuto il connotato della giuridicità se esso non viene accompagnato, nella comune valutazione dei consociati, dalla convinzione di attuare un comportamento doveroso cui si commisurino criteri di responsabilità”, evidenziando così l’imprescindibile nesso tra “esperienza giuridica ed esperienza sociale”. 338 Per un autorevole approccio critico al fenomeno del “diritto privato europeo” si veda N. LIPARI, Introduzione alla prima edizione, in ID. (a cura di), Trattato di diritto privato europeo, I, Padova, 2003, p. 5 ss., in cui vengono autorevolmente evidenziati i punti nevralgici dell’impatto che quello che potremmo definire “il diritto sostanziale comunitario” ha sull’ordinamento interno. 339 P. GALLO, v. Soggetto di diritto, in Dig., disc. priv., sez. civ., XVIII, p. 579, inquadra il soggetto di diritto quale soggetto (titolare) dell’atto che viene ricondotto, agli effetti dell’ordinamento, alla sua sfera giuridica. 340 S. COTTA, v. Soggetto di diritto, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p, 1213 ss., nel fornire la propria ricostruzione delle varie teorie intorno alla qualificazione del soggetto nell’ordinamento giuridico, pone in risalto la duplice accezione, attiva e passiva, che il soggetto assume ai fini delle norme. 341 P. RESCIGNO, Le categorie civilistiche, in N. LIPARI – P. RESCIGNO (diretto da), Diritto Civile. Fonti, soggetti, famiglia. Le fonti e i soggetti, I, Milano, 2009, p. 194, osserva che “nei codici civili, persone e cose costituiscono i soggetti e l’oggetto dei diritti, secondo una prospettiva che li vede come complementari, nel senso della necessaria appartenenza dei dati del mondo fisico all’una o all’altra realtà (ed alle relative discipline). Ma, a guardar bene, vi sono fenomeni che resistono o sfuggono ad una rigida clausura nell’uno o nell’altro schema, rivelando la relatività delle configurazioni adottate nel sistema”, alludendo alla posizione del nascituro, dello scomparso, dell’assente o della persona della quale sia stata dichiarata la morte presunta, nonché dell’azienda. Egli stesso prosegue poi nel segnalare il carattere meramente relativo delle valutazioni legislative, dovuto “anche a ragioni storiche”, lasciando così emergere una coscienza lucidamente consapevole dell’essenza storica e della vocazione pragmatica del diritto. 105 diritto, che è stata in dottrina riassunta nell’essere centri di imputazione di diritti e doveri, non coincide né con quella di persona fisica né con quella di persona giuridica, elementi che appartengono anch’essi allo scenario delle categorie civilistiche. Se, nel mondo antico, il discorso sui destinatari delle norme giuridiche nonché sui soggetti capaci di essere titolari – diremmo con i termini della concettualizzazione della modernità – di situazioni giuridiche soggettive si fondava sostanzialmente sulla distinzione tra liberi e schiavi, ai giorni nostri le problematiche coinvolte, in sede di riflessione sulla identità dei soggetti di diritto, ruotano piuttosto attorno alla distinzione tra persone fisiche ed enti, in un panorama che assume dei connotati sempre più peculiari se si considera che le nuove esigenze di carattere economico hanno comportato il sorgere di forme associative originali e complicate342, che si vanno ad ascrivere al novero dei soggetti di diritto343. 342 Sul G.E.I.E. si veda A. BADINI CONFALONIERI, Il Geie. Disciplina comunitaria e profili operativi nell’ordinamento italiano, Torino, 1999, passim; A. CIOFFI, Il gruppo europeo di interesse economico: uno studio comparato, in Riv. not., 1993, p. 537 ss.; F. DI SABATO, Il gruppo europeo di interesse economico, in Riv. dir. impr., 1996, p. 1 ss.; F. FIMMANO’, L’integrazione del Geie nella realtà giuridica ed operativa italiana, in Riv. not., 1992, p. 791; P. MASI, v. Gruppo europeo di interesse economico, (dir. comm.), in Enc. giur., Istituto della Enciclopedia italiana fondata da G. Treccani, XVIII, Roma, Agg., 1994, p. 1 ss., il quale, nell’inquadrare il Geie tra gli strumenti giuridici che permettono la cooperazione tra imprese, pone il risalto, tra le cause di scioglimento, quella della “unipersonalità”, incompatibile con l’essenza stessa del Geie. Nonché A. MONGIELLO, Il Geie: qualificazione giuridica e tipologia negoziale, in Contratto e impr., 1994, p. 999; A. ROSSI, Il Geie nell’ordinamento italiano, Milano, 1998, passim; G. SCOGNAMIGLIO, L’attuazione del Geie in Italia, in Giust. civ., 1993, II, p. 133; C. SOVERINI, Il Geie a confronto con altri rapporti di cooperazione economica, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1995, p. 329 ss., il quale non trascura di ricordare che l’ordinamento italiano, già prima dell’elaborazione a livello comunitario di tale forma associativa, ha in varie occasioni espresso la consapevolezza dell’importanza di strumenti che permettano l’associazione tra imprenditori. Si pensi al contratto di associazione in partecipazione o ai vari interventi legislativi volti a potenziare il fenomeno consortile. 343 P. RESCIGNO, Le categorie civilistiche, in cit., ivi, ricorda che “la dottrina ha intanto costruito, con la nozione di soggetto di diritto, una nozione comprensiva così delle persone fisiche come degli enti diversi dall’uomo ed abilitati a svolgere attività rilevanti per il diritto”. Nel desiderio di combinare una tale osservazione con la notazione di S. COTTA, v. Soggetto di diritto, in cit., p. 1215, secondo cui “invero, nell’architettura (teorica e pratica) del diritto ciò che viene preso in considerazione è sempre l’uomo”, allora sarà possibile asserire che il diritto ha sempre riguardo all’uomo, tanto come singolo quanto nelle varie forme associative alle quali egli stesso può dare origine, conformemente al dettato della Carta costituzionale di cui all’art. 2 che, lungi da una dimensione esclusivamente individualistica dell’uomo, è propensa a collocarlo anche all’interno delle “formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, alle quali sono da aggiungere tutte le “formazioni economiche” di cui si compone la materia del diritto societario, bancario e, più in generale, mercantile. Con riguardo a tale ultima notazione, F. GALGANO, Trattato di diritto civile, cit., p. 211-212, osserva che “la nozione di formazione sociale o di istituzione è molto più estesa del concetto di associazione. Comprende tanto le organizzazioni collettive volontarie, come le associazioni e le società, che si costituiscono o alle quali si aderisce per libera volontà, quanto le organizzazioni collettive necessarie, come gli enti pubblici territoriali (regioni, province, comuni) o come la famiglia, alle quali l’individuo può trovarsi ad appartenere indipendentemente da un suo atto di volontà. Nella giurisprudenza sulle associazioni l’appello all’art. 2 Cost. denota diverse funzioni: talvolta il principio costituzionale è invocato a protezione delle associazioni, quali strumenti mediante i quali l’uomo realizza la propria personalità; più spesso è fatto valere a 106 Il discorso sulla soggettività potrebbe apparire prima facie assai semplice per quel che concerne la trattazione delle persone fisiche, ma ciò avviene erroneamente in quanto anche la materia del concepito è un argomento assai delicato. Se il soggetto di diritto, in quanto centro di imputazione di diritti e doveri, è titolare della capacità giuridica, egli stesso può acquistare la capacità di disporre delle posizioni giuridiche di cui il medesimo sia titolare, quindi la capacità di agire; pertanto la possibilità di effettuare attribuzioni patrimoniali a causa di morte o a titolo donativo a favore del concepito ha postulato la necessità di conciliare tali situazioni con il precetto di cui all’art. 1 cod. civ. secondo il quale la capacità giuridica si acquista con la nascita344. Ciò si è potuto operare attraverso la figura dell’aspettativa di diritto, posizione che, nelle suddette circostanze, viene riconosciuta al concepito ed anche al nascituro non ancora concepito. La materia della personalità giuridica si presenta anch’essa piuttosto complicata, fin dall’epoca dell’elaborazione di questa categoria concettuale. Personalità giuridica è un attributo che riguarda tutti quegli enti che soddisfino determinati requisiti affinché venga ad essi riconosciuta una autonomia patrimoniale piena e perfetta 345, protezione dei diritti fondamentali del singolo all’interno delle associazioni e contro il prepotere di queste”. 344 Osserva sul punto A. FALZEA, v. Capacità (teoria gen.), in Enc. dir., Milano, 1960, VI, p. 9, che “le fondamentali manifestazioni della soggettività giuridica si raccolgono intorno alle due figure della capacità giuridica e della capacità di agire”, chiarendo, nel corso della trattazione, che, se la capacità giuridica vale ad individuare “la posizione generale del soggetto in quanto destinatario degli effetti giuridici”, la capacità di agire, nel suo collocarsi in “un diverso momento della soggettività giuridica”, “costituisce una possibilità giuridica generale del soggetto: che, in forza di tale possibilità, si qualifica come operatore giuridico”. In ogni caso, “la soggettività giuridica trova il suo normale svolgimento nella capacità di agire”. I concetti di soggettività e di personalità vengono invece considerati maggiormente saldati a quello della capacità giuridica da M.A. LIVI, I soggetti. Profili generali. Ambito della problematica dei soggetti nel diritto comunitario, in N. LIPARI (a cura di), Tratt. Dir. priv. Eur., Il diritto privato europeo nel sistema delle fonti. I soggetti (prima parte), I, Padova, 2003, p. 293-294, dove si osserva che “L’astrazione sistematica della suddivisione fra persona fisica e persona giuridica è legata essenzialmente alla rappresentazione della disciplina relativa alla capacità giuridica cui può certamente attribuirsi il significato di nozione generale dell’intero ordinamento giuridico. A sua volta, il discorso sulla capacità giuridica si rifà direttamente alle riflessioni da sempre svolte in dottrina sui concetti di personalità e soggettività: l’art. 1 c.c. è certamente espressione di un principio da tempo acquisito dalla nostra esperienza giuridica che sancisce il riconoscimento della capacità-soggettività della persona umana già tutelata a livello costituzionale dagli artt. 2 e 22 Cost.”. Sull’argomento della soggettività amplius si veda anche A. FALZEA, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, Milano, 1939; nonché R. ORESTANO, Diritti soggettivi e diritti senza soggetto, in ID., Azione. Diritti soggettivi. Persone giuridiche, Bologna, 1978. 345 Quanto alle modalità attraverso cui è possibile ottenere, nel nostro ordinamento, il riconoscimento della personalità giuridica, bisogna effettuare una summa divisio tra gli enti di cui al Libro I del Codice civile e gli enti di cui al Libro V: se si tratta di associazioni, fondazioni, comitati, si dovrà richiedere l’iscrizione nel Registro delle persone giuridiche tenuto presso le prefetture secondo l’iter disciplinato dal d.p.r. 10 febbraio 2000 n. 361; se si tratta di società o di enti quali consorzi e cooperative allora il riconoscimento consegue all’iscrizione dell’ente nel registro delle imprese. 107 che si sostanzia nella netta separazione del patrimonio dell’ente dagli averi personali dei soggetti che lo compongono346. Se, per le varie vicende che vedono coinvolta la persona fisica, il Codice civile reca in sé una disciplina piuttosto compiuta, le norme che regolano il fenomeno della personalità giuridica vanno piuttosto rintracciate nei precetti che hanno riguardo all’associazione che si trovi in condizione di aver ottenuto il riconoscimento nonché alla fondazione. Lo scarto tra la personalità giuridica e la soggettività giuridica si coglie nel rilievo per cui la persona giuridica è un soggetto di diritto perfettamente autonomo dalla pluralità dei membri che lo compongono, e la condizione patrimoniale in cui versa l’ente in tali circostanze ne costituisce la massima espressione. Il Codice civile, invero, non si sofferma a delineare la differenza che intercorre dal punto di vista patrimoniale tra associazione riconosciuta ed ente di fatto, limitandosi a prescrivere che le associazioni riconosciute hanno un patrimonio, mentre le associazioni non riconosciute hanno un fondo comune. Certamente il diverso regime della responsabilità degli amministratori per le obbligazioni dell’associazione vale ad evidenziare il significato pratico-operativo dell’investitura di persona giuridica. Nel corso del tempo, la nozione di soggettività giuridica ha conosciuto il suo sviluppo, anche grazie al complicarsi delle situazioni giuridiche soggettive e dei soggetti titolari di esse, in particolare negli ultimi cinquanta anni. Negli anni Sessanta, il concetto di soggettività costituiva, nel lessico tecnico, un sinonimo della capacità giuridica e, al contempo, il “soggetto” veniva essenzialmente identificato con la “persona”347. Nel Codice civile non si rinviene l’impiego del termine persona giuridica, la quale è stata dalla dottrina ricondotta ad una delle tre ipostasi della categoria della soggettività. Se il concetto di personalità giuridica, il cui ingresso non è avvenuto in modo pacifico nello spettro degli strumenti propri del giurista348, F. GALGANO, Trattato di diritto civile, op. cit., I, p. 175, ricorda che “il nome di persona giuridica non individua un tipo specifico di ente (come lo individuano i nomi di associazione o fondazione o società), ma designa un particolare modo di essere dell’ente: un possibile modo di essere dell’associazione o della fondazione o della società”. 347 M. BESSONE – G. FERRANDO, v. Persona fisica (dir. priv.), in Enc. dir., XXXIII, Milano, 1983, p. 193 ss., nell’inquadrare la tutela della persona fisica nella cornice costituzionale, rilevano come il concetto di persona si sia andato evolvendo e dilatando fino all’assumere accezioni diverse, cui corrispondono differenti misure giuridiche: si pensi, da un lato, alla tutela del concepito; dall’altro, all’accordata garanzia dei diritti della personalità anche alle persone giuridiche. 348 M. BASILE – A. FALZEA, v. Persona giuridica (dir. priv.), in Enc. dir., Milano, 1983, XXXIII, nel ripercorrere l’iter evolutivo della categoria, con la consapevolezza che riguardo ad essa “nessuna idea affacciata dai giuristi è incontroversa” (p. 234), forniscono un quadro esaustivo e dettagliato della vasta gamma di posizioni della dottrina con riguardo a questi “fenomeni del diritto diversi dalle persone fisiche”. Tra le originali ipotesi ricostruttive di tale fenomeno in chiave di 346 108 costituisce una delle tre modalità della soggettività giuridica, allora sarà possibile individuare i tratti propri della categoria della soggettività che permangono tanto nelle persone fisiche quanto nelle persone giuridiche e negli enti di fatto 349. Si tratta essenzialmente del requisito della responsabilità patrimoniale a fronte della quale si verifica che i creditori del soggetto di diritto potranno soddisfarsi sui beni che appartengono al patrimonio dello stesso, ciò vuol dire possibilità di ricondurre al medesimo soggetto di diritto tanto un determinato bene quanto una determinata obbligazione sorta. Gli elementi dell’unità e dell’alterità danno invece luogo a perplessità circa la ascrivibilità di essi al concetto di soggettività giuridica in generale, piuttosto che a quello di persona fisica o di persona giuridica, in particolare350. L’unità viene infatti in considerazione quale idoneità dell’ente ad essere considerato una sola persona, al pari delle persone fisiche, per quanto riguarda non solo il regime generale di imputazione ma anche la riconducibilità di una determinata situazione ad una sola persona. L’alterità acquista importanza ogni qualvolta una norma dell’ordinamento statuisca che specifiche conseguenze sono da ricondursi alla circostanza secondo cui una determinata persona sia la stessa o diversa da quella alla quale è attribuibile un certo comportamento, derivando da ciò che il nucleo del problema ruota attorno alla possibilità di considerare qualsiasi ente soggetto diverso o medesimo rispetto a quello che ha materialmente posto in essere il comportamento stesso. compatibilità con i precetti generali dell’ordinamento, emerge, in particolare, la teoria della finzione, alla quale si contrappone quella della realtà. Per una ricostruzione dell’affermazione della categoria di persona giuridica si vedano: F. DI GIOVANNI, “Persona giuridica”: storia recente di un concetto, Torino, 2005; V. MAURINI, Evoluzione del concetto di persona giuridica, Teramo, 2005. Sul problema del rapporto tra la soggettività in generale e la personalità giuridica si veda P. ZATTI, Persona giuridica e soggettività, Padova, 1975, nonché, ancora più risalenti all’interno della letteratura in materia, F. D’ALESSANDRO, Persone giuridiche e analisi del linguaggio, in Studi in memoria di Tullio Ascarelli, Milano, 1969; F. GALGANO, Il costo della persona giuridica, in Riv. Soc., 1968, e F. FERRARA, Le persone giuridiche, Torino, 1938. Sull’eccessivo ricorso allo strumento della persona giuridica, nella presente stagione, N. ZORZI, L’abuso della personalità giuridica: tecniche sanzionatorie a confronto, Padova, 2002. La questione della personalità giuridica, pur essendo, nella sua elaborazione squisitamente scientifica, un argomento proprio della dottrina di età moderna, non solo a livello intuitivo ma anche nella sostanziale operatività pratica degli effetti che ad essa si ricollegano, mostrava tracce di sé già nel mondo romano, al quale era ben noto il concetto di universitas. Sul punto si veda R. ORESTANO, Il “problema delle persone giuridiche” in diritto romano, Torino, 1968. 349 Sul punto si vedano G. SCALFI, L’idea di persona giuridica e le formazioni sociali titolari di rapporti nel diritto privato, Milano, 1968; P. RESCIGNO, Enti di fatto e persona giuridica, in ID., Persona e comunità, II, Bologna, 1966, passim. 350 Sul diverso significato del quale si riempiono i termini “soggettività” e “personalità giuridica” si veda V. SCALISI, Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al postmoderno, Milano, 2005, p. 136-137, il quale, in particolare (p. 137), osserva che “in ultima istanza, la distinzione tra soggettività e personalità degli enti sembra poggiare, oltre che su una positiva diversità di struttura, anche su una tendenziale differenza di funzione”, evidenziando così come le due nozioni siano in concreto non coincidenti. 109 Volendo compiere la mappatura del patrimonio genetico ed identificativo della categoria della soggettività di diritto, emerge come non si tratti di un unico effetto giuridico da ricondurre ad un determinato concetto/soggetto, quanto piuttosto di un fascio di effetti, indipendenti tra loro ma compartecipi della medesima ratio, per i quali è possibile tracciare una sorta di scala gerarchica che va dagli effetti minimi, quelli della imputazione e della legittimazione, che competono ai cosiddetti enti di fatto, quali associazioni non riconosciute, comitati, società di persone, fino agli effetti dell’unità e dell’alterità che hanno riguardo alle persone fisiche ed alle persone giuridiche, nonché al diverso regime della responsabilità patrimoniale351. I recenti interventi normativi di matrice comunitaria, non soltanto nella materia del consumatore ma anche con riguardo alle varie modalità di esercizio dell’attività di impresa in forma associativa, dettati dal fine di portare avanti quel processo di armonizzazione delle legislazioni nazionali che costituisce uno dei presupposti per la realizzazione del mercato unico, comportano una revisione ed un ripensamento dei tratti peculiari della categoria tradizionale della soggettività, al fine di verificarne la compatibilità con i precetti del “diritto privato europeo”352. 2. Se, come è noto, fin dall’epoca della civiltà romana, per il diritto, era ritenuta fisiologica l’equazione tra “uomo” e “persona” (con l’eccezione del fenomeno della schiavitù), allo stesso modo, bisogna osservare come il riferimento del termine “persona” per individuare soggetti diversi dalle persone fisiche, in particolare gli enti istituzionali, non fosse un’idea affatto aliena alla sensibilità del giurisperito già in quel periodo. Nelle fonti romane si rinviene infatti il ricorso al termine “persona” per individuare enti pubblici e privati, similmente a quanto accade ai giorni nostri353. L’iter che ha condotto all’ampliamento della nozione di “persona” in modo tale da ricomprendervi la universitas, ovvero l’istituzione, l’ente, 351 L.G. PELLIZZI, v. Soggettività giuridica, in Enc. giur., Istituto della Enciclopedia italiana fondata da G. Treccani, XXXIV, cit., p. 7, nel delimitare lo spazio di operatività della soggettività giuridica all’interno dell’ordinamento, e l’apertura di quest’ultimo verso il conferimento del requisito della soggettività a forme associative sempre nuove, constata che “i reali significati della soggettività, che l’analisi del discorso giuridico rivela, mostrano che i fini per i quali l’ordinamento determina i vari elementi della soggettività non sono necessariamente connessi con l’idea d’individuo della specie umana”. 352 N. LIPARI, Diritto e mercato della concorrenza, in Riv. dir. comm., 2000, I, p. 325, definisce il diritto privato europeo quale diritto “interno a tutti gli effetti, ma di fonte comunitaria nelle sue regole fondamentali”. 353 U. VINCENTI, Diritto senza identità. La crisi delle categorie giuridiche tradizionali, RomaBari, 2007, p. 50, ricorda come ai Romani non fosse estraneo né il concetto di persona giuridica pubblica, quale la res publica, la civitas, la colonia, né quello di persona giuridica privata, la societas. 110 nell’affondare le proprie radici nell’epoca romana, conosce, nel corso del XIV secolo, una fase importante, che ha condotto poi alla piena ascrivibilità della persona giuridica alla categoria dei soggetti di diritto, attraverso la strada del riconoscimento all’ente di una autonoma capacità patrimoniale. Attualmente, nel nostro ordinamento, sono considerate persone giuridiche tutte quelle realtà organizzate, che è possibile far rientrare nella nozione di “enti”, il cui scopo consiste nello svolgimento di un’attività volta a perseguire fini che trascendono la mera sfera individuale dei soggetti che ne fanno parte, e dotate di una struttura stabile e di una realtà patrimoniale tale per cui, al controllo istituzionale circa la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della personalità giuridica, risulterà l’idoneità di tali enti a venire in considerazione, dal punto di vista giuridico, come centri di imputazione di diritti e doveri totalmente autonomi e separati dalle sfere patrimoniali delle singole persone fisiche che ne compongono la struttura354. L’odierno ricorso allo strumento della persona giuridica, al fine di eludere determinate regole o di trarre illecito vantaggio dall’applicazione della normativa sulla personalità giuridica in assenza delle condizioni che la abilitano ad essere operativa, conduce al fenomeno dell’abuso della personalità giuridica, al quale si connette la necessità di un rigido controllo tanto in sede preventiva quanto nella giurisprudenza355. Con la conseguenza per cui, qualora venga riscontrata dal giudice, chiamato a pronunciarsi su una determinata vicenda, una circostanza di impiego abusivo della personalità giuridica, l’interprete dovrà compiere il superamento di tale schermo in modo tale da imputare i rapporti giuridici facenti capo all’ente ai singoli soggetti che lo compongono356. 354 L. BIGLIAZZI GERI, v. Patrimonio autonomo, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, p. 280 ss., nell’indagare intorno al fenomeno della separazione patrimoniale attraverso il ricorso ad alcune figure tipicamente fornite dalla lettera della legge, individua i criteri rivelatori della separazione in ciò che comporta la deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c., esprimendo consapevolezza circa la necessità che al fenomeno della separazione patrimoniale si accompagni la creazione di un autonomo regime di amministrazione dei beni separati, senza tuttavia trascurare che, mentre la persona giuridica è un fenomeno di separazione patrimoniale che si ricollega alla venuta ad esistenza di un soggetto di diritto, il patrimonio separato, al contrario, può venire in considerazione in termini di soggettività soltanto ove attorno ad esso si costruisca la struttura di un ente. Il fenomeno della separazione patrimoniale non comporta, pertanto, di per sé la venuta ad esistenza di un soggetto di diritto. 355 La Suprema Corte, trovatasi ad affrontare il problema dell’abuso della personalità giuridica a partire da una vicenda concreta, ha preso posizione con riguardo alla nozione della soggettività giuridica delle organizzazioni collettive; in Cass., 8 novembre 1984, n. 5642, in Giur. it., 1985, I, 1, c. 426, si afferma che “la soggettività delle persone giuridiche non corrisponde a quella della persona fisica, perché esse sono tali in senso traslato e la qualificazione viene richiamata per analogia. Ne consegue che la soggettività dei gruppi, siano essi dotati o no di personalità giuridica, è sempre una incompleta soggettività, diversa da quella delle persone fisiche”. 356 P. SPADA, Persona giuridica e articolazioni del patrimonio: spunti legislativi recenti per un antico dibattito, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 837 ss., conduce la sua indagine intorno al rapporto tra la 111 Se, dunque, il concetto di persona giuridica, in condizioni di abuso, può essere superato o, per meglio dire, disatteso, in nome di un regime di responsabilità fondato sul coinvolgimento ad personam dei vari soggetti che fanno parte della struttura dell’ente, ciò varrà a mettere in luce come la categoria della soggettività di diritto, nell’abbracciare la species delle persone giuridiche, presenti in realtà al suo interno delle articolazioni che sono, per così dire, tra loro inconciliabili357. Se, infatti, la personalità giuridica opera in veste di concetto, di qualificazione alla quale è subordinata l’applicazione, per l’ente, di un certo gruppo di norme, ciò non altrettanto per la soggettività delle persone fisiche358. La soggettività di diritto, nel suo sostanziarsi nella idoneità ad essere centro di imputazione di diritti e doveri, ricopre, concretamente, un ruolo strutturale ed intrinseco per quanto concerne la posizione giuridica delle persone fisiche, le quali, seppur prive di capacità di agire o aventi una limitata capacità di agire, rimangono sempre soggetti di diritto359. Gli enti, anch’essi soggetti di diritto, possono acquistare la personalità giuridica, che assurge a requisito specifico ulteriore, proprio di tutti quei soggetti che non siano persone fisiche, e che conferisce determinati poteri e requisiti, che valgono ad assimilarli, sul piano della responsabilità patrimoniale, alla condizione giuridica alla quale sono assoggettate le persone fisiche. All’interno della categoria della soggettività di diritto, la visione dicotomica persone fisiche – persone giuridiche può essere superata, ad avviso di chi scrive, in quanto se non si cessa mai dall’essere persone fisiche, dal momento della nascita a quello della morte, il requisito della personalità giuridica si qualifica diversamente, all’interno della categoria della soggettività, per cui i due elementi persona fisica – persona giuridica non possono essere considerati species contrapposte all’interno del medesimo genus, appartenendo essi strutturalmente a due ambiti diversi: l’uno, all’ambito della qualificazione intrinseca, sostanziale e perpetua; l’altro, all’ambito della personalità giuridica e l’articolazione di patrimoni, ravvisando come alla base dell’alternativa tra tali due tecniche di “concettualizzazione di regimi della garanzia patrimoniale” (p. 847) vi sia la funzione di tutela e di cura di determinati interessi precostituiti, giungendo per tale via ad accomunare questi due snodi dell’autonomia privata sotto la sostanziale unicità della prospettiva funzionale. 357 Non sono, tuttavia, da trascurare i significativi punti di contatto tra queste due ipostasi della soggettività. Basti considerare, con L. DELLI PRISCOLI, Diritti della personalità, persone giuridiche e società di persone, in Giust. civ., 2008, 9, p. 1998 ss., che recentemente la Suprema Corte ha riconosciuto la sostanziale equiparazione tra persona fisica e persona giuridica con riguardo alla risarcibilità del danno non patrimoniale derivante da lesione di diritti della personalità. 358 V. BONELLI, La teoria della persona giuridica, in Riv. dir. civ., 1910, p. 652 359 A. JANNARELLI, Brevi note a proposito di “soggetto giuridico” e di “patrimoni separati”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 4, p. 1253 ss., 112 qualificazione funzionale ed anche temporanea, nel senso che può essere disattesa in nome della corretta applicazione delle norme di legge360. Se proprio si vuole creare una summa divisio all’interno della categoria della soggettività, allora sarà più opportuno contrapporre alla persona fisica gli enti, rispetto ai quali il requisito della personalità giuridica vale a distinguere gli enti che maggiormente si avvicinano al regime al quale sono sottoposte le persone fisiche, dal punto di vista dei rapporti patrimoniali, dagli enti che invece hanno una limitata autonomia patrimoniale361. Sfogliando i manuali non recentissimi, o andando alla ricerca della peraltro generosa letteratura in materia di personalità giuridica, si noterà come, negli anni lontani, fosse considerato per così dire fisiologico inserire qualsivoglia trattazione in materia di persone giuridiche in un approccio dicotomico rispetto alla persona fisica. Ciò in quanto, in primo luogo, non era ancora emersa quella molteplicità di figure di enti, volti a perseguire scopi nuovi (si pensi agli enti non profit362) e dotati di regimi patrimoniali tali per cui si possa prescindere dal riconoscimento della personalità giuridica (si pensi alla possibilità di istituire trust) al contempo ottenendo ciò nonostante analoghi effetti concreti, ed, in secondo luogo, non era ancora invalsa la prassi di fare ricorso alle norme che regolano la persona giuridica con funzione elusiva di altre norme di legge, o per trarre dalle prime illeciti vantaggi363. Del resto, a voler ragionare sugli abusi degli strumenti giuridici, è caratteristica propria di tempi non risalenti l’impiego del meccanismo della persona giuridica in funzione abusiva o elusiva di altre norme di legge. Lo stesso Codice civile fonda la propria impostazione sulla nozione bipolare persone fisiche – persone giuridiche, sintomo di una concezione incardinata sull’idea secondo cui la persona giuridica soltanto in quanto tale può essere annoverata tra i soggetti di diritto364. I limiti e la fallacia di questa formulazione concettuale sono 360 F. ALCARO, Attività e soggettività: circolarità funzionale, in Rass. dir. civ., 2007, 4, p. 883 Se della qualifica di persona fisica non si cessa mai di essere titolari, quel che può mutare è semmai soltanto la capacità di agire, la qualifica di persona giuridica “va e viene”, così da non poterla collocare sullo stesso piano della persona fisica, in funzione alternativa alla prima, in sede di configurazione della struttura della categoria della soggettività. Opportunamente osserva F. D’ ALESSANDRO, Persone giuridiche e analisi del linguaggio, in Studi in onore di Tullio Ascarelli, Milano, 1969, I, p. 243, che “veri soggetti dell’ordinamento sono soltanto gli uomini. La persona giuridica fa parte di un ordine del tutto diverso di concetti”. 362 Sulla soggettività degli enti non profit si veda M. CUGURRA, Gli enti non profit ed i finanziamenti comunitari, in Non profit, 2009, 1, p. 89; nonché amplius L. BOCCACIN, Il Terzo settore italiano e le forme di partnership sociale, in Non profit, 2008, 2-3, p. 289; M. TAMPIERI, Il comitato figura giuridica del mondo non profit, in Non profit, 1999, 3, p. 537 363 A. GANGEMI, Abuso della personalità giuridica e fallimento della società di fatto, in Dir. fallim., 2005, 6, 2, p. 1046 364 C. CAPPONI, Superamento della personalità giuridica?, in Riv. dir. comm., 1988, 1-2, p. 4 361 113 stati dimostrati dalla successiva legislazione in materia di enti diversi dalle persone fisiche, che hanno permesso di compiere una corretta ricostruzione della posizione che occupa la persona giuridica all’interno della categoria della soggettività365. L’iter graduale che ha condotto all’estensione della soggettività a tutti gli enti, e quindi anche a tutte le formazioni sociali non personificate ed anche sostanzialmente disinteressate ad ottenere il riconoscimento della personalità giuridica, ha comportato per quest’ultima una significativa perdita di centralità366. Se, quindi, per un lungo arco di tempo, la dottrina si è affannata nell’offrire tentativi di ricostruzione del fenomeno della persona giuridica367 in una prospettiva di conciliazione con l’idea fondamentale secondo cui sono essenzialmente soggetti di diritto esclusivamente le persone fisiche, generando suggestive teorie che vanno da quella normativa a quella della finzione, abbracciando perfino la teoria antropomorfica368, l’attuale approccio alla persona giuridica è piuttosto imperniato sulle disposizioni di legge che la disciplinano, in una impostazione che prende coscienza del fatto che si tratta di un soggetto ben distinto dalle persone fisiche, ma che non viene trattato alla stregua di un fenomeno della dogmatica quanto piuttosto di un mero prodotto normativo, che costituisce il risultato della necessità di trovare rimedio a specifiche esigenze di carattere funzionale369. Nel tentativo di fornire una lettura critica delle articolazioni interne della categoria della soggettività, una volta collocata la persona giuridica in termini non antitetici alla persona fisica, si tratta ora di metterne ulteriormente in risalto le divergenze L. CASTALDI – E. COVINO – R. LUPI, Ulteriori spunti sulla regolamentazione tributaria del trust: la soggettività tributaria, in Dialoghi dir. trib., 2007, 3, p. 349 366 F.D. BUSNELLI, Persona umana e dilemmi della bioetica: come ripensare lo statuto della soggettività, in Dir. umani e dir. internaz., 2007, 2, p. 245 365 Per una dettagliata ricostruzione dell’argomento della soggettività di diritto della persona giuridica si veda P. ZATTI, Persona giuridica e soggettività, Padova, 1975, passim. In particolare, in sede di analisi sulla possibile conciliazione tra il concetto di persona e il diritto soggettivo, risulta suggestivo il collegamento, operato dall’autore, tra l’esistenza del concetto di persona e il verificarsi di determinati fatti per cui tale esistenza sia riconosciuta dall’ordinamento, rintracciando così una “naturale relazione tra i comportamenti valutati e l’identità dell’agente” (p. 234), in vista della conclusione secondo cui (p. 235) “il concetto di persona riassume una complessa disciplina valorizzando il ruolo di riferimento – di un individuo o di un ordinamento particolare – che segnala, tra i fatti e gli atti collegati secondo la previsione normativa, il fattore di (individuazione d’una) organizzazione in cui trovano identificazione i comportamenti regolati in dipendenza dalle varie possibili fattispecie. All’indicazione del titolare di situazioni soggettive si riserba invece la funzione di indicare colui che si trova nella situazione designata dai concetti del tipo “diritto soggettivo”: dunque di colui che si comporta, intronizzato senza problemi nel luogo del soggetto”. 368 Per un’accurata ricostruzione delle varie teorie, secondo una prospettiva di conciliazione di dottrina e giurisprudenza, si veda G. TAMBURRINO, Persone giuridiche. Associazioni non riconosciute. Comitati, in W. BIGIAVI (fondata da), Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, Torino, 1997, 2 ed., passim. 369 L. STILO, Quando il consumatore divenne un valore in sé, in Nuovo dir., 2007, 8-9, p. 479 367 114 sussistenti sotto l’aspetto concreto e normativo, mediante il ricorso all’argomento dei diritti fondamentali. Nei tempi recenti, contemporaneamente al proliferare delle leggi di settore preoccupate prevalentemente di disciplinare tutte quelle fattispecie che si riconducono alla sfera economica della dimensione dell’agire umano, ed all’emergere di nuovi enti da ascrivere al novero dei soggetti di diritto, si è iniziato a comprendere come la problematica dei diritti fondamentali non potesse essere trascurata, non soltanto in un’ottica di respiro nazionale, ma anche nel più ampio contesto comunitario370. Si registra così, da tempo, una crescente attenzione per i diritti della personalità, ovvero una serie, in espansione, di diritti riconosciuti all’uomo in quanto tale, e che necessitano di essere tutelati come diritti che ogni Stato ha il dovere di riconoscere e proteggere371. Si pensi al diritto alla vita, all’integrità fisica, alla salute, al diritto al nome, all’onore, alla libertà personale, all’espressione del pensiero, al diritto alla riservatezza, e molti altri, alcuni dei quali sono espressamente menzionati nelle Carte costituzionali dei vari Stati, altri trovano piuttosto la loro garanzia all’interno di Convenzioni internazionali372. Ai singoli diritti della personalità, nel vigente quadro delle fonti del diritto interno, sono accordate specifiche forme di protezione, che operano sulla base di un leitmotiv che si sostanzia nel carattere assoluto (sono fatti valere erga omnes) ed indisponibile di tali diritti. Nel novero dei diritti fondamentali, viene in considerazione, primo tra tutti, il diritto alla vita ed all’integrità fisica, che trova la propria disciplina nell’art. 5 c.c., in materia di atti di disposizione del proprio corpo, in cui si vieta il compimento di tutti quegli atti di disposizione del proprio corpo che “cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica”. Vi è poi il diritto all’onore, da intendersi come diritto alla dignità e al decoro personale e nella sfera sociale, il quale non è contemplato nel Codice civile quanto piuttosto a livello penale, 370 M. CERCHIARA, La tutela del consumatore rispetto ai diritti fondamentali della Costituzione e il rischio di eccesso di potere legislativo in materia, in Giust. amm., 2007, 4, p. 743 371 S. MONTICELLI, L’indisponibilità dei diritti del consumatore nel Codice del consumo e la nullità dei patti, in Contratti, 2007, 7, p. 697 372 Se si guarda al corso degli eventi che hanno segnato le varie fasi della storia del mondo, emerge come, per la verità, l’argomento dei diritti fondamentali non sia affatto estraneo ai nostri antenati. Troviamo, infatti, tracce concrete e significative di una consapevole sensibilità per i diritti dell’uomo nella Magna Charta (1255); nel Bill of Rights (1689); nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino della Francia del 1789, nonché nelle varie Dichiarazioni dei diritti appartenenti alla storia dei diversi Stati Nordamericani del Settecento; fino ad arrivare ad un’epoca a noi più vicina, con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, approvata dall’Assemblea dell’Onu, la Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, approvata, nel 1950, dal Consiglio d’Europa, e successivamente ratificata dall’Italia con legge n. 848 del 1955 e, ancora, il Patto internazionale sui diritti civili e politici firmato a New York nel 1966, ratificato dall’Italia con legge n. 881 del 1977. 115 attraverso la inibizione dell’ingiuria (art. 594 c.p.) e la diffamazione (art. 595 c.p.). Tra i diritti della personalità vi è anche il diritto, di cui ognuno è titolare, al proprio nome, strumento di identificazione del soggetto. Ricevono protezione anche il diritto all’immagine nonché quello all’identità personale, alla riservatezza ed il diritto morale d’autore e di inventore. Questo argomento si va ad inserire, nella cornice delle riflessioni sull’alternativa persona fisica – persona giuridica, all’interno del più ampio discorso sulla soggettività, in funzione di introduzione della problematica della tutela dei diritti riconosciuti alle persone giuridiche, dal momento che, attualmente, il novero dei diritti non strettamente legati alla sfera economica e patrimoniale del soggetto coinvolge anche la persona giuridica. Si pensi ai diritti della personalità, la cui tutela viene accordata indubbiamente anche ai soggetti diversi dalle persone fisiche sulla base del dettato costituzionale di cui all’art. 2, in cui si fa parola delle “formazioni sociali”373. Certamente, l’accezione “diritti della personalità” con riguardo alle persone giuridiche va intesa in senso ampio, in quanto si tratta di diritti fisiologicamente connaturati alla persona umana. Bisogna, infatti, tenere sempre presente che la persona giuridica, rimane, in ogni caso, in ultima analisi, un mero “prodotto normativo”374. In una prospettiva che eccede i confini statali, si può osservare come alla tutela della persona sia riservato un ruolo di preminenza all’interno della Carta europea dei diritti fondamentali, sintomo della maturata consapevolezza della impossibilità di prescindere dalla garanzia del “soggetto agente” nella sua interezza, ove si voglia 373 D. MESSINETTI, v. Personalità (diritti della), in Enc. dir., XXXIII, Milano, 1983, p. 371, nel condurre una indagine altamente argomentata sul valore giuridico della persona, analizza la partecipazione di essa alle formazioni sociali, osservando come il valore della persona assurga a “principio generale dell’ordinamento”. In tale contesto, lo stesso autore si sofferma, a p. 369, a delineare la specifica funzione dei principi generali, da rintracciarsi nella circostanza per cui “i principi generali hanno una applicazione normativa mediata o indiretta, in quanto presuppongono necessariamente una relazione con un complesso di norme. Tale relazione è duplice: da una parte, il principio generale vincola i rapporti tra i soggetti solo in connessione con la valutazione normativa espressa nelle regole giuridiche positive, della quale serve a riassumere il contenuto; dall’altra, l’intermediazione della norma si rende necessaria perché si specifichi (in via induttiva) la portata normativa del principio stesso, dal momento che esso, di per sé, non ha un significato giuridicamente apprezzabile”. La ratio dell’elevazione del valore giuridico della persona umana rimane così chiarito, dalle parole dello stesso autore, il quale rileva, p. 369, che “la formalizzazione di tale valore come valore giuridico tende a comprendere ogni istanza della persona umana: nel terreno delle fonti normative il valore giuridico della persona emerge a livello dei principi generali dell’ordinamento, che esprimono i valori ritenuti superiori e fondamentali nel sistema”. 374 Se le norme si esprimono tramite le parole, una volta arrivati alla impostazione estrema per cui la persona giuridica si esaurisce nelle parole in cui si risolve la stessa normazione, verrebbe allora da estendere al concetto di persona giuridica quella riflessione, compiuta, ad altro riguardo, da J.F. LYOTARD, La condizione postmoderna, Milano, 2006, p. 74, secondo cui “lo stesso soggetto sociale sembra dissolversi in questa disseminazione di giochi linguistici. Il legame sociale è linguistico, ma non è fatto di un’unica fibra. E’ una trama in cui si intrecciano almeno due, in realtà un numero indefinito, tipi di gioco linguistico, governati da regole differenti”. 116 portare avanti il processo di integrazione comunitaria, con la coscienza che la libertà economica integra una delle libertà fondamentali della persona, la quale tuttavia deve venire in considerazione per le norme giuridiche nella sua completezza e non soltanto in quanto attore nel teatro dei commerci. Lo spazio di libertà non deve pertanto riguardare la libera circolazione delle merci, bensì la sicurezza che la persona possa, in quanto tale, ricevere a livello sovranazionale una adeguata forma di tutela, al pari di quanto avviene negli ordinamenti nazionali per opera delle Carte costituzionali e delle leggi ordinarie. Occorre riconoscere che ai vari Paesi membri dell’Unione sono consegnate tradizioni costituzionali comuni, il che rende più agevole il processo di individuazione di quel novero essenziale di principi e diritti strettamente attinenti alla tutela della persona, al fine di dettare per esso una comune normativa garantistica. Gli stessi valori invocati nel Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa sono quelli della dignità umana, della democrazia, della libertà del soggetto in quanto tale, delle libertà di cui quest’ultimo è titolare, del rispetto dei diritti umani. Il dibattito sulla centralità dell’individuo in sede di elaborazione della legge, nonché sulla fonte di legittimazione del potere statale di imporre limitazioni ai soggetti e sull’origine dei diritti contemplati dalla legge, viene da lontano, trovando un momento di grande fervore nelle dottrine giusnaturalistiche che si sono sviluppate nel XVII e XVIII secolo. Prosegue, ai giorni nostri, ove il moltiplicarsi degli ambiti socio-economici che vedono la persona protagonista, unitamente alle nuove frontiere della scienza in materie molto delicate quali quella del diritto alla vita, comporta la necessità di un maggior grado di complessità delle forme e delle circostanze in cui debba essere ad essa accordata tutela. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea inserisce la libertà economica nel novero dei diritti dell’uomo che vengono garantiti; tuttavia la tutela sovranazionale che viene oggi accordata ai diritti fondamentali si atteggia in modo sostanzialmente diverso da quanto avviene nella nostra Carta Costituzionale, dove è realtà storica che la garanzia dei diritti inviolabili, unitamente alla forma repubblicana, costituiscono espressione di un compromesso politico tra i vari attori della scena dell’Italia dell’immediato secondo dopoguerra. I diritti fondamentali si sono ancorati aprioristicamente ed intrinsecamente al concetto di democrazia, assurgendo, per tale via, a categorie essenziali dello Stato di diritto. Il significato che essi assumono nella Carta europea è innegabilmente diverso, dal momento che quest’ultima nasce in un diverso contesto storico e ad essa è affidata una funzione 117 peculiare differente, dal momento che, almeno per ora, non si è esplicitamente ventilato di dare vita allo “Stato dell’Unione europea”! Nella Carta europea è, piuttosto, espressamente formulato un principio di sussidiarietà costituzionale, che si fonda sulla compenetrazione tra la protezione più intensa dei diritti nazionali e la tutela dei diritti fondamentali riconosciuti a livello comunitario375. L’iter è lungo e non facile da proseguire, anche a fronte della esigenza di accordare la tradizione di civil law, avvezza alla formalizzazione di principi e categorie, con quella di common law che, al contrario, si connota per il sostanziale rifiuto di tale impostazione. In ogni caso, il processo di armonizzazione degli ordinamenti è in atto e non può non coinvolgere il terreno dei diritti fondamentali ed, in particolare, valori quali quelli di uguaglianza sostanziale, democrazia nonché tutela dei soggetti più deboli, da intendersi questi ultimi nell’accezione più ampia di quella in cui vengono in considerazione agli effetti della normativa dei consumi. 3. Il diritto privato europeo mostra di rivolgersi, nelle formulazioni normative che ad esso appartengono, ad una molteplicità di figure della soggettività giuridica, peraltro senza che nella normativa comunitaria si possano rintracciare regole di carattere generale che valgano ad identificare i soggetti del diritto né i requisiti che, agli effetti del diritto comunitario, si debbano possedere per poter essere ascritti a tale categoria, contrariamente all’impostazione che contraddistingue il diritto privato interno. Per la verità, all’interno del cosiddetto diritto privato europeo non si rinviene l’impostazione operativa “per categorie”, tendendosi al contrario a desumere i soggetti destinatari della normazione dal novero delle vicende in cui si ambienta il mercato unico e dagli operatori presenti sulla scena. La necessità di dettare le regole è dovuta all’esigenza di disciplinare lo svolgimento delle varie attività che hanno luogo nel mercato europeo376. Il diritto privato di derivazione comunitaria si rivolge pertanto essenzialmente sia alle persone fisiche, sulla base della loro diversa collocazione sulla scena economica (si pensi al consumatore, del quale si dirà infra, ma anche alle forme di tutela del risparmiatore nella disciplina comunitaria nei settori dell’attività bancaria ed assicurativa), sia a tutti quegli enti M. FIORAVANTI, La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea nella prospettiva del costituzionalismo moderno, in Persona e mercato, 2002, passim. 376 M.A. LIVI, cit., in op. cit., p. 294, osserva, a tale proposito, che “la disciplina dei soggetti è, dunque, essenzialmente disciplina della loro attività, attraverso la quale indirettamente si tende ad una rifondazione degli stessi, poiché in tale quadro, i soggetti considerati dalle norme comunitarie o di derivazione comunitaria sono per lo più soggetti che svolgono un’attività lato sensu economica”. 375 118 che, seppur non essendo persone fisiche, tuttavia sono idonei a svolgere attività economiche (si pensi alle banche). Le stesse norme del diritto comunitario hanno poi dato vita a nuove istituzioni, che sono da ascrivere al novero dei soggetti di diritto, quali il Gruppo europeo di interesse economico e l’Associazione europea, senza trascurare le associazioni fra professionisti e le imprese di investimento377. In sede di valutazione comparativa del panorama dei soggetti del diritto interno e di quello comunitario, si nota immediatamente un diverso approccio, da parte dei vari legislatori, agli stessi. La funzione che alle norme di legge di matrice comunitaria viene attribuita consiste essenzialmente nel controllare e disciplinare lo svolgimento delle attività che hanno luogo nel mercato unico europeo, con la conseguenza di uno spiccato interesse per la dimensione economica dei soggetti delle norme, intesa come potenzialità e capacità di questi di intervenire sulla scena mercantile. Di qui l’interrogativo, diffuso negli ambienti della dottrina, circa il rischio che le norme di diritto privato europeo, nel trattare e qualificare il soggetto di diritto sulla base delle varie sfaccettature del suo essere homo oeconomicus, il che vale a dire operatore del mercato in un determinato ruolo (consumatore, risparmiatore e via dicendo), comporti una modalità riduttiva di individuazione del referente dell’enunciato normativo, nonché una frammentazione dell’uomo nella molteplicità delle esigenze, di segno economico, che allo stesso sono riconducibili378. Questo rischio, che coinvolge la sociologia del diritto379 nonché l’essenza stessa del fenomeno giuridico considerato nella sua interezza, si va a combinare con la caotica compresenza, nel 377 Sul punto si vedano A. BUSANI, Attuazione della direttiva 2002/87/Ce relativa alla vigilanza supplementare sugli enti creditizi sulle imprese di assicurazione e sulle imprese di investimento appartenenti ad un conglomerato finanziario, nonché all’istituto della consultazione preliminare interna di assicurazioni, in Guida al dir., 2005, 44, p. 16; R. DI MARIO, Associazioni e società tra professionisti intellettuali, in Giust. civ., 1993, I, p. 713; A. FUSARO, Le associazioni tra professionisti, in Vita Not., 1993, p. 494. Lo studio professionale associato viene annoverato tra le ipotesi di associazioni non riconosciute “atipiche”: sul punto si veda V. SCALISI, Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al postmoderno, cit., p. 153-155. 378 In una prospettiva di teoria generale, merita di essere ricordata la caratterizzante impostazione al problema della ricostruzione della soggettività alla luce dell’essenza del fenomeno-diritto, espressa da B. ROMANO, Soggetto libertà e diritto nel pensiero contemporaneo. Da Nietzsche verso Lacan, Roma, 1999, p. 34, il quale afferma che “il senso esistenziale del diritto si esprime nella garanzia che, all’interno del rapporto, i singoli non si incontrino nella riduzione della realtà di ciascuno a possibilità dell’altro, nell’esercizio cioè della violenza”. Ebbene, nel momento in cui, nel contesto contemporaneo il soggetto delle norme “di diritto privato europeo” è trattato alla stregua di mero homo oeconomicus, allora egli stesso viene confinato nell’ingiusto ruolo di “spersonalizzata occasione” che permette il concretizzarsi della “possibilità economica” dell’altro soggetto, di quello, cioè, che ricopre sul mercato la “posizione forte”, accadendo frequentemente che la stessa regola del rapporto sia stata formulata proprio in seno al “gruppo” al quale il “soggetto egemone” appartiene. 379 N. LIPARI, Diritto e sociologia nella crisi istituzionale del postmoderno, in Riv. crit. dir. priv., 1998, p. 415, osserva che “nella stagione del postmoderno il problema non sta mai nelle regole, intese come un contenuto individuato di precetti, ma semmai nella determinazione delle ragioni che hanno condotto al sostanziale svuotamento della loro funzione”. 119 panorama delle fonti del diritto interno, di regole che, avendo una diversa origine, trattano in maniera diversa il soggetto di diritto: le norme di matrice squisitamente nazionale, tanto nella forma quanto nella sostanza, da un lato; le norme di respiro comunitario che vengono recepite o che sono direttamente operative nel nostro ordinamento, dall’altro380. Nel ridurre il destinatario delle norme giuridiche a mero homo oeconomicus si compie una operazione che conduce alla contraddizione: la negazione del carattere di “persona” al soggetto di diritto, che consegue in modo diretto ed inevitabile allo sconfinamento dell’ampio, complicato ed imprevedibile fascio di volizioni, comportamenti e valori che hanno riguardo all’essere umano, e quindi alla persona, in quanto tale. Se, da un lato, ad una analisi delle norme comunitarie che hanno riguardo al risparmiatore, al consumatore, al lavoratore subordinato o al professionista, risulta che la dimensione economica del soggetto sia l’elemento al quale la normazione appare massimamente attenta, dall’altro è possibile notare i molteplici tentativi, effettuati nello stesso ambito comunitario, per dare riconoscimento e un adeguato grado di tutela ai diritti fondamentali381. Il dibattito intorno ai diritti della persona si accompagna, così, ad una generosa attività di confezione di regole che hanno riguardo alla dimensione prettamente economica della persona382. Tale circostanza parrebbe una contraddizione se non emergesse la connessione intrinseca tra i due predetti fenomeni i quali, se non trovano la loro giustificazione all’interno di una relazione biunivoca, tuttavia si possono ben comprendere nel momento in cui viene ricostruito il loro rapporto rendendo l’ultimo fenomeno un presupposto per il primo383. L’iter che dà luogo al riconoscimento, a livello comunitario, dei diritti fondamentali passa attraverso i Trattati, l’elaborazione di Principi, che proprio attraverso i Trattati sono stati costruiti, nonché lo stesso riconoscimento che, a livello dei singoli ordinamenti nazionali dei Paesi Membri, i diritti fondamentali trovano all’interno delle varie Carte costituzionali, unitamente agli orientamenti della Corte di giustizia e delle Corti costituzionali, ed alle varie operazioni di 380 S. GIUBBONI, Modelli socialnazionali, mercato unico europeo e governo delle differenze, in Riv. dir. sic. soc., 2009, 2, p. 293 381 I. VIARENGO, Corte costituzionale, Corte di giustizia e tutela dei diritti fondamentali in Europa, in L. DANIELE (a cura di), La dimensione internazionale ed europea del diritto nell’esperienza della Corte costituzionale, Coll. “Cinquanta anni della Corte costituzionale della Repubblica italiana”, Napoli, 2006, p. 442 382 G. ALPA, La codificazione del diritto dei consumatori. Aspetti di diritto comparato, in Nuova giur. civ. comm., 2009, 6, 2, p. 241 383 C. CARDIA, Carta dei valori e multiculturalità alla prova della Costituzione, in Iustitia, 2009, 2, 1, p. 147 120 verifica della compatibilità e dei rapporti reciproci tra i Trattati e la Convenzione di Roma384. Si ricordi inoltre che la Comunità ha aderito alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950. In questa prospettiva, accanto ad una intensa e copiosa attività, che vede coinvolte le istituzioni comunitarie, volta a disciplinare le vicende prettamente economiche che coinvolgono il mercato europeo, risulta così possibile collocare testimonianze dell’impegno assunto dalla stessa Comunità nell’ambito della tutela della persona considerata nella sua interezza. Se, all’analisi di una serie di regole di matrice comunitaria, la sensazione che deriverà potrà essere quella di una frammentazione del soggetto nello spettro dei bisogni di cui egli stesso si compone, prelevando soltanto le esigenze di segno economico ed ergendole a contenuto sostanziale d’elezione di molteplici interventi normativi, in altri luoghi, sempre di respiro comunitario, si rinviene piuttosto quella concezione unitaria, sul piano identificativo, del soggetto che viene incontrato dalle regole, al quale ci si riferisce ora nella sua interezza385. Per una disamina del rapporto intercorrente tra interessi economici incentivati dalla Comunità europea e diritti fondamentali tutelati, bisogna in primo luogo tenere conto che all’interno del Trattato istitutivo della Comunità economica europea, il noto Trattato di Roma del 1957, vi erano soltanto alcuni esigui riferimenti alla posizione del consumatore, nello specifico quelli nelle materie della politica agricola comune e della concorrenza, nell’ambito dei quali la tutela del consumatore emergeva alla stregua di una delle politiche comunitarie volte a rimuovere gli ostacoli alla realizzazione del libero mercato tra i Paesi membri, non essendo peraltro allora dotata la Comunità europea di alcuna specifica competenza nell’ambito della tutela dei consumatori386. Ciò spiega pertanto come inizialmente gli interessi dei consumatori trovassero la loro protezione esclusivamente in via indiretta e mediata, attraverso le garanzie del corretto funzionamento dell’ingranaggio della libera concorrenza387. Rispetto agli altri ambiti di intervento comunitario, il diritto dei consumi è entrato piuttosto tardi nel campo di 384 G.B. FERRI, Diritto dei contratti e Costituzione europea. Divagazioni di un civilista intorno alla Costituzione europea, in Eur. dir. priv., 2005, p. 18 385 L. CABELLA PISU, Cittadini e consumatori nel diritto dell’Unione Europea, in Contr. impr./Eur., 2007, p. 674 386 M. RODOLFI, La Consulta amplia la tutela dei consumatori ma rischia di far crollare il sistema, in Guida al dir., 2009, 30, p. 35 387 Sull’argomento si veda amplius R. PARDOLESI, La disciplina della concorrenza: uno sguardo d’insieme, in N. LIPARI – P. RESCIGNO (diretto da), Diritto civile. Attuazione e tutela dei diritti. La concorrenza e la tutela dell’innovazione, IV, Milano, 2009, p. 4 ss. 121 osservazione dei giuristi nazionali e delle Istituzioni comunitarie, cominciando a conoscere i primi interventi nel corso degli anni Settanta. Osservando l’evoluzione che ha conosciuto la politica di tutela dei consumatori a livello comunitario, si potranno rintracciare tre fasi salienti, la prima delle quali si colloca nell’alveo dell’elaborazione dell’Atto Unico Europeo del 1986; la seconda si sostanzia nell’entrata in vigore del Trattato di Maastricht del novembre 1993, la terza, infine, nell’appartenere al “Terzo Piano d’azione triennale” del 1995, costituisce un significativo passo avanti dal momento che la materia dei consumatori viene per la prima volta svincolata dall’ambito di intervento prettamente economico, per essere piuttosto allacciata al novero di tutte le politiche che si connotano per la loro autonoma rilevanza sociale, impostazione che trova la sua consacrazione nel Trattato firmato ad Amsterdam il 1 maggio 1997. Si comincia così a costituire quel nucleo di diritti connessi alla posizione del consumatore, di rilevanza e di pertinenza non necessariamente economica, quali la salute e la sicurezza, che si vanno ad affiancare alla necessaria protezione degli interessi economici, nonché al diritto all’informazione, all’educazione ed alla salvaguardia dei propri interessi. Si può pertanto asserire che in questa fase si collocano le radici concettuali di quella che nel 2005 diventa la formulazione testuale dell’art. 2 cod. cons 388. Già dalla rubrica di tale norma, intitolata “diritti dei consumatori”389, si evince la consapevolezza maturata in seno al “legislatore comunitario” circa l’importanza di effettuare un riconoscimento formale e sostanziale degli interessi individuali e collettivi dei consumatori390, non soltanto in quanto operatori economici ma nella loro completa identità di persone391. Il secondo comma della norma qui richiamata contiene infatti un elenco di diritti fondamentali, di rilevanza costituzionale, riconosciuti ed accordati però stavolta alla posizione dei consumatori392. Tali diritti assolvono ad una funzione di limitazione del potere e di guida per lo sviluppo dell’ordinamento giuridico, affidati, nel contesto del Codice del consumo, alla portata di una norma di chiusura dell’intero sistema, con lo scopo di svolgere un compito di integrazione e di completamento di quanto già previsto nello specifico B. NASCIMBENE - A. LANG, Il Trattato di Lisbona: l’Unione europea a una svolta?, in Corr. Giur., 2008, p. 137 389 F. RONCHESE, Credito al consumo e diritti del consumatore nel rapporto con il finanziatore, in Nuova giur. civ. comm., 2009, 5, 1, p. 440 390 F. CAMILLETTI, L’art. 2 del Codice del consumo e i diritti fondamentali del consumatore nei rapporti contrattuali, in Contratti, 2007, p. 908 391 Corte giust. CE, 14 ottobre 2004, c. 36/02 392 P. MORLUPO, Il Diritto dei consumi: realtà e prospettive, in Rass. dir. civ., 2009, 1, p. 276 388 122 dal legislatore all’interno dello stesso Codice o anche in altri luoghi normativi. Pertanto essi vengono attivati dall’interprete ogniqualvolta le misure o i rimedi già riconosciuti si rivelino insufficienti o inadatti a portare a termine la funzione di tutela della situazione in concreto393. Per cui in tali casi si dovrà effettuare un bilanciamento al termine del quale sarà possibile scoprire se sia più opportuno ritenere prevalente l’esigenza di protezione del consumatore o gli altri valori, anch’essi tutelati, che sono però in conflitto con la prima. Percorrendo l’elenco di cui al secondo comma dell’art. 2 cod. cons., si rinvengono il diritto alla tutela della salute, alla sicurezza nonché alla qualità dei prodotti e dei servizi, ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità, all’educazione al consumo, alla correttezza, alla trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali, alla promozione e allo sviluppo dell’associazionismo libero, volontario e democratico tra i consumatori e gli utenti, all’erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza394. Si tratta di diritti che, in alcuni casi, assumono anche esplicita rilevanza costituzionale, come il diritto alla salute, che trova la sua tutela nel dettato di cui all’art. 32 Cost. in quanto “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”395. Il novero dei diritti dei consumatori qualificati come “fondamentali” dalla stessa lettera dell’art. 2 cod. cons. é da ascrivere ai diritti inviolabili di cui all’art. 2 della Carta costituzionale, dal momento che, non fornendo quest’ultima un elenco tassativo bensì un elenco aperto, può ricomprendersi nel concetto di inviolabilità qualsiasi diritto fondamentale, a prescindere dalla circostanza per cui esso sia espressamente enunciato in una norma della stessa Costituzione o in altra norma di legge. Ove si voglia rintracciare il collegamento tra l’art. 2 cod. cons. e l’art. 2 Cost., esso avviene per il tramite del secondo comma dell’art. 3 Cost. che, nello statuire il principio di uguaglianza sostanziale, contempla il diritto dei cittadini, i quali versino in condizioni di debolezza rispetto ad altri, a ricevere adeguata tutela396. 393 N. DELLA BIANCA, Illecito antitrust e la tutela collettiva dei consumi, in Resp. civ. e prev., 2009, 2, p. 274 394 E. CAPOBIANCO, La protezione del consumatore tra obiettivi di razionalizzazione normativa e costruzione del sistema nell’esperienza del Codice del consumo, in Vita Not., 2008, 3, 1, p. 1187 395 T. WILHELMSSON, Un’armonizzazione completa del diritto dei contratti del consumatore?, in Riv. crit. dir. priv., 2008, 4, p. 605 396 Occorre ricordare che l’art. 3 Cost. rientra nella nozione di “norma programmatica”, in quanto in esso non è formulato direttamente il precetto normativo, bensì viene enunciato il programma che spetterà alle Istituzioni attuare. 123 L’apertura delle Istituzioni comunitarie verso una dimensione costituzionale dei diritti della persona-consumatore, della quale costituiscono un significativo indice sintomatico tanto il Trattato di Amsterdam quanto la Carta di Nizza397, nell’esprimere i passi che vengono mossi per un progressivo ampliamento dei valori e degli interessi che sono a fondamento del diritto comunitario, rivela un sostanziale allontanamento dalla originaria impostazione squisitamente mercantile che era fisiologicamente propria dello stesso398. Ciò comporta una sorta di “salto di valore” che vede oggi protagonista il diritto dei consumi di derivazione comunitaria, dal momento che esso è attualmente in grado di porsi al di sopra del novero di ragioni di segno prettamente economico, con la conseguenza per cui la tutela dei consumatori, nello spogliarsi delle vesti del fenomeno funzionale alla realizzazione del mercato unico, assume su di sé i connotati di uno degli strumenti di tutela della persona umana, marcando i contorni del passaggio da una logica puramente mercantile, alla quale si è ispirato il Trattato di Roma, ad una consapevole attenzione per la materia dei diritti fondamentali, come emerge dalla impostazione del Trattato di Amsterdam399. Se può sorgere il quesito circa la effettiva necessità che anche le Istituzioni comunitarie si facciano carico della tutela dei diritti fondamentali, dal momento che questo compito è stato tradizionalmente affidato agli ordinamenti interni, attribuendo piuttosto alla Comunità europea sempre una accezione di carattere meramente economico, anche quando si è passati, a livello A. CELOTTO, Carta dei diritti fondamentali e Costituzione italiana: verso il “Trattato costituzionale” europeo, in Eur. dir. priv., 2003, p. 47, considera che “l’emanazione della Carta di Nizza pone definitivamente in crisi la teoria dei controlimiti, in quanto l’emanazione formale di una Carta, tesa a tutelare i diritti in ambito comunitario, suggella definitivamente che anche l’Unione europea tutela i diritti fondamentali dell’uomo”. Sul punto si veda anche G. AZZARITI, Il valore della Carta dei diritti fondamentali nella prospettiva della costruzione europea: dall’Europa dei mercati all’Europa dei diritti?, in F. GABRIELE – G. BUCCI – C.P. GUARINI, Il mercato: le imprese, le istituzioni, i consumatori, Bari, 2002, p. 3; nonché G. VETTORI, Carta europea e diritti dei privati (diritti e doveri nel nuovo sistema delle fonti), in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 671 398 Sul punto cfr. P. PERLINGIERI, Leale collaborazione tra Corte costituzionale e Corti europee. Per un unitario sistema ordinamentale, Napoli, 2008, passim, nonché I. VIARENGO, Corte costituzionale, Corte di giustizia e tutela dei diritti fondamentali in Europa, in L. DANIELE (a cura di), La dimensione internazionale ed europea del diritto nell’esperienza della Corte costituzionale, Coll. “Cinquanta anni della Corte costituzionale della Repubblica italiana”, Napoli, 2006, p. 442. Sull’argomento generale delle potenze economiche mondiali che oggi sono in grado di dettare le regole sulla base delle quali si svolgono le contrattazioni sulla scena dei traffici mondiali, J. HABERMAS, La costellazione postnazionale. Mercato globale, nazioni e democrazia, Milano, 1999, p. 98, osserva che “oggi questa politica mondiale (…) non si presenta staticamente come politica gerarchizzata nel quadro di una organizzazione mondiale, bensì dinamicamente come un insieme di interferenze e interazioni tra processi politici che seguono logiche specifiche sul piano nazionale, internazionale, globale”. 399 P. PERLINGIERI, La tutela del consumatore nella Costituzione e nel Trattato di Amsterdam, in P. PERLINGIERI – E. CATERINI, Il diritto dei consumi, Napoli, 2004, p. 26. Inoltre cfr. S. CATANOSSI, In attesa di Lisbona: la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea al vaglio della teoria costituzionalista, in Riv. crit. dir. priv., 2008, p. 714 397 124 nominale, dalla Comunità economica europea all’Unione europea, allora bisogna osservare come il processo di armonizzazione delle legislazioni nazionali dei vari Paesi membri non possa prescindere, per il livello di compenetrazione degli ordinamenti (interno e comunitario) al quale si è giunti, dalla creazione di una coscienza giuridica comune, non potendo peraltro il mercato essere trattato esclusivamente alla stregua di luogo di mero svolgimento delle negoziazioni, dal momento che è un dato incontrovertibile che alla base delle dinamiche economiche ed imprenditoriali si collocano proprio i diritti fondamentali, ai quali è necessario assicurare un adeguato livello di tutela e dei quali si deve avere, da parte di tutte le Istituzioni, un appropriato grado di consapevolezza400. Il complicarsi degli scambi commerciali, delle operazioni negoziali e dei fenomeni dell’attività economica in generale, postula, al contempo, l’abilità di coniugare, tanto a livello nazionale quanto a livello comunitario, lo sviluppo mercantile con il progresso sociale, in una prospettiva di conciliazione delle istanze economiche con quelle solidaristiche401. Senza dubbio, tra i protagonisti della scena che si svolge sul teatro dei traffici commerciali, il consumatore è quello che occupa la positio princeps, non soltanto in quanto destinatario dei vari prodotti (sia merci sia servizi) ai quali egli stesso può accedere, ma anche in quanto persona della quale bisogna tutelare la salute, la sicurezza nonché assicurare condizioni di equità nel trattamento402. Certamente il mercato necessita di apposite regole che presiedano alle vicende degli scambi ed allo svolgimento dei rapporti economici tra i soggetti coinvolti, generalmente attraverso il ricorso a meccanismi correttivi che permettano la determinazione ed il controllo dei presupposti di efficienza e del corretto funzionamento del mercato stesso. In questa chiave, la libertà di mercato assume pertanto una nuova connotazione, riempiendosi di quella accezione che, accanto alla libertà dalle imposizioni ed alla libertà di competizione, si connota per una necessaria attività di Tuttavia si presenta scettico con riguardo all’idea di una armonizzazione totale delle legislazioni dei vari Paesi T. WILHELMSSON, Un’armonizzazione completa del diritto dei contratti del consumatore?, in Riv. crit. dir. priv., 2008, p. 605, il quale osserva che . Sul punto si veda anche G. AJANI – S. FERRERI – M. GRAZIADEI, Introduzione ai Principi di diritto comunitario in materia di contratto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2009, p. 271, nonché A. ZACCARIA, Il futuro del diritto privato europeo, in Studium iuris, 2007, p. 1299 401 Ciò dipende dal modo in cui il mercato viene considerato. Esso può essere infatti inteso sia come un’istituzione che produce essa stessa le regole delle contrattazioni che si ambientano sulla scena medesima, sia come “locus di garanzie e di libertà”, come osserva G.P. CALABRO’, Tutela del contraente debole e mercato: la dialettica tra norme e valori, in P. PERLINGIERI – E. CATERINI (a cura di), Il diritto dei consumi, cit., passim. 402 R. CALVO, La tutela del consumatore alla luce del principio di eguaglianza sostanziale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, 3, p. 869 400 125 regolamentazione volta a favorire “l’attuazione di una politica sociale correttiva della lex mercatoria”403. Il che vale a dire esigenza di una politica di regulation che sia finalizzata alla elaborazione di regole che permettano la composizione degli interessi che dominano la scena mercantile secondo una logica democratica404. 403 Sul punto cfr. P. PERLINGIERI, Mercato, solidarietà e diritti umani, in cit., 1995, p. 95, procedendo poi col mettere in risalto l’importanza dell’antitrust, con l’affermare, a p. 105-106, che “le ragioni costituzionali dell’antitrust risiedono nella necessità di evitare le distorsioni monopolistiche e di tendenzialmente garantire la correttezza della attività economica, senza abusi di posizioni dominanti, senza accaparramenti ingiustificati, al fine pur sempre di realizzare una utilità sociale intesa come punto di confluenza tra produttori e consumatori. La sua funzione quindi si esaurisce esclusivamente sul piano economico e non coinvolge, se non indirettamente, la solidarietà e i diritti inviolabili dell’uomo”, ricordando che, al contrario, “la libertà economica e la concorrenza, anche sul piano strettamente economico, sono non un fine ma un mezzo, una regola, per realizzare l’utilità sociale, l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione economica e sociale del Paese e il pieno sviluppo della persona”. Si veda anche L. ROSSI CARLEO, Diritto del mercato, diritto per il mercato o diritto per i soggetti del mercato?, in Rass. Dir. civ., 1992, p. 751, la quale osserva che “la centralità del mercato si rivela un punto di coesione illusorio. La necessità di ricercare comunque una qualche funzione riequilibratrice comporta, rispetto alle opzioni di fondo, che la centralità del mercato si frantuma in una gamma assai variegata di modelli interpretativi. Ne deriva che il giurista, per non abdicare al suo compito, non deve guardare all’economia come ipotesi di ridefinizione del sistema giuridico, ma piuttosto deve considerarla come una valenza metodologica, senza pretendere che dalla scienza economica derivino più certezze di quante quest’ultima riesca a segnare al proprio attivo”. 404 Sul punto si veda N. LIPARI, Riflessioni di un giurista sul rapporto tra mercato e solidarietà, in Rass. Dir. civ., 1995, p. 31, il quale autorevolmente afferma che “questa frenesia liberistica nella quale siamo piombati, il tentativo cui stiamo assistendo di una distruzione concentrica del modello dello Stato sociale (non quindi solo delle sue discorsive attuazioni), l’identificazione strisciante tra sistema capitalistico e sistema consumistico (quasi che la logica del mercato debba inevitabilmente condurre ad un vortice senza limiti) rappresentano una vistosa contraddizione con i principi costituzionali”; proseguendo con l’osservare che “è ormai consapevolezza acquisita che, varcata una certa soglia, il consumo di ciò che siamo in grado di produrre supera le ragioni dell’utilità, diventa semplice assuefazione, in sostanza si risolve nel tritume di qualsiasi cosa”. Nonché ID., Diritto e mercato della concorrenza, in cit., p. 320, in cui si pone in evidenza la linea di congiunzione tra mercato e diritto, osservando che “quando perciò si assume una coerente lineare simmetria tra politicità e giuridicità, intese come necessario presupposto delle scelte mercantili, nel senso che “il mercato prende forma dalla decisione politica e questa si esprime in leggi”, si indica una sorta di modello esemplare o utopico, ma certo non si rappresenta la realtà dell’esperienza contemporanea”; procedendo poi ad individuare l’essenza della crisi del rapporto ortonomo tra diritto e mercato nell’epoca contemporanea proprio nell’allontanamento dalla peculiare dimensione del giuridico che consiste nel prendere atto che “la giuridicità si connota necessariamente in chiave di solidarietà”, chiarendo che “il diritto è necessariamente solidaristico, nel senso che sarebbe contraddittorio all’idea stessa di giuridicità intenderlo come limitato ad una parte soltanto della collettività considerata ovvero destinato necessariamente a non proiettarsi nel tempo, a non coinvolgere soggetti diversi da coloro che hanno concorso a dettare la regola” (p. 327-328). Il mercato è il luogo in cui si incontrano interessi contrapposti; gli interessi della classe imprenditoriale egemone sono oggi piuttosto interessi di gruppi di potere, dei quali le regole giuridiche si fanno portatrici, deviando così dalla loro sostanziale specificità. Sul problema del rapporto tra diritto ed interessi politici L. LOMBARDI VALLAURI, La scienza giuridica come politica del diritto, Firenze, 1974, I, p. 181, afferma che “Scienza giuridica significa appunto politica del diritto fatta criticamente, in opposizione a una politica ascientifica, a una politica di interessi particolari di qualsiasi natura, a una politica non tesa metodicamente alla validità universale, alla razionalità, alla integrale comunicabilità e persuasività dei propri assunti”. Sull’argomento in generale cfr. anche G. ALPA, La c.d. giuridificazione delle logiche dell’economia di mercato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, p. 744. In merito alla vicenda della regulation, P. PERLINGIERI, Mercato, solidarietà e diritti umani, in cit., p. 111, osserva che “regolamentazione e concorrenza non si prospettano come alternative, ma come complementari là dove la regulation serve per garantire non soltanto la concorrenza, in una pluralità di segmenti del mercato, ma anche valori non riducibili al livello della produzione e del 126 Nella presente stagione giuridica, è possibile rintracciare una diversa prospettiva nell’approccio alla modalità attraverso cui il mercato e l’iniziativa economica assumono la loro configurazione, ben lontana oggi dall’essere imperniata sul principio di solidarietà sociale405 che, secondo una prospettiva ortonoma e ossequiosa dell’eticità del diritto406, assurgerebbe a valore cardine dell’ordinamento407. La libertà di iniziativa economica privata, una delle libertà fondamentali riconosciute dalla Carta costituzionale alla lettera dell’art. 41 primo comma, nel costituire presidio all’autonomia contrattuale, deve coordinarsi con la protezione di valori appartenenti alla sfera dell’extraeconomico408. consumo”. In una visione ortonoma del diritto elaborato per la disciplina dei fenomeni che si prospettano sullo scenario del mercato, le diverse posizioni in cui si trovano le parti della negoziazione devono necessariamente trovare un punto di equilibrio, o per meglio dire un punto di incontro, e ciò può avvenire soltanto tramite la funzione mediatrice della norma, in un assetto in cui tramite la stessa norma si può concretizzare il superamento di un rapporto di forza e di un rapporto esclusivamente governato dalle logiche del mercato, come afferma L. ROSSI CARLEO, Diritto del mercato, diritto per il mercato o diritto per i soggetti del mercato?, in cit., p. 763, la quale evidenzia la funzione mediatrice della norma che determina “il superamento di un rapporto di forza, e di un rapporto determinato meccanicamente da fenomeni di mercato. Il superamento del rapporto di forza significa, fra l’altro, superamento di una astratta parità formale, così come il superamento del determinismo economico significa prendere atto delle esternalità, considerando che non tutto è calcolabile, non tutto è monetizzabile. (…) Lo sforzo maggiore induce ad una rimeditazione che guardi al sistema enucleando le posizioni formali non più in una logica astratta che fissa gli status sotto il profilo statico, quanto, piuttosto, che guardi alle posizioni intersoggettive inquadrandole, sotto il profilo dinamico, nella generalità della situazione della quale i soggetti sono parti e partecipi. Gli strumenti tecnici tradizionali si rinnovano, pertanto, nei contenuti e, in tal modo, possono adeguarsi alla diversa realtà. (…) Ciò che risulta evidente è la necessità di non fermarsi ad una concezione di diritto del mercato, intendendo il diritto esclusivamente come un insieme di strumenti offerti dalle regole del mercato”. 405 N. IRTI, Concetto giuridico di mercato e dovere di solidarietà, in Riv. dir. civ., 1997, I, p. 185 406 Si può rintracciare una dimensione etica nel modo in cui il diritto assurge ad arbitro delle vicende mercantili laddove i rapporti tra i vari soggetti che operano sul mercato si svolgono in chiave di solidarietà, piuttosto che all’insegna del prevalere dei soggetti forti sui più deboli. Opportunamente osserva R. DWORKIN, Cos’è l’eguaglianza? Parte 2: l’eguaglianza delle risorse, in B.A. ACKERMAN – R. DWORKIN – S.C. SAGNOTTI, Il mercato: diritto, etica ed economia, Torino, 1999, p. 13, che “la proprietà privata non è un fatto a sé, che riflette il solo rapporto intercorrente tra una persona e una risorsa materiale, ma un rapporto a struttura aperta di cui molti aspetti devono essere fissati politicamente”. Analogamente si può dire con riguardo alle vicende traslative della proprietà che si ambientano sulla scena del mercato. N. LIPARI, Diritto e mercato della concorrenza, in cit., nel porre in evidenza come il diritto sulla concorrenza sia in realtà incardinato sul rapporto tra persona e mercato, ricordando (p. 327) che “la giuridicità si connota necessariamente in chiave di solidarietà”, pone in luce l’essenza del fenomeno giuridico che è da cogliersi nell’essere il diritto (p. 330) “esperienza destinata continuamente a raccordare enunciati formali tendenzialmente immutabili ad indici storici capaci di riempirli di significati sempre mutevoli”, in un’ottica secondo cui il sistema giuridico assurge a “filtro della varietà di informazioni provenienti dall’ambiente sociale circostante” (p. 331). 407 Sull’argomento del mutato assetto in cui hanno luogo, nel contesto contemporaneo, le relazioni commerciali si veda F. GALGANO, I rapporti di scambio nella società post-industriale, in Vita Not., 1992, p. 52 ss. 408 Sul punto si veda G. SANTORO-PASSARELLI, Le “ragioni” dell’impresa e la tutela dei diritti del lavoro nell’orizzonte della normativa europea, in Eur. dir. priv., 2005, p. 95, il quale considera che “la Costituzione si pone in linea di continuità rispetto ai precedenti Trattati le cui disposizioni talvolta riproduce letteralmente, tuttavia sarebbe riduttivo non riconoscere la rilevanza storica e giuridica del Trattato Costituzionale. Infatti il progetto costituzionale organizza e sistema valori- 127 La politica comunitaria, inizialmente preoccupata esclusivamente della tutela di interessi di segno meramente economico, oggi invece attenta anche alla salvaguardia dei diritti fondamentali della persona, risulta pertanto orientata, in materia contrattuale, ad abbracciare soluzioni che si facciano carico della garanzia della qualità del contratto e della contrattazione, in modo tale da superare anche quell’insieme di asimmetrie informative alle quali è esposto il soggetto che risulti debole nella stessa contrattazione409. Di qui, si è compresa l’esigenza di rivolgersi al consumatore non soltanto nella sua dimensione economica, e ciò si è iniziato a compiere attraverso l’apertura delle politiche comunitarie verso settori che superano lo stretto ambito di operatività del mercato e, nel trascendere la logica di segno essenzialmente patrimonialistico, si muovono verso una dimensione personalistica410 che si rende garante di un equilibrato bilanciamento tra rapporti economici, rapporti civili e rapporti sociali411. Con il Trattato di Amsterdam, si è quindi iniziato a comprendere, a livello comunitario, che il consumatore non può e non deve essere trattato meramente alla diritti già presenti nell’ordinamento comunitario e attribuisce formale efficacia giuridica ai “diritti” ed ai “principi” enunciati dalla Carta di Nizza. La rilevanza costituzionale riconosciuta ai diritti sociali produce una serie di conseguenze”, tra cui quella di evitare che gli Stati membri, in forza della loro adesione alla Comunità europea, nel dare attuazione alle norme di diritto comunitario in materia di concorrenza, riducano il livello di garanzia dei diritti sociali riconosciuti nella Costituzione”. Cfr. anche B. LIBONATI, Ordine giuridico e legge economica del mercato, in Riv. soc., 1988, p. 1540 ss.; nonché G. IUDICA, L’economia di mercato, in G. IUDICA – G. ALPA (a cura di), Costituzione europea e interpretazione della Costituzione italiana, Napoli, 2006, passim, il quale, in particolare, rileva che “il fatto che dalla Costituzione repubblicana non derivi nessun vincolo al legislatore ordinario circa la realizzazione del modello di economia sociale di mercato, aperta e concorrenziale, accolto nei Trattati europei e scolpito nella Costituzione europea, è del resto di tutta evidenza se solo si considera che, (…) restrizioni alla libertà di iniziativa economica privata fondate su ragioni di utilità sociale ma non compatibili con la struttura concorrenziale del mercato, come pure strategie di pregnante intervento pubblico nell’economia, sotto le ombrose fronde dell’art. 41 Cost., e dell’art. 43 Cost., abbiano potuto ampiamente prosperare, e siano per lo più sopravvissute al vaglio di costituzionalità”. 409 V. BUONOCORE, Contratto e mercato, in Giur. comm., 2007, I, p. 379 410 P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italocomunitario delle fonti, p. 348, rileva che “l’atto negoziale è valido non tanto perché voluto ma se, e soltanto se, destinato a realizzare, secondo un ordinamento fondato sul personalismo e sul solidarismo, un interesse meritevole di tutela”. 411 Si vedano, sul punto, C. CASTRONOVO, Autonomia privata e costituzione europea, in Eur. dir. priv., 2005, 1, p. 29; M. GRONDONA, Solidarietà e contratto: una lettura costituzionale della clausola generale di buona fede, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, 2, p. 727; S. MAZZAMUTO, Note minime in tema di autonomia privata alla luce della Costituzione europea, in Eur. dir. priv., 2005, 1, p. 51; L. RUGGERI, Produzione normativa ed interpretazione assiologica per un diritto contrattuale europeo, in R. FAVALE – B. MARUCCI (a cura di), Studi in memoria di Vincenzo Ernesto Cantelmo, II, Napoli, 2003, passim; F.S. TONIATO, Rapporti economici, regole di mercato, principi costituzionali, in N. LIPARI (a cura di), Giurisprudenza costituzionale e fonti del diritto, in Coll. “Cinquanta anni della Corte costituzionale della Repubblica italiana, Napoli, 2006, passim. 128 stregua di homo oeconomicus, quanto piuttosto come persona412. Il mercato viene pertanto ad essere, in tale ottica, una delle modalità fenomenologiche della personalità dell’individuo413. Nell’assetto socio-economico contemporaneo, il consumatore, che si qualifica per essere il contraente debole all’interno delle complesse dinamiche della negoziazione, è inserito, nell’insieme delle materie trattate dalla “legislazione comunitaria”, all’interno di una politica che parte dalla difesa del mercato in quanto difesa dell’iniziativa privata, per arrivare alla garanzia dello svolgimento dell’attività economica in modo conforme ai precetti dell’utilità sociale, della sicurezza della libertà e della dignità umana414. Il centro della problematica ruota attorno alla questione del rapporto tra mercato e diritto, che equivale a dire tra mercato e persona415, se, in una concezione corretta del fenomeno giuridico, si comprende che il diritto è il luogo d’elezione per la tutela dell’individuo, nella dimensione del suo agire sociale, considerato nella sua interezza, e quindi, in quanto tale, come persona416. Il fulcro del binomio, oggi 412 F. SEATZU, Le nuove basi giuridiche della politica dei consumatori nel Trattato di Amsterdam, in Dir. com., 2000, p. 809. In merito all’iter che ha conosciuto lo sviluppo, a livello comunitario, della materia della tutela dei diritti dei consumatori si veda anche P. PADOVIN, La riforma dei Trattati: l’Atto unico europeo, in Nuova rass. legisl. dottr. giur., 1986, p. 2342 413 G.B. FERRI, Divagazioni di un civilista intorno alla Costituzione europea, in Eur. dir. priv., 2002, p. 345; B. BOSCHETTI, Economia e forme giuridiche, in Dir. econ., 2007, p. 455; in merito all’art. 41 secondo comma Cost. afferma che “sembra infatti pienamente condivisibile l’idea di chi ritiene che la garanzia della pari dignità umana riprenda quel concetto di pari dignità sociale di cui all’art. 3 primo comma della Costituzione e per l’effetto implichi la garanzia di uguali condizioni in tutti quei rapporti nei quali si fa esercizio di diritti e libertà, siano essi etico-sociali, politici o, appunto, economici”. 414 A tale proposito, osserva P. PERLINGIERI, Mercato, solidarietà e diritti umani, in Rass. dir. civ., 1985, p. 84 ss., che “in tal modo la libertà non è negata, ma è garantita, in quanto regolata al fine esclusivo di realizzare la socialità della quale è capace: la sua forza di principio incide anche sul giudizio di adeguatezza e di ragionevolezza delle misure programmatorie di controllo che non possono essere tali da annientare o rendere di fatto impossibile l’espletamento della iniziativa nei suoi diversi momenti di accesso e di uscita dal mercato”. Inoltre ID., Le insidie del nichilismo giuridico. Le ragioni del mercato e le ragioni del diritto, in Rass. Dir. civ., 2005, p. 2, rileva che l’appiattimento verso un vuoto formalismo ingenera il “pericolo che si annida nell’atteggiamento cinico del prendere atto, senza alcuna partecipazione critica, che l’economia governa essa sola la politica, e la legge è ormai amica soltanto del mercato e delle sue ineludibili esigenze; che l’interpretazione della legge non può che scoprire il suo senso e attribuire alle cose i loro nomi senza porsi dubbi di legittimità, e ancor più di legittimazione e di giustificazione, sì da lasciar sempre più coincidere le ragioni della legge con le ragioni del più forte e quindi dell’economia e del mercato. Questa deriva che si definisce nichilista, (…) non è neutrale. Essa, sostanzialmente, sottende un realismo, benefico perché utile a comprendere la realtà , ma fondato sul primato del mercato inteso come valore unico, sul quale costruire la moderna legalità”. L’argomento del nichilismo è al centro del pensiero di N. IRTI, Nichilismo e metodo giuridico, in Riv. Trim. dir. proc. civ., 2002, p. 200. Sul punto cfr. anche M. BARCELLONA, Il nichilismo giuridico, la forma del diritto moderno e il nuovo sovrano, in Riv. Dir. civ., 2007, I, p. 207. 415 N. IRTI, Persona e mercato, in Riv. dir. civ., 1995, I, p. 295; B. PASTORE, Il Manifesto sulla giustizia sociale nel diritto europeo dei contratti, in A. SOMMA (a cura di), Giustizia sociale e mercato nel diritto europeo dei contratti, Torino, 2007, p. 187 416 F. PANETTI, Autonomia contrattuale e persona nella dialettica tra diritti sociali e libertà individuali: un percorso europeo, in Riv. dir. civ., 2007, I, p. 517 129 conflittuale, tra diritto e mercato, va pertanto rintracciato in quella dimensione giuridica secondo cui il diritto non può non assumere su di sé la tutela di tutti quei beni e valori che non appartengono alla mera logica dello scambio417. Bisogna pertanto accordare al mercato quella dimensione giuridica che è indispensabile al fine della regolazione della complessa serie di negoziazioni che si svolgono in tale luogo, senza però ridurre il diritto a mero strumento di regolamentazione del mercato secondo una logica improntata peraltro sulla esclusiva necessità di assicurare ai gruppi di potere ed agli operatori economici più forti quel vantaggio calcolabile in termini monetari che si esprime con la voce del massimo profitto418. Nel panorama del mercato, in cui il contratto si pone come la categoria ordinante della variegata molteplicità dei fenomeni che in esso hanno luogo, esso stesso può essere certamente considerato lo strumento attraverso cui si coniugano le istanze economiche, che non sono null’altro se non ipostasi dell’esercizio dell’autonomia privata, con le esigenze di controllo e di programmazione derivanti dalla necessità di tutela dei valori strettamente attinenti al soggetto agente in quanto persona, che pure vengono in considerazione in modo imprescindibile negli stessi contesti di segno prettamente mercantile419. La categoria del consumatore, la cui normativa costituisce la risposta alla evidente esigenza di approntare un adeguato livello di protezione a soggetti che altrimenti ne resterebbero privi e che si trovano fisiologicamente in posizione di debolezza, ingloba in sé la necessità di ricordare sempre che il contratto, in quanto strumento attraverso cui si svolge in concreto la dinamica dei rapporti di consumo, è un valore fondante dell’ordinamento dei N. LIPARI, Diritto e mercato della concorrenza, in op. cit., p. 331, rileva che “in un momento storico in cui da un lato vanno emergendo nuove tensioni culturali all’interno della dialettica sociale e dall’altro è difficile ricondurre l’interesse del consumatore, nella banalità e ripetitività dei gesti indotti, alla razionalità di un’azione valutabile secondo parametri di valore, è necessario riscoprire, nell’integralità dell’ordinamento, l’eticità del diritto”. 418 L. ROSSI CARLEO, Il mercato tra scelte volontarie e comportamenti obbligatori, in Enc. dir. priv., 2008, p. 167, nel mettere in risalto le caratteristiche dell’agire degli operatori economici all’interno di un mercato regolamentato (quale quello globale), con la conseguente problematica dell’individuazione dei poteri e dei confini dell’autonomia negoziale, afferma che “l’ottica si sposta dal contratto al mercato, dallo specifico atto negoziale all’attività commerciale”. 419 N. LIPARI, Diritto e mercato della concorrenza, in cit., p. 325, con riguardo al mutamento della concezione del contratto, osserva che “la normativa non si esprime più come regola del contratto (e dei suoi tipi), ma semmai come disciplina dei soggetti che operano sul mercato”, proseguendo nel considerare che in “quello che mi è parso opportuno chiamare diritto privato europeo (…), il criterio del contratto non è più indice individuante della disciplina, considerato che contratti dello stesso tipo sono sottoposti a discipline diverse in quanto posti in essere da soggetti appartenenti a categorie diverse”. Il mutamento delle modalità che comportano lo svolgersi delle dinamiche mercantili permette induce così a rilevare che “l’incidenza normativa sul mercato non si misura quindi oggi più in funzione esclusiva di parametri riguardanti lo spostamento della ricchezza, ma semmai con riferimento differenziato agli interessi dei soggetti che su quel mercato agiscono (e non sempre si tratta di interessi di ordine esclusivamente economico)”. 417 130 soggetti privati420; con la conseguenza per cui non si può certo negare che la libertà che determina lo statuto costituzionale della persona è anche, ma non esclusivamente, libertà di carattere economico421. L’ampio spettro dei diritti dei consumatori, che oggi costituiscono una categoria ben precisa e verso cui le Istituzioni, in misura maggiore quelle comunitarie rispetto a quelle nazionali, mostrano un sempre crescente grado di consapevolezza e sensibilità, è, come la massima parte dei fenomeni giuridici, venuto emergendo nel corso del tempo, sulla base di movimenti esogeni di carattere economico e sociale422. Tuttavia soltanto in tempi recentissimi l’approccio normativo alla figura del consumatore è riuscito ad esulare dal mero profilo della economicità, ovvero dell’essere il consumatore un operatore d’elezione sulla scena mercantile, a favore di una impostazione per così dire “umanistica” che tenga, quindi, conto del consumatore in quanto persona e, in quanto tale, della totalità delle esigenze di cui egli stesso sia titolare, non limitandosi a considerare esclusivamente quelle di netto segno economico423. Questo diverso approccio alla categoria del consumatore ha portato con sé una maturazione nelle modalità di tutela della posizione dello stesso, determinando così un passaggio da un sistema di garanzia incardinato sulle norme dettate a presidio della libera concorrenza ad un complesso meccanismo di protezione del consumatore articolato su alcuni nodi centrali, quali le regole volte a reprimere la pubblicità ingannevole, la delimitazione dei confini della pubblicità comparativa, gli obblighi di informazione nell’etichettatura dei prodotti, la tutela nella fase negoziale (la disciplina delle clausole vessatorie e la nullità di protezione), il sistema di risarcimento del danno derivante da prodotto difettoso, l’ampliamento dei poteri di cui sono titolari le associazioni dei consumatori424. 420 G. BENEDETTI, Tutela del consumatore e autonomia contrattuale, in cit., p. 24, asserisce che il contratto “va ascritto alla persona, quale espressione significativa dell’autonomia riconosciuta nell’area patrimoniale dall’ordine giuridico”. 421 N. LIPARI, Il mercato: attività privata e regole giuridiche, in N. IRTI – A. GAMBINO – N. LIPARI – V. ROPPO, Il diritto della transizione, Milano, 1998, p. 41-42, osserva che l’epoca di fine secolo è caratterizzata dal “pannegozialismo”, in quanto è “tutta giocata intorno alla valutazione dell’atto di autonomia assunto nella singolarità del suo contenuto precettivo e nella specificità della funzione”, comportando così una visione secondo cui “il mercato sia soltanto la finale risultante delle forze espresse, nell’unità individuata di un tempo storicamente definito, da una pluralità di atti contrattuali, di scelte imprenditoriali, di relazioni giuridicamente rilevanti, essendo tutta rimessa la loro considerazione sintetica ad un metro valutativo di segno o economico o politico”. 422 S. RODOTA’, Il Codice civile e il processo costituente europeo, in A. SOMMA (a cura di), Giustizia sociale e mercato nel diritto europeo dei contratti, Torino, 2007, p. 201 423 Sull’argomento “persona e mercato” si veda N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, RomaBari, 2008, p. 97 ss. 424 V. FERRARI, Una sfida al binomio “libero mercato-democrazia”, in Giornale dir. lav., 2008, 4, p. 717 131 4. La materia contenuta nel cosiddetto Codice del Consumo conosce una nozione di consumatore espressamente dettata dal “legislatore delegato” nella formulazione di cui all’art. 3 lett. a) Cod. cons., in ossequio alla tradizione contrattuale di common law che è avvezza alla pratica delle definizioni425. Tuttavia, non è possibile rintracciare una accezione univoca del termine “consumatore” nei vari contesti normativi e giurisprudenziali nei quali esso viene impiegato426. Ciò in quanto si tratta di un termine suscettibile di riempirsi di una diversa specifica portata semantica in base all’utilizzo che di esso viene fatto, spesso esulando dal contesto della disciplina protettiva del soggetto debole. Accade pertanto che le definizioni di impronta comunitaria non coincidano con la nozione che di quel medesimo termine si rinviene nel linguaggio di utilizzo comune427. Se infatti nel dizionario della lingua italiana è possibile cercare il termine “consumatore” da molto tempo, ciò non avviene altrettanto nel lessico giuridico di diritto interno, nel quale si è iniziato a parlare di “consumatore” in maniera significativa soltanto in tempi recenti, in forza della esigenza di armonizzazione delle legislazioni nazionali tramite lo strumento del diritto privato europeo428. 425 Osserva F. LUCCHESI, Commento. Art. 3, in G. VETTORI (a cura di), Codice del Consumo. Commentario, Padova, 2007, p. 45, che “l’art. 3 contempla le definizioni dei concetti cardine della normativa raccolta ed ora trasfusa nel Codice del consumo, secondo una tecnica legislativa corrente nel diritto comunitario, volta a garantire maggiore certezza e snellezza al corpo normativo cui le definizioni si riferiscono”. Sull’ottimismo di tale approccio alla portata delle definizioni consumeristiche si ritiene di riflettere, nel corso della presente trattazione, in maniera critica. 426 Osserva opportunamente G. CHINE’, Il consumatore, in N. LIPARI (a cura di), Tratt. Dir. priv. Eur., Il diritto privato europeo nel sistema delle fonti. I soggetti, I, Padova, 2003, p. 435, nel ricostruire i vari itinerari giuridici, economici e sociologici che conducono ad una nozione di consumatore, che “attribuire un significato univoco al termine “consumatore” è operazione alquanto difficile. Tale difficoltà è la conseguenza naturale dell’evoluzione storico-culturale di un termine (e di una categoria) che ha vissuto esperienze, per così dire, parallele in settori tra essi diversi, quali quello economico, sociologico ed, infine, giuridico. 427 G. BERTOLO, Status di consumatore, libertà d’impresa e tutela del contraente aderente, in Giur. it., 2003, 1, p. 203 428 Inserita nei vari contesti specifici ai quali essa è suscettibile di appartenere, la posizione del consumatore si presenta tradizionalmente speculare a quella del produttore, del quale pure si rintraccia la nozione all’interno del Codice del consumo, nello stesso art. 3, lett. d), nel quale si legge che per produttore è da intendersi, “fatto salvo quanto stabilito nell’articolo 103, comma 1, lett. d), e nell’articolo 115 comma 2-bis, il fabbricante del bene o il fornitore del servizio, o un suo intermediario, nonché l’importatore del bene o del servizio nel territorio dell’Unione europea o qualsiasi altra persona fisica o giuridica che si presenta come produttore identificando il bene o il servizio con il proprio nome, marchio o altro segno distintivo”. La letteratura giuridica sulla figura del produttore si presenta piuttosto generosa, quasi al pari di quella avente riguardo al consumatore, anche perché spesso i due concetti, tanto antitetici quanto funzionalmente ed essenzialmente connessi, vengono trattati congiuntamente. Sul punto cfr. M. QUINTANO, Il governo delle relazioni produttore-consumatore, Torino, 2001, passim. Per quanto concerne l’ambito della responsabilità per danno cagionato da prodotto difettoso, si vedano R. D’ARRIGO, La responsabilità del produttore: profili dottrinali e giurisprudenziali dell’esperienza italiana, Milano, 2006, passim; G. ALPA – M. BIN – P. CENDON (a cura di), La responsabilità del produttore, in F. 132 Ai fini della applicabilità della normativa contenuta nel testo del Codice del consumo429, per consumatore o utente è da intendersi “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”430. Nell’incipit di questo testo di legge non poteva non esservi una definizione dei vari termini, dalla portata semantica usuale assai ampia, i quali, nel tenore della formulazione normativa, vengono richiamati piuttosto con uno specifico significato tecnico. Del resto, l’attitudine per le definizioni, tanto di carattere soggettivo quanto di quello oggettivo, la cui finalità si sostanzia peraltro nel delineare nettamente l’ambito di operatività e di applicabilità di un determinato intervento normativo, è un fenomeno ormai largamente invalso nell’ambito della generosa produzione di regole da parte delle istituzioni comunitarie. Da qui emerge il potere che acquista il precipitato dell’attività di definizione, dal momento che ogni nozione vale non soltanto a stabilire i confini di applicabilità del testo di legge, ma giunge anche ad orientare i giudici nazionali nonché tutti quegli operatori giuridici che nella loro attività concreta si trovano a doversi misurare con quel determinato materiale normativo431. Nel tenore del Codice del consumo, se ad esso è stato rimproverato quell’arrogarsi il termine “codice” che, nella sua accezione tecnica, assume un significato peculiare, che si ricollega a requisiti del tutto lontani dai tratti propri della normativa del GALGANO (diretto da), Tratt. Dir. comm. e dir. pubbl. econ., Padova, 1989, XIII, passim; A. GORASSINI, Problemi e prospettive della responsabilità del produttore, Milano, 1982; U. CARNEVALI, La responsabilità del produttore, Milano, 1974. La portata innovativa della nozione di produttore contenuta nel Codice del Consumo viene sottolineata chiaramente da F. LUCCHESI, Commento. Art. 3., in op. cit., p. 55, in cui afferma che tale definizione “contempla, oltre alle figure già note, il fornitore, nel caso in cui il consumatore sia destinatario non di un bene, ma di un servizio e l’intermediario”. Sul punto cfr. anche E. BELLISARIO, sub art. 3, in G. ALPA – L. ROSSI CARLEO (a cura di), Codice del Consumo. Commentario, Napoli, 2005, p. 81, in cui si afferma che la progressiva dilatazione della nozione di produttore denota un’evoluzione “che esprime la chiara tendenza verso la costruzione di un sistema unitario di responsabilità d’impresa che, eliminando le distinzioni meramente artificiali, sia in grado di riflettere la complessità delle forme organizzative di produzione ed erogazione di beni e servizi”. 429 La nozione di cui all’art. 3 cod. cons. è una delle definizioni di consumatore che sono state dettate ai fini della individuazione dell’ambito di applicazione soggettiva del Codice del consumo. Per tale ragione, si può validamente asserire che ancora non sia stata formulata una nozione generale di consumatore nel nostro ordinamento giuridico. Lo stesso testo dell’art. 3 chiarisce che la nozione è valida soltanto “ai fini del presente codice”. Con la conseguenza per cui vi sono molteplici nozioni di consumatore, nei luoghi delle legislazioni speciali, le quali tutte rimangono in vigore. Secondo una prospettiva critica, è dato ritenere che, a fronte del trend legislativo settoriale contemporaneo nonché della confusione che governa il contenuto testuale e semantico delle fonti normative, difficilmente si avvertirà l’esigenza di lavorare alla elaborazione di una nozione univoca di consumatore, che possa essere acquisita all’ordinamento con valenza di definizione di carattere generale. Sull’argomento si veda amplius L. DELOGU, Leggendo il Codice del consumo alla ricerca della nozione di consumatore , in Contr. impr. Eur., 2006, p. 100. 430 G. CHINE’, Uso e abuso della nozione di consumatore nel codice del consumo, in Corr. Merito, 2006, p. 431; ID., v. Consumatore (Contratti del), in Enc. dir., Agg., IV, Milano, 2000, p. 419 431 N. ROCCO DI TORREPADULA, Sulla nozione di consumatore, in Contratti, 2007, p. 1071 133 consumatore, e che è stato al centro della storia delle fonti del diritto per ben due secoli, allo stesso modo si riscontra l’assenza di organicità e un’assoluta carenza di coerenza tecnica, dal momento che la definizione di cui al su richiamato art. 3 viene affiancata, in modo non complementare ma, al contrario, talvolta anche contraddittorio, da nozioni sparse di consumatore, che è possibile rintracciare in altri luoghi dello stesso testo normativo432. Si pone pertanto un problema di conciliabilità a fini ermeneutici della definizione generale con quella speciale che eventualmente venga in considerazione nello specifico. Con la conseguenza per cui la nozione generale viene ad acquisire un significato operativo residuale laddove quella speciale viene applicata per prima e soltanto laddove essa presenti delle lacune allora esse stesse verranno colmate mediante il ricorso alla notio generalis433. Certamente la pretesa di chiamare Codice un tale testo normativo mostra la propria fallacia già all’esame dell’impianto strutturale dello stesso considerato in alcune delle sue fondamenta, quale appunto il profilo definitorio. Si è ben lontani dalla lucidità e dalla coerenza delle nozioni che si riscontrano nel Codice civile e con le quali, dopo molti anni, il giurista è ancora chiamato a misurarsi, quali, ad esempio, la definizione di contratto o, ancora, quella di proprietario. Se la capacità definitoria contemporanea mostra carenze e comporta confusione, sia piuttosto ben accolta la scelta dei Compilatori del 1942 di non dettare una nozione di obbligazione! E’ da notare come, in epoca anteriore all’entrata in vigore del Codice del consumo, fosse del tutto estranea al diritto interno una nozione codificata di consumatore, permettendo così l’emergere di nozioni elaborate e dettate ad hoc434, aventi quindi carattere assolutamente settoriale, che fossero idonee ad indicare l’ambito applicativo di un determinato intervento normativo, le quali già hanno costituito un Si pensi alla definizione di “consumatore di pacchetti turistici” di cui all’art. 83 primo comma lett. c); alla nozione di “acquirente” nell’ambito della normativa dei contratti relativi all’acquisizione di un diritto di godimento ripartito di beni immobili, di cui all’art. 69 lett. b) cod. cons. 433 P. RESCIGNO, Situazioni e status nell’esperienza del diritto, in Riv. dir. civ., 1973, I, p. 213; nonché G. COLACINO, La nozione di consumatore: questioni ermeneutiche e riflessi applicativi (prima parte), in Studium iuris, 2009, 4, p. 377; ID, La nozione di consumatore: questioni ermeneutiche e riflessi applicativi (seconda parte), in ivi, 2009, 5, p. 517; F. RINALDI, Allargamento della nozione di consumatore: una questione di uguaglianza?, in Nuova giur. civ. comm., 2009, 1, 2, p. 39; F. FERRARI, Ancora sulla nozione di consumatore, in Giud. Pace, 2008, 4, p. 302 434 G. ALPA, Gli usi del termine “consumatore” nella giurisprudenza, in Nuova giur. civ. comm., 1999, II, p. 4, osserva che “l’espressione consumatore non è sempre impiegata per individuare il soggetto destinatario della disposizione da interpretare e applicare, né configura necessariamente il titolare dell’interesse alla cui protezione è finalizzata la disposizione, ma è impiegata anche per raggiungere altri scopi, sicché l’uso del termine consumatore è mediato o interinale per raggiungere uno scopo ulteriore. 432 134 passo avanti in materia, andando ad affiancare le previgenti nozioni sorte esclusivamente in ambito scientifico. E’altresì da riflettere riguardo al modo in cui la figura del consumatore sia stata per lungo tempo del tutto estranea all’impianto codicistico del 1942 ma anche alla Costituzione, pur essendovi in quest’ultima riferimenti formali alla disciplina dei rapporti economici (Cost., Titolo III, artt. 35-47), con specifiche indicazioni aventi riguardo, ad esempio, alla tutela del risparmio ed all’esercizio del credito435. Contrariamente alla sostanziale assenza di una nozione di consumatore che si è per molti anni registrata nel panorama del diritto interno, si assiste, nel contesto contemporaneo, al proliferare non soltanto di regole ma anche di nozioni alle quali le regole siano da applicare, a tal punto da parlarsi, nei luoghi della dottrina, a ragione, perfino di “abuso della nozione di consumatore”436. Volendo ripercorrere i tratti salienti della definizione di cui all’art. 3 cod. cons., emerge subito come essa sia incardinata su due essenziali nuclei concettuali, che sono da riscontrare in primo luogo nella riconduzione di tale status esclusivamente alla persona fisica, nonché, in secondo luogo, nella severa delimitazione dell’attività svolta dal soggetto destinatario della tutela, il quale non deve venire in considerazione quale “consumatore nell’esercizio di un’attività professionale”, sintagma che per l’ordinamento giuridico costituisce attualmente un ossimoro se si considera che l’attività di consumo esercitata nell’esercizio della professione esula dall’applicabilità della normativa di garanzia sia interna sia comunitaria437. Lo G. CHINE’, Il consumatore, in op. cit., p. 437, osserva che “il termine consumatore, nel suo significato più moderno, ricorre invece nelle costituzioni più recenti di Stati dell’area occidentale che hanno subito l’influenza culturale delle politiche del diritto ispirate dalla c.d. consumer protection. Emblematico in tal senso è il caso della Spagna, la cui nuova Costituzione del 1978 contiene una norma espressamente dedicata alla tutela dei consumatori”. Prosegue ricordando inoltre che “altri Paesi del vecchio continente, come la Gran Bretagna, la Francia e la Germania, già dai primi anni settanta hanno inaugurato specifiche discipline che approntavano modelli sostanziali e processuali di tutela per il consumatore”. A livello comunitario, si rinvengono espliciti riferimenti alla figura del consumatore già nel Trattato istitutivo della Comunità economica europea. Il Trattato di Maastricht sull’Unione Europea si prefigge poi lo scopo di annoverare all’interno della politica comunitaria anche il tema della protezione dei consumatori, obiettivo che continua a trovare seguito nel Trattato di Amsterdam nonché nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, meglio nota come Carta di Nizza, del 7 dicembre 2000. 436 Sull’argomento cfr. G. CHINE’, Uso ed abuso della nozione di consumatore nel codice del consumo, in Corr. Merito, 2006, 4, p. 431 ss. 437 Osserva G. CHINE’, cit., in op. cit., p. 433, che “può essere qualificato consumatore soltanto chi compie un atto che soddisfi bisogni personali o familiari, non certo il professionista che, sebbene agendo al di fuori della propria specifica attività professionale, si approvvigioni di beni o servizi strumentali o comunque inerenti all’esercizio della professione. E ciò perché il consumo professionale, per il legislatore comunitario e nazionale, è un “non consumo”. Ne discende che non può essere riconosciuto lo status di consumatore [ad esempio] alla persona fisica che acquisti beni per esercitare in futuro un’attività professionale”. 435 135 stesso Codice del consumo non si ripropone tuttavia di fissare nell’incipit una nozione valevole all’interno dell’intero testo normativo, quanto piuttosto di dettare una definizione di carattere generale e residuale, da coordinarsi, a sua volta, con le nozioni specifiche presenti nei vari luoghi della stessa normazione. Si pensi infatti all’art. 5 primo comma cod. cons. che individua una accezione di consumatore, ai fini della disciplina, contenuta nello stesso Titolo II, Parte II, del Codice, con riguardo alla materia degli obblighi di informazione. Qui si registra un ampliamento della nozione di consumatore se la si paragona con quella di cui all’art. 3 comma primo lett. a), con il contestuale emergere di un significativo profilo di innovazione, che è da cogliere nel tratto per cui, venendo qui in considerazione in termini di persona fisica cui sono dirette le informazioni commerciali, nulla vieta che, ai predetti fini, possa essere considerato consumatore anche il professionista, o, per meglio dire, colui il quale agisce nell’ambito della propria attività professionale. Se si imposta il discorso in termini di ricerca della ratio, potrebbe sembrare, ad un primo approccio all’intero precipitato normativo, che esso rechi in sé segni di contraddizione affatto trascurabili. Volendo però condurre un approccio alla materia con lo sguardo di un giurista consapevole e benevolo, allora si potrà osservare come in realtà, entrando nello specifico della materia degli obblighi di informazione, ed esclusivamente in essa, le regole che la disciplinano siano idonee ad essere applicate anche ad un consumatore il cui consumo ricada nello spettro di esercizio della propria attività professionale438. Ma la definizione di consumatore dalla portata semantica più ampia, tra le molteplici contenute all’interno del Codice del consumo, è senza dubbio quella di cui all’art. 18, dettata in materia di pubblicità e di comunicazioni commerciali, con la quale vengono superati entrambi i limiti, quello soggettivo e quello oggettivo, fissati nella nozione di cui all’art. 3. Nel costituire un complemento alla disciplina dell’informazione ed a quella dell’educazione del consumatore, quella della pubblicità, se per un verso permette, sul piano pratico, al consumatore di conoscere le varie offerte commerciali, per altro verso si va ad inserire all’interno di una politica di marketing, svolgendo la funzione di orientamento dei consumi, influenzando le scelte degli stessi consumatori439. Le norme del Codice del U. COREA, Ancora in tema di “consumatore” e contratti a scopi professionali: un intervento chiarificatore, in Giust. civ., 2000, I, 2, p. 2117 439 F. RINALDI, L’allargamento della nozione di consumatore: una questione di eguaglianza?, in Nuova giur. civ. comm., 2009, I, p. 48, osserva che “nell’ambito della ricerca della giusta definizione 438 136 consumo che annoverano all’interno della categoria del consumatore qualunque soggetto, indipendentemente dall’attività svolta e dall’essere persona fisica o persona giuridica, si applicano ad ogni forma di comunicazione commerciale, senza alcuna limitazione per quel che attiene alle modalità attraverso cui essa venga effettuata440. Quel che è interessante notare, ai fini della presente trattazione, è senza dubbio il profilo soggettivo di cui tiene conto l’art. 18, in una prospettiva di comparazione con quello al quale si ispira il tenore del disposto di cui all’art. 3. Perciò, anche i soggetti che, secondo il dettato dell’art. 3 sono da ascrivere alla categoria dei professionisti, possono essere reputati consumatori, ai sensi e per gli effetti della nozione di cui all’art. 18 e delle norme alle quali essa si va ad applicare, che sono le regole poste a presidio della pubblicità ingannevole. Con la conseguenza per cui qui la nozione di consumatore giunge alla massima estensione della sua portata semantica e, al contempo, le regole che hanno ad oggetto la pubblicità ingannevole, si applicano, in sostanza, anche ai rapporti che intercorrono tra professionisti. La necessaria compresenza, all’interno del “testo sui consumatori”, di tre nozioni, piuttosto ampie del consumatore, è dovuta alle esigenze che nello specifico sono poste dalla materia della pubblicità, nonché al loro carattere marcatamente pubblicistico, rispetto alla nozione dettata in via residuale di cui all’art. 3, la cui importanza si rintraccia nel tratto per cui la nozione combinata di cui agli artt. 5 e 18, non permettendo di escludere dal predetto novero i professionisti che agiscano per scopi prettamente professionali, risulterebbe troppo ampia ed in contrasto con le finalità generali della normativa del consumo. Per contro, in materia pubblicitaria, non avrebbero potuto trovare applicazione le nozioni di cui agli artt. 3 e 5 in quanto connotate da una portata troppo ristretta. Il bisogno di assicurare una solida tutela contro le conseguenze negative che possono derivare dalla pubblicità ingannevole sussiste non soltanto nei confronti delle persone fisiche che agiscano per soddisfare esigenze che sono estranee alla loro attività professionale, ma anche nei confronti di tutti i soggetti, siano essi persone fisiche o persone giuridiche, che esercitano un’attività professionale, in quanto tutti di consumatore, assume particolare rilevanza la natura strumentale o meno dell’atto posto in essere, in relazione, cioè, alla finalità di consumo”. 440 Per quanto attiene all’individuazione dell’ambito oggettivo di operatività della normativa a tutela del consumatore contenuta nel Codice del Consumo, la Suprema Corte, con la sentenza Cass. civ., sez. III, 20 marzo 2010, n. 6802, in Dir. &Giust., 2010, p. 201, ha recentemente chiarito che tale normativa di protezione del consumatore opera a prescindere dal tipo di contratto al quale le parti intendono dare vita; pertanto, essa trova applicazione sia in caso di contratti predisposti mediante moduli o formulari, sia per il singolo contratto concluso per uno specifico affare. 137 possono subire pregiudizio da messaggi pubblicitari idonei a trarre in inganno. Qui il margine di tutela conosce pertanto un profondo ampliamento, se si considera che il legislatore ha assunto su di sé il compito di dare protezione non soltanto al singolo soggetto che sia parte di un rapporto contrattuale, ma a tutti i destinatari di tali messaggi, coerentemente con la vocazione indubbiamente pubblicistica della disciplina della pubblicità, che, essendo fisiologicamente rivolta a tutelare prevalentemente interessi di portata generale rispetto a quelli di cui si renda titolare il singolo, non può limitarsi alla sola tutela delle persone fisiche che agiscono per scopi estranei all’attività professionale. Viene perciò accordata protezione non soltanto al soggetto che acquisti in concreto il prodotto o il servizio, ma anche a tutti coloro i quali possano essere raggiunti dal messaggio pubblicitario e coloro ai quali il messaggio stesso sia rivolto441. Anche questi ultimi sono soggetti deboli, a prescindere dall’effettivo compimento dell’atto di acquisto442. Per tutte le suesposte ragioni, la nozione di consumatore fornita alla lettera dell’art. 18 cod. cons., nell’abbracciare il consolidato orientamento in materia pubblicitaria, è stata scelta, nella sua formulazione, in quanto idonea ed adeguata a perseguire le finalità di protezione complessivamente considerate all’interno dell’intero testo normativo, risultando, al contempo, suscettibile di adattarsi opportunamente alle norme della cui operatività si definisce l’ambito proprio tramite la stessa443. La complessità della materia del consumatore, nel rendere necessaria una pluralità di nozioni, giunge così con l’assumere anch’essa una predilezione per i termini al plurale, escludendo l’univocità della definizione di consumatore, a vantaggio piuttosto di una impostazione aperta verso l’idea di una categoria di consumatori che assume quindi la sua vocazione al plurale444. Nell’alveo della tendenza fisiologica e peculiare del diritto alle sistemazioni concettuali, la posizione del consumatore viene in considerazione quale status, al quale peraltro si contrappongono quello di produttore nonché di imprenditore445. Lo 441 L. DELOGU, Leggendo il Codice del consumo alla ricerca della nozione di consumatore, in Contr. impr. Eur., 2006, 1, p. 87 442 F. RICCI, La vendita dei beni di consumo (artt. 128-135 del d. lg. 6 settembre 2005 n. 206). La nozione di consumatore, in Nuove leggi civ. comm., 2006, 2, p. 351 443 G. ALPA, Ancora sulla definizione di consumatore, in Contratti, 2001, p. 206 444 A. BARCA, Brevi note in ordine alla nozione di consumatore, in Nuova giur. civ. comm., 2003, II, p. 367 445 A tale proposito, conclude le sue riflessioni G. CHINE’, Il consumatore, in LIPARI N. (a cura di), Tratt. dir. priv. eur., Il diritto privato europeo nel sistema delle fonti. I soggetti, I, Padova, 2003, p. 474, esprimendosi in tali termini: “Seppure trattasi di status in funzione sociale o protettiva, pertanto diverso dagli status tradizionali c.d. legittimanti o privilegianti delle epoche storiche più remote, esso rappresenta pur sempre la prova lampante di una chiara inversione di tendenza che la 138 status di consumatore si ambienta necessariamente in una dimensione contraddistinta dalla sua portata relazionale e dinamica446: tale posizione giuridica soggettiva interviene infatti ad assicurare protezione al consumatore in quanto soggetto che svolge un’attività giuridica ed economica ben precisa nel teatro del mercato447. La figura giuridica della “parte contraente” sta conoscendo, ai giorni nostri, una profonda innovazione nel modo in cui viene trattata dalle norme di legge. Ad una nozione di carattere unitario, e quasi dogmatico, di “parte contraente”, che è propria della tradizionale impostazione codicistica, si è andata sostituendo, complice il generoso affiorare delle leggi di settore, una concezione, in aperto contrasto con quella alla quale il giurista è stato per molto tempo avvezzo, fondata sull’idea secondo cui il differente status giuridico assunto dalle parti, che sono protagoniste dell’operazione negoziale che trova normazione, vale quale elemento discretivo delle regole da applicare alla fattispecie contrattuale. Lo status di consumatore è, per così dire, una “giovane creazione” del “laboratorio normativo comunitario”. Esso risale a quella novella del 1996 la quale, nel dare attuazione alla direttiva 93/17/CEE, ha segnato un momento assai significativo per la materia contrattuale contenuta nel Codice civile, mettendo in luce “un punto di non ritorno” col mostrare “gli albori del declino” dell’idea della assoluta centralità del Libro IV c.c. sul terreno della disciplina delle negoziazioni, nonché aprendo la strada verso un cammino di allontanamento da quella sensibilità del giurista verso l’impostazione categorica incardinata sull’idea di una distinzione tra i vari contratti sulla base di dottrina di questo secolo aveva già segnalato. Dopo l’abbandono avvenuto nel secolo scorso in nome della libertà contrattuale, lo strumento dello status riemerge nell’intervento comunitario ed assurge a mezzo per riequilibrare ed unificare il trattamento riservato a categorie di persone con riferimento a determinati atti e rapporti”. 446 F. PROSPERI, Rilevanza della persona e nozione di status, in Rass. dir. civ., 1997, p. 810; P. RESCIGNO, Situazioni e status nell’esperienza del diritto, in Riv. dir. civ., 1973, I, p. 213. Nonché R. CONTI, Lo status di consumatore alla ricerca di un foro esclusivo e di una stabile identificazione, in Corr. Giur., 2001, p. 524 ss. 447 L. AVITABILE, La funzione del mercato nel diritto. Economia e giustizia in N. Luhmann, Torino, 1999, p. 33, nel condurre una lucida ed argomentata analisi del rapporto tra mercato e diritto, osserva che “l’equazione mercato-diritto, indica una pretesa confinabile nella normativizzazione, questo significa che un’aspettativa normativizzata è resa più forte rispetto ad un’aspettativa cognitiva; l’esito negativo sarebbe costituito dalla circostanza che, divenendo il mercato sempre più forte attraverso la circolazione monetaria, è possibile che pretenda la normativizzazione di aspettative che non condividono nulla con il concetto di giuridicità fenomenologica, non riducibile alla sua specificità funzionale”, prospettando, in modo lungimirante, un panorama nel quale è possibile identificare la condizione in cui versa attualmente il fenomeno giuridico. 139 requisiti meramente oggettivi (il tipo di effetti che il negozio tende a realizzare) piuttosto che soggettivi (la qualità delle parti contraenti)448. Se tuttavia lo status, per la stessa definizione, consiste in una condizione, che può venire in considerazione sotto un profilo pubblicistico (i.e. cittadinanza) o privatistico (i.e. socio di una società di capitali), avente connotati ben definiti, per il consumatore si pongono problemi in quanto la nozione di consumatore di cui all’art. 3 cod. cons. su richiamata, per la quale peraltro è discussa una valenza di carattere generale, mostra fallaci limiti laddove ne rimangono escluse tanto le persone giuridiche e i cosiddetti enti di fatto quanto tutti coloro che effettuino il consumo nell’ambito di un’attività professionale. Ebbene, ad opinione di chi scrive, risulta piuttosto amena l’idea di considerare la definizione di cui al predetto art. 3 cod. cons. la nozione di uno status, a fronte di tali restrizioni, se, come è vero, lo status vale ad individuare una categoria generale di soggetti. Si potrebbe piuttosto trattare il contenuto della norma qui richiamata alla stregua di un “frammento di nozione di status del consumatore”, operativa esclusivamente in tutti quei luoghi del Codice del consumo in cui peraltro non sia dettata una nozione di consumatore ad hoc (come accade per la vendita di pacchetti turistici). Lo status di consumatore si potrebbe piuttosto ravvisare nella somma di tutte le nozioni di consumatore che il nostro ordinamento attualmente conosce, traendo da ciascuna di esse gli elementi comuni, e ammettendo che si possa trattare di una posizione giuridica soggettiva altamente articolata al suo interno449. Se, nell’ambito della normativa del consumo, il termine consumatore viene utilizzato in funzione di sinonimo del sintagma “contraente debole”, ciò non può rimanere invariato una volta che si affronta la problematica della parte debole del contratto all’interno di una cornice di carattere generale. In quest’ultima prospettiva, il “contraente debole” si connota infatti per una triplice accezione che coinvolge anche i Principi Unidroit. Ad un esame accurato ed ampio della intera normativa sui contratti attualmente vigente, emergerà come la “parte debole” si sovrapponga all’idea di “parte svantaggiata” anche al di fuori delle tipiche situazioni di squilibrio successivo e sopravvenuto o piuttosto originario all’interno della dinamica negoziale. I Principi Unidroit, dopo aver evidenziato il peculiare F. MACARIO, Il commento – Dalla tutela del contraente debole alla nozione giuridica di consumatore nella giurisprudenza comune, europea e costituzionale, in Obbl. contr., 2006, 11, p. 672 449 G. FRANCHI, Considerazioni in merito alla nozione di consumatore, in Giud. Pace, 2007, 4, p. 328 448 140 ruolo svolto dalla gross disparity e dalla hardship clause, tengono in considerazione tutte quelle circostanze in cui una parte sia assoggettata ad un contegno non ossequioso del principio di buona fede da parte dell’altro contraente sia nel corso delle trattative, sia in sede di esecuzione del rapporto o anche a fronte dell’attività di divulgazione di informazioni riservate, esaurendo il novero, non chiuso in senso tassativo, delle possibilità, con la previsione di una clausola generale che si fa carico di tutti quegli “eventi che alterano l’equilibrio del contratto”. Per cui la relazione intercorrente tra il concetto di “contraente debole” e quello di “consumatore” può essere ricostruita in termini di genus a species. Analogamente alla introduzione del parametro valutativo dell’uomo medio all’interno della sistematica codicistica, il Codice del consumo prevede, seppur senza fissarne la nozione, la figura del “consumatore medio”, in materia di pratiche commerciali scorrette, alla lettera dell’art. 20 secondo comma, nel quale si afferma che “una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori”. La scelta di non dettare alcuna nozione di consumatore medio va collocata nel novero delle lacune dalle quali accade che siano affette le direttive comunitarie, con riguardo alle quali l’atteggiamento del legislatore interno, in sede di recepimento, consiste nel rifiutare di farsi carico di colmare il vacuum, soprattutto quando si rischia di addentrarsi in terreni spinosi in quanto si ha a che fare con fenomeni che, per la specifica portata semantica di cui variamente si connotano in sede operativa, risultano difficilmente costringibili all’interno di una definizione. Il consumatore non viene contemplato, all’interno del Codice del consumo, esclusivamente per così dire in modo atomistico, il che significa quale soggetto individualmente considerato, ma anche in quanto potenziale membro delle associazioni dei consumatori450. 5. La posizione del consumatore necessita di idonei strumenti di tutela, alla cui problematica non si sono mostrate insensibili né la “legislazione comunitaria” né le 450 G. GIUSTI, Tutela del consumatore, in CENDON P. (a cura di), Il diritto privato nella giurisprudenza, Compravendita e figure collegate, VIII, Torino, 2007, p. 27 141 Istituzioni nazionali451. Occorre primariamente operare una distinzione tra la tutela individuale e le forme di tutela collettiva, dando conto delle prospettive di innovazione che stanno coinvolgendo, nella presente stagione, in particolar modo quest’ultima, soprattutto per ciò che concerne l’utilizzo del nuovo strumento di derivazione americana, la class action, attraverso cui si possano assicurare forme collettive di garanzia risarcitoria ai consumatori. Bisogna poi osservare che la tutela del consumatore si svolge a vari livelli, a partire dalla sede contrattuale, intendendo, come tale, il momento stesso in cui il contratto venga concluso. Partendo dalla tutela legata strettamente alla fase di stipulazione del contratto, si osserverà come la disciplina delle clausole vessatorie, dapprima introdotta all’interno del Libro IV del Codice civile attraverso un intervento legislativo straordinario452 ed in seguito confluita nel corpo del Codice del consumo 453, sia volta a garantire la posizione del consumatore nei confronti dello squilibrato potere di cui dispone l’imprenditore, mediante un meccanismo che sanziona tutte quelle “clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”, secondo il tenore del disposto di cui all’art. 33 cod. cons.454 Ci si trova di fronte ad una norma per così dire “in bianco”, dal momento che essa, non contiene alcuna previsione o 451 V. ZENO-ZENCOVICH, v. Consumatore (tutela del), Agg., in Enciclopedia giuridica. Istituto dell’enciclopedia italiana fondato da G. Treccani, Roma, 2000, p. 2 452 Si tratta dell’art. 25 della legge 6 febbraio 1996 n. 52 con il quale sono stati introdotti nel Libro IV Cod. civ. gli artt. dal 1469-bis al 1469-sexies. Sul punto si vedano: G. ALPA, Il diritto dei consumatori, Roma-Bari, 2003; G. ALPA – S. PATTI (a cura di), Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, Milano, 2003; G. ALPA – L. ROSSI CARLEO (a cura di), Codice del consumo, Napoli, 2005; A. BARENGHI (a cura di), La nuova disciplina delle clausole vessatorie nel codice civile, Napoli, 1996; BIN, Clausole vessatorie: una svolta storica, in Contr. Impr. Eur., 1996; C. CECERE, art. 1469-bis, comma 4, in A. BARENGHI (a cura di), La nuova disciplina delle clausole vessatorie nel codice civile, Napoli, 1996; A. CESARO, Clausole vessatorie e contratto del consumatore, Padova, 1996; G. CIAN, Il nuovo capo XIV-bis (titolo II, libro IV) del codice civile, sulla disciplina dei contratti con i consumatori, in Studium iuris, 1996; P. SIRENA, L’integrazione del diritto dei consumatori nella disciplina generale del contratto, in Riv. Dir. civ., 2004, 2, p. 787. 453 G. VETTORI (a cura di), Codice del consumo, Padova, 2007, passim. 454 E. BATTELLI, Consumatore: nozione, clausole abusive e foro del consumatore, in Corr. Merito, 2006, p. 5; R. BOCCHINI, La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, p. 174; M. CERESOLA, Clausole vessatorie e atto pubblico, in Nuova giur. Civ., 2005, I, p. 602; E. DALMOTTO, Le clausole vessatorie ed il contratto stipulato davanti al notaio, in Nuova Giur. Civ., 2001, I, p. 386; C. DORE jr., Appunti in tema di condizioni generali di contratto e clausole vessatorie, in Riv. Giur. Sarda, 2004, p. 30; A. GENOVESE, Sulla specifica approvazione per iscritto delle clausole vessatorie, in Obbl. contr., 2005, p. 210; M. IAIONE, I contratti del consumatore – La trattativa collettiva delle clausole vessatorie, in Contr. Impr., 2004, p. 699; A. MANIACI, Atto notarile e clausole vessatorie, in Contratti, 2005, p. 351; A. MANTELERO, Il notaio, il consumatore e la clausola vessatoria, in Contr. Impr., 2002, p. 1221; M. PERRECA, Specifica approvazione delle clausole vessatorie e formalismo notarile, in Riv. Giur. Sarda, 2004, p. 681; G. SICCHIERO, Il riconoscimento di aver trattato specificamente una clausola vessatoria, in Contr. Impr., 2003, p. 1; L. VALLE, L’inefficacia delle clausole vessatorie e il codice del consumo, in Studium Iuris, 2006, p. 134; L. VALLE, L’inefficacia delle clausole vessatorie e la nullità a tutela della parte debole del contratto, in Contr. Impr., 2005, p. 149 142 descrizione dettagliata delle clausole vessatorie, limitandosi ad indicarne gli effetti. Tuttavia, con la formulazione di cui alla lettera del secondo comma dell’articolo qui in esame, lo stesso legislatore prevede una serie di ipotesi di clausole vessatorie la cui vessatorietà viene stabilita “ fino a prova contraria”, in forza della loro intrinseca idoneità alla pericolosità455. Si pensi, ad esempio, a tutte quelle pattuizioni che contengono limitazioni all’obbligo di adempimento del contratto o che, nel derogare al principio di immodificabilità del contratto o dell’irretrattabilità del consenso o che, ancora, nel limitare le modalità di difesa del consumatore o nello statuire forme di autotutela del professionista, sostanzialmente importano un tale svantaggio a carico del consumatore ed una tale disparità tra questi ed il professionista che esulano dal fisiologico e tollerabile squilibrio tra le parti contraenti, che è proprio di questa configurazione negoziale456. Accanto alle predette ipotesi di vessatorietà “fino a prova contraria”, la formulazione di cui all’art. 36 cod. cons. rintraccia le clausole per così dire a vessatorietà assoluta, che consistono in tutte quelle pattuizioni che, benché abbiano formato oggetto di trattativa tra consumatore e professionista, perseguono l’effetto (o hanno per oggetto) di escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, derivante da un fatto o da un’omissione del professionista; escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista; prevedere l’adesione del consumatore come estesa a clausole che non ha avuto, di fatto, la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto457. Nel novero delle fattispecie appena richiamate, a fronte dell’alta potenzialità a concretizzare l’effetto della esclusione della responsabilità del professionista o ad estendere il consenso del contraente debole a clausole non conosciute, lo stesso legislatore ha previsto una forma di tutela fondata sulla inibizione della operatività del meccanismo impeditivo della vessatorietà, che, per regola generale, si sostanzia nel requisito della trattativa Il problema della legittimazione ad agire coinvolge l’indagine intorno alla qualificazione soggettiva della associazione di categoria che esperisce l’azione collettiva risarcitoria, come è evidenziato da S. MEUCCI, Ambito applicativo, situazioni giuridiche tutelate e legittimazione ad agire nell’azione collettiva risarcitoria (art. 140-bis cod. cons.), in Riv. dir. priv., 2008, 4, p. 605 455 I profili dell’azione collettiva risarcitoria sono evidenziati, nella sede delle controversie di massa, da A. GIUSSANI, Controversie seriali e azione collettiva risarcitoria, in Riv. dir. proc., 2008, 2, p. 465 457 Alcune considerazioni preliminari intorno ad un istituto di netta matrice americana sono fornite da P.F. GIUGGIOLI, L’azione collettiva risarcitoria: una prima lettura, in Corr. Giur., 2008, 3, p. 430 456 143 individuale, la cui possibilità operativa è pertanto significativamente esclusa nello spazio di applicabilità del tenore dell’art. 36 cod. cons. Ad un esame accurato della materia qui in commento, emerge come la preoccupazione, manifestatasi a livello comunitario, per una ampia ed efficace garanzia della posizione della parte debole nelle dinamiche negoziali che afferiscono alla vicenda del consumo, nell’assurgere a leitmotiv dell’intero corpo di regole contenute nel Codice del consumo, si possa cogliere massimamente proprio nella perizia con cui il legislatore si è preoccupato di delineare, alla lettera dell’art. 33 secondo comma cod. cons., il novero tipizzato delle clausole che “si presumono vessatorie fino a prova contraria”458. Nell’intento di fornire un elenco che, lungi dalla tassatività, si prefigge piuttosto di perseguire un effetto descrittivo ed orientativo, e nella generosa previsione di una molteplicità di effetti vessatori che le pattuizioni tra consumatore e produttore possono in concreto realizzare, si possono suddividere le predette fattispecie in due grandi gruppi di norme, il cui spazio di operatività si colloca nella stessa esclusione del contesto applicativo dell’art. 36 cod. cons.: nel primo gruppo, si annoverano tutte quelle clausole riduttive della posizione contrattuale del consumatore; nel secondo gruppo, invece, le pattuizioni che rafforzano, in modo abnorme, la posizione del professionista459. Appartengono al primo gruppo tutte quelle pattuizioni che siano volte ad imporre limitazioni alle facoltà e ai diritti del consumatore. Si pensi alla clausola che esclude o limita l’opponibilità da parte del consumatore della compensazione di un debito nei confronti del professionista con un credito vantato nei confronti di quest’ultimo, o la clausola che limita o esclude l’opponibilità dell’eccezione di inadempimento da parte del consumatore o, ancora, la pattuizione che pone a carico del consumatore decadenze, limitazioni della facoltà di opporre eccezioni, deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria, limitazioni all’allegazione di prove, inversioni o modificazioni dell’onere della prova, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi460. Ricadono nel secondo gruppo le clausole che perseguono il sostanziale effetto di porre, a favore del professionista, modalità e condizioni potestative, quali quelle che prevedono un impegno definitivo del consumatore mentre l’esecuzione della prestazione del professionista è subordinata ad una T. MANCINI, L’abusività della clausola compromissoria per arbitrato irrituale nei contratti con il consumatore, in Banca borsa tit. cred., 2008, 1-2, p. 111 459 G. FINOCCHIARO, Class action: una chance per i consumatori, in Guida al dir., 2008, 5, p. 21 460 R. CAPPONI, Modelli europei di tutela collettiva nel processo civile: esperienza tedesca e italiana a confronto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2007, 4, p. 1225 458 144 condizione il cui adempimento dipende unicamente dalla sua volontà, o quella che permette al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto, ovvero le caratteristiche del prodotto o del servizio da fornire, senza un giustificato motivo indicato nel contratto stesso, o quella che statuisce che il prezzo dei beni o dei servizi sia determinato al momento della consegna o della prestazione, o che abiliti il professionista ad aumentare il prezzo del bene o del servizio senza che il consumatore possa recedere se il prezzo finale è eccessivamente elevato rispetto a quello originariamente convenuto, nonché la clausola che riserva al professionista il potere di accertare la conformità del bene venduto o del servizio prestato a quello previsto nel contratto o che gli conferisce il diritto esclusivo di interpretare una clausola qualsiasi del contratto461. Nella prassi contrattuale accade sovente di imbattersi in singole pattuizioni che, nel formare il contenuto del contratto, sono volte a ridurre la responsabilità del professionista. Il legislatore ha mostrato la sua consapevolezza anche riguardo a queste fattispecie, facendo ricadere nel terreno della vessatorietà anche tutte quelle clausole che siano volte a limitare la responsabilità del professionista rispetto alle obbligazioni derivanti dai contratti stipulati in suo nome dai mandatari o che siano idonee a subordinare l’adempimento delle suddette obbligazioni al rispetto di particolari formalità o, ancora, che riconoscano al solo professionista, e non anche al consumatore, la facoltà di recedere dal contratto, e che permettano al professionista di trattenere, anche solo in parte, la somma versata dal consumatore a titolo di corrispettivo per prestazioni non ancora adempiute, quando sia il professionista a recedere dal contratto, o che abilitino il professionista a recedere da contratti a tempo indeterminato senza un ragionevole preavviso, eccetto quando si prospetti una giusta causa, o che permettano al professionista di sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti dal contratto, anche nel caso di preventivo consenso del consumatore, qualora risulti diminuita la tutela dei diritti di quest’ultimo462. La vessatorietà delle clausole si pone, quindi, come uno degli strumenti di tutela della posizione della cosiddetta weak party, il consumatore463. Il meccanismo di accertamento della vessatorietà è ampiamente descritto alla lettera dell’art. 34 cod. 461 L. DELLI PRISCOLI, La tutela del consumatore fra accertamento della non professionalità del suo agire, tutela della concorrenza e affidamento della controparte, in Contr. impr., 2007, 6, p. 1533 462 A. MARRA, Il caso “Apocalypto”. Opera cinematografica e diritti riconosciuti al consumatore, in Giur. merito, 2007, 11, p. 3019 463 F. FERRARI, Contratti del consumatore e tutela del contraente debole, in Giud. Pace, 2007, 3, p. 211 145 cons., i cui primi due commi forniscono all’operatore del diritto cinque criteri strumentali per la valutazione del carattere abusivo di una clausola, che possono essere suddivisi in criteri positivi e criteri negativi, dal momento che alcuni di essi fondano il sindacato sulla vessatorietà o meno di una clausola su una valutazione che ricade sulla natura del bene o del servizio che forma oggetto della prestazione dedotta in contratto, sulle circostanze vigenti nel momento in cui lo stesso è stato concluso, nonché sul confronto con le altre clausole del contratto o di un altro contratto collegato o da cui esso dipende; altri criteri invece svincolano l’indagine sulla vessatorietà alla idoneità della clausola da qualsiasi valutazione attinente “alla determinazione dell’oggetto del contratto e all’adeguatezza del corrispettivo dei beni o dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile”464. Le clausole che risultino affette dalla vessatorietà sono soggette alla sanzione della nullità di protezione, in ossequio al disposto di cui all’art. 36 cod. cons., argomento che occupa ampiamente il prosieguo del presente lavoro. In questa sede, risulta significativo condurre qualche riflessione con riguardo alla operatività della nullità di protezione quale strumento di tutela individuale a favore del consumatore, accanto al quale si colloca la tutela inibitoria collettiva di cui all’art. 37 cod. cons.465, che si svolge secondo la procedura di cui all’art. 140 cod. cons. Ai sensi del dettato normativo contenuto nel primo comma della norma di cui all’art. 37, “le associazioni rappresentative dei consumatori”, nonché “le associazioni dei professionisti e le camere di commercio, industria e artigianato e agricoltura, possono convenire in giudizio il professionista o l’associazione di professionisti che utilizzano, o che raccomandano l’utilizzo di condizioni generali di contratto e richiedere al giudice competente che inibisca l’uso delle condizioni di cui sia accertata l’abusività” in ossequio a quanto previsto nello stesso Codice del 464 M. SCUFFI, Tutela antitrust del consumatore e azione di classe, in Dir. ind., 2009, 4, p. 341 Sull’argomento della tutela inibitoria collettiva cfr. L. ROSSI CARLEO, L’azione inibitoria collettiva: dalla norma sulle clausole abusive al nuovo Codice dei consumatori, in Eur. dir. priv., 2005, p. 847; G. GENOVESI, Brevi note sul problema (non risolto) della legittimazione all’azione inibitoria a tutela dei consumatori, in Corr. Merito, 2005, p. 885. Peraltro il Codice del consumo, al secondo comma dell’art. 37, prevede l’azione inibitoria collettiva cautelare, recependo così il contenuto del previgente art. 1469-sexies del c.c. Sul punto cfr. L. DE RENTIIS, La tutela inibitoria collettiva accordata alle associazioni rappresentative dei consumatori verso le condizioni generali di contratto connotate dal carattere della abusività, in Giur. It., 2003, p. 904; M. MONNINI, Brevi note in tema di azione inibitoria cautelare urgente ex art. 1469-sexies c.c. con riferimento a clausole riconosciute vessatorie in tema di contratti in materia di multiproprietà, in Foro tosc. – Toscana giur., 2003, p. 160 465 146 consumo466. Ci si trova di fronte alla netta individuazione di un numerus clausus di soggetti ai quali è consegnata la legittimazione attiva, i quali, in sostanza, come emerge dallo stesso dato testuale della norma, si riassumono nelle associazioni rappresentative dei consumatori, nelle associazioni dei professionisti e nelle Camere di Commercio. L’esercizio dell’azione inibitoria è pertanto affidato a soggetti collettivi, in ciò cogliendosi il dato che permette di distinguere tale forma di tutela da quella che si può ottenere mediante l’azione individuale. Nella formulazione della norma il cui contenuto è qui richiamato, vengono rintracciati espressamente i requisiti per l’esperimento dell’azione inibitoria, che si concretizzano nell’utilizzo, da parte dei soggetti legittimati passivi, di condizioni generali di contratto delle quali sia accertato il carattere abusivo. Si tratta di un accertamento che, in via generale, deve essere effettuato alla luce dei parametri di cui all’art. 34 cod. cons., che comportano che l’esame si svolga tenendo conto “della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione ed alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato da cui dipende”. La forma di tutela inibitoria, rispetto a quella individuale, permette di perseguire un effetto ulteriore, che consiste in un più alto grado di omogeneità e di diffusione del sindacato di vessatorietà, dal momento che la pronuncia con la quale si conclude il giudizio non soltanto esplica i suoi effetti nei confronti del professionista convenuto, ma va altresì ad inserirsi nel novero dei precedenti giurisprudenziali idonei a fungere da monito per tutti i professionisti che ricorrono, nelle loro contrattazioni, ad analoghi meccanismi di condizioni generali di contratto. Da ciò deriva che la pronuncia interviene a tutelare una molteplicità di consumatori, non suscettibili di identificazione individuale, i quali trarranno beneficio dagli effetti della declaratoria di vessatorietà e dal provvedimento inibitorio. La crescente attenzione, tanto a livello comunitario quanto nella sensibilità degli operatori del diritto interno, per la tutela della posizione del consumatore, che, dall’epoca del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea, in cui gli interessi del fenomeno del consumo erano tutelati soltanto in via indiretta, attraverso gli strumenti di garanzia del funzionamento della libera concorrenza, ai giorni nostri, ha determinato la venuta ad esistenza di una normazione di riferimento, è altresì responsabile di una maturata consapevolezza dell’importanza 466 C. TENELLA SILLANI, Pratiche commerciali sleali e tutela del consumatore, in Obbl. contr., 2009, 10, p. 775 147 di dare un impulso al fenomeno della rappresentanza dei consumatori attraverso il mezzo delle associazioni di consumatori. Di qui si è venuto delineando il problema della necessità di forme di tutela risarcitoria collettiva, la cosiddetta class action, in ossequio alla sua origine statunitense467, la cui disciplina confluisce oggi nella formulazione normativa di cui all’art. 140-bis cod. cons. L’ingresso, nel nostro ordinamento, dello strumento dell’azione risarcitoria collettiva costituisce una deroga al principio di diritto processuale, peraltro di rilevanza costituzionale (art. 24 Cost.), in forza del quale la titolarità del potere di esercitare l’azione giudiziaria è accordata soltanto ai soggetti che si affermino titolari del diritto che fanno valere, dal momento che il potere di adire le forme della tutela giurisdizionale dei diritti deriva dall’attribuzione, in capo ai singoli della esclusiva disponibilità degli stessi. Nella materia dei consumatori, gli stessi cardini del sistema processuale conoscono una significativa modifica dei loro connotati tradizionali, a fronte della cogente necessità di trovare idonei meccanismi di tutela di diritti che assumono, ora, una dimensione che trascende la sfera individuale del singolo, per confluire nella nozione di collettività. L’effetto sostanziale che si persegue con lo strumento dell’azione collettiva risarcitoria consiste nella simultanea tutela di un numero indeterminato di posizioni giuridiche soggettive individuali, accomunate dal rilievo per cui si tratta di situazioni che presentano gli stessi tratti d’identità468. Nel modello di tutela risarcitoria collettiva presente accolto nel Codice del consumo, l’azione può essere promossa dalle associazioni a ciò abilitate, al fine di richiedere la tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti, proprio attraverso la richiesta, rivolta all’organo giudicante, dell’accertamento circa la sussistenza del diritto al risarcimento del danno ed alla restituzione delle somme spettanti ai singoli consumatori o utenti facenti parte di rapporti giuridici ed economici che trovano la loro origine in contratti conclusi mediante la prassi dei moduli o formulari, ovvero Sull’argomento si veda A. GIUSSANI, Un libro sulla storia della “class action”, in Riv. crit. dir. priv., 1989, p. 171 468 Una suggestiva ricostruzione dell’argomento degli interessi individuali e degli interessi collettivi è offerta da A. ROSS, Diritto e giustizia, Torino, 2001, p. 341-343, in cui egli osserva che “gli interessi sono sperimentati dalle persone – noi non conosciamo nessun altro centro di esperienza – e in tal senso sono individuali”; “rilevare il fatto della solidarietà, cioè indicare in quale misura gli interessi umani siano reciprocamente connessi, è un compito teorico. Parlare di interessi comuni o di interessi della comunità è qualcosa di più; non è soltanto una asserzione relativa alla connessione fattuale degli interessi, ma anche un mezzo di persuasione perché esprime un atteggiamento di un sentimento comune che fa appello allo stesso sentimento di altre persone”. Procede poi, a p. 344, nel considerare che “qualunque tentativo di comporre un catalogo di interessi individuali e sociali in conflitto e indipendenti è destinato all’insuccesso. Si tratta di due aspetti dello stesso fenomeno, l’aspetto particolare e quello generale”. 467 148 derivanti da illeciti extracontrattuali, da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali da cui derivi la lesione di diritti di una pluralità di consumatori o di utenti. Si tratta di uno strumento approntato per assicurare un adeguato grado di tutela per gli interessi di una collettività o di un gruppo, quale è la massa dei consumatori o degli utenti. Si può pertanto osservare come l’azione risarcitoria collettiva costituisca uno strumento attraverso cui viene accordata la garanzia ad un interesse che viene in considerazione in quanto “distinto da quelli facenti capo ai singoli individui lesi dal medesimo tipo di violazione e proprio, invece, di taluni enti esponenziali od organismi pubblici, ai quali il diritto d’azione è attribuito in via esclusiva”469, pur conservando ciascun consumatore la facoltà di intentare una azione autonoma, per la violazione del proprio diritto 470. L’espediente in parola, di cui all’art. 140-bis, non si può ritenere una sorta di “inutile doppione” del meccanismo di tutela inibitoria collettiva apprestato con la formulazione dell’art. 140 cod. cons., dal momento che quest’ultimo esprime una forma di garanzia per le associazioni consumeristiche e per l’interesse collettivo di cui esse sono portatrici, mentre con il primo ci si prefigge di assicurare tutela al diritto, di carattere risarcitorio o restitutorio, di cui sono titolari i singoli utenti o consumatori, i quali siano stati lesi dall’”illecito plurioffensivo del convenuto”471. Emerge pertanto come l’azione risarcitoria collettiva sia, al contempo, idonea a tutelare tanto l’interesse collettivo di cui è portatrice l’associazione che agisce quanto le posizioni giuridiche soggettive dei singoli appartenenti al gruppo i quali abbiano espressamente richiesto di poter essere ammessi a condividere gli esiti dell’iter giudiziario attivato con la stessa azione collettiva. Viene in considerazione il profilo della tutela simultanea per una molteplicità di situazioni individuali che tuttavia condividono, in via generale, i medesimi presupposti e caratteristiche. Al fine di indagare nel dettaglio quella che si può qui definire quale duplice identità giuridica del consumatore, il quale viene in considerazione sia in quanto singolo sia in quanto membro di una categoria, risulta opportuno compiere qualche notazione sul profilo del coordinamento tra l’iter collettivo risarcitorio e i giudizi individuali che vengano eventualmente attivati dal medesimo. Occorre osservare che l’azione di cui all’art. 140-bis si qualifica per essere un’azione di mero accertamento sui 469 Si esprime in tali termini A. BALENA, Aspetti processuali della tutela dei consumatori, in Riv. Dir. civ., 2006, p. 564. 470 A. CARRATTA, Dall’azione collettiva inibitoria a tutela di consumatori e utenti all’azione collettiva risarcitoria: i nodi irrisolti delle proposte di legge in discussione, in Giur. It., 2005, p. 662 471 A. BALENA, cit., p. 565. 149 generis, in quanto promossa da un ente rappresentativo e fondata sulla asserita illiceità della condotta “plurioffensiva” addebitata al convenuto, mentre l’iter processuale che venga eventualmente instaurato su autonoma iniziativa di ciascun singolo soggetto danneggiato dalla medesima predetta condotta “plurioffensiva” sarebbe volto ad ottenere l’accertamento del diritto al risarcimento del danno spettante a ciascuno di essi, unitamente alla condanna del professionista. Entrambe le azioni sembrano quindi condividere esclusivamente il profilo della declaratoria della violazione dell’obbligo contrattuale seriale o del dovere di non ledere incombente sull’imprenditore convenuto. Per tale ragione, è possibile che siano contemporaneamente pendenti sia il processo risarcitorio collettivo sia le cause individuali fondate sullo stesso illecito di massa. In occasione della presente disamina delle forme di tutela accordate al consumatore nel contesto della vigente legislazione interna di armonizzazione, non si può prescindere da alcune riflessioni sull’argomento delle specifiche forme di tutela, realizzate per ciascuna delle varie fattispecie negoziali abbracciate dal complesso della disciplina dei consumatori, anche al di fuori del Codice del consumo, nonché nel luogo della normazione delle pratiche commerciali scorrette. Con riguardo al primo profilo, si pensi alla materia del credito al consumo, la cui disciplina si connota per essere espressamente impostata sulla tutela del consumatore, come emerge dalla prescrizione dell’obbligo di pubblicità delle operazioni di credito al consumo in modo tale da permette al soggetto contraente una lucida e consapevole formazione della propria volontà, in ossequio al disposto di cui all’art. 117 TUB. Si consideri, ancora, l’ambito della tutela degli acquirenti di immobili da costruire, che ha conosciuto significativi interventi normativi, da quello con cui si è concretizzata la possibilità di trascrivere il contratto preliminare, in presenza delle condizioni richieste dalla norma, alle innovazioni introdotte con la disciplina del 2005, nella quale, nel definire l’acquirente in termini di “persona fisica che sia promissaria acquirente o che acquisti un immobile da costruire, ovvero abbia stipulato ogni altro contratto, compreso quello di leasing, che abbia o possa avere per effetto l’acquisto o comunque il trasferimento non immediato, a sé o ad un proprio parente in primo grado, della proprietà o della titolarità di un diritto reale di godimento su di un immobile da costruire, ovvero colui il quale, ancorché non socio di una cooperativa edilizia, abbia assunto obbligazioni con la cooperativa medesima per ottenere l’assegnazione in proprietà o l’acquisto della titolarità di un 150 diritto reale di godimento su di un immobile da costruire per iniziativa della stessa”, non viene tuttavia specificato se l’acquirente – persona fisica che viene qui in considerazione comporti o meno l’esclusione, dal novero delineato con tale definizione, di tutte le persone fisiche che effettuino l’acquisto nell’esercizio della loro attività imprenditoriale o professionale, aprendo così la strada a molteplici ricostruzioni e dibattiti dottrinari sul problema di trovare una prospettiva di conciliazione tra le diverse nozioni che possano presentare profili di interferenza e che si rintracciano oggi nei vari luoghi normativi472. Anche il complesso dei meccanismi posti a tutela dell’acquirente nell’ambito della vendita dei beni di consumo rientra nel più ampio programma, di ispirazione comunitaria ed internazionale, di garanzia della posizione della weak party nelle varie vicende negoziali che si ambientano sul mercato. Le fonti normative della vendita dei beni di consumo consistono oggi negli artt. 128-135 cod. cons., che costituiscono l’approdo della vicenda di attuazione della direttiva 1999/44/CE473, Sull’argomento si vedano in particolare: A. LUMINOSO, La tutela degli acquirenti di immobili da costruire (d .lgs. 20 giugno 2005, n.122), in La compravendita, Torino, 2005, il quale, nell’indagare intorno alla posizione dell’acquirente in rapporto a quella del consumatore, rintraccia la figura dell’acquirente di immobile da costruire in “colui che acquista investendo il proprio risparmio familiare”. Sul punto però appare maggiormente persuasiva l’impostazione di M.C. PAGLIETTI, La vendita di immobili da costruire, in N. LIPARI – P. RESCIGNO (diretto da), Obbligazioni. I contratti, III, Milano, 2009, p. 63, la quale osserva che “l’ipotesi che dunque sembra preferibile è quella del cumulo di qualifiche soggettive. Fermo che oggetto e presupposto della tutela è la sola persona fisica, nel caso in cui questa agisca per scopi privati assumerà anche l’ulteriore connotazione di consumatore (e come tale verrà tutelato anche alla luce delle norme del codice dei consumi). Le due figure, dunque, pur non coincidendo, possono sommarsi senza peraltro porre particolari problemi di raccordo: si configura un’ipotesi di concorrenza di discipline (non di alternatività né di esclusività), sicché non è necessario individuare un rigido ordine di precedenza nell’applicazione delle norme, ben potendo esse coesistere all’interno dello stesso rapporto contrattuale”. G. PETRELLI, Gli acquisti di immobile da costruire. Le garanzie, il preliminare e gli altri contratti, le tutele per l’acquirente (d. lgs. 20 giugno 2005, n. 122), Milano, 2005 473 La Direttiva 99/44/CE, incentrata “su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo”, è stata adottata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio dell’Unione Europea, il 25 maggio 1999, con lo scopo di dare un impulso al programma, già individuato alla lettera dell’art. 153 paragrafo 1 del Trattato CE, volto a “promuovere gli interessi dei consumatori ed assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori”, nell’ambito del quale la Comunità “contribuisce a tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori nonché a promuovere il loro diritto all’informazione, all’educazione e all’organizzazione per la salvaguardia dei propri interessi”. La normativa comunitaria del 1999 in materia di vendita di beni di consumo è essenzialmente incentrata sulla necessità di apprestare un agevole strumentario attraverso cui il consumatore possa ricevere la garanzia all’interno della dinamica negoziale. A tale proposito, si vedano: R. FADDA, Il contenuto della direttiva 1999/44/CE: una panoramica, in Sette voci sulla Direttiva comunitaria riguardante le garanzie nella vendita dei beni di consumo, in Contr. impr./Eur., 2000, p. 411; P.R. LODOLINI, La direttiva 1999/44/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo: prime osservazioni, in Eur. dir. priv., 1999, p.1275 ss.; nonché R. CALVO, L’attuazione della Direttiva n. 44 del 1999: una chance per la revisione in senso unitario della disciplina sulle garanzie e rimedi nella vendita, in Sette voci sulla Direttiva comunitaria riguardante le garanzie nella vendita di beni di consumo, in Contr. impr./Eur., 2000, p. 463; A. ZACCARIA, Riflessioni circa l’attuazione della Direttiva n. 1999/44/CE su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, in Studium iuris, 2000, p. 260; R. PARDOLESI, 472 151 concernente esclusivamente alcuni aspetti della fattispecie della vendita dei beni di consumo, alla quale è stata data una prima forma di attuazione mediante l’introduzione degli artt. 1519-bis e seguenti del codice civile, materiale in seguito confluito nelle norme consumeristiche appena richiamate. L’argomento della tutela del consumatore in tale dinamica negoziale comporta l’indagine sulle garanzie nel contratto di vendita business to consumer, che devono essere conciliate con le prescrizioni in materia di vendita in generale contenute nel Codice civile. Occorre osservare innanzi tutto che l’ambito di applicazione degli artt. 128-135 cod. cons. viene individuato sulla base di tre elementi: il tipo di contratto, i soggetti che lo pongono in essere nonché il bene che forma oggetto della negoziazione. Viene poi individuato l’obbligo del professionista nella consegna di beni conformi al contratto, introducendo in tale modo un parametro valutativo nuovo rispetto all’assetto della materia proprio del Codice civile, al quale è estraneo il concetto del difetto di conformità al contratto474. La consegna, da parte del professionista, di un bene non conforme rispetto al pattuito oggetto del contratto comporta il sorgere della ordinaria responsabilità per inadempimento dell’obbligazione in capo allo stesso professionista, a fronte della quale il consumatore ha a disposizione un ventaglio di rimedi da poter esperire, che si sostanziano in primo luogo, nella facoltà di pretendere dal professionista il ripristino della conformità, optando alternativamente per la riparazione o per la sostituzione del bene, in forza di quanto disposto alla lettera del secondo comma dell’art. 130 cod. cons. Qualora poi risulti fin dal principio impossibile o eccessivamente onerosa la riparazione o la sostituzione del bene, l’acquirente potrà richiedere la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto475. Quanto al risarcimento del danno, nel silenzio sia della direttiva 1999/44/CE sia della normativa di attuazione, l’art. 135 cod. cons. prevede che “le disposizioni del presente capo non escludono né limitano i diritti che sono attribuiti al consumatore da altre norme dell’ordinamento giuridico”, statuendo alla lettera del secondo comma che “per quanto non previsto dal presente titolo, si applicano le disposizioni del codice civile in tema di contratto di vendita”, La direttiva sulle garanzie nella vendita: ovvero, di buone intenzioni e risultati opachi, in Riv. crit. dir. priv., 2001, p. 437 ss.; A. LUMINOSO, Riparazione o sostituzione della cosa e garanzia per vizi nella vendita dal Codice civile alla Direttiva 1999/44/CE, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 860 474 Sul difetto di conformità cfr. G. COLAIACOMO, Diritti del consumatore e difetti di conformità dei beni di consumo, in Contratti, 2003, p. 960; G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore – L’ordinamento italiano e la direttiva 99/44/CE sulla vendita e le garanzie dei beni di consumo, Padova, 2000, passim. 475 M. TARUFFO, La tutela collettiva: interessi in gioco ed esperienze a confronto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2007, 2, p. 525 152 permettendo così l’applicabilità alla fattispecie della vendita dei beni di consumo anche delle norme generali in materia di compravendita476. Un altro strumento di garanzia della posizione del consumatore si sostanzia, nei contratti del commercio elettronico conclusi tra professionista e consumatore, nel diritto, a vantaggio di quest’ultimo, di recedere dal contratto, conformemente a quanto previsto nell’art. 64 cod. cons477. La disciplina delle pratiche commerciali scorrette tra imprese e consumatori costituisce altresì un’altra modalità attuativa del complesso sistema di tutela del consumatore, il quale rimane assoggettato agli effetti della pubblicità ingannevole che incidono sul processo di scelta dello stesso consumatore e sono in grado di influenzarne le decisioni di carattere commerciale478. La disciplina, sorta anch’essa in ambiente comunitario, è stata recepita nel corpo del Codice del consumo, prescrivendo alla lettera dell’art. 20 il divieto di pratiche commerciali scorrette, in quanto idonee a falsare il comportamento economico dei consumatori, confinandoli così in una situazione in cui essi agiscono in modo diverso da come si sarebbero comportati in assenza della pratica stessa479. Pertanto le pratiche commerciali scorrette sono da inibire in quanto idonee a provocare alterazioni della capacità decisionale del consumatore480. Il Codice del consumo prende in considerazione non soltanto le pratiche scorrette, ma anche quelle ingannevoli ed aggressive, garantendo così nel modo più ampio possibile la libertà negoziale del consumatore, il quale deve trovarsi nelle condizioni idonee a formare correttamente la propria manifestazione di volontà contrattuale481. Si registra tuttavia un vuoto normativo per quanto concerne la previsione dei rimedi individuali ai quali possa fare ricorso il consumatore che sia rimasto vittima di un’azione scorretta compiuta dal 476 M. LIBERTINI, Le prime pronunce dei giudici amministrativi in materia di pratiche commerciali scorrette, in Giur. comm., 2009, II, p. 880 477 A. GENOVESE, Diritto di recesso e regole d’informazione del consumatore, in Contratti, 2004, p. 379 478 A. RICCIO, L’azione collettiva risarcitoria non è, dunque, una class action, in Contr. impr., 2008, p. 500 ss. 479 G. DE CRISTOFARO, Le pratiche commerciali scorrette nei rapporti fra professionisti e consumatori, in Nuove leggi civ. comm., 2008, p. 1057 480 G. DE CRISTOFARO, La difficile attuazione della dir. Ce 2005/29 concernente le pratiche commerciali sleali nei rapporti fra imprese e consumatori: proposte e prospettive, in Contr. impr. Eur., 2007, p. 1 ss. 481 Sull’argomento della pubblicità ingannevole in generale si vedano: G. CASABURI, La tutela civilistica del consumatore avverso la pubblicità ingannevole dal d. lgs. n. 74 del 1992 al codice del consumo, in Giur. Merito, 2006, p. 622; E. ZANOLINI, Pubblicità ingannevole come comportamento anticoncorrenziale, in Riv. dir. ind., 2003, II, p. 354 153 professionista482. Il Codice del consumo si limita infatti ad occuparsi del margine di tutela collettiva, conferendo all’Autorità garante della concorrenza e del mercato la competenza a vigilare sull’applicazione della normativa concernente le pratiche commerciali sleali ed a sanzionarne le violazioni483. Il recente sviluppo della materia dei consumi attraverso fonti del diritto che appartengono, nei loro contenuti effettivi, all’ambito comunitario, mostra non soltanto la carenza, nel nostro ordinamento, non soltanto di una disciplina del fenomeno avente carattere sostanziale, ma anche di idonee regole volte ad assicurare l’attuazione dei diritti dei consumatori attraverso lo strumento processuale484. L’innovazione maggiore è consistita senza dubbio nella introduzione della class action, supra richiamata, con la quale si persegue l’obiettivo secondo cui “i diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti di cui al comma 2 [art. 140-bis cod. cons.] sono tutelabili anche attraverso l’azione di classe, secondo le previsioni del presente articolo. A tal fine ciascun componente della classe, anche mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa, può agire per l’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni”. [art. 140-bis cod. cons.485]. L’ampiezza della formulazione testuale permette di desumere che vadano ascritte alla norma appena citata non soltanto le associazioni di cui all’art. 137 cod. cons., ma tutte le associazioni, tanto quelle riconosciute quanto quelle che hanno piuttosto il nome di enti di fatto. Il meccanismo si fonda su una spontanea adesione ed attivazione del soggetto leso al fine di partecipare all’azione di classe, che si distingue dall’azione inibitoria collettiva generale ex art. 140 cod. cons. ed a quella ex art. 37 cod. cons.486 avverso 482 V. VIGORITI, Impossibile la class action in Italia? Attualità del pensiero di Mauro Cappelletti, in Resp. civ., 2006, p. 31 ss. 483 Sul tema dei poteri accordati, in generale, all’Autorità Garante in materia di pubblicità ingannevole, anche prima della nascita del Codice del consumo, si vedano: P. AUTERI, I poteri dell’autorità garante in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, in Riv. dir. ind., 2002, I, p. 266; E. MINA, I nuovi poteri dell’autorità garante in materia di pubblicità (commento alla l. 6 aprile 2005 n. 49), in Dir. ind., 2005, p. 406; nonché F. MACARIO, Autorità indipendenti, regolazione del mercato e controllo di vessatorietà delle condizioni contrattuali, in Riv. dir. priv., 2003, p. 295 484 G. BALENA, Aspetti processuali della tutela del consumatore, in Riv. dir. civ., 2006, I, p. 562 485 L’innovazione è stata apportata, all’interno del Codice del consumo, dall’art. 2 comma 446 della legge 24 dicembre 2007 n. 224, pubblicata in G.U. 28 dicembre 2007 n. 300. 486 Tra l’azione di cui all’art. 140 cod. cons. e quella contenuta nella previsione di cui all’art. 37 cod. cons. intercorre un rapporto di genus a species. Quest’ultimo rimedio costituisce una sorta di rafforzamento della tutela generale prevista nel Codice del consumo. Sul punto osserva F. LUCCHESI, Commento sub art. 37 cod. cons., in G. VETTORI (a cura di), Codice del consumo – Commentario, Padova, 2007, p. 397, che “il legislatore ha affiancato al rimedio individuale e successivo previsto dall’art. 36 del Codice per far dichiarare la nullità della clausola vessatoria inserita all’interno di un determinato regolamento contrattuale, un ulteriore strumento di tutela, 154 l’uso di clausole abusive per la sua natura di azione per così dire “successiva” e non “preventiva”. Per espressa previsione del testo normativo, l’azione collettiva risarcitoria tutela “i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione identica, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli articoli 1341 e 1342 del codice civile; i diritti identici spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale; i diritti identici al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali” (art. 140-bis cod. cons.)487. Il novero degli strumenti di carattere rimediale attribuiti ai consumatori e agli utenti, all’interno della legislazione di settore, nel ricomprendere in sé anche lo strumento dell’azione collettiva risarcitoria, sancisce un netto avvicinamento con il sistema americano della class action488. Essendosi già trattato dell’argomento della soggettività giuridica, qui giova ricordare che i comitati, ai quali viene riconosciuta la legittimazione ad attivare tale meccanismo procedurale, non essendo caratterizzati dal requisito della necessaria pluralità di soggetti, contrariamente a quanto previsto per le fondazioni, possono essere formati da un ente pubblico non economico o anche da un solo consumatore; ciononostante, essi possono validamente venire in considerazione posto a disposizione di soggetti portatori di interessi che, concernendo un’ampia pluralità di persone, si presentano come situazioni soggettive di portata superindividuale: l’art. 37 conferisce la possibilità di esercitare un’azione di tipo inibitorio ad un ente esponenziale, che si rivela in grado di far valere i diritti lesi in modo più efficace rispetto alle “vittime” in senso proprio. L’articolo in commento ha, dunque, previsto una tutela di tipo preventivo e collettivo esercitabile attraverso un’azione di carattere generale con cui chiedere all’autorità giudiziaria di inibire l’uso delle condizioni di cui sia accertata la vessatorietà”. 487 Appaiono rilevanti le considerazioni compiute da V. COSTANTINO, La tutela collettiva risarcitoria 2009: la tela di Penelope, in Foro It., 2009, V, c. 391, secondo cui “la tutela collettiva dovrebbe soddisfare e conciliare diversi interessi: dovrebbe, in primo luogo, contribuire a ristabilire fiducia nel mercato, rassicurando i consumatori e gli utenti con la previsione di efficaci strumenti di protezione; in secondo luogo, la tutela collettiva dovrebbe soddisfare l’interesse del convenuto alla predeterminazione dei danni, sottraendolo alla ripetuta aggressione delle iniziative individuali; dovrebbe tener conto dell’esigenza di valutare preventivamente il rischio di impresa; in terzo luogo, la tutela collettiva dovrebbe contribuire alla deflazione del contenzioso, consentendo la concentrazione in un unico processo delle controversie individuali, assicurando la definizione, rapida ed efficace, di una pluralità di pretese in un’unica soluzione; in quarto luogo, la tutela collettiva dovrebbe consentire l’emersione di una domanda di giustizia altrimenti inespressa; in quinto luogo, la tutela collettiva dovrebbe reggere la concorrenza tra ordinamenti, orientando verso gli uffici giudiziari italiani il forum shopping. In sesto luogo, la tutela collettiva soddisfa gli interessi e la vanità di coloro che se ne occupano perché costituisce un nuovo giocattolo ed offre occasioni di visibilità e di turismo processuale. A ben vedere, la disciplina introdotta con la l. 24 dicembre 2007 n. 244, ed il dibattito sulla riforma hanno contribuito a soddisfare soltanto l’ultimo degli interessi indicati”. 488 A. RICCIO, L’azione collettiva risarcitoria non è, dunque, una class action, in Contr. impr., 2008, p. 515 155 quali soggetti legittimati attivi ad esperire l’azione collettiva risarcitoria. La ratio che accomuna la sussistenza di tale circostanza sia nell’ordinamento interno sia in quello americano è da ravvisarsi in quella valutazione di carattere pratico secondo cui una efficace tutela della categoria dei consumatori, in questo caso, può aver luogo a prescindere dal requisito della rappresentatività quantitativa. Se la tutela collettiva inibitoria va ad aggiungersi, in modo innovativo, alla ordinaria forma di tutela giurisdizionale individuale, non di rado accade che nel corso del giudizio abbia luogo la conciliazione giudiziaria, attraverso cui, per il tramite dell’attività di intermediazione del giudice dinanzi al quale pende la controversia, le parti riescono a trovare un accordo tra loro. Accanto alle modalità giudiziali di risoluzione dei conflitti va collocato lo spettro della “giustizia alternativa”, al quale è da ricondursi lo strumento stesso della conciliazione, che assume una connotazione rilevante nella stessa materia dei consumatori. Occorre distinguere le cosiddette alternative dispute resolutions (ADR)489 in due branche: quella composta dalle forme di autocomposizione delle controversie e quella formata da tutte le cosiddette modalità di eterocomposizione dei conflitti, sulla base della presenza o meno di un soggetto terzo il quale interviene nella lite con funzione decisoria. Laddove invece non sia previsto l’intervento del terzo, si avrà piuttosto un bonario componimento della controversia490. La conciliazione è senza dubbio quella, tra le forme di tutela 489 Sul punto si veda R. DE MEO, Tutela del consumatore e accesso alla giustizia: funzioni e prospettive dei metodi alternativi di soluzione delle controversie, in N. SCANNICCHIO (a cura di), I metodi alternativi nella soluzione delle controversie dei consumatori, Bari, 2007, p. 38, rintraccia la nozione delle ADR attraverso la idoneità a “raggruppare fenomeni di composizione delle controversie molto eterogenei per struttura e risultati raggiunti e fra loro semplicemente accomunati dall’elemento negativo di essere estranei all’esercizio della potestà giurisdizionale dello Stato. Sono metodi di risoluzione delle liti che spesso parlano lingue diverse – perché sono caratteristici di differenti rami economici del mercato e di diverse tipologie di questioni giuridiche coinvolte – e percorrono strade diverse ma che consentono ai litiganti di non giungere al cospetto di un’autorità giudiziaria ordinaria, togata o meno, a seconda dei casi”. 490 R. DE MEO, Tutela del consumatore e accesso alla giustizia. Cit., in cit., dopo aver definito, a p. 40, l’alternativa appena richiamata in termini di “poli estremi ed opposti della realtà variegata delle ADR”, prosegue nel ricordare la sussistenza di procedure in cui si riscontra la presenza di un soggetto terzo con la mera funzione di essere d’ausilio alle parti affinché esse stesse possano trovare il loro accordo, spiegando, a p. 41, che “il terzo, cioè non ha potere decisorio, anche se spesso è tenuto a formulare quella che egli ritenga essere la soluzione preferibile per il caso di specie. I suoi sono, piuttosto, dei suggerimenti e degli indirizzi diretti a garantire ad entrambe le parti della controversia l’equa possibilità di argomentare, motivare, contestare gli altrui diritti e difendere i propri. La decisione, comunque, spetta sempre alle parti e l’eventuale conciliazione raggiunta riveste il carattere della consensualità e si traduce in un programma contrattuale con il quale le parti raggiungono un assetto di interessi diretto all’estinzione della lite. Potremmo qualificare tali metodi di ADR come forme di autocomposizione (perché fondata sul reciproco consenso delle parti) delle liti. Modelli di autocomposizione eterodiretta sono rappresentati dalla conciliazione/mediazione. La differenza terminologica, che negli Stati Uniti è riferibile ad altrettanto ben precise differenze 156 alternativa, di maggiore importanza, nella duplice modalità di strumento attivabile tanto nel corso del processo quanto con funzione extraprocessuale491. Ai fini della tutela del consumatore, il tenore del secondo comma dell’art. 140 cod. cons. prevede la figura della cosiddetta conciliazione “collettiva”, dal momento che essa può essere attivata esclusivamente da soggetti qualificati, qualora si presenti l’esigenza di accordare tutela agli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti. Dispone infatti la norma che “le associazioni di cui al comma 1, nonché i soggetti di cui all’art. 139, comma 2, possono attivare, prima del ricorso al giudice, la procedura di conciliazione dinanzi alla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura competente per territorio, a norma dell’articolo 2, comma 4, lettera a), della legge 29.12.1993, n. 580, nonché agli altri organismi di composizione extragiudiziale per la composizione delle controversie in materia di consumo a norma dell’articolo 141”. Come si desume dalla stessa lettera della legge, la legittimazione attiva all’esperimento del tentativo di conciliazione è limitata esclusivamente alle associazioni dei consumatori ed utenti rappresentative a livello nazionale ex art. 137 cod. cons. Tuttavia, la legittimazione delle associazioni non esclude che i singoli consumatori possano anch’essi agire in giudizio, naturalmente sulla base delle norme processuali ordinarie, qualora risultino essere titolari di un concreto interesse ad agire492. Lo strumento della conciliazione previsto all’art. 140 cod. cons. è operativo anche in sede di azione inibitoria avverso l’utilizzo di clausole abusive ex art. 37 cod. cons. Il Codice del consumo la cui ratio risiede nell’ottica di regolare la materia con una disciplina uniforme per i vari Paesi dell’Unione europea, riconosce un ruolo di indiscussa centralità al sistema delle ADR o, per meglio dire, della “composizione extragiudiziale” delle controversie, ravvisando negli stessi strumenti extraprocessuali un valido contributo alla formazione di un terreno normativo comune di portata transnazionale per il fenomeno dei consumi 493. Del resto, l’esigenza di trovare strumenti idonei ad assicurare una tutela certa e veloce per le strutturali, nel nostro Paese rappresenta sostanzialmente un modo diverso per indicare in generale la prassi conciliativa. Anche i documenti normativi comunitari si riferiscono alla mediation per indicare fenomeni lato sensu conciliativi. L’Uncitral, poi, ha diffuso un documento, il Model Law on International Commercial Conciliation, nel quale gli aspetti sostanziali della conciliation sono altrettanto riferibili alla mediation”. 491 E. MINERVINI, Le Camere di commercio e la conciliazione delle controversie, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2001, p. 939 492 P. RESCIGNO, Sulla compatibilità tra il modello processuale della class action ed i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano, in Giur. it., 2000, p. 2224 ss. 493 E. MINERVINI, Contratti dei consumatori e tutela collettiva nel codice del consumo, in Contr. impr., 2006, p. 635 157 posizioni giuridiche soggettive è un argomento che riesce ad incontrare le attenzioni delle stesse Istituzioni comunitarie. Accanto alla conciliazione stragiudiziale si colloca l’arbitrato, quale iter alternativo alla giurisdizione ordinaria, che può definirsi in termini non propriamente tecnici come un processo privato, attivato di comune accordo dalle parti ed affidato ad uno o più arbitri, alla cui origine si colloca un negozio giuridico – il compromesso o la clausola compromissoria – che costituisce la fonte della possibilità di compromettere per arbitri una controversia avente ad oggetto diritti disponibili494. Il procedimento può svolgersi secondo diritto o secondo equità e termina con una decisione, che prende il nome di lodo arbitrale, che, nel caso di arbitrato rituale, produce gli effetti della sentenza pronunziata dall’autorità giudiziaria, ai sensi dell’art. 829-bis c.p.c., ed acquista efficacia esecutiva con il provvedimento di omologazione del tribunale, ai sensi dell’art. 825 primo comma c.p.c., mentre, nel caso di arbitrato irrituale, ha valore di determinazione contrattuale, conformemente a quanto disposto alla lettera dell’art. 808-ter primo comma c.p.c.495. Quel che rileva, del complesso argomento appena richiamato, ai fini della presente trattazione, è l’indagine intorno all’impiego dell’arbitrato nella materia dei consumi. L’analisi prende l’avvio a partire dal disposto di cui all’art. 141 cod. cons., dal quale emerge a chiare lettere il favor del “legislatore comunitario” per una impostazione volta a dare un impulso al ricorso alle modalità alternative di risoluzione delle controversie, come emerge dallo stesso tenore della formulazione normativa appena citata in cui, al primo comma, si statuisce che “nei rapporti tra consumatore e professionista, le parti possono avviare procedure di composizione extragiudiziale per la risoluzione delle controversie in materia di consumo, anche in via telematica”. Tale previsione di legge è foriera di una clausola generale per mezzo della quale il consumatore ed il professionista possono attivare le procedure 494 Volendo fornire una descrizione nozionistica del fenomeno V. CASPANI, I consumatori e la giustizia. Conciliazione e arbitrato: l’evoluzione europea e l’esperienza nazionale, Piacenza, 2002, p. 226, afferma che “l’arbitrato costituisce un modo per definire delle controversie civili alternativo al giudizio ordinario, caratterizzato da due aspetti essenziali: le parti della controversia scelgono liberamente coloro che dovranno deciderla – gli arbitri – e conferiscono loro il potere e l’autorità di rendere tale decisione. E’ evidente già da questa prima presentazione dell’istituto, la netta differenza che lo separa dal processo davanti ai giudici statuali: l’organizzazione giudiziaria statale impone la sua potestà di giudicare, per l’oggettiva forza giuridica dell’ordinamento da cui promana, mentre l’arbitrato può svolgersi soltanto tra coloro che l’hanno voluto”. 495 Si tratta, in quest’ultimo caso, di una decisione avente natura giuridica negoziale, la cui funzione viene posta in risalto da Cass., sez. I, 13 aprile 2001, n. 5527, in Giust. civ., 2002, I, p. 2909, in cui si chiarisce che con l’atto che segna l’esito di un arbitrato irrituale “viene posta in essere una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibili alla volontà delle parti stesse, le quali si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà”. 158 di risoluzione alternativa delle controversie nella materia del consumo, sancendo una netta apertura verso ognuna delle varie figure di ADR. 159 Capitolo Quarto La categoria della nullità del contratto tra tradizione ed innovazione. Sommario: 1. Brevi premesse. – 2. La categoria della nullità codicistica. Ricostruzione in chiave operativa della figura codicistica della nullità: dalla funzione di sanzione… – 3. …alla funzione di protezione: le nullità cd. anomale. La nullità tra l’interesse pubblico e la violazione degli obblighi di informazione. - 4. La categoria della causa. Concezione tradizionale della causa. Superamento della teoria bettiana. Rivisitazione del concetto di causa del contratto alla luce della legislazione di settore e della nuova realtà delle contrattazioni. Nostra adesione alla tesi della causa quale indice rilevatore dello scopo concreto ed oggettivato. – 5. Il formalismo negoziale tra Codice civile e diritto europeo. Il neoformalismo. - 6. Intorno alla possibilità di estendere la nullità consumeristica in materia di clausole vessatorie ad altre fattispecie sulla base della ratio legis. 7. La nullità relativa: dal Codice civile alle regole poste a tutela del consumatore. Per una tassonomia delle nuove nullità. “Le categorie giuridiche e i relativi concetti possono anche essere oggetto di storia, come tutte le creazioni dell’intelletto, ma non si deve perdere di vista che essi non sono valori universali ma strumenti di conoscenza di una realtà sociale alla quale si devono adeguare e intimamente aderire”496. R. Nicolò 1. Nell’attuale contesto giuridico, i notevoli stravolgimenti all’interno del panorama delle fonti del diritto dei contratti, tanto per quanto attiene ai soggetti che elaborano le regole quanto per ciò che concerne i contenuti delle regole stesse, conducono il giurista ad un necessario ripensamento delle categorie giuridiche nei loro connotati peculiari e tipici con i quali egli si è per lungo tempo trovato a misurarsi. In particolare, quella figura propria della categoria dell’invalidità, la nullità, sta oggi conoscendo significativi mutamenti. L’invalidità497, con le sue specifiche articolazioni, e lato sensu l’inefficacia, sono da sempre le categorie ordinanti delle varie ipotesi in cui si può manifestare, all’interno della dinamica contrattuale, una Citazione tratta da R. NICOLO’, Attuale evoluzione del diritto civile, in Raccolta di Scritti, III, Milano, 1993, p. 17. 497 Qualsiasi discorso sulla invalidità, intesa come qualificazione in termini negativi del fatto giuridico, non prescinde da un necessario preliminare chiarimento della nozione di validità, da intendersi, attraverso le pacifiche parole di V. SCALISI, Categorie e istituti del diritto civile, Milano, 2005, p. 628, quale concetto assiologico-pratico attraverso cui è possibile verificare “se un interesse negoziale rilevante ha oppure no legittimazione positiva a costituire punto di ricollegamento di effetti giuridici”, che è cosa ben diversa dal sindacato sulla effettiva produttività degli effetti, con il quale si entra invece nella sfera della mera inefficacia. Il dibattito sul tema invalidità/inefficacia si svolge su due terreni tanto connessi quanto però appartenenti a due diversi momenti della esperienza del diritto contrattuale: il primo, quello regolamentare-programmatico; il secondo, quello del prodursi dell’effetto giuridico. L’argomento è messo accuratamente in luce nelle pagine su richiamate ed in particolare a p. 629 in cui l’autore afferma che “le cause di invalidità sono funzionali al momento regolamentare o programmatico dell’agire autonomo dei privati al fine di consentirne il controllo sotto il particolare profilo della sua idoneità a determinare il mutamento pratico e giuridico avuto di mira. Come tali, le cause di invalidità sono perfettamente speculari agli elementi o requisiti normativamente richiesti allo scopo di garantire che regolamento e programma siano in grado di portare a compiuta realizzazione l’interesse già apprezzato siccome rilevante”. 496 160 patologia nell’esercizio dell’autonomia negoziale da parte dei soggetti privati498. Esse costituiscono, all’interno della materia del contratto, i pilastri della disciplina sistematicamente approntata dal legislatore. I cambiamenti che sono da tempo in atto sulla scena delle regole che disciplinano il contratto non hanno tuttavia risparmiato tali categorie, riguardo alle quali è quindi ora opportuno, se non addirittura necessario, interrogarsi sulla funzione e sui tratti identificativi che oggi le contraddistinguono, al fine di tentare di compiere una conciliazione delle nuove figure, di matrice extracodicistica, con quelle tradizionali499. Certamente non ci si deve meravigliare se al mutamento degli interessi che dominano la scena economica e commerciale a livello extrastatale corrisponde una esigenza di rideterminare (o forse soltanto di adattare il proprio pensiero ad una idea di categoria come di un quid che muta le proprie specificità ogniqualvolta ripercorra il proprio momento genetico, che è da collocarsi nel punto di stretta saldatura del piano formale di posizione della regola con quello dell’incontro della norma con la concreta realtà sociale, in chiave di effettività500) le categorie ordinanti della realtà pratica in modo tale da approntare una qualificazione normativa che sia maggiormente rispondente alla realizzazione nonché alla tutela di tali nuovi interessi501. Ciò, tuttavia, avviene non senza che si produca un inevitabile contrasto, sul piano concettuale e logico tanto quanto su quello applicativo, per così dire, tra il vecchio e il nuovo502. Questa premessa, con la quale si intende introdurre un non brevissimo discorso che vede la categoria contrattuale della nullità al centro di ogni riflessione, volendo, appunto, fungere da cornice entro la quale si ambienterà questo ampio argomento, è, nell’intenzione di chi scrive, il luogo prediletto per richiamare l’invalidità e 498 C.M. BIANCA, Diritto civile. Il contratto, cit., passim. La duplice funzione di sanzione e di protezione degli interessi del singolo, che è propria della nullità assoluta nel primo caso e della nullità relativa nel secondo caso, viene posta in risalto da A. GENTILI, Nullità di protezione e ruolo del notaio, in Riv. not., 2010, 2, p. 285 500 Sull’effettività del diritto quale discrimen tra regola che appartiene “al giuridico” e qualsivoglia altra regola cfr. H. KELSEN, Teoria generale delle norme, Torino, 1985, passim. 501 A. D’ANGELO, Contratto e operazione economica, in G. ALPA – M. BESSONE (diretto da), I contratti in generale, Torino, 1999, I, p. 257 502 Sul passaggio dalla tradizionale impostazione bipolare (fondata sul binomio nullità-annullabilità), di matrice codicistica, ad un assetto monistico, imperniato sulla categoria della nullità V. SCALISI, Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al postmoderno, Milano, 2005, p. 648, osserva che “quella che nel codice è una concezione dualistica e bipolare della invalidità, nella disciplina europea ha ceduto il posto a una configurazione solitaria e monistica incentrata sulla nullità. E la nullità a sua volta, abbandonati gli antichi ancoraggi, da strumento astratto e irrelato, ubbidiente soltanto a un prestabilito e rigido schema concettuale (art. 1418 c.c.), è divenuta in prospettiva europea un rimedio sempre più dipendente e relato, e cioè conformato, quanto a struttura e funzione, ma anche nel suo fondamento sostanziale, dal tipo di operazione contrattuale posta in essere, valutata sia dal punto di vista dello specifico assetto di interessi in gioco che sotto il profilo della particolare posizione delle parti coinvolte e della natura dei beni e servizi dedotti”. 499 161 l’inefficacia, quali categorie assiologiche del contratto, nei loro tratti peculiari503. Questi due “giganti”, tra le categorie contrattuali elaborate nel corso delle varie epoche della storia del diritto e poi approdate nell’impianto codicistico, presentando profonde diversità l’una dall’altra, appaiono, tuttavia, sul piano operativo, connesse e correlate, seppure in modo non biunivoco, se si rammenta che laddove il contratto presenti una patologia tale per cui venga sanzionato con la invalidità allora gli effetti del contratto subiscono un pregiudizio nel senso che, a seconda del caso specifico di invalidità (nullità o annullabilità), o vengono eliminati del tutto e nei confronti di tutti, o vengono eliminati nei confronti delle parti ma il contratto resta produttivo di effetti nei confronti dei terzi di buona fede504. Al contrario, può accadere che, in seguito a vicende che si collocano cronologicamente nella fase in cui il rapporto negoziale ha esecuzione, il contratto, benché venuto ad esistenza validamente, non sia più idoneo a produrre i suoi effetti505. In questo caso, allora, l’inefficacia non è conseguenza della sussistenza di una causa di invalidità506. Ci troviamo, attualmente, nell’epoca postmoderna, in cui il contratto, se, da un lato, ha notevolmente ampliato il suo spettro di operatività, dall’altro, ha certamente mutato alcuni dei suoi tratti caratteristici, coinvolgendo in questo processo di cambiamento, che soltanto con grande ottimismo e senza nostalgia per le radici 503 Sul punto si veda amplius F. SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 2002, p. 245 ss. 504 F. GALGANO, Trattato di diritto civile, II, Padova, 2009, p. 371-372, nel ripercorrere approfonditamente la tematica, sulla base del dato normativo, ricorda chiaramente che “la sentenza che dichiara la nullità di un contratto opera retroattivamente (ed elimina, perciò, ogni effetto del contratto) sia fra le parti sia rispetto ai terzi, anche se questi sono in buona fede, ossia ignoravano la causa di nullità. (…) La sentenza che annulla il contratto, invece, opera retroattivamente tra le parti (e, fra queste, elimina ogni effetto del contratto) ma, quanto ai terzi, opera solo rispetto ai terzi di mala fede, che conoscevano (o potevano conoscere con l’uso dell’ordinaria diligenza) la causa di annullabilità del contratto. Essa non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede”. Quanto all’azione di nullità, sono tuttavia fatti salvi gli effetti del negozio, nullo, nei confronti dei terzi qualora operi il dettato di cui all’art. 2652 n. 6 cod. civ. in materia della cd. pubblicità sanante, per cui, se la domanda diretta a far dichiarare la nullità del contratto viene trascritta dopo cinque anni dalla data della trascrizione dell’atto impugnato, la sentenza che la accoglie non pregiudica i diritti acquistati a qualunque titolo dai terzi di buona fede in base ad un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda. M. FRANZONI, Degli effetti del contratto, (art. 1374-1381), Integrazione del contratto – Suoi effetti reali e obbligatori, II, Milano, 1999, p. XII-512 506 E’ la cosiddetta inefficacia in senso stretto, che si articola nella sequenza validità/inefficacia la quale, al di là dell’apparenza, non costituisce un paradosso né sul piano logico né su quello normativo, dal momento che le cause dell’inefficacia sono da rintracciare nelle vicende che, non attenendo al momento programmatico - regolamentare, pregiudicano soltanto l’effetto, con la conseguenza per cui, con V. SCALISI, Categorie e istituti del diritto civile, cit., p. 639, si può dire che “ l’assetto degli interessi in campo, pur avendo ottenuto la garanzia giuridica della propria conservazione (validità), non riesce ciò nonostante a conseguire anche la garanzia giuridica della propria realizzazione”, seguendo pertanto che la mancata attuazione in concreto del rapporto derivante dal contratto consiste nella inefficacia giuridica dello stesso. 505 162 della cultura giuridica, si riesce a definire di evoluzione, anche le sue categorie ordinanti, tra le quali, primariamente, quella della nullità507. Allo stesso modo del contratto, anche le sue categorie, hanno conosciuto, nell’iter della storia del diritto del ventesimo secolo, una non breve fase caratterizzata dalla totale centralità delle regole contenute nella Codificazione del 1942, per poi trovarsi esposte al repentino sopravvento delle norme di matrice comunitaria, le quali, dietro la quasi scusabile ragione della necessità di porre in essere un procedimento di avvicinamento delle varie legislazioni nazionali, hanno finito con l’acquistare una grandissima familiarità con la materia dei contratti, giungendo esse stesse a disciplinarne una porzione che oggi, sulla scena economica e commerciale, appare certamente quella più rilevante508. Anche la nullità contrattuale è stata fagocitata all’interno del binomio vecchio-nuovo, per il cui accostamento di termini si pone il problema di verificare se si tratti di una antitesi o semplicemente di una evoluzione, cioè di una transizione da una fase all’altra di uno stesso fenomeno, senza che vi si debba rintracciare una soluzione di continuità con il tradizionale iter operativo del diritto, il quale, per sua stessa natura, in condizioni di corretto funzionamento dell’apparato giuridico, economico e sociale, pur mantenendo i suoi pilastri immutati, è suscettibile di conoscere adattamenti a seconda delle esigenze prospettate, nel tessuto sociale, dalla realtà concreta509. Pur con l’intento, da parte di chi scrive, di non assumere la propria posizione sull’argomento, fino a quando non si saranno compiute, nella sede del presente lavoro, tutte le riflessioni, non si può tuttavia fare a meno di notare come, per la categoria dell’invalidità negoziale, l’impatto con il cosiddetto diritto europeo dei contratti sia stato molto brusco, se si pensa che la tradizionale articolazione bipolare dell’invalidità codicistica nelle due figure della nullità e della annullabilità viene soppiantata, nella disciplina europea dei contratti, dalla presenza di una unica figura ibrida, quella che nominativamente è la nullità, 507 R. TOMMASINI, v. Nullità (dir. priv.), in Enc. dir., Milano, 1978, XXVIII, p. 866 ss., nel fornire una lucida ed esaustiva disamina dell’istituto, osserva che la ratio profonda della nullità si può cogliere una volta che si ascriva tale categoria negoziale alla più ampia funzione dell’ordinamento che consiste nella tutela dei valori fondamentali di uguaglianza e di solidarietà. 508 E. GABRIELLI, Il contratto e le sue classificazioni, in E. GABRIELLI (a cura di), I contratti in generale, in Tratt. contr. Rescigno-Gabrielli, Torino, 1999, I, p. 48-58, ove viene fornita una ricostruzione dei rapporti intercorrenti, nell’epoca contemporanea, tra autonomia privata e operazione economica. Lo svolgimento delle operazioni economiche su terreni che eccedono i confini nazionali, unitamente al complicarsi ed al moltiplicarsi delle operazioni stesse, implica necessariamente la creazione di nuovi modelli e schemi negoziali, nonché la realizzazione di un terreno normativo fondato su regole basilari che siano sostanzialmente condivise dai vari Paesi attori della scena europea, ed anche di quella globale. 509 C. COLOMBO, Operazioni economiche e collegamento negoziale, Padova, 1999, passim. 163 ma che viene ridisegnata con dei tratti che la fanno risultare, per così dire, a metà strada tra la nullità e l’annullabilità che i Compilatori del 1942 hanno sapientemente elaborato510. Peraltro, così come sta avvenendo per la materia dei contratti, per i quali ci si esprime oggi al plurale511, allo stesso modo accade per le nullità disciplinate nelle leggi di settore, di matrice comunitaria, le quali, lungi dal poter essere ricondotte ad una categoria unitaria della nullità, non sono altro se non il risultato della frammentazione di tale categoria in una congerie di molteplici modelli e corrispondenti statuti normativi i quali, pur condividendo il medesimo nome di “nullità”, fanno in realtà riferimento ad una pluralità di vicende eterogenee e spesso assai diverse tra loro512. Se lo spirito che ha animato le grandi Codificazioni è stato proprio quello di ricercare criteri di reductio ad unum del molteplice, oggi si avverte quanto mai forte il bisogno di trovare, per la materia dei contratti e delle annesse categorie ordinanti, una identità che, preservando la pluralità e la diversità delle figure giuridiche frutto della frammentazione, ne costituisca al contempo un valido collante in modo tale da evitare la dispersione513. C’è, quindi, bisogno non di una reductio ad unum intesa in senso geometrico piramidale, che è stata propria dell’epoca in cui si è guardato ai fenomeni giuridici prevalentemente in base al principio di specialità, quanto piuttosto di individuare un leitmotiv che leghi in senso non più verticale, ma stavolta orizzontale, tutta la serie di autonome figure specializzate che, a partire da quella che era la categoria generale (sia della nullità, sia del contratto), si stanno sviluppando514. Il rifiuto del trattamento, per così dire, unitario o, se si vuole, monistico, dei fenomeni giuridici è dovuto al complicarsi delle esigenze di carattere economico e giuridico che emergono da una dimensione mercantile ormai transnazionale e caratterizzata dal meccanismo della libera concorrenza, dal quale deriva il sorgere di una molteplicità di distinti interessi spesso in conflitto gli uni con gli altri515. Per tale ragione, il 510 L. DE GIOVANNI, La nullità nella logica del diritto, Napoli, 1964, passim. V. SCALISI, Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al postmoderno, cit., p. 649, nel saldare all’assetto proprio dell’economia di mercato la contingente vocazione per il “carattere plurale” dei fenomeni giuridici un tempo connotati da un’accezione al singolare, a fronte della varietà degli interessi che dominano la stessa scena mercantile, mette in risalto l’inevitabile “rigetto per un trattamento normativo rigidamente monistico di una categoria, come quella del contratto, chiamata a dare veste e rappresentanza a operazioni economiche della più varia natura per soggetti coinvolti, beni dedotti, interessi perseguiti”. 512 C. CASTRONOVO, I principi di diritto europeo dei contratti, in Eur. dir. priv., 2000, p. 249-291 513 C. CAMARDI, Integrazione giuridica europea e regolazione del mercato. La disciplina dei contratti di consumo nel sistema del diritto della concorrenza, in Eur. dir. priv., 2001, p. 703 514 V. BUONOCORE, Contratti del consumatore e contratti d’impresa, in Riv. dir. civ., 1995, p. 37 ss. 515 G. BENEDETTI, La categoria generale del contratto, in Riv. dir. civ., 1991, 6, p. 649 511 164 diritto europeo dei contratti, al quale è demandato il compito di portare avanti il processo di uniformazione o, quanto meno, di armonizzazione delle legislazioni nazionali al fine di agevolare la realizzazione del mercato unico, accoglie con grande sensibilità e sollecitudine il bisogno di dettare una disciplina dettagliata per i vari fenomeni che si ambientano sul mercato, e assolve a tale compito operando la rottura della unitarietà della categoria del contratto e della relativa disciplina, a favore di una dicotomica molteplicità dei diversi modelli contrattuali, ciascuno assoggettato ad un proprio regime giuridico, andando in direzione opposta a quella seguita dalla Codificazione del 1942 che ha invece segnato, tra l’altro, il momento di unificazione della materia dei contratti di diritto civile con quelli di diritto commerciale516. Con la consapevolezza che può provenire da tali osservazioni che sono state preliminarmente condotte, prima di passare ad analizzare l’odierno panorama della nullità o, meglio, delle nullità contrattuali, si ritiene opportuno ripercorrere, nei tratti salienti, nonché in alcuni punti critici, la nullità codicistica quale ipostasi della categoria della invalidità negoziale517. 2. Nell’immaginario collettivo tradizionale, la categoria della nullità del contratto viene dal giurista ascritta alla figura dell’invalidità negoziale, sostanziandosi, in particolare, in quello tra i due strumenti (nullità e annullabilità) posto non soltanto a presidio degli interessi delle parti contraenti ma anche, più ampiamente, a tutela di interessi di carattere generale518. La figura della nullità negoziale, nei tratti specifici attraverso i quali essa trova la sua connotazione nel nostro ordinamento, è il 516 M. MANTOVANI, Le nullità e il contratto nullo, in Tratt. Roppo, cit., passim. R. ROLLI, Il “codice” e i “codici” nella moderna esperienza giuridica: il modello del codice del consumo, in Contr. impr., 2007, p. 1497 518 Ricorda opportunamente G. PASSAGNOLI, Art. 38 Cod. cons.- Commento, in G. VETTORI (a cura di), Codice del Consumo. Commentario, Padova, 2007, pp. 373 – 374, che il tradizionale carattere unitario attribuito alla categoria della nullità si è fondato esclusivamente sulla “esigenza di tutela del pubblico interesse, contrapposto ed astratto rispetto a quello individuale dei contraenti”, così che “l’intera disciplina della nullità veniva a ridursi a strumento di tutela di quell’unitario interesse, escludendo dall’ambito della figura ogni rilevanza degli interessi dei quali fosse portatrice una parte contraente”. Con la conseguenza per cui anche sul piano dell’inefficacia del negozio nullo, si è assistito per lungo tempo ad un trattamento sostanzialmente unitario, essendo esso “obiettivamente ed assolutamente improduttivo di effetti, proprio per il contrasto con quell’omogeneo e prevalente pubblico interesse”. Di qui, la dicotomica summa divisio delle invalidità negoziali nelle due figure della nullità e della annullabilità, laddove il discrimen essenziale si coglieva proprio nell’essere la nullità “insensibile alle interferenze di ogni piano di interesse sottordinato e, così, di ogni interesse individuale coinvolto”, non essendoci pertanto possibilità alcuna di “riconoscere rilievo formale alla peculiare ratio normativa di nullità poste a speciale tutela di un contraente”, le quali venivano trattate alla stregua di una “anomalia, da inserire in un più o meno vasto catalogo di bizzarre eccezioni alla coerenza sistematica”. S. POLIDORI, Disciplina della nullità e interessi protetti, Napoli, 2001, p. 114 517 165 risultato di un complesso percorso evolutivo che ha tratto origine dall’elaborazione pandettistica, malgrado ai giuristi romani non fosse del tutto sconosciuto l’argomento. Il Codice civile del 1942 non detta una nozione di nullità, occupandosi direttamente, alla lettera dell’art. 1418, delle cause che rendono il contratto nullo. Essendo, tuttavia, connaturato alla natura umana il tentativo di trovare una definizione per qualsivoglia fenomeno, allora è pacificamente condivisibile la nozione di nullità, invalsa da lungo tempo nella dottrina dominante nonché largamente condivisa, secondo la quale si tratta di una patologia del negozio giuridico che si verifica ogniqualvolta esso presenti una mancanza o una grave anomalia di qualche elemento intrinseco, tale per cui quel negozio, che pure è venuto ad esistenza in tutti i suoi elementi, non sia, tuttavia, rispondente alla figura tipica individuata dall’ordinamento, proprio perché qualcuno dei suoi elementi è inficiato da uno dei vizi gravi in presenza dei quali il negozio viene sanzionato dall’ordinamento stesso con la nullità. Ne consegue tanto la mancanza di validità quanto la mancanza di efficacia del negozio viziato, da intendere come una sorta di reazione dell’ordinamento alla predetta situazione patologica e, precisamente, la reazione più decisa, se si tiene conto degli effetti che la pronuncia di nullità comporta; per tale ragione, la nullità è pacificamente ritenuta la forma più grave di invalidità519. Al fine di ripercorrere i punti salienti di qualsiasi discorso sulla nullità del contratto, intesa nella sua “versione codicistica”, occorre fare qualche considerazione preliminare sull’autonomia negoziale520. Se l’ordinamento, da un lato, abilita i soggetti privati a scegliere liberamente il contratto da porre in essere e a dettarne essi stessi la disciplina, ovviamente nel rispetto delle disposizioni di legge inderogabili ed in ossequio ai principi generali di certezza giuridica, per altro verso, l’ordinamento stesso nega fondamento a tutte quelle manifestazioni di volontà mediante le quali si realizza un contrasto con lo schema legale e con gli interessi generali che il medesimo ordinamento deve tutelare. In questo panorama si colloca esattamente lo strumento della nullità, nella sua peculiare accezione di indice del giudizio di meritevolezza di tutela degli interessi programmati dalle parti rispetto ai 519 Occorre tuttavia tenere ben distinta la circostanza in cui la nullità costituisca la conseguenza, sul piano sanzionatorio, della mancanza o della patologia di un elemento essenziale del contratto, da quella in cui piuttosto il contratto stesso sia contrario all’ordine pubblico o al buon costume. Sul punto si veda P. PERLINGIERI, Forma dei negozi e formalismo degli interpreti, Napoli, 1987, p. 26 – 30. 520 S. ROMANO, Autonomia, in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1953, passim 166 fini della comunità. E’ proprio facendo ricorso alla sanzione della nullità che l’ordinamento nega la propria tutela a tutte quelle programmazioni che non siano idonee a rispondere ai valori fondamentali, per cui si nega ab initio ogni effetto al negozio posto in essere521. L’inevitabile attività di elaborazione di classificazioni, che è cosa comune alla dottrina ed alla giurisprudenza, ha condotto alla summa divisio tra nullità testuale e virtuale, intendendo con il primo termine la nullità che viene comminata da una specifica norma di legge quale conseguenza della presenza di un determinato vizio (è tale la nullità di cui all’art. 1418 comma 3 cod. civ.), mentre con il secondo termine si allude a quella nullità che non è comminata espressamente da nessuna norma di legge, ma che piuttosto si ricava dal sistema in quanto si sostanzia nella contrarietà ad una norma imperativa522. Altra distinzione è quella tra nullità totale o parziale, a seconda che investa il negozio nella sua totalità, o in una parte, o, addirittura, semplicemente in una clausola di esso523. Vi è poi l’ulteriore distinzione tra nullità assoluta e relativa, laddove la prima può essere fatta valere da qualsiasi soggetto (quindi non solo dalle parti contraenti ma anche dal giudice d’ufficio nonché da qualunque terzo il quale abbia interesse a farla dichiarare), mentre la seconda è, secondo l’opinione più largamente diffusa, quella che può essere fatta valere soltanto da alcuni soggetti legittimati ad agire. Non manca, tuttavia, in dottrina chi ha dato una nozione diversa della figura della nullità relativa, riferendo piuttosto il concetto a quelle ipotesi di nullità per le quali è possibile una sanatoria524. La prima accezione appare tuttavia la più accreditata anche perché è suffragata dal tenore del disposto di cui all’art. 1421 cod. civ. per cui la nullità relativa è quella che può essere fatta valere esclusivamente da soggetti determinati, anche se, una volta dichiarata, essa opera nei confronti di tutti525. Vi è poi la distinzione tra nullità originaria e nullità sopravvenuta, laddove la prima si verifica nel caso in cui il vizio sia presente nell’atto ab origine, mentre si ha nullità sopravvenuta qualora il negozio, per una circostanza sopravvenuta, perda un requisito essenziale. G. D’AMICO, “Regole di validità” e principio di correttezza nella formazione del contratto, in Riv. dir. civ., 2002, 1, 1, p. 37 522 A. ALBANESE, Violazione di norme imperative e nullità del contratto, Napoli, 2003, p. 96 523 G. CRISCUOLI, La nullità parziale del negozio giuridico: teoria generale, Milano, 1959, passim; P.M. PUTTI, La nullità parziale: diritto interno e comunitario, Napoli, 2002, passim. 524 G. FILANTI, Inesistenza e nullità del negozio giuridico, Napoli, 1983, passim 525 G.B. FERRI, Il contratto in generale, in Tratt. Bessone, XIII, p. 7-27 521 167 Quanto, poi, alle cause di nullità, la lettera dell’art. 1418 cod. civ. fornisce un elenco delle ipotesi in cui il contratto, affetto da specifici vizi, viene sanzionato con la nullità. Non raramente, tuttavia, accade di trovarsi di fronte a norme di legge che vietano il compimento di un determinato negozio senza però prevedere espressamente la sanzione della nullità per il caso in cui il predetto divieto sia violato. In questa ipotesi si parla di nullità virtuale proprio in quanto la legge non dispone una specifica sanzione, diversa dalla nullità, da doversi applicare. Il primo comma dell’art. 1418 disciplina la cosiddetta nullità virtuale526. Le fattispecie previste nel secondo comma della norma integrano, invece, le specifiche ipotesi di nullità dovute alla presenza di un vizio dal quale sia affetto uno o più elementi essenziali del contratto527. Il richiamo è, infatti, ai requisiti del contratto tipicamente previsti alla lettera dell’art. 1325 cod. civ., i quali potranno essere viziati nel senso di mancanza o di illiceità di essi528. Tra le cause di nullità vi sono, quindi, la mancanza di accordo, l’assenza o l’illiceità della causa, la carenza dell’oggetto del contratto o di uno dei requisiti specifici dell’oggetto di cui all’art. 1346 cod. civ., la mancanza della forma quando quella determinata forma sia prescritta dalla legge a pena di nullità del contratto. Si discute se il contratto simulato integri o meno un’ipotesi di nullità529. Il dubbio dal quale è sorta la vexata quaestio trova la sua origine nella stessa formulazione testuale dell’art. 1414 cod. civ. in cui il legislatore, nel disporre che il contratto simulato non produce effetto fra le parti, non ha chiarito se si tratti di una mera inefficacia o se piuttosto l’inefficacia sia da intendersi quale conseguenza della invalidità, in termini di nullità, del contratto stesso530. Ripercorrendo, per così dire, i momenti topici della nota categoria della nullità codicistica, occorre chiarire che la regola in forza della quale alla nullità del contratto si ricollega pacificamente la inefficacia dello stesso conosce delle eccezioni, che si possono rintracciare nella stessa lettera della legge531. In alcuni limitati casi, il contratto nullo produce effetti, seppure indiretti, 526 U. BRECCIA, Il contratto in generale, in Tratt. Bessone, XIII, p. 3-155 G. VETTORI, Regole di validità e di responsabilità di fronte alle Sezioni Unite. La buona fede me rimedio risarcitorio, in Obbligaz. e contr., 2008, p. 104 ss. 528 F. DI MARZIO, La nullità del contratto, Padova, 2008, passim 529 F. GALGANO, Della simulazione. Della nullità del contratto. Dell’annullabilità del contratto, art. 1414-1446, in F. GALGANO (a cura di), Commentario del Codice civile Scialoja-Branca, Bologna, 1998, passim. 530 In giurisprudenza, si è affermato che il contratto è nullo in toto qualora si tratti di simulazione assoluta, mentre, nel caso di simulazione relativa, è nullo soltanto il negozio simulato. Sul punto si veda Cass. 6 marzo 1970 n.578 in Giur. it., 1970, I, 1, c. 1656 531 L. BIGLIAZZI GERI, Contributo ad una teoria dell’interesse legittimo nel diritto privato, Padova, 1967, passim. 527 168 tra le parti o nei confronti dei terzi, che tuttavia non si possono definire propriamente positivi, quanto piuttosto un’attenuazione degli effetti negativi della nullità. Basti pensare alla disciplina della conoscenza delle cause di invalidità, di cui all’art. 1338 cod. civ., secondo cui “la parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per aver confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto”; o, ancora, a quanto previsto all’art. 1415 cod. civ. in materia degli effetti della simulazione rispetto ai terzi, o, infine, nell’ambito del diritto del lavoro e del diritto delle società, a quanto statuito rispettivamente alle lettere degli artt. 2126 e 2332 secondo comma cod. civ. In queste due ipotesi il legislatore, nel tenore della disciplina espressamente dettata, ha dato netta prevalenza all’operatività del principio di conservazione del contratto, principio che, pur essendo espressamente dettato all’art. 1367 cod. civ. e costituendo esso stesso uno dei pilastri della materia contrattuale, generalmente in materia di nullità è destinato a lasciare spazio alla operatività della inefficacia del contratto viziato, dal momento che il significato specifico di tale inefficacia, che costituisce una conseguenza legale delle cause di nullità, e quindi sottratta al potere di disposizione delle parti, si rintraccia nel fatto che la nullità è istituto posto a tutela di interessi di carattere generale, pertanto si colloca in un ambito di operatività che trascende la mera funzione di garanzia della posizione della parte contraente che abbia subito un pregiudizio in sede di formazione del contratto (come invece avviene nel caso della annullabilità, sanzione volta a punire i vizi che attengono al momento formativo della volontà di uno dei contraenti 532). Uno dei tratti che contraddistinguono la figura della nullità codicistica consiste nella legittimazione attiva all’azione, che spetta a chiunque vi abbia interesse, nonché nella rilevabilità d’ufficio da parte del giudice, in ogni stato e grado del giudizio. L’individuazione dei soggetti legittimati passivi appare piuttosto complicata dal momento che occorre distinguere due circostanze: se l’azione di nullità è esperita al fine di risolvere la controversia in via definitiva e con forza di giudicato, allora il giudizio deve svolgersi nei confronti di tutte le parti, con la conseguenza per cui si 532 L’art. 2126 c.c. statuisce, infatti, al primo comma, che “la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa”; il secondo comma dell’art. 2332 dispone che “la dichiarazione di nullità non pregiudica l’efficacia degli atti compiuti in nome della società dopo l’iscrizione nel registro delle imprese”. 169 instaura un litisconsorzio necessario; se, invece, con l’azione di nullità si mira a difendere posizioni giuridiche altrimenti pregiudicate dall’atto nullo, allora il processo dovrà svolgersi soltanto nei confronti dei soggetti interessati e dei controinteressati alla difesa di tali posizioni giuridiche, pertanto in questo caso la sentenza ha forza vincolante soltanto tra tali soggetti. La necessaria garanzia, che l’ordinamento fornisce all’interesse generale, che si sostanzia nella possibilità di effettuare, in ogni tempo, l’accertamento della situazione effettiva, comporta la fisiologica imprescrittibilità dell’azione di nullità, secondo quanto dispone il testo dell’art. 1422 cod. civ533. La disciplina codicistica della nullità del contratto presenta due punti peculiari che si concretizzano l’uno nella previsione concernente la nullità parziale e l’altro nella norma che ha riguardo alla possibilità di conversione del contratto nullo534. Quanto al primo, l’art. 1419 primo comma cod. civ., nel prevedere che “la nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità”, costituisce una particolare eccezione al requisito della assolutezza che è proprio della categoria della nullità, essendo tale espressa deroga generalmente giustificata, in dottrina ed in giurisprudenza, mediante il ricorso al su richiamato principio di conservazione del contratto, di cui all’art. 1367 cod. civ., dettato nell’ambito dell’interpretazione del contratto. Analogamente, nel caso di nullità nel contratto plurilaterale, l’art. 1420 cod. civ. recepisce il principio utile per inutile non vitiatur per cui lo scioglimento del vincolo nei confronti di una sola parte non determina lo scioglimento dell’intero rapporto contrattuale, a meno che la partecipazione di quella parte non debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale535. Il tenore del disposto di cui all’art. 1419 primo comma cod. civ. prende in considerazione l’ipotesi in cui la nullità non coinvolga l’intero contratto, quanto piuttosto una clausola o una parte dello stesso, ponendo il sindacato sulla validità/invalidità dell’intero documento nelle mani del criterio di essenzialità della parte o della clausola affetta da nullità, con il conseguente gravoso problema, a carico dell’interprete, di verificare se la 533 G. IUDICA, Impugnative contrattuali e pluralità di interessati, Padova, 1973, passim. E. BETTI, v. Conversione del negozio giuridico (diritto vigente), in Nov. Dig., IV, p. 811 535 F. MESSINEO, Contratto plurilaterale, in Enc. dir., X, Milano, 1962, p. 154, chiarisce un dato essenziale della figura in esame, affermando che “il fenomeno della variabilità del numero delle parti, compatibile con la figura del contratto, non si concilia con la figura del negozio plurilaterale. Questo non è un negozio aperto”. 534 170 valutazione dell’essenzialità sia da compiere sulla base degli elementi oggettivi o soggettivi che hanno riguardo a quella determinata dinamica negoziale536. Il secondo comma dell’art. 1419 cod. civ. detta, poi, la disciplina del fenomeno della sostituzione automatica delle clausole contrattuali nulle con norme imperative, statuendo specificamente che “la nullità di singole clausole non importa nullità, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative”. E’, questo, un fenomeno di eterointegrazione che si compie, quindi, esulando dagli interessi delle parti e prediligendo la tutela di interessi generali che vengono salvaguardati nel momento in cui vi è completezza nella disciplina della produzione degli effetti del contratto537. Si può, pertanto, asserire che il primo comma sia a tutela dell’autonomia privata, mentre con il secondo comma emerge il tratto marcatamente “pubblicistico” che contraddistingue la nullità dalla annullabilità nell’ambito della categoria dell’invalidità negoziale538. Quanto al problema della conversione del negozio nullo, soccorre la norma di cui all’art. 1424 cod. civ. secondo cui “il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma, qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità”539. Questa norma ha in comune con quella della nullità parziale la evidente ispirazione al principio di conservazione del contratto540. Tuttavia, l’operatività di tale principio in questo caso non comporta, come avviene invece nel caso di nullità parziale, l’eliminazione della 536 S. D’ANDREA, La parte soggettivamente complessa. Profili di disciplina, Milano, 2002, p. 93 ss. 537 B. DE GIOVANNI , La nullità nella logica del diritto, Napoli, 1964, passim. L’argomento della nullità contrattuale è da affrontare nella cornice dell’odierno significato che, nel profondo, assume la categoria della libertà contrattuale, la quale attualmente si sostanzia nel fenomeno dei contratti standard, che ne ridisegnano i confini e le potenzialità, inducendo il giurista a ripercorrere i momenti salienti della distinzione tra libertà contrattuale in senso formale ed in senso sostanziale, come evidenziato da G. ALPA, Autonomia delle parti e libertà contrattuale, oggi, in Riv. crit. dir. priv., 2008, 4, p. 593 ss. 539 G. GANDOLFI, La conversione dell’atto invalido, Milano, 1984, passim. Nonché S. TANDOI, La conversione del negozio nullo: confermata la rilevanza dello scopo perseguito, in I Contratti, 2005, 10, p. 888, in cui, nell’esaminare una pronuncia della Suprema Corte in cui si afferma che ai fini dell’operatività dell’art. 1424 c.c. occorre che siano soddisfatti i presupposti della presenza nell’atto nullo dei requisiti di sostanza e di forma necessari per l’atto sostitutivo e che esso sia conforme allo scopo perseguito dalle parti contraenti, osserva come l’indagine sull’atto di autonomia negoziale stia spostando il fuoco prospettico da quello della volontà reale delle parti contraenti a quello della volontà ipotetica e degli intenti pratici, in ossequio alle tendenze giurisprudenziali di carattere europeo. 540 C. CAMARDI, Contratti di consumo e contratti tra imprese. Riflessioni sull’asimmetria contrattuale nei rapporti di scambio e nei rapporti “reticolari”, in Riv. crit. dir. priv., 2005, p. 570, osserva che “la cosiddetta asimmetria di posizione contrattuale e la conseguente tutela del cosiddetto contraente debole vanno definiti nel contesto proprio dei rapporti di rete”. 538 171 clausola o della parte viziata, quanto piuttosto si converte il negozio nullo in un altro negozio diverso da quello originariamente programmato dalle parti, attuando, così, una sorta di riduzione funzionale del negozio stesso541. Ciò sarà possibile sul presupposto per cui la sostanza, ovvero il contenuto del negozio nullo, sia idoneo a permettere che si riconduca all’ambito di questo il nuovo negozio, e che la forma del negozio nullo sia compatibile con quella richiesta per il negozio nuovo542. Vi è, poi, necessità che vi sia identità di soggetti, il che vale a dire tra le parti dei due negozi, malgrado la lettera della legge non lo statuisca espressamente543. Dopo aver richiamato in breve i tratti che contraddistinguono la categoria della nullità contrattuale per come essa è stata prevista e disciplinata nel tenore del Codice del 1942, si passerà ora alla disamina della nullità per come essa è ambientata nel contesto postmoderno544. 3. Se, a partire dall’entrata in vigore del Codice civile del 1942 fino a tempi piuttosto recenti, l’invalidità negoziale ha occupato il posto di categoria autonoma, unitariamente suddivisa in due pacifiche articolazioni interne, in cui si sostanziano la figura della nullità e quella dell’annullabilità, costituendo la normativa codicistica stessa la regolamentazione di riferimento dell’intero fenomeno, attualmente non è invece possibile ricondurre la materia esclusivamente alle previsioni generali contenute negli artt. 1418 e seguenti cod. civ., a fronte della presenza di una massiccia e corposa legislazione speciale che, nel disciplinare la materia qui in argomento, apporta testuali deviazioni rispetto alle regole appena richiamate545. Negli ultimi anni, le scelte legislative, dettate dalle esigenze, di segno esclusivamente economico, dei gruppi di potere maggiormente influenti sul mercato, hanno significato lo stravolgimento della disciplina generale del contratto e delle sue categorie ordinanti, giungendosi, in particolare nel campo dell’invalidità, ad un assetto quasi sovversivo della disciplina codicistica546. Anche senza volersi G. OPPO, I contratti d’impresa tra codice civile e legislazione speciale, in Studi in onore di C.M. Bianca, III, Milano, 2006, passim; nonché ID., Categorie contrattuali e statuti del rapporto obbligatorio, in Riv. dir. civ., 2006, 6, 43 542 A. D’ADDA, Nullità parziale e tecniche di adattamento del contratto, Padova, 2008, p. 145 ss. 543 M. MANTOVANI, Le nullità e il contratto nullo, in V. ROPPO (a cura di), Tratt. contr., V, Milano, 2006, p. 43 ss. 544 V. SCALISI, Contratto e regolamento nel piano d’azione delle nullità di protezione, in Studi in onore di C.M. Bianca, Milano, 2006, III, p. 837 545 G. D’AMICO, Nullità virtuale – Nullità di protezione (Variazioni sulla nullità), in Contratti, 2009, p. 727 ss. 546 Sul punto, è condivisibile l’osservazione di V. ROPPO, Il contratto del duemila, Torino, 2005, p. 15, in cui egli considera che “gli artt. 1418 – 1424 c.c. sembrano oramai disegnare un paradigma 541 172 spingere a condividere un approccio tanto estremo alle novità normative che hanno riguardo al fenomeno della nullità contrattuale, rimane comunque pacifico che, nelle contingenze contemporanee, sia necessaria una rilettura della disciplina tradizionale, in modo tale da trovare una prospettiva di conciliabilità tra la medesima e le emergenti istanze, al fine di riuscire a dare alle nuove discipline anomale della materia una collocazione sistematica all’interno dell’ordinamento giusprivatistico547. Per poter compiere tale passo, bisogna preliminarmente accettare che le varie autonome figure extracodicistiche di “nullità speciale” sono entrate a far parte del panorama generale delle fonti del diritto privato interno, per cui il nucleo del problema ruota attorno alla indagine circa la possibilità che esse siano ricondotte alla categoria tradizionale, o piuttosto, che rimangano figure a sé stanti548. Per affrontare questo argomento, è stato indispensabile ripercorrere i tratti salienti, le peculiarità nonché la ratio sottesa alla categoria tradizionale della nullità549. Con il giusto sostrato, ci si può quindi soffermare sulla materia delle clausole vessatorie contenuta, in un primo momento, nella novella al Codice civile operata mediante l’introduzione degli artt. 1469-bis e seguenti550 e, successivamente, nelle previsioni del Codice del Consumo, alle lettere degli artt. 33 e seguenti, interventi in seguito ai quali si è realmente posto il problema della configurazione dogmatica della figura della nullità relativa, unitamente alla necessità di verificare la compatibilità di queste nuove disposizioni con la disciplina generale di cui agli artt. 1418 e seguenti cod. civ551. Già nella prima disciplina consumeristica, l’art. 1469-quinquies cod. civ. sanciva una forma di inefficacia, limitata alle singole clausole reputate vessatorie, la quale inefficacia operava soltanto a vantaggio del consumatore ed era rilevabile d’ufficio552. Già in ciò vi era la prima evidente deroga al tenore generale codicistico di cui all’art. 1419 cod. civ., residuale, di fronte alla proliferazione delle nullità speciali; e ciascuna di queste sembra andare per conto proprio, sicché dall’insieme di esse non si riescono neppure a enucleare le linee di un coerente paradigma alternativo”. 547 A. ALBANESE, Contratto. Mercato. Responsabilità, Milano, 2008, p. 83 ss. 548 Sulla pluralità delle figure di nullità speciale cfr. A. GENTILI, Nullità annullabilità inefficacia (nella prospettiva del diritto europeo), in Contratti, 2003, 2, p. 203-205 549 F. SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 2002, passim. 550 La disciplina delle clausole vessatorie nella materia consumeristica è di matrice comunitaria. Essa è stata dettata all’interno della Direttiva 93/13/CEE del 5 aprile 1993 ed è stata recepita nel nostro ordinamento per la prima volta attraverso l’art. 25 della legge 6 febbraio 1996, n. 52, con il quale è stato novellato il Libro IV, Titolo II, del Codice civile, mediante l’introduzione di tali articoli, sotto la rubrica “contratti dei consumatori”. 551 R. SCOGNAMIGLIO, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1950, passim. 552 Sul punto cfr. E. GABRIELLI – A. ORESTANO, v. Contratti del consumatore, in Digesto. Disc. Priv., sez. civ., Agg., Torino, 2000, p. 256 – 258. 173 in quanto non era previsto, prima di questo momento, che il vizio potesse inficiare soltanto una parte del negozio, e che le sorti del negozio potessero essere affidate al contegno nonché alla scelta del contraente debole: il consumatore553. L’ingresso nel Codice554 della suddetta disciplina ha mostrato gradualmente i problemi di compatibilità dell’innovazione con la categoria tradizionale, anche perché in origine si parlava di “inefficacia” delle clausole vessatorie, piuttosto che di “nullità”. E’ stata proprio la comparsa della parola “nullità” all’interno del Codice del Consumo che si è incaricata, per quanto attiene al settore del consumatore, di rappresentare in maniera dirompente il punto di frattura della concezione unitaria, fino ad ora pacifica, della nullità, o, forse, piuttosto, l’impulso evolutivo della categoria tradizionale, ove si voglia guardare al nuovo come ad una soluzione di continuità rispetto a ciò che c’è già555. Di qui, sorge allora spontaneo domandarsi se la necessità delle nuove molteplici autonome figure di nullità valga a dimostrare la sussistenza di limiti funzionali della categoria usuale. Già dalla rubrica dell’art. 36 Cod. cons., “nullità di protezione”556, risulta agevole osservare come non si debba 553 La necessità che il contraente debole, grandemente esposto agli abusi in sede di accettazione di condizioni generali di contratto, sia efficacemente tutelato, è posta in risalto da C. GARUFI, Condizioni generali di contratto: per le clausole vessatorie, comunque evidenziate, ritrascritte o richiamate, occorre ulteriore e separata sottoscrizione, in Dir. e giust., 2010, p. 21 ss. 554 Vicenda, questa, che non è avvenuta del tutto in silenzio, né senza alcune preoccupazioni e perplessità. Sul punto cfr. A. GENTILI, Codice del consumo ed esprìt de géométrie, in Contratti, 2006, p. 155; A. PALMIERI, Arriva il Codice del consumo: riorganizzazione (tendenzialmente) completa tra addii ed innovazioni, in Foro It., 2006, V, c. 77; G. DE CRISTOFARO, Il “codice del consumo”: un’occasione perduta?, in Studium Iuris, 2005, p. 1137; L. ROSSI CARLEO, La codificazione di settore: il Codice del Consumo, in Rass. Dir. civ., 2005, p. 879; E-M- TRIPODI, Diritto dei consumatori e codice del consumo- Postille al d. lgs. 206/2005, in Discipl. Comm., 2005, p. 781; L. DELOGU, Anche in Italia un Codice del consumo?, in Contr. e impr./Eur., 2003, p. 1349. 555 N. SCANNICCHIO, Il diritto privato europeo nel sistema delle fonti. I presupposti per la formazione del diritto privato europeo, in N. LIPARI (a cura di), Diritto privato europeo, Padova, 2003, I, p. 29-290 556 Sulla funzione che è deputato ad assolvere il “neoformalismo” sostanziatosi, già prima della venuta ad esistenza del Codice del Consumo, in quella, se si vuole, preoccupante congerie di leggi speciali attraverso le quali è stata statuita la forma scritta per i contratti del mercato finanziario (art. 23-24 d. lgs. 1998 n. 58), per quelli di subfornitura (art. 2 l. 1998 n. 192), per quelli bancari (art. 117 d. lgs. 1993 n. 385 TUB), nonché per la multiproprietà (art. 3 d. lgs. 1998 n. 427, ora confluita negli artt. Cod. cons.) e il franchising (art. 3 l. 2004 n. 129), E. MORELATO, Neoformalismo e trasparenza contrattuale, in Contr. Impr., 2005, 2, p. 592, opportunamente osserva come si tratti di “vincoli formali che trovano applicazione in contesti in cui non ricorrono le finalità, né i presupposti tradizionali della forma scritta ad substantiam. La stessa autrice prosegue, p. 596 – 597, rilevando come “la forma vincolata, quale manifestazione del neoformalismo”, possa primariamente assolvere ad una “funzione di certezza della vicenda contrattuale”, compiendo, sulle orme dei passi compiuti da Irti nella sua analisi del requisito formale del diritto potestativo di recesso in capo al conduttore ex art. 4 l. 1978 n. 392, nonché su quello previsto per la disdetta nel contratto d’affitto ex art. 4 secondo comma l. 1982 n. 203, la ricostruzione funzionale del complesso e avvincente iter del principio della libertà di forma, fino al formalismo degli anni Ottanta e al neoformalismo dell’epoca attuale, nella sintetica ma pregnante affermazione secondo cui “la forma serve a garantire e a fissare il dialogo tra opposte categorie di contraenti”. Una funzione diversa da quella con la quale è stato per molti anni aduso a misurarsi il giurista tradizionale. Si passa dunque da uno strumento di tutela 174 ravvisare la giustificazione della introduzione delle nuove nullità nella inidoneità della figura tradizionale ad assolvere il proprio ruolo, in quanto qui viene piuttosto in considerazione una diversa operatività della nullità consumeristica rispetto a quella codicistica generale557. Il discorso non va, pertanto, impostato in chiave di ricerca dei limiti, ma di emersione di diverse e specifiche esigenze della realtà concreta tali per cui si è reso necessario affiancare alla consueta nullità le nuove figure. Del resto, le categorie vengono create dagli stessi operatori del diritto con lo scopo di ordinare i fenomeni della concreta e pragmatica realtà sociale558. Se, quindi, con la nullità di cui agli artt. 1418 e seguenti cod. civ. l’ordinamento ha apprestato uno strumento di tutela degli interessi pubblici contro tutte quelle manifestazioni dell’autonomia negoziale non ossequiose dei precetti di legge, con la nullità contenuta nel Codice del consumo il legislatore, con un intervento normativo che, nella sua sostanza, è di chiara derivazione comunitaria, ha inteso approntare una forma di garanzia di un contraente, quello debole, nella dinamica della negoziazione559. Qui si coglie il passaggio del concetto di nullità dalla funzione sanzionatoria a quella di tutela. Lo strumento in esame non è qui schierato dalla parte dell’ordinamento, super partes, e collocato all’esterno della scena in cui viene ambientata l’autonomia negoziale, quanto piuttosto all’interno della negoziazione, ed è precisamente schierato dalla parte di un soggetto contraente, a garanzia di questo nei confronti dell’altro. Il punto risulta, pertanto, chiarito, laddove si riesca a condividere che la nullità ha conosciuto, per così dire, un aumento dei propri compiti. Ciò ha, tuttavia, portato con sé l’esigenza di delineare nuovi tratti strutturali suscettibili di permettere il conseguimento dell’obiettivo di tutela appena descritto. Se si osservano i tratti identificativi della nullità consumeristica, si noterà che essa costituisce una sorta di evoluzione di una mera inefficacia (tanto più che, nel testo del Codice del Consumo, è scritto che le clausole abusive “non sono vincolanti” – leggasi: sono inefficaci – per il consumatore), o comunque di un ibrido tra mera inefficacia e nullità/annullabilità codicistiche. La nullità di protezione è foriera di una invalidità relativa della clausola viziata, la quale è degli interessi pubblici e dell’ordinamento ad una, per così dire, “mano invisibile” che si insinua nella dinamica del rapporto negoziale con lo scopo di garantire certezza alla vicenda contrattuale. 557 U. NATOLI, Diritti fondamentali e categorie generali, Milano, 1993, p. 426. 558 G. OPPO, Categorie contrattuali e statuti del rapporto obbligatorio, in cit., p. 43 ss. 559 G. CIAN, Contratti civili, contratti commerciali e contratti d’impresa: valore sistematicoermeneutico delle classificazioni, in Riv. dir. civ., 2004, 6, 1, p. 849 175 rilevabile d’ufficio560. Se, da un lato, si tratta di una nullità azionabile solo da una parte del contratto, dall’altro, l’intervento autoritativo del giudice può sostituirsi al consumatore nel decidere le sorti del negozio, cosa che potrebbe anche, a voler essere polemici, o forse soltanto critici, verso questa proliferante produzione normativa, porsi in contrasto con le esigenze effettive del consumatore stesso561. In ogni caso, questo impasse concettuale è stato superato mediante l’interpretazione del testo di legge volta a limitare la rilevabilità d’ufficio ai soli casi in cui il consumatore stesso non abbia manifestato espressamente una sua volontà sanante, o perfino non abbia posto in essere alcun comportamento concludente dal quale quest’ultima possa essere desunta562. In ogni caso, il potere/dovere d’indagine della concreta situazione negoziale, di cui è titolare il giudice nell’esercizio della propria funzione, include una scrupolosa valutazione, da parte di questo, di tutte le potenziali conseguenze del suo intervento sulla sfera degli interessi del consumatore, nonché delle intenzioni di quest’ultimo563. Per cui si dovrà valutare se nell’effettivo caso di specie la clausola in esame sarà suscettibile di apportare al consumatore soltanto svantaggi o se, invece, pur essendo essa nel suo contenuto difforme dalle prescrizioni di legge, non sia piuttosto in grado di soddisfare gli interessi che la parte debole abbia in concreto manifestato564. Una volta chiarito che le nuove figure di nullità, lungi dal segnare il declino e la sconfitta della categoria tradizionale, costituiscono soltanto espressione di emergenti situazioni economiche e sociali che necessitano di strumenti giuridici di tutela ad hoc, rimane ora l’annosa questione della qualificazione sistematica della nullità anomala contenuta nel Codice del consumo, dal momento che il legislatore si è limitato a definirne sommariamente i tratti somatici, senza dettarne la collocazione strutturale. Il problema trova il suo fulcro nel tenore dell’art. 134 Cod. cons. e nella lettura di questo in combinato disposto con l’art. 36 Cod. cons. Se è ormai fuor di dubbio il carattere relativo e parziale dell’invalidità di cui all’art. 134, rimane tuttora aperta la questione dell’inquadramento di questa nullità relativa nella cornice sistematica. E Sulla rilevabilità d’ufficio delle nullità di protezione cfr. G. BONFIGLIO, La rilevabilità d’ufficio delle nullità di protezione, in Riv. Dir. priv., 2004, p. 861 561 Sull’argomento amplius cfr. G. GIOIA, Nullità di protezione tra esigenze del mercato e nuova cultura del contratto conformato, in Corr. Giur., 1999, p. 600. 562 A. LUMINOSO, Il contratto nell’Unione Europea: inadempimento, risarcimento del danno e rimedi sinallagmatici, in I Contratti, 2002, 11, p. 1037 563 F. CRISCUOLO, Autonomia negoziale e autonomia contrattuale, IV, 1, in P. PERLINGIERI (diretto da) Tratt. dir. civ. Consiglio Nazionale del Notariato, Napoli, 2008, passim. 564 A. GENTILI, Le invalidità, in I contratti in generale, II, in P. RESCIGNO (diretto da), Tratt. contr., Torino, 2006, p. 1545 560 176 se tutti questi problemi fossero infondati in quanto originati esclusivamente da un nomen iuris (quello di nullità di protezione) dato dal legislatore in modo atecnico ed inappropriato, come sovente accade nei recenti testi normativi, ad uno strumento che in realtà non presenta alcuna connessione con la categoria della nullità di cui all’art. 1418 cod. civ.? “Tanto rumore per nulla”, verrebbe da dire! Se, certamente, l’art. 134 Cod. cons. costituisce l’emblema di un trend legislativo settoriale volto a dettare una normativa di protezione fondata su alterazioni allo statuto codicistico delle invalidità negoziali, mediante il ricorso al nomen iuris di nullità per fattispecie che, se, da un lato, sono caratterizzate dalla rilevabilità d’ufficio, dall’altro, presentano il requisito della limitata legittimazione ad agire, non si ritiene tuttavia di poter liquidare così pacificamente l’argomento. E ciò in quanto, anche a voler tralasciare la questione nullità anomale – nullità codicistica, il problema si ripropone con impellenza, oggigiorno, investendo tutte le categorie generali del diritto dei contratti565. Con la conseguenza per cui, affrontare questo argomento con riguardo alla nullità, non costituisce altro che un utilissimo allenamento per poter creare una nuova concezione della categoria, da intendersi non più come vertice di una piramide rispetto alla quale ricondurre, a cascata, tutti i fenomeni che presentino i requisiti per poter essere ascritti alla medesima, e dove ai vari livelli della piramide corrisponda un maggiore o minore grado di specialità della disciplina per determinate fattispecie, quanto piuttosto come una etichetta da apporre su un contenitore al cui interno vi sono a loro volta tanti contenitori, di uguali dimensioni, autonomi gli uni dagli altri566. Perciò, se si esclude l’impostazione per cui nel Codice del consumo, così come negli altri luoghi della legislazione di settore, il termine nullità è stato usato commettendo un errore linguistico, allora si potrà considerare che la categoria delle nullità (al plurale) è composta da una molteplicità di figure autonome, rispetto alle quali quella codicistica ne è soltanto una, che hanno alcuni elementi in comune tali per cui vengano ricondotte alla medesima categoria (in particolare, con riguardo alla nullità di protezione, la rilevabilità d’ufficio567). Per fare ciò, si deve abbandonare l’abitudine al voler leggere ad ogni 565 N. SCRIPELLITI, Tecniche di protezione del contraente debole, tra Codice del consumo, disciplina speciale delle locazioni e Codice civile, in Arch. locaz. e cond., 2008, 6, p. 603 566 R. CALVO, Il risparmiatore disinformato tra poteri forti e tutele deboli, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2008, 4, p. 1431 567 Il tenore del terzo comma dell’art. 36 cod. cons. espressamente prevede che “la nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice”. Sul punto P. CHIRICO, Commento sub art. 36 cod. cons., in E. CESARO (a cura di), I contratti del consumatore – Commentario al Codice del consumo (d. lgs. 6 settembre 2005 n. 206), Padova, 2007, p. 590 177 costo in chiave sistematica, e quindi tramite il principio di specialità, le nuove figure che segnano il passaggio dall’utilizzo al singolare all’utilizzo al plurale dei vari termini che individuano ciascuna delle diverse categorie contrattuali568. Alla categoria non corrisponde più una figura, ma una molteplicità di figure provenienti dai diversi settori dell’esperienza concreta nei quali la categoria viene, di volta in volta, creata e resa operativa569. 4. Viene in considerazione in questo discorso anche la causa, sia quale categoria contrattuale che conosce anch’essa, in quest’epoca, rilevanti mutamenti rispetto alla sua configurazione originaria, sia quale requisito essenziale del contratto nonché quale fonte di nullità negoziale, nel caso in cui la causa sia illecita o manchi del tutto570. Per molti decenni, il concetto di causa del contratto si è posto al centro di ogni dibattito sull’autonomia negoziale, dal momento che la causa stessa costituisce un ponte tra gli interessi dei soggetti privati e gli strumenti negoziali che l’ordinamento mette a disposizione affinché tali interessi possano essere perseguiti571. La causa va, quindi, intesa quale essenziale momento di raccordo tra la posizione dei soggetti privati e l’ordinamento. Nel corso degli anni il concetto di causa è stato riempito di significati specifici diversi, negli ambienti della dottrina, con il conseguente avvicendarsi di teorie e tentativi di definizione dell’istituto, del quale lo stesso legislatore del 1942 ha preferito omettere di dettare la nozione, osserva che “la regola della rilevabilità di ufficio a vantaggio del consumatore introduce un principio volto a facilitare l’onere probatorio sia da parte del singolo consumatore che dell’ente collettivo che agisce nell’interesse della categoria dei consumatori. In tal senso, si afferma che eventuali carenze nell’allegazione dei profili di abusività delle clausole possono essere colmati dal giudice”. 568 E. LUCCHINI GUASTALLA, Sul rapporto tra parte generale e parte speciale della disciplina del contratto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2004, I, p. 379. 569 M. COSTANZA, Il contratto e il negozio: due non categorie, in Vita Not., 1988, 4-5, p. 500 570 La mancanza della causa si verifica ogniqualvolta il contratto che le parti hanno concluso non menzioni la propria ratio giustificatrice, e questa eventualità è da tenere distinta dalla figura della illiceità della causa la quale viene in considerazione nel caso in cui la ratio giustificatrice che sorregge la specifica operazione, pur essendo stata esplicitata e menzionata all’interno del contratto, incontra la disapprovazione dell’ordinamento. In quest’ultimo caso, a seconda della modalità in cui si verifica la contraddizione della causa concreta rispetto all’ordinamento, si prospettano tre ipotesi distinte: quella del contratto illecito, del contratto illegale, del contratto immorale. 571 L’iter attraverso cui la causa è giunta a ricoprire tale ruolo di preminenza nel discorso sulla materia del contratto ha conosciuto, storicamente, una vera e propria evoluzione in seguito alla quale si è assistito al passaggio dalla causa dell’obbligazione alla causa del contratto. G.B. FERRI, L’”invisibile” presenza della causa del contratto, in Eur. e dir. priv., 2002, 4, p. 898, argomentando in merito alla assenza dell’elemento della causa dalle codificazioni contemporanee, dovuta certamente alla impossibilità di delineare un univoco concetto di causa che sia familiare ai diversi ordinamenti nazionali, ricorda che “i codici francese ed italiano, che fanno riferimento alla causa, quale elemento del contratto, la intendono in maniera non univoca; nell’esperienza francese e nell’esperienza italiana del codice civile del 1865 la causa è (ed era) intesa come “causa dell’obbligazione”, mentre nell’attuale esperienza italiana la causa è “causa del contratto”. 178 probabilmente nella lungimirante intuizione che la causa, al pari della buona fede, dell’equità e degli altri cosiddetti “concetti-valvola”, è uno degli strumenti di integrazione dell’ordinamento con la realtà concreta, ed, in quanto tale, suscettibile, quindi, di assumere significati specifici diversi a seconda delle epoche storiche e delle esigenze della collettività572. Con l’entrata in vigore del Codice del 1942, la dottrina ha subito iniziato a lavorare per elaborare una nozione del concetto di causa del contratto573. Dopo il non grande successo conosciuto dalla teoria soggettiva, secondo la quale la causa andava ravvisata nel momento ultimo delle ragioni che risiedono nella sfera psichica e volitiva individuale e nello scopo soggettivo, ha prevalso per moltissimo tempo la teoria oggettiva, imperniata sulla definizione di causa quale funzione economico-sociale del contratto. Sulle orme di quanto espresso nella Relazione al Codice, i sostenitori di questa teoria, largamente accreditata, hanno argomentato a partire dalla considerazione secondo cui l’approccio alla causa deve essere condotto non in termini di strumento posto al servizio degli interessi delle parti contraenti, quanto piuttosto come mezzo tecnico attraverso cui l’ordinamento compie la verifica della meritevolezza di tutela degli interessi privati e della riconducibilità di quegli interessi alle finalità che l’ordinamento stesso persegue e garantisce574. Alla causa è stato, quindi, demandato il compito di svolgere il controllo circa la sussistenza della meritevolezza di tutela degli interessi perseguiti in concreto dai soggetti privati: la causa, difensore dell’ordinamento, verrebbe da dire575. Questa teoria, per quanto sia stata formulata P. DUVIA, La sostituzione automatica di clausole nell’art. 1419, comma 2, cod. civ., in Riv. dir. priv., 2008, 4, p. 789 ss., indaga sul corretto significato da attribuire alla “automaticità” del meccanismo di sostituzione delle clausole nulle, ricordando che questo strumento, mutuato dall’esperienza del diritto del lavoro, ha conosciuto il suo momento apicale negli anni sessanta proprio a fronte del consolidarsi della legislazione vincolistica, assurgendo ad elemento di forte limitazione dell’autonomia privata, con la conseguenza per cui il nucleo del problema va spostato nella direzione della individuazione delle condizioni in presenza delle quali la sostituzione possa definirsi correttamente “automatica”, problema di non poca rilevanza se si considera che l’ambito di operatività del secondo comma dell’art. 1419 c.c. esclude l’applicabilità del primo comma della medesima norma. Nel ricordare che il primo comma si inquadra nell’alveo dei principi di economicità e di conservazione del contratto in ossequio alla volontà delle parti, l’Autore pone in risalto come invece il secondo comma, la cui ratio è da ravvisare nell’esigenza di tutela di interessi di carattere generale, da ricondurre peraltro al meccanismo dell’integrazione legale, esprime un intento sanzionatorio del legislatore, indirizzato ad una sola o ad entrambe le parti, a seconda dell’interesse che ciascuna di essa aveva con riguardo alla clausola automaticamente sostituita dalla norma imperativa. 573 C. CASTRONOVO, Diritto privato generale e diritti secondi. La ripresa di un tema, in Eur. dir. priv., 2006, p. 397 574 R. CAPONI, Azione di nullità (profili di teoria generale), in Riv. dir. civ., 2008, 1, p. 59 575 Non si tralasci tuttavia l’operatività della causa anche quale criterio di qualificazione del contratto. Sul punto cfr. A. BARENGHI, Qualificazione, tipo e classificazione dei contratti, cit., p. 308. 572 179 molto autorevolmente ed abbia accolto un grande consenso, ha mostrato tuttavia alcune intrinseche contraddizioni non trascurabili. Si pensi al problema della ammissibilità della illiceità della causa nei contratti tipici576. La concezione della causa quale mezzo di controllo dell’ordinamento sull’autonomia privata mal si è andata adattando alle nuove esigenze dettate dalla circolazione dei beni nell’epoca della contrattazione europea e mondiale, mostrando come, nel momento, attuale sia quanto mai necessario condurre l’approccio alla causa non più in termini ideologici e dogmatici, bensì con la consapevolezza del ruolo operativo che in concreto tale categoria è oggi chiamata a svolgere. In tempi recentissimi, la stessa Suprema Corte ha messo da parte la nozione di causa in termini di funzione economico-sociale per abbracciare il ripensamento della causa alla stregua di funzione economicoindividuale, da intendersi quale espressione di quelle finalità soggettive dei contraenti che si oggettivano all’interno della dinamica negoziale577. La causa è intesa ora come elemento di raccordo tra gli interessi delle parti contraenti che rilevano nel rapporto contrattuale. Con la conseguenza per cui, per tale via, viene sciolto il problema della conciliabilità del concetto di causa con il tipo negoziale. Se si osserva però il panorama del diritto europeo dei contratti, si noterà che i molteplici interventi normativi, volti a portare avanti il processo di armonizzazione delle legislazioni nazionali, non solo nella materia consumeristica ma anche in quella dell’usura o dell’abuso di dipendenza economica, mostrano di voler prescindere dal concetto di causa578. Oggi il sindacato della meritevolezza di tutela degli interessi privati viene compiuto essenzialmente mediante la adesione delle parti al programma contrattuale prestabilito, l’operatività di norme inderogabili destinate a sostituire automaticamente la difforme volontà dei soggetti privati, e la G. GITTI, La ” tenuta” del tipo contrattuale e il giudizio di compatibilità, in Riv. dir. civ., 2008, I, p. 491 577 V. SCALISI, Il diritto europeo dei rimedi: invalidità e inefficacia, in Riv. dir. civ., 2007, 6, 1, p. 843 578 E. NAVARRETTA, Europa cum causa, in Diritto comunitario e sistemi nazionali: pluralità delle fonti e unitarietà degli ordinamenti. Atti del 4° Convegno Nazionale, 16-17-18 aprile 2009 – Capri, Napoli, 2010, nell’affrontare l’argomento dell’attuale scomparsa della causa dal Draft Common Frame of Reference attraverso l’analisi dell’istituto dell’arricchimento senza causa, osserva, a p. 337, che “la causa del contratto sia che venga in considerazione a priori, nei sistemi che la associano al rimedio della nullità, sia che venga in esame a posteriori attraverso il titulus che opera come causa di giustificazione dell’avvenuta attribuzione è chiamata in ogni caso a verificare che vi sia un minimo di razionalità esternata o, comunque, ricostruibile nella produzione dell’effetto giuridico, che manca non solo nell’attribuzione derivante da un accordo nudo, ma anche nell’attribuzione effettuata in esecuzione di un accordo con causa simbolica o con causa radicalmente irrisoria”. 576 180 statuizione di rigidi obblighi di condotta a tutela della parte debole 579. Nello scenario appena prospettato, che altro non è se non la fedele descrizione della realtà concreta contemporanea in cui viene ambientata la versione postmoderna dell’autonomia negoziale, la causa si riduce a mero criterio di individuazione dell’ambito di applicazione di una determinata legge580. Tanto i Principi Unidroit quanto i Principles of European Contract Law (quelli elaborati dalla Commissione Lando), nel delineare i requisiti essenziali del contratto, prescindono sia dal concetto di causa (proprio dei sistemi di civil law), sia dalla consideration (che consiste in una sorta di corrispettivo della causa, nei sistemi di common law)581, laddove la consideration opera in veste di presupposto per la validità o la eseguibilità di un determinato contratto, per la modificazione o la risoluzione del contratto stesso da parte dei soggetti contraenti, rimanendo tuttavia poco operativo sul piano pratico, dal momento che, trattandosi per lo più di contratti che, secondo la terminologia continentale, sono a prestazioni corrispettive, e quindi le obbligazioni sono generalmente assunte da entrambe le parti, acquistando, specularmente, maggiore importanza sia la volontà di una parte di obbligarsi giuridicamente nei confronti dell’altra sia il contenuto stesso del contratto, in cui è presente una serie di clausole aventi ad oggetto l’attribuzione alle parti di un ampio e dettagliato spettro di diritti e doveri, quali quello di recesso 582, quelli di informazione, attraverso cui l’ordinamento abilita la parte che è giunta alla stipulazione senza essere, non per sua colpa, a conoscenza di determinate informazioni, a sciogliere il rapporto negoziale, con la conseguenza del prodursi dei medesimi effetti economici che si realizzerebbero mediante il ricorso allo strumento della nullità583. L’armonizzazione a livello europeo ed internazionale della materia dei contratti porta, quindi, con sé inevitabilmente il declino della causa come Si è autorevolmente parlato di “morte della causa”. Sul punto U. BRECCIA, Morte e resurrezione della causa: la tutela, in S. MAZZAMUTO (a cura di), Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, 2002, p. 241 580 Si pensi al tentativo, compiuto dalla dottrina, di costruzione di un concetto di contratto con causa di consumo. 581 Ben si comprende la scelta, operata, in particolare, in sede di formulazione dei Principi UNIDROIT, di omettere la causa, se si considera che essi si inseriscono in un programma di armonizzazione a livello internazionale del diritto contrattuale e certamente non sarebbe stato proficuo affidare il controllo della meritevolezza di tutela degli interessi privati ad un concetto, quale quello di causa, che trova la sua origine negli ordinamenti nazionali, espressione sia della essenziale eteronomia delle regole che disciplinano la manifestazione dell’autonomia contrattuale rispetto alla stessa, sia della dimensione statuale del diritto. 582 F. DI MARZIO, Teoria dell’abuso e contratti del consumatore, in Riv. dir. civ., 2007, 5, 1, p. 681 583 E. BEVILACQUA – M. LABRIOLA, Codice del consumo: clausole vessatorie nei contratti di mutuo bancario ed intervento del notaio, in Riv. not., 2007, 3, p. 703 579 181 elemento essenziale del contratto, sintomo della rinuncia, che l’ordinamento è stato costretto a fare, al sindacato sulla meritevolezza di tutela degli interessi sottesi alla contrattazione in concreto584. La perdita di centralità della causa all’interno delle dinamiche attraverso cui si svolgono gli scambi ha, per di più, condotto all’affermarsi, sulla scena dei cosiddetti tools, della categoria delle promises binding without acceptance: vincoli unilaterali. Ove, tuttavia, si sia convinti che tanto i redattori dei Principi Unidroit quanto quelli dei Principi di diritto europeo dei contratti, in sede di formulazione dei rispettivi lavori, non abbiano potuto non essere persuasi, seppur a livello subliminale, da una certa insita familiarità con la categoria della causa, allora si noterà come, essendo il contratto in entrambi i testi trattato alla stregua dello strumento d’elezione attraverso cui si realizza “l’affare”, quindi nella sua dimensione funzionale, sia possibile ravvisare le tracce della stessa costruzione della causa in chiave economico-individuale585. La constatazione della perdita di centralità della causa all’interno dell’autonomia negoziale porta con sé un certo timore riguardo alla possibilità che, nell’attuale modalità in cui la stessa libertà contrattuale si esplica, si arrivi all’acquisizione di una autonoma rilevanza dell’intento delle parti di vincolarsi giuridicamente, con la conseguenza per cui ci si troverebbe di fronte al problema della ammissibilità di un accordo per così dire svincolato dalle regole del diritto statuale ed, in quanto tale, non suscettibile di essere sanzionato giuridicamente mediante gli strumenti tradizionali: dall’affare che le parti concluderebbero trarrebbe, così, origine un assetto di interessi esterno all’ordinamento giuridico e, per meglio dire, esente da esso. Un accordo sottoposto, pertanto, esclusivamente alle regole che appartengono al tessuto della morale o a quelle che, seppur invalse nella società, sono tuttavia prive del crisma della giuridicità. Già per la verità le premesse di tale fenomeno si possono scorgere nel gentlemen’s agreement586. E’, del resto, in potere dei soggetti privati la scelta di fare ricorso a meri vincoli sociali al fine di regolare i loro affari, con la conseguenza per cui queste modalità di accordi, esulando dalla sfera di sovranità dell’ordinamento giuridico, rimangono totalmente ed esclusivamente C. CACCAVALE, La “nullità” di protezione delle clausole abusive e l’art. 28 della legge notarile, in Notariato, 2007, 1, p. 49 585 Alludendo a ciò, G.B. FERRI, L’ “’invisibile” presenza della causa del contratto, in Eur. dir. priv., 2002, I, p. 897. 586 Si tratta di un atto di autonomia sociale. Sul punto N. LIPARI, Rapporti di cortesia, rapporti di fatto, rapporti di fiducia (Spunti per una teoria del rapporto giuridico), in Riv. Trim. dir. proc. civ., 1968, p. 414 584 182 regolati dalla volontà dei soggetti che li pongono in essere587. Se si ammette che l’autonomia negoziale non è un potere che l’ordinamento concede ai soggetti privati, quanto piuttosto una capacità che questi stessi hanno e che viene ad essere ricompresa nel campo di operatività dell’ordinamento giuridico nel momento in cui sono gli stessi soggetti privati a volere che il rapporto che pongono in essere ricada nella sfera di tutela che l’ordinamento può accordare, allora non sarà più improbabile pensare che esistono vincoli derivanti da atti di autonomia privata, con i quali può accadere che abbiano origine anche affari di grande rilevanza sotto il profilo economico, ed ai quali non è possibile attribuire, attraverso il procedimento di qualificazione dell’atto, l’idoneità alla produzione dell’effetto giuridico588. Il concetto di causa viene tradizionalmente utilizzato per assolvere a diverse funzioni, che possono essere riassunte in quattro blocchi essenziali: la causa, quale elemento attraverso cui operare la summa divisio tra promesse giuridicamente vincolanti e non vincolanti; quale criterio di qualificazione del contratto, che permette di ascrivere il singolo contratto ad un tipo piuttosto che ad un altro, o, altrimenti, a collocarlo nel novero di quel complesso e variegato scenario della atipicità negoziale che, oggigiorno, acquista sempre maggiore terreno all’interno del panorama dei contratti; quale criterio di controllo della conformità dell’operazione negoziale, che, con la stipula del contratto, viene in concreto conclusa, rispetto ai precetti inderogabili di legge, nonché ai principi dell’ordine pubblico e del buon costume; quale strumento di integrazione del regolamento contrattuale. Se è pacifico che con il sintagma “qualificazione del contratto” si intende indicare quella complessa attività che si sostanzia nella valutazione del contratto alla luce dei principi della disciplina normativa della materia contrattuale, allora ben si comprenderà l’essenziale differenza tra qualificazione ed interpretazione, laddove l’interpretazione è, per così dire, un momento che viene affidato alla competenza del giudice di merito, in sede di accertamento fattuale, e nel quale il giudice stesso rintraccia ed individua la comune volontà delle parti contraenti 589. La qualificazione consiste piuttosto nell’inquadramento della comune volontà all’interno dello schema legale corrispondente. Il procedimento di ascrizione del contratto concretamente venuto ad esistenza, mediante l’attività negoziale delle parti 587 V. SCALISI, Il contratto e le invalidità, in Riv. dir. civ., 2006, 6, p. 237 C. IURILLI, Le garanzie nella vendita dei beni di consumo tra Codice civile e Codice del consumo, in Studium iuris, 2006, 12, p. 1365 589 P. QUARTICELLI, Contratto di vendita di pacchetto turistico e nullità per mancanza di forma scritta, in Nuova giur. civ. comm., 2006, 9, 1, p. 882 588 183 contraenti, ad un determinato tipo legale (o del tipo sociale, nel caso di contratto atipico590) si fonda proprio sulla considerazione delle rispettive cause e sulla valutazione di aderenza della causa concreta alla causa tipica, indipendentemente dal nomen che le parti abbiano dato al contratto posto in essere. La funzione del tipo consiste proprio nel permettere di determinare le regole giuridiche che si possano applicare ai rapporti contrattuali al medesimo riconducibili, in modo tale da specificare il novero, generalmente molto ampio, dei diritti e degli obblighi delle parti. Nel contingente panorama in cui si svolgono gli scambi commerciali, si assiste tuttavia ad una inevitabile perdita di centralità della tipicità negoziale, dal momento che la complessità delle transazioni richiede, molto spesso, la creazione di modelli e schemi negoziali non noti al mondo della tipicità giuridica. Di qui, l’importanza del giudizio di meritevolezza di tutela degli interessi, che costituisce il filtro attraverso cui vagliare le operazioni negoziali che possano trovare una tutela da parte dell’ordinamento, e paralizzare quelle che, al contrario, risultino in contrasto con i principi inderogabili dello stesso591. Ci si è chiesti se la causa di meritevolezza operi esclusivamente con riguardo ai contratti atipici o se, piuttosto, essa rappresenti il richiamo, in materia di contratti atipici, ad una clausola generale che, in modo espresso o implicito, opera anche rispetto ai contratti tipici. La questione, per la verità alquanto spinosa in dottrina, ruota intorno all’indagine sui rapporti tra l’art. 1322 e l’art. 1343 cod. civ., che possono essere ricostruiti nella seguente maniera: l’art. 1322 cod. civ. costituisce espressione di una clausola generale applicabile tanto ai contratti atipici, quanto a quelli tipici, andando per questi ultimi a rafforzare il controllo effettuato per mezzo dell’art. 1343 cod. civ.; l’art. 1322 cod. civ. è da ritenersi applicabile ai soli contratti atipici, e l’art. 1343 cod. civ. contiene un divieto di portata generale previsto soltanto per i contratti tipici; l’art. 1322 cod. civ. va avvicinato come una sorta di duplicazione dell’art. 1343 cod. civ., con la conseguenza per cui i contratti atipici che non siano volti a 590 Il discrimen tra tipo legale e tipo sociale si sostanzia in ciò: nel primo, si tratta di un modello di operazione economica che è stato preso in considerazione dal legislatore, che lo ha espressamente disciplinato, a tal punto da fare di esso un modello normativo; nel secondo caso, il modello di operazione economica trova la propria genesi nonché il proprio sviluppo nella realtà concreta della pratica degli affari. Sovente, il tipo emerso dall’esperienza pragmatica e concreta si converte in tipo legale, e ciò accade ogniqualvolta il legislatore, previa valutazione della rilevanza e della diffusione del modello, ritenga opportuno dettarne una disciplina espressa. F. LAPERTOSA, Tipicità e atipicità nei contratti, in P. CENDON (a cura di), Il diritto privato nella giurisprudenza, II, Torino, 2000, p. 15 ss.;G. DE NOVA, Il tipo contrattuale, Padova, 1974, p. 59; R. SACCO, Autonomia contrattuale e tipi, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1966, p. 785 591 G. PERLINGIERI, Funzione notarile e clausole vessatorie. A margine dell’art. 28 l. 16 febbraio 1913 n. 89, in Rass. dir. civ., 2006, 3, p. 804 184 perseguire interessi meritevoli di tutela non sarebbero nient’altro che contratti atipici contrari a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume592. Queste sono le tre vie prospettate dalla dottrina per risolvere il problema. L’intervento della Cassazione è stato tuttavia assai chiarificatore, in quanto, in merito alla questione della disciplina da applicare ai contratti atipici, la Suprema Corte stessa ha affermato che ai contratti non espressamente disciplinati dal codice civile (ovvero i contratti atipici o innominati) possono legittimamente applicarsi, in aggiunta alle norme generali in materia di contratti, anche le norme regolatrici dei contratti nominati, ogniqualvolta il concreto atteggiarsi del rapporto, quale risultante dagli interessi coinvolti, faccia emergere situazioni analoghe a quelle disciplinate dalla seconda serie di norme593. La causa non si inserisce nella dinamica negoziale soltanto in quanto elemento essenziale e qualificante dell’operazione, attraverso cui si accerta se la stessa sia meritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico, ma anche come criterio basilare per l’effettuazione del controllo di liceità dell’operazione medesima, sulla base della regolamentazione degli interessi voluta e posta in essere dalle parti. Statuisce, infatti, il disposto di cui all’art. 1343 cod. civ. che l’operazione deve essere valutata nella sua conformità alle norme imperative, all’ordine pubblico nonché al buon costume. Tale controllo investe la struttura dell’accordo a partire dalla sua ratio giustificatrice. Gli esiti del controllo investono anche gli effetti dell’accordo, il che vuol dire i risultati giuridici ed economici ai quali esso è volto nonché l’eventuale vincolo di relazione o dipendenza rispetto ad altre operazioni594. L’elemento causale ricorre altresì in funzione di integrazione del regolamento voluto dalle parti. Esso permette all’interprete di indagare l’operazione dall’interno, in quanto blocco di interessi Sul punto cfr. E. MOSCATI, La causa del contratto, in N. LIPARI – P. RESCIGNO (diretto da), Diritto civile, vol. III – Obbligazioni, II – Il contratto in generale, Milano, 2009, p. 269 ss. 593 Si tratta di un principio affermato dalla Suprema Corte con riguardo ad una vicenda di locazione finanziaria traslativa alla quale è stata ritenuta applicabile la norma di cui all’art. 1526 cod. civ. che prevede la risoluzione del contratto di vendita con riserva della proprietà e, pertanto, ritiene inapplicabile il dettato normativo di cui all’art. 1458 primo comma cod. civ. Sul punto cfr. Cass., 28 novembre 2003, n. 18229, in Rep. Foro It., 2003, v. “Contratto in generale”, n. 257; Cass., 23 febbraio 2000, n. 2069, in Vita Not., 2000, p. 870. 594 La prassi del ricorso al fenomeno del collegamento negoziale implica uno spostamento di prospettiva nell’approccio all’argomento della causa, la quale viene colta non più all’interno di ciascuno dei contratti coinvolti nella complessa operazione negoziale ed economica, bensì all’esterno, nella finalità oggettiva dell’intera operazione. Ben si adatta a descrivere la realtà odierna della causa l’intuizione nitida e lungimirante di M. GIORGIANNI, v. Causa (dir. priv.), in Enc. dir., VI, Milano, 1960, p. 564, il quale afferma che “noi riteniamo che nel nostro ordinamento la “funzione” del negozio assume frequentemente il ruolo di “causa”, ovverosia di “giustificazione” dello spostamento patrimoniale attuato col negozio stesso, ma riteniamo altresì che la “causa” vada ricercata talora al di fuori della “funzione” del negozio”. 592 185 programmati dalle parti contraenti, e la causa viene in tale contesto vista quale strumento idoneo a garantire il permanere degli equilibri raggiunti tra interessi confliggenti anche a fronte di eventi sopravvenuti. La causa assurge, quindi, in questa prospettiva, a cartina di tornasole dell’economia dell’affare: in essa si sostanzia la sintesi delle ragioni soggettive oggettivamente rilevanti che sorreggono e giustificano in concreto l’atto di autonomia privata, nell’ottica di attribuire all’atto una concreta funzione individuale, per cui dalla causa dipende l’equilibrio funzionale dell’atto di autonomia privata595. Il nostro ordinamento è improntato sul principio di causalità596. Ogni dibattito sulla materia delle obbligazioni e del contratto ha conosciuto sempre, pertanto, riferimenti al tema della causa. Nel processo di armonizzazione europea ed internazionale del diritto dei contratti, si assiste invece ad una, seppur apparente, inversione di tendenza, dal momento che, almeno ad un approccio testuale con i vari prodotti di questo complesso lavoro, si registra l’assenza della causa. Bisogna comprendere se si tratti di una estraneità soltanto testuale, o, al contrario, se tale mancanza sia da riscontrare anche nel sistema concettuale sotteso al lavoro di redazione dei testi attraverso cui portare avanti il processo di armonizzazione. E’opportuno rilevare come, per un verso, il concetto di causa che è proprio dei sistemi a vocazione codicistica non coincida con la consideration597 di ambiente anglo-sassone, e come l’indagine sulla meritevolezza di tutela degli interessi e sulla conformità dell’operazione negoziale all’assetto giuridico inderogabile venga 595 Sul punto cfr. G. MARINI, La causa del contratto, in P. CENDON, (a cura di), Il contratto in generale. Requisiti ed elementi del contratto, Milano, 2003, p. 14. 596 L’affermazione è corretta, laddove tuttavia non si ometta di ricordare che, con riguardo a determinati istituti, questo principio conosce una forte attenuazione della propria operatività. Si pensi alle ipotesi della rinuncia ad un diritto o alla remissione di un debito, nei quali non è richiesta la causa; allo strumento probatorio della confessione o, ancora, al negozio di accertamento. 597 I limiti della consideration vengono individuati a chiare linee da E. NAVARRETTA, La causa e le prestazioni isolate, Milano, 2000, p. 239-240, la quale evidenzia l’inadeguatezza della consideration rispetto alla prospettiva del contratto che ci consegna l’esperienza giuridica contemporanea facendo leva sulla “rigidità” che si registra “nella costruzione della consideration, legata a regole giurisprudenziali quali l’irrilevanza della past consideration o della moral consideration”. In particolare, si afferma che “se pure la consideration esprime una visione di garanzia individualistica, in qualche modo correlabile (…) con quella della causa, di fatto la sua costruzione incarna una logica di tutela rigorosamente costruita sul sinallagma contrattuale, che viene ulteriormente irrigidito dal presupposto dell’attualità delle prestazioni (…). Proprio tale mancanza di flessibilità ha indotto un processo di erosione della consideration in direzione di tutela formale più che sostanziale ed è alla base delle costanti soluzioni elusive e delle modifiche legislative che, da un lato, hanno privato in buona parte l’elemento della sua stessa matrice garantistica, ma, da un altro lato, non sono riuscite comunque ad attribuirgli sufficiente elasticità”. Nella distinzione tra causa e consideration, si chiarisce che “la causa (…) non ostacola l’autonomia privata né la libertà creativa delle parti, ma impedisce unicamente la programmazione di un affare irrazionale, nel quale sia insito il rischio di una sopraffazione di una parte sull’altra o quello di un privilegio dei terzi rispetto ai contraenti”. 186 affidata a strumenti diversi dalla causa, senza trascurare che anche la funzione della causa quale mezzo di sussunzione del contratto in concreto concluso ad una disciplina piuttosto che ad un’altra perde la sua importanza nel momento in cui si ammette che la disciplina del contratto possa essere affidata a fonti normative di matrice non legislativa, rispetto alla cui operatività l’ascrizione di quel contratto alla tipicità legale o soltanto a quella sociale non è rilevante in quanto tali fonti prevalgono su qualsiasi disciplina legale (non inderogabile), essendo esse stesse invocate dalla autonomia negoziale delle parti contraenti598. Si è fatto ricorso ad espedienti nuovi e diversi per perseguire un risultato che, nell’ordinamento tradizionale, è stato affidato per lungo tempo all’istituto della causa. Certamente, in sede di avvicinamento dei vari sistemi giuridici nazionali, si è voluto evitare di adoperare istituti che, negli ordinamenti dei diversi Paesi, o sono del tutto assenti o si presentano con caratteristiche assai diverse. Tuttavia il giurista avvezzo ad operare con le categorie contrattuali tradizionali non potrà ritenersi soddisfatto di questa, seppur veritiera, argomentazione, né tanto meno potrà egli stesso accettare pacificamente la scomparsa, almeno testuale, della causa dal panorama del nuovo diritto dei contratti, senza avventurarsi alla ricerca di una diversa chiave di lettura dello scenario che gli si prospetta innanzi. Ogniqualvolta, nei “testi dell’armonizzazione”, si rinvenga un riferimento – e ciò accade regolarmente – alla natura, allo scopo nonché alle finalità ed alla funzionalità del contratto, allora ciò esprime la sensibilità dei redattori verso l’elemento della causa, malgrado essa non sia stata resa palese nello stesso modo in cui è presente, ad esempio, nel Codice civile del 1942, ed è proprio questa abitudine ad avere familiarità con l’elemento causale inteso in senso di elemento tipizzato dal legislatore che induce il giurista tradizionale a soffrire di un senso di spaesamento, ad un approccio iniziale, o di carattere meramente tecnico piuttosto che scientifico al nuovo diritto dei contratti. Una volta chiarito che con il termine causa si intende la dimensione funzionale del contratto, agevolmente si possono scorgere i riferimenti, seppure impliciti, ad essa tanto nel tenore dei Principi Lando (ovvero i Principi di diritto privato europeo dei contratti), quanto nei Principi UNIDROIT, nel Code Europèen des Contrats e nel Se si ravvisa la funzione dell’elemento causale non soltanto nello strumento deputato alla tutela dell’ordinamento da pattuizioni contrarie ai principi inderogabili dello stesso, ma anche in una modalità garantistica della parte che risulti debole nella negoziazione, non si comprendono le ragioni dell’eliminazione della causa dai testi degli interventi normativi volti all’armonizzazione, a favore dell’introduzione, per dirne solo alcune, della materia delle clausole abusive nella disciplina consumeristica; di un annesso sindacato sull’abuso contrattuale sanzionato con una rinnovata figura di nullità; di un contratto specifico quale la subfornitura. 598 187 Draft Common Frame of Reference. L’art. 1:102 dei Principi Lando, nella formulazione del testo in lingua inglese, fa infatti riferimento al purpose: la natura e lo scopo del contratto. Ma anche in altri luoghi del testo vi sono riferimenti al criterio di ragionevolezza, al principio di sufficienza dell’accordo, di buona fede e di correttezza da intendersi quali comportamenti commisurati e aderenti alle finalità che i contraenti si prefiggono di perseguire con la conclusione del contratto599. Analogamente avviene nel testo dei Principi Unidroit e del Code Europèen des Contrats, i quali si collocano tutti nel novero delle esperienze normative di matrice extrastatuale. Nel Code Européen des Contrats, in particolare, l’art. 2, occupandosi della nozione di autonomia contrattuale, la individua nel potere delle parti di determinare liberamente il contenuto del contratto, analogamente a quanto dispone nel nostro ordinamento l’art. 1322 cod. civ., collocandosi in quella modalità di pensiero secondo cui l’insieme delle finalità soggettive dei contraenti che vengono oggettivate nel regolamento negoziale, e quindi nel contenuto del contratto, esprime la funzione alla quale il contratto stesso è chiamato in concreto ad assolvere. 5. La forma, intesa quale modalità attraverso cui si manifesta la volontà contrattuale, è un elemento dal quale non si può prescindere in sede di confezione del contratto, dal momento che la volontà inespressa non può essere valutabile quale atto di autonomia. Essendo pacifico che una espressione della volontà è, quindi, sempre necessaria, bisogna valutare quali siano le varianti assunte dalla manifestazione di essa nel panorama contrattuale europeo contemporaneo. Potendosi ascrivere alla categoria concettuale di forma del contratto qualsivoglia rilevante esteriorizzazione della volontà, si deve considerare che, in talune circostanze, è la legge stessa ad imporre una determinata opzione espressiva, o comunque ad indirizzare i soggetti privati circa i requisiti della modalità espressiva. Basti pensare al tenore del disposto di cui al secondo comma dell’art. 1230 cod. civ., ai sensi del quale “la volontà di estinguere l’obbligazione precedente deve risultare in modo non equivoco”, o, ancora, alla formulazione testuale di cui all’art. 1937 cod. civ. in materia di fideiussione, ove il legislatore stesso prescrive che “la F. ADDIS, Diritto comunitario e “riconcettualizzazione” del diritto dei contratti: accordo e consenso, in Diritto comunitario e sistemi nazionali: pluralità delle fonti e unitarietà degli ordinamenti, cit., p. 273 ss., nell’affrontare la tematica delle modalità di conclusione del contratto alla luce della necessaria riconcettualizzazione che l’assetto del diritto privato europeo oggi impone di compiere, dimostra, seppur implicitamente, come non siano estranee a tale operazione nemmeno le categorie che sanzionano la patologia dell’accordo né quelle che si inseriscono nella fase di esecuzione del rapporto che dal vincolo giuridico ha origine. 599 188 volontà di prestare fideiussione dev’essere espressa”. Certamente, il dettato normativo attraverso cui vengono imposte manifestazioni di volontà espresse e non equivoche segna alcuni dei presupposti di rilevanza oggettiva dell’accordo; al contrario, ogniqualvolta sia prescritta una specifica esteriorizzazione dell’accordo in sede di momento formativo dello stesso, allora si tratta di un vero e proprio vincolo di forma che costituisce una condizione di validità della convenzione medesima. In tutti i casi in cui all’interno del Codice Civile si dà rilievo alla finalità dell’accertamento circa l’adeguatezza e l’idoneità dello strumento espressivo rispetto alla volontà contrattuale che, per mezzo dello stesso, viene manifestata, allora ci si trova di fronte ad una valutazione concernente il requisito formale specifico. Ciò al fine di evitare la ostile e svantaggiosa circostanza per la quale il contratto venga ad esistenza nutrito, al suo interno, di espressioni suscettibili di dare luogo, in sede di interpretazione e di attuazione del rapporto, a fraintendimenti o equivoci600. Non è una questione trascurabile quella delle vicende cui dà luogo la presenza di clausole dalla formulazione poco chiara all’interno del contenuto del contratto. Nella materia consumeristica, è testualmente ribadito che l’oggetto e l’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi devono essere individuati in modo chiaro e comprensibile, così da evitare di incorrere nella sanzione conseguente al carattere abusivo delle clausole che ad essi si riferiscono601. Il legislatore ha dettato, in tale sede, non soltanto le prescrizioni formali, quali la richiesta della forma scritta per la redazione del contratto di vendita di pacchetti turistici, ma anche i requisiti che la stessa manifestazione di volontà ridotta in iscritto deve avere, in quanto i termini devono essere chiari e precisi602, trattandosi di un formalismo dettato ad substantiam. Il Codice civile del 1942 è imperniato sul principio della libertà di forma, eccetto i casi in cui sia la legge stessa a prescrivere una determinata modalità espressiva della volontà, con valenza ad substantiam o ad probationem603. La categoria concettuale della forma negoziale si è trovata, quindi, 600 Chiarisce, sul punto, U. BRECCIA, La forma, in V. ROPPO, Trattato del contratto, Milano, 2006, C. GRANELLI (a cura di), Formazione, I, p.475 che “l’equivocità della regola privata è il sintomo materiale, entro rapporti per definizione non equilibrati, di un’alterazione di fatto nella definizione, secondo correttezza, dei contenuti essenziali del contratto”. 601 In tali termini si dispone alla lettera dell’art. 34 secondo comma d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206, Codice del consumo. 602 L’art. 85 primo comma d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206, Codice del consumo, dispone che “il contratto di vendita di pacchetti turistici è redatto in forma scritta in termini chiari e precisi”. 603 Questo approccio dicotomico, peraltro risalente, all’argomento della forma degli atti, è stato sottoposto ad autorevoli critiche, che hanno segnato un punto di svolta rispetto alla tradizionale visione della forma. M. GIORGIANNI, Forma degli atti (diritto privato), in Enc. Dir., XVII, Milano, 1968, nell’affermare, p. 999, che “l’alternativa tradizionale (ad substantiam o ad 189 per molto tempo a trarre la propria identità e configurazione operativa soltanto dal dettato codicistico. Il formalismo contemporaneo, che prende le mosse dal subbuglio normativo in cui si inserisce il picco fenomenico del diritto europeo dei contratti, conosce la difficoltà di identificare all’interno dell’univoco e tradizionale concetto di forma, quello di matrice codicistica, la congerie di formalità nelle quali esso stesso si concretizza. Il tradizionale principio della libertà della forma, che per molti anni ha costituito una delle pietre miliari del diritto dei contratti, è una regola generale che ammette eccezioni soltanto laddove la legge stessa prescriva ipotesi di forma vincolata, che ha resistito fintanto che il nuovo assetto sociale e delle relazioni commerciali e negoziali non ha iniziato a demandare alla forma stessa funzioni nuove ed ulteriori rispetto a quelle finora assolte dalla medesima, quali quella di difesa sociale del contraente debole, di garanzia e di controllo in sede di formazione delle deliberazioni degli organi collettivi, di controllo di legalità procedurale con riguardo al ricorso delle pubbliche autorità alla contrattazione secondo le regole del diritto privato. L’assetto della post-modernità, con la peculiare diffusione delle nuove tecnologie di trasmissione del pensiero e delle immagini a distanza, ha condotto, da un lato, all’esigenza di riservare al momento formale una particolare attenzione604 e, dall’altro, ad ammettere la dilatazione del novero degli strumenti formali, con il conseguente ingresso, sulla scena dei contratti, di forme prima inconsuete, e l’avvio dell’epoca della documentazione e della comunicazione in via telematica, sintomo (o causa) di una nuova era del commercio605. Il neoformalismo contemporaneo, fondato sul proliferare di un molteplice novero di probationem) deve oggi considerarsi del tutto superata, e che le funzioni della forma “vincolata” sono molteplici”, ne compie la dimostrazione richiamando, p. 998, il concetto di forma “integrativa” ad regularitatem, categoria che viene in considerazione ogniqualvolta con una determinata forma si intenda assicurare “al negozio un più alto grado di efficacia, ovvero l’efficacia propria di esso”, come accade nel caso in cui le parti effettuino la ripetizione per iscritto del negozio già concluso oralmente. Con particolare riguardo alla forma ad substantiam, egli stesso, p. 994, afferma che essa “costituisce una deroga penetrante (…) alla stessa autonomia privata”. 604 La crisi dei “contenuti del diritto”, cui corrisponde la “ultraoperatività” della dimensione formale, assetto che caratterizza l’attuale momento storico, viene posta in evidenza da N. IRTI, Il salvagente della forma, Bari, 2007, passim. L’autore si sofferma sulla contingente ipertrofia del “carattere procedurale” del diritto, che si trova confinato nella mera attitudine a dare vita a regole che appartengono all’ordine del giuridico soltanto in quanto vengono racchiuse nella veste formale di una norma di legge. Il problema della “forma del diritto” coinvolge, oggigiorno, tanto la sede delle regole idonee a vincolare la collettività (le fonti del diritto), quanto quella delle regole valide esclusivamente inter partes (il regolamento contrattuale). Spostare l’attenzione dall’uno all’altro dei due fuochi, sempre indossando le lenti del formalismo contemporaneo, induce a riscontrare, in entrambi i luoghi, significative fratture rispetto all’assetto tradizionale. 605 Si vedano sul punto G. PASCUZZI, Il diritto dell’era digitale, Bologna, 2006; F. RICCI, Scritture private e firme elettroniche, Milano, 2004; G. COMANDE’ – S. SICA, Il commercio elettronico, Torino, 2001; A. GAMBINO, L’accordo telematico, Milano, 1997, passim. 190 formalità606, porta con sé l’inevitabile interrogativo concernente le sorti del principio della libertà della forma, oggi. Certamente si assiste attualmente al tramonto di ogni approccio in chiave di dogmatismo puro a questo, come a molti altri fenomeni del diritto dei contratti, a vantaggio di una impostazione che segna il primato delle ricostruzioni funzionali e finalistiche su quelle strutturali, con la salvezza del richiamo ai principi costituzionali. Anche la materia del formalismo contrattuale conosce attualmente una regolamentazione frammentata nella miriade di leggi e disposizioni di carattere speciale, volte a soddisfare le esigenze di natura funzionale sottese alla contrattazione. Vi sono oggi tanti vincoli formali specifici, la cui molteplicità è da ricollegare alla varietà e vastità dei fenomeni contrattuali con riguardo ai quali essi vanno ad operare. Si assiste ad un netto e deciso passaggio dal binomio inscindibile formamanifestazione ad una miriade di singoli ed autonomi vincoli formali, che determinano una eterogeneità del fenomeno e la conseguente impossibilità di compiere la reductio ad unum, segnando l’incrinatura della dogmatica unitarietà delle categorie concettuali contrattuali in generale, e di quella della forma, in particolare607. Se, però, si coglie il fenomeno giuridico in quella stretta sutura tra le regole e l’ambiente sociale all’interno del quale le regole si traducono in comportamenti della collettività, allora riuscirà agevole comprendere come nell’esperienza contemporanea del diritto, le forme legalmente prescritte si inseriscano, all’interno della materia contrattuale, quali strumenti rafforzativi della manifestazione di volontà, nelle vesti di comportamenti prefissati, ascrivibili alla complessa attività del “documentare”, evidenziando lo stretto legame che intercorre tra ciascun singolo vincolo di forma e la variegata modalità fenomenica degli effetti giuridici, il che vuol dire con le finalità che di volta in volta la legge intende perseguire608. La forma, nel panorama dell’armonizzazione del diritto europeo dei 606 Come già rilevato in altri luoghi della presente trattazione, il fenomeno dello scambio si svolge oggi essenzialmente tramite la contrattazione di massa, la quale si fonda sul ricorso alle condizioni generali di contratto. Ogni discorso sulla forma negoziale nell’ambito dei contratti di massa ruota attorno alla essenziale considerazione secondo cui si tratta in questo caso di una forma che è già unilateralmente prevista dalle stesse condizioni generali, rispetto alla quale la controparte contraente si limita ad accettare o meno, intervenendo l’autonomia negoziale di quest’ultima esclusivamente a determinare la sussistenza o meno dello scambio, e non le singole condizioni della negoziazione. Sul punto cfr. M. ORLANDI, La forma dei contratti di massa, in Studi in onore di Nicolò Lipari, cit., II, p. 1987-1990. 607 S. PAGLIANTINI, La forma del contratto: appunti per una voce, in Studi senesi, 2004, 1, p. 105 608 Sul punto cfr. E. MORELATO, Nuovi requisiti di forma nel contratto. Trasparenza contrattuale e neoformalismo, Padova, 2006, passim; M.C. ANDRINI, Forma contrattuale, formalismo negoziale e documentazione informatica, in Contr. e impr., 2001, p. 134; S. TONDO, Formalismo negoziale tra vecchie e nuove tecniche, in Riv. Not., 1999, p. 923 191 contratti, se ripensata in questa veste, può, allora, validamente assurgere a strumento di garanzia della libertà contrattuale609. L’argomento della forma presenta momenti di collegamento con varie fasi del procedimento di formazione del contratto: in particolare, con l’individuazione della struttura essenziale dell’atto; con quella dell’approccio al dato normativo che disciplina quel determinato negozio ed alle prescrizioni formali in esso contenute; con il piano esecutivo e dell’efficacia del rapporto negoziale. Per cui la forma è chiamata ad operare sia nel contesto della validità dell’atto che in quello probatorio, in sede di esecuzione del rapporto. Nel panorama attuale, l’inosservanza di una determinata prescrizione in ordine alla forma viene, talvolta, sanzionata con la nullità. Non si deve, tuttavia, leggere questo dato normativo con le lenti tradizionali della tutela pubblicistica degli interessi che, nell’impianto codicistico, è stata affidata alla categoria della nullità contrattuale. Qui il ricorso alla nullità è piuttosto da leggersi quale forma di tutela delle parti contraenti ed, in particolare, della parte debole, e dei terzi nel confronto con gli interessi di una categoria di parti, il tutto in rapporto all’assetto del mercato concorrenziale ed avvezzo ad assumere dimensioni di carattere transnazionale, per non dire globale610. Malgrado nella prassi delle operazioni negoziali si assista oggi ad un progressivo svuotamento della forma libera, i giudici nazionali, pur trovandosi di fronte alla congerie di leggi speciali, non trascurano di fare riferimento al principio della libertà delle forme, mostrandosi spesso poco inclini ad accogliere gli interventi normativi settoriali ed autonomi nei quali le regole della pratica dei mercati vengono tradotte in disposizioni cogenti per l’ordinamento giuridico. Emerge da questo quadro come anche nell’ambito delle forme, avendo la prospettiva funzionale messo da parte il dogmatismo, sia necessario rivisitare i tradizionali criteri ordinanti, imperniati sulla codificazione del 1942, nella prospettiva di una conciliazione di quest’ultima con il proliferare della legislazione di settore. La forma integra, nell’impianto codicistico, uno dei requisiti essenziali del contratto, “quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità”, in ossequio a quanto dettato nel disposto dell’art. 1325 n. 4) cod. civ., norma da leggersi in combinazione con l’elenco di cui all’art. 1350 cod. civ 611. Emerge, R. FAVALE, Forme “extralegali” e autonomia negoziale, Napoli, 1994, p. 30 F. VENOSTA, Profili del neoformalismo negoziale: requisiti formali diversi dalla semplice scrittura, in Obbl. contr., 2008, p. 872 611 Una lettura dell’art. 1325 cod. civ. scientificamente ricca, viva nonché pienamente aderente all’intento del legislatore del 1942, è fornita da N. IRTI, Studi sul formalismo negoziale, p. 144 – 145, laddove egli afferma che tale norma “descrive due strutture di contratto. Una struttura nasce 609 610 192 pertanto, come gli elementi formali essenziali siano posti accanto agli altri requisiti del contratto in vari luoghi del Codice civile (si pensi all’art. 1414 secondo comma cod. civ. o all’art. 1424 cod. civ.). Il Legislatore stesso ha condotto la summa divisio dei requisiti del contratto nelle due sfere della sostanza e della forma, quasi a voler lasciare intendere come, essendo l’accordo, la causa e l’oggetto del contratto elementi imprescindibili ed essenziali in tutti i contratti, la forma per contro possa essere considerata alla stregua dell’elemento che rende i tre predetti, che di per sé sono necessari, anche sufficienti per la venuta ad esistenza del negozio. Nel panorama odierno delle molteplici fonti settoriali del diritto dei contratti, si assiste o ad una enunciazione espressa di requisiti formali specifici, o al margine di libertà accordato alle parti contraenti, sempre tuttavia leggendo la presenza o l’assenza dei vincoli formali in chiave di efficienza economico-pratica di cui la sfera del mercato pervade oggi l’ambito del giuridico612. Questo brusco passaggio da situazioni in cui non viene dettato alcun onere formale ad altre in cui invece si hanno rigide prescrizioni di forma sancite sotto pena di nullità si giustifica a seconda delle diverse esigenze concrete che si intendono garantire613. L’assenza di formalismo può, infatti, in certi casi, agevolare il commercio, laddove la funzione di garanzia e di tutela della parte debole e, più in generale, di quel determinato e concreto rapporto negoziale, sia affidata al principio di buona fede e di equità; in altri casi, per contro, il legislatore di settore ha ritenuto consegnare al formalismo le finalità di protezione di una soltanto delle parti, la parte debole, appartenente ad una determinata categoria di soggetti contraenti. Si potrebbe dire, quindi, che si tratti di un formalismo di protezione614. 6. Sorge spontaneo il quesito circa la sussistenza o meno della possibilità di estendere la disciplina espressamente dettata agli artt. 36, 67 septies decies, 67 octies decies, 134 cod. cons. sia a tutte le previsioni di nullità contenute nello stesso dalla combinazione di quattro elementi (accordo, causa, oggetto, forma); un’altra, dalla combinazione di tre elementi (accordo, causa, oggetto)”, intervenendo a “denominare la prima, struttura o fattispecie forte (o ricca); la seconda, struttura o fattispecie debole (o povera)”, scorgendo, nel confronto tra le due serie di fattispecie il principio di libertà delle forme, il quale emerge proprio laddove non sia stata dettata alcuna prescrizione formale, e definendolo, p. 147, come “espressione positiva dell’assenza di una norma”. 612 R. FAVALE, Le clausole di forma scritta nelle condizioni generali di contratto: forma di protezione o di pregiudizio?, in Obbl. contr., 2008, p. 777 613 F. VENOSTA, Profili del neoformalismo negoziale: requisiti formali diversi dalla semplice scrittura, in Obbl. contr., 2008, 11, p. 872 614 R. FAVALE, Le clausole di forma scritta e la tutela del contraente debole, in P. PERLINGIERI – E. CATERINI (a cura di), Il diritto dei consumi, Rende, 2007, III, p. 306 193 testo legislativo, tra cui anche quelle derivanti dalla mancanza di elementi formali del negozio di cui agli artt. 71 e 76 cod. cons., o quelle in cui il difetto dei requisiti legali non sia specificamente sanzionato (art. 85 cod. cons.), sia alle ipotesi di nullità contenute nei testi che, disciplinando altri settori, quali quello creditizio e bancario, non sono tuttavia direttamente finalizzate alla tutela del contraente debole615. Con riguardo alla prima ipotesi, si tratta di stabilire se si tratti di figure di invalidità speciali espressamente descritte e previste, le quali possano essere applicabili ogniqualvolta, all’interno del testo normativo del Codice del consumo, si ponga il problema della tutela del contraente debole, malgrado non siano state dettate esplicite indicazioni in tale senso. Ci si deve chiedere, in particolare, se il legislatore abbia voluto stabilire un assetto fondato su due discipline dell’invalidità, una speciale per le clausole vessatorie, e l’altra ordinaria fondata sugli artt. 1418 e seguenti cod. civ., o se piuttosto tutte le previsioni di nullità contenute nel tenore della normativa qui in esame siano da ritenere ipotesi “speciali”. Sovvengono in ausilio due distinti meccanismi, nel caso in cui si voglia estendere l’applicazione delle espresse previsioni di nullità speciale anche alle ipotesi di nullità tout court: quello dell’analogia, sulla base dell’osservazione secondo cui tanto le situazioni di nullità espressamente speciale quanto quelle di nullità tout court sono sorrette da una medesima logica, che si sostanzia in ogni caso nella tutela del contraente debole616; o, piuttosto, l’applicazione diretta del disposto di cui all’art. 36 primo e terzo comma cod. cons., impostazione, quest’ultima, che non sembra incontrare particolari ostacoli617. In questo acceso dibattito, in dottrina sembra prendere G. BONFIGLIO, La rilevabilità d’ufficio della nullità di protezione, in Riv. dir. priv., 2004, 4, p. 861 616 Il ricorso alla tecnica dell’analogia permette di rendere applicabile la figura della nullità speciale, contenuta nel Codice del consumo, addirittura ad ambiti legislativi, di protezione e non, che esulano dalla sfera di operatività dello stesso, purché si possa riscontrare la medesima ratio. Sul punto cfr. S. POLIDORI, Discipline della nullità e interessi protetti, Napoli, 2001, p. 106, nonché A. LA SPINA., La nullità degli accordi in materia di ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in Rass. Dir. civ., 2003, p. 152, in cui egli rintraccia tale medesimezza di ratio nella finalità di “garantire l’effettività della tutela apprestata ad un interesse particolare”, perciò in tale circostanza “l’interesse ad agire deve intendersi riconosciuto solo al soggetto destinatario della tutela”. 617 Se i rapporti tra Codice civile e Codice di consumo vengono regolati espressamente sulla base del tenore di varie norme dello stesso Codice di consumo, nelle quali viene stabilito che la disciplina contenuta nel Codice civile è suscettibile di essere applicata ai contratti dei consumatori soltanto in via residuale e suppletiva, per contro, è stata formulata in dottrina la proposta dell’estensione dell’ambito di applicabilità della disciplina consumeristica contenuta nel Codice del consumo anche a tutti quei contratti dei consumatori che abbiano la propria disciplina fuori dal Codice del consumo stesso: sul punto cfr. F. DI MARZIO, Codice del consumo, nullità di protezione e contratti del consumatore, in Riv. Dir. priv., IV, 2005, p. 837. Sembra assurgere così a normativa di carattere generale, nella materia del consumatore, il complesso di regole contenuto nel Codice del consumo, per cui, seguendo questa impostazione, non sembra impossibile prospettare l’applicabilità diretta 615 194 sempre più il sopravvento l’idea che nella figura di nullità speciale espressamente disciplinata nel Codice del consumo sia in concreto ravvisabile una vera e propria “nullità relativa virtuale”618. La ratio di tale figura di nullità si può, del resto, desumere dall’analisi del tenore stesso degli articoli del Codice del consumo coinvolti nell’argomento; si pensi al disposto di cui all’art. 52 cod. cons., dettato in materia di contratti a distanza, nel quale, alla previsione di cui al terzo comma, si statuisce che “in caso di comunicazioni telefoniche, l’identità del professionista e lo scopo commerciale della telefonata devono essere dichiarati in modo non equivocabile all’inizio della conversazione con il consumatore, a pena di nullità del contratto”: a questa ipotesi si potrà estendere l’applicazione diretta del combinato disposto degli artt. 36 e 134 cod. cons., in materia di nullità speciale, malgrado nell’art. 52 cod. cons. vi sia soltanto un generico richiamo alla nullità, dal momento che in questa fattispecie la legittimazione ad agire da parte di chiunque vi abbia interesse, propria della nullità di cui agli artt. 1418 ss. cod. civ., sarebbe in contrasto con la finalità di tutela della parte debole, il consumatore619. Nella limitazione della legittimazione ad agire si sostanzia quindi il meccanismo di tutela del contraente debole. La nullità non investe l’intero negozio, ma soltanto la pattuizione lesiva dei diritti del consumatore, determinandone pertanto l’esclusione dal contenuto del contratto e la paralisi della operatività di tale medesima pattuizione, rimanendo tuttavia in piedi l’intero contratto che presenterà ora una lacuna laddove prima vi era la clausola viziata620. Due ipotesi interessanti di nullità si scorgono nel tenore dell’art. 36 primo e terzo comma cod. cons. a tutte quelle ipotesi di nullità contenute nello stesso Codice del consumo, per le quali tuttavia sia stato dettato un regime incompleto. 618 Sul punto V. SCALISI, Nullità e inefficacia nel sistema europeo dei contratti, in Eur. dir. priv., 2001, p. 503, G. AMADIO, Nullità anomale e conformazione del contratto (note minime in tema di “abuso dell’autonomia contrattuale”), in Riv. Dir. priv., 2005, p. 292; V. ROPPO, Il contratto, cit., p. 843. In giurispr. App. Brescia 29 gennaio 2000, in Foro It., 2000 I, c. 2679; Trib. Venezia, 22 novembre 2004, in Società, 2005, p. 621. Contra: G. VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, Milano, 1993, p. 121. 619 Sull’argomento della nullità speciale cfr. B. COLOSIMO, Commento agli artt. 52-53, in G. VETTORI (a cura di), Codice del consumo, Commento al D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, Padova, 2007, p. 535; G. RICCI, Commento all’art. 52, in G. ALPA – L. ROSSI CARLEO (a cura di), Codice del consumo, Napoli, 2005, p. 401. 620 L’esigenza di effettuare l’integrazione del negozio si prospetta laddove, una volta ammesso, sul piano dell’ermeneutica, che le ipotesi di nullità previste nel tenore testuale del Codice del consumo sono essenzialmente da ricondursi alla figura della nullità speciale, in esso stesso disciplinata, pertanto a legittimazione relativa e, al tempo stesso, rilevabili d’ufficio dal giudice, essendo inoltre l’invalidità da circoscrivere ad una sola clausola piuttosto che all’intero contratto, allora il “vuoto normativo nel regolamento negoziale” lasciato dall’eliminazione della clausola viziata potrà essere colmato o mediante il ricorso alle previsioni di legge in funzione suppletiva, ove ve ne siano, o, in caso di assenza di una disciplina specifica sul punto, facendo ricorso agli strumenti generali di integrazione del contratto, secondo quanto dispone l’art. 1374 cod. civ. unitamente al dettato di cui all’art. 1375 cod. civ. Sull’argomento delle fonti di integrazione del contratto cfr. S. RODOTA’, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 2004. 195 rispettivamente dell’art. 36 quinto comma e 134 terzo comma cod. cons. nei quali, accanto alla previsione espressa di ipotesi di nullità speciali, vengono formulate statuizioni di nullità tout court, nella parte in cui si dispone che “ogni clausola contrattuale che, prevedendo l’applicabilità al contratto di una legislazione di un Paese extracomunitario, abbia l’effetto di privare il consumatore della protezione assicurata (…), laddove il contratto presenti uno stretto collegamento con il territorio di uno Stato membro dell’Unione europea”621. A ben vedere, il Codice del consumo si articola, quindi, in ipotesi espressamente formulate di nullità speciali, e situazioni di nullità semplici riguardo alle quali, tuttavia, sulla base di una interpretazione fondata sullo scopo e sulla funzionalità di tali strumenti in rapporto all’ambito in cui esse sono collocate, ci si sente qui di condividere l’impostazione, seguita tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, dell’ascrivibilità delle medesime alle figure espresse di nullità speciale contenute nel testo del Codice del consumo622. Questo testo normativo presenta però altri punti critici, suscettibili di venire in considerazione in un discorso sulla categoria della nullità contrattuale, quale questo si ripropone di essere. Si consideri che in alcuni luoghi della predetta legge, precisamente gli artt. 71 e 76 cod. cons., sono rinvenibili previsioni di nullità che si attivano nel caso in cui il negozio presenti una carenza di elementi formali. La prima norma appena richiamata statuisce che il contratto avente ad oggetto l’acquisizione di un diritto di godimento ripartito di beni immobili “deve essere redatto per iscritto a pena di nullità”; a ciò si aggiunge che le fideiussioni che devono essere prestate dal venditore a garanzia della corretta esecuzione del contratto e della ultimazione dei lavori devono essere menzionate nel contenuto di tale contratto, anch’esse a pena di nullità. Qui la nullità travolge l’intero schema negoziale, non limitandosi ad una sola clausola di esso, e ciò, unitamente al rilievo per cui stavolta viene sanzionato un vizio formale, rende maggiormente problematico l’inquadramento della figura di nullità appena descritta nel novero delle nullità espressamente speciali, considerando anche che, nella dicotomica visione della forma ad substantiam e ad probationem, la nullità generalmente comminata in violazione di una previsione relativa ad un requisito formale risponde Sulla valenza dell’art. 134 cod. cons. quale norma di chiusura cfr. A.M. SINISCALCHI, Commento all’art. 134, in G. VETTORI (a cura di), Codice del consumo, cit. p. 1029. 622 V. SCALISI, Contratto e regolamento nel piano d’azione delle nullità di protezione, in Riv. dir. civ., 2005, 5, 1, p. 459 621 196 alla esigenza di tutela di interessi di carattere pubblicistico623. Si è parlato in dottrina di “nullità formali di protezione”, ravvisando nella forma uno degli strumenti di tutela del contraente debole624. Dall’analisi di queste due norme da ultimo richiamate, emerge come, non incontrandosi particolari difficoltà nella riconduzione dell’art. 76 cod. cons.625 alle ipotesi di nullità di protezione espresse, al contrario, si ritenga, da parte di dottrina autorevole, che la previsione dell’art. 71 cod. cons. debba piuttosto essere ascritta all’ambito di operatività dell’art. 1418 cod. civ.626, ravvisandosi in tale fattispecie una netta prevalenza della finalità di tutela di interessi pubblici, con riguardo in particolare al ricorso al vincolo formale per esigenze di opponibilità nei confronti dei terzi, ciò tuttavia non intaccando la ricostruzione generale secondo cui, sempre previa analisi della ratio della regola di volta in volta esaminata, qualsiasi previsione di nullità presente nel Codice del consumo, la quale non sia stata espressamente disciplinata, è da ricondursi alla figura espressa di nullità speciale che in alcuni luoghi testuali del medesimo è stata elaborata. Se la figura della nullità speciale, esplicitamente delineata nel tenore testuale del Codice del consumo, integra uno degli strumenti in cui si sostanzia la protezione del contraente debole, allora l’intero argomento merita di essere letto alla luce del disposto di cui all’art. 143 cod. cons., in materia di “irrinunciabilità dei diritti”, ai sensi del quale “i diritti attribuiti al consumatore dal codice del consumo sono irrinunciabili. E’ nulla ogni pattuizione in contrasto con le disposizioni del codice”. Si tratta di una norma di chiusura che, secondo un approccio ermeneutico consapevole della ratio sottesa allo zoccolo duro della normativa consumeristica, è G. DOTTORE, Il senso della rilevabilità d’ufficio della nullità negoziale nel sistema civilistico e processuale: la Cassazione torna sull’art. 1421 c.c., in Nuova giur. civ. comm., 2006, 4, 1, p. 380 624 Sul punto cfr. F. DI GIOVANNI, La regola di trasparenza, in E. GABRIELLI – E. MINERVINI (a cura di), I contratti dei consumatori, I, Torino, 2005, p. 340; G. SCODITTI, Regole di validità e principio di correttezza nei contratti del consumatore, in Riv. Dir. civ., 2006, I, p. 141; E. CALICE, Vendite di diritti di “godimento ripartito” di beni immobili: formalismo e tutela dell’acquirente, Torino, 2006, p. 150. 625 L’opportunità di estendere o meno l’impostazione ermeneutica dell’art. 76 cod. cons. all’ipotesi di cui all’art. 85 cod. cons., sulla base dell’interrogativo circa le conseguenze della conclusione in forma orale di un contratto di viaggio, può essere valutata mediante l’ausilio di una generosa letteratura sul tema della forma di tale schema negoziale. Cfr. F. CARRASSI, Commento agli artt. 6-9, in V. ROPPO (a cura di), Viaggi, vacanze e circuiti tutto compreso, Commentario, in Nuove leggi civ. comm., 1997, p. 20; M. LA TORRE, Il contratto di viaggio “tutto compreso”, in Giust. Civ., 1996, II, p. 31; S. MONTICELLI – G. GAZZARA, Il contratto di viaggio, in E. GABRIELLI –E. MINERVINI (a cura di), I contratti dei consumatori, cit., II, p. 764. In giurispr. cfr. Trib. Bari, 8 agosto 2000, in Foro It., 2001, I, c. 2089; Trib. Bari, 27 luglio 2005, in Foro It., 2005, I, c. 2872; Trib. Treviso, 4 aprile 2003, in Dir. turismo, 2004, p. 127 626 Cfr. P.M. PUTTI, L’invalidità nei contratti del consumatore, in N. LIPARI (a cura di), Diritto privato europeo, II, Padova, 1997, p. 727 ss. 623 197 certamente da ascriversi al novero delle modalità di protezione del consumatore, rimanendo tuttavia da chiarire se la disciplina del consumatore non possa essere oggetto di alcuna deroga da parte dell’autonomia negoziale dei soggetti privati. Rimanendo chiaramente sempre possibile una deroga in melius del dettato legislativo, il limite riguarda piuttosto la derogabilità in peius, rendendosi necessaria questa previsione normativa laddove l’autonomia negoziale, se lasciata a se stessa, rischierebbe di ledere la posizione della parte debole627. L’indagine sui confini dell’autonomia negoziale del contraente debole, quando si tratti di un consumatore, permette di asserire pertanto che, posto il divieto di deroghe in peius alla normativa consumeristica, e asserita la non intaccabilità, da parte del potere di disposizione del soggetto privato che ne è titolare, del novero dei diritti fondamentali espressamente riconosciuti e garantiti dalla vigenza testuale della legge stessa, l’operatività della libertà contrattuale in questa modalità di negoziazioni permette tanto deroghe in melius quanto la possibilità che il consumatore rinunci ai diritti patrimoniali, di cui sia già divenuto titolare, e che non rientrano nello spettro di cui all’art. 2 cod. cons628. La presente trattazione della odierna configurazione della categoria della nullità contrattuale ruota attorno all’innovazione più eclatante, dovuta alla genesi del massiccio impianto normativo contenuto nel Codice del consumo, che ha costituito In tal senso si esprime A.M. SINISCALCHI, Commento all’art. 134, in G. VETTORI (a cura di), Codice del consumo, Commentario, p. 1013. Sull’argomento della indisponibilità dei diritti da parte del consumatore, cfr. S. MONTICELLI, L’indisponibilità dei diritti del consumatore nel Codice del consumo e la nullità dei patti, in Contratti, 2007, 7, p. 697, il quale, ravvisando nell’art. 143 cod. cons. lo strumento di legittimazione a “deroghe migliorative” a favore del consumatore, provvede a compiere la distinzione tra diritti fondamentali di cui all’art. 2 cod. cons., irrinunciabili, ed il novero dei diritti patrimoniali che sono suscettibili di rinuncia, una volta verificatisi i fatti relativi al sorgere degli stessi, condividendo tale approccio con G. DE CRISTOFARO, Il “Codice del Consumo”, cit., p. 815, in cui egli rileva lucidamente come, qualora venisse negata al consumatore la possibilità di disporre liberamente e consapevolmente dei diritti che gli vengono riconosciuti dallo stesso codice del consumo e di cui egli sia già divenuto titolare, allora si verificherebbe una pesante nonché ingiustificata coercizione dell’autonomia privata nell’ambito consumeristico. Per cui, con S. MONTICELLI, L’indisponibilità dei diritti del consumatore nel Codice del consumo e la nullità dei patti, cit., p. 698, si può validamente asserire che tanto il professionista quanto il consumatore sono “liberi di transigere, rinunciare o comunque disporre dei propri reciproci diritti, quanto meno di quelli già acquisiti”, altrimenti non avrebbe senso il tenore del disposto di cui all’art. 141 cod. cons. 628 Rientra nel novero delle previsioni di cui all’art. 2 cod. cons. l’obbligo, gravante in capo al professionista, relativo al fornire ai consumatori una adeguata informazione ed una corretta pubblicità, conformemente al principio di correttezza, trasparenza ed equità nello svolgersi dei rapporti contrattuali. Emerge pertanto come l’obbligo di informazione svolga un ruolo centrale quale forma di tutela del contraente debole. Sul punto cfr. G. D’AMICO, Regole di validità e regole di comportamento nella formazione del contratto, in Riv. Dir. civ., 2002, I, p. 37; S. VALENTINO, Obblighi di informazione, contenuto e forma negoziale, Napoli, 1999, p. 252; E. SCODITTI, Regole di validità e principio di correttezza nei contratti del consumatore, in Foro It., 2007, I, c. 2094 ss.; P.L. FAUSTI, Il Codice del consumo. Il ruolo ambiguo della trattativa e l’importanza della trasparenza (con nuove considerazioni sul ruolo del notaio nei contratti di finanziamento bancario), in Notariato, 2007, p. 71. 627 198 lo scoglio con il quale la parte del Codice civile relativa alla materia del contratto in generale è stata chiamata a confrontarsi, nella necessità di una rivisitazione del terreno di operatività di quest’ultima. In ciò si rintraccia la ragione per cui ci si è finora preoccupati quasi esclusivamente dell’argomento del consumatore. Da una accurata analisi della proliferante legislazione contrattuale di settore emerge tuttavia la sussistenza di molteplici ipotesi di nullità contenute in discipline non espressamente volte alla protezione del contraente debole, inteso nell’accezione consumeristica629. Si pensi alla disciplina della subfornitura nelle attività produttive, di cui alla legge 18 giugno 1998, n. 192, nella quale si prevedono diversi casi di nullità tanto formali quanto sostanziali senza che sia indicato il regime della nullità stessa. A ben vedere, anche in tale dinamica negoziale è possibile riscontrare che un contraente si trova in posizione di non perfetta parità rispetto all’altro: il subfornitore necessita infatti di una adeguata protezione in quanto egli si trova ad avere un ruolo più debole nella contrattazione. Affrontando l’argomento della subfornitura in un contesto incentrato sulla problematica della nullità, quale è la presente sedes materiae, sorge inevitabilmente il quesito relativo alla valenza assunta dalla legittimazione a far valere le nullità di cui alla legge 192/1998: se, invero, essa sia da intendere riservata al contraente protetto dalla specifica norma o se piuttosto si debba applicare la disciplina generale di cui all’art. 1418 ss. cod. civ., nel silenzio del legislatore sul punto630. In realtà, il problema sembra vedere ridimensionati i propri connotati, nel momento in cui si ha riguardo a tutta la serie di nullità che, per definizione, sono volte a sanzionare soltanto una clausola del contratto, dal momento che in questi casi, la necessaria parzialità della nullità esclude che si prospetti il rischio che la controparte faccia cadere tutto il negozio in 629 M. NUZZO, I contratti del consumatore tra legislazione speciale e disciplina generale del contratto, in Rass. dir. civ., 1998, 2, p. 308 630 L’approccio di carattere scientifico all’interrogativo introduce ad una dottrina controversa. Sull’applicabilità delle regole generali del Codice civile alla nullità per vizio di forma di cui all’art. 2 l. 192/1998, cfr. A. MUSSO, La subfornitura, in Comm. Scialoja-Branca, Libro IV, Titolo III, Suppl. L. 18 giugno 1998, n. 192, Bologna – Roma, 2003, sub art. 2, p. 137. Contra: G. GIOIA, Nuove nullità relative a tutela del contraente debole, in Contr. Impr., 1999, p. 1345; R. GRAZZINI, in V. BERTI – R. GRAZZINI, La disciplina della subfornitura nelle attività produttive, Milano, 2005, p. 148; S. MONTICELLI, Nullità, legittimazione relativa e rilevabilità d’ufficio, in Riv. Dir. priv., 2002, p. 698. Quanto all’ipotesi di nullità di cui all’art. 4 legge 192/1998, cfr. M.A. LIVI, Le nullità, in V. CUFFARO (a cura di), La subfornitura nelle attività produttive, Napoli, 1998, p. 187. Sulla qualifica della nullità di cui all’art. 5 legge 192/1998: essa è definita relativa da R. GRAZZINI, in V. BERTI – R. GRAZZINI, La disciplina della subfornitura nelle attività produttive, cit., p. 150; contra A. MUSSO, La subfornitura, in Comm. Scialoja-Branca, cit., sub art. 5, p. 293, il quale mette in luce la riconducibilità di essa alla figura codicistica tradizionale; opta per una lettura in chiave di nullità assoluta anche E. PRATI, La sanzione della nullità nel contratto di subfornitura, in Contratti, 1999, p. 297. A conferma di tale ultima impostazione anche S. POLIDORI, Discipline della nullità e interessi protetti, cit., p. 117. 199 ossequio al disposto di cui all’art. 1419 cod. civ. Vi sono, tuttavia, alcune ipotesi, come l’art. 9 terzo comma della legge 192/1998, nelle quali si scorge una potenziale estensione della invalidità all’intero contratto. Nel vigore testuale della norma appena richiamata, si legge che “il patto attraverso il quale si realizzi l’abuso di dipendenza economica è nullo”, con il conseguente problema dell’esegesi del termine “patto” che, se si propendesse per l’identificazione con l’intero contratto, comporterebbe la nullità di tutto il negozio631. A voler leggere il fenomeno della nullità in una prospettiva di comparazione della disciplina contenuta nel Codice del consumo con quella di cui alla legge sulla subfornitura, emergono quindi elementi di diversità inconciliabile, come è pacifico se si considera che il legislatore del 1998 non ha approntato una normativa a protezione di una categoria determinata di soggetti (contrariamente a quanto avviene con il Codice del consumo), bensì ha apprestato una modalità di tutela per chi in concreto si trovi in una condizione svantaggiata. In quest’ultima circostanza, il ricorso alla nullità parziale, caratterizzata dalla limitata legittimazione ad agire, una volta ammessa la lettura in tali termini delle ipotesi di nullità di cui alla legge sulla subfornitura, si presentano quali strumenti efficaci ad assicurare l’equivalenza sostanziale delle posizioni delle parti contraenti. Le ipotesi di nullità di cui ci si è fin qui occupati vengono ricondotte all’espressione gergale “nullità anomale”, proprio per indicare che esse presentano punti di discrepanza rispetto alle figure codicistiche tradizionali dell’invalidità, in particolare quella della nullità. Si può certamente rilevare la scarsa accuratezza da parte del legislatore di settore nell’impiego, per molti aspetti superficiale ed imprudente, del termine “nullità”. A ciò è da aggiungersi qualche notazione relativa alla mancanza di uniformità nel linguaggio adottato, se si ha riguardo alla formulazione di cui all’art. 36 terzo comma cod. cons. letto in combinazione con l’art. 134 primo comma cod. cons. In alcuni luoghi legislativi, si registra piuttosto l’omissione di elementi presenti invece in norme simili e, in molti casi, operativi nel medesimo ambito di applicabilità: la rilevabilità d’ufficio della nullità da parte del 631 Ci si trova qui di fronte ad un impiego peculiare della categoria della nullità non tanto e non solo quale strumento di protezione della parte che risulti debole nella negoziazione, quanto piuttosto come mezzo attraverso cui riequilibrare le posizioni contrattuali, al fine di porre rimedio all’abuso di dipendenza economica. Sul punto cfr. C. PILIA, Circolazione giuridica e nullità, Milano, p. 351 e L. DELLI PRISCOLI, L’abuso di dipendenza economica nella nuova legge sulla subfornitura: rapporti con la disciplina delle clausole abusive e con la legge antitrust, in Giur. Comm., 1998, I, p. 843, nonché, per una lettura comparativa dell’abuso di dipendenza economica con l’abuso di posizione dominante, S. NATOLI, v. Abuso di dipendenza economica, in Dig. Disc. Priv. – sez. comm., Torino, 2003, p. 16 200 giudice talvolta è espressamente statuita, altre volte invece non si rintraccia nella lettera della legge alcun richiamo ad essa, e ciò come emerge dal confronto degli artt. 67 septies decies cod. cons. e 67 octies decies cod. cons. Per contro, ricorrono molteplici elementi volti a marcare i tratti somatici della disciplina delle nuove figure di nullità, quali la restrizione ex lege della nullità a singole clausole e le limitazioni alla legittimazione ad agire per far valere il vizio del negozio, nonché la rilevabilità d’ufficio632. Emergono, quindi, due figure di nullità anomale: quella della cosiddetta “nullità parziale necessaria”633 e quella della “nullità relativa di protezione”634. L’elemento centrale della questione ruota attorno alla consapevolezza della diversa ratio che sta alla base del giudizio di parzialità in questi casi, rispetto alle ipotesi regolate in via generale dalla disciplina codicistica, dal momento che tale “nullità parziale necessaria” è da leggersi quale nullità che si fonda su un giudizio a priori, formulato dal legislatore, in senso favorevole al mantenimento del contratto, al fine di garantire una forma più completa di tutela del contraente debole, così che quest’ultimo sia messo di fronte alla sconveniente alternativa di scegliere tra l’esecuzione della fattispecie viziata e la rinuncia in toto al negozio. Il carattere parziale della nullità viene così in considerazione quale soluzione intermedia che permetta, al tempo stesso, al contraente debole di essere tutelato contro gli aspetti pregiudizievoli derivanti dalla contrattazione viziata e di evitare di rinunciare a quei vantaggi che dalla contrattazione stessa possano derivargli. Il limite della portata e della convenienza applicativa del disposto di cui all’art. 1419 primo comma cod. civ. a queste nuove esigenze di tutela si scorge proprio nel rilievo per cui, qualora il contraente debole invocasse la nullità della clausola viziata in assenza di qualsivoglia precisazione normativa, allora la controparte potrebbe appellarsi al fatto che “non avrebbe concluso quel contratto senza la parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità”, con la conseguenza per cui il giudice si vedrebbe di fatto costretto a decidere in senso favorevole alla invalidazione dell’intero contratto. Ma, seguendo tale via, sarebbe proprio la parte “forte” a decidere le sorti del negozio, e ciò è contrario alla ratio della stessa legislazione di protezione, che non è cosa da trascurare se si considera che, alla luce 632 S. MONTICELLI, Limiti sostanziali e processuali al potere del giudicante ex art. 1421 c.c. e le nullità contrattuali, in Giust. civ., 2003, 7-8, 2, p. 295 633 G. PASSAGNOLI, Nullità speciali, Milano, 1995, passim; F. DI MARZIO, Forme della nullità nel nuovo diritto dei contratti. Appunti sulla legislazione, sulla dottrina e sulla giurisprudenza dell’ultimo decennio, in Giust. civ., 2000, II, p. 475. 634 V. ROPPO, Il contratto, cit., p. 753 e 842 201 della novità normativa, la stessa ratio legis assurge ad elemento d’elezione sulla base del quale effettuare il giudizio sulle sorti del negozio, imponendo di trovare la soluzione che si riveli maggiormente ossequiosa dello scopo della normativa da applicare, a costo di sacrificare e superare i criteri e principi propri della disciplina tradizionale, con i quali il giurista si è, per molto tempo, misurato. Si comprende, allora, come al criterio della ratio legis rispondano tanto il requisito della necessaria parzialità della nullità quanto il tratto della sostituzione delle clausole viziate con i parametri desumibili dallo stesso contesto normativo nell’ambito del quale si colloca la specifica sanzione della nullità. La prevalenza della ratio legis sul tenore testuale della regola da applicarsi costituisce un trend nei recenti interventi legislativi di settore, sintomo della maggiore attenzione per la ricerca della soluzione del caso concreto che sia maggiormente rispondente al criterio di equità sostanziale. 7. La presente disamina delle sorti della categoria della nullità negoziale richiede qualche notazione specifica sulla figura della nullità relativa. Si tratta di un argomento che, da non breve periodo, si trova al centro di molteplici dibattiti e studi scientifici, volti precipuamente ad individuare gli effettivi rapporti tra – o, per meglio dire, il discrimen tra – nullità tout court e nullità relativa. In particolare, la questione ruota attorno all’interrogativo circa la sussistenza o meno della possibilità di configurare la nullità relativa quale categoria autonoma, piuttosto che ascriverla a quella della nullità tout court. Affrontando qui il discorso a partire dall’epoca in cui la Codificazione del 1942 ha conosciuto l’apice della sua importanza ed operatività, per poi giungere all’esame del fenomeno della nullità relativa nelle vesti in cui essa è prevista nel Codice del Consumo, bisogna in primis ricordare la difficoltà che ha inizialmente incontrato la dottrina nell’accettare che potesse esistere una forma di invalidità attivabile da parte di uno soltanto dei soggetti contraenti635. Per tale ragione, è stata per lungo tempo essenzialmente negata la possibilità che essa venisse configurata quale categoria dogmatica autonoma, propendendo piuttosto per l’ascrivibilità di essa agli istituti della annullabilità o dell’inopponibilità. Già Per un’esigenza di completezza, è opportuno chiarire come, nell’ambito della nullità relativa, si debbano tenere distinti i casi in cui l’invalidità possa essere fatta valere da uno soltanto dei soggetti, da quelli in cui piuttosto essa sia fatta valere nei confronti di determinati soggetti. La distinzione è lucidamente operata nella pagina di L. CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1948, p. 347, in cui si afferma che “nella prima si ha limitazione della legittimazione attiva a far valere la nullità, nella seconda si ha limitazione dal punto di vista passivo”. Alla prima figura è da attribuirsi il termine “nullità relativa” tecnicamente intesa. 635 202 dall’analisi dell’impiego della figura della “nullità relativa” nelle varie ipotesi tanto quelle allora presenti all’interno del Codice civile, quanto riscontrabili nella – per molto tempo poco frequente – legislazione di settore, è emerso come lo stesso termine “nullità relativa” sia stato utilizzato con riguardo ad una molteplicità di situazioni, alcune delle quali effettivamente riconducibili alla nullità vera e propria, ed altre annoverabili tra le situazioni idonee ad attivare propriamente l’istituto della annullabilità, così che la “nullità relativa” è stata confinata in un ruolo di carattere residuale, quasi a voler dire che essa sarebbe venuta in considerazione ogniqualvolta, per esclusione, la situazione concreta non fosse suscettibile di poter essere ricondotta alle note e pacifiche figure della nullità “indiscussa” o della annullabilità, negando ad essa ogni autonomo valore sistematico. Se ci si affaccia oggi sullo scenario delle nullità, viene subito in evidenza come la figura della nullità relativa si riempia essenzialmente di due significati specifici: il primo, quello di una ipotesi particolare di nullità attivabile ad libitum suum da un soggetto determinato; il secondo, quella forma di nullità in conseguenza della quale gli effetti del contratto vincoleranno soltanto uno dei contraenti, rimanendo invece l’altro libero di sciogliersi dal vincolo qualora lo desideri. Tuttavia, soltanto il primo dei due significati conduce alla ascrivibilità della nullità relativa al fenomeno della invalidità, dal momento che, mentre nel primo caso il contraente protetto ha l’alternativa se mantenere in vita il negozio o eliminarlo con effetti erga omnes, nel secondo caso, invece, si vuole che gli effetti del negozio si producano soltanto nei confronti della parte non protetta, non andando a coinvolgere la parte debole contro la sua volontà. Pertanto, solo nella prima ipotesi si può parlare correttamente di invalidità, malgrado essa si manifesti stavolta in una forma, per così dire, inusuale, mentre, nel secondo caso, è più opportuno parlare di annullabilità o, più in generale, di mera inopponibilità del vincolo negoziale nei confronti del contraente tutelato dalla disposizione, esulando, perciò, in tale ultima circostanza, dalla figura della nullità relativa. Ne consegue che, secondo tale ricostruzione contemporanea del fenomeno, l’esigenza che oggi la nullità relativa è chiamata a soddisfare consiste proprio nel fornire il massimo grado di tutela effettiva per il soggetto individuato come “parte debole”. Alla luce di tali considerazioni, sarebbe opportuno guardare alla nullità relativa come ad una forma di invalidità negoziale fondata essenzialmente sulla limitazione, operata dalla legge, della legittimazione a farla valere, costituendo questo un soddisfacente criterio di distinzione tra nullità relativa 203 e nullità assoluta636. Questa sembra essere la modalità più corretta attraverso cui condurre l’approccio alle varie ipotesi di nullità contenute nella odierna legislazione di protezione637. Una volta risolto in senso affermativo l’interrogativo circa la riconducibilità della nullità relativa alle conseguenze della patologia di un negozio giuridico, rimane ora da considerare, specificamente, la collocazione che sia da dare ad essa all’interno dell’ampio genus dell’invalidità. L’incertezza ha riguardo in particolare alla configurazione sistematica della nullità relativa in rapporto alle tradizionali categorie della nullità e dell’annullabilità. Si verifica sovente l’approccio alla figura qui in esame quale epifania od ipostasi della categoria generale della nullità, rispetto alla quale il requisito della limitata legittimazione a farla valere non varrebbe di per sé a fare di essa una autonoma categoria. Del resto, neppure l’analisi degli interessi tutelati permette, a gran parte della dottrina, di costruire la categoria autonoma della nullità relativa, se si condivide l’impostazione secondo cui, poiché la figura della nullità negoziale è posta a presidio di interessi di carattere generale, essendo la nullità relativa una forma di protezione di interessi “di serie o di massa”, quali quelli di una determinata categoria (si pensi a quella dei consumatori), allora anche in questo caso la nullità relativa opera come forma di garanzia e di tutela dei valori fondamentali dell’ordinamento. Neanche seguendo la via degli interessi tutelati si può, quindi, giungere a delineare la nullità relativa di protezione quale autonoma categoria negoziale638. Al fine di compiere il tentativo di costruzione della nullità relativa quale autonoma categoria sistematica, è opportuno soffermarsi sul tratto della possibilità per il contraente debole di scegliere se attivare la nullità per la pattuizione viziata o piuttosto determinare il consolidamento della fattispecie relativamente nulla. Certamente, la conferma, espressa o tacita, compiuta dal contraente debole assumerà valenza di rinuncia allo strumento di tutela approntato dalla legge, optando piuttosto per la sanatoria della pattuizione viziata. Tale sanatoria non può peraltro essere ricondotta pacificamente alla figura della convalida del negozio annullabile, dal momento che in questo caso si ha a che fare con una fattispecie che è inefficace ab origine. Del resto, la possibilità che, in limitati casi previsti dalla 636 In tale senso R. TOMMASINI, v. Nullità (dir. priv.), in Enc. dir., XVIII, 1978, p. 896. F. DI MARZIO, Forme della nullità nel nuovo diritto dei contratti, appunti sulla legislazione, sulla dottrina e sulla giurisprudenza, cit., p. 478, il quale richiama una delle rare pronunce della giurisprudenza in cui si è fatto ricorso alla categoria della nullità relativa (Trib. Firenze, 5 maggio 1960, in Giur. It., 1960, I, 2, c. 885). 638 V. ROPPO, Il contratto, cit., p. 842 637 204 legge, possa aver luogo la sanatoria di un negozio nullo è quanto il legislatore stesso ha inteso prevedere alla lettera dell’art. 1423 cod. civ., al quale potrebbe essere ricondotta l’ipotesi della nullità relativa di protezione. Ebbene, sulla scorta di tali riflessioni, la figura della nullità relativa di protezione può essere considerata una autonoma ipotesi di invalidità, da un punto di vista sistematico, qualificabile come “nullità anomala”, in quanto essa, pur condividendo con la tradizionale categoria della nullità di matrice codicistica tanto il requisito della rilevabilità d’ufficio639 quanto quello della originaria inefficacia della clausola sanzionata con tale forma di nullità nonché della potenziale imprescrittibilità della possibilità di far accertare la sussistenza del vizio, tuttavia si differenzia dalla nullità generale non soltanto per la limitata legittimazione a farla valere, ma anche in quanto per la prima è sempre ammessa la sanabilità, mediante una convalida compiuta dal contraente debole, contrariamente al panorama generale della nullità al quale il giurista è tradizionalmente avvezzo640. In aggiunta a questa notazione, anche in forza del sempre crescente margine di operatività della figura della nullità relativa, essa può attualmente essere considerata alla stregua di una autonoma categoria sistematica, piuttosto che una mera articolazione funzionale della nullità in generale. Il requisito della relatività necessita pertanto di essere letto, non solo nella chiave di limitata legittimazione ad esperire l’azione di nullità, quanto piuttosto in termini di potere esclusivo del contraente debole di optare o meno per la sanabilità della pattuizione viziata, potere peraltro speculare rispetto alla legittimazione ad agire. In tale maniera è proprio il contraente debole a poter decidere liberamente quali saranno le sorti della pattuizione negoziale, o, in altri casi, dell’intero negozio. Il tradizionale principio di conservazione del contratto si viene, così, in questa sede, ad esprimere proprio nel requisito della tendenziale sanabilità del vizio, attribuita dal legislatore stesso ad una ipotesi di nullità, ed attivabile esclusivamente per scelta del contraente debole641. L’assetto contemporaneo della materia delle invalidità negoziali conosce, accanto alle tradizionali figure della nullità e della annullabilità, anche quell’ampio novero delle cosiddette “nullità anomale”, che costituiscono il prodotto della copiosa G. BONFIGLIO, La rilevabilità d’ufficio della nullità di protezione, in Riv. Dir. priv., 2004, p. 861 (p. 898); S. MONTICELLI, Nullità, legittimazione relativa e rilevabilità d’ufficio, in Riv. Dir. priv., 2002, p. 685 640 S. PAGLIANTINI, Autonomia privata e divieto di convalida del contratto nullo, Torino, 2007, p. 200. 641 E. QUADRI, “Nullità” e tutela del “contraente debole”, in cit., p. 1187. 639 205 legislazione di settore, quasi esclusivamente di matrice comunitaria, e che, tanto per le loro caratteristiche specifiche quanto per la funzione che sono chiamate a svolgere, si distinguono a tal punto dalle previsioni codicistiche di cui agli artt. 1418 ss. cod. civ. da potersi parlare di una nuova figura di invalidità, autonoma rispetto alla nullità generale con la quale il giurista è stato chiamato tradizionalmente a misurarsi. Il ricorso, da parte del legislatore di settore, al termine “nullità” per questa nuova forma di protezione non è da ritenersi una scelta terminologica avventata né inidonea, se si considera che queste figure di nullità, per così dire, anomale condividono con la nullità generale alcuni tratti salienti sopra richiamati642. La linea di demarcazione tra questi due blocchi concettuali è da rintracciarsi nel requisito della sanabilità della pattuizione viziata, ad opera della parte al cui presidio la nullità stessa è stata posta. E proprio sulla base di questo rilievo si può costruire una autonoma categoria delle nullità di protezione, alla quale sono da ascrivere tanto le ipotesi di nullità espressamente disciplinate all’interno della legislazione di settore, quanto quelle fattispecie che, nella medesima, sono sanzionate con la nullità senza tuttavia che il legislatore abbia provveduto a chiarire a quale delle figure di nullità essa vada ricondotta, ma che, sulla base di un lavoro ermeneutico imperniato sul costante riferimento alla ratio legis, possono pacificamente essere annoverate tra le ipotesi di nullità di protezione. Nella legislazione di settore rimangono, comunque, tra i casi in cui è statuita la nullità senza che siano dettate ulteriori espresse indicazioni, molteplici situazioni nelle quali è operativa la nullità codicistica generale, determinandosi, pertanto, una coesistenza della nullità, per così dire, speciale con quella tradizionale. Certamente, dal lavoro ermeneutico operato, sulla legislazione di settore, tanto negli ambienti scientifici quanto nel contesto applicativo della giurisprudenza, si registra una sempre crescente operatività della nullità speciale di protezione rispetto a quella di matrice codicistica, a tal punto da non sembrare infondata l’ipotesi avanzata, da parte di autorevole dottrina643, circa la possibilità di prospettare una vera e propria species di nullità, quella speciale di Nell’analisi del concetto di nullità nell’epoca attuale A. CATAUDELLA, Il concetto di nullità del contratto ed il suo permanente vigore, in Studi in onore di Nicolò Lipari, cit., I, p. 414 – 415, rintracciando la contingente operatività dei criteri distintivi essenziali della nullità, il che vale a dire l’imprescrittibilità, la rilevabilità d’ufficio e l’inefficacia iniziale del contratto nullo, proprio sulla base di ciò afferma “la attuale tenuta” del “concetto di nullità così come è stato elaborato e ci è stato tramandato”. 643 V. SCALISI, Nullità e inefficacia nel sistema europeo dei contratti, p. 503, in ID, Il contratto e le invalidità, p. 250 642 206 protezione, volta a costituire parte integrante della categoria generale della nullità sanabile, la quale, a sua volta, costituirebbe una fattispecie a sé stante rispetto al dettato codicistico di cui agli artt. 1418 ss. cod. civ644. 644 Il problema degli odierni rapporti tra disciplina generale e nullità speciali può essere affrontato con maggiore lucidità di pensiero se si ha riguardo alla ricostruzione effettuata autorevolmente da E. BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, 1971, p. 121, 184, impostazione ripresa, in epoca più recente, da G. BENEDETTI, La categoria generale del contratto, in Il diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, Napoli, 1991, p. 61 Per un approccio in chiave di teoria generale N. LUHMANN, Sistema giuridico e dogmatica giuridica, Stuttgart, 1974, p. 73. E’ degna tuttavia di qualche notazione la singolare nonché autorevole impostazione secondo cui la specialità non comporta necessariamente la negazione del carattere dogmaticamente unitario della figura della nullità: L. MENGONI, Problema e sistema nella controversia sul metodo giuridico, in Diritto e valori, Bologna, 1985, p. 11 207