Capitolo Primo
Le odierne fonti del diritto dei contratti
Sommario: 1. L’attuale assetto delle fonti del diritto dei contratti. Crisi del principio di sovranità
dello Stato. Tendenza alla compenetrazione delle regole domestiche sia nella forma che nel
contenuto con le regole aventi la veste formale domestica ma contenuto di matrice comunitaria.
Riflessioni introduttive. – 2. Il contratto ieri e oggi. Breve storia dell’istituto del contratto dalle sue
origini ai giorni nostri. I rapporti tra contratto e proprietà: il contratto come fonte dell’obbligazione
di trasferire la proprietà; il contratto come modo di acquisto/trasferimento della proprietà; il contratto
come strumento per la creazione di nuovi beni. Dalla definizione di contratto al concetto di
operazione economica. Le new properties. Le nuove figure proprietarie. Per una nuova categoria
della proprietà. Il complicarsi delle operazioni economiche richiede l’elaborazione di nuovi
strumenti giuridici, tali da essere maggiormente idonei, rispetto a quelli già noti, a fornire la veste
giuridica a rapporti commerciali nuovi e complessi. Dal contratto ai contratti. Frammentazione della
categoria unitaria del contratto così come viene concepita nella parte generale del Codice civile.
Creazione di una pluralità di modelli contrattuali. L’asimmetria di potere negoziale: i contratti
business to business e business to consumer. Il nuovo volto dell’autonomia negoziale. – 3. Intorno
alla nozione di “diritto privato europeo”. Le norme contrattuali di settore “a contenuto comunitario”.
Il Codice del consumo: una forma di tutela del contraente debole. Intorno alla sostanziale carenza,
all’interno del Codice civile, di regole in materia di contratti con disparità di potere negoziale. Uso
improprio del termine “codice” con riguardo alla legislazione consumeristica. La ricodificazione,
ovvero lo strapotere dello strumento della “legge delegata”. L’ acquis communautaire. – 4. Dalle
codificazioni ai Principi: una nuova vicenda del diritto dei contratti. Esigenza di elaborazione di un
tessuto di regole comuni per permettere lo svolgersi di contrattazioni dai contenuti sostanziali
essenzialmente uniformi. A livello internazionale: i Principi Unidroit; iter genetico, obiettivi
funzionali e presupposti per l’operatività. La dilatazione dell’ambito di applicazione dei Principi
Unidroit. A livello comunitario: il Draft Common Frame of Reference. – 5. “Terra e mare”1: le fonti
del diritto di derivazione legislativa e la prassi contrattuale internazionale. Crisi della fonte legale e
lex mercatoria contemporanea. Le caratteristiche della nuova soft law. – 6. Per un approccio al
diritto europeo dei contratti in chiave di armonizzazione. – 7. L’ integrazione tra ordinamenti: tra
principi inviolabili e diritti fondamentali.
“(il diritto)… trova la misura della sua storicità nel fatto di rendersi, esso stesso –
intuisca concezioni teoriche precorritrici o constati la sedimentazione di radicate
applicazioni giurisprudenziali- , come criterio di valutazione critica del
complessivo contesto sociale”2.
N. Lipari
1
Espressione con cui un grande studioso del diritto, Carl Schmitt, ha inteso intitolare quel suo
lavoro in cui egli stesso ha ripercorso le tappe salienti della storia del mondo attraverso l’alternativa
dicotomica terra – mare e fornendo una visione della “storia dell’umanità” quale “un cammino
attraverso i quattro elementi”. Schmitt sembra quindi aver individuato le uniche categorie che sono
suscettibili di rimanere sempre immutate ed uguali a se stesse nel corso del tempo, a tal punto da
meritare l’osservazione, da parte dell’amico Junger, secondo cui “Carl Schmitt è tra i pochi che
cercano di valutare gli eventi in base a categorie che non siano di breve respiro come le categorie
nazionali, sociali, economiche”. Il riferimento è a C. SCHMITT, Terra e mare. Una riflessione sulla
storia del mondo, Milano, 2002, p. 127.
2
N. LIPARI, Presentazione. Una ricerca per l’insegnamento del diritto “privato”, in ID., Diritto
privato. Una ricerca per l’insegnamento, Bari, 1974, p. XII. In tale modo, viene autorevolmente
rintracciato il nucleo identificativo del diritto, dal quale il fenomeno giuridico sembra oggi essere
lontano, per tale ragione postulando la necessità di una profonda riflessione sui temi che sono
intrinsecamente connessi con il diritto stesso, attraverso l’autorevole percorso delineato dallo stesso
N. LIPARI, Diritto e valori sociali, Roma, 2004, nonché, in un approccio di tipo filosofico, a partire
dalla risalente indagine intorno all’argomento che è stata compiuta da L. LOMBARDI VALLAURI,
Amicizia, carità, diritto. L’esperienza giuridica nella tipologia delle esperienze di rapporto, Milano,
1974.
1
1. L’attuale scenario delle fonti del diritto, in generale, e delle norme che regolano
la materia dei contratti, in particolare, si presenta, quanto mai dedaleo3. Si assiste,
infatti, ad una frenetica nonché assai generosa produzione di regole4 - dettate dalla
esclusiva esigenza di disciplinare le varie vicende commerciali che trovano la loro
ambientazione in un mercato di portata ormai prevalentemente transnazionale – le
quali non costituiscono più esclusiva espressione della sovranità di ciascuno Stato,
dal momento che sono autori di tali predette regole centri di potere che, tuttavia,
non sono titolari del potere legislativo nel senso tradizionalmente inteso5. Da un
3
Il pensiero intorno alle vicende giuridiche che vedono oggi protagonista la materia dei contratti non
può prescindere da una indagine sull’assetto contemporaneo delle fonti del diritto. Osserva
acutamente in proposito V. ROPPO, Il contratto del duemila, Torino, 2005, pp. 3-5, nell’incipit del
suo volumetto che “la riflessione sui rapporti fra contratto e fonti del diritto si sviluppa,
tendenzialmente, intorno a due assi: il contratto come fonte, e le fonti del contratto”, permettendo in
questo modo di meditare sul contratto in termini di “norma”, ove egli afferma che “sul piano
empirico, la concezione che vuole il contratto partecipe della natura di fonte del diritto trova
sostegno in fenomeni del nostro tempo, che esaltano il valore generale, o comunque
superindividuale, della regola contrattuale. Il pensiero va, naturalmente, ai contratti standard”;
introducendo altresì il “fenomeno, sempre più esteso, dell’autoregolamentazione di categoria”,
laddove “le associazioni rappresentative delle categorie di operatori professionali elaborano regole
per disciplinare i comportamenti degli associati nell’esercizio dell’attività di riferimento e nei
corrispondenti rapporti esterni”.
4
L. ROSSI CARLEO, Diritto comunitario, “legislazione speciale” e “codici di settore”, in Riv.
Not., 2009, 1, p. 11, osserva, sul punto, che ci troviamo dinanzi ad “una fase caratterizzata da una
vera e propria “iperregolazione”, determinata anche, se non soprattutto, dall’irrompere di discipline
di origine comunitaria”.
5
Attualmente, è quanto mai necessario, al fine di poter comprendere il vigente assetto del panorama
delle fonti del diritto dei contratti, tenere bene a mente le tradizionali nozioni che costituiscono le
fondamenta dell’ordinamento giuridico, quest’ultimo inteso come un complesso di regole e strutture
che acquistano la loro piena identità e ratio essendi proprio nel momento in cui si traducono, in
termini di effettività, nell’organizzazione di una determinata collettività e nel riconoscimento che
quest’ultima accorda alle prime. In particolare ai nostri giorni, e comunque da non breve periodo,
uno dei prodotti vittoriosi della rivoluzione francese, l’aver posto le prime pietre per l’attuazione in
concreto del principio della sovranità dello Stato, a cui si ricollega l’esclusiva titolarità del potere
legislativo in capo ad esso, vede la sua operatività fortemente temperata, da un lato, da quel
complesso di limitazioni richieste sia dalle esigenze di ordine pubblico internazionale e dalle
intuizioni dei Padri Costituenti di cui la formulazione degli articoli 10 e 11 della nostra Costituzione
sono il risultato e, dall’altro, dal progressivo rafforzamento del potere normativo rispetto al potere
legislativo per cui su quest’ultimo da tempo sta gradualmente prendendo il sopravvento il fenomeno
della creazione di regole, che si vanno ad inserire nell’ordinamento, in chiave di effettività, con la
vincolatività propria delle leggi, da parte di soggetti che tuttavia non sono titolari del potere di fare
le leggi! Nella storia del diritto, si è soliti attribuire l’elaborazione in termini teorici della nozione di
sovranità all’illustre costituzionalista del XVI secolo Jean Bodin, definita peraltro, come
autorevolmente ricordato da M.S. GIANNINI, Sovranità (dir. vig.), in Enc. Dir., XLIII, Milano,
1990, 225, quale “somma delle potestà pubbliche dello Stato”, la quale quindi “si esercita su un
territorio definito e sul corpo sociale su di esso stanziato”, cosa che “vale già a connotarla rispetto ad
ogni altro gruppo di somme potestà di altri ordinamenti giuridici”, e da quel momento “la sovranità
rimase nelle realtà giuridiche degli Stati, e divenne altresì una nozione accettata da tutte le scienze
costituzionalistiche, in ogni Paese”. Sovranità è sinonimo di autonomia, in capo a quegli organi
dello Stato che sono titolari del potere legislativo, nel compimento degli atti di posizione delle
regole; dunque, autonomia: termine che per molti anni è stato la parola chiave della piramidale
roccaforte delle fonti del diritto e che tuttavia ha iniziato a conoscere le prime incrinature già con
l’attribuzione e l’esercizio del potere normativo alle autorità amministrative indipendenti: enti dotati
di competenze tecniche ben determinate, creati con lo scopo di attribuire ad essi il compito di
controllare, in modo corretto ed imparziale, che lo svolgimento delle attività connesse ad un
2
lato, le istituzioni proprie dell’Unione Europea sono titolari, per espressa previsione
del Trattato, del potere di adottare atti normativi idonei a dettare regole cogenti che
devono essere osservate all’interno di tutti gli Stati membri o comunque, a seconda
del tipo di atto adottato, all’interno dello Stato o degli Stati membri ai quali l’atto
stesso sia indirizzato6. Questi strumenti sono chiaramente utilizzati per creare le
condizioni affinché possa essere attuata quella libera circolazione di merci, persone,
determinato settore avvenga in conformità con i precetti di legge che lo disciplinano. Le competenze
delle cosiddette Authorities non si esauriscono tuttavia nella mera vigilanza e garanzia del rispetto di
regole poste da altri; le Authorities stesse sono infatti titolari del potere di stabilire regole, le quali
vanno ad incidere sui rapporti negoziali tra i soggetti che operano nel settore regolamentato, e quindi
sull’autonomia negoziale nonché sul contenuto del contratto, intervenendo a complicare il panorama
delle fonti del contratto e domandando che l’approccio all’argomento abbia luogo coinvolgendo
tanto le norme interne, di varia matrice, quanto quelle di derivazione internazionale e comunitaria, e
con una elasticità di pensiero tale da permettere una consapevole e matura capacità di ripensamento
dei criteri che regolano i rapporti tra le fonti includendo tra essi anche il principio di preferenza,
piuttosto che guardare ad essi esclusivamente in termini di preferenza, e questo è l’arduo compito
affidato all’interprete. In questa prospettiva, appare pertanto condivisibile la posizione assunta in
dottrina da L. DI BONA, Potere normativo delle autorità indipendenti e contratto, Napoli, 2008, 93,
la quale osserva, in merito alle fonti autoritative, che “esse rappresentano uno dei più significativi
punti di emersione dell’evoluzione che progressivamente ha investito il sistema, testimoniandone
l’apertura verso fonti, anche extra ordinem, che stabilmente contribuiscono a formare la disciplina di
settori economici di rilevanza strategica e ad arricchire di nuova valenza lo stesso principio di
legalità”. Per una compiuta ricostruzione della problematica dei confini dell’autonomia negoziale
oggi si veda F.S. TONIATO, Autonomia dei privati e autorità indipendenti, in Studi in onore di
Nicolò Lipari, cit., II, p. 2889 ss. Amplius sul punto della crisi dello Stato moderno si vedano in
particolare gli autorevoli lavori di P. BARCELLONA, Il declino dello Stato, Bari, 2008; S.
CASSESE, Oltre lo Stato, Roma-Bari, 2006; ID., La crisi dello Stato, Roma-Bari, 2002. In
particolare, M.R. FERRARESE, Le istituzioni della globalizzazione. Diritto e diritti nella società
transnazionale, Bologna, 2000, p. 133, nel ricordare, anche attraverso il richiamo al noto storico
dell’economia Max Weber, come l’idea di diritto in termini di monopolio statale abbia costituito il
momento apicale dell’elaborazione giuspositivistica, rileva come, essendo lo Stato moderno un
“monopolista”, attualmente, con la globalizzazione, ci troviamo invece in una situazione in cui “gli
stati non sono più l’unica fonte del diritto: altri soggetti, anche privati, partecipano alla produzione
del diritto”. Sul problema dell’impatto dell’intervento delle Autorità indipendenti sulle forme di
manifestazione negoziale dell’autonomia privata si veda G. GITTI, Autorità indipendenti,
contrattazione collettiva, singoli contratti, in Riv. Dir. priv., 2003, 2, p. 255- 258.
6
Così dispone testualmente l’art. 249 (ex 189) del Trattato sull’Unione Europea: “Per
l’assolvimento dei loro compiti e alle condizioni contemplate dal presente trattato il Parlamento
europeo congiuntamente con il Consiglio, il Consiglio e la Commissione adottano regolamenti e
direttive, prendono decisioni e formulano raccomandazioni o pareri. Il regolamento ha portata
generale. Esso è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati
membri. La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da
raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. La
decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatari da essa designati. Le
raccomandazioni e i pareri non sono vincolanti.”. Questi sono gli atti delle istituzioni comunitarie;
regolamenti, direttive e decisioni, seppure con una diversa incidenza, si inseriscono nello spettro
delle fonti del diritto interne, imponendo un determinato contegno tanto al legislatore (obbligo di
trasposizione delle direttive comunitarie nel diritto nazionale) quanto all’interprete. In particolare,
gravano su quest’ultimo i vincoli che si sostanziano in primo luogo nella disapplicazione di fonti di
diritto interno che siano in contrasto con il precetto di matrice comunitaria, siano esse anteriori o
successive a quest’ultimo, ed in secondo luogo nell’interpretazione conforme delle fonti di diritto
interno la quale consiste nell’obbligo, in capo ai giudici nazionali, in sede di applicazione del diritto
interno, di interpretare quest’ultimo alla luce della lettera e dello scopo della direttiva trasposta.
3
servizi e capitali in cui si sostanzia il nucleo del programma dell’Unione7. E ciò
approntando una medesima disciplina per un determinato fenomeno giuridico così
che esso trovi una regolamentazione uniforme all’interno dei vari Paesi membri,
tutto questo essendo reso possibile da quella previsione della nostra Carta
costituzionale8 che ammette, ricorrendo determinati presupposti, la limitazione della
sovranità dello Stato9. Vi è poi, dall’altro lato, la cosiddetta lex mercatoria,
intendendosi denominare, con tale antico sintagma, quel complesso di regole le
quali nascono dalla pratica dello svolgimento delle transazioni tra i soggetti che
operano sul mercato, si consolidano mediante la ripetitività di tali comportamenti
fino ad assurgere a veri e propri modelli di comportamento nel momento in cui
vengono richiamate dalle parti contraenti, nell’esercizio della loro autonomia
Sul punto N. IRTI, Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto, Roma – Bari, 2004, p. 79: “L’Unione
ha il compito di creare uno spazio senza frontiere interne”.
8
A. CASSESE, sub art. 11, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione, Principi
fondamentali, Art. 1-12, Bologna, 1975, p. 579 ss., pone in risalto l’importanza della previsione
della limitazione di sovranità dello Stato laddove ciò valga ad inscriversi nel più ampio processo di
realizzazione di un “assetto internazionale a carattere democratico” (p. 580), procedendo con
l’evidenziare l’ampiezza della portata semantica del sintagma “limitazioni di sovranità”. Il concetto
di democrazia è oggi al centro di numerosi dibattiti e di innumerevoli necessitate rivisitazioni. Ci si
potrebbe chiedere, così, retoricamente se le attuali forme di limitazione di sovranità dello Stato siano
in concreto dettate dalla finalità di costituire un “ordine democratico internazionale”, o piuttosto un
“ordine mercantile internazionale”. G. ZAGREBELSKY, Imparare la democrazia, Roma, 2005,
passim, ripercorre criticamente gli snodi caratterizzanti della forma di governo democratica, dal
ruolo in essa attribuito agli individui al valore dell’uguaglianza, con l’apertura al dialogo e ad un
atteggiamento favorevole al confronto rispettoso delle diversità, laddove l’operare del principio di
maggioranza non si traduca nella mera prevalenza del più forte (la maior pars) sul più debole
numericamente, quanto piuttosto in un’occasione per accordare garanzia e tutela alle idee meno
rappresentative. L’Autore approda così al doloroso tema della attuale stanchezza della democrazia,
che si avverte nell’aumento degli episodi di intolleranza, delle disparità (e non diversità) sociali,
della videocrazia nonché della plutocrazia, dovuta alla iniqua concentrazione del potere politico
nelle mani di pochi soggetti privati detentori di ingenti patrimoni e titolari di affari economici di
enorme portata (p. 50-51). Si avverte, ai giorni nostri, uno spostamento del baricentro della
democrazia dalla sfera pubblica a quella di pochi soggetti privati che, attraverso una acquisita
funzione pubblica - schermo, pretendono di conferire legittimazione pubblica a provvedimenti volti
sostanzialmente ad agevolare interessi privati di natura economica di ingenti dimensioni.
9
Se, come è vero, la sovranità dello Stato non è che un altro modo di chiamare, in un contesto
democratico, la sovranità popolare, l’opinione di chi scrive è volta ad evidenziare come, nel contesto
contemporaneo, si assista ad un progressivo, nonché preoccupante, allontanamento dalla operatività
del principio della sovranità popolare in sede di formazione delle leggi, non sembrando che esse
oggi riflettano quella considerazione di J. HABERMAS, Fatti e norme, Napoli, 1996, p. 203,
secondo cui “il principio della sovranità popolare può anche essere immediatamente considerato in
termini di potere. In questo caso richiede il trasferimento della competenza legislativa alla totalità
dei cittadini, i quali soltanto riunendosi “insieme” possono generare la forza comunicativa di
convinzioni comuni”. In un corretto funzionamento del meccanismo della democrazia indiretta, il
ruolo del parlamento consiste proprio nel rappresentare la collettività dei cittadini in sede di
formazione delle regole alle quali gli stessi saranno vincolati. Sulla odierna crisi della democrazia si
veda N. GRECO, Crisi del diritto, produzione normativa e democrazia degli interessi, Roma, 1999,
passim, il quale, attraverso l’analisi dell’assetto della normazione tecnica in materia ambientale,
lascia emergere come attualmente gli interessi di cui le leggi e le norme si fanno portatrici non
coincidano più con il tradizionale “interesse pubblico, quanto piuttosto con gli interessi di gruppi di
potere. Nel panorama della funzione e dello scopo che le fonti del diritto sono oggi chiamate ad
effettuare e perseguire, pare quindi che l’interesse pubblico sia stato relegato in posizione residuale.
7
4
negoziale10, che vuol dire, tra l’altro, possibilità di dettare esse stesse le regole alle
quali sottoporre il contratto ed il rapporto giuridico-economico che da esso trae
origine11. Il contratto, quale strumento d’elezione per lo svolgimento degli scambi
commerciali, è, insieme con il complesso di regole che lo disciplinano, al centro
della vicenda12. La normativa in materia di contratto si fonda, procedendo in ordine
cronologico, in primo luogo, sull’impianto codicistico del 1942, che conosce, nella
seconda parte del Libro IV intitolato “Delle obbligazioni”, dapprima la trattazione
del contratto in generale e, successivamente, le previsioni relative a ciascuno dei
singoli contratti tipici. Nel corso degli anni sono stati operati alcuni interventi volti
a modificare o compiere aggiunte alle norme codicistiche in materia di contratti, ed
in seguito sono state adottate varie leggi, contenute in testi normativi esterni al
codice (e che hanno anche, in talune circostanze, acquisito esse stesse il nome di
“codice”), volte a disciplinare specifici fenomeni legati ai contratti: le cosiddette
leggi di settore.
La complessa situazione in cui versa, da non breve periodo, il diritto, in generale, e,
più specificamente, la materia dei contratti, e che trova il suo culmine proprio nel
teatro in cui si ambienta la presente stagione giuridica, postula la necessità di
interrogarsi per scoprire quale sia il rapporto intercorrente tra le norme generali di
10
G. VETTORI, Autonomia privata e contratto giusto, in Riv. dir. priv., 2000, I, p. 21 ss., nel
ripercorrere le fasi salienti della vicenda dei contratti sotto il profilo della giustizia contrattuale,
rivisita il tema dell’autonomia privata alla luce dell’emergere di quelli che attualmente sono
denominati “contratti asimmetrici”, inducendo implicitamente il lettore a porsi l’interrogativo circa
la possibilità che le nuove configurazioni del mercato possano mutare i tradizionali tratti somatici
della tradizionale autonomia privata. L’interrogativo trova oggi una piena conferma di segno
positivo nel contingente assetto del diritto dei contratti.
11
Per una ricostruzione della “storica vocazione extrastatuale della cultura del diritto civile”, cui è
da ascriversi il fenomeno della “ riedificata” lex mercatoria, si veda G.B. FERRI, La “cultura” del
contratto e le strutture del mercato, in N. LIPARI (a cura di), Diritto privato europeo e categorie
civilistiche, Napoli, 1998, p. 157 – 158.
12
La materia dei contratti assume oggi i tratti propri del fenomeno che è stato autorevolmente
definito “tecno-diritto”, espressione con cui N. IRTI, Il diritto nell’età della tecnica, 2007, p. 13 –
14, allude non più soltanto alla “tecnica del diritto”, il che vale a dire al “razionale impiego di mezzi
in vista di un fine”, quanto piuttosto al “rapporto della potenza giuridica con altre potenze”, quali la
potenza politica ed economica dei gruppi egemoni sul mercato, in cui si sostanzia “la situazione del
diritto nel nostro tempo”. Opportunamente G. IUDICA, Globalizzazione e diritto, in Contr. Impr.,
2008, 4-5, p. 870, osserva che “i mercatores che agiscono oggi come protagonisti della economia
mondializzata sono gli ipermercatores, sono gli Ubermenschen dell’economia, una sorta di
Uberunternehmer, che assumono la fisionomia delle public companies, delle grandi transnational
corporations, delle società multinazionali”. Sul punto si veda M.R. FERRARESE, Le istituzioni
della globalizzazione. Diritto e diritti nella società transnazionale, Bologna, 2000, p. 101, dove
l’argomento della individuazione degli attori del diritto globale viene affrontato attraverso un
approccio che guarda alla vicenda in termini di crisi e scardinamento della tradizionale “partizione
pubblico/privato”.
5
matrice codicistica e il proliferare delle leggi di settore13. Si tratta di un problema
che si colloca al centro di innumerevoli dibattiti dottrinari, ma che si ripropone nella
sua più viva immediatezza ed attualità ogniqualvolta il giudice sia chiamato ad
individuare la norma da interpretare nonché applicare ad una determinata
controversia avente ad oggetto un contratto per il quale sussiste una specifica
disciplina di settore. Tale problematica presenta, altresì, connotati quanto mai
evidenti, dal momento che, nel nostro ordinamento, il Codice ha ricoperto per lungo
tempo una posizione di assoluta centralità nel panorama delle fonti del diritto dei
contratti, essendo, peraltro, considerato l’emblema, nonché il baluardo, della
compattezza di questo complesso “meccanismo” che si chiama “diritto”14.
Certamente, in una prospettiva di capovolgimento del rapporto regola – eccezione,
quale è l’atmosfera in cui, dagli anni Settanta fino ai giorni nostri, si è andato
sostanziando il fenomeno giuridico, si è reso progressivamente sempre meno
possibile pensare all’impianto codicistico nei suddetti termini, per così dire,
tradizionali. Con la conseguenza per cui, essendo stato attribuito fino ad allora al
Codice il ruolo di chiave di volta dell’equilibrio del sistema “diritto”, si è
Si assiste oggi ad una fase apicale del fenomeno della “fuga dal codice civile”, il quale “ha
perduto il carattere di centralità nel sistema delle fonti: non più sede di garanzie dell’individuo,
ormai assunte e svolte dalla Costituzione; non più sede di principi generali, ormai espressi, per
singole categorie di beni o classi di soggetti, dalle leggi esterne”, secondo il lucido quadro
prospettato da N. IRTI, L’età della decodificazione, Milano, 1999, p. 45, in merito alla tendenza
centrifuga delle vicende legislative contemporanee. Altrove però egli stesso, N. IRTI, L’ordine
giuridico del mercato, Roma – Bari, 2004, p. 154, in merito al rapporto tra diritto e mercato, nonché,
in particolare, riguardo ai principi che governano quest’ultimo, si esprime in tali termini: “Il regime
del mercato (o, se si vuole, il mercato come statuto giuridico della concorrenza e delle relazioni di
scambio) si va costruendo fuori dal codice civile: estraneità, che indica non tanto il luogo delle
norme, quanto l’emersione di principi, ignoti al codice civile del 1942 e alla stessa Costituzione
repubblicana del 1948”. Compiendo poi la distinzione, che contraddistingue l’assetto economico e
giuridico contemporaneo, tra regole che disciplinano i rapporti civili e regole che governano i
rapporti commerciali, quasi a voler rievocare l’antica summa divisio tra Codice civile del 1865 e
Codice di commercio del 1882, egli guarda con preoccupazione al carattere unitario del diritto
privato, di cui il Codice civile del 1942 costituisce altissima espressione, sentendo che esso è
minacciato proprio “dalla distinzione tra rapporti civili e rapporti commerciali, designando i primi
gli scambi dell’economia individuale, e gli altri gli scambi, meccanicamente anonimi e ripetitivi, fra
imprese e masse di consumatori”.
14
Nel momento attuale, la consapevole sensibilità del giurista incontra non poche difficoltà a
denominare “diritto” il fenomeno giuridico per come oggi esso si manifesta. Sul punto osserva, in
modo condivisibile, M.R. FERRARESE, Le istituzioni della globalizzazione. Diritto e diritti nella
società transnazionale, cit., p. 127-128, come oggi vengano utilizzati vari termini, di matrice
prettamente anglo-sassone, per fare riferimento al fenomeno giuridico, i quali “non sono
perfettamente traducibili” e che noi siamo soliti ricollegare al termine “diritto”. Pertanto “l’uso di
tanti termini disparati tradisce una difficoltà a far ricorso al termine diritto che, soprattutto nella
tradizione giuridica europea continentale, evoca un oggetto ben definito da requisiti formali”. Al
contrario, “il diritto globale appare irriconoscibile in base a quei rigidi requisiti formali”.
13
6
cominciato a lamentare l’avvio della “rottura del tutto”, della perdita del
“baricentro”, da cui ha preso le mosse la “crisi” delle fonti del diritto dei contratti15.
Gli operatori giuridici di tutte le file non sono rimasti insensibili di fronte allo
stagliarsi di tale panorama: rottura dell’equilibrio sistematico tradizionale, dunque;
ricerca di un nuovo equilibrio, pertanto. I passi verso tale ricerca sono stati mossi
gradualmente, e tuttora si assiste ad un lavoro che è ancora e quanto mai in atto. In
prima battuta, si è cercato di rivolgersi ai rapporti tra parte generale e norme di
settore in termini di specialità, per cui si ravvisava una evidente perdita di centralità
della codificazione, la cui funzionalità veniva piuttosto confinata nello scomodo
ruolo di mero completamento, in via residuale, dei fenomeni contrattuali disciplinati
in maniera lacunosa16. In questo periodo, all’unitarietà del sistema, rappresentata
dal codice, si sostituiva il rafforzamento di autonomi “centri di potere”, le leggi
speciali17. La ricerca di un valido criterio attraverso cui risolvere i rapporti tra
diritto contrattuale generale e di settore era essenzialmente dettata dalla stringente
necessità di evitare il verificarsi di possibili contrasti tra norme18. La prevenzione
Il Codice civile del 1942, lungi dall’essere soltanto una raccolta sistematica di regole dettate in
materia di rapporti inter singulos, costituisce piuttosto un’altissima forma di espressione “delle idee
fondamentali che ne costituiscono il substrato” e che in esso si ritrovano “tradotte in formule
giuridiche”, come osserva R. NICOLO’, v. Codice civile, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, p. 248, il
quale conclude poi il suo discorso dimostrando, a p. 249, come, pur rivelando la disciplina
codicistica una certa incompletezza e talvolta risultando non aderente alla realtà economica, in ogni
caso le categorie codicistiche, nelle quali sono tradotte le idee di fondo che ne costituiscono il
leitmotiv, “rappresentano esattamente gli aspetti primari della nostra organizzazione sociale e della
nostra struttura economica”, cosa da considerarsi “non un punto di arrivo”, ma un validissimo
“punto di partenza”, se si considera come “il codice contenga gli spunti essenziali per avviare nella
direzione giusta il corso futuro della nostra esperienza giuridica”. L’idea di legge, e quindi anche di
codificazione, era sinonimo di massima ipostasi dell’esprit politique di uno Stato, come è pacifico
dal momento che la stessa Carta Costituzionale attribuisce il potere legislativo, in via fisiologica,
alle due Camere. Nell’attuale contesto di produzione delle regole, non è più possibile parlare di
legge nel senso appena richiamato, dal momento che i testi normativi costituiscono espressione delle
esigenze, di segno esclusivamente economico e mercantile, proprie di lobbies e gruppi di potere. Per
una autorevole analisi del diritto contemporaneo cfr. N. LIPARI, Diritto e valori sociali, Roma,
2004, passim.
16
P. FEMIA, Pluralismo delle fonti e costituzionalizzazione della sfera privata, in Il diritto civile
oggi. Compiti specifici e didattici del civilista, Atti del I Convegno nazionale SISDIC, Napoli, 2006,
p. 189
17
F. MARINELLI, Gli itinerari del Codice civile, Milano, 2008, p. 160-161, nell’osservare il
panorama contemporaneo del fenomeno giuridico dall’angolo visuale del giurista e degli strumenti a
disposizione di questi, introduce l’argomento della specializzazione quale requisito proprio delle
scienze esatte, nel momento attuale, ricordando come l’opera di sistemazione enciclopedica del
diritto, compiuta da Francesco Filomusi Guelfi, si sia scontrata con “l’ormai sempre più progredita
specializzazione delle scienze esatte, tanto da rendere ormai il concetto di enciclopedia (…) del tutto
superata, per non dire dimenticata”.
18
Inizialmente il problema del rapporto tra norme di diritto interno e regole del diritto comunitario è
stato affrontato guardando a quest’ultimo con le medesime lenti con le quali si guarda ad un
fenomeno appartenente al genus dell’internazionale o di quello comparatistico. Ci è in seguito resi
conto della impossibilità di continuare a seguire tale prospettiva, anche e soprattutto a fronte della
massiva ingerenza del diritto comunitario nel panorama delle fonti del diritto interno, sia attraverso i
15
7
delle antinomie era la prima preoccupazione, in particolare per l’interprete, e
risolvere l’antinomia in chiave di specialità costituiva certamente una confortante
risposta al problema, in quanto si trattava di un criterio elaborato in via assiologica
ed astratta per essere destinato, esattamente come accade nelle scienze
matematiche, a trovare poi applicazione al caso concreto19. In tale maniera, questo
complesso di norme appariva l’organica risultante di un procedimento, per così dire,
di composizione, articolato in due distinte fasi: la prima, caratterizzata dal
completamento delle regole speciali con quelle comuni nel caso in cui nelle prime si
riscontrassero lacune; la seconda, fondata sulla prevalenza delle suddette regole
speciali su quelle comuni nel caso in cui nelle prime fossero presenti deroghe alle
seconde.
Tale assetto non era, tuttavia, destinato a rimanere privo di messa in discussione, né,
per meglio dire, a resistere ad ogni tentativo di ricerca dei punti deboli, nel pesante
nonché rivelatore momento in cui il criterio, di matrice astratta e aprioristica,
regolamenti, che sono self-executing e che si collocano, nella complessa gerarchia delle fonti, al di
sopra della legge ordinaria, sia attraverso una serie di direttive che hanno iniziato a disciplinare in
modo netto determinati ambiti dei rapporti privatistici. Risulta così lungimirante e condivisibile
l’autorevole considerazione di N. LIPARI, Premessa, in N. LIPARI (a cura di), Diritto privato
europeo e categorie civilistiche, Napoli, 1998, secondo cui “si tratta cioè di comprendere – e di
verificare all’interno degli strumenti operativi dei giuristi – che il diritto europeo non può più essere
inteso come un ordinamento autonomo e distinto dal diritto interno, un ordinamento da analizzare
secondo le tecniche proprie degli internazionalisti o dei comparatisti, trattandosi invece di un
sistema che, al di là della peculiarità della fonte di posizione, direttamente incide sulle regole dei
nostri rapporti giuridici”. A tale pregnante riflessione fa eco il pensiero di G.B. FERRI, La
“cultura” del contratto e le strutture del mercato, in ivi, p. 155, il quale, nell’incipit del suo
contributo, compie due notazioni secondo cui “da un lato, il diritto civile, nel nostro tempo, non può
più essere sigillato nel ristretto orizzonte dei confini nazionali; d’altro lato, tematiche, di cui un
tempo si interessavano esclusivamente gli studiosi del diritto commerciale, ora appartengono al
patrimonio culturale anche dei civilisti”. La difficoltà che viene in concreto riscontrata nel tentativo
di una piena compenetrazione del diritto europeo con la nostra quotidiana esperienza del diritto
viene rilevata da A. FALZEA, Effettività del diritto europeo, in ivi, il quale, ponendosi (e
ponendoci), p. 19, l’interrogativo: “le norme delle leggi di ricezione fanno corpo con le norme
interne, con le norme comunitarie o con entrambe le categorie normative – ed in quest’ultimo caso,
con quali modalità relazionali?”, nelle conclusioni, pone le basi per permettere al lettore di
proseguire nella riflessione sul problema dei rapporti tra diritto europeo e diritto interno, tenendo
presente che “la difficoltà maggiore [a permettere la piena penetrazione del diritto europeo nella
quotidianità della nostra vita sociale] deriva dal fatto che il diritto europeo è un sistema normativo
ancora in fieri e che la sua immaturità rende ambigui e controversi i rapporti sia con l’ordinamento
internazionale, sia e soprattutto con gli ordinamenti giuridici degli Stati membri” (p.16).
19
In una lettura risalente, G. GAVAZZI, Delle antinomie, Torino, 1959, p. 84, si apprende che,
secondo la mente dei giuristi, il rapporto “genere – specie” si articola secondo un “modello
deduttivo”, dal momento che essi stessi ritengono “che esistano principi generali dai quali si
deducono le norme specifiche; a un certo punto di codesto lavorìo di deduzione, par loro preferibile
abbandonare la coerenza deduttiva e stabilire invece, per determinati casi, regole speciali”.
L’opinione di chi scrive il presente lavoro in materia di contratto si fonda sulla considerazione
secondo cui al giorno d’oggi, alla luce della suddetta ricostruzione della “specialità” delle leggi, sia
più corretto esprimersi, con riguardo alla copiosa produzione delle regole, in termini di “norme di
settore”, proprio a fronte dell’ampiezza della materia e del fenomeno disciplinato da ciascun odierno
intervento normativo, di guisa che non è più possibile guardare ad esse come a mere eccezioni, ma a
veri e propri ambiti di normazione.
8
peraltro retaggio della tradizionale concezione dei rapporti gerarchici tra le fonti
delle regole, ha iniziato a scontrarsi con gli effetti prodotti dalla operatività del
medesimo nella realtà concreta. Pertanto, in particolare verso la fine degli anni
Ottanta, si è cominciata ad intuire l’opportunità di non rivolgersi più al rapporto
regole generali – regole di settore in termini aprioristici e sistematici, a favore di
una impostazione, al contrario, fondata sulla prevalente attenzione all’interesse in
concreto che dovesse essere maggiormente tutelato, aprendo così la strada al
criterio della armonizzazione. E questo è il principio, di chiara ispirazione europea,
che governa oggi, sebbene in maniera ancora non del tutto pacifica, i rapporti tra
disposizioni contenute nel codice civile e nuove leggi20.
Il regime del favor per una delle parti è ora la chiave di volta della problematica qui
in
esame. E già una mera analisi
normativa si
mostra a sostegno
dell’argomentazione: in materia di contratto di assicurazione, di intermediazione
finanziaria e, massimamente, nella disciplina consumeristica. In essa, infatti, il
legislatore ha formulato, in chiave generale, il criterio della prevalenza delle
disposizioni più favorevoli per il consumatore, in vista di una piena integrazione
europea in materia di contratti, e non solo. La formulazione di tale principio si
ravvisa in quel criterio che ha affiancato al principio di specialità una politica di
Uno degli ambiti nei quali si coglie in modo più nitido la saldatura tra il “luogo di posizione della
norma” e il livello della concreta operatività della medesima è proprio quello delle fonti del diritto.
Risulta peculiare, a tale riguardo, la considerazione di N. LUHMANN, La differenziazione del
diritto, Bologna, 1990, p. 243 – 244, in un capitolo intitolato “La dottrina giuridica delle fonti del
diritto nella prospettiva della sociologia”. Egli osserva che “l’idea che si fa il sociologo della
dottrina giuridica delle fonti del diritto” si fonda innanzi tutto sullo stupore per il fatto di ritrovare
ricondotti ad unità “concetti di fondamento così diversi”; con la conseguenza per cui “da ciò
scaturisce la questione relativa al contesto dell’esperienza interna e dell’agire fattuale nel quale una
tale identificazione possa funzionare”, emergendo da queste parole una grande sensibilità per il
costante collegamento tra piano dei concetti giuridici e sfera sociale – applicativa, momenti dei
quali, entrambi, si compone il fenomeno “diritto” considerato nella sua interezza, malgrado egli
stesso presenti una elaborazione personale del diritto in chiave di “sistema giuridico”, pregna di un
approccio dogmatico all’argomento, senza tuttavia limitarsi esclusivamente ad esso, come si evince
dalle parole dello stesso N. LUHMANN, Sistema giuridico e dogmatica giuridica”, Bologna, 1974,
p. 53, il quale, nel suo laborioso progetto di descrivere la società come sistema, ravvisando nella
garanzia della giustizia la funzione essenziale del sistema diritto, osserva che “la giustizia, come
perfezione dell’unità del sistema, si riferisce alle richieste che sono rivolte al diritto dall’intera
società, e che la dogmatica rappresenta il livello, interno al sistema giuridico, nel quale queste
richieste vengono rispecificate e operazionalizzate”. Da ciò deriva che “la dogmatica è la
concezione, interna al sistema, di una complessità che come unità diventa rappresentabile solo
riferendo il sistema giuridico al suo ambiente sociale”. Luhmann stesso, nella sua indagine sulla
funzione del diritto in una prospettiva di “differenziazione di uno specifico sistema giuridico” con
riguardo al sistema della società, ne ravvisa il nucleo dell’operatività nonché “il significato sociale
del diritto nel fatto che se le aspettative possono essere stabilizzate nel tempo ne derivano delle
conseguenze sociali”: N. LUHMANN, Mercato e diritto, Torino, 2006, p. 135, 137. La concezione
di Luhmann si fonda, in ogni caso, sull’idea del diritto quale una specifica forma di differenziazione,
e precisamente come comunicazione funzionalmente differenziata, pertanto chiusa in se stessa. Di
qui deriva la sostanziale separazione del diritto dalla società, nell’elaborazione teorica che egli ha
prospettato.
20
9
massima difesa, mediante lo strumento normativo, di una delle parti in conflitto, in
via del tutto indipendente dal previo procedimento di imputazione di generalità o di
specialità della disposizione di legge che si ritenga di dover applicare al caso
concreto. Un tale ingranaggio di raccordo intrinsecamente implica, per la sua
possibile operatività, l’esclusione della regola dell’assoluta prevalenza della legge
speciale sulle norme generali21.
Nel momento attuale, la materia dei contratti, da un lato, appare essere al centro di
vari sforzi volti a portare avanti il processo di armonizzazione e, dall’altro, si
presenta altamente strutturata al suo interno. Al primo profilo è da ascriversi il
complesso di iniziative adottate in seno alle istituzioni dell’Unione Europea22 e tese
alla elaborazione di un diritto dei contratti codificato su scala nazionale, culminanti
con la formulazione del progetto del Draft Common Frame of Reference, nel quale,
peraltro, si esprime, a livello metanazionale, la storica esigenza di una sistemazione
organica delle regole, che è stata il motivo ispiratore della codificazione23.
Volgendo lo sguardo all’odierno diritto dei contratti, si assiste ad una coesistenza,
non pacifica, di due distinti fenomeni nell’ambito della normazione della suddetta
materia, contraddistinti, per un verso, dal complesso delle regole e dei principi che
si possono definire “nazionali” tanto nella forma quanto nel loro contenuto e, per
altro verso, dai precetti di matrice comunitaria24. Si tratta di due impianti normativi
che vengono ad esistenza in ambienti molto diversi, soprattutto se si pensa che alla
vocazione essenzialmente sistematica che caratterizza le sedi domestiche degli
ordinamenti cosiddetti di civil law si contrappone il carattere sostanzialmente
giurisprudenziale delle disposizioni comunitarie, nonché una ratio fisiologicamente
volta al perseguimento di determinati risultati nell’ambito economico e del
21
C. CASTRONOVO, Diritto privato generale e diritti secondi. La ripresa di un tema, in Eur. dir.
priv., 2006, p. 397
22
Osserva opportunamente a tale riguardo G. GANDOLFI, Il diritto privato europeo agli inizi del
terzo millennio, in Riv. Dir. civ., 2008, 2, p. 226, che “non può parlarsi di inerzia delle Istituzioni
comunitarie”.
23
Sul DCFR cfr. G. ALPA – G. CONTE, Riflessioni sul Progetto di Common Frame of Reference e
sulla revisione dell’ Acquis Communautaire, in Riv. Dir. civ., 2008, 2, p. 155 – 157; nonché G.
ALPA, Presentazione, a G. ALPA – G. IUDICA – U. PERFETTI – P. ZATTI (a cura di), Il Draft
Common Frame of Reference del diritto privato europeo, Padova, 2009, p. V ss.
24
P. PERLINGIERI, La dottrina del diritto civile nella legalità costituzionale, in Rass. dir. civ.,
2007, p. 499, pone in risalto la crescente importanza del ricorso “all’applicazione dei principi
costituzionali anche nei rapporti intersoggettivi”, proprio a fronte del congestionato assetto delle
fonti del diritto, esaltando il principio di legalità costituzionale quale “garanzia di soggezione ai
valori fondanti l’ordinamento giuridico”.
10
mercato25. Per la verità, l’idea stessa di elaborare un codice europeo dei contratti,
quale risposta allo stringente problema di attuare una armonizzazione del diritto
nella predetta materia26, al fine di portare a compimento quel processo di
integrazione normativa che è funzionale alla piena concretizzazione del mercato
unico, trae maggiormente origine dalla impostazione degli ordinamenti a vocazione
codicistica, piuttosto che da quelli di matrice comunitaria27.
Per quanto concerne, invece, il variegato panorama degli strumenti contrattuali, si
deve considerare che attualmente si possono rintracciare pacificamente tre diverse
sottocategorie di contratti, e precisamente: quella dei contratti di diritto interno
comune, che trova la sua disciplina nel codice civile; quella dei contratti dei
consumatori, i cosiddetti contratti “business to consumer”; quella degli accordi tra
imprese, denominati contratti “business to business”28, i quali necessitano anch’essi
di grande attenzione sia da parte del legislatore sia nelle sedi in cui si fa valere la
giustizia contrattuale, dal momento che, così come nei contratti del consumatore29,
anche in quest’ultima tipologia di negoziazioni accade che per esigenze del mercato
25
G. ALPA, La creatività della giurisprudenza, in G. ALPA (a cura di), I precedenti. La formazione
giurisprudenziale del diritto civile, I, Torino, 2000, p. 5 ss., nell’indagare sulla crescente influenza
delle decisioni giurisprudenziali sui contenuti delle nuove regole giuridiche, ricordando che negli
ordinamenti di common law la giurisprudenza è la precipua delle fonti di produzione del diritto,
evidenzia la idoneità dei modelli giurisprudenziali a costituire uno dei pilastri per l’elaborazione del
“diritto privato comune europeo” (p. 20). La giurisprudenza si trova, del resto, sempre più
frequentemente a compiere una vera e propria attività creativa di schemi e strumenti giuridici nei
quali possano essere inquadrati i casi concreti che si presentano all’esame delle Corti, per i quali
accade spesso di non potersi rinvenire lo schema astratto all’interno della legislazione vigente, che
dimostra di continuo carenze e vuoti normativi dovuti allo “scarto cronologico”.
26
G. ALPA, Le “fonti” del diritto civile: policentrismo normativo e controllo sociale, in Il diritto
civile oggi. Compiti specifici e didattici del civilista, Atti del I Convegno nazionale SISDIC, Napoli,
2006, p. 126
27
V. ZENO-ZENCOVICH, Le basi costituzionali di un diritto privato europeo, in Eur. dir. priv.,
2003, p. 20 ss., in cui l’Autore si sofferma sull’elenco dei diritti fondamentali riconosciuti a livello
europeo dalla Carta di Nizza. Tra essi, in primo luogo, la dignità umana, l’integrità della persona, la
tutela dei dati personali, la protezione per il bambino, la parità tra uomo e donna, nonché la libertà di
espressione e di informazione. Certamente, la strada dell’armonizzazione non può compiersi in
modo efficace se non passa attraverso la tutela della persona considerata nella sua interezza.
28
Definiti, con una fortunata espressione coniata da R. PARDOLESI, Prefazione a G.
COLANGELO, L’abuso di dipendenza economica tra disciplina della concorrenza e diritto dei
contratti, Torino, 2004, XI ss., nei termini di “terzo contratto”, intendendo con tale sintagma
l’insieme delle negoziazioni attraverso cui vengono poste in essere le relazioni tra le imprese,
ambito che trova il nucleo della propria disciplina nella legge 18 giugno 1998 n. 192. Sul punto cfr.
anche A. GIANOLA, v. Terzo contratto, in Digesto. Disc. Priv., sez. civ., Agg., Torino, 2009, p.
570 ss.
29
P. NEBBIA, La politica comunitaria di tutela dei consumatori nell’ottica del mercato interno, in
Obbl. contr., 2007, p. 740 ss., nel ricordare che al legislatore comunitario è stata attribuita
indirettamente la competenza a legiferare in materia di tutela del consumatore con la sentenza
“Cassìs de Dijon”, ripercorre i momenti salienti dell’armonizzazione di tale diritto contrattuale,
avendo particolare riguardo all’opzione del legislatore comunitario di rinunciare all’impiego della
clausola di armonizzazione minima, in quanto ritenuto dalla Commissione inidoneo a realizzare, in
tale materia, quell’uniformità di soluzioni per situazioni analoghe che si svolgono nel mercato
interno, e che invece costituisce l’obiettivo essenziale da perseguire.
11
la formazione delle regole che disciplinano il rapporto negoziale avvenga in
pregiudizio del principio del libero e paritario intervento delle parti in sede di
fissazione di tali regole30. I contratti appartenenti alla seconda ed alla terza tipologia
appena menzionate presentano, pertanto, elementi in comune, ed, in particolare, il
rischio che all’interno di queste negoziazioni si verifichino degli abusi di potere da
parte del contraente forte sul contraente debole. Di qui la necessità di incisivi
interventi normativi volti a delimitare rigidamente il margine di prevalenza di un
contraente sull’altro, al fine di apprestare una efficace tutela della parte debole31.
Comprendere il mutato o, per meglio dire, l’assai dilatato ambito di operatività
dello strumento contrattuale, che caratterizza il momento attuale, implica un
Il termine business, che fisiologicamente è connesso all’ambito dell’economia degli affari e degli
scambi, appare oggi invece funzionalmente collegato al fenomeno del diritto, dal momento che le
leggi attualmente si riducono a complessi di regole volte a garantire tecnicamente l’avvento del
business sul mondo del mercato transnazionale, internazionale e globale. Oggi ci si preoccupa che la
regola sia idonea ad assicurare la quantità del business, piuttosto che la qualità. L’etica del “di più”
sostituisce così quella del “meglio”, come del resto non deve sorprendere, dal momento che le leggi
sono oggi fatte dalle lobbies e a tutela degli interessi delle stesse lobbies. Pur non condividendo
l’approccio formalistico al fenomeno del diritto, tuttavia ad avviso di chi scrive si ritengono
essenziali le riflessioni compiute sul punto da N. IRTI, Nichilismo giuridico, Bari, 2004, il quale,
dopo avere nelle premesse, p. V – VI, rilevato che “il diritto moderno si è consegnato per intero alla
volontà degli uomini. (…) questo volere è scelta di scopi e di mezzi: la norma giuridica, orientata a
perseguire uno scopo, determina il mezzo idoneo, ossia la condotta capace di raggiungerlo. La
volontà di scopo non soggiace ad alcun criterio esterno, ad alcun controllo di ammissibilità”, a p. 83,
afferma che “l’antitesi camusiana tra il meglio e il più richiama subito quella tra melior pars e maior
pars, cioè la disputa intorno ai criteri procedurali della politica”, laddove “la maior pars è una parte
maggiore di volontà, una volontà dei più, legittimata proprio dal suo esser dei più”; “il metodo
quantitativo anche domina i mercati. Il consenso dei consumatori stabilisce il valore dei beni: è
davvero straordinaria questa conversione del volere in valore”; “la maior pars decreta il successo di
centri commerciali o di grandi magazzini”. In tale modo l’autore qui richiamato identifica alcuni dei
soggetti che si possono ascrivere alla categoria delle lobbies, che, non a caso, sono i protagonisti
della scena economica “delle catene di magazzini”; quella di grande scala o, meglio, della scala più
grande che vi sia: quella globalizzata, quindi. Sul punto cfr. anche F. GALGANO, La forza del
numero e la legge della ragione. Storia del principio di maggioranza, Bologna, 2007, passim.
31
L’idea che il sintagma “parte contraente” rievoca nella mente del giurista oggi è diversa da quella
invalsa per molto tempo. Se infatti G.B. FERRI, v. Parte del negozio, in Enc. dir., XXXI, Milano,
1981, p. 903, nel ricostruire la nozione di parte del negozio attraverso la pressoché unanime
posizione della dottrina secondo cui “sono parti gli autori del regolamento negoziale ed anche (in
quanto autori) i destinatari delle conseguenze, degli effetti che scaturiscono da esso”, ravvisa la
sussistenza di un duplice ruolo al quale il soggetto contraente è chiamato, a meno che non si tratti di
una parte in senso formale, oggi si può invece notare come nella copiosa vastità di figure negoziali
alle quali si fa ricorso per esigenze di segno commerciale ad un lavoro ipertrofico svolto dal
soggetto in posizione per così dire forte, il quale predispone unilateralmente le condizioni generali di
contratto, corrisponda quasi una atrofia dell’ampio novero di facoltà riconnesse all’autonomia
negoziale dell’altro contraente, la parte debole, il cui ruolo è confinato in una semplice
manifestazione di volontà di adesione ad un regolamento negoziale alla cui formazione egli non ha
in concreto concorso, limitandosi semplicemente ad accettarlo. Se nella tradizione i soggetti autori
del regolamento negoziale, proprio in quanto autori, ne possono essere destinatari, oggi si ha invece
che l’essere destinatario degli effetti del contratto può derivare semplicemente da un “sì, accetto la
lunga e complessa serie di clausole che la controparte ha unilateralmente predisposto”. Ad avviso di
chi scrive, si ritiene pertanto di dover ripensare il novero di poteri e facoltà di cui si compone
l’autonomia negoziale, limitandosi a ricollegare ad essa essenzialmente la facoltà di dire “sì, accetto
questo regolamento negoziale”, collocando in posizione residuale l’idea del ruolo attivo svolto
tradizionalmente da entrambe le parti contraenti nella sede delle negoziazioni.
30
12
ripensamento dell’istituto in chiave di modernità, in una prospettiva di conciliazione
dei pensieri tradizionali con le recenti novità normative, leggendo il fenomeno alla
luce delle conseguenze derivanti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione europea
e dall’inevitabile adesione del nostro Paese all’assetto economico di dimensione
globale32.
2. Il contratto occupa una posizione di assoluta centralità nel contingente panorama
economico-giuridico, e ad esso viene attribuita senza dubbio maggiore importanza
rispetto al periodo storico che va dalla lunga epoca in cui il diritto romano è stato
diritto vigente a quella delle codificazioni dell’Ottocento33.
32
Sui nuovi spazi, artificiali ed extrastatuali, nei quali si svolgono le relazioni commerciali e
giuridiche, con la conseguente crisi del principio di territorialità del diritto, N. IRTI, Norma e luoghi.
Problemi di geo-diritto, cit., con particolare sensibilità e lucida consapevolezza, esordendo il suo
discorso, p. 3, con la essenziale ma assai pregnante affermazione per cui “il diritto ha bisogno del
dove”, e procedendo, p. 39, nel ribadire che “la presa di possesso spaziale (…) è fondamento
costitutivo del diritto”, si esprime così, p. 59: “Il diritto, perdendo le radici terrestri e affinandosi
nell’intima artificialità, si fa duttile e sciolto. Non ha paura degli spazi; è in grado di seguire la
latitudine dell’economia. L’antitesi tra diritto territoriale ed economia planetaria cade col cadere
stesso del fondamento tellurico”. Delinea poi il nucleo dell’argomento nella pacifica considerazione,
p. 75, secondo cui “i fenomeni globali determinano la crisi della territorialità”, da intendersi quale
“crisi del rapporto dello Stato col territorio”. All’artificialità del mercato fa eco l’artificialità
normativa, la quale, p. 81, “messa in opera da accordi fra gli Stati e resa capace di qualsiasi
determinazione spaziale, è l’unico modo di funzionamento del diritto dinanzi ai problemi globali”.
N. IRTI, il diritto nell’età della tecnica, cit., chiarisce, p. 19, la distinzione tra la spazialità, che è
propria del contesto attuale, e la territorialità, in cui si sostanzia la dimensione tradizionale, ed ormai
superata, del diritto, tanto per quanto attiene al luogo di produzione delle regole quanto per ciò che
concerne l’ambito di applicabilità delle stesse.
33
Nell’impostazione giusprivatistica antecedente allo sviluppo industriale del Novecento, era il
dominium l’istituto posto al centro della disciplina, rispetto al quale il contratto assurgeva a mera
modalità di trasferimento dello stesso. Il dominium, ovviamente inteso essenzialmente quale
proprietà fondiaria, cosa ben diversa dalla nozione di proprietà che si può oggi ricavare dalla
contingente esperienza del diritto, sia per quanto riguarda la sussistenza di varie forme di proprietà
(si pensi alla “multiproprietà”), sia per ciò che attiene all’ampio novero dei beni, materiali e
immateriali, che possono formare oggetto del diritto di proprietà. Oggi l’argomento della proprietà
acquista una sua centralità nel dibattito sull’inserimento di questa tra i diritti fondamentali, dal
momento che essa non è più soltanto disciplinata dal Codice civile del 1942 e dalla Carta
Costituzionale, ma trova anche una propria normazione, a livello di rapporti transnazionali, nella
Convenzione europea dei diritti dell’uomo (firmata a Roma il 4 novembre 1950) e nella Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione Europea (Carta di Nizza del 7 dicembre 2000). Sul punto si veda
amplius M. COMPORTI, La proprietà europea e la proprietà italiana, in Riv. Dir. civ., 2008, 2, p.
189 ss., in cui l’Autore si occupa del problema di conciliare la concezione della proprietà fornita a
livello europeo dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Convenzione di Roma del 4
novembre 1950 concernente alcuni diritti fondamentali della persona, quale il diritto alla vita ed alle
libertà personali) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Carta di Nizza del 7
dicembre 2000, in cui vengono espressamente riconosciuti a livello europeo i diritti, le libertà e i
principi fondamentali tutelati nelle varie Carte costituzionali dei Paesi membri), con quella che
emerge dall’art. 42 della Costituzione italiana, evidenziando come la concezione europea della
proprietà esprima il carattere liberale che viene attribuito a tale diritto fondamentale, del cui
contenuto si pone l’accento sui pieni poteri di godimento e di disposizione di cui gode il titolare,
mentre l’impostazione della Carta costituzionale italiana, nell’affermare a chiare lettere la funzione
sociale della proprietà, ha inteso collocare tale diritto in quel programma di “contemperamento fra
interessi generali ed interessi individuali” (p. 195), che è proprio dell’ organizzazione statale.
13
Ma tale attuale posizione di preminenza del contratto nel novero delle categorie del
diritto civile contemporaneo è il risultato di un complessa e articolata storia, che
vede protagonista il contratto stesso, il cui intreccio coinvolge vari luoghi
cronologici, emblematici mutamenti di carattere economico e sociale nonché alcuni
eventi che hanno segnato in modo significativo momenti di rottura o, per meglio
dire, fasi di passaggio, tra il vecchio e il nuovo34. Non si ritiene, pertanto, opportuno
inserirsi in una riflessione sull’identità, sulle peculiarità, sulle funzioni e sul ruolo
che al contratto viene oggi attribuito senza tenere in considerazione almeno i punti
salienti dell’iter genetico-evolutivo di questo istituto. Per fare ciò, bisogna compiere
un salto indietro di molti secoli, in particolare al periodo in cui i rapporti inter
singulos erano disciplinati dal diritto romano. A quell’epoca, era infatti la proprietà
la figura giuridica di maggior rilievo ed il contratto costituiva soltanto una delle
modalità attraverso cui porre in essere il trasferimento della proprietà stessa. Il
contratto era, dunque, lo strumento mediante il quale si rendeva possibile obbligarsi
ad acquistare o disporre del diritto di proprietà su beni materiali35.
34
Rinviando ad altra sede infra la lettura in chiave contemporanea di alcune categorie ordinanti del
contratto, qui ci limitiamo invece a ripercorrere sinteticamente le tappe che hanno condotto il
contratto a collocarsi tra le categorie ordinanti del moderno diritto civile, ricordando, in particolare,
in merito a queste ultime, con F. GALGANO, Trattato di diritto civile, Padova, 2009, p. 134 che
esse “sono il frutto di una elaborazione iniziata, fra il Seicento ed il Settecento, dai giusnaturalisti
francesi, come Domat e Pothier, olandesi, come Grozio, tedeschi come Pufendorf, e completata,
nell’Ottocento, dai pandettisti tedeschi, artefici del cosiddetto diritto romano moderno, in una
Germania che ancora non conosceva la codificazione civile e nella quale vigeva ancora il diritto
romano, adattato dai giuristi alla realtà del loro tempo”. E prosegue osservando che
“dall’elaborazione concettuale dei giusnaturalisti sarebbero nate le figure elementari
dell’argomentazione giuridica moderna, quali i concetti di persona, distinta in persona naturale e
persona giuridica, di rapporto giuridico, di fatto giuridico, di atto e di negozio giuridico”, inserendo
in quest’ultima categoria l’istituto del contratto, ormai privo della qualificazione di nudum pactum
proveniente dal diritto romano e già titolare delle caratteristiche che emergono dalla definizione che
di esso troviamo nel nostro Codice civile del 1942. Di qui si arriva al contratto quale atto giuridico,
imperniato sull’incontro delle volontà dei soggetti che lo pongono in essere, al fine di costituire,
regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale, secondo quanto dispone l’art. 1321 c.c.
Questa ricostruzione dell’iter genetico delle categorie del moderno diritto civile ha riguardo
massimamente agli ordinamenti di civil law. Nei sistemi di common law, la fonte di produzione del
diritto, di matrice prevalentemente giurisprudenziale, e quindi derivante per lo più dal lavoro
compiuto in concreto dai giudici, ragione per cui si parla di case law, implica che vi sia un minor
grado di astrazione, con la conseguenza per cui le categorie giuridiche sono meno elaborate e più
vicine, nei loro tratti somatici, al mondo delle cose piuttosto che a quello dei concetti. Con riguardo
al contratto, F. GALGANO, Trattato di diritto civile, cit. p. 142-143 ricorda che “il common law si è
fermato al primo grado di astrazione: è contract solo quello che in civil law è definito contratto a
titolo oneroso. Il linguaggio giuridico corrisponde al linguaggio cosale; è contratto, per common law,
ciò che è tale per senso comune, ossia l’accordo per lo scambio di una prestazione e di una
controprestazione. Il sistema romano-francese si è fermato al secondo grado di astrazione: il
contratto può essere a titolo oneroso o a titolo gratuito. Il sistema romano-tedesco è pervenuto al
terzo grado di astrazione: il negozio giuridico può essere unilaterale o bilaterale”.
35
M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, p. 532 ss., nel ricordare che il
contratto era per i Romani fonte di obbligazioni, al pari di quanto si legge all’art. 1173 c.c., ricorda il
noto passo del Digesto (D. 50.16.19) in cui il giurista Ulpiano riporta il pensiero di Labeone con
14
Questa visione del contratto quale istituto avente posizione ancillare rispetto alla
proprietà si è conservata in quello che è stato uno dei più alti prodotti della
Rivoluzione Francese nonché la prima codificazione che ha segnato la rottura con
l’ancien regime36 ed il passaggio all’età moderna, il Code Napoléon del 1804. Nel
tenore di tale corpus normativo, incentrato sul diritto di proprietà e, più
specificamente, quella immobiliare – e ciò a ragione, se si considera che questo
codice costituiva espressione di una società basata su un’economia essenzialmente
rurale – l’insieme dei precetti volti a governare la materia dei contratti trae la sua
ratio essendi proprio dall’essere stato pensato ed elaborato in funzione della
proprietà37. I contratti trovano la loro disciplina addirittura all’interno di un libro
intitolato “Dei modi di acquistare o di trasmettere la proprietà e gli altri diritti sulle
cose”. La libertà contrattuale si sostanzia nella possibilità, affidata ai soggetti
privati, di disporre della proprietà38. Le norme contrattuali sono state quindi dettate
e concepite con lo scopo di fornire tutela e protezione al proprietario nel momento
della trasmissione della proprietà39. Malgrado il contratto sia stato, nella
codificazione francese del 1804, confinato nel riduttivo ruolo di strumento
attraverso cui realizzare la funzione traslativa del diritto di proprietà, sulla base
dell’impostazione proveniente dal diritto romano anche se con le dovute differenze,
l’avvento del principio consensualistico ha segnato un momento di rottura rispetto
alla tradizione, con il conseguente ancoraggio degli effetti giuridici del contratto
riguardo alle categorie del gestum, dell’actum e del contractus, da cui emerge una concezione del
contratto esclusivamente quale avente carattere bilaterale, venendo ad esso ascritte la
compravendita, la locazione e la società.
36
Espressione coniata da A. DE TOCQUEVILLE per indicare quel lungo periodo storico
antecedente alla Rivoluzione Francese. Per una trattazione dettagliata dell’argomento cfr. A. DE
TOCQUEVILLE, L’antico regime e la Rivoluzione, Milano, 1942. R. NICOLO’, Attuale evoluzione
del diritto civile, in Raccolta di Scritti, III, Milano, 1993, p. 13, saluta l’ancien regime e si rivolge
all’avvento delle codificazioni come a “quella fondamentale svolta nella storia del pensiero giuridico
rappresentata dalla Codificazione la quale (…) trova il suo presupposto nel processo di formazione
dello Stato moderno”.
37
A. CANDIAN, La propriété, in A. CANDIAN – A. GAMBARO – B. POZZO, Property –
Propriété – Eigentum, Padova, 1992, p. 187 ss., nel fornire una sintetica ricostruzione storica del
diritto di proprietà nell’ordinamento francese, pone in risalto come alla scissione, all’antica
divisione, all’interno della Francia, tra Pays de coutume e Pays de droit écrit, abbia fatto eco una
diversa qualificazione genetica del diritto di proprietà, rispetto al quale la Codificazione del 1804 si
è posta come momento di unificazione.
38
P. RESCIGNO, Per uno studio sulla proprietà, in Riv. dir. civ., 1972, I, p. 1 ss., dà conto della
“crisi della proprietà”, laddove si è cominciato a registrare il passaggio dalla proprietà alle proprietà,
a fronte della sussistenza di diversi regimi e statuti della proprietà in considerazione della specificità
dell’oggetto.
39
Nella suggestiva ricostruzione della struttura del Codice civile francese, A.J. ARNAUD, La
regola del gioco nella pace borghese. Saggio di analisi strutturale del codice civile francese,
Napoli, 2005, passim, evidenzia come il Codice civile francese, nell’interrelazione tra le molteplici
partizioni di cui si compone, sia idoneo a porsi come fonte di aggregazione degli individui nei
confronti dei quali esso assume la forza di vincolatività giuridica.
15
non più alle forme quanto piuttosto alla volontà delle parti contraenti, in quanto
idonea a produrre i medesimi effetti40. Il crollo della distinzione tra nudum pactum e
vestimentum del contratto è stato in realtà il momento apicale di un iter che si è
venuto svolgendo progressivamente, dettato dalle mutevoli modalità e circostanze
in cui si ambientavano i traffici commerciali, e si deve riconoscere che senza
dubbio la antica lex mercatoria ha dato un notevole contributo, proprio in quanto la
prassi mercantile medievale era particolarmente sensibile alle necessità di sviluppo
dei traffici commerciali nonché di rendere sempre più agevoli e celeri le
contrattazioni41.
Nella cosiddetta età industriale, che collochiamo cronologicamente in un passato
recente rispetto all’epoca contemporanea, chiamando invece quest’ultima età postindustriale, il contratto ha cominciato ad acquistare una crescente autonomia dal
fenomeno del trasferimento del diritto di proprietà, e ciò a fronte del sempre più
frequente ricorso ad innumerevoli nuove posizioni soggettive di godimento dei
beni, acquisibili tramite contratto, diverse e che hanno cominciato a costituire valide
alternative alla configurazione in termini proprietari del rapporto soggetto – bene. Il
contratto ha cominciato, così, ad essere trattato in modo autonomo e svincolato
dalla proprietà. Contemporaneamente, al novero delle cosiddette res corporales si è
aggiunta tutta una serie di beni immateriali la cui titolarità o il cui godimento
possono essere creati o trasmessi tramite contratto42. L’attività imprenditorialecommerciale, intendendosi per tale quella modalità di produzione e di circolazione
della ricchezza, implica intrinsecamente che l’imprenditore abbia a sua disposizione
o si procuri gli strumenti mediante i quali svolgere l’attività stessa, necessitando di
40
P.M. VECCHI, Il principio consensualistico. Radici storiche e realtà applicativa, Torino, 1999,
passim, nell’accurata trattazione dell’argomento, rintraccia molteplici circostanze in cui le parti,
nell’esercizio della loro autonomia negoziale, derogano all’operatività del principio
consensualistico, subordinando il verificarsi dell’effetto traslativo al compimento di ulteriori attività
negoziali, ribadendo tuttavia che si tratta di un principio avente portata generale, rispetto al quale le
deroghe si giustificano in forza di determinate esigenze che vengono in considerazione sulla base
della natura dei diritti trasferiti e degli interessi ad essi sottostanti (p. 63).
41
F. GALGANO, Lex mercatoria, Bologna, 2001, p. 35 ss., nel ripercorrere le fasi salienti
dell’antica lex mercatoria, ricorda che in essa si sostanzia il prodotto della “rivoluzione giuridica
della classe mercantile” (p. 38), con la creazione di un diritto che si poneva in concorrenza con gli
altri diritti, la cui origine era funzionalmente da rintracciarsi nella carenza ed inadeguatezza del
diritto romano, fondato sulla conservazione piuttosto che sulla innovazione, a legittimare
giuridicamente le nuove vicende commerciali.
42
F. GALGANO, La globalizzazione nello specchio del diritto, cit., p. 18, afferma che “un tempo i
contratti servivano solo per far circolare le cose; oggi servono anche per farle, per creare prodotti
finanziari”.
16
capitali, della forza lavoro, di merci43. Al termine della articolata catena della
produzione si snoda poi la serie delle dinamiche attraverso cui avvengono le
operazioni di distribuzione dei prodotti finiti, i quali raggiungono molto spesso il
consumatore finale soltanto al termine di un lungo tragitto le cui fasi vengono
regolamentate mediante una serie di accordi e negoziati predisposti ad hoc,
determinando il moltiplicarsi degli schemi contrattuali che si sostanziano, così, in
innovative figure giuridiche, sorte dalla prassi commerciale44. A ciò si aggiunga
che,
nella
contingenza
post-industriale,
caratterizzata
dalla
indiscussa
preponderanza dell’economia della finanza su quella della produzione, si pone il
problema tanto della creazione quanto della circolazione dei nuovi valori mobiliari
e degli strumenti finanziari. Si tratta di una serie di beni immateriali di nuovo conio,
che costituiscono una prediletta modalità attraverso cui è possibile effettuare
investimenti in denaro45. Nell’ambito della finanza, il contratto, strumento
tradizionalmente responsabile della circolazione dei beni, viene invece impiegato
per creare esso stesso nuovi beni46.
Muta, pertanto, l’oggetto dell’atto dispositivo del diritto di proprietà; muta, di
conseguenza, l’essenza stessa della proprietà. Se, per un verso, sempre più
frequentemente l’atto traslativo della proprietà coinvolge beni immateriali, per altro
Si pensi al leasing o al factoring, che costituiscono la risposta all’esigenza dell’imprenditore di
avere immediata disponibilità di un determinato bene o macchinario da impiegare nel processo
produttivo, o di poter conseguire subito la liquidità derivante da crediti che egli non possa ancora
riscuotere. In merito ai problemi che inizialmente si sono prospettati in sede di operatività, in
particolare, del leasing all’interno del nostro ordinamento, P. MARIANI, Il leasing finanziario
internazionale tra diritto uniforme e diritto internazionale privato, Roma, 2004, p. 7, chiarisce che
“nelle operazioni di leasing, le società predispongono dei modelli standard, di regola completi, ai
quali, generalmente, l’utilizzatore aderisce. La qualificazione si rende necessaria non tanto per
colmare eventuali lacune che il contratto possa presentare, ipotesi rara, quanto per verificare la
validità, per il nostro ordinamento giuridico, delle clausole predisposte e per accertare l’applicabilità
di quelle norme sparse nell’ordinamento che fanno riferimento – diretto o indiretto- ai tipi (ad
esempio le norme sul fallimento o quelle tributarie)”.
44
Si pensi al franchising, definito nei seguenti termini dalla legge 6 maggio 2004 n. 129, art. 1:
“L’affiliazione commerciale (franchising) è il contratto, comunque denominato, fra due soggetti
giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la
disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o
intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti
d’autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in
un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di
commercializzare determinati beni o servizi”.
45
Sono le cosiddette new properties, quali gli swap e i futures. In particolare, lo swap è definito a
chiare lettere, nella sua essenza e funzionalità, da G. BAUSILIO, Contratti atipici, Padova, 2006, p.
212: “un meccanismo contrattuale finalizzato ad evitare rischi, in caso d’interscambi o di rapporti di
import/export tra operatori commerciali, a motivo delle fluttuazioni monetarie che potrebbero
verificarsi tra la sottoscrizione di un contratto e la sua esecuzione”. In particolare, sugli swap si veda
E. GIRINO, Contratti swap: forma, autonomia, nullità e responsabilità, in Contratti, 2002, p. 27
46
V. ROPPO – G. AFFERNI, Dai contratti finanziari al contratto in genere: punti fermi della
Cassazione sulla nullità virtuale e responsabilità precontrattuale, in Danno e resp., 2006, p. 25
43
17
verso si moltiplicano anche le forme proprietarie (si pensi, ex multis, alla
multiproprietà) e quindi si modificano gli stessi caratteri tradizionali della proprietà
così come consegnata al giurista del ventesimo secolo attraverso il disposto dell’art.
832 c.c. unitamente alla tutela di rango costituzionale che la stessa riceve.
Attualmente, si attribuisce il nome di proprietà a posizioni giuridiche soggettive che
sono in realtà carenti di alcuno dei tratti essenziali della proprietà tradizionale, o in
quanto si tratta di forme proprietarie vincolate (si pensi alla posizione del trustee o a
quella del soggetto titolare di un bene sul quale grava un vincolo di destinazione ex
art. 2645-ter c.c., si tratta di situazioni di proprietà vincolata che si qualificano
diversamente sul piano funzionale rispetto alle cosiddette proprietà conformate che
sono già in voga da anni), o perché nel termine proprietà si vuole far rientrare nel
novero della proprietà anche una serie di situazioni in cui si è titolari di un bene
immateriale essenzialmente al fine di poter godere del medesimo, tuttavia al
godimento si accompagna la possibilità di esperire anche alcuni atti di disposizione.
Pertanto l’elemento essenziale è l’ampio godimento, e la dilatazione dei confini di
esso comporta l’inclusione di alcune facoltà dispositive, con la conseguenza per cui
diviene meno netto il limes atti di godimento – atti di disposizione. Alla luce di tali
considerazioni, si può pertanto osservare come attualmente si assista ad una
inversione dei rapporti tra contratto e proprietà, con la conseguenza per cui a livello
scientifico si spendono oggi moltissime parole intorno alla categoria del contratto,
alla sua frammentazione, e ad un possibile recupero dell’unitarietà della stessa,
tuttavia non accade ugualmente per la categoria della proprietà, rispetto alla quale
l’unica preoccupazione di pratici e teorici del diritto sembra essere quella di riuscire
a conciliare le nuove figure proprietarie con i principi inderogabili presenti
nell’ordinamento giuridico (si pensi al problema della ammissibilità della posizione
del trustee). Attualmente, le forme proprietarie, essenzialmente quelle che hanno
origine nella rete telematica ed hanno ad oggetto beni immateriali, sono per lo più
finalizzate precipuamente al godimento del bene, con la conseguenza per cui muta il
rapporto tra il proprietario e la cosa. A ciò si aggiunga che il carattere reale del
diritto di proprietà viene avvertito in maniera meno marcata, da parte del soggetto
titolare, ove si tratti di beni immateriali.
Verrebbe allora da interrogarsi intorno alla attuale fisionomia della categoria della
proprietà. Ma ciò esula dalla prospettiva funzionale che domina la logica
mercantile: quel che importa, nel mercato, è che l’affare vada a buon fine; che
18
l’operazione economica riesca a svolgersi con successo. Pertanto, è intorno al
contratto che si annida ogni riflessione in quanto intorno ad esso ruotano le
dinamiche commerciali. Il contratto permette l’affare, si potrebbe dire. La proprietà
in sé non costituisce allora grande motivo di riflessione, una volta superati gli
ostacoli per la ammissibilità delle forme innovative di titolarità dei nuovi beni.
Lasciar prevalere la logica del mercato significa in concreto sacrificare ogni
prospettiva di riflessione sia dogmatica sia di tipo solidaristico e di sociologia del
diritto (se si comprende che la stratificazione sociale non può riassumersi
nell’essere soggetti-operatori economici).
Se, per un verso, nel contesto contemporaneo, il contratto è, all’interno del sistema
dell’”economia – mondo”47, l’istituto sul quale si impernia la venuta ad esistenza di
un diritto a vocazione ed operatività transnazionale, per altro verso, esso si
qualifica, all’interno del nostro ordinamento, come lo strumento giuridico che più di
ogni altro presenta interferenze con i più svariati ambiti della materia del diritto che
regola i rapporti tra soggetti privati, da quello della famiglia, alle successioni, alla
modalità extragiudiziale di composizione delle controversie, fino a spiegare la sua
operatività in un ambiente di netto respiro pubblicistico quale è quello in cui si
muovono gli organi e gli enti di cui si compone la pubblica amministrazione48.
Nella indubbia posizione di centralità che lo strumento contrattuale ricopre sulla
scena giuridica interna ed internazionale, bisogna osservare che, in una visione
diacronica dell’argomento, si è, dall’epoca della codificazione del 1942 ai giorni
nostri, passati, per così dire, dal fenomeno del contratto a quello dei contratti49. La
letteratura tradizionale in materia di contratto si è trovata per molto tempo di fronte
47
F. BRAUDEL, Civiltà materiale, economia e capitalismo, Torino, 1982, passim, nel ripercorrere i
momenti topici della storia dello sviluppo economico europeo dell’età moderna, conia il suddetto
concetto.
48
E’ del tutto pacifica l’osservazione di F. GALGANO, La globalizzazione nello specchio del
diritto, cit., p. 99, secondo cui “all’autonomia contrattuale sono oggi dischiuse frontiere in passato
impensabili. Il contratto era, nella sua concezione classica, lo strumento per comporre interessi
particolari; oggi il contratto fra privati prende il posto della legge in molti settori della vita sociale.
Si spinge fino a sostituirsi ai pubblici poteri nella protezione di interessi generali, propri dell’intera
collettività, qual è stato, dapprima l’interesse dei consumatori, che i meccanismi di autodisciplina
hanno difeso contro gli inganni pubblicitari”. Egli prosegue inoltre (p. 100-101) considerando che
“il contratto fra privati si sostituisce al regolamento amministrativo nella disciplina della borsa, oggi
regolata, come consente il Testo unico dell’intermediazione finanziaria del 1998, da un contratto per
adesione, predisposto dalle private società di gestione delle borse ed accettato dagli operatori all’atto
del loro accesso alle negoziazioni”; rilevando, ancora, che “la via della riforma per contratto,
anziché per legge, è battuta anche dall’iniziativa di organi tecnocratici dello Stato. Per ben due volte
la Banca d’Italia ha promosso vaste riforme del sistema bancario non già sollecitando l’intervento
legislativo dello Stato, bensì suggerendo alle banche i termini di una autoriforma dei propri statuti”.
49
In tali termini si esprime A. LECCESE, Il contratto e i contratti: alcune riflessioni, in Studi in
onore di Cesare Massimo Bianca, III, Milano, 2006, p. 451
19
ad un panorama caratterizzato dalla molteplicità delle figure negoziali,
espressamente previste dal legislatore del 1942, da conciliare con la parte generale
della normazione in chiave di specialità50. Si è, però, parlato sempre di “contratto”
con accezione al singolare, in quanto la pluralità dei contratti tipici si è comportata
come una sorta di articolate e variegate ipostasi da ricondurre unitariamente
all’istituto del contratto in generale51. Oggi si parla piuttosto di “contratti”, a fronte
del processo di frammentazione della categoria, che è in atto, frutto del lavoro
ipertrofico dell’autonomia privata, sulla base delle esigenze poste dal mercato 52. Vi
sono, infatti, come si è già accennato, vari livelli di contrattazione che affiancano il
contratto di diritto comune; in particolare, i contratti del consumatore e quelli che,
pur essendo conclusi tra soggetti che appartengono anch’essi alla categoria degli
imprenditori, presentano una asimmetria di potere contrattuale53. La complessità
delle vicende contrattuali costituisce lo specchio della realtà economica, che il
diritto è chiamato a governare, e da ciò traggono origine le cause del passaggio da
un ordinamento giuridico di carattere sistematico, fondato sulla linearità e sulla
monoliticità54, ad una pluralità di fonti che si trovano a regolare, in concorrenza le
une con le altre, la materia dei contratti55. Non si può certo accogliere questo nuovo
Sull’argomento dei contratti tipici cfr. in particolare A. BARENGHI, Qualificazione, tipo e
classificazione dei contratti, in N. LIPARI – P. RESCIGNO (a cura di), Diritto civile, Obbligazioni,
III, Il contratto in generale- II, Milano, 2009, p. 295 ss.
51
S. RODOTA’, Poteri dei privati e disciplina della proprietà, in Diritto privato nella società
moderna, Bologna, 1971, p. 379 ss., ripercorre i momenti maggiormente significativi
dell’evoluzione del concetto della proprietà, evidenziando come la proprietà stessa, che forma
oggetto di contratto, sia incardinata, dalla nostra Costituzione, alla funzione sociale, da intendersi
non come mero superamento dell’individualismo, quanto piuttosto come “benessere economico e
collettivo” (p. 389).
52
G. GUIZZI, Mercato concorrenziale e tutela del contratto, in Riv. dir. comm., 1999, I, p. 67 ss., si
pone il problema dell’odierno ambientarsi dell’autonomia negoziale in un mercato caratterizzato da
relazioni economiche (e quindi anche giuridiche) fisiologicamente strutturate intorno alla disparità
di potere contrattuale, con la conseguenza per cui è necessario un ripensamento del tradizionale
trinomio contratto-libertà contrattuale- libertà di concorrenza.
53
Sulla nozione di asimmetria di potere contrattuale cfr. specificamente G. D’AMICO, Il c.d. “terzo
contratto”: la formazione, in Studi in onore di Nicolò Lipari, cit., I, p. 713 ss.; nonché G.
VETTORI, Libertà di contratto e disparità di potere, in Riv. Dir. priv., 2006, p. 3
54
Sull’indagine in merito alla validità, nel contesto contemporaneo, della concezione tradizionale
del contratto, quale categoria unitaria e monolitica, in particolare cfr. R. PARDOLESI, Dalla
Pangea al terzo contratto?, in Studi in onore di Nicolò Lipari, cit., II, p. 2143 ss., il quale, nel
riassumere la problematica nella domanda “esiste una Pangea del contratto?”, ne rintraccia una
risposta positiva, in termini generalissimi, sulla base della attuale operatività di “un pugno di
principi fondanti, chiamati a fornire le coordinate di massima del progetto di autonomia privata per
eccellenza”.
55
U. BRECCIA, Contratto e comune quadro europeo. Note introduttive, in A. D’ANGELO- V.
ROPPO (diretto da), Annuario del Contratto 2009, Torino, 2010, p. 6, osserva come, nel
congestionato panorama che coinvolge il diritto dei contratti oggi, le ragioni di tale disordine siano
da ravvisare nell’ “eccessiva indulgenza verso il vuoto di memoria, ossia la mancanza di un serio
confronto tra la forza reale delle suggestioni presenti e la misura effettiva di una perpetuazione del
pensiero giuridico tradizionale”.
50
20
assetto con l’animo positivo e fiducioso con il quale si suole dare il benvenuto ad
una novità, dal momento che tale processo (se si vuole, con coraggio!) evolutivo del
sistema economico-sociale, e quindi anche giuridico, appare concretizzarsi, sotto
molti profili, nelle forme di un brusco allontanamento, per il diritto, dalle specificità
che lo connotano, se si pensa che le regole oggi costituiscono la mera risposta
all’esigenza di soddisfare i nuovi interessi, di segno prettamente mercantile, di cui
sono portatori gruppi dominanti sulla scena politica ed economica, limitandosi a
fornire al giudice gli “utensili” più idonei a risolvere le fattispecie che in concreto
sono sottoposte al vaglio di questo stesso. Il diritto, che trova la sua identità e ratio
in quella “saldatura tra le regole poste e i comportamenti attuati all’interno della
collettività”56, non può, per sua stessa natura, essere ridotto a mero strumento di
regolamentazione degli interessi di una categoria di soggetti maggiormente
influente sulla scena politico-economica57. Questo è tuttavia il quadro con il quale il
giurista contemporaneo è chiamato a misurarsi. Definire la situazione dell’odierno
panorama delle fonti del diritto dei contratti in termini di “crisi” non può pertanto
essere considerato sintomo di refrattarietà a quella naturale tendenza all’evoluzione
che è propria di tutte le società civili58.
N. LIPARI, Le fonti del diritto, Milano, 2008, p. 7-8, afferma che “nella realtà dell’esperienza la
qualificazione del diritto in funzione di atti formali di posizione si salda con una prospettiva fondata
su atti soggettivi di riconoscimento, concretamente acquisibili, in un dato momento storico, nella
concretezza delle scelte politiche, delle opzioni interpretative, delle iniziative giurisprudenziali, in
una parola nella effettività dei comportamenti individuali e collettivi”.
57
Alla fine degli anni Novanta, N. IRTI, L’età della decodificazione, cit., p. 41 - 42, osserva che “la
crisi del codice civile”, i cui albori si colgono a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, con
l’avvio della consuetudine nella produzione delle leggi speciali, e che egli chiama appunto “età della
decodificazione”, “come disciplina generale dei rapporti privati, fa tutt’uno con il tramonto del
citoyen e con l’affermarsi di gruppi sociali, capaci di determinare o indirizzare le scelte dei poteri
pubblici e così di raggiungere, nella forma della legge negoziata, gli scopi prima perseguiti mediante
lo strumento del contratto”, chiarendo, a p. 41, come per legge negoziata si debba intendere “la
legge che nasce dall’accordo tra i singoli gruppi ed i poteri pubblici”, essendo pertanto le leggi
speciali “statuti di gruppi, cioè delle classi, socialmente definite e individuate, che utilizzano, o
aspirano ad utilizzare, dati beni”. Il destinatario delle leggi speciali non è più quindi il cittadino, ma
l’individuo, il quale, “rifugiatosi all’interno del gruppo, chiede soltanto a questo, alla sua capacità di
pressione e di minaccia, alla sua forza di negoziato, la tutela di interessi e di prerogative”.
Sull’argomento N. LIPARI, La formazione negoziale del diritto, in Riv. Dir. civ., 1987, I, p. 312, in
cui si coglie autorevolmente l’origine del fenomeno della formazione negoziale del diritto nel
momento in cui lo Stato sociale, “superando l’originaria tendenza compensativa verso le categorie
più emarginate e sfruttate”, ha iniziato a farsi carico di “garanzie economiche e di sicurezze
esistenziali”, si è avviata l’epoca della produzione delle regole a vantaggio degli interessi delle
lobbies, con la conseguenza per cui alle ordinarie forme delle fonti del diritto vengono affidate
norme, nascenti dalla contrattazione fra i gruppi di potere maggiormente influenti, volte a garantire i
vantaggi delle oligarchie economicamente egemoni. Si assiste, pertanto, alla “intrinseca tensione di
un diritto che è negoziale nei contenuti ma continua a coltivare la pretesa di voler essere legale nelle
forme”.
58
P. RESCIGNO, La “forma” codice: storia e geografia di una idea, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 29
ss., nel ripercorrere le “vicende biografiche” salienti del Codice civile, fino all’odierno assetto delle
codificazioni al plurale, critica l’attitudine a reputare il Codice civile la “fonte delle fonti” (p. 30), di
56
21
Anticipando un argomento che tratteremo diffusamente infra, il carattere
patologico, piuttosto che fisiologico, che è proprio delle innovazioni che
stravolgono oggi la realtà del diritto, non è tanto da ravvisarsi nella frantumazione
delle categorie giuridiche monolitiche e dogmatiche tradizionali, quali quella del
contratto, una volta che si accetta che le categorie non sono, contrariamente ai
principi, un prius per il giurista, ma un posterius, quanto piuttosto nella perdita
dell’essenza della “cifra giuridica” che si sostanzia nel “valere del diritto come
valore”59, lasciando, per contro, il posto al prevalere del segno meramente
“normocratico” che, in quanto tale, contraddice la specificità stessa del diritto60.
La molteplicità di fonti, contenute in regole codicistiche, in norme speciali e in
discipline di settore, nel domandare un ripensamento del panorama in termini di
combinazione piuttosto che di prevalenza dell’una fonte sull’altra, rende prima
facie maggiormente difficoltoso all’interprete individuare le linee che marcano i
rapporti tra queste, se si considera che con le norme di settore è stata operata una
vera e propria ricodificazione61. Mentre il Codice tradizionale ha incarnato la
garanzia della certezza del diritto, nonché lo strumento attraverso cui risolvere
nell’unità e nella sistematicità della regolamentazione il carattere molteplice
dell’esperienza concreta, le ricodificazioni di settore si prefiggono di superare la
frammentarietà di questi nuovi interventi normativi in una determinata materia,
ponendosi esse stesse a presidio della semplificazione della disciplina62.
Al centro della materia dei contratti vi è oggi più che mai il concetto di “operazione
economica”63, la cui portata semantica va chiarita. Se, per un verso, infatti, il
guisa che, ridimensionando il ruolo da attribuirsi al Codice, possa emergere il nucleo della questione
che non ruota attorno alla decodificazione bensì alla delegificazione, che si traduce nella sostanziale
diminuzione dei poteri legislativi in mano all’organo che ne è fisiologicamente titolare, a favore del
crescente potere normativo nelle mani di organi ed autorità diversi dal legislatore ordinario.
59
N. LIPARI, Diritto e valori sociali, cit., p. 201.
60
R. NICOLO’, v. Codice civile, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, p. 240 ss., nel fornire
un’autorevole ricostruzione della storia della codificazione, in particolare ripercorrendo l’ideologia
sottesa al Codice civile del 1942, non trascura di metterne in evidenza i segni dell’esigenza di un
rinnovamento economico e sociale, e quindi anche giuridico, di cui la stessa codificazione non si fa
carico, pur manifestandone la consapevolezza. A ben considerare, il Codice vigente ha aperto la
strada ai successivi progressi che si sono poi effettivamente svolti nella realtà concreta in materie
quali quella del diritto di proprietà, dell’affermazione della ricchezza mobiliare su quella
immobiliare nonché della nascita e diffusione di nuovi beni immateriali.
61
P. CAPPELLINI, Il codice eterno. La forma-codice e i suoi destinatari. Morfologie e metamorfosi
di un paradigma della modernità, in P. CAPPELLINI – B. SORDI (a cura di), Codici una
riflessione di fine millennio, Milano, 2002, passim.
62
U. PETRONIO, La nozione di Code Civil fra tradizione e innovazione (con un cenno alla sua
pretesa “completezza”), in Quad. fior., 1998, p. 83
63
A. D’ANGELO, Contratto e operazione economica, Torino, 1992, p. 44 ss., in cui l’Autore, nel
rintracciare il significato profondo dell’accezione del termine contratto nei vari luoghi codicistici in
cui essa compare, rileva che ai Compilatori del 1942 non è sfuggito quel nesso tra contratto ed
22
contratto non può essere ridotto a mera operazione economica a tal punto da farlo
coincidere con essa, non essendo il rapporto contrattuale una mera risultante di
leggi economiche, quanto piuttosto il titolo giuridico sul quale l’operazione si
fonda, per altro verso vi è che gli interessi che costituiscono il fondamento e la
forza propellente di ogni contratto si possono riassumere nell’operazione economica
stessa, così che il contratto si mostra come una sorta di formalizzazione giuridica
delle varie operazioni economiche64. Contratto ed operazione economica, a ben
considerare, trovano però una fonte comune nel carattere unitario dell’atto di
autonomia privata, mediante il quale l’ordinamento giuridico “valuta come
operazione l’assetto dei privati interessi”65. L’operazione economica assurge a
categoria concettuale ed acquista il crisma della giuridicità nel momento in cui
eccede, per un verso, il mero carattere descrittivo delle modalità funzionali di un
determinato assetto di interessi e, per altro verso, le forme attraverso cui si
operazione economica che è dato riscontrare in tutti quei fenomeni negoziali che non siano
caratterizzati dal requisito dello spirito di liberalità. Egli infatti rintraccia il riferimento codicistico al
concetto di operazione economica proprio nel rilievo secondo cui le norme che disciplinano la
conclusione del contratto e che hanno riguardo alla natura dell’affare non sono tutte applicabili al
contratto di donazione, in quanto essa non ricade nella nozione di operazione economica.
64
Le novità che riguardano la materia del contratto, implicando un inevitabile ripensamento del
concetto di autonomia privata nell’accezione in cui essa è stata tradizionalmente intesa, conducono
ad una condivisibile considerazione, secondo cui, con F.M. ANDREANI, “Nullità parziale e
sostituzione automatica delle clausole contrattuali, in Contratti, 2003, II, p. 891, si può asserire che
“oggi il contratto dovrebbe essere considerato non più come una suprema manifestazione
dell’autonomia normativa dei privati, quanto, piuttosto, come il risultato di autonomia ed eteronomia
vicendevolmente integrate. Si verrebbe così a realizzare quella che è stata definita come economia
mista di un ordinamento, ispirato tanto a libertà di iniziativa, quanto a regolamentazione
eteronormativa”. Sui limiti dell’autonomia privata P. SCHLESINGER, L’autonomia dei privati e i
suoi limiti, in Giur. It., 1999, p. 230, dopo aver evidenziato come l’autonomia negoziale trovi la sua
effettiva natura fenomenica nell’ambito pregiuridico, essendo essa riconosciuta e tutelata
successivamente dall’ordinamento, ma non certo concessa da quest’ultimo, dal momento che spesso
accade che un accordo valga a conferire il crisma della giuridicità ad una situazione di fatto in
concreto preesistente, delinea il terreno su cui si svolge l’autonomia privata in quella “dialettica
costante tra il piano della “libertà” –segnata dal potere dei paciscenti di “liberamente determinare il
contenuto del contratto”, di autoregolamentare i propri interessi – e quello della “autorità”,
continuamente tesa a fissare “i limiti” entro i quali i patti dei privati sono ammessi a generare
actiones dinanzi ai tribunali dello Stato”.
65
Così G. PALERMO, Funzione illecita e autonomia privata, p. 2. Sull’argomento dei rapporti tra
autonomia contrattuale e libera concorrenza sul mercato, cfr. in particolare A. ZOPPINI, Autonomia
contrattuale, regolazione del mercato, diritto della concorrenza, in N. LIPARI – P. RESCIGNO
(diretto da), Diritto civile. Vol. III – Obbligazioni, II – Il contratto in generale, Milano, 2009, il
quale sottolinea, p. 55 – 56, la necessità che l’autonomia contrattuale conosca dei limiti, “perché non
ogni disciplina degli interessi privati è coerente e garantisce una pari libertà agli altri operatori
economici. Per questo il diritto della concorrenza riduce il campo delle scelte lecite e in astratto
possibili, vieta taluni accordi, impone talora gravosi vincoli economici. Così che la garanzia della
libertà e dell’autonomia contrattuale implica e sottende rilevanti limiti che proprio quella libertà e
quella scelta finiscono in misura significativa per sacrificare”.
23
manifestano determinati fenomeni del diritto comune dei contratti66. Essa si
presenta piuttosto quale unitaria epifania di un assetto globale di interessi, nonché
quale strumento d’elezione per condurre un’indagine sulla legittimazione
esistenziale di determinate fattispecie dalla struttura molto complessa; e, ancora,
prendendo come punto di partenza l’operazione economica si può arrivare a
scoprire quale sia la disciplina più idonea per una determinata vicenda negoziale, al
di là delle regole previste per il singolo tipo legale67. Accade allora così che
l’operazione economica avrà una struttura semplice o complessa, a seconda del
numero degli strumenti contrattuali coinvolti: si pensi al fenomeno del
collegamento negoziale. Dalla valutazione dell’operazione economica nel suo
complesso, più che dalla causa di ciascun singolo contratto facente parte della
sequenza negoziale, si riesce così a scorgere l’effettiva ragione per la quale in
concreto le parti hanno voluto quella determinata modalità di regolamentazione dei
loro interessi. Nel contesto contemporaneo, dai numerosi interventi legislativi in
materia di contratti emerge come la stessa nozione di operazione economica
costituisca oggetto diretto di regolazione, a tal punto che si è autorevolmente parlato
di “tipizzazione dell’operazione economica”68. Si pensi al disposto di cui all’art. 34
primo comma Cod. cons. in cui il legislatore evidenzia la rilevanza unitaria
dell’operazione economica laddove afferma a chiare lettere che “la vessatorietà di
una clausola è valutata tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto
del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua
conclusione ed alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o
La netta preminenza dell’operazione economica sullo schema negoziale mediante il quale essa
viene realizzata è segnalata da G. RACUGNO, Lo swap, in Banca borsa tit. cred., 2010, 1, p. 39 ss.,
in cui l’Autore si occupa della nuova figura contrattuale dello swap.
67
G. PALERMO, in A. LUMINOSO – G. PALERMO, La trascrizione del contratto preliminare,
Padova, 1998, p. 123 osserva che i nomina iuris svolgono un ruolo di carattere marginale dal
momento che gli schemi che il Codice civile ha approntato costituiscono oggi dei semplici “modelli
di riferimento”, al fine di individuare la disciplina da attribuire al negozio “nella misura in cui lo
specifico atteggiarsi degli interessi che concorrono a formarne il contenuto, ovvero la loro
particolare combinazione, apprestino la stessa identità di materia che il legislatore ha inteso
regolamentare”.
68
F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2003, X ed., p. 802. Una efficace ricostruzione
di come attualmente si faccia ricorso all’operazione economica, con preferenza sul tipo contrattuale,
quale categoria ordinante degli atti di autonomia privata, è fornita da E. GABRIELLI, Accordi di
ristrutturazione del debito e tipicità dell’operazione economica, in Riv. dir. comm., 2009, p. 1071
ss., in cui l’Autore, nel trattare di questa nuova figura negoziale prevista all’art. 182-bis legge fall.
(R.d. 16 marzo 1942, n. 267), illustra come la tipizzazione delle varie fasi negoziali di una
complessa operazione economica comporti l’oggettivazione nella norma degli elementi della stessa,
così che ne consegue una disciplina che altro non è se non la regolamentazione dell’operazione
medesima, indipendentemente dal tipo legale al quale eventualmente l’operazione possa di volta in
volta essere ascritta.
66
24
da cui dipende”69. In ogni caso, l’operazione economica si caratterizza quale
categoria ordinante dell’unitarietà dell’affare nell’ambito dell’autonomia privata,
nonché quale mezzo attraverso cui tutelare il contraente debole, assicurando così il
corretto funzionamento dell’assetto concorrenziale del mercato, come risulta
pacificamente se si considera che attualmente la tutela della parte debole si realizza
anche attraverso il meccanismo di tipizzazione di tutta una serie di atti e fasi
dell’operazione economica che precedono, che sono concomitanti o che seguono il
momento in cui il contratto viene concluso70. Dall’analisi della normativa di settore
emerge quindi come attualmente non si ragioni più in base ai vari tipi contrattuali,
ma secondo le operazioni economiche che possono essere effettuate tramite gli
strumenti contrattuali71. Questa prospettiva permette di realizzare meglio il processo
di armonizzazione europea del diritto dei contratti, dal momento che l’approccio
funzionale che la contraddistingue comporta il superamento di apparenti diversità
tra fenomeni giuridici, appartenenti ai vari ordinamenti nazionali, che in realtà
condividono la medesima identità sostanziale72.
69
In altri luoghi normativi, il legislatore, invece di esprimere chiaramente tale rilevanza unitaria, ne
indica il rilievo prescrivendo piuttosto il divieto del “frazionamento” della stessa. Sul punto A.M.
AZZARO, Frazionamento contrattuale e autonomia privata, Torino, 2004, p. 149
70
Si pensi, in modo esemplificativo, a quanto avviene nella normativa sulla multiproprietà: nello
schema di questa operazione economica confluisce una serie di fattispecie che, se si ragionasse in
termini di tipo legale, sarebbero ricondotte a figure distinte, seppur simili (la multiproprietà
alberghiera sarebbe ascritta al contratto d’albergo; quella azionaria, al contratto di società; quella
immobiliare verrebbe ricondotta alla vendita o alla locazione). La sussunzione della fattispecie
concreta nel “tipo di operazione economica” comporta invece che essa acquisisca una propria
autonomia formale, senza che essa debba essere ricondotta ad uno o all’altro dei tipi legali
preesistenti, con i quali condivide alcuni caratteri. Sul fenomeno del “raggruppamento dei contratti
sulla base dell’unitarietà dell’operazione economica”, G. DE NOVA, Contratto: per una voce, in
Riv. dir. priv., 2000, 4, p. 655 ss., collega il fenomeno dei gruppi di contratti e della tipicità e
atipicità contrattuale alle esigenze economiche sottese alla negoziazione.
71
E. GLIOZZI, Dalla proprietà all’impresa, Milano, 1985, p. 103 ss., nello scorgere nuovi volti del
diritto di proprietà attraverso una disamina delle teorie tradizionali alla luce dei requisiti della
proprietà capitalistica, rileva l’inidoneità delle concezioni formalistiche tradizionali della proprietà a
rispecchiare il concreto assetto proprietario capitalistico, dal momento che quest’ultima si fonda
sulla relazione imprescindibile tra proprietario e produttore immediato, mostrando, per tale via, i
limiti della concezione della proprietà quale signoria della persona sulla cosa, descrivendo piuttosto
come il rapporto di esclusione nella proprietà capitalistica si atteggi nella estraneità dei produttori
immediati ad ogni controllo sugli obiettivi della loro attività e sul prodotto, in quanto entrambe le
attività rientrano nelle facoltà del proprietario.
72
U. MATTEI, Il nuovo diritto europeo dei contratti, tra efficienza ed eguaglianza. Regole
dispositive, inderogabili e coercitive, in Riv. crit. dir. priv., 1999, p. 611 ss., nel ricordare la nota
distinzione tra diritto civile e diritto commerciale, rintraccia le patologie della elaborazione di un
diritto contrattuale europeo, osserva che tra il nuovo diritto dei commercianti, consegnato ai Principi
Unidroit ed ai Principi Lando, ed il diritto dei consumatori manca ogni somiglianza strutturale (p.
624), con la conseguenza per cui ci si avvia verso una frattura in due branche: diritto dei contratti
orientato verso l’offerta e diritto dei contratti orientato verso la domanda (p. 629), rilevando che,
“come conseguenza di quest’atteggiamento schizofrenico, si manifesta oggi in Europa una
commedia di errori che fa in modo che l’unico significativo diritto dei contratti a carattere
imperativo rimanga quello prodotto a Bruxelles in tema di protezione del consumatore”, ed i
25
Alla luce di queste considerazioni, si può pertanto osservare come si stia assistendo
ad una progressiva frammentazione della categoria del contratto, in quell’accezione
unitaria di cui la disciplina del Codice civile del 1942 costituisce altissima
espressione73. Pur non essendo tuttavia mancati in dottrina autorevoli interventi
volti a tentare di elaborare nuovamente uno “statuto generale” del contratto, sulla
base di “soluzioni comuni” che si è preteso intravedere all’interno della disciplina
di settore, tanto in quella dei contratti del consumatore quanto in quella dei contratti
tra imprese, non si ritiene condivisibile tale impostazione, dal momento che,
dall’analisi del contingente panorama, emerge la necessità che il giurista, il quale è
chiamato egli stesso a “creare la categoria” nel corso della sua attività poieticoapplicativa del diritto74, operi secondo un criterio di differenziazione dei fenomeni
sulla base del settore di appartenenza, in quanto ciò è maggiormente confacente alle
esigenze di normazione postulate sulla scena economica e commerciale, piuttosto
che esperire l’anacronistico tentativo della reductio ad unum, perno della
sistematica tradizionale75.
3. L’affannoso tentativo di trovare una sicura e convincente via attraverso cui
conciliare la disciplina del contratto, contenuta nella parte generale del Codice
civile, con il lievitante novero della produzione normativa di settore costituisce oggi
l’approccio alla materia più largamente condiviso negli ambienti scientifici76. Si
rapporti economici che non sono ascrivibili al campo della legislazione certa vengono regolati
attraverso l’attività delle Corti nazionali, massimamente mediante il ricorso ai principi generali, o
tramite il nuovo diritto dei mercanti nato in via di prassi.
73
C.M. BIANCA, Diritto civile. Il contratto, Milano, 2000, p. 7-14, nell’inquadrare il contratto nella
sfera dell’autonomia privata, osserva che l’opzione adottata dai Compilatori del Codice civile del
1942 di non elaborare alcuna nozione di negozio giuridico, preferendo piuttosto fornire una
disciplina generale del contratto, si giustifica a fronte della “ampiezza della categoria dell’atto
negoziale” (p. 11). Il leitmotiv della codificazione si rintraccia in quella tendenza a trovare criteri di
unificazione e di riconduzione del molteplice all’unità, in un’ottica di sistemazione e di ordinamento
della materia.
74
Nell’epoca del proliferare delle leggi di settore, le quali sembrano prendere il sopravvento sulla
codificazione, muta l’approccio specifico del giurista all’attività che egli è chiamato a compiere, in
quanto, come osserva R. FERRANTE, Codificazione e cultura giuridica, Torino, 2008, p. 274, “il
giurista non si muove più in un sistema complessivo, affina competenze di tipo specialistico e
diventa bensì il tecnico dei microsistemi”.
75
E’ condivisibile l’impostazione di G. D’AMICO, Il c.d. “terzo contratto”: la formazione, in Studi
in onore di Nicolò Lipari, Milano, 2008, I, p. 723, il quale afferma in proposito che proprio la
recente raccolta ed elaborazione normativa del Codice del Consumo, collocata fuori dal Codice
civile, la quale va a disciplinare la materia del “contratto con i consumatori”, sembra “avallare la
prospettiva della differenziazione anziché quella di una artificiale unità del diritto contrattuale”.
76
S. GRUNDMAN, La struttura del diritto europeo dei contratti, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 365 ss.,
nel fornire una accurata visione analitico-prospettica dell’odierno diritto europeo dei contratti,
fornisce una concisa ma suggestiva immagine dell’armonizzazione che si opera attraverso le
disposizioni della Convenzione di Roma del 1980 sulle obbligazioni contrattuali nonché per il
26
può ben comprendere che si tratta di un problema avente una portata notevole, se lo
si legge alla luce del significato che la codificazione e, più specificamente, la
presenza di una “parte generale sul contratto”, ha per molto tempo assunto nel
nostro ordinamento, come in tutti i Paesi di civil law. La parte generale contiene i
precetti fondamentali di tutti i contratti, dal momento che essa fornisce, per così
dire, lo scheletro dell’impianto normativo contrattuale, prevedendo altresì in modo
espresso alcune figure negoziali tipiche, ciò nondimeno operando la riconduzione
dei contratti atipici alla normativa codicistica come emerge dal tenore del disposto
di cui all’art. 1323 c.c.77 Tralasciando per un momento di guardare alla parte
generale esclusivamente in termini funzionali, come abbiamo appena fatto, per
cercare piuttosto di rintracciare i valori ideologici di cui essa costituisce
espressione, si rammenterà allora che essa ha, per molto tempo, simboleggiato lo
strumento attraverso cui l’autonomia privata ha avuto vita, dal momento che
proprio mediante la formulazione delle disposizioni astratte, di cui essa si compone,
può concretizzarsi la massima esplicazione della libertà contrattuale78. Le novità o,
per meglio dire, gli stravolgimenti, che la normativa in materia di contratti ha
conosciuto nei tempi recenti, implicano una ridefinizione del rapporto tra parte
generale e norme di settore, intendendo con queste ultime il generoso novero di
disposizioni di legge volte a disciplinare specifiche problematiche riguardanti i
contratti, e che, nel loro contenuto sostanziale, sono di derivazione comunitaria,
mutuando dal nostro ordinamento soltanto quella veste formale senza la quale non
sarebbero ammesse ad avere efficacia all’interno del medesimo, argomento sul
quale ci soffermeremo diffusamente infra.
La enorme rilevanza che la parte generale assume nel panorama della
regolamentazione dei contratti appare cosa evidente e nota anche agli altri
ordinamenti di matrice codicistica, se si considera che la stessa Convenzione di
Vienna fa riferimento alla parte generale contenuta all’interno dei Codici dei vari
tramite dell’attività della Corte europea di Giustizia, la quale provvede ad applicare il principio
dell’interpretazione conforme alle direttive comunitarie.
77
Così recita l’art. 1323 c.c.: “Tutti i contratti, ancorché non appartengano ai tipi che hanno una
disciplina particolare, sono sottoposti alle norme generali contenute in questo titolo”.
78
La libertà contrattuale assume, oggi, connotati nuovi, da guardare con la coscienza del tempo e
della storicità del diritto. E’ suggestiva la ricostruzione del rapporto tra il giurista (e quindi anche tra
il diritto) e la storia che ci è fornita da S. RODOTA’, Ideologie e tecniche della riforma del diritto
civile, in Riv. dir. comm., 1967, I, p. 89 ss., in cui l’Autore pone in risalto il legame imprescindibile
tra la regola giuridica ed il momento cronologico in cui essa è volta ad operare.
27
Paesi europei al fine di completare la disciplina specificamente approntata per i
singoli contratti79.
Il
vorticoso
moto
della
globalizzazione80,
responsabile
della
necessaria
moltiplicazione delle fattispecie contrattuali, con il conseguente prevalere del
ricorso alla prassi delle condizioni generali di contratto, ha tuttavia determinato un
affievolimento dell’importanza della parte generale, ciò in quanto un contratto
elaborato secondo le condizioni generali lascia uno spazio di operatività del tutto
minimo ai precetti codicistici81. Sarebbe, quindi, opportuno effettuare uno
spostamento del punto focale dal problema del ruolo da attribuire alla parte generale
a quello del controllo delle condizioni generali, al fine di impedire che si verifichi
una elusione delle “norme di cornice” in seguito alla prevalenza delle regole che
provengono dall’impresa attraverso le proprie condizioni generali82. Tali testi
79
F. RAGNO, Convenzione di Vienna e Diritto europeo, Padova, 2008, p. 3 ss., osserva come, se lo
scopo della Convenzione di Vienna, contenente una disciplina di diritto sostanziale e di carattere
universale, consiste nel fornire una unificazione su scala mondiale delle modalità di disciplina dei
contratti di vendita internazionale di beni mobili, in ogni caso viene lasciato spazio all’operare delle
legislazioni nazionali.
80
D. ZOLO, v. Globalizzazione, in Digesto. Discipline Pubblicistiche, Aggiornamento, Torino,
2005, p. 378 ss., nel ripercorrere le varie autorevoli definizioni economico-sociologiche del
fenomeno, ricorda che questo termine, affermatosi nell’ultimo ventennio del Novecento, alludendo a
un “processo di estensione globale delle relazioni fra gli esseri umani, tale da raggiungere i confini
territoriali e demografici dell’intero pianeta”, comportando così “la fine del sistema vestfaliano degli
Stati sovrani”, p. 391, conduce alla necessaria realizzazione di uno “spazio giuridico globale” (p.
394 – 396), notando, a p. 397, come anche la guerra abbia perso i connotati tradizionali, a tal punto
da far parlare di “processo di transizione dalla guerra moderna alla guerra globale”. E’ possibile
rilevare che il termine “globalizzazione” viene oggi sovente utilizzato in modo non appropriato, dal
momento che se ne parla tanto con riguardo ai traffici internazionali, ed alla conseguente produzione
normativa che si sostanzia in accordi e convenzioni di diritto internazionale pubblico e privato,
quanto al tentativo di dare vita ad una societas universalis. La letteratura sull’impatto che
l’esplosione del fenomeno della globalizzazione ha avuto sul diritto è assai ricca; come è noto, sono
infatti moltissimi i contributi, in gran parte anche molto autorevoli, sulle varie problematiche che
connotano la materia, facendo emergere la stretta ed inevitabile inter-relazione tra i due termini qui
in argomento, come emerge emblematicamente anche dallo stesso titolo dell’intervento di M.J.
BONELL – F. MARRELLA– M.R. FERRARESE – A. ZOPPINI, Un dialogo su globalizzazione e
diritto, in Contr. Impr., 2007, 4-5, p. 1345 ss.
81
M. FRIGO, L’efficacia delle condizioni generali di contratto alla luce delle convenzioni di Roma
e di Vienna, in Condizioni generali di contratto a confronto con le norme comunitarie. Quarta
giornata di studio sul diritto comunitario e comparato, 14 maggio 1993, Verona, 1993, p. 7 ss., nel
ricordare che gli artt. 1341-1342 c.c. rappresentano un tentativo in nuce di accordare maggiore tutela
alla posizione del contraente debole, ne compie un ripensamento nella cornice delle norme di
matrice internazionale (quale la Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni
contrattuali, nonché la Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale dei beni mobili). Nella
Convenzione di Vienna non sono regolate le condizioni generali di contratto, pertanto le parti
possono (ma non sono tenute a) rispettare la norma di cui all’art. 1341 secondo comma c.c.
82
R. CALVO, Precedente extrastatuale e interpretazione del diritto interno, in Contr. e impr. Eur.,
2009, p. 1 ss., nella consapevolezza di una auspicata riforma, di segno ordinante, della materia dei
contratti, di cui già i Principi Unidroit e i Principi di diritto europeo dei contratti costituiscono un
avvio, mette in risalto l’importanza del lavoro svolto dalla giurisprudenza, in particolare quella
extrastatuale, nella direzione dell’armonizzazione. L’argomento coinvolge la contrattazione
asimmetrica se si considera che la normativa codicistica è assai esigua in merito, e il proliferare
delle vicende dei contratti con disparità di potere negoziale, conclusi abitualmente secondo il
28
negoziali si presentano, infatti, estremamente dettagliati ed elaborati, andando
normalmente a disciplinare anche tutto quel novero di vicende e fattispecie che
abitualmente,
se
si
guarda
all’esperienza
negoziale
continentale,
sono
tradizionalmente affidate sempre alle norme contenute nella parte generale83.
Il problema è che attualmente rientra nella parola contratto una serie assai
eterogenea di figure negoziali, a tal punto da non potersi parlare più di contratto al
singolare quanto piuttosto di contratti al plurale. E certamente l’ingerenza del diritto
comunitario non è un fatto trascurabile, dal momento che esso si va ad inserire negli
ordinamenti nazionali proprio mediante la sua presenza tra le fonti del diritto dei
contratti, determinando pesanti modifiche e punti di rottura con il tradizionale
pensiero che si basava sulla non necessità di distinguere tra contratti in base alla
identità economica dei soggetti contraenti nonché sul principio di uguaglianza delle
parti, elementi che costituiscono oggi un’eccezione, nel consueto panorama dei
contratti, dominato essenzialmente da negozi stipulati tra operatori economici
fisiologicamente dotati di un diverso potere negoziale, in virtù della loro differente
incidenza sul mercato (consumatori, imprese/produttori), i quali pertanto si trovano
fin dall’origine in posizione di disparità84.
Questi sono i tratti salienti, in particolare, dei cosiddetti contratti dei consumatori,
materia che trova oggi una ricca disciplina nel testo contenuto nel d. lgs. 6
settembre 2005 n. 206, chiamato, con espressione discutibile, “Codice del
consumo”85. Quanto confluito in tale complesso normativo è il prodotto di una serie
sistema delle condizioni generali di contratto, si accompagna, da un lato, ad una generosa
legislazione di settore, e, dall’altro, alla crescente attività di creazione del diritto, da parte dei
giudici.
83
A. LUMINOSO, Fonti comunitarie, fonti internazionali, fonti nazionali e regole di
interpretazione, in Contr. e impr. Eur., 2009, p. 659 ss., inquadra la problematica della
contrattazione di impresa, alla quale è essenzialmente dovuta la congerie delle nuove fonti del diritto
in materia di contratti, nel più ampio argomento dell’attuale “ordine giuridico interno di segno
comunitario”.
84
In merito alla recente scissione tra contratti civili e contratti d’impresa, in G. GALLI – M.
ERMINI, Appartenenza e utilizzazione. Interessi in conflitto e criteri valutativi, in P. PERLINGIERI
– S. POLIDORI (a cura di), Domenico Rubino. Interesse e rapporti giuridici, Napoli, 2009, p. 145,
nt. 12, ci si chiede retoricamente: “E la scomposizione tra atti civili e contratti d’impresa, in questi
anni più o meno esplicitamente teorizzata, e parzialmente praticata col codice del consumo, non
finisce per cautamente ricondurre all’esperienza della doppia codificazione antecedente il 1942, per
in qualche modo interrompere – piuttosto che sviluppare – il processo di commercializzazione del
diritto privato, con tenacia perseguito da Filippo Vassalli e tuttora (…) considerato il connotato o il
pregio del codice vigente?”.
85
Osserva a tale proposito V. ROPPO, Parte generale del contratto, contratti del consumatore e
contratti asimmetrici, in E. NAVARRETTA (a cura di), Il diritto europeo dei contratti fra parte
generale e norme di settore, Milano, 2007, p. 296, che “non c’è dubbio che per un verso questi
codici (e fra essi il codice del consumo), nel momento in cui raccolgono e organizzano entro una
cornice unitaria norme prima disperse in tanti diversi luoghi della legislazione, esprimono in
generale un certo recupero di “pensiero sistematico”, introducendo elementi di ordine e di unità in
29
di interventi compiuti in sede comunitaria al fine di dare una disciplina uniforme
alla materia, al fine di attuare quella libertà di circolazione di merci che costituisce
uno degli scopi della stessa Unione europea, e ciò mediante una serie di direttive
che sono state recepite dai vari Paesi membri ed il cui contenuto si è, quindi,
inserito nel panorama delle fonti del diritto interno. La trasposizione di questi
interventi normativi comunitari ha comportato, in prima battuta, l’inserimento
all’interno del Libro IV Titolo II del nostro Codice civile del Capo XIV-bis
intitolato “Dei contratti del consumatore”86, materia successivamente uscita dal
luogo del Codice del 1942 e confluita in una sede dedicata esclusivamente ad essa,
il Codice del Consumo. Riservandoci di trattare tra breve la diversa accezione in cui
la parola “codice” viene impiegata nei due suddescritti contesti, intanto osserviamo
come i contratti del consumatore costituiscano il luogo d’elezione per l’esame della
posizione del contraente debole nonché della tutela ad esso accordata
dall’ordinamento. Nell’impianto codicistico tradizionale, per la verità, la tutela del
contraente debole è prevista in sede di predisposizione unilaterale del contenuto del
contratto ad opera di una delle parti, mediante le disposizioni di cui agli artt. 13411342 c.c87. Lo strumento si è rivelato tuttavia avere scarsa efficacia, dal momento
un panorama normativo prima contrassegnato da frammentazione e disordine: fanno insomma
qualcosa che appartiene al proprium delle codificazioni”. Questa impostazione non ci pare
condivisibile in quanto riteniamo che la Codificazione del 1942 sia contraddistinta dal requisito
della sistematicità, con il quale non è da confondere il tratto dell’organicità che invece è proprio del
Codice del Consumo. Peraltro, contra la possibilità di attribuire il significato tecnico della parola
“codice” all’interno dell’espressione “codice del consumo” cfr. R. CLARIZIA, Codice del Consumo
e contratti di finanziamento, in Scritti in onore di Nicolò Lipari, Milano, 2008, I, p. 430, il quale
afferma che il Codice del Consumo è in realtà un “non Codice del consumo”, dal momento che “non
è innovativo, non è completo, non è sistematico”. Non innovativo, “perché non fa altro che
raccogliere in un unico corpo normativo le varie disposizioni legislative presenti nell’ordinamento,
senza aggiungere o creare nuovi principi”. Non completo, poiché “talune situazioni sono ancora (o
anche) disciplinate fuori dal Codice”, quale “la responsabilità del produttore per il danno cagionato
da difetti del suo prodotto, a prescindere dalla natura di consumatore di chi lo usa”, per cui il
soggetto non consumatore dovrà invocare l’applicazione dell’art. 2043 cod. civ.; non sistematico
perché “la stessa nozione di consumatore si presenta diversamente definita nell’art. 3, nell’art. 5 e
nell’art. 18 Cod. cons.”.
86
Fenomeno, questo, che è stato autorevolmente letto quale gesto attraverso cui la tutela del
consumatore è assurta a principio generale del contratto, come osserva C.M. BIANCA, Diritto
civile. Il contratto, cit., p. 394.
87
Nel contesto contemporaneo, la contrattazione di carattere commerciale si svolge invece quasi
esclusivamente mediante il ricorso a moduli e formulari, dando luogo perciò ad una sostanziale
diversità della posizione e dell’ingerenza dei soggetti contraenti in sede di formazione dell’accordo,
cosa che viene autorevolmente considerata responsabile del venir meno di quella vocazione
comunicativa e dialogica che è propria del contratto, inteso secondo la tradizionale dinamica della
contrattazione stessa che trova il suo fulcro nella Codificazione del 1942. Sul punto N. IRTI, Norma
e luoghi. Problemi di geo-diritto, cit., nel trattare l’argomento degli “scambi senza accordo”, p. 109:
“La parte, che adotta moduli e formulari, rifiuta e nega il dialogo. (…) L’aderire non è un risultato
dialogico”. Ciò determina uno spostamento del piano sul quale opera la garanzia approntata
dall’ordinamento per i soggetti contraenti: le norme di protezione non sono più incardinate sui
requisiti dell’accordo, quanto piuttosto, p. 126, sulla “qualità della cosa” e sulla “consapevolezza
30
che si fonda esclusivamente sulla prescrizione di un requisito formale, quale la
necessaria approvazione per iscritto delle clausole “pregiudizievoli”, cosa che molto
agevolmente il contraente forte è sempre riuscito ad ottenere dalla parte debole,
essendo sufficiente da parte di quest’ultimo l’apposizione di un paio di firme sul
modulo prestampato. Contestualmente al moltiplicarsi dei rapporti economici e
negoziali fondati sulla disparità di posizione tra le parti contraenti, ora aventi
peraltro dimensione transnazionale, si è reso indispensabile approntare una tutela
sicura del contraente debole sia nell’iter che culmina con la conclusione del
contratto, sia in sede di esecuzione del rapporto.
Il Codice del consumo, nel costituire una concreta risposta a questa esigenza, si
presenta come un impianto normativo destinato ad essere sostanzialmente
autonomo dalle disposizioni del Codice civile, le quali sembrano sopravvivere in
posizione secondaria88. In materia contrattuale, per la prima volta, si può dire, si
assiste alla delimitazione dell’ambito di applicazione di una legge sulla base di
presupposti di carattere soggettivo che, come abbiamo già anticipato, vengono fatti
derivare dalla qualità delle parti. Lo stesso art. 3 Cod. cons., ispirandosi
chiaramente alla prassi negoziale anglo-sassone, definisce subito il significato che il
termine “consumatore” assume agli effetti e per l’applicabilità di questo testo
legislativo89.
informativa della scelta”. La categoria della spazialità del diritto conosce, nel tempo attuale, una
profonda crisi, dal momento che, come osserva N. IRTI, Le categorie giuridiche della
globalizzazione, in Riv. Dir. civ., 2002, I, p. 626, per un verso, “il diritto ha, e non può non avere,
una forma spaziale” e, per altro verso, p. 627, la sovranità e la proprietà sono due dei concetti
fondamentali costruiti attorno alla esclusività che si risolve “in un perentorio e ineludibile aut-aut. O
la sovranità di uno Stato o la sovranità di un altro. Sulla stessa terra non possono esistere, nel
medesimo tempo, né due sovranità né due proprietà”, tuttavia gli affari dell’economia globale si
svolgono in “un non-luogo astratto ed artificiale” (p. 629), con la conseguenza per cui, nella presente
stagione, le stesse categorie di spazio e di tempo subiscono una alterazione dei loro connotati tipici e
tradizionali, o, per dirla in modo non ostile, conoscono una metamorfosi. Sul punto cfr. anche A.
BALDASSARRE, Globalizzazione contro democrazia, Roma-Bari, 2002, il quale, a p. 12, osserva
che “lo spazio cibernetico viene comunemente definito come uno spazio artificiale nel quale si
produce l’azzeramento della distanza e l’annullamento della durata”.
88
Sembra essere una prassi invalsa in tempi assai recenti quella di elaborare testi normativi di
settore attribuendo ad essi la denominazione di “codice”. Il “Codice del Consumo” si inserisce
pertanto all’interno di un giovane ma florido filone al quale appartengono: il Codice di protezione
dei dati personali (d. lgs. 30 giugno 2003 n. 196); il Codice dei beni culturali (d. lgs. 22 gennaio
2004 n. 42); il Codice della proprietà industriale (d. lgs. 10 febbraio 2005 n. 30); il Codice delle
assicurazioni private (d. lgs. 7 settembre 2005 n. 209); il Codice dell’amministrazione digitale (d.
lgs. 7 marzo 2005 n. 82); il Codice dell’ambiente (d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152); il Codice dei
contratti pubblici (d. lgs. 12 aprile 2006 n. 163).
89
C. DALIA, Le nozioni di consumatore e il valore della dichiarazione di agire per finalità di
consumo, in Giur. merito, 2009, 6, p. 1733 ss., in cui, nel fornire una disamina delle varie nozioni di
consumatore presenti nel Codice del consumo (sull’argomento si veda infra cap. 3), pone l’accento
sul criterio al quale si è fatto ricorso all’art. 3 cod. cons., relativo alla estraneità dello scopo rispetto
all’attività esercitata, al fine di qualificare in termini di consumatore la controparte dell’impresa.
31
Certamente, si è ravvisata nel Codice del consumo la potenzialità a disciplinare in
modo completo ed omogeneo il fenomeno qui in esame, quasi con la pretesa di
voler fare di esso un corpus autonomo di regole90. Una tale considerazione deriva
dall’esame del tenore stesso del testo, in cui all’art. 2 sono stati elencati
espressamente i diritti fondamentali riconosciuti ai consumatori e che la legge ha lo
scopo di tutelare91. In aggiunta a ciò, basti pensare all’impiego del termine “codice”
per un insieme di regole che, né per il loro luogo di formazione né per l’ampiezza
della materia trattata né tanto meno per il significato e per la valenza in chiave
ideologico-sociale dei principi in esse espressi, può minimamente essere
apparentato alla Codificazione del 1942. Il Codice civile, nella sua trattazione in
modo sistematico dell’intera materia del diritto dei privati, costituisce una forma
storica di legislazione nonché la pietra miliare di un’epoca in cui l’elaborazione di
regole e principi ha conosciuto il sostegno (ed ha costituito la più alta forma di
espressione) di valori ideologici, rispetto ai quali l’esigenza di disciplinare le
vicende mercantili si è collocata come una delle ragioni ispiratrici della legge e non
come la prevalente, o meglio, l’unica, motivazione sulla base della quale produrre il
diritto92. Codice pertanto significa tradizionalmente sistema, corpus di regole volte
a disciplinare, in ossequio ai principi di certezza ed uguaglianza del diritto, in modo
completo ed organizzato, un’ampia materia, quale nello specifico quella del diritto
civile, mediante la previsione di una serie di istituti afferenti alle varie vicende della
vita dei soggetti privati, intrecciati con l’enunciazione di (o con l’implicito
riferimento a) principi di carattere generale93. Ebbene, al Codice del consumo,
Tale circostanza implica che assume rilevanza giuridica la dichiarazione dell’aderente di agire per
una determinata finalità, in quanto vale a qualificare la sua posizione, ai fini dell’applicabilità delle
previsioni legislative di cui al codice del consumo.
90
F.D. BUSNELLI, La faticosa evoluzione dei principi europei tra scienza e giurisprudenza
nell’incessante dialogo con i diritti nazionali, in Riv. dir. civ., 2009, 3, p. 293-295, rileva come, se,
da un lato, si è opportunamente osservato che la disciplina del consumatore è stata dettata a garanzia
delle esigenze del mercato, dall’altro, non è possibile escludere che a livello comunitario si arrivi a
detenere un netto controllo sull’autonomia privata in senso generale, pertanto oltre l’ambito dei
consumi, e ciò attraverso gli interventi in materia di giustizia contrattuale.
91
D. AMOROSO, I rinvii al diritto comunitario ed internazionale nelle recenti codificazioni di
settore, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2008, 4, p. 1029 ss., ricordando che la legge 29 luglio 2003 n.
229 ha introdotto la forma dei decreti legislativi chiamati “codici” volti al riassetto delle regole
vigenti in determinate materie di settore, pone in risalto il problema della conciliabilità di questi con
le norme di parte generale, nonché dell’inquadramento dei primi nell’ambito costituzionale di
riferimento. In materia di diritti fondamentali di cui all’art. 2 cod. cons. il rinvio agli artt. 2 e 3 della
Costituzione appare pacifico.
92
G. GANDOLFI, Per l’assetto normativo del mercato interno europeo: proposte e prospettive, in
Riv. dir. civ., 2003, I, p. 395 ss., effettua una succinta lettura degli strumenti normativi del mercato
interno alla luce degli obiettivi e degli interessi economici ad essi sottesi.
93
Sul punto N. IRTI, Codice civile e società politica, Roma - Bari, 2007, p. 74, in merito al binomio
“consolidazioni – codificazioni”, affermando che “la consolidazione raccoglie e semplifica un
32
proprio per il suo limitato raggio d’azione (esclusivamente la materia dei
consumatori), non può essere attribuito il medesimo significato, quanto piuttosto
quello di tentativo, opinabilmente ben riuscito, di elaborazione di un insieme di
regole volte a disciplinare in modo organico, uniforme, settoriale e dettagliato, uno
specifico e ristretto fenomeno del diritto civile94.
Di qui, il problema di stabilire i rapporti tra codice civile e norme di settore, nodo
che in un primo momento si è tentato di sciogliere, come detto e come diremo più
diffusamente infra, sulla base del criterio di specialità, ma che in seguito ha
mostrato
la
sua
fallacia
sul
piano
operativo,
a
favore
del
criterio
dell’armonizzazione, oggi maggiormente condiviso95.
4. Tradizionalmente, ciascun Paese, sia quelli di matrice legislativa sia quelli a
vocazione giurisprudenziale, rintraccia nell’ordinamento interno i principi generali
in materia di contratti. Tuttavia, il radicale stravolgimento del teatro economico
mondiale, con l’incessante processo di integrazione dei mercati ed il moltiplicarsi
dei rapporti commerciali transfrontalieri, i quali sono soggetti ai singoli diritti
nazionali, sta rivelando la carenza e l’inadeguatezza di questi ultimi ad intervenire
in un tale contesto. Su queste premesse si fonda l’iniziativa, da parte
dell’organizzazione intergovernativa indipendente UNIDROIT96, di elaborare un
tessuto di “Principi dei contratti commerciali internazionali”, al fine di contribuire a
quel processo di armonizzazione e di coordinamento del diritto privato tra gli Stati,
che costituisce lo scopo principale dell’organizzazione stessa. I lavori preparatori si
sono rivelati ardui, soprattutto in considerazione del fatto per cui i singoli diritti
materiale dato”, ricorda che il codice, al contrario, “non raduna e ordina antiche leggi, ma è esso
stesso (…) una legge nuova, un sistema di diritto nuovo”, laddove il sistema riguarda l’intera
materia dei rapporti tra privati e non un mero settore.
94
Sulla organicità delle ricodificazioni di settore, contra, L. ROSSI CARLEO, Diritto
comunitario,“legislazione speciale” e “codici di settore”, cit., p. 20, la quale osserva che “una
rapida panoramica dei codici di settore rende evidente la mancanza di un disegno organico teso a
imporre una modalità specifica di riaggregazione”.
95
Ciò avviene malgrado le difficoltà a concepire tale compenetrazione tra ordinamenti (a livello
delle regole che assurgono a disciplina interna di determinati rapporti intersoggettivi) siano state
molte volte poste in evidenza. R.G. FENTIMAN, Il problema dell’armonizzazione nell’ottica di un
internazionalprivatista, in P. STEIN (a cura di), Incontro di studio su Il futuro Codice europeo dei
contratti, Pavia, 20-21 ottobre 1990, Milano, 1993, p. 125 ss., nel farsi portavoce degli ambienti di
common law, esprime la sua apprensione verso l’arduo compito di conciliare le diversità di ordine
politico e ideologico, invitando, al contempo, a domandarsi se non siano sufficienti le Convenzioni
di Roma del 1980 sulle obbligazioni contrattuali e di Bruxelles del 1968 sulla giurisdizione e
l’esecuzione delle sentenze in tutta l’Unione europea affinché le contrattazioni transnazionali
possano svolgersi sulla base di regole comuni.
96
W. RODINO’, v. Unidroit, in Digesto. Disc. Priv., sez. civ., Agg., Torino, 2000, p. 742 ss., ci
fornisce una sintetica ma al contempo esaustiva descrizione dell’Istituto e delle finalità per le quali
esso è sorto.
33
nazionali, pur avendo una ancestrale matrice comune, che si rintraccia nel diritto
romano, non soltanto sono suscettibili di differenziarsi notevolmente nei loro
contenuti, ma risultano talvolta anche inidonei a disciplinare il complesso novero di
situazioni che si presentano nel commercio internazionale. Del resto, si è rivelato
indispensabile porre rimedio alla diversità di disciplina a cui i contratti commerciali
internazionali rimangono sottoposti, se la legge ad essi applicabile rimane
esclusivamente quella individuata in virtù delle consuete regole di diritto
internazionale privato97. Con la conseguenza per cui dalla esistenza stessa dei
diversi diritti nazionali chiamati a disciplinare contratti internazionali si ingenera un
conflitto di leggi, per cui per ogni singolo contratto internazionale è necessario,
sempre secondo le regole del diritto internazionale privato, individuare quello, tra i
vari diritti nazionali che presentano un qualche collegamento con il contratto e con
il rapporto negoziale che da esso prende vita, che risulterà maggiormente idoneo ad
essere applicato in concreto98. Ne consegue però che le parti contraenti sono, in tale
modo, enormemente esposte al rischio di non conoscere con certezza quale sia il
diritto applicabile al loro contratto fino al momento in cui venga fissato il foro
competente, ed anche in quest’ultimo caso, a seconda delle regole di conflitto in
vigore presso il territorio al quale il foro adito appartiene, lo stesso contratto può
essere sottoposto al diritto di uno Stato o di un altro, senza tralasciare la tendenza
dei giudici ad applicare il diritto sostanziale interno a preferenza di quello
straniero99. Si è cercato, molti anni or sono, di ovviare al problema generale delle
incertezze derivanti dalla coesistenza dei diversi ordinamenti nazionali, mediante
l’adozione di convenzioni internazionali tanto di diritto internazionale privato
Sul punto cfr. M.J. BONELL, Comparazione giuridica e unificazione del diritto, in G. ALPA –
M.J. BONELL – D. CORAPI – L. MOCCIA – V. ZENO-ZENCOVICH – A. ZOPPINI, Diritto
privato comparato, Roma-Bari, 2008, p. 3 ss.
98
A. GARDELLA, Regolamento CE n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17
giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (“Roma I”), in Nuove leggi civ.
comm., 2009, 3-4, p. 611 ss., rileva come l’autonomia privata, tra le sue tante accezioni,
ricomprenda in sé anche la facoltà, in capo alle parti contraenti, di scegliere la legge applicabile al
contratto, e di ciò si tiene conto nella Convenzione di Roma sulle obbligazioni contrattuali.
99
S. PATTI, La globalizzazione del diritto e il contratto, in Obbl. contr., 2009, 6, p. 497, pone in
risalto l’importanza della Convenzione di Vienna in quanto essa ha permesso di superare alcuni tra i
maggiori problemi in sede di contrattazione internazionale, con riguardo al diritto applicabile
all’operazione economica. L’Autore rintraccia le differenze tra il contratto nazionale e il contratto
globalizzato, ricordando che tale diversità è maggiormente avvertita negli ordinamenti di civil law in
quanto in essi la disciplina del primo è affidata alla codificazione, contrariamente a quanto avviene
nei Paesi di common law, approdando alla conclusione secondo cui “il diritto globalizzato, inteso nel
suo significato più ampio, piega quindi il diritto nazionale e impone regole che trovano applicazione
in tutto il mondo” (p. 498).
97
34
quanto di diritto sostanziale100. Tuttavia il diritto internazionale privato pattizio
necessita della ratifica da parte dei vari Paesi, e ciò non sempre è avvenuto, né tanto
meno tempestivamente: vi sono, infatti, moltissime convenzioni che non sono mai
entrate in vigore, proprio a causa della mancanza del numero necessario di
ratifiche101. La scelta della convenzione internazionale quale strumento attraverso
cui attuare il coordinamento delle legislazioni interne non si dimostra oggi la più
conveniente, anche considerando il carattere frammentario che è proprio dei testi
delle convenzioni, in cui ci si limita a disciplinare esclusivamente gli effetti che
scaturiscono dal tipo di contratto di volta in volta regolato o, addirittura, talvolta
soltanto il regime di responsabilità a cui è sottoposta una sola delle parti102. Basti
pensare che anche la Convenzione di Vienna presenta alcune lacune concernenti, in
particolare, la validità del contratto, il regime del trasferimento della proprietà delle
merci vendute, il ricorso alle condizioni generali di contratto da parte di uno dei
soggetti contraenti o di entrambi103. Inoltre, una volta entrate negli ordinamenti dei
diversi Paesi che le recepiscono, esse sono soggette all’interpretazione dei giudici
nazionali, che, con grandissima probabilità, è suscettibile di variare da Paese a
P. VINCI, La “modernizzazione” della Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle
obbligazioni contrattuali: la scelta del diritto applicabile, in Contr. e impr., 2007, 4-5, p. 1235, si
sofferma sul problema del significato da attribuire alla “legge applicabile”, dal momento che il
proliferare delle fonti di produzione del diritto, di carattere statuale ed extrastatuale, implica che ci si
chieda se si debbano in essa ricomprendere soltanto le leggi degli Stati, o piuttosto anche la lex
mercatoria. La questione è controversa e ruota attorno alla qualificazione che si intende dare alla lex
mercatoria. L’opinione prevalente, alla quale aderisce anche l’Autore, propende per l’opzione
negativa.
101
M.J. BONELL, Il dirittto europeo dei contratti e gli sviluppi del diritto contrattuale a livello
internazionale, in Eur. dir. priv., 2007, 3, p. 624 ss., osserva come i Principi Unidroit abbiano
ispirato alcuni legislatori nazionali, quali la Germania, l’Estonia e la Lituania, in sede di riforma del
diritto contrattuale domestico, ed abbiano contribuito notevolmente al processo di armonizzazione in
atto a livello internazionale.
102
C.M. BIANCA, L’obbligazione nelle prospettive di codificazione europea e di riforma del codice
civile, in Riv. dir. civ., 2006, 6, p. 59 ss., osserva che tanto nei Principi Unidroit quanto nei
Principles of European Contract Law elaborati dalla Commissione Lando manca una parte dedicata
all’obbligazione, pur avendo queste raccolte di Principi ad oggetto essenzialmente rapporti
obbligatori. La ragione è probabilmente da ravvisarsi nella circostanza per cui manca negli
ordinamenti di common law una nozione di obbligazione avente carattere generale. La conseguenza
è quella di una profonda frattura rispetto all’impostazione del nostro codice civile. Il rifiuto per una
parte generale dell’obbligazione è stato sostanzialmente accolto anche a livello comunitario, se si
pensa che nelle varie Direttive che compongono l’acquis communautaire, aventi in effetti ad oggetto
obbligazioni, si sceglie di non seguire la via della generalizzazione delle regole che invece è propria
della tensione verso la costruzione di una categoria generale, come emerge dallo stesso nostro
codice civile (in particolare, nella Direttiva 2000/35/CE in materia di ritardi di pagamento nelle
transazioni commerciali si fa riferimento al debito, ai soggetti debitori e creditori, alla mora, agli
interessi, senza tuttavia voler prevedere la categoria generale dell’obbligazione pecuniaria).
103
R. ZIMMERMANN, Lo ius commune e i Principi di diritto europeo dei contratti: rivisitazione
moderna di un’antica idea, in Contr. e impr. Eur., 2009, 1, p. 127-128, rileva come la Convenzione
delle Nazioni Unite sulla vendita internazionale dei beni mobili si fondi essenzialmente sulle leggi
uniformi in materia, riconoscendo la grande influenza che essa ha avuto sulla Direttiva comunitaria
in materia di vendita di beni di consumo.
100
35
Paese; accadendo anche che le lacune della Convenzione vengano colmate
mediante il ricorso ai principi e alle regole presenti nei diritti interni104.
Da queste premesse ha tratto origine l’idea di elaborare un testo contenente i
Principi generali di riferimento per i contratti commerciali internazionali, i cui
lavori sono culminati in una prima edizione, quella del 1994, e successivamente una
seconda, quella del 2004, sull’onda del grande successo ottenuto dalla prima105.
Trattandosi di un lavoro all’insegna dell’armonizzazione del diritto, il criterio
seguito in sede di elaborazione dei Principi è consistito nel rintracciare quegli
istituti ed elementi della materia dei contratti che fossero noti alle varie legislazioni
nazionali e, in assenza di questi, nel formulare regole comuni ricavabili dagli
orientamenti della giurisprudenza dei vari Paesi106. Ciò in quanto lo scopo che si
sono prefissi i Compilatori dei Principi Unidroit è stato proprio l’individuazione,
attraverso lo studio dei vari sistemi giuridici, di una serie di regole che siano
comuni alla maggior parte di essi, tuttavia non limitandosi meramente
104
La disciplina contenuta nella Convenzione di Vienna del 1980, nel costituire parte integrante del
nostro sistema normativo civilistico, si connota, sul piano sostanziale, per il suo contenuto di chiaro
respiro internazional-privatistico, in cui si concretizza l’intento di approntare una legge di diritto
uniforme, idonea a produrre i propri effetti esclusivamente nei Paesi che abbiano proceduto a
compiere la ratifica. Tale Convenzione è stata ratificata in Italia con la legge 11 dicembre 1985 n.
765. Per una trattazione accurata dell’argomento cfr. per tutti E.G. BAGNASCO, La vendita interna
e internazionale, Padova, 2006. Inoltre, sulle su accennate specificità e carenze della Convenzione
di Vienna cfr. F. PADOVINI, La vendita internazionale dalle Convenzioni dell’Aja alla
Convenzione di Vienna, in Riv. Dir. int. Priv. Proc., 1987, p. 47. L’iter attraverso cui si è dato
ingresso a questa Convenzione di diritto uniforme negli altri Paesi di civil law aderenti ha avuto
luogo non senza sollecitare dibattiti e momenti critici che hanno influenzato la materia della
circolazione dei beni mobili fino ai giorni nostri. Sul punto cfr. C. MONFORT, A la recherche d’une
notion de conformité contractuelle. Etude comparée de la Convention de Vienne, de la directive
1999/44 et de certaines transpositions nationales, in Eur. Rev. Pr. Law, 2006, p. 487.
105
M.J. BONELL, I Principi Unidroit quale fonte di ispirazione per le corti inglesi?, in Eur. dir.
priv., 2006, 4, p. 1319 ss., prende in considerazione l’argomento dell’influenza del diritto straniero
sulla interpretazione del diritto interno da parte dei giudici. Pur riconoscendo un sostanziale
atteggiamento di sfavore da parte dei giudici verso l’apertura a modelli stranieri per l’interpretazione
delle regole domestiche, sottolinea tuttavia che in Inghilterra si registra una tendenza al richiamo ai
Principi Unidroit ed alla Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili per
l’interpretazione delle regole interne, ricordando una significativa pronuncia della Court of Appeal.
106
G. MUSOLINO, La disciplina dell’appalto fra Principi Unidroit e lex mercatoria, in Riv. trim.
app., 2006, 2, p. 317 ss., nell’osservare che il contratto internazionale di appalto può essere
disciplinato anche da regole di fonte privata, o anche redatto mediante il ricorso a modelli standard
quali gli schemi di condizioni generali di contratto elaborati dalle associazioni professionali
internazionali, inquadra nel fenomeno della “produzione spontanea di norme” che si verifica a
livello del commercio internazionale (p. 319) una sorta di alternativa alle categorie con le quali si
misurano i legislatori nazionali. In tale contesto, i Principi Unidroit trovano la loro applicazione in
quanto regole comuni ad ogni contratto, che si vanno a collocare nel terreno della cosiddetta soft
law, con elementi di analogia ed aspetti di diversità rispetto al modo in cui gli schemi negoziali sono
regolati nelle varie leggi nazionali. Basti pensare che la causa del contratto di appalto, espressamente
enunciata all’art. 1655 c.c. italiano, non trova invece spazio nei Principi Unidroit, dal momento che
in essi manca ogni previsione espressa della causa negoziale. Non bisogna tuttavia trascurare che i
Principi Unidroit vincolano le parti contraenti soltanto nei limiti in cui non si pongano in contrasto
con le norme imperative della lex contractus che è quella legge nazionale che viene individuata
facendo ricorso ai criteri di collegamento che sono propri del diritto internazionale privato.
36
all’estrapolazione di quelle regole che fossero presenti nella maggior parte di essi,
quanto piuttosto aspirando a selezionare quelle soluzioni che sembrassero
maggiormente idonee a rispondere affermativamente alle esigenze del commercio
internazionale, trattandosi di Principi destinati a divenire effettivi tra gli operatori
del commercio internazionale facenti parte dei diversi Paesi e sistemi giuridici del
mondo107. Pertanto si è cercato, per un verso, di tenere conto dell’impostazione
della materia contrattuale che si riscontra nelle Codificazioni moderne, ma, per altro
verso, di tenere sempre a mente che i destinatari di tali Principi sono i protagonisti
stessi della scena commerciale mondiale, con le loro concrete esigenze108. Di
conseguenza, ogni qualvolta si è posto il problema di selezionare una soluzione tra
due o più opzioni contrastanti, non è stato seguito il criterio fondato sulla scelta
della regola che fosse osservata nella maggioranza degli ordinamenti nazionali; ci si
è piuttosto attenuti al maggior grado di idoneità della regola a disciplinare in
concreto i rapporti economici internazionali, in quanto ritenuta preferibile per il
soddisfacimento delle concrete esigenze.
Certamente, i Principi Unidroit, che di per sé non hanno valenza di legge109, sono
nati in un contesto nettamente diverso da quello in cui vengono ad esistenza le leggi
volte a governare i fenomeni del commercio internazionale, dal momento che tali
Principi, essendo il risultato finale di un lungo e complesso lavoro compiuto da un
Gruppo di natura scientifica, hanno conosciuto la loro origine in un ambiente, per
così dire, al riparo da qualsiasi ingerenza di carattere politico, nonché in luoghi
lontani da quelli in cui le lobbies esercitano attualmente il loro potere110. Le stesse
querelles che sono sorte all’interno del gruppo sono di carattere prettamente
107
P. MENGOZZI, La tendenza del diritto comunitario a evolversi in senso sempre più
personalistico e la disciplina generale dei servizi di interesse economico generale, in Contr. e impr.
Eur., 2009, 1, p. 304 ss., pur soffermandosi sull’ambito strettamente comunitario, e con riguardo ad
un argomento ben circoscritto, non manca tuttavia di evidenziare come l’armonizzazione giuridica
sia l’unica via da percorrere per rendere omogenee situazioni che altrimenti incontrerebbero i limiti
della normazione o a-normazione statale.
108
R. PENNAZIO, La dottrina del fondamento negoziale nel diritto giudiziale europeo, in Contr. e
impr. Eur., 2009, 1, p. 391 ss., seppure in un discorso che spazia entro confini squisitamente
europei, evidenzia quell’attenzione, che è propria del legislatore comunitario ma anche delle Corti,
alle esigenze concrete che sono le linee guida della fattispecie che necessita di essere disciplinata.
109
P. MENGOZZI, Il DCFR, il Manifesto sulla giustizia sociale nel diritto europeo dei contratti e la
giurisprudenza comunitaria, in Contr. e impr. Eur., 2009, 1, p. 523 ss., evidenzia come l’intento del
DCFR sia quello di non limitarsi ad assicurare la libera concorrenza nel mercato, quanto piuttosto di
promuovere una “giustizia correttiva”che orienti le contrattazioni. Malgrado il DCFR possa essere,
per certi aspetti, considerato, a livello europeo, una sorta di alter ego dei Principi Unidroit, ad avviso
di chi scrive, questa impostazione, peraltro difficilmente condivisibile, che ha riguardo al DCFR,
non pare possa essere estesa anche agli stessi Principi.
110
Contro questa attuale tendenza, si avverte l’esigenza del recupero del ruolo del diritto nella sua
specificità, che, come ricorda P. GROSSI, Oltre il soggettivismo giuridico moderno, in Studi in
onore di Nicolò Lipari, cit., I, p. 1231, “non è di controllare ma di ordinare il sociale”.
37
accademico, sostanziandosi in dotte dispute tra la “fazione” dei “tradizionalisti”, i
quali si sono mostrati più propensi, in sede di formulazione dei Principi, ad attenersi
ai principi consolidatisi nel corso del tempo all’interno della materia dei contratti e
facenti parte degli ordinamenti nazionali, e il gruppo degli “innovatori”, che ha al
contrario accolto benevolmente le regole derivanti dall’attività di adattamento delle
norme ai casi concreti, compiuta instancabilmente dalla giurisprudenza. In ogni
caso, al di là dell’ambiente nel quale i Principi sono maturati, si può affermare che
il risultato ultimo sia stato un equilibrato bilanciamento delle suddette posizioni111.
Lo scopo dei Principi Unidroit, abbiamo già detto, consiste proprio nella
enunciazione di una serie di regole generali in materia di contratti commerciali
internazionali, con l’intento di dare una efficace risposta all’esigenza di
armonizzazione che si avverte nel panorama della disciplina dei contratti,
approntando uno strumento sufficientemente flessibile112 da potersi adattare ai
continui mutamenti di segno economico e tecnologico che si verificano sulla scena
del commercio mondiale, assicurando al contempo la correttezza nello svolgimento
delle relazioni commerciali internazionali113. Questi Principi possono, dunque,
essere richiamati dalle parti contraenti, nell’esercizio della loro autonomia
negoziale, esclusivamente all’interno di un contratto “internazionale”. Ciò in quanto
essi stessi mirano ad intervenire al fine di ovviare ai conflitti di applicabilità tra i
vari diritti nazionali, conflitti che si verificano esclusivamente laddove un
determinato rapporto negoziale presenti elementi di collegamento con più Stati, e ci
si trovi in mancanza di una disciplina uniforme o la disciplina uniforme
111
Per quanto concerne i possibili ambiti di operatività dei Principi Unidroit, M.J. BONELL - E.
FINAZZI AGRO’, Rassegna giurisprudenziale sui Principi Unidroit dei contratti commerciali
internazionali, in Dir. comm. int., 2007, 2, p. 413 ss., ne evidenziano i profili applicativi, ove è
interessante notare come, in particolare, all’interno di una controversia tra Onu e una società
europea, derivante da un contratto per la fornitura di merci, in assenza di pattuizione contrattuale
sulla scelta della legge applicabile, è stata convenuta, in sede arbitrale, l’applicazione della
Convenzione di Vienna del 1980 (CISG) e dei Principi Unidroit.
112
La flessibilità dei Principi Unidroit è resa possibile soprattutto per l’ampio margine di operatività
che in essi viene accordato agli usi. Nei Principi viene infatti conferita una posizione di assoluta
centralità agli usi ed alle pratiche del commercio internazionale quali fonti per la determinazione del
complesso novero di diritti ed obblighi che per le parti deriva dalla conclusione del contratto.
113
E. DI MEO – R. PELEGGI, Principi Unidroit dei contratti commerciali internazionali (2004),
Principi di diritto europeo dei contratti e (Progetto di un) quadro comune di riferimento: una tavola
sinottica, in Dir. comm. int., 2009, p. 207 ss., in un’ottica di comparazione, nel raffrontare i Principi
Unidroit con il DCFR, rintracciano molteplici punti di contatto, quali le regole in materia di libertà
di forma, del venire contra factum proprium, della formazione dell’accordo, dell’impiego di
clausole standard, nonché in materia di interpretazione, di equilibrio contrattuale, di
inadempimento, non rinunciando tuttavia a mettere in risalto innumerevoli discrepanze di carattere
tecnico, ed anche di carattere sostanziale, dal momento che è diverso l’ambito di applicazione.
38
eventualmente applicabile ponga problemi interpretativi o presenti delle lacune114.
Inoltre, l’autonomia contrattuale acquista una maggiore ampiezza in sede di
contrattazione internazionale in quanto gli Stati, che sono soliti dettare una
disciplina interna dei contratti assai dettagliata, tendono invece nel contesto
internazionale ad accordare più libertà alle parti di regolare esse stesse i vari aspetti
del rapporto che derivano in concreto dalla negoziazione, malgrado questa diversità
tra contratti interni e contratti internazionali sia senza dubbio maggiormente
ravvisabile nei Paesi ex socialisti dell’Europa orientale, piuttosto che nei Paesi
fondati sull’economia di mercato, quale il nostro. Tuttavia, se ben osserviamo,
possiamo rilevare che anche nel nostro ordinamento sussiste una, seppur lieve,
differenza tra le due dimensioni della contrattazione appena richiamate. Basti
pensare all’atteggiamento tenuto dai giudici italiani con riguardo alle garanzie
bancarie indipendenti115.
Limitandoci qui a ripercorrere esclusivamente i tratti salienti dell’iter che ha portato
alla genesi dei Principi Unidroit e ad accennare in estrema sintesi le loro specificità,
riteniamo tuttavia opportuno soffermarci, seppur brevemente, sul principio della
libertà contrattuale che incontriamo nella formulazione dell’art. 1.1 dei Principi, in
quanto, al di là del mero approccio testuale che, facendo risultare la regola assai
familiare al giurista avvezzo ad operare nei sistemi fondati sulle Codificazioni,
appare estremamente peculiare, se si considera che l’ambito di applicabilità dei
Principi Unidroit è limitato ai contratti internazionali conclusi tra soggetti che
operano entrambi nell’esercizio della propria professione. Pertanto, se libertà
contrattuale significa possibilità di scegliere senza alcun vincolo il soggetto o i
soggetti con i quali concludere un contratto, senza tenere conto né dello status
giuridico né della nazionalità di questi, allora questa accezione della libertà
114
M.J. BONELL, I Principi Unidroit 2004: una nuova edizione dei Principi Unidroit dei contratti
commerciali internazionali, in Dir. comm. int., 2004, 3, p. 561 ss., nel fornire un approccio critico
alla nuova edizione dei Principi, si sofferma sull’ambito di applicabilità, chiarendo che laddove le
parti richiamino espressamente i Principi Unidroit come legge regolatrice del contratto allora le
disposizioni in essi contenute prevarranno su qualsiasi altro regime, domestico o internazionale.
Laddove, al contrario, i principi vincolino le parti in qualità di semplici clausole contrattualmente
stipulate, anche le disposizioni in essi contenute saranno vincolanti soltanto sul presupposto della
non contrarietà con le norme del diritto applicabile alle quali le parti non possono derogare. La
riflessione viene condotta, in modo particolare, con riguardo all’istituto della prescrizione, che trova
una sua disciplina espressa all’interno dei Principi.
115
Sull’argomento delle modalità di elaborazione delle varie fonti del diritto uniforme in generale,
M.J. BONELL, v. Unificazione del diritto internazionale, in Enc.dir., XLV, Milano, 1992, p. 729,
osserva come “sarebbe più corretto parlare di vera e propria invenzione di modelli, visto che le
soluzioni raggiunte in sede di elaborazione del diritto uniforme a ben guardare non trovano un
diretto riscontro in alcuno dei modelli preesistenti”.
39
contrattuale non è certamente quella che si attaglia all’ambito di operatività dei
Principi Unidroit, che in questo contesto finisce, quindi, col subire un profondo
temperamento116.
Si tratta, perciò, di delineare potenzialità e limiti ai quali è sottoposta l’autonomia
privata in sede di contrattazione internazionale117. Ebbene, l’autonomia delle parti
si sostanzia anche nella possibilità di fare ricorso a contratti dai contenuti
sostanziali essenzialmente uniformi, mediante una regolamentazione contrattuale il
più possibile completa ed autosufficiente e facendo espresso rinvio, all’interno del
contratto stesso, a regole materiali uniformi le quali non potrebbero essere applicate
altrimenti; autonomia delle parti è sinonimo di capacità di scegliere liberamente, tra
i diritti interni dei vari Paesi, la legge volta a disciplinare il contratto, o piuttosto
optare per una regolamentazione di carattere “extra-legale”, come la lex mercatoria;
libertà contrattuale è, ancora, facoltà di scelta del giudice o dell’arbitro al quale
verrà demandato il compito di comporre eventuali controversie118.
In un inevitabile assetto fondato sulla centralità dello strumento contrattuale, ben si
comprende il difficile ruolo al quale è chiamato il giurista contemporaneo, il quale
deve essere in grado di approntare soluzioni negoziali confacenti alle esigenze del
mercato119. Possiamo osservare come il giurista oggi, nella sua attività di redazione
e negoziazione dei contratti internazionali, si trovi, talvolta, dinanzi alla necessità di
creare le norme, dovendo dettare ab origine le “regole del gioco”, piuttosto che
limitarsi ad una mera interpretazione di regole già esistenti. Egli deve, infatti,
scegliere il contesto giuridico nel quale incardinare il contratto, elaborando altresì le
R. PELEGGI, L’applicazione dei Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali
en voie directe alla luce di un recente lodo della Corte Arbitrale della Camera di Commercio
Internazionale, in Dir. comm. int., 2004, 2, p. 496 ss., evidenzia il ruolo dei Principi Unidroit quale
fonte cognitiva della lex mercatoria, da intendersi quale una sorta di esplicitazione di prassi del
commercio internazionale non meglio formalizzate.
117
M.J. BONELL – R. PELEGGI, Rassegna giurisprudenziale sui Principi Unidroit dei contratti
commerciali internazionali, in Dir. comm. int., 2004, 1, p. 163-164, pongono in evidenza un caso di
applicazione dei Principi Unidroit da parte della Corte d’Appello neozelandese, in materia di
interpretazione non letterale di clausole contrattuali, basata piuttosto sull’interpretazione delle parti,
la quale si poneva in armonia con la CISG e con i Principi Unidroit, definiti come “un restatement
del diritto dei contratti commerciali del mondo che affina ed amplia i principi contenuti nella CISG”.
118
Per una compiuta disamina delle ragioni pratiche ed operative che hanno condotto all’adozione
dei Principi Unidroit si veda M.J. BONELL, I Principi Unidroit dei contratti commerciali
internazionali: origini, natura, finalità, in Dir. comm. int., 1995, 1, p. 3 ss.
119
Occorre ricordare che oggigiorno rientra nell’accezione “mercato” non soltanto il luogo,
spazialmente determinabile, in cui si incontrano fisicamente gli operatori economici, ma anche e
soprattutto quel complesso di luoghi telematici in cui ed attraverso cui si concludono transazioni ed
affari anche di notevole importanza. L’argomento viene opportunamente posto in risalto, nel
preambolo ad alcune riflessioni sull’attuale panorama delle contrattazioni, da G. IORIO FIORELLI,
Contratti telematici, strumenti di diritto internazionale privato e prospettive di armonizzazione della
disciplina materiale, in Dir. comm. int., 2003, 2-3, p. 427ss.
116
40
regole proprie di quel rapporto contrattuale in concreto120. Ma vi è di più: per fare
ciò, il giurista si interrogherà sulle modalità di utilizzo dell’autonomia
contrattuale121; sull’ampiezza e sui limiti di essa, conciliando l’arbitrio nella scelta
di una soluzione piuttosto che un’altra (ad esempio, decidere di sottoporre il
contratto alla legge nazionale di questo o di quello Stato) con l’indagine sui limiti
che il libero arbitrio in materia contrattuale presenta (ad esempio, i limiti entro cui
sia possibile effettuare la scelta della legge applicabile; o, ancora, i limiti nella
scelta del foro competente o dell’opzione tra arbitrato e giurisdizione ordinaria). In
altre parole, il giurista deve valutare le implicazioni e le conseguenze di ciascuna
determinata scelta che le parti contraenti intendano fare, al fine di guidare queste
ultime verso l’adozione delle soluzioni che risultino in concreto maggiormente
convenienti per le medesime122.
120
R. PELEGGI, La compensazione nei Principi Unidroit dei contratti commerciali internazionali e
nei Principi di diritto europeo dei contratti: un primo confronto, in Dir. comm. int., 2002, 4, p. 927
ss., nell’esaminare, in un’ottica di comparazione, un istituto in particolare, quale quello della
compensazione, fa emergere i punti di contatto tra le scelte operate in sede di armonizzazione
internazionale ed in quella europea, secondo una prospettiva di coordinamento, evidenziando come
“sia i Principi Unidroit che i Principi Europei abbiano optato per anticipare l’operare dell’istituto al
momento in cui uno dei crediti reciproci diviene esigibile” (p. 949), secondo una ratio
maggiormente confacente alle concrete esigenze economiche.
121
S. PUGLIATTI, v. Autonomia privata, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, pp. 366-367, nel
rintracciare la “pluralità di significati dell’espressione “autonomia privata”, tali per cui essi non
possano essere “riconducibili ad un centro sistematico-concettuale”, in un approccio in termini per
così dire filosofici al problema dell’individuazione del concetto di autonomia, ben lo ricollega al
“problema della volontà”. La vicenda negoziale contemporanea, che si fonda sull’ampia e
prevalente, se non esclusiva, pratica dei contratti conclusi mediante formulari prestampati,
predisposti unilateralmente da una parte, potrebbe leggersi non tanto come una alterazione
dell’estensione tradizionale dei poteri connessi all’autonomia privata in sede negoziale, quanto
piuttosto come una diversa modalità di manifestazione della stessa, se si accetta che anche il
concetto di autonomia privata, in quanto categoria generale del diritto negoziale, si riempie del suo
significato peculiare nell’esperienza concreta del contesto storico e sociale nel quale essa è
ambientata. Il concetto tradizionale di autonomia privata è chiamato oggigiorno a misurarsi anche
con le ipotesi in cui il contenuto del contratto sia predeterminato dalla legge. Sul punto cfr. A.
LUMINOSO, Sulla predeterminazione legale del contenuto dei contratti di acquisto di immobili da
costruire, in Riv. Dir. civ., 2005, II, p. 727; nonché G. PETRELLI, Il contenuto minimo dei contratti
aventi ad oggetto immobili da costruire, in Riv. Dir. civ., 2006, II, p. 323. Sull’argomento dei
“contratti non negoziati” cfr. N. IRTI, Scambi senza accordo, in Riv. Trim. dir. proc. civ., 1998, p.
347 ss. Per una ricostruzione diacronica del significato di “autonomia privata” cfr. F. MACARIO,
Ideologia e dogmatica nella civilistica degli anni Settanta: il dibattito su autonomia privata e libertà
contrattuale, in Studi in onore di Nicolò Lipari, cit., II, p. 1491 ss. E’ peculiare la ricostruzione che
dell’autonomia privata ci viene fornita, in termini di “diritto fondamentale della persona”, da C.M.
BIANCA, Diritto civile. Il contratto, Milano, 2000, p. 30, laddove egli autorevolmente prosegue
delineando i tre fenomeni in cui si sostanzia l’attuale declino della volontà contrattuale, p. 34,
esprimendosi in tali termini: “il primo è quello del restringersi del ruolo dell’accordo di fronte alla
regolamentazione imperativa del contratto (pubblicizzazione del contratto); il secondo concerne il
restringersi del ruolo dell’accordo di fronte al significato obiettivo del rapporto; il terzo indica il
restringersi del ruolo dell’accordo di fronte alla disciplina unilaterale del predisponente nei contratti
di massa (standardizzazione del contratto)”.
122
F. MARRELLA, Lex mercatoria e Principi Unidroit. Per una ricostruzione sistematica del
diritto del commercio internazionale, in Contr. e impr. Eur., 2000, 1, p. 46 ss., si sofferma sulle
varie opzioni applicative dei Principi, evidenziando come essi possano essere impiegati per risolvere
41
I Principi Unidroit possono essere applicati, non soltanto per scelta delle parti, ma
anche in via autonoma, il che significa senza che siano stati richiamati dalle parti, in
qualità di insieme di regole che disciplinano in via generale il contratto, e ciò sia
nell’ambito della lex mercatoria sia come legge interna di uno Stato qualora esso
decida di utilizzarli come modello per l’interpretazione o l’integrazione della
propria legge123. In particolare, i Principi possono trovare applicazione per scelta
delle parti, quindi in quanto incorporati nel contenuto del contratto come norme
contrattuali (in questo caso, le parti richiamano i Principi Unidroit scegliendo al
contempo una legge nazionale come legge applicabile, e ciò significa che esse
desiderano che i Principi vengano applicati come norme contrattuali nel contesto di
quella legislazione); possono essere richiamati dall’autonomia negoziale delle parti
come “legge applicabile” in alternativa ad un ordinamento nazionale (in questo
caso, i Principi acquistano un valore autonomo in quanto sistema di norme dotate di
una forza equivalente a quella della legge), anche se si tratta di un’opzione che non
è accolta favorevolmente dai giudici; può altresì verificarsi che il contratto sia
sottoposto alla lex mercatoria, e che le parti richiamino all’interno di essa i Principi
Unidroit, inserendoli così all’interno di un sistema normativo che tuttavia in questo
caso è di carattere a-nazionale124. I Principi vengono, seppur non frequentemente,
richiamati come usi del commercio, che verranno considerati soltanto all’interno
della legge nazionale applicabile che è stata scelta125. Talvolta la scelta dei Principi
i dubbi interpretativi o colmare il vacuum di convenzioni internazionali di diritto uniforme, dal
momento che accade sovente che vi sia incertezza intorno al significato da attribuire ad una
disposizione contenuta all’interno di una convenzione internazionale diritto uniforme e allora
l’opzione interpretativa può essere fondata sui Principi Unidroit. Risulta peculiare anche la
ricostruzione dei casi in cui si ritenga di non dover applicare tali Principi, ricordando l’Autore alcuni
lodi dai quali è emerso che “una clausola compromissoria portante clausola di elezione del diritto
applicabile con l’espressa esclusione di ogni altro ordinamento giuridico vale ad escludere
l’applicazione sia della lex mercatoria che dei Principi Unidroit” (p. 65).
123
F. MARRELLA, Nuovi sviluppi dei Principi Unidroit sui contratti commerciali internazionali
nell’arbitrato CCI, in Contr. e impr. Eur., 2002, 1, p. 44-53, evidenzia la peculiarità dei Principi
Unidroit oltre che come strumento di armonizzazione contrattuale internazionale anche ai fini
dell’interpretazione ed integrazione della legge applicabile, determinata secondo i criteri di
collegamento dettati dall’ordinamento di diritto internazionale privato, soffermandosi su come, nella
concreta prassi arbitrale, il richiamo a questi Principi venga operato sempre più frequentemente al
fine di confermare le soluzioni derivanti dall’applicazione del diritto interno, tanto nelle circostanze
in cui le parti hanno espressamente richiamato i Principi Unidroit quanto nei casi in cui essi sono
stati piuttosto invocati dagli arbitri.
124
Il carattere a-statuale dei Principi Unidroit viene evidenziato, nel quadro di alcune riflessioni
concernenti l’ambito applicativo, da M.J. BONELL, Verso un regime uniforme di prescrizione per i
contratti commerciali internazionali?, in Eur. dir. priv., 2003, 4, p. 773 ss.
125
A. DI MAJO, I “Principles” dei contratti commerciali internazionali tra civil law e common
law, in Riv. dir. civ., 1995, 5, 1, p. 609 ss., evidenzia immediatamente, nell’incipit delle sue
autorevoli considerazioni, l’esigenza di una contrattazione transnazionale dalle regole
sostanzialmente uniformi, che si fondi sull’applicazione di principi condivisi di carattere generale, al
42
come norme regolatrici delle vicende contrattuali può avvenire anche in un luogo
temporale successivo rispetto a quello in cui si colloca il momento della
conclusione del contratto; in particolare, può accadere che nel corso di una
procedura arbitrale si concordi che la controversia venga decisa in modo conforme
ai Principi126. Le modalità applicative dei Principi Unidroit si rivelano essere
davvero molteplici, ed il novero si amplia se si considera che i redattori, conosciuto
il successo della prima versione, hanno inteso, con il lavoro del 2004, fare un passo
avanti, mirando non più semplicemente a presentare delle regole che le parti
possano incorporare nel contenuto dei loro contratti per relationem, quanto
piuttosto a fornire delle regole che fossero in grado di dare un impulso allo sviluppo
della lex mercatoria, potendo essere considerate parte integrante di essa in quanto
espressione di principi che sono dagli operatori del commercio internazionale
ritenuti applicabili ai loro contratti127. L’applicazione dei Principi Unidroit ad un
contratto in assenza di scelta espressamente operata dalle parti contraenti può,
pertanto, avvenire in due modi: o mediante l’identificazione di questi con i principi
generali del commercio internazionale (il che significa dire lex mercatoria)128, o
fine di agevolare lo svolgimento dei rapporti economici e commerciali che da tempo eccedono
usualmente i confini nazionali. L’Autore si chiede, poi, se sia utile o meno pensare ad un diritto
uniforme dei contratti in generale, piuttosto che ambientare l’uniformazione sui terreni settoriali, ove
tuttavia non è da trascurare che la “specializzazione” del diritto dei contratti commerciali
internazionali sembra essere pienamente rispondente alle esigenze del mercato.
126
M.J. BONELL, I Principi Unidroit – un approccio moderno al diritto dei contratti, in Riv. dir.
civ., 1997, 2, 1, p. 231 ss. ripercorre le tappe salienti del Lavoro culminato con l’elaborazione dei
Principi, i quali si inseriscono nella negoziazione commerciale internazionale quali fonti di carattere
a-statuale, la cui ratio è strettamente collegata al fenomeno della contrattazione standardizzata, la
quale presenta innumerevoli vantaggi sia per quanto concerne i costi delle transazioni sia in quanto
essa permette di evitare il problema delle barriere linguistiche e degli abusi che una parte può
commettere a detrimento dell’altra attraverso l’imposizione di clausole per quest’ultima
svantaggiose o contro la sua volontà o imponendone l’applicazione.
127
Con i Principi UNIDROIT ci si trova in un ambito della contrattazione avente un respiro
decisamente più ampio rispetto a quello proprio dei vari prodotti del lavoro di armonizzazione
compiuti a livello europeo. Se, come è vero, i Principi UNIDROIT intervengono nell’ambito dei
contratti commerciali internazionali, allora si può asserire che essi costituiscono un tool box
operante, in senso proprio, nel contesto della globalizzazione. Amplius sull’argomento della
relazione intercorrente tra il fenomeno della globalizzazione e l’attuale panorama del diritto vi è una
letteratura copiosa; per tutti cfr. i significativi ed autorevoli contributi di: P. GROSSI,
Globalizzazione, diritto, scienza giuridica, in Foro It., 2002, VI, c. 151 ss.; A. FRANZONI, Vecchi
e nuovi diritti nella società che cambia, in Contr. Impr., 2003, 2, p. 265 ss.; P. GROSSI,
Globalizzazione e pluralismo giuridico, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico
moderno, 29, 2000, p. 551 ss.
128
Si tratta di una delle contemporanee situazioni in cui la fonte della regola vincolante sul piano
giuridico non è un organo titolare del potere legislativo. Accanto all’esperienza della c.d. lex
mercatoria si pensi ai Codici deontologici, o Codici di buona condotta, o Codici di autodisciplina.
Sul punto M. ARAGIUSTO, Dinamiche e regole, Padova, 2006, p. 131, ricorda in proposito
”l’iniziativa di non pochi organismi, attivi in disparati settori, non solo a dimensione nazionale,
ognuno spontaneamente emanando una sorta di suo testo unico evidentemente privato, con regole di
comportamento vincolanti gli aderenti e non di rado corredate dalla previsione di apposite strutture
per controllarne l’osservanza oltre che per comminare sanzioni correlate agli accertati
43
come usi del commercio. Anche nell’attività di soluzione delle controversie in sede
di arbitrato internazionale i Principi Unidroit stanno incontrando una larga
applicazione e, molto spesso, non soltanto vengono utilizzati come mero supporto
interpretativo della legge nazionale, ma vengono anche applicati essi stessi
nell’ambito della legge interna sia per colmarne le lacune sia per sostituirsi alla
norma nazionale ponendo, così, fine ad un eventuale conflitto tra la norma
nazionale stessa e le esigenze del commercio internazionale, nel senso favorevole
alla prevalenza dei Principi129.
I Principi Unidroit, quale momento centrale nel complesso processo di
armonizzazione ed uniformazione del diritto dei contratti internazionali, stanno
pertanto conquistando, in modo crescente, un ruolo di rilievo nel panorama delle
fonti dello stesso diritto dei contratti commerciali internazionali, tanto come
insieme di regole che le parti possono volontariamente incorporare all’interno dei
contratti, quanto come strumento suscettibile di essere utilizzato dalla
giurisprudenza arbitrale sia in funzione correttiva di leggi nazionali inadeguate sia
come regole transnazionali applicabili in quanto lex mercatoria, contribuendo, così,
al rafforzamento ed al consolidamento di quest’ultima130.
Il tentativo di armonizzazione compiuto a livello europeo attraverso l’elaborazione
del Draft Common Frame of Reference esprime anch’esso, come i Principi
Unidroit, l’esigenza per gli operatori economici di disporre di un corpus di principi,
strettamente aderenti alla prassi delle negoziazioni commerciali, ai quali fare ricorso
in sede di conclusione delle innumerevoli figure contrattuali. Se il vincolo derivante
dall’accordo, e quindi dalla contrattazione bilaterale non perde la propria rilevanza,
occorre tuttavia rilevare come stiano acquistando centralità le promesse unilaterali,
caratterizzate dalla manifestazione di volontà di un soggetto di obbligarsi, al di là
inadempimenti”. Allo spostamento della titolarità soggettiva del potere legislativo fa quindi eco
anche, per così dire, una traslazione del potere coercitivo, che viene a sorgere in capo a soggetti ed
organi non titolari del potere giudiziario in senso proprio.
129
G.B. FERRI, Il Code Européen des Contrats, in Contr. e impr. Eur., 2002, 1, p. 27 ss., si occupa
di rintracciare le suture concettuali tra il prodotto del Lavoro dell’Accademia dei Giusprivatisti
Europei (Code Européen des Contrats), i Principi Unidroit e i Principi della Commissione Lando,
soffermandosi sulle categorie dell’oggetto e della causa del contratto le quali inevitabilmente
assumono nuovi connotati, se si considera che una normativa contrattuale di carattere generale
destinata ad essere valevole tanto nei Paesi di civil law quanto in quelli di common law non può non
tenere conto delle diverse impostazioni concettuali che caratterizzano i vari ordinamenti.
130
Sull’argomento dell’ambientarsi dell’odierna autonomia negoziale nella cornice di una congerie
di fonti di produzione del diritto provenienti da molteplici luoghi, anche estranei alla sfera della
legittimazione giuridica in senso stretto, si veda C.M. BIANCA, Contratto europeo e principio
causalista, in M. PARADISO (a cura di), I mobili confini dell’autonomia privata, Milano, 2005,
passim.
44
del meccanismo dell’accordo. Il codice civile non dà molta rilevanza ai vincoli
negoziali unilaterali, così come non si sofferma sulla contrattazione di massa,
fenomeni che stanno conoscendo il loro apice proprio ai giorni nostri. Il momento
contemporaneo si colloca lungo una linea che segna la rottura, o quanto meno
l’allontanamento, dai tradizionali dogmi (a partire da quello della volontà intesa
come accordo) sui quali per molto tempo si è fondata l’ossatura dei vincoli
negoziali. La verità è che un’impostazione dogmatica, fondata sulla enunciazione di
nozioni aprioristiche generali che, una volta abbracciate, sono destinate a rimanere
immutate ed inconfutabili al di là di ogni limite temporale e sociale, mal si concilia
con la prospettiva dell’armonizzazione che nasce da esigenze di carattere
squisitamente pratico e di segno economico; unitamente alla necessità di dettare
regole comuni di riferimento per ordinamenti nazionali che, seppur condividano
radici comuni in senso ampio, tuttavia presentano specificità intrinseche non
facilmente superabili, come l’avversione degli ordinamenti di common law per un
eccessivo grado di concettualizzazione e l’assenza di concetti quali la causa del
contratto nell’accezione dogmatica che invece è propria del nostro codice civile ed
intorno alla quale fiumi di inchiostro vengono versati da non breve periodo131.
5. Il contesto contemporaneo in cui si svolgono i rapporti economici è
contraddistinto dalla vocazione essenzialmente transnazionale degli scambi e
dall’impiego del contratto quale strumento d’elezione non più esclusivamente per
permettere la circolazione dei beni ma anche per fornire servizi e per creare prodotti
finanziari, ed anzi si assiste attualmente ad un progressivo processo di
dematerializzazione, che ha comportato anche una necessaria rivisitazione del
tradizionale concetto di proprietà e dei beni che sono suscettibili, nell’immaginario
collettivo, di formare oggetto di quel diritto reale antico ed assoluto di cui all’art.
832 c.c. e che per moltissimi anni ha svolto il ruolo di feudatario sul vassallo
contratto, contrariamente a quanto si assiste ai giorni nostri, in cui il contratto
assurge anche a strumento per la creazione o il trasferimento di situazioni atipiche
di titolarità di un bene, materiale o immateriale, che esulano pertanto dalla figura
tipica di cui alla norma codicistica su richiamata. In tale contesto, si è da tempo reso
necessario un ripensamento del diritto per una società che ha maturato dei connotati
nuovi e marcatamente diversi da quelli propri del periodo che va dagli anni
131
U. BRECCIA, Contratto e comune quadro europeo. Note introduttive, in Annuario del contratto
2009, Torino, 2010, p. 32-39
45
Cinquanta agli anni Ottanta. Ci si trova oggi di fronte alla più alta epifania
dell’assetto dell’economia di mercato, fondato sulla efficienza della modalità
capitalistica di produzione e di circolazione della ricchezza, in particolare dovuta ai
notevoli sviluppi nel campo della tecnologia, che hanno influito grandemente sui
vari anelli di congiunzione della catena della produzione/commercializzazione132.
L’attuale svolgimento della vicenda economica su scenari internazionali richiede
una regolamentazione degli affari che abbia un respiro altrettanto “universale”. Le
parti contraenti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, in sede di
determinazione del contenuto dell’accordo e di disciplina del rapporto, fanno
sempre più ricorso alla prassi originata dal comportamento tenuto dagli operatori
del commercio, che prende il nome di lex mercatoria133. Si tratta di regole uniformi
che sono la conseguenza della diffusione su scala internazionale, per non dire
mondiale, di determinate pratiche e di usi contrattuali ai quali si fa ricorso nel
commercio che oltrepassa il confine di un singolo Stato. Contribuiscono, inoltre,
alla formazione di tale prassi anche le decisioni con le quali si pone fine alle
controversie in sede di arbitrato internazionale, le quali finiscono, così, con
l’assurgere ad una sorta di precedenti abitualmente vincolanti per successivi
arbitrati134.
132
Sul punto si rinvia a G. IUDICA, Globalizzazione e diritto, in cit., p. 867 ss.
Con riguardo all’origine storica del termine lex mercatoria, F. GALGANO, Lex mercatoria,
Bologna, 2001, p. 238 ricorda come l’origine di tale sintagma sia da rintracciare nel diritto
universale dei mercanti medioevali, i quali diedero essi stessi vita, con le loro abitudini commerciali,
ad un insieme di regole volte a disciplinare gli scambi stessi, regole le quali si ponevano in posizione
derogatoria dell’allora vigente diritto dei commerci, il diritto romano, mostrando la inidoneità del
medesimo a porsi come fonte di regolamentazione di traffici a vocazione universale. Allo stesso
modo, chiarisce Galgano, “per nuova lex mercatoria oggi si intende un diritto creato dal ceto
imprenditoriale, senza la mediazione del potere legislativo degli Stati, e formato da regole destinate
a disciplinare in modo uniforme, al di là delle unità politiche degli Stati, i rapporti commerciali che
si instaurano entro l’unità economica dei mercati”.
134
Non è invero pacifica la qualificazione della Lex mercatoria in termini di mera prassi. Ricorda
infatti F. GALGANO, Lex mercatoria, cit., p. 239, richiamando una nota pronuncia della Cassazione
(Cass. 8 febbraio 1982, n. 722, in Foro It., 1982, I, c. 2285), che “talora della lex mercatoria si è
parlato come di un “ordinamento giuridico”, separato dagli ordinamenti statuali, espressione della
“societas mercantile”. E prosegue affermando che “a questo modo gli usi del commercio
internazionale vengono assunti quali veri e propri usi normativi, vere e proprie fonti di diritto
oggettivo; ma di un diritto oggettivo non statuale, bensì sopranazionale: di un diritto oggettivo della
societas mercatorum. Questo ordinamento sovranazionale non ha propri organi di coercizione; si
avvale, a questi effetti, degli organi degli Stati nazionali, di volta in volta competenti per territorio.
Così la business community si erige a ordinamento sovrano; gli Stati nazionali ne diventano il
braccio secolare”. Procede poi con la condivisibile considerazione per cui “il futuro che si annuncia
presenta questa disarticolazione: da un lato una società senza Stato: la societas mercatorum, o
business community, retta dalla nuova lex mercatoria, che consolida le sue dimensioni planetarie,
accentrando in sé le funzioni di normazione e, con le camere arbitrali internazionali, le funzioni di
giustizia; dall’altro la moltitudine delle società nazionali, e anzi una loro moltitudine crescente,
organizzate a Stato, portatrici di quegli interni interessi che non trovano rappresentanza nella
133
46
Le complesse realtà di segno economico prospettate dal mercato richiedono
oggigiorno al giurista contemporaneo di ricorrere al diritto quale strumento
attraverso cui soddisfare la moltitudine sempre crescente delle mutevoli richieste e
necessità che provengono dal mercato stesso, e ciò mediante l’adeguamento dei
mezzi giuridici a disposizione o, all’occorrenza, anche facendo ricorso alla
creazione di nuovi, al fine di adeguare l’elemento regolatore ad un regolato che si
sostanzia in beni ed operazioni economiche sempre d’avanguardia. Certamente, la
nuova lex mercatoria, proprio in quanto creata nello stesso ambiente del mercato,
appare oggi agli operatori economici maggiormente idonea alla regolamentazione
dei traffici, con la sua vocazione per l’uniformazione globale delle leggi che
governano le transazioni e gli scambi135. La lex mercatoria consiste, pertanto, in un
complesso di regole uniformi ed aventi una operatività di carattere internazionale le
quali, come sopra ricordato, affondano le loro radici in un triplice fenomeno che si
compone del complesso delle pratiche contrattuali adottate e poste in essere negli
ambienti del commercio internazionale136; dei veri e propri usi del commercio
internazionale137 nonché degli orientamenti consolidati della giurisprudenza delle
societas mercatoria, ma progressivamente esautorate delle funzioni normative e di giurisdizione,
oltre che di controllo dei flussi di ricchezza”.
135
Sul punto F. GALGANO, La globalizzazione nello specchio del diritto, Bologna, 2005, p.57,
osserva che “la nuova lex mercatoria opera entro una realtà caratterizzata dalla divisione politica dei
mercati in una pluralità di Stati; la sua funzione è di superare la discontinuità giuridica da questi
provocata. Entro questa nuova lex mercatoria si dissolvono tanto i particolarismi giuridici delle
codificazioni quanto, fenomeno ancor più significativo, le differenze fra il civil law e il common
law”.
136
Ricorda F. GALGANO, in La globalizzazione nello specchio del diritto, cit., p. 58, come proprio
dalla prassi del mercato globale siano venute emergendo, in modo del tutto spontaneo, certe figure
negoziali ignote al nostro apparato normativo, si tratta di “molteplici modelli contrattuali, come il
leasing, il factoring, il performance bond”, il quali sono stati “creati da operatori economici di un
dato paese, sono stati recepiti dagli operatori economici di altri paesi, dando così vita a modelli
contrattuali internazionalmente uniformi, resi legittimi rispetto ai singoli diritti nazionali dal
principio, vigente in ciascuno di essi, della autonomia contrattuale”. Tali modelli negoziali, sorti
dalla prassi, pur avendo incontrato all’inizio senza dubbio alcune difficoltà dinanzi ai giudici
nazionali prima di essere riconosciuti idonei ad essere operativi nel nostro ordinamento, tuttavia
hanno superato piuttosto agevolmente tale impasse soprattutto in conseguenza della circostanza per
cui “ben difficilmente un giudice nazionale potrà ritenere invalido, applicando il proprio diritto
nazionale, un modello contrattuale ovunque praticato e riconosciuto come valido e vincolante; ben
difficilmente, quali che siano i contrari argomenti ricavabili dal diritto nazionale, egli sarà disposto
a collocare il proprio paese in una situazione di isolamento rispetto al contesto internazionale al
quale appartiene”, come Galgano stesso ivi osserva. Hanno contribuito alla forte diffusione di tali
schemi negoziali anche le associazioni di categoria le quali, nel predisporre formulari di contratti per
gli imprenditori, hanno aderito alle predette pratiche commerciali. Si tratta di modelli negoziali
idonei ad essere operativi su scala mondiale, tale quale è il tenore delle attività di produzione, di
distribuzione e, più in generale, di scambio che vengono posti in essere mediante tali negozi.
137
Gli usi del commercio internazionale sono altro rispetto alle pratiche commerciali, se si intende
che queste ultime assumono una valenza normativa soltanto ove ed in quanto richiamate dalle parti
contraenti nell’esercizio della loro autonomia negoziale. I primi consistono invece in regole,
derivanti da comportamenti reiterati in capo agli operatori economici del mercato internazionale, che
47
camere arbitrali internazionali , nel momento in cui la ratio decidendi delle
controversie, che gli arbitri internazionali sono chiamati con sempre maggiore
frequenza a dirimere, acquista valore di precedente vincolante, al pari di quanto
accade alle decisioni dei giudici nei Paesi di common law, proprio a causa della
fisiologica struttura di tali ordinamenti nonché in modo non diverso da quanto sta
accadendo, nel tempo presente, nei Paesi di civil law nei quali, pur essendo essi
fisiologicamente privi della presenza delle sentenze nel novero delle fonti del
diritto, tuttavia l’orientamento consolidato delle decisioni della Suprema Corte di
Cassazione viene sempre più spesso richiamato tanto dai Giudici di merito, nella
soluzione dei casi concreti, quanto da quelli di legittimità in sede di svolgimento
della funzione nomofilattica138.
Il processo, che è in atto, di globalizzazione dell’economia, cui fa eco la necessità di
uniformare i precetti che governano lo svolgimento dei rapporti economici, attuato
nella modalità derogatoria della sovranità del potere legislativo in capo agli Stati, a
favore del proliferante esercizio del potere normativo da parte di soggetti ed
istituzioni che non sono titolari del potere legislativo, nonché a favore della
modalità pragmatica in forza della quale, per così dire, sorgono dal mercato stesso
le regole che disciplinano il mercato, determina quella crisi del principio di
nazionalità di cui lo sviluppo del fenomeno della lex mercatoria costituisce
altissima espressione. Nel momento in cui un diritto di matrice non statuale assurge
a sistema regolatore di rapporti aventi carattere sia interno sia trans-statuale, si
comprende come possa essere in crisi il tradizionale ordine concettuale, fondato
sulla equazione tra sovranità statale e nazionalità del diritto, cosa che ha significato
per molti anni riconoscere che ogni complesso di regole appartiene ad una
determinata nazione e che negare la molteplicità dei diritti nazionali determinerebbe
la cancellazione dell’identità di ciascuna comunità nazionale di soggetti.
L’eliminazione, o comunque il forte affievolimento, di tale assetto peculiare
porterebbe a vedere il mondo non più come un insieme di Paesi ognuno dei quali
avente una propria autonomia identitaria, che si esprime nell’avere ciascuno di essi
una propria storia, proprie tradizioni, nonché un proprio insieme di regole volte a
gli operatori stessi continuano ad osservare proprio nella convinzione di osservare un precetto
giuridico.
138
Sul punto si veda A. CATANIA, Metamorfosi del diritto. Decisione e norma nell’età globale,
Roma-Bari, 2008; G. ZACCARIA, La giurisprudenza come fonte del diritto, Napoli, 2007; ALPA
G., La certezza del diritto nell’età dell’incertezza, Napoli, 2006; F. VIOLA – G. ZACCARIA, Le
ragioni del diritto, Bologna, 2003.
48
disciplinare i rapporti tra i membri della collettività sociale, quanto piuttosto come
una cartina geografica in cui i confini tra gli Stati sono sfumati, difficilmente
visibili, con la conseguenza per cui non è possibile comprendere agevolmente dove
inizi e dove finisca con esattezza la forma peculiare di ciascuno di essi 139. Del resto,
i traffici commerciali di dimensione transnazionale e, per di più, mondiale
richiedono proprio questo sforzo di uniformazione delle regole che presiedono
tecnicamente allo svolgimento di essi. La lex mercatoria si pone come superamento
del principio di esclusiva appartenenza del potere legislativo in capo a quegli organi
dello Stato ai quali è demandato, per espressa disposizione della Carta
costituzionale, l’esercizio di esso. Con la lex mercatoria, come si è ricordato, viene
ad esistenza una sorta di ordinamento normopoietico, non statuale, che arriva anche
ad avere dei propri giudici, contravvenendo così ai principi che dalla Rivoluzione
Francese agli anni Ottanta hanno costituito l’immaginario collettivo non soltanto
dei Paesi di civil law ma anche di quelli di common law.
Alla crisi della matrice legislativa della fonte di produzione del diritto si
accompagna la dilatazione dei confini dell’autonomia negoziale delle parti
contraenti le quali, potendo scegliere liberamente quale debba essere il diritto
applicabile al rapporto economico-giuridico che prende vita con la conclusione del
contratto, nonché il diritto applicabile in sede di eventuali controversie che fra di
esse potranno sorgere in sede di esecuzione del rapporto, fanno ricorso, talvolta alla
legge di uno Stato terzo, ovvero di uno Stato al quale non appartenga nessuna delle
parti contraenti; altre volte, scelgono, invece, la legge di un determinato Stato per la
disciplina del rapporto di diritto sostanziale e la legge di un altro Stato quale legge
processuale applicabile140. La presenza della clausola arbitrale nei contratti
139
G. DE NOVA, Contratti senza Stato (a proposito del Draft CFR), in Riv. dir. priv., 2008, 4, p.
667 ss., nell’inquadrare l’argomento del DCFR nella più ampia cornice dell’odierno fenomeno dei
“contratti senza Stato”, alludendo a quella situazione in cui “l’autonomia privata avrebbe forza
normativa tale da consentirle di non operare un inquadramento in un sistema ordinamentale”, passa
in rassegna i richiami presenti nello stesso DCFR alle mandatory rules (norme imperative, quindi
inderogabili), evidenziando come sia possibile parlare di “contratto alieno” non soltanto con
riguardo ad un contratto internazionale ma anche per un contratto domestico. Sul punto amplius, ID.,
Il cotnratto alieno, Torino, 2008, passim.
140
Trattasi del fenomeno che F. GALGANO, La globalizzazione nello specchio del diritto, cit.,
passim, chiama “shopping del diritto”, esprimendosi in termini favorevoli nei confronti di esso (p.
88): “Non si dica che con lo shopping il diritto degrada a pura tecnica, che lo si astrae dalle civiltà
che lo hanno generato. Si dica, piuttosto, che esso è espressione di cosmopolitismo e, perciò, di una
più matura civiltà, non più stretta entro chiusi confini nazionali. Nella esasperazione del
nazionalismo giuridico si deve, semmai, intravedere il tramonto della civiltà del diritto”. Egli pone
inoltre in risalto, tra le peculiarità dello “shopping” del diritto, la capacità di questo fenomeno di
dare un impulso al procedimento di armonizzazione e di avvicinamento delle legislazioni nazionali
49
commerciali internazionali è quasi fisiologica, con la conseguenza per cui, nel caso
in cui si tratti di un arbitrato amministrato, può accadere che, qualora le parti non
abbiano indicato nel contratto la legge sostanziale applicabile, siano gli arbitri stessi
a scegliere quale diritto utilizzare per disciplinare il rapporto141. Da questo
panorama emerge che alla crisi della sovranità dello Stato nel fare le leggi fa eco la
crisi del potere giurisdizionale tradizionale, a causa del decentramento nelle mani
dei proliferanti collegi arbitrali del potere di risolvere le controversie relative a
contratti che danno vita a rapporti commerciali i cui confini eccedono quelli di un
singolo Stato142.
6. Lo scenario interno entro il quale è chiamato a muoversi il giurista
contemporaneo si presenta caratterizzato da un costante processo di armonizzazione
ed uniformazione delle varie discipline giuridiche nazionali, a tal punto da
permettergli di misurarsi con un vero e proprio “diritto privato europeo”, che è
diritto di matrice interna, almeno per quanto riguarda la veste formale dell’attofonte, ma che nei contenuti costituisce espressione di regole, dettate a livello delle
istituzioni comunitarie, al fine di attenuare il più possibile le differenze tra le varie
dei vari Paesi europei, capacità che egli stesso intravede (p. 90) nella “competizione fra sistemi
nazionali” che si instaura per effetto del meccanismo del “lex shopping”.
141
F. BENATTI, Arbitrato di equità ed equilibrio contrattuale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1999,
3, p. 837 ss., affronta l’argomento dell’assenza di un principio espressamente enunciato che assicuri
l’equilibrio del contenuto del contratto. La materia coinvolge massimamente l’arbitrato in quanto si
ricorre usualmente a tale strumento proprio a fronte di controversie dovute all’insorgere di situazioni
di squilibrio tra le prestazioni in capo alle parti contraenti, in sede di esecuzione del contratto.
L’Autore, nel sottolineare la carenza nel nostro ordinamento di strumenti volti a garantire il corretto
svolgimento dell’operazione economica, ricorda le norme sull’incapacità naturale, quelle in materia
di vizi della volontà e di rescissione, nonché l’eccessiva onerosità sopravvenuta e il meccanismo –
peraltro non codificato - della presupposizione, lamentando l’assenza di una previsione di legge che
esplicitamente si faccia carico di assicurare la giustizia dell’operazione negoziale sotto il profilo
economico. Il frequentissimo ricorso all’arbitrato pone gli arbitri di fronte al problema di risolvere le
situazioni di squilibrio economico del contratto attraverso l’equità, mediante la valutazione concreta
dell’assetto degli interessi e dell’impatto che l’esecuzione della prestazione nei termini
originariamente convenuti ha sulla sfera economica di ciascuno dei soggetti contraenti, realizzando
un nuovo contemperamento degli interessi sulla base delle mutate condizioni economiche dei
soggetti.
142
Tale assetto è dovuto ad una sostanziale inadeguatezza dei poteri sovrani nazionali rispetto ai
problemi prospettati dal mondo dell’economica – globale. Osserva opportunamente sull’argomento
P. MARIANI, Il leasing finanziario internazionale tra diritto uniforme e diritto internazionale
privato, Roma, 2004, p. 23 che “se i sistemi di diritto privato organizzati a livello statale non sono
adeguati a garantire la sicurezza degli scambi internazionali, l’unico attuale sistema alternativo per
gli operatori commerciali è il sistema dell’arbitrato commerciale internazionale aperto
all’applicazione della lex mercatoria. Per sottrarsi ai sistemi di giustizia nazionali le parti devono
espressamente pattuire l’arbitrato, quale metodo di soluzione delle controversie, e fonti alternative ai
diritti nazionali, quale diritto applicabile”.
50
normative nazionali143. Questo processo di armonizzazione è, per la verità, in atto
tanto a livello europeo quanto a livello internazionale e mondiale, ed a quest’ultimo
si ascrivono i Principi Unidroit. Richiamando qui quanto si è già detto in materia
dei Principi Unidroit, ci si soffermerà ora sull’iter di armonizzazione che è in atto a
livello europeo. Si tratta di una complessa attività che si inserisce all’interno di quel
percorso ideale segnato in primo luogo dai Lavori compiuti dalla cosiddetta
Commissione Lando, che ha elaborato i Principles of European Contract Law, con
riguardo alla conclusione, alla validità, alla fase della produzione degli effetti
nonché all’inadempimento del contratto. In una certa misura, si può dire che questi
Principi rispecchino, a livello europeo, lo spirito e la funzione alla quale intendono
assolvere, a livello internazionale, i Principi Unidroit. Entrambi i lavori nascono,
infatti, quali raccolte di principi e regole in gran parte già presenti nei diversi Stati
ma volte a rintracciare le soluzioni che meglio si adattino alle esigenze della
contrattazione commerciale transnazionale. A tale filone si ascrive, sempre a livello
europeo, anche il Common Frame of Reference: una sorta di “tool box”, venuto ad
esistenza su iniziativa della Commissione, e contenente un insieme di principi ai
quali fare ricorso come “legge opzionale” nella materia dei rapporti tra
professionisti e consumatori144. Esso si inserisce, nel panorama del diritto europeo
dei contratti, quale quadro comune di riferimento che racchiude principi, concetti e
M.J. BONELL, v. Unificazione internazionale del diritto, cit., p. 720 detta, nell’incipit del suo
autorevole contributo, la nozione di unificazione internazionale del diritto, la quale si sostanzia in
“qualsiasi iniziativa diretta al superamento delle diversità esistenti tra due o più diritti nazionali
tramite l’elaborazione di una disciplina uniforme, destinata a sostituirsi in tutto o in parte ai primi
nella regolamentazione della materia interessata”. Egli rintraccia le quattro modalità attraverso le
quali essa si compie, e precisamente: il piano legislativo, mediante l’adozione di convenzioni e leggi
uniformi; il livello giurisprudenziale, che consiste nella applicazione ed interpretazione delle leggi
uniformi in modo uniforme da parte dei giudici e degli arbitri; vi è poi l’unificazione dottrinale, che
si colloca nel luogo dell’interpretazione del diritto uniforme dopo che questo sia stato approvato,
sostanziandosi anche nel complesso di lavori che hanno portato all’elaborazione sia dei Principles of
European Contract Law, sia dei Principles for International Commercial Contracts (meglio noti con
il nome di Principi UNIDROIT), entrambi derivanti dalla sapiente attività di Commissioni formate
prevalentemente da esponenti del mondo accademico; infine, l’unificazione contrattuale, la quale,
come si osserva autorevolmente, benché “da tempo praticata”, tuttavia “soltanto in epoca
relativamente recente apprezzata in tutta la sua importanza, è quella che si attua sul piano
contrattuale, attraverso l’impiego, in occasione delle singole operazioni tipiche del commercio
internazionale, di strumenti negoziali largamente diffusi a livello universale o sopraregionale”.
144
G. VETTORI, L’interpretazione di buona fede nel codice civile e nel Draft Common Frame of
Reference (DCFR), in Riv. dir. priv., 2008, 4, p. 675 ss., nel ribadire che la regola generale presente
nel Draft in materia di interpretazione consiste nel ricostruire la comune intenzione delle parti anche
qualora essa differisca from the literal meaning of the words, con la previsione di criteri
interpretativi anche per il caso in cui una parte abbia maggior potere contrattuale dell’altra, novità
significativa ma non imprevedibile rispetto alle regole codicistiche in materia di interpretazione del
contratto in generale, sottolinea la regola dell’interpretazione conforme ai diritti umani, nonché alle
libertà fondamentali e alle tradizioni costituzionali, richiamando l’art. I- 1:102 DCFR in cui si
prevede che tutte le disposizioni del medesimo devono essere interpretate in modo tale da garantire i
diritti umani, le libertà fondamentali e le tradizioni costituzionali comuni.
143
51
regole generali volti ad apprestare un valido sostegno per le parti contraenti
all’interno della contrattazione che si svolge nel settore del consumo, e finalizzati
all’attuazione del processo di coordinamento e semplificazione dell’acquis
communautaire nella predetta materia. Il Draft Common Frame of Reference
assurge a strumentario concettuale e normativo da ritenere un valido punto di
partenza per la revisione dell’acquis comunitario145. Si tratta di un testo predisposto
da una Commissione anch’essa, come la Commissione che ha dato vita ai Principi
Unidroit, di carattere accademico. La prima versione è stata pubblicata nel 2008 e
nel 2009 sono state apportate alcune modifiche.
Il primo approccio del giurista interno al Draft non è stato certamente pacifico, se si
pensa che il giurista italiano è avvezzo a lavorare con lo strumento codicistico che
presenta una sua peculiare sistematica, che risale all’epoca della stessa
compilazione e che, malgrado abbia conosciuto significativi interventi di riforma
nel settore della famiglia e delle successioni, per la materia delle obbligazioni e dei
contratti non si sono verificati né sono attualmente in atto dei progetti ufficiali di
riforma, contrariamente a quanto sta avvenendo in Francia146 e in Spagna147.
Con l’eccezione dell’introduzione della normativa consumeristica, che soltanto in
un primo momento ha fatto parte dell’impianto codicistico, per confluire poi in un
testo di legge autonomo, si può dire che l’impalcatura del diritto interno delle
G. ALPA – G. CONTE, Riflessioni sul progetto di Common Frame of Reference e sulla revisione
dell’Acquis Communautaire, in Riv. Dir. civ., 2008, p. 141
146
G.B. FERRI, L’avant-projet di riforma dei Titoli Tre e Quattro del Libro Terzo del Code Civil, in
G.B. FERRI – P. SPADA (a cura di), L’avant-projet Catala, Milano, 2008, pone in evidenza il
passaggio da una codificazione incentrata sulla proprietà ad una imperniata sulla figura dell’impresa,
elemento che si può rilevare anche nel Codice civile italiano del 1942, indice sintomatico della
progressiva centralità che i traffici commerciali vanno assumendo nel panorama della normativa
giusprivatistica. In Francia, il progetto di riforma del Code civil avente ad oggetto i libri terzo e
quarto, presentato nel settembre 2005, è la concreta risposta all’esigenza di rinnovamento della
materia dei contratti, avvertita dall’illustre studioso quale “apprezzabile tentativo di suggerire, in
materia, un ordine concettuale di un certo rigore che consente di razionalizzare le tante sollecitazioni
che provengono dalle esperienze dottrinali e soprattutto giurisprudenziali” (p. 15). J.
BEAUCHARD, Le projet de reforme du code civil français, in Eur. dir. priv., 2006, 3, p. 913, nel
soffermarsi sulle novità introdotte con tale progetto, quale la creazione della figura dell’”obligation
de donner à usage”, considerando che “ce droit des obligations en est modernisé. Ce que l’on peut
regretter en revanche, c’est le parti, volontarie, d’accentuer le particularisme de certaines solutions
ou exceptions françaises, se démarquant ainsi des solutions comune dégagées par le Principes
européen, comme de celles des droits voisins” (p. 915).
147
S. SCHIPANI, Il codice civile spagnolo come ponte fra sistema latinoamericano e codici europei
(il rinvio ai principi generali del diritto), in Riv. dir. civ., 1994, 2, p. 359 ss., nel ripercorrere i
momenti salienti della codificazione spagnola, ricorda come la riforma del 1973 abbia dato
maggiore risalto alla operatività dei principi generali, richiamando il nuovo art. 1 del codice che
dispone che “las fuentes del ordenamiento juridico espanol son la ley, la costumbre y los principios
generales del derecho”. Volendo raffrontare questa innovazione del codice civile spagnolo con il
tenore del vigente codice italiano emerge come nel nostro ordinamento, malgrado la indiscussa
operatività dei principi generali, per il tramite delle clausole generali, manchi alcun riferimento
esplicito ad essi in sede di enunciazione dei pilastri del sistema giuridico.
145
52
obbligazioni e dei contratti sia rimasto essenzialmente invariato nel corso di questi
quasi settanta anni di vigenza del Codice civile del 1942.
Pertanto il nostro giurista è abituato a ragionare in termini di determinati principi,
ad effettuare il collegamento tra la realtà concreta e la regola del diritto mediante il
ricorso alle varie categorie codicistiche, a lui note, e percepisce la struttura del
diritto del contratto secondo la sistemazione della materia che i Compilatori del
1942 hanno operato. Si può ben comprendere perciò la confusione che, almeno in
prima battuta, potrà rendere questo giurista preda della stessa, nel momento in cui,
misurandosi con il Draft, egli, aduso a ricercare il contratto nel Titolo II Libro IV,
in quanto esso è la fonte principale delle obbligazioni (il riferimento è agli artt.
1173 e 1321 cod. civ.), scoprirà piuttosto che nello stesso Draft le regole
concernenti il contratto sono anteposte a quelle sulle obbligazioni. E’, poi, nel Draft
espressamente disciplinato il trust, strumento giuridico di derivazione anglo-sassone
che ha trovato ingresso, a fatica, nel nostro ordinamento soltanto quale istituto che
si è recepito conformemente all’esigenza di adeguamento alle regole del diritto
internazionale privato e, comunque, di diritto straniero, per quanto riguarda la
disciplina sostanziale, dal momento che nel nostro sistema del diritto non vi è
alcuna legge italiana che statuisca il regime giuridico per questo fenomeno 148, se si
eccettuano le polemiche sulla portata del tenore della recente novella con la quale il
legislatore ha effettuato una espressa previsione della possibilità, in capo ai soggetti
privati, di dare vita a vincoli di destinazione per così dire atipici (art. 2645-ter)149.
In un discorso incardinato sulla materia del contratto, ed in una prospettiva di,
seppur breve, comparazione tra Codice civile e Draft, non si può omettere qualche
considerazione sul significato di cui si riempiono oggi i sintagmi “autonomia
negoziale” e “libertà contrattuale”. Sono due principi per i quali l’antico rapporto
che li ha visti per anni correlati è stato posto in crisi da questo recente assetto
Dall’epoca, peraltro non risalente, del recepimento di questo istituto di matrice anglo-sassone nel
nostro ordinamento al momento odierno si riscontra una letteratura giuridica molto generosa
sull’argomento, a fronte sia dell’interesse nutrito verso un fenomeno innovativo, sia delle molteplici
problematiche sollevate in tema di compatibilità dello strumento qui richiamato con il dettato
inderogabile del sistema interno del diritto, nonché degli svariati ambiti nei quali tale strumento può
operare. Il recentissimo contributo di R. SARRO, Le risposte del trust: il trust spiegato in parole
semplici e tramite esperienze di vita, Milano, 2010, passim, nel coniugare excursus storiche a profili
pratici ed operativi del trust, mette bene in evidenza come questo istituto sia, proprio per la sua
funzionalità, suscettibile di trovare applicazione in molteplici ambiti per la sistemazione dei propri
interessi nella realtà economico-giuridica quotidiana, malgrado l’opinione corrente tenda ancora a
guardare al trust come ad un “evento straordinario, non alla portata di tutti”!
149
Per una compiuta disamina critica sull’argomento si veda G. VETTORI (a cura di), Atti di
destinazione e trust (art. 2645-ter cod. civ.), Padova, 2008, passim.
148
53
economico e giuridico che domina la scena mondiale. Se, infatti, storicamente il
contratto ha rivestito il ruolo di strumento attraverso cui si esprime l’autonomia
delle parti di regolare liberamente i propri affari ed interessi, rispetto alla quale lo
Stato si fa da parte, in tempi recenti si è dovuta però considerare l’eccezione del
caso in cui evidenti esigenze di tutela dell’interesse pubblico e delle categorie di
soggetti deboli (si pensi al consumatore) ne richiedano un intervento (ed in questo
caso si verifica un allontanamento dall’autonomia negoziale)150, attualmente si
assiste al manifestarsi della libertà contrattuale come possibilità di dare vita ad
“accordi regolati”, in cui l’autonomia negoziale delle parti contraenti si coniuga con
l’intervento riequilibratore, a protezione dei soggetti deboli e degli interessi
generali, effettuato ab esterno, non più, tuttavia, esclusivamente dal potere
legislativo dello Stato, quanto piuttosto dalla fiorente produzione di codici di
condotta, protocolli d’intesa e procedure negoziate, ad opera delle Autorità
amministrative indipendenti, a cui sono da aggiungere le regole create dai tribunali
arbitrali, nonché la prassi delle negoziazioni che assurge a strumento regolatore
della contrattazione151. Le sorti della libertà contrattuale oggi sono connesse
all’attuale complesso e congestionato panorama delle fonti del diritto, ciò che fa
I limiti all’esercizio dell’autonomia negoziale tradizionalmente posti dal legislatore sono oggi
sostituiti da una serie di divieti, volti a regolare ed arginare la libertà contrattuale entro binari
prestabiliti dai modelli “prefabbricati” attraverso cui le parti sono solite attualmente giungere alla
conclusione di un contratto. Non più quindi autonomia negoziale come potere di creare il contenuto
del contratto, quanto piuttosto come mera facoltà di apportare le modifiche (che sia possibile
compiere) ad un regolamento prestabilito. Ragionare in termini di divieti piuttosto che di limiti, in
termini di facoltà di modificare piuttosto che di potere di creare, in ciò si ravvisa la forte distorsione
dell’identità peculiare dell’autonomia negoziale nell’accezione in cui è stata accolta dai Compilatori
del 1942. Il processo di armonizzazione o, addirittura, di uniformazione dei diritti nazionali postula
la necessità che sia stilato un elenco di divieti condivisi, da rendere operativi nella sede delle
contrattazioni, così da veicolare la libertà contrattuale in modo più netto rispetto a quanto si sia
riuscito a fare fino ad ora mediante il mero ricorso ai principi generali quali quello di buona fede.
151
Sull’esigenza di effettuare un ripensamento del concetto di libertà negoziale, osserva G. ALPA,
Autonomia delle parti e libertà contrattuale, in G. ALPA – G. IUDICA – U. PERFETTI – P. ZATTI
(a cura di), Il Draft Common Frame of Reference del diritto privato europeo, Padova, 2009, p. 26
che “nel contesto del Draft “libertà contrattuale” e “autonomia delle parti” non hanno più il vecchio
significato che si incentrava sui confini tra ciò che le parti avevano voluto e ciò che l’autorità poteva
loro imporre (…)”, in quanto qui “il contratto è inteso come l’espressione dell’autonomia delle parti,
la quale può essere incisa dall’esterno; libera dunque ma con i limiti disposti dai principi
fondamentali, dalle clausole generali, dalle norme mandatory”. Fornisce una limpida visione del
quadro entro cui oggi opera il giurista in sede di conclusione dei contratti G. DE NOVA, I contratti
di oggi e la necessità di un elenco condiviso di divieti e di clausole vietate: a proposito di
armonizzazione del diritto europeo dei contratti, in E. NAVARRETTA (a cura di), Il diritto europeo
dei contratti fra parte generale e norme di settore, cit., p. 451, il quale, nell’incipit della sua
prolusione, osserva che “nessuno oggi scrive contratti stendendo ex novo una serie di clausole che
traducano gli accordi economici raggiunti dalle parti, e nessuno oggi scrive contratti pensando che la
disciplina dei rapporti fra le parti sarà data, per il resto, dalla legge applicabile. Oggi i consulenti
delle parti propongono emendamenti, soppressioni, aggiunte ad un testo contrattuale preesistente,
elaborato nel tempo dalla prassi, testo che costituisce patrimonio comune dei consulenti di entrambe
le parti, e che ha l’ambizione di regolare esaustivamente i rapporti fra i contraenti”.
150
54
avvertire indispensabile l’esigenza di ritrovare un ordine in mezzo a tale congerie di
regole, ed in relazione a tale necessità sono da collocare i Lavori per l’elaborazione
del Draft CFR, nel quale all’inizio del Libro II si trova la materia dei contratti, nella
quale viene offerta la nozione stessa di contratto152.
Questo costituisce tuttavia soltanto uno dei fronti su cui si muove il processo di
armonizzazione a livello europeo, dal momento che accanto al cosiddetto “diritto
comune europeo”, che è imperniato su un tentativo di condivisione di modelli e di
categorie giuridiche ed al quale appartengono le due suddette iniziative (quella dei
Principi Lando e quella del DCFR), si trova il cosiddetto “diritto privato europeo”,
che si compone di tutte le Direttive adottate dalle Istituzioni comunitarie con lo
scopo di elaborare corpi normativi che presentino lo stesso contenuto sostanziale
negli ordinamenti interni dei vari Stati membri. Il settore nel quale tale intervento si
è concretizzato al massimo grado è proprio quello dei contratti dei consumatori,
cosa che si può ben comprendere se si tiene sempre a mente che lo scopo precipuo
della Comunità Europea consiste nella creazione del mercato interno unico, perciò
ne segue logicamente che l’ambito di ingerenza del “legislatore comunitario” abbia
riguardo alla materia dei contratti153.
La materia della contrattazione con i consumatori costituisce un punto molto
delicato e rischioso per l’andamento del mercato, in quanto la posizione di
fisiologica asimmetria informativa alla quale il consumatore stesso è esposto
152
V. ROPPO, Prospettive del diritto contrattuale europeo. Dal contratto del consumatore al
contratto asimmetrico?, in Corr. Giur., 2009, 2, p. 267 ss., nel passare in rassegna le nuove fonti del
diritto dei europeo dei contratti, che vanno dalle direttive comunitarie, ai regolamenti (si pensi al
regolamento Roma I sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, che nella sostanza
sostituisce la Convenzione di Roma del 1980), ai Principles of European Contract Law (PECL,
elaborati dalla Commissione Lando) e al Draft Common Frame of Reference (DCFR), invita a
meditare sulla possibilità di ricostruire una categoria contrattuale unitaria che comprenda, stavolta,
anche il contratto asimmetrico, o se piuttosto quella del cosiddetto “terzo contratto” si avvia ad
assurgere ad autonoma categoria negoziale.
E. GABRIELLI, Il contratto e l’operazione economica, in Riv. dir. civ., 2003, I, p. 93-96,
fornisce una succinta ricostruzione del panorama del diritto dei contratti, ponendo in risalto come, in
un assetto caratterizzato dall’incessante proliferare di forme di regolamentazione degli interessi
privati, quale quello odierno, non ci si possa più concentrare sulla nozione di contratto, quanto
piuttosto su quella di operazione economica, procedendo, poi, col rintracciarne la definizione in
“una sequenza unitaria e composita che comprende in sé il regolamento, tutti i comportamenti che
con esso si collegano per il conseguimento dei risultati voluti, e la situazione oggettiva nella quale il
complesso delle regole e gli altri comportamenti si collocano, poiché anche tale situazione concorre
nel definire la rilevanza sostanziale dell’atto di autonomia privata” (p. 95).
153
55
comporta un alto livello di rischio circa il potenziale verificarsi di pregiudizi alla
“efficienza allocativa del mercato”154.
La generosa produzione normativa di matrice comunitaria porta con sé due
interrogativi: il primo, quello concernente il problema dei rapporti tra tali regole e le
norme contrattuali generali contenute nel Codice civile del 1942; il secondo,
imperniato sull’indagine circa i limiti oltre i quali non si può spingere l’esercizio
delle competenze legislative da parte delle Istituzioni dell’Unione155.
Con riguardo al primo quesito, è opportuno abbandonare l’approccio fondato sul
criterio di specialità, secondo la ricostruzione dell’argomento che si è operata supra,
a favore di un’impostazione fondata sulla tecnica della armonizzazione, tale per cui
il primato applicativo delle norme di settore sulla parte generale codicistica non è
segnato da un rapporto di specialità – residualità, e quindi non avviene sempre né
tanto meno necessariamente, quanto piuttosto deve essere indagato di volta in volta
sulla base dei concreti interessi che si devono tutelare, e su una valutazione effettiva
della norma che sia maggiormente idonea ad essere applicata a quella fattispecie, in
una prospettiva, per così dire, di “compenetrazione applicativa” delle norme
tradizionali con quelle di matrice comunitaria, secondo un’attività ermeneutica del
giudice fondata in ogni caso sulla lettura del diritto squisitamente interno in chiave
non contrastante con i precetti di derivazione comunitaria156.
La risposta al secondo quesito ha riguardo all’individuazione dei limiti ai quali il
processo di armonizzazione è in concreto sottoposto. Tali limiti si rintracciano nello
stesso tenore testuale del Trattato di Roma, nel quale le competenze legislative della
Comunità Europea trovano la loro ratio essendi soltanto laddove esse siano volte a
dettare regole a tutela dell’assetto del mercato, in modo tale da evitare il verificarsi
di fallimenti all’interno dello stesso. Si comprende, così, il significato degli
Sul punto si veda amplius P. SIRENA, La dialettica parte generale – parte speciale nei contratti
stipulati con i consumatori, in E. NAVARRETTA (a cura di), Il diritto europeo dei contratti fra
parte generale e norme di settore, Milano, 2007, p. 494.
155
V. ROPPO, Sul diritto europeo dei contratti: per un approccio costruttivamente critico, in Eur.
dir. priv., 2004, p. 459, nell’interrogarsi intorno agli effetti positivi del diritto comunitario sul diritto
interno, esprime la sua posizione affermando che “l’impatto del diritto europeo sui diritti nazionali, a
tutta prima anche scioccante, può essere la scossa salutare che spinge l’interprete domestico a
rivisitare il proprio stesso sistema, uscendo dalla pigrizia delle idee ricevute e sottoponendo a
revisione anche quelli che si presentano come punti fermi della tradizione giuridica interna”.
156
S. MAZZAMUTO, Il diritto civile europeo e i diritti nazionali: come costruire l’unità nel
rispetto delle diversità, in Contr. impr./Eur., 2005, p. 523 ss., rintraccia, sul piano dei profili
rimediali delle vicende del rapporto contrattuale, l’elemento evolutivo rispetto alle tendenze
pregresse nel rilievo per cui gli interventi normativi di settore, di matrice comunitaria, non sono
tanto tesi ad attribuire rilevanza giuridica a determinati interessi quanto piuttosto a realizzare quella
tutela individuale dei soggetti che si svolge anche attraverso il meccanismo rimediale.
154
56
interventi normativi afferenti alla sola materia del consumatore e di quelli relativi ai
contratti stipulati nell’ambito di una specifica attività imprenditoriale (si pensi al
credito al consumo157).
In una prospettiva di armonizzazione tra diritto di matrice comunitaria e diritto
interno, sorge l’interrogativo in merito alla possibile operatività, per il diritto
comunitario, del principio di effettività. Se il concetto di effettività, letto in chiave
giuridica, si sostanzia nella connessione tra la disposizione di legge che viene
dettata e il tessuto sociale in cui essa viene sentita come vincolante ed alla quale,
pertanto, si conforma il contegno della stessa compagine sociale, occorre osservarne
l’operatività in un assetto interno caratterizzato dalla compresenza di regole
domestiche tanto nella forma quanto nel contenuto e di regole le quali, pur avendo
la veste formale delle fonti nazionali di produzione del diritto, tuttavia sono esogene
per quanto concerne gli aspetti sostanziali. Del resto, una volta che si ammetta che
“il principio di effettività guarda al momento finale del processo applicativo del
diritto”158, si potrà comprendere come esso vada ad investire il diritto comunitario,
in quanto quest’ultimo si inserisce nel panorama delle fonti del diritto interne159. Il
157
G. CARRIERO, Il credito al consumo, in Studi in onore di Nicolò Lipari, cit., I, p. 359,
nell’incipit del suo contributo, nel definire il credito al consumo secondo la prospettiva funzionale,
qualificandolo “un importante canale di finanziamento attraverso cui la domanda di beni può essere
soddisfatta oltre il limite di reddito del richiedente mediante differimento temporale dei pagamenti”,
ne mette in luce l’idoneità ad formare oggetto della normazione comunitaria, la quale si è poi in
concreto realizzata con la direttiva in materia. In una prospettiva europea incentrata
sull’agevolazione agli scambi commerciali non è del resto sorprendente riscontrare massivi
interventi da parte del legislatore comunitario nel settore dei finanziamenti, in particolare
nell’ambito dei contratti di vendita di beni di consumo. Sul punto cfr. la ricostruzione fornita da R.
CLARIZIA, Codice del Consumo e contratti di finanziamento, in Scritti in onore di Nicolò Lipari,
cit., p. 440-445. Per una analisi accurata della direttiva 2008/48/CE, contenente la disciplina dei
contratti di credito dei consumatori cfr. G. DE CRISTOFARO (a cura di), La nuova disciplina
europea del credito al consumo, in R. CALVO – A. CIATTI – G. DE CRISTOFARO (coordinata
da), Principi regole e sistema. Biblioteca di diritto privato, Torino, 2009, in cui, in particolare F.
MACARIO, Il percorso dell’armonizzazione nel credito al consumo: conclusione di un iter
ultraventennale?, p. 2., mostrandosi consapevolmente sensibile verso il “ruolo particolarmente
forte” svolto dal “fenomeno consumeristico”, evidenzia come la disciplina del credito al consumo
costituisca contemporaneamente “uno strumento di tutela del consumatore quale parte debole del
rapporto, ma anche un elemento propulsivo e incentivante, o alternativamente, disincentivante
nell’erogazione del credito in questa forma, sicché a fondamento di una qualsiasi regolamentazione
dell’attività (…) rimane l’opzione politico-economica sulla spinta da dare (o non dare)
all’indebitamento del consumatore”. In particolare, sul punto del nesso di causalità esterna che lega
il negozio di finanziamento con quello dell’acquisto, aspetto peculiare del credito al consumo, si
veda F. NAPPI, Profili della disciplina del credito al consumo. La rinegoziazione dei mutui ex art. 3
l. 24 luglio 2008 n. 126, in Banca borsa tit. cred., 2010, 1, p. 24 ss.
158
In tali termini si esprime N. LIPARI, Il problema dell’effettività del diritto comunitario, in
SOCIETA’ ITALIANA DEGLI STUDIOSI DEL DIRITTO CIVILE, Diritto comunitario e sistemi
nazionali: pluralità delle fonti e unitarietà degli ordinamenti. Atti del 4° Convegno Nazionale 1617-18 aprile 2009 Grand Hotel Quisisana – Capri, Napoli, 2010, p. 637.
159
Sul punto si sofferma criticamente anche L. MENGONI, Note sul rapporto tra fonti di diritto
comunitario e fonti di diritto interno degli Stati membri, in N. LIPARI (a cura di), Diritto privato
europeo, cit. , p. 25
57
problema dei rapporti tra ordinamento interno ed ordinamento comunitario è antica
questione, che, nell’alternativa tra il ritenerli due ordinamenti autonomi o piuttosto
un unico ordinamento, si è risolta nell’opzione che ne risolve i rapporti in chiave di
armonizzazione, che comporta l’integrazione dell’ordinamento squisitamente
interno con le regole di matrice europea. Il processo di integrazione tra questi due
ordinamenti si muove non soltanto sul piano delle fonti del diritto, ma anche sul
terreno della giurisprudenza, ove si riconosce valore di precedente vincolante alle
pronunce della Corte di Giustizia CE. Nella sostanziale compenetrazione dei due
ordinamenti, si è autorevolmente osservato160 che si debba guardare all’effettività in
quell’attività
del
giudice
nazionale
il
quale
è
chiamato
a
compiere
l’interpretazione161 del diritto interno in modo conforme alle norme del diritto
comunitario162.
7. L’iter di sostanziale livellamento e tendenziale uniformazione delle normative
domestiche volte a regolare molteplici vicende intersoggettive, così che lo svolgersi
di tali rapporti avvenga alle medesime condizioni nei vari ordinamenti giuridici,
porta con sé l’esigenza, avvertita già da tempo, di individuare, per poi fornirne una
esplicitazione formale, un nucleo di principi inviolabili e di diritti fondamentali
validi per tutti gli ordinamenti, ai quali accordare tutela a livello interno e
comunitario163. Tale consapevolezza, giunta peraltro ad età matura ai giorni nostri,
si è concretizzata in una serie di iniziative e lavori i quali, benché pregni della
coscienza della attuale impossibilità in seno all’Unione europea di approntare gli
strumenti e le modalità di tutela che sono invece forniti dalle Carte costituzionali
dei vari Paesi, sono sfociati nell’adozione del Trattato di Lisbona che, nel
consegnare il progetto per una Costituzione europea ancora essenzialmente alle
intenzioni, da questa trae tuttavia in grandissima parte i propri contenuti sostanziali.
Il testo del Trattato, nell’apportare modifiche al Trattato sull’Unione europea e al
Trattato istitutivo della Comunità europea (che viene, con tale Trattato di riforma,
N. LIPARI, Il problema dell’effettività del diritto comunitario, cit., p. 641.
A. LUMINOSO, L’interpretazione del diritto privato comunitario (Regole e tecniche), in V.
SCALISI (a cura di), Scienza e insegnamento del diritto civile in Italia, Milano, 2004, p. 276;
nonché E. RUSSO, L’interpretazione dei testi normativi comunitari, in G. IUDICA – P. ZATTI,
Tratt. dir. priv., Milano, 2008, p. 263
162
Sull’argomento del principio dell’interpretazione conforme si veda in particolare V. COLCELLI,
Sistema di tutele nell’ordinamento giuridico comunitario e selezione degli interessi rilevanti nei
rapporti orizzontali, in Eur. dir. priv., 2009, 2, p. 557
163
Sul punto si veda M. ROSS, solidarietà: un nuovo paradigma costituzionale per l’Unione
europea?, in Riv. dir. sic. soc., 2009, 2, p. 239
160
161
58
denominato “Trattato sul funzionamento dell’Unione europea”), costituisce un
intervento per l’efficace integrazione europea, procedendo così a rinforzare lo
spirito democratico unitario che forse condurrà quasi alla “destatualizzazione” in
forza della partecipazione all’Organizzazione sovranazionale unitaria (l’Unione
Europea)164. In ogni caso, è indubbio che la tutela dei diritti fondamentali ora si
svolge necessariamente sul duplice binario del “diritto costituzionale statale” (che, a
nostro avviso, risulta essere un prepotente ossimoro laddove l’esigenza di tale
specificazione sia dovuta alla possibilità dell’opzione alternativa del “diritto
costituzionale non statale”) e del diritto affidato alle istituzioni comunitarie. Un
ordinamento costituzionale si fonda fisiologicamente su un alveo di principi
inviolabili e di diritti fondamentali, i quali fungono da criterio di orientamento e di
delimitazione del margine di discrezionalità attribuito al legislatore. La Corte
Costituzionale nella sentenza 1973 n. 183 ha affermato che le norme comunitarie
non possono violare i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale interno
né i diritti indisponibili della persona umana. Pertanto, se già da non breve periodo
gli atti normativi comunitari sono idonei ad apportare modifiche al diritto interno,
tuttavia essi non possono porsi in contrasto con quel nucleo di principi e diritti,
propri dell’ordinamento costituzionale, che non può essere in alcun modo intaccato.
Alla pronuncia della Consulta ne è seguita un’altra, quella del 1988 n. 1146, in cui
tale impostazione è stata ribadita con maggiore vigore e determinazione, a presidio
dei valori della Costituzione contro ogni eventuale ingerenza proveniente dagli
ambienti comunitari. Di qui, la affermata consapevolezza della necessità di
accordare tutela a tale schiera di principi anche a livello metastatale 165. Il processo
di elaborazione di un diritto costituzionale comune europeo si fonda sui principi
generali elaborati dalla Corte di giustizia CE, nonché su quanto contenuto nei vari
trattati europei. L’indagine intorno ai rapporti tra quanto affermato dalla Corte
costituzionale e dalla Corte di Giustizia CE nella materia dei principi e dei diritti
imprescindibili, integra la cosiddetta teoria dei “controlimiti”166, sintagma con cui si
allude al novero di limiti opponibili da parte dei giudici costituzionali dei vari Paesi.
164
F.D. BUSNELLI, La faticosa evoluzione dei principi europei tra scienza e giurisprudenza
nell’incessante dialogo con i diritti nazionali, in Riv. dir. civ., 2009, 3, 1, p. 287
165
E’ il cosiddetto fenomeno del costituzionalismo multilevel che domina la scena contemporanea.
Sul punto si veda S. GAMBINO, Multilevel costitutionalism e diritti fondamentali, in Dir. pubbl.
comp. ed eur., 2008, 3, p. 1144; nonché M. MEZZANOTTE, La ricerca della “better regulation” in
un sistema di “multilevel governance”, in Rass. Parl., 2007, 4, p. 1073
166
A. RUGGERI, Tradizioni costituzionali comuni e controlimiti, tra teoria delle fonti e teoria della
interpretazione, in Dir. pubbl. comp. ed eur., 2003, 1, p. 102 ss.
59
In assenza di una espressa elencazione, a livello comunitario, dei principi e dei
diritti fondamentali da tutelare nel luogo sovranazionale, la garanzia di tali valori si
svolge ancora sul terreno della simultanea partecipazione di più ordinamenti
giuridici, nell’ottica di un necessario dialogo tra le Corti (Corti costituzionali dei
vari Paesi e Corte di giustizia CE). Con la conseguenza per cui rimane
impregiudicato il sindacato costituzionale delle norme comunitarie per contrarietà a
principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale interno. Nella prospettiva
dell’integrazione europea si inseriscono, in particolare, la Carta dei diritti e la
Convenzione Europea dei Diritti Umani (CEDU)167.
L’argomento dei diritti fondamentali non può più, pertanto, essere condotto sulla
base del raffronto tra Codice civile e Costituzione, dal momento che la tutela civile
dei diritti coinvolge oggi l’ambito comunitario168.
167
G. VETTORI, Carta dei diritti e Costituzione europea, in G. VETTORI (a cura di), Diritto dei
contratti e “Costituzione” europea. Regole e principi ordinanti, Milano, 2005, p. 11, evidenzia il
“passaggio da un’Europa dei mercati ad un’Europa dei diritti”, nel momento in cui si avvii al
compimento il progetto di una Costituzione per l’Europa, non rinunciando ad esprimere curiosità
verso il modo in cui verrà accordata tutela ai diritti fondamentali del soggetto in quanto persona, che
non si esauriscono nelle libertà economiche di cui la libertà contrattuale costituisce un esempio.
168
A. PROTO PISANI, Note sulla tutela civile dei diritti, in Foro it., 2002, c. 165
60
Capitolo Secondo
La posizione del giurista tra categorie e principi del diritto dei contratti
SOMMARIO: 1. La categoria dei principi generali dell’ordinamento. L’ “invisibile presenza” 169 di
concetti, categorie, principi. Voluta aporia del Legislatore del 1942 nel dettare nozioni e nel
codificare i principi generali. (Rinvio al capitolo terzo per l’argomento delle attuali nozioni che
trovano ristoro nella legislazione di settore). Le clausole generali. Intorno alla buona fede: cenni
introduttivi. – 2. La buona fede: da strumento residuale a “signore della giustizia contrattuale”. Il
superamento della buona fede a vantaggio dell’oggettivo assetto dell’operazione economica. Storia
in breve della buona fede, dagli esordi domestici all’escatologia odierna nel quadro
dell’armonizzazione europea. – 3. Analisi del principio consensualistico: pretesto per una disamina
in chiave comparativa tra vendita cd. di diritto civile e vendita dei beni di consumo. – 4. Obblighi di
informazione e principio di trasparenza. La pubblicità. – 5. Il principio di ragionevolezza. L’equità in
materia di contratti: clausola generale, contenuto di un diritto, principio informatore della dinamica
negoziale o categoria definitoria? – 6. L’equilibrio contrattuale: sopravvenienze e rimedi tra norme
generali e Codice del consumo.
“la categoria… strumento operativo, forgiato dall’interprete in termini sempre
elastici e variabili”170.
N. Lipari
1.
La
categoria
dei
principi
generali
dell’ordinamento
giuridico
viene
tradizionalmente strutturata sulla base di concetti per i quali si pone il problema di
reperirne la specificità semantica nonché il contenuto, andandolo necessariamente a
ricercare in ambiti estranei al campo del diritto, per addentrarsi, così, nel tessuto
sociale, prediligendo, al contempo, una accezione e nozione oggettiva di tali
principi.
L’ampio novero di situazioni che possono darsi nella concretezza della variegata
compagine sociale, considerata nella sua complessità, e che trovano la loro
necessaria disciplina all’interno dell’ordinamento giuridico, comporta che la
struttura normativa presenti i requisiti della astrattezza e della generalità, in modo
tale da essere in grado di trascendere tale predetta complessità171, dovuta alla
molteplicità delle vicende che hanno luogo nella realtà effettiva, riuscendo, al
tempo stesso, ad andare a disciplinarle attraverso un procedimento di sussunzione di
queste ultime nella regola stessa, sulla base delle classi e categorie generali172. Si
verifica, pertanto, uno “scambio continuo e crescente di informazioni tra sistema
G.B. FERRI, L’”invisibile” presenza della causa, in Eur. dir. priv., 2002, p. 897 ss.
N. LIPARI, Prolegomeni ad uno studio sulle categorie del diritto civile, in Riv. dir. civ., 2009, I,
p. 515 ss. L’argomento viene affrontato successivamente dall’Autore in Categorie civilistiche e
diritto di fonte comunitaria, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 1, p. 1 ss.
171
A. ROSS, Diritto e giustizia, Torino, 1965, p. 20, afferma che “La ricerca che si occupa del
diritto in azione è detta sociologia del diritto, mentre quella che si occupa delle norme giuridiche è
detta scienza del diritto”.
172
V. GUARNIERI, v. Clausole generali, in Dig., disc. priv., sez. civ., IV ed., II, Torino, 1988, p.
411
169
170
61
giuridico e ambiente sociale”173, dove il primo costituisce espressione del secondo,
appartenendo fisiologicamente ad esso. Il ruolo svolto dai cosiddetti concettivalvola, quale la buona fede, all’interno dell’ordinamento giuridico, consiste
proprio nel permettere una apertura dell’ordinamento a metri valutativi della realtà
concreta che si riempiono del loro significato e contenuto sostanziale con una
diversa peculiarità, a seconda del periodo storico nel quale essi sono operativi174. Si
potrebbe, così, asserire che i concetti-valvola siano l’elemento di adeguamento
dell’ordinamento alle contingenze della realtà sociale che vengono contestualizzate
in un determinato momento cronologico. I concetti contenuti nelle clausole generali
hanno una storia175, non sono una mera creazione della fase contemporanea176. Quel
che risulta innovativo è, piuttosto, il diverso ruolo che essi sono chiamati a
ricoprire, all’interno dell’ordinamento, ai giorni nostri. L’opzione del Legislatore
del 1942 di spargere qua e là concetti-valvola177 in varie formulazioni normative del
vigente Codice civile, senza peraltro fissarne le nozioni, corrisponde all’intuizione
della necessità di non fare dell’ordinamento un “tutto esaurito” all’interno del
dettato normativo espresso, poiché ciò si sarebbe rivelato fallace, se è vero che la
“tenuta diacronica” di una norma è misura della capacità della stessa di adattarsi
alle mutate esigenze della compagine sociale nella quale essa è effettiva, col passare
del tempo178. Fra le varie clausole generali nelle quali il giurista si imbatte, quella
della buona fede ricopre, in modo indiscusso, il ruolo di protagonista. Se, fin dai
173
M. BARCELLONA, Clausole generali e giustizia contrattuale. Equità e buona fede tra codice
civile e diritto europeo, Torino, 2006, p. 12
174
E’significativa, al riguardo, l’osservazione di A. MUSIO, La buona fede nei contratti dei
consumatori, Napoli, 2001, p. 17, secondo cui “il riferimento alla buona – o mala – fede nel nostro
codice civile è effettuato circa settanta volte: questo dato numerico è stato sufficiente per convincere
la dottrina dominante a ritenere quanto mai improbabile una ricostruzione unitaria di tale concetto”.
175
L. BIGLIAZZI GERI, v. Buona fede nel diritto civile, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., II, Torino,
1988, nel rintracciare i vari significati del principio di buona fede già a partire dal mondo romano,
esordisce, nell’incipit dell’autorevole contributo, ricordando che “la buona fede rappresenta una
costante nell’ordinamento giuridico italiano”.
176
L. MENGONI, Spunti per una teoria delle clausole generali, in Il principio di buona fede, in Atti
della giornata di studio pisana, Milano, 1987, p. 5
177
A. MUSIO, La buona fede nei contratti dei consumatori, cit., p. 22, osserva che “l’inserimento
nel nostro ordinamento della clausola generale della buona fede oggettiva fu accolto con un diffuso
sentimento di sfavore da parte degli interpreti. Tuttavia, ciò non deve stupire dal momento che la
sensibilità per la rilevanza di una clausola generale è il portato della cultura e delle scelte politicoideologiche di un’epoca. In effetti il predominio della cultura positivistica del secolo scorso, mirante
a sottrarre ogni potere all’interprete, aveva condotto a considerare le clausole generali come una
sorta di male minore. Esse venivano viste semplicemente come la riprova della coerenza e della
completezza del sistema positivo capace da sé – fissando anche le eccezioni a conferma delle regole
– di riassorbire gli scarti della realtà pur con un sacrificio rappresentato appunto dalla clausola
generale”.
178
Per un approccio di carattere storico-critico all’argomento si veda amplius D. CORRADINI, Il
criterio della buona fede e la scienza del diritto privato, Milano, 1970, passim.
62
suoi esordi all’interno della vigente codificazione, e per molto tempo nell’ambito
della “storia della disciplina del contratto”, la clausola di buona fede è stata
guardata alla stregua di un rimedio di carattere ultraresiduale, al quale fare ricorso il
meno possibile, in quanto ritenuto, probabilmente, quasi un “fattore destabilizzante
e sovversivo” di quella rassicurante tendenza a misurarsi con le norme che “non
lasciano all’interprete tanto ampi margini di interpretazione”, sembrando, così,
guidarlo ed accompagnarlo maggiormente nel suo delicato lavoro di adeguamento
della formula testuale alla vicenda concreta179, mediante la trasposizione del
concetto astratto in un risultato applicativo geneticamente inimitabile, a livello
processuale180, nella sua specificità. Nel corso del tempo, l’emergere di innovative
vicende socio-economiche, alle quali si sono accompagnati altrettanto nuovi schemi
negoziali, privi, quindi, di una disciplina dettata a livello legislativo, ha dato un
significativo impulso al ricorso, da parte dell’interprete, alle clausole generali, per
dirimere le controversie insorte nell’ambito dell’esecuzione dei rapporti derivanti da
tali contratti. Il fenomeno della atipicità negoziale, sul duplice terreno delle
negoziazioni prettamente domestiche così come di quelle di respiro transnazionale,
è valso a dimostrare, pertanto, l’importanza che rivestono i concetti-valvola, primo
tra tutti quello di buona fede, in particolare nella sua accezione oggettiva che è
operativa nella sedes dei contratti181. Le potenzialità della buona fede vengono
dimostrate oggigiorno nel quotidiano svolgersi della fitta e assai complicata rete
delle dinamiche negoziali che coinvolgono operatori commerciali ed anche
operatori giuridici appartenenti ai più svariati Paesi, compiendo tale principio il
proprio “lavoro a tempo pieno” nelle Corti nonché nei luoghi della giustizia
extraprocessuale182. Attraverso la buona fede è possibile effettuare una sorta di
livellamento e di accomunamento della posizione delle parti contraenti, le quali
appartengono generalmente ad ordinamenti giuridici diversi, con la conseguenza
L. NANNI, La buona fede contrattuale, Padova, 1988, apre l’Introduzione al suo lavoro con il
considerare che “tra i grandi temi del diritto giurisprudenziale vi è senz’altro la funzione creativa
svolta dai giudici nel dare contenuto alla clausola generale di maggior rilievo nell’intero settore
contrattuale”, aderendo, così, alla problematica della qualificazione in termini semantici e
contenutistici del concetto di buona fede.
180
Sul punto si veda G. ALPA – N. BUCCICO, Il codice civile europeo, Milano, 2001, passim.
181
Nella materia dei diritti reali, è la stessa lettera della legge a preoccuparsi di riempire di
significato il “contenitore” della buona fede, conferendo ad essa una accezione prettamente
soggettiva, intesa quale “ignoranza di ledere l’altrui diritto, di cui all’art. 1147 c.c. Sul punto si veda
G. GIAMPICCOLO, La buona fede in senso soggettivo nel sistema del diritto privato, in Riv. dir.
comm., 1965, p. 165
182
V. SCALISI, Il nostro compito nella nuova Europa, in V. SCALISI (a cura di), Il ruolo della
civilistica italiana nel processo della costruzione della nuova Europa, Milano, 2007, p. 24 ss., si
sofferma sul ruolo del giurista nel mutato contesto nel quale egli si trova ad operare.
179
63
per cui le regole nazionali espressamente dettate per risolvere quella specifica
controversia o non vi sono (si pensi ai contratti atipici) o portano a soluzioni ed
assetti nettamente diversi a seconda che venga applicata la legge di uno Stato
piuttosto che quella di un altro. Se si osserva, invece, la presenza del principio di
buona fede, con le sue specificità all’interno degli ordinamenti dei vari Stati, è
possibile accorgersi di come tale principio sia in realtà attivo in un vasto numero di
Paesi, e presenti, nelle sue applicazioni, un significato piuttosto omogeneo, che si
esprime sempre in una connessione tra la sfera di ciò che è disciplinato dalla legge e
la dimensione dell’etica, propria del vivere sociale, considerata nella sua prospettiva
diacronica. L’apertura dell’ordinamento alle istanze sociali, con la coscienza del
tempo, si attua, così, mediante l’inserimento di “monadi del mondo dell’etica” in
ciò che appartiene al giuridico183. La prospettiva attraverso cui si osservano i
concetti-valvola restituisce allo sguardo una immagine dell’ordinamento in continua
espansione, non soltanto tramite l’attività legislativa che potremmo definire
ordinaria, ma anche attraverso le applicazioni del diritto ai casi concreti, malgrado
formalmente non sia ancora avvenuta, nel nostro sistema giuridico, quella
rivisitazione formale della gerarchia delle fonti del diritto in seguito alla quale
venga preso atto, da parte della stessa lettera della legge, che le sentenze dei giudici
appartengono già, di fatto, al novero delle prime. Ci si accorge, tuttavia, che
l’operatività delle clausole generali, nel permettere l’apertura e l’integrazione
dell’ordinamento con la realtà sociale, costituisce, da un lato, una forma di
“autopoiesi
normativa”184e,
dall’altro,
un
sintomo
della
esigenza
di
eterointegrazione dell’ordinamento giuridico mediante l’apertura alla dimensione
183
Non è da trascurare come la presente stagione giuridica presenti tuttavia delle peculiarità che
eccedono il semplice evolversi cronologico, determinando profonde fratture e discontinuità rispetto
alla tradizione del diritto, come osserva U. BRECCIA, Contratto e comune quadro europeo. Note
introduttive, in Annuario del contratto 2009, Torino, 2010, p. 12, “il diritto va ormai da tutti
analizzato sullo sfondo di un orizzonte normativo che, in maniera difficilmente comparabile con altri
tempi della storia, è mutevole e non lineare”.
184
M. BARCELLONA, Clausole generali e giustizia contrattuale, cit., p. 25, in cui l’autore afferma
che “la prospettiva dell’autopoiesi normativa esclude, a sua volta, che la mera formazione
giudiziaria del precetto possa essere così, di per sé, assunta a indice sufficiente di un’ineffabile
discrezionalità giudiziale. Segnatamente, la comprensione dei concetti-valvola nella prospettiva
della teoria sistemica è in grado di apprezzare la reale natura dell’integrazione normativa, per il loro
tramite perseguita dall’ordinamento,e di tracciare misura e limiti della discrezionalità giudiziale, cui
danno luogo. L’ ”autonomia”, che caratterizza specificamente il diritto moderno, risiede,
innanzitutto, nell’indipendenza con la quale il sistema giuridico rielabora i problemi sociali. Nella
loro trasposizione dall’ambiente sociale al sistema giuridico, i problemi, i conflitti vengono
“artificialmente” ricostruiti ed autonomamente rielaborati. In questa rielaborazione il sistema
giuridico si avvale spesso del linguaggio degli altri (sotto)sistemi e delle loro scienze; ma tale
linguaggio, quando viene trasposto dall’ambito esterno all’ambito giuridico, subisce una
ritrascrizione, che lo separa dal suo originario significato e gli attribuisce il senso proprio del
contesto giuridico specifico nel quale è utilizzato”.
64
sociale, alla quale appartengono i precetti ed i valori dell’etica185. Se, quindi, le
clausole generali costituiscono valvole di apertura dell’ordinamento giuridico verso
l’esterno, si dovrà allora tenere sempre presente, nell’approccio a principi quali la
buona fede, la intrinseca connessione tra diritto e società, anche quando la disamina
di un tale argomento ci immetta nella più ampia questione circa la possibilità o
meno di ricostruire la buona fede in chiave di valore costituzionalmente
riconosciuto186. Come già si è accennato, l’argomento assume notevole rilevanza
nella prospettiva del riconoscimento alla buona fede del ruolo di strumento
attraverso cui l’interprete possa decidere le controversie, in determinati contesti. In
tali circostanze, si registra una maggiore libertà ed autonomia dell’interprete
nell’orientare la propria decisione, dal momento che egli non si limita ad
individuare la norma da applicare al caso concreto, ma si spinge alla maturazione di
una decisione che si fonda sulla sua prudente valutazione degli elementi e dei
comportamenti di fatto che appartengono alla vicenda, verificandone lo svolgersi in
ossequio o meno ai parametri oggettivi della lealtà e correttezza, facendo ricorso,
quali metri valutativi, a modelli e standard di comportamento socialmente accettati
e condivisi, idonei a fungere da criteri orientativi per la maturazione della decisione.
Dall’analisi della struttura dell’ordinamento risulta possibile rintracciare una sorta
di doppio binario che si articola sul duplice terreno della legislazione rigorosamente
dettata nelle norme di legge “in senso stretto”, da un lato, ed in una legislazione
fondata sui principi, dall’altro. A ben vedere, i principi generali assolvono anche ad
un’altra funzione: essi si collocano come limiti che l’ordinamento fissa per
l’autonomia privata187.
Se il legislatore ha consegnato all’attitudine del giurista l’elaborazione di nozioni e
categorie quali quella dei concetti giuridici indeterminati, dei concetti normativi, dei
concetti di discrezionalità, delle clausole generali, certamente ha però compreso che
il novero delle regole non poteva esaurirsi nell’ambito delle fattispecie di carattere
meramente casistico188. Merita ricordare che la dottrina sulla natura e sul significato
185
Per una compiuta riflessione sul punto si veda C.M. BIANCA, Il processo di unificazione dei
principi di diritto contrattuale nell’ambito dell’Unione europea, in G. VETTORI (a cura di),
Materiali e commenti sul nuovo diritto dei contratti, Padova, 1996, p. 849 ss.
186
G. SICCHIERO, Appunti sul fondamento costituzionale del principio di buona fede, in Giur. It.,
1993, I, 1, p. 2129 ss.
187
A. RICCIO, La clausola generale di buona fede è, dunque, un limite generale all’autonomia
contrattuale, in Contr. Impr., 1999, 1, p. 21
188
Una chiara esposizione di tali nozioni ci è fornita da A. GUARNIERI, v. Clausole generali, in
Dig. Disc. priv. sez. civ., II, Torino, 1988, p. 403, ove l’Autore osserva, in particolare, come la
peculiarità delle clausole generali consista, proprio per la loro indeterminatezza semantica, nel
65
da attribuire alle clausole generali è assai generosa, essendosi da alcuni ritenuto che
tali clausole integrino una sorta di opzione, di alternativa alle regole di diritto
scritto, laddove quest’ultimo presenti dei limiti, in forza del rinvio a standard di
condotta; da altri, al contrario, si è escluso ogni rinvio ai comportamenti reiterati nel
tessuto sociale ed in esso sedimentati, preferendosi piuttosto guardare alla clausola
generale come ad una norma che apre il sistema ai valori propri della collettività
organizzata cui essa appartiene189.
Nel contesto contemporaneo, in cui il ricorso, molto frequente, alle clausole
generali permette non soltanto la soluzione di controversie legate a fattispecie che
esulano dalla casistica contenuta nella legge “dettata senza lasciare margini
all’interprete”, ma anche di operare l’ambìto avvicinamento delle varie legislazioni
nazionali, occorre ripercorrere la distinzione tra clausole generali e principi generali
dell’ordinamento, malgrado l’individuazione del limes costituisca, da molti anni, un
tentativo di ricerca piuttosto che un approdo incontrovertibile190. I principi generali
si presentano al giurista in via aprioristica, costituendo il substrato delle previsioni
di legge attraverso le quali essi trovano attuazione. Le clausole generali, invece, se,
da un lato, sono contenute in disposizioni di legge, dall’altro, costituiscono esse
stesse attuazione dei principi generali.
Della buona fede sono state fornite, nel corso degli anni, svariate ricostruzioni,
essendo in essa ravvisato, da alcuni, un principio di lealtà reciproca che si
fonderebbe sulla necessaria presenza di presupposti etici nello svolgersi delle
relazioni inter singulos aventi il crisma della giuridicità; da altri, la funzione
eterointegrativa della buona fede ha permesso di esprimersi, con riguardo ad essa,
in termini di principio generale dell’ordinamento, accostandolo al principio di
solidarietà191 di cui all’art. 2 Cost. ed all’art. 12 secondo comma disp. prel. cod. civ.
Ciò che vale, in via generale, ad identificare un principio è il carattere aprioristico
della formulazione dell’enunciato, suscettibile di assurgere a cornice entro cui si
regolare molteplici fattispecie concrete, così da colmare le lacune delle regole a fattispecie ben
determinata.
189
C. CAMARDI, Tecniche di controllo dell’autonomia contrattuale nella prospettiva del diritto
europeo, in Eur. dir. priv., 2008, 4, p. 831
190
G. ALPA, Il diritto giurisprudenziale e il diritto “vivente”. Convergenza o affinità dei sistemi
giuridici?, in Sociologia dir., 2008, 3, p. 47
191
E. BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, Milano, 1955, passim, qualifica l’obbligo di buona
fede in termini di “impegno di cooperazione”, “spirito di lealtà”, “attiva cooperazione”, “rispetto
reciproco dei contraenti”. Contra S. RODOTA’, Appunti sul principio di buona fede, in Foro pad.,
1964, I, p.1285 ss., tratta la buona fede alla stregua di una clausola generale, che assume rilevanza in
quanto inserita nel novero delle fonti di integrazione del contratto, con la funzione di correggere
l’assetto di interessi divisato dalle parti contraenti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale.
66
inscrive un ampio novero di specifiche disposizioni di legge che ne costituiscono
espressa applicazione, nonché di pronunce giurisprudenziali che risolvono
fattispecie concrete alla luce di esso. La tendenza, che si registra nel momento
contemporaneo, al ricorso ad una “legislazione per principi” contiene in sé un dato
essenziale: la consapevolezza che “i principi si possono rendere relativi, senza con
questo cessare di essere validi”, mentre “le regole, o sono integralmente applicate o
sono violate”192. I principi generali dell’ordinamento intervengono a colmare le
lacune che le regole di legge espressamente dettate possano presentare in sede di
soluzione di una vicenda concreta. I principi richiamati nell’art. 12 disp. prel. cod.
civ. sono quelli tradizionali, elaborati nella veste di elementi che garantiscono e
rappresentano il fondamento unitario dell’ordinamento giuridico, laddove le aporie
delle regole specifiche necessitino di essere supplite in sede di regolazione delle
multiformi vicende sociali. Per perseguire tale funzione, la struttura dei principi si
presenta aperta, in quanto rinvia ad elementi esogeni alla sfera giuridica, da
rintracciarsi nel tessuto sociale. Sono strumenti che assicurano l’apertura del
sistema giuridico193, per il tramite attuativo delle clausole generali194.
2. La clausola generale di buona fede195 necessita, nel contesto contemporaneo, di
una rivisitazione critica196. Essa conosce, nel quadro del contingente “spirito di
armonizzazione”, dal quale è pervasa la materia dei contratti, una notevole
valorizzazione, ricoprendo, in modo particolare, il ruolo di strumento che permette
lo svolgersi delle negoziazioni tra soggetti diseguali, spesso appartenenti ad
ordinamenti giuridici diversi, riuscendo ad attuare il compito di tutelare la posizione
192
G. ZAGREBELSKY, Intorno alla legge. Il diritto come dimensione del vivere comune, Torino,
2009, p. 102. L’Autore pone in risalto l’idoneità dei principi ad attuare il processo di “integrazione
sociale”, in quanto “essi non producono un’unità staticamente realizzata, ma un’unità da realizzarsi
sempre di nuovo, dinamicamente” (p. 104).
193
R. COOTER – U. MATTEI – P.G. MONATERI – R. PARDOLESI – T. ULEN, Il mercato delle
regole, Bologna, 2006, p. 138
194
L. MENGONI, Spunti per una teoria delle clausole generali, in Il principio di buona fede.
Giornata di studio. Pisa, 14 giugno 1985, Milano, 1987, p. 9 ss., nel considerare che le clausole
generali non sono né norme di carattere generale, in quanto non sono strutturate secondo la sequenza
fattispecie-comando che è propria della norma generale, né principi generali, in quanto, a differenza
di questi ultimi, esse non sono principi nati per via deduttiva, quanto piuttosto “norme incomplete”,
le quali “impartiscono al giudice una misura, una direttiva per la ricerca della norma di decisione”
(p. 10), attraverso cui è possibile all’interprete elaborare una regola per decidere su una controversia
in concreto.
195
Sul punto si veda compiutamente S. ROMANO, v. Buona fede, in Enc. dir., V, Milano, 1959, p.
683.
196
M. BARCELLONA, La buona fede e il controllo giudiziale del contratto, in S. MAZZAMUTO
(a cura di), Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, Torino, 2002, p. 324, il quale
evidenzia l’importanza della buona fede quale strumento attraverso cui intervenire sull’equilibrio
economico del rapporto che ha origine con il contratto.
67
del contraente debole197. Emerge, pertanto, come gli odierni confini della buona
fede si stiano dilatando198, con un risultato che appare quasi diametralmente
opposto alla situazione che ha visto coinvolto tale principio nel periodo
immediatamente successivo all’entrata in vigore del Codice civile del 1942199. Nel
vigente contesto, di respiro transnazionale, alla buona fede è demandato il compito
di tutelare il ragionevole affidamento200 di ciascuno dei contraenti nei confronti del
vincolo negoziale, che risulta ormai costituire, in modo soltanto parziale,
espressione dell’incontro delle volontà dei soggetti che lo pongono in essere, se si
pensa che nei Principi di diritto europeo dei contratti elaborati dalla Commissione
Lando si può leggere all’art. 2:102 che “la volontà di una parte di vincolarsi
giuridicamente è quella che si ricava dalle dichiarazioni e dalla condotta di essa così
come sono state ragionevolmente comprese dall’altra parte”. Ne deriva un
panorama anomalo rispetto a quello al quale si è tradizionalmente avvezzi: in
un’ottica di rottura con l’impostazione usuale, occorre acquisire la capacità di
guardare a questa nuova serie di dinamiche negoziali, per così dire asimmetriche,
abbandonando l’idea che i soggetti che si accingono a dare origine ad un vincolo
contrattuale siano entrambi soggetti attivi, ed aventi pari potere di influenzare il
contenuto del contratto201. Al contrario, l’innovazione si coglie proprio nella
circostanza per cui ci si trova in presenza di un soggetto che predispone
unilateralmente le regole che governano le fasi salienti del rapporto negoziale,
rispetto alle quali l’altro contraente si limiterà ad accettarle o meno 202. L’adesione
di quest’ultimo al contratto si fonda sul ragionevole affidamento che egli stesso
abbia fatto, in ossequio alla regola di buona fede, sui comportamenti e sulle
197
M. GRONDONA, Solidarietà e contratto: una lettura costituzionale della clausola generale di
buona fede, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2004, p. 727.
198
Risulta interessante la ricostruzione della buona fede fornita da L. BANDINELLI, L’evoluzione
interpretativa della clausola generale di buona fede nella dinamica del comportamento
contrattuale, in Rass. dir. civ., 2004, p. 661.
199
S. RODOTA’, Le fonti di integrazione del contratto, op. cit., passim.
200
S. TROIANO, I riferimenti alla “ragionevolezza” nel diritto dei contratti: una prima
classificazione, in Obbl. contr., 2006, p. 209, evidenzia che il criterio della ragionevolezza, così
come configurato nelle sue connotazioni applicative, “pare evocare quelle esigenze di equilibrio
economico e normativo nonché di giustizia contrattuale che trovano normalmente collocazione,
nella tradizione italiana, in alcune utilizzazioni del criterio dell’equità e, almeno in parte, anche della
buona fede”, ricordando come nella Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni
mobili la correttezza sia invocata implicitamente laddove si dispone che la parte venga dispensata
dalle spese irragionevoli o dai costi irragionevoli per la conservazione o la vendita delle merci,
ponendo in luce “il significato del ragionevole come criterio di equilibrio e di proporzionalità” (p.
209).
201
A. DEL FANTE, Buona fede prenegoziale e principio costituzionale di solidarietà, in Riv. dir.
civ., 1983, p. 156 ss.
202
A. DI MAJO, La buona fede correttiva di regole contrattuali, in Corr. Giur., 2000, p. 1479 ss.
68
dichiarazioni del primo, che vengono, così, ad incidere massimamente sull’evento
della conclusione del contratto203. La sensibilità del giurista potrà avvertire
agevolmente in ciò uno spostamento dalla dimensione soggettiva del contratto alla
sua oggettività, una volta ancorato il momento dell’accordo non più all’incontro
delle volontà delle parti contraenti, quanto piuttosto a quel binomio manifestazione
– affidamento con riguardo al quale si colloca l’operatività dello stesso principio di
buona fede204. Il quadro appena delineato conduce a rilevare la progressiva
riduzione dell’ingerenza dei soggetti privati
nella previsione e nella
regolamentazione degli effetti del contratto al quale essi danno origine205. E lo
stesso contenuto del contratto è suscettibile di subire modifiche ed alterazioni, in
una fase successiva rispetto a quella del perfezionamento dello stesso, proprio in
forza dell’operatività del canone di buona fede, al quale fa ricorso il giudice in sede
di integrazione e di adeguamento del regolamento negoziale nella sua fase
esecutiva, a tal punto da potersi registrare un progressivo indebolimento della
volontà individuale nell’iter di determinazione degli effetti negoziali206. Dalla
politica di armonizzazione delle legislazioni e dal lavoro volto a fornire una
normativa uniforme per i contratti a livello non solo europeo ma anche
internazionale, emerge come al predetto indebolimento della autonomia negoziale
in sede di formazione del contenuto del contratto si accompagni il progressivo
rafforzamento del ruolo che svolgono le clausole generali nelle varie fasi relative
alla vicenda negoziale, da quella che precede il raggiungimento dell’accordo a
quella di esecuzione del rapporto che trova la propria origine nello stesso contratto.
Volendo riassumere in una frase i tratti salienti dell’odierno panorama dei contratti,
203
C.M. BIANCA, La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale, in Riv.
dir. civ., 1983, p. 209
204
S. FORTUNATO, Clausole generali e informazione contabile fra integrazione giurisprudenziale
e integrazione professionale, in Contr. e impr., 2010, 2, p. 477 ss. evidenzia l’ultraoperatività delle
clausole generali in molteplici settori dell’ordinamento, emblema della necessità di costante
adeguamento della legge alle esigenze di una realtà economica e sociale in incessante divenire,
mettendo in luce come anche nell’ambito dell’informazione contabile societaria trovi applicazione il
sistema per clausole generali che è diffuso nella materia delle obbligazioni e dei contratti.
205
F. GALGANO, Le forme di regolazione dei mercati internazionali, in Contr. e impr., 2010, 2, p.
353 ss., tratta l’argomento della regolazione dei mercati internazionali per il tramite dello strumento
della convenzione internazionale fra Stati per la formazione di un diritto uniforme che permetta di
superare le diversità tra i vari diritti nazionali. Viene sottolineato il ruolo svolto dalle organizzazioni
internazionali, quale l’Organizzazione mondiale del commercio, con lo scopo di “favorire e
promuovere accordi commerciali multilaterali aventi ad oggetto la determinazione di quelle regole,
oltre che nel prestare la propria collaborazione all’attuazione degli accordi multilaterali, una volta
che siano stati conclusi, e nel risolvere le controversie insorte nella loro attuazione” (p. 355).
206
Una conferma di tale rilievo è costituita dal tenore dell’art. 6:102 dei Principi di diritto europeo
dei contratti, nel quale si prevede che il contratto possa, nel suo contenuto, presentare anche clausole
implicite, derivanti non soltanto dalla volontà e dall’intenzione delle parti contraenti, ma anche dalla
natura e dall’oggetto del negozio, oltre che dalla buona fede e dalla correttezza.
69
si potrebbe dire che esso si staglia lungo la tensione dialettica tra autonomia ed
eteronomia in sede di costruzione dell’assetto degli interessi connesso al rapporto
negoziale. La buona fede interviene a sottrarre la definizione del regolamento
negoziale al mero monopolio della volontà di quello tra i due contraenti che ricopre
“la posizione egemone”. Il canone della buona fede modula, così, l’estensione del
potere riservato all’autonomia negoziale, mediante il confinarsi di essa entro i limiti
derivanti dall’osservanza degli stessi principi di buona fede e di correttezza, che
assurgono a clausole foriere di standard di condotta alle quali le parti sono tenute
ad attenersi, senza alcuna possibilità di derogarvi207. In tale prospettiva, la buona
fede andrà a condizionare il contenuto del negozio nonché la sua articolazione
definitiva, non solo quella strutturale ma anche quella effettiva, intendendosi come
tale quella che risulterà in sede di attuazione del vincolo208. La buona fede, quale
clausola di adeguamento del sistema giuridico alle sollecitazioni derivanti
dall’esigenza che il contesto economico-sociale sia ambientato nella cornice
dell’etica del solidarismo, è andata assumendo, proprio per tale ragione, nel corso
degli anni, una importanza crescente209. La tendenza alla forte ingerenza del canone
di buona fede nella sede delle contrattazioni transnazionali prende le mosse
dall’epoca in cui è stata elaborata la Convenzione di Vienna in materia di vendita
internazionale di beni mobili, all’interno della quale il tenore dell’art. 7 primo
comma dispone che l’interpretazione della disciplina si deve operare sulle basi della
promozione dell’uniformità della sua applicazione e dell’osservanza della buona
fede nel commercio internazionale210. Questo principio assurge, dunque, a pilastro
delle negoziazioni internazionali. Con la conseguenza per cui il criterio della buona
fede acquista importanza non soltanto nell’ambito applicativo della Convenzione,
ma assume altresì una posizione di centralità nel contesto dell’intera disciplina
207
R. MANENTI, Il principio di interpretazione del contratto secondo buona fede, in I Contratti,
2001, p. 1087, in cui l’Autore rileva come il momento interpretativo del contratto debba essere
saldato a due altri momenti imprescindibili: quello della qualificazione e quello dell’integrazione del
contratto stesso, proseguendo col ricordare come l’intenzione dell’ordinamento nel predisporre il
criterio della buona fede oggettiva sia da ravvisare in un’esigenza di tutela dell’ordine pubblico in
materia contrattuale, laddove il principio di buona fede in senso oggettivo venga costantemente
tenuto in correlazione con gli artt. 2 e 3 Cost., quale “strumento di valutazione del comportamento
dei soggetti del rapporto obbligatorio” (p. 1088).
208
A. DI MAJO, Principio di buona fede e dovere di cooperazione contrattuale, in Corr. Giur.,
1991, p. 789
209
M.R. MORELLI, La buona fede come limite all’autonomia negoziale e fonte di integrazione del
contratto nel quadro dei congegni di conformazione delle situazioni soggettive alle esigenze di
tutela degli interessi sottostanti, in Giust. civ., 1994, I, p. 2159
210
F.D. BUSNELLI, Note in tema di buona fede ed equità, in L. GAROFALO (a cura di), Il ruolo
della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea, Padova, 2003,
passim.
70
uniforme. Spostandosi dall’ambito europeo a quello di respiro internazionale,
all’interno dei Principi Unidroit211, in materia di contratti commerciali
internazionali, tale predetta centralità del criterio della buona fede è il risultato di un
accurato e non facile lavoro di coniugazione dei vari ordinamenti nazionali, anche
appartenenti a “branche strutturali” sostanzialmente diverse: quelli di civil law e
quelli di common law. La ricostruzione della buona fede che emerge dai Principi
Unidroit si riassume nell’elevazione della stessa a pilastro nonché a “criterio di
orientamento” per l’intero sistema di regole. Nello stesso incipit del Testo si colloca
il precetto che impone alle parti di agire in ossequio ai canoni di buona fede e
correttezza nel commercio internazionale. La buona fede svolge innegabilmente una
funzione normativa, se si allude con tale accezione a quel compito che si sostanzia
nel disciplinare i contegni individuali, in forza di valori superindividuali, quali
l’interesse all’equo svolgimento della dinamica negoziale212. Tale lavoro è reso,
peraltro, possibile dall’operatività della buona fede anche a livello ermeneutico,
nonché in sede di integrazione delle determinazioni convenzionali213, dimostrando,
così, la propria idoneità all’incidenza nelle varie fasi e vicende della dinamica
negoziale214.
Nei contratti dei consumatori, il riferimento alla buona fede è, attualmente,
effettuato in modo esplicito nella formulazione di cui all’art. 2 secondo comma lett.
c-bis) cod. cons., che, peraltro, costituisce il precipitato di una novella legislativa
del 2007, in cui si annovera tra la serie dei diritti fondamentali215, dei quali il
consumatore è riconosciuto titolare, anche quello “all’esercizio delle pratiche
commerciali secondo i principi di buona fede, correttezza e lealtà”. La scelta di
approntare una sistemazione organica ed uniforme per la materia dei consumi è,
come è noto, piuttosto recente. Le radici della normazione consumeristica nel nostro
ordinamento, peraltro sempre di netta ispirazione comunitaria, vanno rintracciate
G.B. FERRI, Il ruolo dell’autonomia delle parti e la rilevanza degli usi nei Principi
dell’Unidroit, in Contr. impr. Eur., 1996, p.
212
F. GAZZONI, Equità e autonomia privata, Milano, 1969, p. 159
213
E.C. ZACCARIA, Sopravvenuto squilibrio delle prestazioni (hardship) e adattamento del
contratto nel commercio internazionale, in G. ALPA – G. CAPILLI (a cura di), Lezioni di diritto
privato europeo, Padova, 2007, p. 405
214
C.M. BIANCA, La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale, in Riv.
dir. civ., 1983, 3, p. 205-216
215
Si discute, in dottrina, se l’elenco contenga o meno un numerus clausus di posizioni giuridiche
soggettive da riconnettersi allo status di consumatore. L’argomento è controverso. L’opinione
prevalente si mostra contraria a tale impostazione; tuttavia voci autorevoli rilevano la impossibilità
di guardare alla formulazione qui richiamata con le lenti della tipicità tassativa. Sul punto si veda G.
ALPA, Sub art. 1, in G. ALPA – LEVI (a cura di), I diritti dei consumatori e degli utenti, Milano,
2001, p. 18.
211
71
nella significativa novella al Codice civile con la quale sono stati introdotti gli artt.
1469-bis e seguenti. Occorre pertanto rivolgersi alle regole appena richiamate, se si
vuole individuare il margine di operatività del principio di buona fede in tale
settore. Certamente, l’idea, condivisibile e supportata dalla ratio della disciplina dei
consumi, che risulta dal tenore dell’impianto normativo contenuto nel Codice del
consumo è quella secondo cui il legislatore ha fatto ricorso al principio della buona
fede al fine di vincolare gli imprenditori a determinati contegni, quale il dovere di
informazione a favore dei consumatori, nonché per stabilire doveri generali di
correttezza e lealtà, la cui autonomia è, peraltro, da parte di alcuni, definita
discutibile rispetto alla possibilità che essi vengano considerati da riassorbirsi
all’interno dello stesso principio di buona fede, a garanzia della posizione del
contraente debole216. Il riferimento alla buona fede ha comportato non pochi
problemi interpretativi della disposizione di cui all’art. 1469-bis c.c. La buona fede
viene in considerazione certamente nell’accezione oggettiva, in qualità di criterio
che, tuttavia, è suscettibile di essere superato ogniqualvolta, malgrado il
predisponente si sia comportato in modo leale e corretto, le pattuizioni
standardizzate determinino a carico del consumatore un significativo ed
ingiustificato squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto per le
parti; in tale circostanza, infatti, la necessità di apprestare una tutela di carattere
altrettanto oggettivo per la posizione di debolezza alla quale è fisiologicamente
esposto il consumatore comporta l’effetto della sanzione di vessatorietà delle
pattuizioni idonee ad arrecare pregiudizio a questi217.
La buona fede contrattuale, nel plurimo contesto in cui si articola il panorama delle
fonti del diritto dei contratti, viene ad assumere sfumature operative e peculiarità
diverse a seconda del luogo normativo considerato218. In ossequio alla attuale
impostazione del settore dei contratti strutturata per materia, nelle sue innumerevoli
partizioni interne, occorre osservare come la buona fede contrattuale si presenti
saldata alla disciplina sulla trasparenza, all’interno della normativa sui consumi,
assolvendo al proprio compito precipuamente tramite la funzione sanzionatoria
216
L. DELLI PRISCOLI, La tutela del consumatore fra accertamento della non professionalità del
suo agire, tutela della concorrenza e affidamento della controparte, in Contr. impr., 2007, p. 1533
ss.
217
S. PATTI, Significato del principio di buona fede e clausole vessatorie: uno sguardo all’Europa,
in L. GAROFALO (a cura di), Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e
contemporanea, Padova, 2003, passim.
218
F. PROSPERI, La buona fede tra regole di condotta e regole di validità nella tutela del
contraente debole, in R. FAVALE – B. MARUCCI (a cura di), Studi in memoria di Vincenzo
Ernesto Cantelmo, Napoli, 2003, II, p. 569
72
delle clausole vessatorie. Ciò non può stupire, se si considera che la regola di buona
fede costituisce un perno del sistema di controlli che vengono effettuati sui contratti
predisposti unilateralmente, i quali necessitano di particolari forme di tutela, in
quanto la dinamica negoziale è priva della fase delle trattative, per cui la posizione
del contraente che si limita ad intervenire per adesione necessita di una garanzia
maggiore da parte dell’ordinamento219. Nel “contratto asimmetrico”, quali i
contratti dei consumatori, la buona fede assurge ad uno dei criteri sui quali viene
imperniato il sindacato sull’equità o meno dello squilibrio tra il riparto di diritti e
doveri che deriva in concreto alle parti contraenti in seguito all’assetto negoziale220.
Il giudizio di vessatorietà dipende, quindi, sia dallo squilibrio tra diritti ed obblighi,
sia dalla valutazione che viene effettuata, sulla base del canone di buona fede, della
condotta del professionista221. Il sindacato sulla violazione o meno del principio di
buona fede da parte del “contraente forte” ed a detrimento del consumatore implica
un giudizio maturato in via di equità222, dal momento che, all’esito positivo
dell’accertamento circa una violazione del principio di buona fede che si sia
sostanziata in uno squilibrato assetto di interessi derivante dal regolamento
negoziale, corrisponde l’intervento dell’interprete a correzione del contenuto del
contratto, mediante la dichiarazione di nullità delle clausole ritenute vessatorie223.
La centralità della buona fede emerge, pertanto, laddove, fondandosi il giudizio di
vessatorietà sul significativo squilibrio, la valutazione circa la sussistenza o meno di
tale vizio comprende l’indagine sulla contrarietà o meno alla buona fede della
V. MANNINO, Considerazioni sulla “strategia rimediale”: buona fede ed exceptio doli
generalis, in Eur. dir. priv., 2007, p. 1283
220
G. LENER, La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori, in Foro
It., 1996, V, p. 161
221
Sul punto si veda, in particolare, V. ROPPO, La nuova disciplina delle clausole abusive nei
contratti tra imprese e consumatori, in Riv. dir. civ., 1994, I, p. 285, il quale ricorda che la
formulazione secondo cui la clausola è abusiva se determina squilibrio a danno del consumatore
“malgrado il requisito della buona fede” è suscettibile di diverse interpretazioni, da quella
ossequiosa del criterio della buona fede in senso soggettivo, da intendersi “nel senso che la clausola
può essere ritenuta abusiva anche se vi è la buona fede del predisponente, il quale per avventura
ignori tale abusività”, a quella conforme al precetto di buona fede oggettiva, per la quale si aprono
due alternative: attribuire al sintagma il valore concettuale del “malgrado sia presente il requisito
della buona fede”, il che vale a dire che “una clausola (caratterizzata da squilibrio) è qualificabile
come abusiva anche se essa non contrasta con il principio di buona fede”, o piuttosto l’alternativa
secondo cui “la clausola è abusiva solo quando determina uno squilibrio che sia in contrasto con il
principio di buona fede”, opzione quest’ultima non largamente condivisa, come dimostrano gli
odierni approdi della giurisprudenza e della dottrina, favorevoli a svincolare dalla buona fede il
sindacato sull’equilibrio sostanziale dell’operazione economica.
222
A. D’ANGELO – P.G. MONATERI – A. SOMMA, Buona fede e giustizia contrattuale. Modelli
cooperativi e modelli conflittuali a confronto, Torino, 2005, p. 1
223
L. MENGONI, Problemi di integrazione della disciplina dei “contratti del consumatore” nel
sistema del codice civile, in Studi in onore di Pietro Rescigno, III, Milano, 1998, passim.
219
73
clausola squilibrata224. Tuttavia, la sanzione di nullità può essere comminata anche
in seguito alla acclarata vessatorietà non imputabile ad un comportamento del
professionista contrario alle regole della correttezza contrattuale. Ciò vuol dire che
la valutazione dello squilibrio si fonda sull’analisi dell’assetto degli interessi che in
concreto quel regolamento negoziale è in grado di attuare225. Rispetto a tale
valutazione certamente uno spazio viene lasciato all’analisi del contegno del
professionista, ma ciò non impedisce che una clausola che non costituisce
espressione della violazione del dovere di buona fede venga ugualmente sanzionata
qualora essa risulti essere vessatoria dal punto di vista dello squilibrio che la stessa
determina in concreto all’interno delle sfere giuridico-economiche delle parti
contraenti226. La clausola di buona fede costituisce una forma di integrazione
nell’ordinamento giuridico di istanze e valori di carattere sociale. Con essa si va ad
inserire nella dinamica negoziale la valutazione di una serie di valori di carattere
non patrimoniale, i quali si presentano maggiormente saldati alla logica solidaristica
piuttosto che a quella del luogo in cui avvengono gli scambi. Nella materia dei
contratti, la buona fede si colloca nell’alveo di quel novero di principi generali
dell’ordinamento giuridico nella cui cornice sono da svolgersi i rapporti economici
che hanno luogo sulla scena mercantile. Con riguardo ai contratti “asimmetrici”,
tramite la buona fede si persegue l’obiettivo di sventare gli abusi ai quali il
contraente debole sia esposto e, in generale, di evitare che abbiano luogo abusi del
mercato. Se il fondamento costituzionale della buona fede contrattuale può cogliersi
nel secondo comma dell’art. 41 Cost., in cui si legge che l’iniziativa economica
privata “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare
danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”, allora, in una tale prospettiva,
essa può ritenersi appartenente al novero delle forme di tutela della libera
224
G. VETTORI, Regole di validità e di responsabilità di fronte alle Sezioni Unite. La buona fede
come rimedio risarcitorio, in Obbl. contr., 2008, p. 104 ss., nel ripercorrere la dicotomica alternativa
tra regole di responsabilità e regole di validità, osservando che “ogni assetto di interessi privato va
esaminato come atto, in base ad una valutazione strutturale di validità e come insieme dei contegni
formativi ed esecutivi in base ad una valutazione dinamica che può condurre ad una pronunzia di
responsabilità” (p. 105), rileva che “la violazione della buona fede nella fase preliminare non può
che rimanere assorbita nella disciplina dello stesso contratto e nella connessa responsabilità per
inadempimento, con conseguente identità della situazione giuridica tutelata e del danno risarcibile
che va oltre l’interesse negativo” (p. 108), giungendo così ad affermare la sussistenza di una
responsabilità da contatto sociale a fronte della quale è operativo il criterio della buona fede
oggettiva. Con la conseguenza per cui la violazione di un dovere di correttezza determina il sorgere
della responsabilità contrattuale con il contestuale obbligo risarcitorio.
225
G. BERTOLO, Squilibrio normativo e buona fede nei contratti dei consumatori, in Giur. comm.,
2003, 4, 2, p. 497-504
226
V. RIZZO, Il significativo squilibrio “malgrado” la buona fede nella clausola generale dell’art.
1469-bis c.c.: un collegamento ambiguo da chiarire, in Rass. dir. civ., 1996, p. 15
74
concorrenza. Emerge, da ciò, la peculiarità della clausola generale quale strumento
attraverso cui vengono applicati i principi generali dell’ordinamento giuridico227.
Ciò che vale a determinare il passaggio della buona fede da principio generale a
clausola applicativa di principi generali è l’applicazione in concreto, da parte del
giudice, delle discipline contrattuali imperniate sul principio di buona fede228.
Un'altra specificità della buona fede nell’odierno panorama delle contrattazioni è
dato cogliere nella prospettiva secondo cui il raccordo tra la sfera dei contratti di
impresa e quella dei contratti contemplati dal Codice civile è operato dalla presenza
di questo principio in entrambi gli ambiti229.
3. A quella formulazione normativa, di cui alla lettera dell’art. 1376 c.c., rubricata
“contratto con effetti reali”, i Compilatori del Codice del 1942 hanno demandato il
compito di serbare in sé l’essenza del cosiddetto principio consensualistico, che, nel
227
G. VETTORI, Diritto privato e ordinamento comunitario, Milano, 2009, passim.
E. NAVARRETTA, Complessità dell’argomentazione per principi nel sistema attuale delle fonti
di diritto privato, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 794, nel condurre una disamina critica intorno al ruolo
svolto dai principi all’interno della gerarchia delle fonti di produzione del diritto interno, osserva, in
primo luogo, come il ricorso ai principi sia dettato o dalla carenza di previsioni normative, o dalla
inadeguatezza di queste ultime a tutelare nuove esigenze, o, ancora, si impiegano i principi al fine di
superare quella confusione in sede di ricerca della regola applicabile dettata dalla sussistenza di una
molteplicità di norme che si sovrappongono tra loro, proprio come avviene nella materia delle
contrattazioni internazionali. L’Autrice si sofferma, poi, sulle modalità applicative dei “principivalori”, saldandone l’operatività al pluralismo della società. Essi apportano innovazioni al sistema
delle fonti del diritto, tuttavia non contrapponendosi “alla dimensione delle regole”. Se
dell’operatività dei principi di matrice comunitaria viene posta in evidenza l’applicazione con
funzione integrativa, allora emerge la residualità della loro applicazione diretta rispetto al sistema
delle regole conformi ai principi, come la stessa Autrice mette in risalto, osservando che “il modello
dei principi-valori, relativamente all’interpretazione adeguatrice e rispetto alla loro eventuale
applicazione diretta, sembra nelle coordinate generali riprodursi nella dimensione dei principiorientativi di matrice comunitaria, e ciò in virtù della comune sovraordinazione delle due tipologie
di principi rispetto alle norme primarie interne” (p. 794), rintracciando la specificità dei principi in
quell’avere un “volto unitario: quello della mobilità e della capacità di vivere al tempo stesso dentro
e fuori i confini delle fonti” (p. 804).
229
Per una compiuta ricostruzione delle molteplici funzioni che vengono accordate alla clausola
generale di buona fede si veda S. PATTI, Clausole generali e discrezionalità del giudice, in Riv.
not., 2010, 2, p. 303 ss., il quale, nel condurre alcune autorevoli riflessioni sul significato profondo
delle clausole generali, le quali “impongono di precisare i confini tra discrezionalità e arbitrio del
giudice”, in quanto esse si vanno ad inserire nel margine di potere creativo che viene accordato al
giudice in sede di applicazione di tutte quelle norme che non definiscono la fattispecie in senso
stretto, ricorda, in particolare, che la buona fede assolve nell’ordinamento a diverse funzioni, da
quella integrativa a quella di puntualizzazione del regolamento contrattuale, ed anche correttiva del
contratto. Inquadrando l’argomento nella più ampia cornice europea, l’Autore evidenzia come il
legislatore europeo tenda sempre più ad operare mediante il ricorso alle clausole generali ed alle
norme elastiche, come è dimostrato nei Principi Lando e nel Draft Common Frame of Reference,
nonché, a livello internazionale, nei Principi Unidroit, rilevando tuttavia il limite applicativo della
buona fede nella circostanza per cui “quando il giudice applica il principio di buona fede pone una
norma, una regola del caso concreto, che risulta diversa a seconda del singolo ordinamento di
riferimento, poiché ciascun giudice segue parametri vicini alla tradizione giuridica del suo Paese”,
pertanto “la buona fede e le clausole generali segnano, sotto questo profilo, un ritorno al diritto
nazionale” (p. 311).
228
75
segnare una netta frattura, in materia di trasferimento della proprietà per atto tra
vivi, tanto col diritto romano230 quanto con il vigente sistema tedesco delle
alienazioni231, è andato assumendo, nel corso degli anni, connotati del tutto
peculiari. Il consenso, già elemento essenziale del contratto232, assurge, come è
noto, a “strumento per l’acquisizione” della posizione proprietaria sui beni,
incarnando una impostazione massimamente favorevole ad una agevole e snella
circolazione della ricchezza233. Sul piano pratico, il significato di tale principio si
rintraccia nel rilievo per cui l’acquirente diviene proprietario della cosa ancora
prima di averla ricevuta in consegna, quindi prima di pagare il prezzo234. Da una
lettura dell’art. 1376 c.c. in combinato disposto con l’art. 1465 c.c. emerge, poi, un
altro profilo da riconnettere allo spettro degli effetti dell’operatività del principio
consensualistico, che si riassume in quel brocardo secondo cui “res perit domino”.
La portata del “latinetto” appena menzionato è dirompente, se si considera che, per
effetto di tale regola, concretizzandosi il passaggio dei rischi del perimento della
cosa per caso fortuito dall’alienante all’acquirente nello stesso momento in cui
quest’ultimo acquista la proprietà, lo stesso perimento della res, avvenuto dopo che
230
In diritto romano, il contratto di vendita determinava esclusivamente il sorgere di effetti
obbligatori in capo alle parti, pertanto il trasferimento della proprietà integrava un obbligo gravante
sull’alienante il quale era tenuto a compiere un atto ulteriore che, in base alla natura della res che
formava oggetto della vendita, consisteva in una traditio, in una in iure cessio o piuttosto in una
mancipatio. Per una trattazione dell’argomento si veda M. TALAMANCA, Sul punto cfr. anche R.
CALVO, Contratti e mercato, Torino, 2006, il quale, a p. 3, osserva che l’odierno meccanismo
traslativo proprio del diritto italiano “si distacca dalla contrapposizione tra titulus e modus
adquirendi di diritto romano, nel quale la vendita aveva mero contenuto obbligatorio, costituendo
iusta causa traditionis”.
231
G.B. FERRI – A. NERVI, Il contratto di compravendita, in N. LIPARI – P. RESCIGNO (diretto
da), Diritto civile. Obbligazioni. III – I Contratti, Milano, 2009, p. 5, osservano, in merito alla
esplicita enunciazione del principio consensualistico contenuta nell’art. 1376 c.c., che “ciò
costituisce il punto di arrivo di un lungo processo storico, che ha preso avvio dal diritto romano, in
cui alla base dell’effetto traslativo era dato distinguere sia il titulus adquirendi (il titolo negoziale)
sia il modus adquirendi (la consegna della cosa). Nel nostro sistema la consegna della cosa si è
progressivamente spiritualizzata, fino a divenire oggetto di uno specifico obbligo a carico del
venditore; come noto, altri ordinamenti [quale quello tedesco] mantengono tuttora la rilevanza della
distinzione tra titulus e modus ai fini del perfezionamento della fattispecie traslativa”.
232
Art. 1325 c.c.
233
R. SACCO, v. Circolazione giuridica, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, nel mettere in risalto sia le
ipotesi in cui il consenso del titolare del diritto non è sufficiente a determinare l’effetto della
circolazione del bene, sia le ipotesi in cui, piuttosto, tale consenso non è necessario (alludendo ai
casi della cosiddetta circolazione invito domino, alla quale è da ricondurre la circolazione a non
domino), a p. 6, osserva che “la categoria della circolazione è dunque la categoria di quelle vicende
traslative di ricchezza, che la legge ha voluto eminentemente in vista di un interesse diverso da
quello del soggetto della perdita. Questa categoria, certo non strettamente indispensabile alla
perfezione del sistema del diritto, può rendere qualche utilità quando si rilevi che le fattispecie, che
danno luogo al trasferimento di ricchezza in questo senso, subiscono una regolamentazione
tendenzialmente differenziata e caratterizzata rispetto alle altre fattispecie”.
234
F. MACARIO, Vendita, I) Profili Generali, in Enciclopedia giuridica. Istituto dell’Enciclopedia
italiana fondato da G. Treccani, XXXII, Roma, 1994, p. 15
76
l’acquirente abbia prestato il suo consenso all’acquisto, non lo solleverà
dall’obbligo di corrispondere al venditore il prezzo, indipendentemente dal fatto che
il perimento sia avvenuto prima della consegna, purché ciò si sia verificato per
causa non imputabile all’alienante. L’argomento del principio consensualistico apre
la strada per una riflessione intorno alla distinzione che occorre compiere tra effetti
che il contratto è idoneo a creare tra le parti, ed effetti che con esso si producono nei
confronti dei terzi, laddove il fatto giuridicamente rilevante235 viene a porsi alla
stregua di un elemento di mediazione tra la norma e gli effetti236. Se, per il diritto
romano, la circolazione dei beni non poteva essere fatta derivare dal mero consenso
delle parti contraenti, al contrario, nell’ordinamento vigente, all’atto di autonomia
privata si vanno a legare sia effetti negoziali sia effetti che la legge fa discendere
direttamente dalla manifestazione di volontà di porre in essere un trasferimento di
beni da un soggetto ad un altro, sulla base di quella valutazione circa la
meritevolezza di tutela degli interessi perseguiti che, secondo l’odierna teoria della
“causa in concreto”, permette di sottoporre a tale vaglio tanto i contratti tipici
quanto quelli atipici237.
Il principio consensualistico, che si sostanzia nella saldatura tra consenso delle parti
legittimamente manifestato ed effetto traslativo (effetto reale) automatico, assurge,
nel vigente ordinamento interno, a criterio regolatore generale del meccanismo del
“trasferimento della proprietà di una cosa determinata”. L’effetto reale si verifica
ipso iure, il che vale a dire senza bisogno del compimento di alcun altro atto né da
235
G. VETTORI, Consenso traslativo e circolazione dei beni. Analisi di un principio, Milano, 1995,
p. 62, nel ricostruire l’essenza del principio consensualistico secondo la prospettiva delle
conseguenze che il “fatto” contrattuale, idoneo di per sé a dare vita alla circolazione dei beni,
comporta nei confronti dei terzi, osserva, a tale proposito, che “riconoscere che non il fatto
materiale, ma la fattispecie giuridica, intesa come situazione normativamente qualificata, ha
l’attitudine di valere come punto di riferimento di conseguenze giuridiche, significa che la rilevanza
non è altro che la forma iuris in virtù della quale un’entità extragiuridica penetra nel sistema dei
fenomeni giuridici”.
236
A. CATAUDELLA, v. Fattispecie, in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, p. 926 ss., in cui l’illustre
studioso ripercorre i significati del termine, che variano concettualmente a seconda che si inquadri la
parola nella concezione causalistica o piuttosto al di fuori di essa. Se è pacifico che la parola in
commento si connoti nell’ambito lessicale giuridico in termini di “causa degli effetti giuridici” (p.
927), allora il superamento della causalità impone di agganciare semanticamente la parola non tanto
al nesso causale con gli effetti, quanto piuttosto ad una correlazione con il piano degli effetti che si
svolga per altra via rispetto a quella della causalità. L’Autore suggerisce una nozione di fattispecie
che, “se si considera nel quadro del procedimento di produzione degli effetti, non è causa né
concausa né condizione di essi: e non è neppure condizione per il concretizzarsi della norma;
costituisce piuttosto uno dei termini, col soggetto valutante, dell’atto di valutazione: vale a dire,
l’oggetto della valutazione” (p. 934-935).
237
G. DE CRISTOFARO (a cura di), I “principi” del diritto comunitario dei contratti. Acquis
communautaire e diritto privato europeo, Torino, 2009, passim.
77
parte dell’alienante né da parte dell’acquirente238. Dalla conclusione del contratto di
compravendita, in via generale, non discende, pertanto, il sorgere di
un’obbligazione di dare, che necessiterebbe di un atto esecutivo della stessa. Per
tale ragione, il trasferimento della proprietà si produce in modo immediato ed
automatico239. Occorre, tuttavia, osservare che il nostro sistema del diritto, seppur
caratterizzato dalla presenza di questo principio, peraltro espressamente enunciato,
conosce alcune ipotesi in cui il trasferimento della proprietà avviene in modo
derogatorio alla predetta regola, o perché è richiesto il compimento di un cd.
pagamento traslativo, o perché il trasferimento della proprietà avviene ipso iure ma
in uno spazio cronologico differito rispetto a quello in cui viene prestato il consenso
delle parti. Si pensi, ad esempio, alla circostanza in cui forma oggetto del
trasferimento della proprietà una cosa futura, una cosa altrui o una cosa determinata
solo nel genere. E’ da inquadrare in ciò la formulazione di cui all’art. 1476 n. 2 c.c.
che, nel dettare il contenuto delle obbligazioni principali del venditore, annovera
quella di far acquistare al compratore “la proprietà della cosa o il diritto, se
l’acquisto non è effetto immediato del contratto”, enunciato che, prima facie,
potrebbe apparire in contrasto con il criterio di cui all’art. 1376 c.c., ma che, al
contrario, interviene a regolare quelle particolari ipotesi in cui oggetto della vendita
sia una cosa non appartenente all’alienante, o non ancora venuta ad esistenza, o una
cosa determinata solo nel genere. In tali circostanze, la deroga al principio
consensualistico ha luogo in quanto il trasferimento della proprietà del bene
dall’alienante all’acquirente, che avviene comunque automaticamente, si verifica,
tuttavia, in un momento successivo rispetto a quello in cui il consenso delle parti
viene legittimamente manifestato240.
Certamente, il principio consensualistico, nelle peculiarità attraverso cui si è appena
tentato di ripercorrere la sua fisionomia, è stato accolto favorevolmente nel nostro
ordinamento, in quanto esso risponde positivamente alla esigenza di agevolare la
238
G. VETTORI, Circolazione dei beni e ordinamento comunitario, in Riv. dir. priv., 2008, p. 304,
riflettendo sul contemporaneo assetto economico-giuridico europeo, osserva che “l’ordinamento
comunitario richiede un’attività di costruzione giuridica che esige di scrutare la ratio delle
disposizioni, di comporre gerarchie assiologiche, di precisare principi e nuove costruzioni
dogmatiche, di operare attenti bilanciamenti. Tutto ciò senza alcuna astrazione, ma operando in
concreto con attenzione ai problemi degli uomini e della società in un’attività quotidiana che da
secoli impegna studiosi ed operatori al rispetto dei compiti che sono loro affidati dalla Legge e dal
Diritto”.
239
G. GORLA, Il dogma del “consenso” o “accordo” e la formazione del contratto di mandato
gratuito nel diritto continentale, in Riv. dir. comm., 1956, I, p. 923 ss.
240
G. GORLA, La “logica-illogica” del consensualismo o dell’incontro dei consensi e il suo
tramonto, in Riv. dir. comm., 1966, I, p. 18 ss.
78
circolazione dei beni, requisito non trascurabile nella prospettiva economica del
libero scambio241. Ciò premesso, occorre osservare come, al contrario, il tentativo di
armonizzazione della materia della vendita dei beni di consumo242, culminato con la
Direttiva 99/44/CE, nell’ancorare il momento traslativo della proprietà a quello in
cui avviene la consegna della cosa, si mostra ispirato alla impostazione propria dei
Paesi di area germanica, fondata sulla antica scissione tra titulus e modus
adquirendi, per cui il contratto di vendita è idoneo a determinare esclusivamente il
sorgere di effetti obbligatori ed, in particolare, il sorgere dell’obbligo, in capo al
venditore, di trasferire all’acquirente la proprietà della res243. La Direttiva
comunitaria, al primo comma dell’art. 3, salda alla traditio il momento traslativo del
diritto di proprietà, con la conseguenza di un mutamento, rispetto al vigente diritto
italiano della vendita, del regime del passaggio del rischio del perimento della cosa
per caso fortuito nonché del passaggio del rischio circa la sussistenza di vizi da cui
sia affetto il bene che forma oggetto della vendita244. Ciò comporta la
contemporanea presenza nel nostro ordinamento, di un doppio regime della
vendita245. Il necessario recepimento della Direttiva comunitaria ha posto l’esigenza
di ridisegnare i confini e la portata applicativa del principio consensualistico, per
incardinare l’argomento del trasferimento della proprietà sull’obbligazione di
consegna della cosa, che costituisce l’impianto attorno a cui ruota il meccanismo
della vendita dei beni di consumo, secondo una prospettiva che eleva a punto focale
il momento in cui si realizza in concreto lo scambio246.
Il diritto europeo della vendita dei beni di consumo salda il momento traslativo
della proprietà a quello in cui si adempie all’obbligazione di consegnare “beni
conformi al contratto”, secondo il tenore letterale dell’art. 129 cod. cons. 247, con la
241
S.T. MASUCCI, Il principio della libera circolazione dei beni, in P. CENDON (a cura di), Il
diritto privato nella giurisprudenza. Compravendita e figure collegate, Torino, 2007, p. 1
242
A. LUMINOSO, Armonizzazione del diritto europeo e disarmonie del diritto interno: il caso dei
contratti di alienazione e dei contratti d’opera, in Eur. dir. priv., 2008, p. 469
243
G. D’AMICO, Contratto di compravendita, effetto traslativo e problemi di armonizzazione, in E.
NAVARRETTA (a cura di), Il diritto europeo dei contratti fra parte generale e norme di settore.
Atti del Convegno, Pisa, 25-26 maggio 2007, Milano, 2007, p. 517
244
G. VETTORI, Circolazione dei beni e ordinamento comunitario, cit., p. 297
245
A. LUMINOSO, La vendita e i contratti di alienazione, cit., p. 325, osserva che si tratta di due
figure di vendita che “sotto un nomen iuris comune, sembrano richiamare tuttavia categorie
dogmatiche e discipline differenti”.
246
R. MONGILLO, Il difetto di conformità nella vendita dei beni di consumo, in cit., p. 141
247
S. TROIANO, Art. 129 – Conformità al contratto, II, I Commentari. La vendita dei beni di
consumo, in Nuove leggi civ. comm., 2006, p. 372, nonché V. BARBA, Art. 129. Conformità al
contratto, in G. VETTORI (a cura di), Codice del Consumo. Commentario, Padova, 2007, p. 889;
G.B. FERRI, Divagazioni intorno alla direttiva n. 44 del 1999 su taluni aspetti della vendita e delle
garanzie dei beni di consumo, in Contr. impr./Eur., 2001, p. 76
79
conseguenza per cui il gesto della consegna individua la fase in cui avviene il
passaggio dei rischi248. E’ interessante osservare come, accanto alla elaborazione, a
livello comunitario, di regole, destinate a trovare ingresso nei vari Paesi dell’Unione
Europea, fondate sulla consegna della cosa, i significativi Lavori di riforma del
diritto delle obbligazioni del Codice civile francese hanno lasciato intatta la
posizione di centralità affidata storicamente al principio consensualistico249. Ciò
permette di notare come il “doppio binario” costituito dalle “norme prodotte
dall’armonizzazione”, da un lato, e, dall’altro, dalle regole interne sia nella forma
sia nel contenuto, che mostrano, talvolta, di fondarsi su diversi meccanismi
concettuali, stia conducendo verso una frammentazione della materia dei contratti in
tante categorie autonome, la cui identità è segnata dal tipo di operazione negoziale
affidata a ciascuna di esse, con la conseguenza di un progressivo allontanamento da
quella tendenza ad operare la reductio ad unum dei fenomeni giuridici che ha
caratterizzato momenti storici precedenti250.
4. La recente evoluzione della disciplina dei consumi pone in risalto l’importanza
che l’informazione assume
nell’ambito delle negoziazioni251. Una corretta
formazione della volontà si deve fondare su un adeguato grado di conoscenza252. Se
248
S. DELLE MONACHE, Fedeltà al principio consensualistico?, in Atti del Convegno per il
Cinquantenario della Rivista di diritto civile, Il diritto delle obbligazioni e dei contratti: verso una
riforma?, in Riv. dir. civ., 2006, I, p. 285
249
M. BARBERIS, L’evoluzionismo giuridico, diritti ed Europa, in Materiali per una storia della
cultura giuridica, 2009, passim.
250
E. RUSSO, Vendita e consenso traslativo, in Contr. impr., 2010, 3, p. 611 ss., nel riflettere sulle
due modalità di circolazione della ricchezza, l’una basata sulla circolazione del diritto soggettivo e
l’altra fondata su indici esterni di appartenenza (quest’ultima derogatoria all’operatività del principio
del consenso traslativo), mostra le diverse specificità dell’operatività del principio consensualistico,
evidenziando come tale principio sia strettamente correlato alla “spiritualizzazione della stessa
ricchezza, operata dal concetto di diritto soggettivo”, secondo una prospettiva volta ad inquadrare le
situazioni giuridiche soggettive nella duplice alternativa statica e dinamica, per mettere in luce il
significato profondo della distinzione tra titolarità ed appartenenza del bene ad un determinato
soggetto (p. 612). L’Autore abbraccia la posizione di Mengoni e Vettori, secondo cui nelle vicende
di alienazione il contratto opera come fatto, osservando che l’ordinamento giuridico richiede la
giustificazione causale dell’acquisto ogniqualvolta si compia la circolazione della ricchezza, tuttavia
tale giustificazione causale non sempre risiede nell’efficacia negoziale, come dimostra la possibilità
che si acquisti la proprietà in forza di un titolo astrattamente idoneo. In tale circostanza si può dire
che il contratto opera come “fatto idoneo a fornire la giustificazione causale dell’acquisto” (p. 616).
L’Autore evidenzia come il principio consensualistico sia idoneo a guidare la vicenda traslativa
della proprietà nei limiti dell’acquisto a titolo derivativo, concorrendo esso tuttavia con “altri
meccanismi giuridici che provocano l’acquisto della ricchezza”.
251
E’ significativa l’osservazione di V. SCALISI, Dovere di informazione e attività di
intermediazione mobiliare, in Riv. dir. civ., 1994, p. 176, secondo cui “se quello scorso è stato il
secolo essenzialmente della volontà, nel secolo attuale, invece, la conoscenza è venuta acquisendo
negli studi giuridici un ruolo sempre più centrale e preminente”.
252
G.B. FERRI, Informare ed essere informati, in Rass. dir. civ., 2003, p. 588 ss. salda il diritto
all’informazione al novero dei diritti fondamentali della persona, occupandosi di rintracciare i limiti
80
il binomio conoscenza-volontà non risulta estraneo alla sensibilità dei Compilatori
del Codice del 1942, della cui consapevolezza costituisce espressione la disciplina
dell’errore, incardinata, peraltro, sulla possibilità di conoscere secondo un contegno
ossequioso dei canoni dell’ordinaria diligenza253, unitamente agli obblighi di
comunicazione
che
coinvolgono
la
posizione
del
mandatario
nonché
dell’appaltatore, del committente, del proponente ai sensi dell’art. 1326 terzo
comma c.c. Se, come è vero, il Codice civile, nel prendere in considerazione
l’ipotesi del contratto con asimmetria di potere negoziale, non si sofferma a
regolarne accuratamente il novero delle molteplici vicende ad esso collegate,
contrariamente alla perizia e all’accuratezza con cui fissa il regime dei contratti
fisiologicamente estranei ad una tale struttura, allora si osserverà come soltanto
nella disciplina di settore, concernente i contratti del consumatore, sia possibile
evidenziare nettamente l’importanza del ruolo svolto dall’obbligo di informazione,
che si sostanzia nel principio di trasparenza. Del resto, informazioni e trasparenza
costituiscono, per così dire, due risvolti, tra loro intrinsecamente connessi, di uno
stesso fenomeno, che si rintraccia nell’esigenza di rimuovere tutte quelle
asimmetrie del potere contrattuale che superano l’area della fisiologia del contratto
asimmetrico, andandosi piuttosto ad iscrivere nel novero dei rischi “non ammessi”,
che tale tipologia negoziale presenta per il contraente maggiormente esposto254. La
presenza, all’interno del Codice civile, della trasparenza in sede negoziale si
presenta in modo meno preponderante rispetto al ruolo che essa assume nella
materia del consumatore. Nella contrattazione individuale, della quale si occupa
essenzialmente e quasi esclusivamente la disciplina codicistica, l’obbligo di
informazione, nel saldarsi alla buona fede, si sostanzia nell’osservanza dei canoni
comportamentali provenienti dallo stesso laboratorio concettuale da cui deriva il
parametro della diligenza dell’uomo medio. La violazione del precetto di una
corretta informazione viene integrata nel momento in cui un contraente tace o
comunica in modo mendace un’informazione della quale, secondo il dettato della
della trasparenza laddove il trattamento dei dati personali incontra la sfera della riservatezza. Se il
diritto ad essere informati rientra nella sfera delle libertà della persona in modo pacifico, non è
altrettanto lineare l’individuazione del contenuto di tale diritto, dal momento che in esso sono da
ricomprendere anche le conseguenze del diritto di non informare, ovvero la libertà di non esercitare
tale diritto.
253
Della sconfinata letteratura giuridica sull’argomento ci si limita qui a richiamare, per tutti, P.
BARCELLONA, Concetto di errore e delimitazione della disciplina, in Enc. dir., v. Errore, XV,
Milano, 1996, passim.
254
F. GRECO, Obbligazioni Cirio e violazione dell’obbligo di informazione: un ulteriore tassello
sul tavolo della roulette della giurisprudenza, in Resp. civ. e prev., 2010, 2, p. 428 ss.
81
legge, l’altro contraente avrebbe dovuto essere messo al corrente, al fine di poter
formare il proprio convincimento ad addivenire o meno alla conclusione del
contratto. L’indagine sulla corretta informazione si articola, nel tenore del Codice
civile, esclusivamente sul comportamento delle parti, rimanendo del tutto estranea
alla considerazione oggettiva del contenuto del regolamento negoziale. Nella
disciplina del consumatore, al contrario, la trasparenza ha riguardo al dovere di
rendere intelligibili le clausole del documento contrattuale255. Ciò si comprende
agevolmente se si ricorda la collocazione di questo fenomeno negoziale nello
spettro della contrattazione di massa, che presenta esigenze e caratteristiche del
tutto peculiari256. L’asimmetria informativa, alla quale è maggiormente esposto il
contraente debole, viene ovviata mediante specifici precetti di forma, che si
giustificano sulla base del particolare contenuto del contratto257. Intendendo
rimandare al prosieguo della trattazione l’argomento del neoformalismo inteso
quale precetto di forma-contenuto258, quel che occorre qui è limitarsi a cogliere il
tratto comune che intercorre tra lo spiraglio codicistico sulla contrattazione di
massa, contenuto nell’art. 1341 c.c.259, e gli ormai noti boccioli del lavoro di
elaborazione della normativa sui consumi, da ravvisare nel collegamento, condiviso
in entrambi i contesti normativi appena richiamati, tra conoscibilità e forma,
malgrado esso si atteggi, nei due fenomeni, con diverse specificità. Al principio di
trasparenza è demandato il compito di garantire l’effettiva conoscenza del testo
contrattuale, tuttavia la funzione che esso è chiamato ad assolvere nella materia del
consumatore si presenta diversa rispetto all’impiego che di esso si riscontra nella
normativa generale sulla contrattazione di massa, presente nell’impianto
codicistico, peraltro agli albori del fenomeno, rispetto all’attuale evoluzione260. La
V. RIZZO, Trasparenza e “contratti del consumatore”, Napoli, 1997, passim, in cui l’Autore
pone in risalto come la trasparenza svolga un ruolo essenziale in sede di controllo sulla “giustizia
sostanziale” del contratto nonché sull’equilibrio della ripartizione dei diritti e doveri che hanno
origine nel contratto, in capo alle parti.
256
F. DI GIOVANNI, La regola di trasparenza nei contratti dei consumatori, in E. GABRIELLI –
E. MINERVINI (a cura di), Tratt. contr., diretto da P. RESCIGNO, I contratti dei consumatori, I,
Torino, 2005, p. 301-378.
257
D. VALENTINO, Obblighi di informazione, contenuto e forma negoziale, Napoli, 1999, p. 14
258
Sul punto si rinvia a infra, cap. IV, § 5.
259
M. COSTANZA, Condizioni generali di contratto e contratti stipulati dai consumatori, in Giust.
civ., 1994, II, p. 544
260
M. LIBERTINI, Clausola generale e disposizioni particolari nella disciplina delle pratiche
commerciali scorrette, in Contr. impr., 2009, p. 92, sul problema dell’individuazione degli indici
sintomatici delle pratiche disoneste o contrarie al principio di buona fede in senso oggettivo, a fronte
del comportamento del legislatore comunitario di non voler imporre alle imprese standard di
comportamento troppo severi, osserva che “il principio di buona fede è testualmente indicato, nella
direttiva, come criterio aggiuntivo e indipendente, rispetto a quello delle pratiche di mercato oneste;
255
82
lettera dell’art. 1341 c.c. intende tipizzare la contrattazione standard, la quale
fisiologicamente esclude lo svolgersi della fase delle trattative negoziali, con la
conseguenza per cui le clausole devono essere conoscibili all’altro contraente,
affinché si considerino accettate secondo una volontà non viziata, in quanto
supportata da una corretta informazione261. L’accorgimento di cui al secondo
comma
della
norma
appena
richiamata
postula
inoltre
la
necessità
dell’approvazione per iscritto con riguardo ad una serie di clausole ritenute di
particolare rilevanza. L’obbligo di trasparenza investe, nel fenomeno dei consumi,
sia le clausole che fissano l’assetto normativo del contratto sia quelle concernenti
l’assetto economico, a tal punto da far passare in secondo piano la distinzione tra
queste due sfere262. Si tratta, in ogni caso, di clausole predisposte unilateralmente
dal professionista e volte a definire un regolamento negoziale idoneo per lo
svolgersi delle contrattazioni con una molteplicità indefinita di consumatori263.
Se l’applicabilità della disciplina concernente la nullità delle clausole vessatorie
viene esclusa qualora si sia svolta la trattativa individuale, allora emerge come il
ruolo della trattativa non perda la sua centralità, in seguito alla predisposizione
unilaterale del documento contrattuale264. La questione del controllo sulla effettiva
trasparenza non pone particolari problemi, contrariamente a quanto avviene in sede
di individuazione dei criteri sulla base dei quali si potrà validamente asserire che
una clausola sia stata in concreto negoziata. L’argomento è controverso in dottrina,
deve quindi trattarsi di un criterio idoneo ad imporre anche comportamenti che, in atto, sono diversi
da tutte le pratiche di mercato esistenti, ma sono conformi ad un dovere di solidarietà che, nella
specie, non può che essere solidarietà verso il consumatore”.
261
R. SCOGNAMIGLIO, I contratti per adesione e l’art. 1341 cod. Civ., in Banca, borsa, tit. Cred.,
1954, I, p. 776; S. PATTI, Le condizioni generali di contratto e i contratti dei consumatori, in P.
RESCIGNO (a cura di), Tratt. contr., Torino, 1999; A. LISERRE, Le condizioni generali di
contratto tra norma e mercato, in Studi in onore di Rodolfo Sacco, Milano, 1994; C.M. BIANCA,
Condizioni generali di contratto (tutela dell’aderente), in Dig. Disc. Priv., III, Torino, 1988; M.J.
BONELL, Le regole oggettive del commercio internazionale. Clausole tipiche e condizioni generali,
Milano, 1975, passim.
262
Ciò in ossequio a quanto emergeva, già nella prima normativa dettata sui consumi, al disposto di
cui all’art. 1469-quater c.c. Sul punto si veda S.T. MASUCCI, Commento all’art. 1469-quater, in
A. BARENGHI (a cura di), La nuova disciplina delle clausole vessatorie nel codice civile, p. 138
263
F.D. BUSNELLI – U. MORELLO, La direttiva 93/13 sulle clausole abusive nei contratti
stipulati con i consumatori, in Riv. not., 1995, p. 95
264
C.M. BIANCA, Acontrattualità dei contratti di massa?, in Vita not., 2001, p. 1120 ss., invocando
la categoria degli “scambi senza accordo” (sono tali tutti quei rapporti di fatto che hanno contenuto
analogo ai contratti tipici e che hanno origine da fatti non negoziali), inquadra l’argomento in una
prospettiva di comparazione con la contrattazione di massa, la quale invece rientra nel fenomeno
negoziale vero e proprio. Secondo la tesi degli scambi senza accordo, viene negata natura
contrattuale ai contratti di massa in quanto si afferma che in essi non vi è lo schema propostaaccettazione, quanto piuttosto una sequenza di atti unilaterali leciti aventi carattere negoziale. Il
problema viene inquadrato nella prospettiva d’indagine circa l’idoneità della volontà dell’acquirente
ad avere efficacia conformante del rapporto, propendendo per la soluzione favorevole
all’inquadramento dei contratti di massa nella disciplina del contratto.
83
dal momento che alcuni reputano che, affinché la negoziazione possa considerarsi
effettivamente avvenuta, è necessario che sia stata operata una modifica di almeno
una clausola del regolamento negoziale originario265. Altri, al contrario, ritengono
che non sia necessaria una modifica testuale, occorrendo piuttosto che il
consumatore abbia avuto la possibilità di influenzare il contenuto del contratto266. Il
disposto di cui all’ultimo comma dell’art. 34 cod. cons. prescrive, in capo al
professionista, l’onere di provare che le clausole approntate unilateralmente siano
state oggetto di specifica trattativa, qualora egli stesso faccia ricorso all’impiego di
moduli o formulari in sede di elaborazione dei propri documenti contrattuali. Ciò si
comprende agevolmente se si ha riguardo alla sostanziale assenza della fase della
trattativa individuale, da cui sono affetti i rapporti economici che si fondano sugli
schemi dei contratti per adesione e delle condizioni generali di contratto. Su un tale
sostrato si innesta l’esigenza di garantire chiarezza e trasparenza nello svolgimento
dei rapporti con i consumatori. Il nucleo del principio di trasparenza si sostanzia,
come è stato osservato, nella capacità di garantire al consumatore un certo grado di
consapevolezza circa il panorama entro il quale egli presta il proprio consenso alla
conclusione del contratto267. E’, pertanto, connesso allo status di consumatore il
bisogno di essere correttamente informato delle condizioni effettive della
contrattazione secondo le quali egli va ad accordarsi268. Il precetto della trasparenza
o, in modo sinonimico, della corretta informazione, consiste in quell’obbligo di
formulare le clausole contrattuali in modo chiaro e comprensibile, al quale è
necessariamente conformata la contrattazione dei consumi269. Dall’attitudine,
propria del giurista che si è formato alla luce della “signoria del Codice civile”, a
condurre paragoni tra la normativa contrattuale di cornice e quella di settore
265
S. ORESTANO, I contratti con i consumatori e le clausole abusive nella direttiva comunitaria,
in Riv. crit. dir. priv., 1992, p. 467 ss.
266
F. BOCCHINI, Contratti per adesione, in Saggi di diritto privato, Napoli, 1999, passim; S.
MONTICELLI, Art. 1469-ter, in E. CESARO (a cura di), Clausole vessatorie e contratto del
consumatore, Padova, 1998, passim.
267
G. MARCATAJO, Asimmetrie informative e tutela della trasparenza nella politica comunitaria
di consumer protection: la risposta della normativa sulle clausole abusive, in Eur. dir. priv., 2000,
III, p. 783. Sul punto si veda anche M. GAMBINI, Il nuovo statuto del consumatore europeo:
tecniche di tutela del contraente debole, in Giur. merito, 2004, 12, p. 2605, nonché L. FAUSTI, Il
Codice del consumo. Il ruolo ambiguo della trattativa e l’importanza della trasparenza (con nuove
considerazioni sul ruolo del notaio nei contratti di finanziamento bancari), in Notariato, 2007, 1, p.
59; E. SCODITTI, Regole di efficacia e principio di correttezza nei contratti del consumatore, in
Riv. dir. civ., 2006, I, p. 119
268
R. PARDOLESI, Clausole abusive, pardon vessatorie: verso l’attuazione di una direttiva
abusata, in Foro It., 1994, V, p. 137; A. CATAUDELLA, Note in margine alla direttiva
comunitaria sulle “clausole abusive”, in Rass. giur. en. el., 1994, p. 573
269
M. GAMBINI, Il nuovo statuto del consumatore europeo: tecniche di tutela del contraente
debole, in Giur. merito, 2004, 12, p. 2605
84
contenuta nel Codice del consumo, risultano non pochi approcci critici alla
disposizione di cui all’art. 35 cod. cons., tacciato di rievocare in modo troppo netto
la formulazione dell’art. 1341 primo comma c.c.270. In realtà, la forza innovativa
della norma di settore si coglie proprio nella acclarata espressa enunciazione, nella
medesima, del principio di trasparenza, da coniugarsi, in una prospettiva di
armonizzazione tra parte generale e norme di settore, piuttosto che di dicotomico
rapporto genus-species, con il contenuto dell’art. 1341 c.c., a fronte della scelta,
operata dai Compilatori del 1942, certamente maggiormente rispondente alle
contingenze economiche di quel momento, di non affrontare apertamente il
problema della trasparenza e della correttezza d’informazione in tali dinamiche
negoziali derogatorie del regime ordinario di cui agli artt. 1326 - 1328 c.c. La
formulazione chiara e comprensibile delle clausole negoziali è garanzia di un
corretto accesso, da parte del consumatore, al contenuto del contratto, in modo tale
che nulla gli rimanga oscuro, in sede di prestazione del proprio consenso. Senza
dubbio, l’opzione di fissare apertis verbis il principio di trasparenza è rispondente
alla necessità di apprestare il massimo grado di tutela possibile alla posizione
debole del consumatore, anche quale alternativa al rischio della vessatorietà271.
Procedendo nell’analisi del principio di trasparenza, il secondo comma dell’art. 35
cod. cons. prevede una regola riconducibile alla cosiddetta interpretatio contra
preferentem, che attiene all’ambito interpretativo delle clausole negoziali,
esprimendo il precetto del favor per il consumatore272. Il tenore del disposto di cui
al secondo comma dell’art. 35 cod. cons. statuisce una regola che esula dall’ambito
delle condizioni generali di contratto273, per estendere la propria operatività anche
alla circostanza in cui si tratti di una singola clausola preconfezionata per una
determinata specifica operazione negoziale, intervenendo, in tale modo, a colmare
l’eventuale vacuum normativo che si sarebbe determinato qualora non fosse stata
dettata tale disposizione, dal momento che la normativa di cornice contenuta nel
Codice civile soccorre il giurista con due sole norme, l’art. 1368 secondo comma e
F. FRANCESCHELLI, I contratti per adesione e l’interpretazione contro l’autore della clausola,
in G. ALPA – C.M. BIANCA (a cura di), Le clausole abusive nei contratti stipulati con i
consumatori, Padova, 1996, p. 463 ss.
271
V. RIZZO, Trasparenza e contratti del consumatore, Napoli, 1999, passim.
272
A. TULLIO, Il contratto per adesione tra il diritto comune dei contratti e la novella sui contratti
dei consumatori, Milano, 1997, p. 92
273
C.M. BIANCA, v. Condizioni generali di contratto, in Enc. giur., Istituto dell’enciclopedia
italiana fondato da Giovanni Treccani, Roma, 1988, VIII, p. 1
270
85
l’art. 1370 c.c.274 La prima norma qui richiamata prevede che “nei contratti in cui
una delle parti è un imprenditore, le clausole ambigue s’interpretano secondo ciò
che si pratica generalmente nel luogo in cui è la sede dell’impresa”; il secondo
enunciato dispone che “le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o
in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti s’interpretano, nel dubbio, a
favore dell’altro”. Qualora si riveli sussistere una incertezza circa il senso da
attribuire con sicurezza ad una clausola del contratto, l’interprete dovrà abbracciare
quell’interpretazione che risulti essere più favorevole per il consumatore. Se,
invece, l’incertezza sia tale da rendere del tutto inintelligibile la clausola, in tale
circostanza l’interprete sarà tenuto ad optare per la non inclusione della medesima
all’interno del regolamento negoziale275. E’ interessante notare come l’ambito di
valutazione della vessatorietà di una clausola venga ristretto dalla stessa lettera della
legge, come emerge dal tenore dell’enunciato di cui al secondo comma dell’art. 34
cod. cons., nel quale si esclude espressamente la possibilità di passare al vaglio tutte
quelle clausole che hanno riguardo “alla determinazione dell’oggetto del contratto e
all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano
individuati in modo chiaro e comprensibile”276. Qualora il controllo circa la
vessatorietà della clausola dia esito affermativo, lo strumento dell’eterointegrazione
negoziale, da compiersi tramite l’equità integrativa ai sensi dell’art. 1374 c.c., può
soccorrere soltanto nel caso in cui si riscontri una aporia nell’accordo delle parti a
tale riguardo, non potendo, al contrario, essere impiegata per correggere o
modificare quanto le parti stesse abbiano previsto, nell’esercizio della loro, sia pur
discutibile, autonomia negoziale277. L’operatività del sistema dell’eterointegrazione
negoziale è resa possibile soltanto nel caso in cui l’interprete possa individuare una
disciplina, di fonte legale, suscettibile di essere richiamata ed applicata in funzione
B. ANDO’, Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, in Dir. consumi, 1997, p. 92
R. CALVO, Il codice del consumo tra “consolidazione” di leggi e autonomia privata, in Contr.
Impr. Eur., 2006, p. 74
276
G. ALPA, Le clausole abusive nei contratti dei consumatori, in Corr. Giur., 1993, p. 639, rileva
come il controllo circa la sussistenza dell’equilibrio tra la ripartizione dei diritti e dei doveri in capo
alle parti contraenti non debba tradursi in un “controllo dell’opportunità dell’affare”. Contra M.
GAMBINI, Il nuovo statuto del consumatore europeo: tecniche di tutela del contraente debole, in
Giur. merito, 2004, 12, p. 2605, osserva che “la disciplina delle clausole vessatorie nei contratti dei
consumatori, pur tendendo immediatamente a riequilibrare la condizione di inferiorità contrattuale
del consumatore e a garantire l’uguaglianza di diritti ed obblighi contrattuali tra professionista e
consumatore, intende, con ciò, anche tentare di riequilibrare, sia pure indirettamente, l’alterazione e
l’iniquità delle prestazioni sotto il profilo economico, quindi, in qualche misura, garantire la
giustizia sostanziale del regolamento contrattuale”.
277
F. GAZZONI, Equità e autonomia privata, Milano, 1970, p. 323
274
275
86
sostitutiva della clausola abusiva, rendendo, per tale via, il contenuto dell’accordo
determinato o determinabile278.
L’argomento della trasparenza, quale presidio della posizione debole del
consumatore, comporta altresì alcune considerazioni sul disposto di cui al terzo
comma lett. l) dell’art. 33 cod. cons. Si tratta della cosiddetta grey list, contenente la
presunzione relativa di vessatorietà della clausola del contratto che prevede
“l’estensione dell’adesione del consumatore a clausole che non ha avuto la
possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto”279. Il tenore del
disposto si comprende agevolmente non appena lo si inquadra nella più ampia
cornice che consiste nell’evitare che il consumatore possa subire pregiudizio da
clausole ignote rese operative per relationem a quelle a lui note280. Di qui la
necessità di fissare il concetto di grado di conoscibilità del regolamento contrattuale
ad un livello eccedente quello della “mera informazione potenziale ed astratta”,
prediligendo piuttosto una “conoscibilità effettiva da valutarsi in concreto”281. Si
può giungere a riflessioni analoghe se si analizza il disposto di cui all’art. 36
secondo comma lett. c) cod. cons., che, nell’enunciare la cosiddetta black list,
ovvero il novero delle clausole alle quali il legislatore commina espressamente il
carattere della vessatorietà, senza che tale presunzione possa essere superata
mediante prove contrarie, ed indipendentemente dall’avvenuto svolgimento della
trattativa individuale, bandisce l’estensione dell’adesione del consumatore a quelle
clausole che egli stesso di fatto non ha avuto la possibilità di conoscere prima della
conclusione del contratto. Dall’assetto normativo realizzato mediante il combinato
disposto degli artt. 33 terzo comma lett. l) e 36 secondo comma lett. c) cod. cons.
emerge il carattere proprio della trasparenza che, oltre ad assurgere a principio
generale che informa di sé la materia del contratto asimmetrico, si concretizza in
ogni situazione specifica, che veda coinvolto ciascun singolo consumatore, per
fornire a quest’ultimo una tutela diretta ed effettiva282.
278
C. CASTRONOVO, Profili della disciplina nuova delle clausole cd. vessatorie cioè abusive, in
Eur. dir. priv., 1998, p. 28
279
Per una ricostruzione dell’argomento sulla base del regime di responsabilità si veda S. LANDINI,
Obblighi di documentazione informativa e responsabilità civile, in Danno resp., 2008, p. 1073
280
G. GRISI, Gli obblighi di informazione, in S. MAZZAMUTO (a cura di), Il contratto e le tutele.
Prospettive di diritto europeo, Torino, 2002, p. 153
281
E. NAVARRETTA, Art. 1469 quinquies, comma 2, in C.M. BIANCA – F.D. BUSNELLI (a cura
di), Commentario al Capo XIV bis del codice civile: dei contratti del consumatore, cit., p. 1244
282
F. PROSPERI, Violazione degli obblighi di informazione nei servizi di investimento e riedi
contrattuali (a proposito di Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725), in Contr. impr.,
2008, p. 945
87
L’esigenza, avvertita negli ambienti comunitari, di approntare sicuri strumenti di
garanzia per il contraente debole, che si traduce anche nella adozione di regole in
materia di obblighi di informazione, coinvolge anche la disciplina delle pratiche
sleali che possano aver luogo nel mercato interno tra professionisti e consumatori,
tema centrale della Direttiva 29/2005/CE283. Lo scopo della direttiva viene
perseguito mediante la tutela diretta della concorrenza e dei consumatori. Occorre
rilevare come il nucleo concettuale della Direttiva ruoti attorno al dovere di
correttezza professionale, per il quale i molteplici richiami normativi permettono
oggi di parlare di un vero e proprio “statuto della correttezza professionale”284. La
Direttiva, in cui, peraltro, appare, all’art. 2 lett. b), la nozione di consumatore medio
quale “il consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento ed
avveduto”, intende agganciare al principio di proporzionalità la valutazione sulla
slealtà di una determinata pratica commerciale; ciò nonostante, i giudici nazionali,
in sede di verifica circa la slealtà di una pratica commerciale, sono tenuti a
considerare una serie di circostanze concrete che variano caso per caso. La stessa
Direttiva, nella piena consapevolezza che i consumatori non sono tutti uguali tra
loro, prevede altresì regole specifiche per il caso in cui si tratti di consumatori
appartenenti ad un determinato gruppo in quanto aventi caratteristiche specifiche
particolari (si pensi ai minori di età), pertanto in tali casi la valutazione della slealtà
deve essere compiuta facendo riferimento al consumatore medio appartenente ad un
gruppo, piuttosto che al consumatore medio in generale. La nozione di pratica sleale
è fornita all’art. 5 della Direttiva, intesa come ogni pratica commerciale che “è
contraria alla diligenza professionale e altera o è idonea ad alterare in misura
rilevante il comportamento economico in relazione al prodotto del consumatore
medio, che raggiunge o al quale è diretta, o del membro medio di un gruppo qualora
la pratica commerciale si diriga specificamente ad un determinato gruppo di
consumatori”. Viene, per tale via, elaborata una clausola generale, destinata ad
essere attivata nel caso in cui una determinata fattispecie concreta non possa essere
ricondotta né al novero delle pratiche ingannevoli o aggressive né alla black list che
283
R. INCARDONA, La Direttiva 29/2005/CE sulle pratiche commerciali sleali: prime valutazioni,
in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 2006, p. 361
284
V. FALCE, Appunti in tema di disciplina comunitaria sulle pratiche commerciali sleali, in Riv.
dir. comm., 2009, p. 423 ss., delinea la cornice entro cui si ambienta la Direttiva 29/2005/CE, in
materia di pratiche sleali tra professionisti e consumatori nel mercato interno, in ossequio al
programma di tutela degli interessi economici dei consumatori nonché dei “diritti civili nel mercato”
(p. 424), attraverso il richiamo alla correttezza quale criterio che disciplina lo svolgimento dei
rapporti tra gli operatori economici.
88
la stessa Direttiva fornisce in allegato285. Si tratta di una norma di chiusura, il cui
ambito di operatività è residuale, sul presupposto dei limiti di applicabilità delle
pratiche ingannevoli e di quelle aggressive. Il vero tratto di novità della Direttiva è
segnato dall’esortazione nei confronti degli Stati membri ad adottare codici di
condotta in materia di pratiche commerciali sleali, fornendo, all’art. 2, la nozione di
codice di condotta quale “accordo che definisce il comportamento che dei
professionisti si impegnano a rispettare in relazione a una o più pratiche
commerciali o ad uno o più settori imprenditoriali specifici”, laddove invece per
codice di condotta di livello comunitario è da intendere “un codice di condotta che
consente l’adesione, su basi non discriminatorie, di qualsiasi professionista di
qualsiasi Stato membro che soddisfi i requisiti stabiliti dal codice. Il codice dovrà
prevedere meccanismi idonei ed efficaci che consentano di controllarne e imporne il
rispetto”.
Nel contesto contemporaneo, alla previsione generale dell’obbligo di informazione
contenuta nell’art. 1337 c.c., si affianca una molteplicità di situazioni specifiche in
cui sorgono obblighi di informazione. Il contenuto dell’obbligo generale si
sostanzia nel limite imposto al soggetto maggiormente informato di disporre a
proprio vantaggio della posizione di favor informativo acquisita, laddove invece gli
obblighi specifici sono dettati espressamente per le forme di contrattazione
asimmetrica, per la quale è fisiologico accordare forme specifiche di tutela al
contraente debole fin dalla fase delle trattative prenegoziali, senza però, al
contempo, andare ad ingerire sul contenuto del regolamento negoziale, la cui
determinazione rimane essenzialmente affidata all’attività delle parti contraenti.
Nelle norme di cornice in materia di contratto in generale, la tutela precontrattuale è
affidata all’operatività della clausola generale di buona fede. Nei contratti del
consumatore, al contrario, si registra una sostanziale tendenza a limitare il margine
di discrezionalità del giudice, con la conseguenza per cui vengono in
285
R. SENIGAGLIA, Informazione contrattuale nella net economy e trasparenza del mercato, in
Eur. dir. priv., 2002, p. 248, nel rilevare le carenze proprie del commercio transnazionale dovute alla
scarsezza di trasparenza nelle informazioni, limiti che il sistema globale degli scambi nella net
economy mette pienamente in luce, osserva come la concorrenza, che assurge a valore fondamentale
contro qualsiasi abuso dell’imprenditore, postuli una equa divulgazione delle informazioni a tutti gli
operatori della scena economica. L’Autore individua nella possibilità di dare vita ad un circuito a
basso costo ove le informazioni possano muoversi così che i consumatori siano messi in condizione
di effettuare tutte quelle valutazioni di carattere comparativo che precedono il momento della scelta
del prodotto. Egli mette così in risalto la intima connessione tra sistema concorrenziale e sistema del
diritto, rintracciandone quella medesimezza del fine che si sostanzia nello svolgimento di un
mercato concorrenziale allo scopo di soddisfare il parametro dell’utilità sociale, che è sotteso ad
ogni ordinamento giuridico.
89
considerazione una serie di specifici doveri di informazione, espressamente dettati,
che rientrano tra le obbligazioni contrattuali del professionista. Un pregnante
esempio è fornito in materia di vendita di beni di consumo, di cui all’art. 128 ss.
cod. cons., in cui viene posto a carico del venditore nonché del produttore l’obbligo
di commerciare un bene che soddisfi determinati standard di carattere oggettivo e
che, al contempo, sia conforme a quanto dichiarato al di fuori del testo negoziale286.
L’ambito dei rapporti di consumo implica inevitabilmente uno spostamento della
tutela del contraente debole anche e soprattutto alle fasi che precedono in modo
meno prossimo il momento della conclusione del contratto, dal momento che nella
vendita dei beni di consumo la pubblicità e le informazioni di cui il consumatore è
destinatario quale soggetto che opera sul mercato contribuiscono grandemente alla
scelta di questi di addivenire o meno alla conclusione del contratto287. La maturata
consapevolezza della importanza che, nel contesto commerciale contemporaneo, le
informazioni assumono nella fase prenegoziale, si registra anche nei Principles of
European Contract Law, in cui il paragrafo 6:101, nell’elencare tra le fonti
dell’obbligazione anche le dichiarazioni rese sia in fase antecedente sia in fase
contestuale alla conclusione del contratto, sul presupposto per cui l’altra parte le
abbia ragionevolmente intese, fissa, per tale via, l’obbligo in capo al soggetto autore
del messaggio pubblicitario di conformità del contratto alle dichiarazioni rese a
mezzo della pubblicità, fatto salvo il caso di sopravvenienze che non potevano
essere previste nel momento in cui è stato formato il messaggio pubblicitario288.
Nel Codice del consumo, accanto ad obblighi di informazione specificamente
imposti, si rinvengono altresì ipotesi in cui viene disciplinato il contenuto di
informazioni spontaneamente trasmesse e ne viene stabilita la vincolatività. Si pensi
E. RAJNERI, L’ambigua nozione di prodotto difettoso al vaglio della Corte di Cassazione
italiana e delle altre Corti Europee, in Riv. dir. civ., 2008, II, p. 623
287
G. CHIAPPETTA, Il principio di autodeterminazione da leale informazione ed il corretto
funzionamento del mercato, in Il diritto dei consumi, III, Rende, 2007, p. 171-238
288
C. RESTIVO, La conclusione del contratto nei Principi di Diritto Europeo dei Contratti e nel
codice civile italiano, in Eur. dir. priv., 2003, p. 883 ss., mette in luce il problema del ragionevole
affidamento che induce la parte contraente a prestare il proprio consenso al fine della conclusione
del contratto, che si fonda sulla conoscenza che il contraente ha delle circostanze di fatto che sono
connesse alla vicenda negoziale che sta per porre in essere. Mentre nei Principi di diritto europeo dei
contratti il parametro della ragionevolezza è enunciato espressamente ed è saldato alla formazione
del consenso, nel Codice civile la tutela dell’affidamento è invece connessa al carattere incolpevole,
il che vale a dire ad una valutazione che coinvolge il contegno del soggetto contraente al fine di
venire a conoscenza della volontà effettiva della controparte. La tematica si inquadra nella più ampia
cornice del dibattito tra volontà e dichiarazione, ove la teoria del ragionevole affidamento consiste in
ciò che “il destinatario della dichiarazione viene sollevato dall’onere di adoperarsi al fine di venire a
conoscenza delle circostanza che qualificano la manifestazione della volontà a lui indirizzata” (p.
890).
286
90
a quanto previsto all’art. 88 cod. cons., con riguardo all’opuscolo informativo, in
materia di contratti di viaggi vacanze, che viene reso accessibile al consumatore in
sede preliminare a quella della conclusione del contratto. Vi sono, poi, determinate
fattispecie di operazioni economiche, che si realizzano mediante i contratti a
distanza o la vendita fuori dei locali commerciali, in cui è necessario che il
professionista fornisca determinate informazioni con riguardo alla natura ed alle
caratteristiche della prestazione che forma oggetto della sua obbligazione289.
Nel quadro dell’informazione si inserisce il fenomeno pubblicitario che svolge un
ruolo determinante nella formazione del convincimento del consumatore a voler
acquistare il prodotto, soprattutto a fronte degli innumerevoli strumenti attraverso i
quali l’informazione pubblicitaria viene veicolata verso i consumatori. Il Codice del
consumo, in primo luogo, si è fatto carico di dettare regole a tutela della parte
debole, volte ad arginare l’abuso dei poteri di informazione da parte delle imprese,
nonché l’impiego improprio della pubblicità. Successivamente, con il d.lgs. 2
agosto 2007, n. 145, sono state elaborate specifiche e dettagliate prescrizioni nelle
materie della pubblicità ingannevole e comparativa. Se le regole originarie, peraltro
di chiara matrice comunitaria, erano volte a preservare il corretto svolgimento delle
attività commerciali sulla scena mercantile, il nuovo impianto normativo, essendo,
nei suoi contenuti sostanziali, essenzialmente riproduttivo di quanto contenuto nel
Codice del consumo, esprime la preoccupazione del legislatore comunitario e
nazionale di assicurare un adeguato livello di protezione della parte debole anche
contro questi fenomeni. La pubblicità è un potentissimo canale attraverso cui si
possono veicolare le scelte dei consumatori in una direzione piuttosto che in
un’altra; pertanto, una volta preso atto che il consumatore è fisiologicamente in
posizione di debolezza nella sede delle contrattazioni d’impresa, non si può
trascurare di considerare come attraverso la pubblicità ingannevole le asimmetrie
informative e negoziali eccedano il livello caratterizzante la fattispecie. I due
decreti legislativi del 2 agosto 2007, n. 145 e 146, nel costituire una forma di
attuazione della Direttiva 2005/29/CE, recepiscono i due principi in essa contenuti;
a livello comunitario, ci si è infatti preoccupati tanto di accordare tutela alle imprese
concorrenti contro gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla pubblicità ingannevole,
quanto di assicurare protezione ai consumatori contro le pratiche commerciali sleali.
Ne consegue che le fonti della pubblicità ingannevole e comparativa sono oggi il
289
E. SCODITTI, Regole di efficacia e principio di correttezza nei contratti del consumatore, in cit.,
p. 119
91
d.lgs. n. 145 del 2007, che, nel tutelare le imprese concorrenti, regola il fenomeno;
la tutela nei rapporti tra consumatori e professionisti è, invece, consegnata agli
articoli 18 ss. cod. cons. così come novellati dal d. lgs. n. 146 del 2007. Se è
pacifico che tutta la normativa qui richiamata sia da ascrivere al valore, di
investitura costituzionale, della libertà di iniziativa economica, ad avviso di chi
scrive, tuttavia, essa è piuttosto da ricondurre al diritto della persona umana in
quanto tale, alla libera formazione del proprio pensiero e del proprio
convincimento, che costituisce il proprium delle democrazie.
5. Lo scenario dei rapporti tra privati annovera, tra i suoi strumenti regolatori, anche
il principio di ragionevolezza290, del quale, pur non essendo stata fornita una
espressa nozione legislativa, è tuttavia possibile riscontrare la presenza, attraverso
vari riferimenti espliciti tanto nel Codice civile quanto nel Codice del consumo291.
Si tratta di un criterio che pervade la materia del diritto privato da non breve
periodo, inserendosi quale strumento per la ponderazione di vicende e rapporti
giuridici292. Nel contesto contemporaneo, caratterizzato, per così dire, dalla
“legislazione per principi”, questo, come gli altri concetti-valvola, conosce un
momento di grande rivalutazione ed operatività. Leggendo il testo del Codice civile,
sarà possibile rintracciare l’impiego del termine “ragionevolezza” in luoghi
sporadici, quali, ad esempio, l’art. 49, l’art. 1365, nonché gli artt. 1711 secondo
comma, e 1751 secondo comma, contrariamente a quanto è dato riscontrare nella
legislazione consumeristica in cui tale termine compare con maggiore frequenza. Il
dato che rileva concerne, tuttavia, non tanto l’aspetto quantitativo, quanto quello
qualitativo: la portata semantica della parola. Nel Codice civile, l’impiego del
termine si riscontra maggiormente in materia contrattuale, quale criterio orientativo
del momento interpretativo del documento negoziale, nella veste di generico mezzo
di adeguamento del dato normativo alla realtà concreta, senza che siano delineati gli
indici sulla base dei quali condurre la valutazione della ragionevolezza, con la
conseguenza per cui viene affidata all’interprete ogni valutazione concreta da
effettuarsi sulla base di quei parametri di giudizio, quali gli usi e la prassi negoziale,
che derogano al luogo legislativo inteso in senso stretto. Sul terreno del
290
F. MODUGNO, La ragionevolezza nella giustizia costituzionale, Napoli, 2007, passim
Il criterio generale qui in esame è suscettibile a trovare applicazione in molteplici ambiti,
massimamente nella materia dei contratti. Sul punto si veda A. RICCI, La ragionevolezza nel diritto
privato: prime riflessioni, in Contr. impr., 2005, p. 643
292
F. CRISCUOLI, Buona fede e ragionevolezza, in Riv. dir. civ., 1984, I, p. 725
291
92
consumatore, il richiamo alla ragionevolezza si salda, invece, alla nozione di
congruità. L’art. 33 secondo comma lett. h) cod. cons. annovera, tra le clausole che
si presumono vessatorie fino a prova contraria, quelle che hanno per oggetto, o per
effetto, di “consentire al professionista di recedere da contratti a tempo
indeterminato senza un ragionevole preavviso, tranne nel caso di giusta causa”. La
parola viene impiegata in materia di termini, analogamente a quanto avviene nel
Codice civile, ad esempio, al terzo comma dell’art. 1748, in materia di contratto di
agenzia, in cui, nell’annoverare la provvigione tra i diritti dell’agente, il legislatore
prevede che tale diritto sorge con riguardo agli “affari conclusi dopo la data di
scioglimento del contratto se la proposta è pervenuta al preponente o all’agente in
data antecedente o gli affari sono conclusi entro un termine ragionevole dalla data
di scioglimento del contratto”. In altre previsioni codicistiche, il legislatore, nel
qualificare i termini, si esprime, piuttosto, tramite il concetto di congruità, come
avviene, ad esempio, in materia di somministrazione, ove il disposto dell’art. 1569
c.c. statuisce che “se la durata della somministrazione non è stabilita, ciascuna delle
parti può recedere dal contratto, dando preavviso nel termine pattuito o in quello
stabilito dagli usi o, in mancanza, in un termine congruo avuto riguardo alla natura
della somministrazione”. In una prospettiva di comparazione tra congruità e
ragionevolezza, emerge come, nel caso codicistico del “termine congruo”, l’indice
attraverso cui commisurare la congruità a determinate esigenze (unilaterali) debba
essere rintracciato all’esterno, mentre, nel caso del “termine ragionevole” in materia
di clausole vessatorie, è insito nel concetto di ragionevolezza il parametro di
riferimento, che si sostanzia nella stessa convenienza del termine di preavviso per
entrambe le parti contraenti, in una sintesi di interessi concreti secondo cui
l’interesse della parte che esercita il diritto potestativo di recesso è da valutarsi in
connessione con quello della parte che lo subisca293. L’argomento coinvolge anche
la vendita dei beni di consumo, la cui attuale disciplina costituisce il precipitato di
un lungo iter che prende l’avvio con la Direttiva 99/44/CE in materia di garanzie
nella vendita dei beni di consumo, la cui attuazione ha giustificato la novella
codicistica con cui sono stati introdotti gli artt. 1519 bis e seguenti nel Codice
civile, regole ora confluite negli artt. 129 ss. cod. cons. In questa sede, il concetto di
ragionevolezza assume una specifica duplice portata contenutistica, che si sostanzia,
in primo luogo, nella “ragionevole aspettativa” del consumatore, e, in secondo
F. VIOLA, Ragionevolezza, cooperazione e regola d’oro, in Ragionevolezza e interpretazione,
Ars interpretandi, Annuario di ermeneutica giuridica, VII, Padova, 2002, p. 111
293
93
luogo, nella ragionevolezza delle spese imposte al venditore. Il consumatore
matura, infatti, l’aspettativa di ricevere dal venditore un bene conforme a quanto
pattuito nell’accordo negoziale, e ciò assume i tratti della ragionevolezza nel
momento in cui è da presumersi la conformità del bene di consumo al contratto, a
fronte della natura del bene, dell’attività normalmente svolta dal venditore e delle
dichiarazioni pubbliche rese dallo stesso in merito alle caratteristiche specifiche dei
beni che egli commercializza, nonché dalla descrizione dei beni che viene compiuta
tramite lo strumento della pubblicità o anche dalle informazioni contenute
sull’etichettatura. E’ tuttavia pacifico che, talvolta, la pubblicità illustri delle
qualità, in modo manifestamente iperbolico, del bene, per cui la “ragionevole
aspettativa” del consumatore emergerà laddove il consumatore, in grado di
ponderare e valutare le informazioni che gli vengono fornite, verificherà il bene che
in concreto gli venga consegnato sulla base del complesso di qualità sulle quali può
fare affidamento. Il riferimento è al consumatore medio, con la conseguenza per cui
si tratta di un criterio soggettivo di valutazione del bene che tuttavia assume valenza
oggettiva, il che vale a dire generalizzata, in quanto si pone come sindacato sul
comportamento valevole per ogni soggetto che si trovi nella posizione di
consumatore. Analogamente, il concetto di ragionevolezza della spesa assurge a
strumento di valutazione dell’onerosità dell’esborso, da effettuarsi, questa volta da
parte del venditore, secondo il valore che il bene avrebbe in assenza del difetto di
conformità, secondo l’effettiva entità dei difetti di conformità nonché secondo la
possibilità di attivare il rimedio alternativo senza che, con ciò, il consumatore
subisca ingenti pregiudizi. Il consumatore non potrà infatti richiedere la sostituzione
di un bene che presenti un lieve difetto di conformità, laddove si possa ovviare
all’inconveniente attraverso un piccolo intervento del professionista, ed ove la
sostituzione del bene possa rivelarsi eccessivamente onerosa per quest’ultimo. Le
riflessioni condotte induttivamente ci immettono nel più ampio problema
concernente la qualificazione giuridica della ragionevolezza. Si tratta di un concetto
molto efficiente, dal punto di vista funzionale, in materia di contratti, in quanto
permette, in sede di interpretazione, di rintracciare in concreto il momento di sutura
tra la volontà delle parti contraenti e la capacità dell’assetto negoziale divisato di
soddisfare gli interessi e le esigenze delle medesime in termini di economicità.
Sotto il profilo identitario, ci si chiede se si debba annoverare la ragionevolezza tra
le clausole generali dell’ordinamento, tra i principi o tra le categorie con cui il
94
civilista è chiamato a misurarsi. Se, per molto tempo, l’operatività delle clausole
generali è stata tenuta a freno da un’ottica incentrata sul dogma della certezza del
diritto, il repentino complicarsi della realtà sociale ha comportato, nel momento
contemporaneo, una necessaria apertura verso la “legislazione per principi”, con la
conseguenza tanto di un riconoscimento di “poteri creativi all’interprete” quanto
della presa di coscienza dei limiti applicativi e delle aporie alle quali è esposta la
“legge creata”, di fronte alla mutevolezza delle esigenze concrete294. Per tale via, è
cominciato un processo di rivalutazione delle clausole generali, quali la buona fede,
l’equità, l’ordine pubblico, il buon costume, la solidarietà, concetti la cui funzione
(di colmare le inevitabili aporie del sistema giuridico “dettato”) può essere esplicata
proprio in quanto per essi non è stato fissato un significato specifico (e che è dato
rintracciare a partire da standard di comportamento sociali), che costituiscono una
sorta di scettro del “potere creativo” consegnato nelle mani dei giudici. Del resto,
neppure volendo andare alla ricerca di una nozione di clausola generale si troverà
una definizione univoca. Si rintracciano, infatti, in dottrina le opinioni più svariate,
che trattano le clausole generali talvolta alla stregua di norme incomplete295, talaltra
alla stregua di fonti di eterointegrazione del sistema giuridico attraverso le quali le
regole elaborate in via pragmatica sono ammesse nel tessuto normativo296, o,
ancora, come espressione del “diritto vivente” che, traendo origine dalla prassi,
deve necessariamente inserirsi nel terreno del “codificato”297.
Le clausole generali si distinguono dai principi generali in quanto questi ultimi si
presentano piuttosto quali criteri assiomatici di carattere dogmatico, che si vanno ad
inserire nel sistema del diritto in qualità di premesse aprioristiche ed inconfutabili.
Si pensi al principio consensualistico, o al principio di causalità o a quello della
libertà contrattuale298.
S. RODOTA’, Il tempo delle clausole generali, in Il principio di buona fede, Milano, 1987, p.
249 ss.
295
L. MENGONI, Spunti per una teoria delle clausole generali, in Riv. crit. dir. priv., 1986, I, p. 9
ss.
296
S. RODOTA’, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 2004, passim.
297
A. FALZEA, Gli standards valutativi e la loro applicazione, in Riv. dir. civ., 1987, I, p. 1, il
quale definisce le clausole generali come una sorta di “organi respiratori” del sistema giuridico. Di
qui l’accezione di “concetti-valvola”.
298
L. MENGONI, I principi generali del diritto e la scienza giuridica, in Principi generali del
diritto, Roma, 1992, p. 323-324; V. CRISAFULLI, Per la determinazione del concetto dei principi
generali del diritto, in Studi sui principi generali dell’ordinamento giuridico, Università degli Studi
di Pisa, 1943, p. 176. Nonché G. ALPA, Una concezione realistica dei principi generali, in L.
CABELLA PISU – L. NANNI (a cura di), Clausole e principi generali nell’argomentazione
giurisprudenziale degli anni novanta, Padova, 1998, p. 106-109.
294
95
Una volta condivisa l’impostazione secondo cui le clausole generali sono strumenti
di adeguamento del sistema alla realtà sociale, risultando facilmente comprensibile
come non possa essere attribuito a ciascuna di esse uno specifico significato
destinato a rimanere immutato ed immutabile, non si dovrà incorrere nell’errore di
ritenere che le clausole siano tra loro sinonimiche, intercambiabili e suscettibili di
essere sostituite l’una con l’altra. Ognuna delle clausole generali, dalla
ragionevolezza alla buona fede e all’equità, conosce una propria storia ed un
proprio iter genetico. Pur condividendo esse la medesima prospettiva funzionale,
ciascuna è caratterizzata da peculiari elementi che valgono a compiere la
differenziazione. Si consideri, a titolo esplicativo, che la ragionevolezza, che ha
origine nel sistema di common law, sottende valutazioni connesse all’efficienza
economica del contratto per le parti contraenti, mentre la buona fede, propria
squisitamente del civil law, contiene in sé ed invoca i parametri della morale
soggettiva contrattuale (il dovere delle parti contraenti di comportarsi secondo lealtà
e correttezza). Certamente, le clausole generali operano secondo un filo di
connessione funzionale che le lega le une alle altre299. Ma v’è di più. Se, a partire
dalla clausola generale di ragionevolezza, si può dare vita ad un vero e proprio
principio generale dell’ordinamento, in quanto regola della sensata adeguatezza tra
scopi e mezzi300, la ragionevolezza si va ad inserire nel novero degli strumenti di
controllo dell’impiego della clausola di buona fede da parte dei giudici, segnando i
confini dai quali il dovere di correttezza non può esorbitare. Ne deriva che la buona
fede, quale criterio di “valutazione dell’opportunità soggettiva” dell’effettivo
esercizio dell’autonomia negoziale, viene impiegata ove essa non si presenti
incompatibile con i parametri dell’efficienza oggettiva dell’operazione economica.
La nozione di equità sostanziale vale, in via generale, a nominare una delle fonti di
integrazione del contratto, espressamente richiamata all’art. 1374 c.c. Essa
interviene quale criterio di determinazione della regola da applicare al contratto,
permettendo al giudice di assumere a fondamento della correzione che egli opererà
alla pattuizione negoziale, tutte quelle circostanze di fatto le quali risulteranno
maggiormente idonee allo scopo301. L’equità appartiene tradizionalmente
all’ordinamento giuridico interno in qualità di clausola generale, al pari della buona
299
Cass., 11 febbraio 2005, n. 2855, in , in cui vengono posti in luce in punti di interconnessione tra
l’una e l’altra clausola generale.
300
F. CRISCUOLI , Buona fede e ragionevolezza, in Riv. dir. civ., 1984, p. 754
301
S. RODOTA’, Le fonti di integrazione del contratto, cit., p. 222-225
96
fede. Ed in tale guisa è stata trattata per molto tempo, senza trascurare la diffidenza
che, per anni, è stata riservata a tutte le clausole generali, nell’ottica in cui la
certezza del diritto era saldata alla avversione per il “ruolo creativo” dell’interprete.
Il Codice del consumo, nel fornire, all’art. 2, l’elenco dei diritti dei consumatori, vi
annovera il diritto alla correttezza, alla trasparenza ed all’equità nei rapporti
contrattuali. Dalla legislazione di settore sembra emergere l’equità quale oggetto di
un diritto di cui è titolare il consumatore, piuttosto che quale strumento affidato
all’operato dell’interprete. Il contenuto del diritto all’equità è da ricollegare al
novero degli strumenti a tutela del contraente debole, tra cui, in primo luogo, la
disciplina delle clausole vessatorie, approntata anch’essa per far fronte a situazioni
di squilibrio contrattuale. Nella formulazione di cui all’art. 2 secondo comma lett. e)
cod. cons. viene attribuita una posizione di autonoma preminenza all’equità, in
quanto essa viene a rilevare autonomamente, in qualità di diritto del consumatore ad
ottenere una proporzione tra prestazione e controprestazione, compatibilmente con
il fisiologico squilibrio che è proprio della contrattazione asimmetrica. In una tale
prospettiva, l’equità si discosta dal ruolo di mero strumento per il sindacato della
vessatorietà di una clausola, per assurgere a contenuto di una posizione giuridica
soggettiva ben delineata.
6. L’argomento delle garanzie e dei rimedi302, posti a tutela delle parti contraenti,
all’interno del contratto di vendita, si incardina, se affrontato nei termini
tradizionali, sulla alternativa tra l’opzione favorevole a saldare le garanzie per
evizione e per vizi della cosa venduta al regolamento negoziale costruito ed attuato
dalle parti, o, piuttosto, a rintracciare nella legge la fonte diretta di tali garanzie, con
la conseguenza per cui, secondo tale prospettiva, si verificherebbe una integrazione
esterna delle regole che presiedono allo svolgimento del rapporto negoziale 303. In
ogni caso, risulta condivisibile l’impostazione secondo cui la questione risiede, con
riguardo alla cosiddetta vendita di diritto civile, nell’indagine sui poteri e sui limiti
della teoria generale del negozio giuridico304. Nel quadro dell’armonizzazione,
l’esigenza di accordare la tutela (in modo particolare, al contraente debole), nella
302
C. SCOGNAMIGLIO, Regole di validità e di comportamento: i principi ed i rimedi, in Eur. dir.
priv., 2008, p. 599
303
Per una significativa ricostruzione del rapporto tra “diritti” e “rimedi” si veda A. DI MAJO, Il
linguaggio dei rimedi, in Eur. dir. priv., 2005, 2, p. 341 ss., in cui l’Autore pone in risalto come sia
necessario che un rimedio si ricolleghi sempre ad un interesse, tutelato dall’ordinamento, che viene
leso; al contrario, il rimedio non deve sempre necessariamente innestarsi su un diritto.
304
G.B. FERRI – A. NERVI, Il contratto di compravendita, cit., p. 24.
97
dinamica dei consumi, si sostanzia nella predisposizione di una molteplicità di
espedienti
rimediali305
volti
a
proteggere
gli
interessi
coinvolti
nella
contrattazione306. Si potrebbe, così, osservare che la questione non viene affrontata
in termini concettuali307, quanto piuttosto in chiave prettamente economica e
pratica308. Nell’elaborazione delle garanzie in materia di vendita di beni di consumo
a livello europeo, si è tenuto conto delle diverse impostazioni proprie degli
ordinamenti dei Paesi ai quali la normativa è indirizzata309. Certamente, una volta
che ci si sia occupati, a livello europeo, della tematica dei rimedi e delle garanzie,
vuol dire che si è intaccato (o, quanto meno, toccato) uno dei nuclei della materia
delle obbligazioni e dei contratti, quale fonte principale del rapporto obbligatorio310.
Il legislatore europeo, nel trattare le garanzie e i rimedi nella vendita dei beni di
consumo, si è ispirato alla Convenzione di Vienna, avente ad oggetto la disciplina
della vendita internazionale di beni mobili311, potendosi, comunque, rintracciare
significativi punti di divergenza tra le due normative312. Ciò anche a fronte del
diverso impatto che i due complessi di regole hanno sul panorama del diritto
interno, dal momento che la Convenzione di Vienna si limita a regolare i rapporti di
vendita internazionale, mentre il legislatore europeo interviene a dettare prescrizioni
operative nelle contrattazioni nazionali313. Conducendo un approccio sinottico
all’argomento dei vizi nella vendita dei beni di consumo ed in quella cd. di diritto
civile, emerge come l’impostazione del Legislatore del 1942, essenzialmente
Per un’analisi trasversale dell’odierno panorama dei meccanismi che interessano la fase
dell’esecuzione del negozio si veda A. LUMINOSO, Il contratto nell’Unione Europea:
inadempimento, risarcimento del danno e rimedi sinallagmatici, in Contratti, 2002, p. 1037
306
A. LUMINOSO, Armonizzazione del diritto europeo e disarmonie del diritto interno: il caso dei
contratti di alienazione e dei contratti d’opera, in Eur. dir. priv., 2008, p. 469
307
G.B. FERRI, La vendita in generale – Le obbligazioni del venditore – Le obbligazioni del
compratore, p. 486
308
E. NAVARRETTA, La complessità del rapporto fra interessi e rimedi nel diritto europeo dei
contratti, in Nuova giur. civ. comm., 2007, II, p. 415; R. CALVO, Contratti e mercato, Torino,
2006, passim.
309
R. ALESSI, L’attuazione della Direttiva nel diritto italiano: il dibattito e le sue impasse, in ID. (a
cura di), La vendita dei beni di consumo, Milano, 2005, p. 3
310
R. CALVO, L’attuazione della Direttiva n. 44 del 1999: una chance per la revisione in senso
unitario della disciplina sulle garanzie e rimedi nella vendita, in Sette voci sulla Direttiva
comunitaria riguardante le garanzie nella vendita dei beni di consumo, in Contr. impr./Eur., 2000,
p. 463
311
C.M. BIANCA, Conformità dei beni e diritti dei terzi. Art. 35, in C.M. BIANCA, Commentario,
Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili, in Nuove leggi civ.
comm., 1989, p. 147
312
A. DI MAJO, Il regime delle restituzioni contrattuali nel diritto comparato ed europeo, in Eur.
dir. priv., 2001, p. 531
313
La Convenzione di Vienna, all’art. 45, delinea nettamente l’opzione tra i rimedi di carattere
satisfattivo e quelli di carattere sinallagmatico. P.M. VECCHI, La richiesta di riparazione o
sostituzione dei beni di consumo, in Studi in onore di C.M. Bianca, III, Milano, 2006, p. 1007
305
98
fondata sulla connessione - quasi fisiologica - tra vizio e risoluzione del contratto
(volendo, con ciò, enunciare una regola rispetto alla quale il rimedio manutentivo
integra un’ipotesi derogatoria ed eccezionale)314, venga sostituita, nell’ambito di
settore, dal trinomio vizio-rimedio-conservazione degli effetti del contratto, in
omaggio ad una visione nettamente pratica e funzionale dell’accordo negoziale che
sorregge l’operazione economica315. Dallo stesso ambito settoriale emerge la
categoria della “conformità al contratto”, che interviene a porsi quale criterio
valutativo dell’esatto adempimento dell’obbligazione che forma oggetto della
prestazione del venditore316. Il venditore è, così, tenuto ad adempiere ad
un’autonoma obbligazione, quella di garantire che la res consegnata sia conforme a
quanto pattuito in sede contrattuale, con il contestuale insorgere della responsabilità
per inadempimento317. Come si evince dal tenore testuale dell’art. 130 cod. cons., il
Codice del consumo fonda su un dato oggettivo la responsabilità del venditore nei
confronti del consumatore “per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento
della consegna del bene”318. Ciò indipendentemente dall’occorrenza di dolo o colpa
da parte del venditore319. Tale responsabilità ha origine meramente dal dato
oggettivo consistente nella sussistenza del difetto di conformità320. La norma
appena richiamata prosegue, poi, andando ad ossequiare pienamente il principio di
conservazione del contratto, dal momento che il secondo comma contiene, in primo
luogo, a favore del consumatore, “il diritto al ripristino, senza spese, della
conformità del bene mediante riparazione o sostituzione”, o, in alternativa, alla
riduzione del prezzo, o, secondo quanto ci appare, come extrema ratio, la
risoluzione del contratto321. Malgrado il legislatore europeo sembri voler porre sullo
stesso piano l’alternativa tra la riduzione del prezzo e la risoluzione del contratto,
314
L. MENGONI, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, in Riv.
dir. comm., 1953, I, p. 3
315
G.P. CALABRO’, Tutela del contraente debole e mercato: la dialettica tra norme e valori, in P.
PERLINGIERI – E. CATERINI (a cura di), Il diritto dei consumi, Rende, 2004, p. 36
316
G. AMADIO, Difetto di conformità e tutele sinallagmatiche, in Riv- dir. civ., 2001, I, p. 870
317
G. DE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, in E. GABRIELLI – E. MINERVINI (a
cura di), I contratti dei consumatori, in Tratt. contr. Rescigno Gabrielli, Torino, 2005, p. 967
318
R. PARDOLESI, La direttiva sulle garanzie nella vendita: ovvero, di buone intenzioni e risultati
opachi, in Riv. crit. dir. priv., 2001, p. 437
319
Il codice del consumo attribuisce altresì al consumatore, da intendersi qui quale ulteriore
strumento di tutela, il diritto di recesso. Recentemente la Corte di giustizia CE, sez. IV, 15 aprile
2010, n. 511, Soc. Handelgesellschaft vs. Verbraucherzentrale, in Guida al dir., 2010, 19, p. 96, ha
affermato che al consumatore il quale eserciti il diritto potestativo di recesso non possono essere
addebitate, per previsione di legge interna, le spese di consegna dei beni.
320
R. FADDA, La riparazione e la sostituzione del bene difettoso nella vendita (dal codice civile al
codice del consumo), Napoli, 2007, passim.
321
A.M. GENOVESE, Conformità al contratto e qualità delle tutele nella vendita, Bari, 2005,
passim.
99
nel ribadire, al settimo comma della norma de qua, che “il consumatore può
richiedere, a sua scelta, una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del
contratto”, a fronte del sussistere di alcune condizioni tassativamente elencate nella
stessa lettera della legge, tuttavia, la lettura di tale disposizione all’interno della
cornice funzionale nella quale essa è inserita, ci induce a ritenere che il legislatore
europeo abbia inteso demandare al consumatore il compito di condurre la
graduazione tra rimedio manutentivo (riduzione del prezzo) e risoluzione del
contratto, non potendosi, però, ritenere che le due opzioni rappresentino,
nell’intenzione dello stesso legislatore, due alternative equivalenti 322. La risoluzione
del contratto, che già di per sé svolge un ruolo di carattere residuale nella normativa
di settore, rispetto alla posizione che vediamo ad essa attribuita all’interno della
disciplina della vendita cd. di diritto civile, risulta, nella vendita dei beni di
consumo, un’opzione attivabile soltanto in seguito ad una valutazione che
potremmo definire economico-funzionale che è lasciata esclusivamente al
consumatore, il quale seguirà criteri di segno prettamente economico al fine di
decidere se optare per il mantenimento in vita del rapporto negoziale o piuttosto per
lo scioglimento del vincolo323. Alla prestazione della garanzia per vizi si ricollega il
sorgere, in capo al venditore, di una responsabilità, rispetto alla quale si pongono
problemi di qualificazione giuridica, che hanno dato vita in dottrina alla vexata
quaestio intorno alla possibilità di ricondurre tale responsabilità a quella generale
per inadempimento contrattuale di cui all’art. 1218 c.c. o, in alternativa, di
configurarla quale forma autonoma di responsabilità per “inattuazione dell’effetto
reale” del contratto324. Il novero dei rimedi nella vendita dei beni di consumo è da
combinare con la disciplina codicistica generale, secondo la duplice fisionomia che
l’obbligazione di garanzia assume nei due luoghi normativi325. Il superamento
dell’approccio “gerarchico” tra Codice civile e Codice del consumo, a favore
dell’armonizzazione dei due complessi normativi, comporta il sorgere del quesito
circa la possibilità di applicare alla fattispecie della vendita dei beni di consumo
l’art. 1494 c.c. o piuttosto l’art. 1218 c.c., ove sia stato consegnato al consumatore
322
C. IURILLI, Le garanzie nella vendita di beni di consumo tra Codice civile e Codice del
consumo, in Studium Iuris, 2006, p. 1365
323
F. ADDIS, La fornitura di beni di consumo: “sottotipo” della vendita?, in Obbl. contr., 2006, p.
585
324
E. RUSSO, La responsabilità per in attuazione dell’effetto reale, Milano, 1965, p. 210 contra: C.
CASTRONOVO, Il diritto di regresso del venditore finale nella tutela del consumatore, in R.
ALESSI, (a cura di), la vendita di beni di consumo, Milano, 2005, passim.
325
Sul significato del termine “garanzia” si veda M. FRAGALI, v. Garanzia (dir. priv.), in Enc. dir.,
XVIII, Milano, 1969, p. 448 ss.
100
un prodotto “affetto da difetto di conformità”326. Il quesito non ha scarsa rilevanza,
se si considera che l’opzione per l’una o l’altra delle due norme codicistiche appena
richiamate determina l’inquadramento della garanzia prestata dal professionista
nella tutela risarcitoria che sorge dal regime delle garanzie nella vendita, o piuttosto
nel quadro generale della responsabilità per inadempimento, con la conseguenza per
cui, in quest’ultima circostanza, la mancata consegna di un “bene conforme”
verrebbe ad integrare un mero inadempimento contrattuale327. L’opzione
preferibile, accolta anche in seno alla giurisprudenza, ricostruisce la garanzia per
vizi nel quadro dell’impegno traslativo che assume il venditore nei confronti
dell’acquirente, che si sostanzia anche nell’obbligo di verificare che la res trasferita
sia conforme a quanto pattuito e si trovi in condizioni tali da poter essere utilizzata
secondo la funzionalità che le è propria328. Una volta condivisa l’impostazione
secondo cui la garanzia del venditore è da ritenersi foriera di una autonoma forma
di responsabilità329, nonché considerando il testo dell’art. 135 cod. cons. primo
comma che prescrive che “le disposizioni del presente capo non escludono né
limitano i diritti che sono attribuiti al consumatore da altre norme dell’ordinamento
giuridico”, si ritiene che il consumatore possa invocare, nei confronti del
professionista, la forma di tutela di cui all’art. 1494 c.c.330.
Nell’analisi comparata del novero di rimedi, il Codice del consumo si connota per
l’innovazione contenuta nell’art. 131, che disciplina il diritto di regresso. La figura
è nota al diritto privato tradizionale da non breve periodo. Si pensi, ad esempio, alla
materia della fideiussione, ove il tenore degli artt. 1950 e 1951 c.c. espressamente
prevede il regresso del fideiussore contro il debitore principale, o contro più debitori
principali. La novità si coglie piuttosto nel dato per cui il diritto di regresso assurge
a rimedio accordato al venditore finale nei confronti del precedente venditore
all’interno della medesima catena distributiva, inscrivendosi così nel complesso
meccanismo delle vendite a catena e della distribuzione di massa. Più
specificamente, la norma di settore accorda al venditore finale, il quale sia
326
A. SCARPA, La vendita dei beni di consumo: la conformità al contratto e i diritti del
consumatore tra codice del consumo e codice civile, in Giur. merito, 2008, 11, p. 3038
327
G. AMADIO, La “conformità al contratto” tra garanzia e responsabilità, in Altre otto voci (e
due progetti) sulla Direttiva comunitaria riguardante le garanzie nella vendita dei beni di consumo,
in Contr. impr./Eur., 2001, p. 5
328
E. BARCELLONA, Le tutele dell’acquirente nella vendita di beni di consumo tra responsabilità
garanzia ed esatto adempimento, in Contr. impr., 2009, p. 194
329
R. PARDOLESI, Le garanzie relative ai beni di consumo venduti on-line. Pubblicità,
affidamento, responsabilità, in Dir. internet, 2007, p. 545
330
F. GALGANO, Un codice per il consumo, in Vita not., 2007, p. 52
101
“responsabile nei confronti del consumatore a causa di un difetto di conformità
imputabile ad un’azione o ad un’omissione del produttore, di un precedente
venditore della medesima catena contrattuale distributiva o di qualsiasi altro
intermediario”, il diritto di regresso nei confronti dei soggetti i quali siano
effettivamente responsabili per il suddetto difetto. Dalla lettura della norma,
eventualmente anche in combinato disposto con l’art. 36 cod. cons., emerge
l’assenza di un sistema che permetta di attivare la responsabilità diretta del
produttore. Per tale ragione, trova spazio il diritto di regresso, così come delineato
all’art. 131 cod. cons., all’interno della complessa catena di vendita e di
distribuzione dei beni di consumo. Se si è detto, da poco, che il diritto di regresso è
uno strumento ben noto al diritto privato, occorre ora considerare che, ad un’analisi
più accurata, l’impiego del sintagma “diritto di regresso” per nominare il sistema
rimediale di cui all’art. 131 cod. cons. appare improprio, dal momento che, in tale
fattispecie, si riscontra l’assenza di un regime di responsabilità solidale tra i vari
operatori della catena produttiva e distributiva331, e quest’ultimo rilievo integra uno
dei presupposti del regresso in senso stretto332. Tuttavia, si verifica, anche in questo
caso, che un soggetto, il quale sia tenuto ad adempiere un’obbligazione che è da
attribuirsi soggettivamente al contegno inadempiente di un altro soggetto, e che
viene dalla legge posta oggettivamente a carico del primo stesso, può agire in
regresso contro i soggetti obbligati per ripetere quanto pagato333.
Malgrado il meccanismo introdotto con il diritto di regresso di cui all’art. 131 cod.
cons. sembri, da un lato, esprimere la consapevolezza, in seno alle Istituzioni
comunitarie, circa la necessità di approntare una ulteriore forma di tutela per il
consumatore il quale si trova al termine di una lunga catena di produzione e di
distribuzione, dall’altro, esso rivela che è ancora acerba la stagione dell’azione
diretta del consumatore nei confronti del produttore334.
L’approdo ad un tale sistema di garanzie a tutela del consumatore, per il caso in cui
il prodotto acquistato sia affetto da un difetto di conformità, ha dietro di sé un lungo
iter in cui il legislatore comunitario ha dovuto far fronte alle notevoli differenze tra
i vari ordinamenti nazionali per quanto concerne la nozione di prodotto difettoso, il
A. GENTILI, I contratti d’impresa e il diritto comune europeo, in Riv. dir. priv., 2006, p. 7
A. SOMMA, Problemi di diritto comparato, IV, Diritto comunitario vs. diritto comune europeo,
Torino, 2003, passim
333
A. ALBANESE, La ripetizione dell’indebito nei modelli di civil law, in Contr. impr. Eur., 2007,
2, p. 833
334
G. ALPA, Autonomia privata e “garanzie” commerciali, in Contr. impr./Eur., 2002, p. 456
331
332
102
novero degli strumenti attribuiti all’acquirente per ottenere l’eliminazione del
difetto, i presupposti per l’operatività della garanzia nonché i termini della garanzia
legale. L’esigenza di attuare il progetto di armonizzazione ha indotto la
Commissione europea a pubblicare il Libro verde in materia di garanzie e servizi
post-vendita dei beni di consumo, che ha costituito il punto di partenza per la
successiva elaborazione del testo della Direttiva sulle garanzie nella vendita di beni
di consumo. Il problema della nozione di “non conformità” del bene non è
questione trascurabile, in quanto essa non è contemplata in alcuni Paesi membri
quali, peraltro, l’Italia, dove il parametro di riferimento per l’invocazione della
garanzia si sostanzia nel “vizio occulto”. L’esame comparativo dei vari ordinamenti
giuridici nazionali, utile ai fini della elaborazione, a livello comunitario, di un
diritto sostanziale uniforme, non ha omesso di portare alla luce le difficoltà
connaturate all’espletamento di una tale attività, funzionale ad un agevole
svolgimento degli acquisti transnazionali, in un’ottica di massima tutela della parte
debole della contrattazione. Malgrado ciò, la Direttiva 99/44/CE può dirsi costituire
un notevole risultato per un’impresa così ardua. Occorre considerare come la
Direttiva
abbia
operato
la
distinzione,
seppur
implicita
sotto l’aspetto
terminologico, tra garanzia legale e garanzia convenzionale.
103
Capitolo Terzo
Categoria della soggettività e identità giuridica del consumatore
SOMMARIO: 1. Intorno alla soggettività giuridica nel suo sviluppo diacronico. - 2. Ricostruzione
della personalità giuridica quale ipostasi della categoria della soggettività. Dall’affermazione del
concetto di personalità giuridica all’abuso nonché al superamento della persona giuridica. Critica
all’impostazione dicotomica persona fisica – persona giuridica. Teoria della articolazione della
soggettività in persone fisiche – enti. Persone fisiche e persone giuridiche: i diritti fondamentali. - 3.
Dilatazione della categoria della soggettività. Il destinatario delle norme di “diritto privato europeo”:
l’homo oeconomicus. La “soggettività funzionale”. Il soggetto di diritto nel mondo contemporaneo:
tra diritti fondamentali ed interessi economici. Il problema del rapporto tra mercato e diritto
dall’epoca della transizione all’assetto contemporaneo. Divagazioni sul mercato. Il mercato quale
fisiologico “strumento di indebolimento delle relazioni sociali”; il “buon diritto” quale garanzia del
soddisfacimento degli interessi economici nel rispetto dei diritti della persona 335. – 4. Dalla nozione
di consumatore alla individuazione della sua condizione giuridica. Regole di “sostanziale”
derivazione comunitaria e “vocazione per la pluralità”: le molteplici nozioni di consumatore
contenute nel Codice del consumo. – 5. Gli strumenti a tutela del consumatore. Dalla tutela
individuale a quella collettiva all’azione collettiva risarcitoria. I mezzi alternativi di risoluzione delle
controversie nella materia dei consumi.
“…nel qual caso è chiaro che non sarebbe una buona scelta far dipendere la
qualifica del definire dall’illusione ottica dell’emittente”336.
A. Belvedere
1. Accade sovente al giurista di misurarsi con categorie civilistiche delle quali, nel
costituire i capisaldi ed i punti di orientamento per l’attività di questi, tuttavia non è
stata dettata alcuna nozione dal legislatore, contrariamente a quanto accade per il
contratto, per il testamento o anche per il contenuto del diritto di proprietà. Si pensi
alla categoria del negozio giuridico, a quella dell’obbligazione, della capacità
giuridica e della capacità di agire, ma anche alla soggettività come alla personalità
giuridica. Si tratta di concetti dalla portata forse troppo ampia per essere confinati
all’interno di una mera ed imprigionante definizione, che potrebbe conferire alla
codificazione quasi l’abito di un dizionario! Certamente, nella carenza di una
nozione non è da ravvisarsi un indice sintomatico della mancanza di tale necessità.
Le nozioni possono essere tanto un rischio quanto uno strumento di validissimo
ausilio per il giurista, a seconda del modo in cui vengono utilizzate, nonché
dell’approccio ad esse condotto dallo stesso operatore del diritto. Se, infatti, come è
vero, l’essenza del diritto è da cogliere nella sua specifica ed insostituibile
operatività all’interno di una determinata collettività organizzata, in un certo
periodo storico ed economico, allora il giurisperito dovrà maturare la
consapevolezza della intima elasticità delle nozioni, così che esse, nel riempirsi del
loro significato concreto in sede applicativa, saranno suscettibili di assumere
335
336
P. PERLINGIERI, Mercato, solidarietà e diritti umani, in Rass. dir. civ., 1995, p. 88 ss.
A. BELVEDERE, Definizioni giuridiche e ideologie, Milano, 1979, p. 15
104
connotati
specifici
differenti
a
seconda
della
“esperienza”
alla
quale
appartengono337.
I molteplici aspetti innovativi che dominano oggi la scena del diritto, dovuti
essenzialmente alla nascita del cosiddetto “diritto privato europeo”338, di cui si è
parlato nel corso della presente trattazione, nel condurre il giurista alla necessaria
rivisitazione di moltissime categorie civilistiche, nei loro tratti somatici tradizionali,
non potevano affatto risparmiare la categoria della soggettività339.
Dalla irrinunciabile e fisiologica impostazione sistematica tradizionale emerge
come il diritto sia intrinsecamente imperniato sulla figura del destinatario delle
norme giuridiche: il soggetto di diritto340. L’elaborazione concettuale della
categoria della soggettività è uno dei risultati della complessa attività svolta dalla
pandettistica, che si rispecchia in quella identità strutturale, propria del codice
tedesco, che ha il suo nucleo nelle due categorie, che in alcune fasi della storia del
diritto sono state presentate in maniera quasi dicotomica ma che in realtà sono da
leggersi in modo complementare341, quella delle persone e quella delle cose, e che
lo stesso nostro impianto normativo ha abbracciato. La nozione di soggetti di
337
N. LIPARI, Diritto e mercato della concorrenza, in Riv. dir. comm., 2000, I, p. 315, nel ricordare
il noto aforisma, semanticamente palindromo, secondo cui “l’essere del diritto sta nel suo dover
essere” e, per contro, “il dover essere del diritto sta nel suo essere”, afferma che “l’apparente
contraddizione esprime l’essenzialità della connessione tra la regola dettata e la concretezza dei
rapporti che si vengono attuando nell’esperienza sociale. A nessun enunciato può essere
riconosciuto il connotato della giuridicità se esso non viene accompagnato, nella comune
valutazione dei consociati, dalla convinzione di attuare un comportamento doveroso cui si
commisurino criteri di responsabilità”, evidenziando così l’imprescindibile nesso tra “esperienza
giuridica ed esperienza sociale”.
338
Per un autorevole approccio critico al fenomeno del “diritto privato europeo” si veda N. LIPARI,
Introduzione alla prima edizione, in ID. (a cura di), Trattato di diritto privato europeo, I, Padova,
2003, p. 5 ss., in cui vengono autorevolmente evidenziati i punti nevralgici dell’impatto che quello
che potremmo definire “il diritto sostanziale comunitario” ha sull’ordinamento interno.
339
P. GALLO, v. Soggetto di diritto, in Dig., disc. priv., sez. civ., XVIII, p. 579, inquadra il soggetto
di diritto quale soggetto (titolare) dell’atto che viene ricondotto, agli effetti dell’ordinamento, alla
sua sfera giuridica.
340
S. COTTA, v. Soggetto di diritto, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p, 1213 ss., nel fornire la
propria ricostruzione delle varie teorie intorno alla qualificazione del soggetto nell’ordinamento
giuridico, pone in risalto la duplice accezione, attiva e passiva, che il soggetto assume ai fini delle
norme.
341
P. RESCIGNO, Le categorie civilistiche, in N. LIPARI – P. RESCIGNO (diretto da), Diritto
Civile. Fonti, soggetti, famiglia. Le fonti e i soggetti, I, Milano, 2009, p. 194, osserva che “nei codici
civili, persone e cose costituiscono i soggetti e l’oggetto dei diritti, secondo una prospettiva che li
vede come complementari, nel senso della necessaria appartenenza dei dati del mondo fisico all’una
o all’altra realtà (ed alle relative discipline). Ma, a guardar bene, vi sono fenomeni che resistono o
sfuggono ad una rigida clausura nell’uno o nell’altro schema, rivelando la relatività delle
configurazioni adottate nel sistema”, alludendo alla posizione del nascituro, dello scomparso,
dell’assente o della persona della quale sia stata dichiarata la morte presunta, nonché dell’azienda.
Egli stesso prosegue poi nel segnalare il carattere meramente relativo delle valutazioni legislative,
dovuto “anche a ragioni storiche”, lasciando così emergere una coscienza lucidamente consapevole
dell’essenza storica e della vocazione pragmatica del diritto.
105
diritto, che è stata in dottrina riassunta nell’essere centri di imputazione di diritti e
doveri, non coincide né con quella di persona fisica né con quella di persona
giuridica, elementi che appartengono anch’essi allo scenario delle categorie
civilistiche. Se, nel mondo antico, il discorso sui destinatari delle norme giuridiche
nonché sui soggetti capaci di essere titolari – diremmo con i termini della
concettualizzazione della modernità – di situazioni giuridiche soggettive si fondava
sostanzialmente sulla distinzione tra liberi e schiavi, ai giorni nostri le
problematiche coinvolte, in sede di riflessione sulla identità dei soggetti di diritto,
ruotano piuttosto attorno alla distinzione tra persone fisiche ed enti, in un panorama
che assume dei connotati sempre più peculiari se si considera che le nuove esigenze
di carattere economico hanno comportato il sorgere di forme associative originali e
complicate342, che si vanno ad ascrivere al novero dei soggetti di diritto343.
342
Sul G.E.I.E. si veda A. BADINI CONFALONIERI, Il Geie. Disciplina comunitaria e profili
operativi nell’ordinamento italiano, Torino, 1999, passim; A. CIOFFI, Il gruppo europeo di
interesse economico: uno studio comparato, in Riv. not., 1993, p. 537 ss.; F. DI SABATO, Il gruppo
europeo di interesse economico, in Riv. dir. impr., 1996, p. 1 ss.; F. FIMMANO’, L’integrazione del
Geie nella realtà giuridica ed operativa italiana, in Riv. not., 1992, p. 791; P. MASI, v. Gruppo
europeo di interesse economico, (dir. comm.), in Enc. giur., Istituto della Enciclopedia italiana
fondata da G. Treccani, XVIII, Roma, Agg., 1994, p. 1 ss., il quale, nell’inquadrare il Geie tra gli
strumenti giuridici che permettono la cooperazione tra imprese, pone il risalto, tra le cause di
scioglimento, quella della “unipersonalità”, incompatibile con l’essenza stessa del Geie. Nonché A.
MONGIELLO, Il Geie: qualificazione giuridica e tipologia negoziale, in Contratto e impr., 1994, p.
999; A. ROSSI, Il Geie nell’ordinamento italiano, Milano, 1998, passim; G. SCOGNAMIGLIO,
L’attuazione del Geie in Italia, in Giust. civ., 1993, II, p. 133; C. SOVERINI, Il Geie a confronto
con altri rapporti di cooperazione economica, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1995, p. 329 ss., il quale
non trascura di ricordare che l’ordinamento italiano, già prima dell’elaborazione a livello
comunitario di tale forma associativa, ha in varie occasioni espresso la consapevolezza
dell’importanza di strumenti che permettano l’associazione tra imprenditori. Si pensi al contratto di
associazione in partecipazione o ai vari interventi legislativi volti a potenziare il fenomeno
consortile.
343
P. RESCIGNO, Le categorie civilistiche, in cit., ivi, ricorda che “la dottrina ha intanto costruito,
con la nozione di soggetto di diritto, una nozione comprensiva così delle persone fisiche come degli
enti diversi dall’uomo ed abilitati a svolgere attività rilevanti per il diritto”. Nel desiderio di
combinare una tale osservazione con la notazione di S. COTTA, v. Soggetto di diritto, in cit., p.
1215, secondo cui “invero, nell’architettura (teorica e pratica) del diritto ciò che viene preso in
considerazione è sempre l’uomo”, allora sarà possibile asserire che il diritto ha sempre riguardo
all’uomo, tanto come singolo quanto nelle varie forme associative alle quali egli stesso può dare
origine, conformemente al dettato della Carta costituzionale di cui all’art. 2 che, lungi da una
dimensione esclusivamente individualistica dell’uomo, è propensa a collocarlo anche all’interno
delle “formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, alle quali sono da aggiungere tutte le
“formazioni economiche” di cui si compone la materia del diritto societario, bancario e, più in
generale, mercantile. Con riguardo a tale ultima notazione, F. GALGANO, Trattato di diritto civile,
cit., p. 211-212, osserva che “la nozione di formazione sociale o di istituzione è molto più estesa del
concetto di associazione. Comprende tanto le organizzazioni collettive volontarie, come le
associazioni e le società, che si costituiscono o alle quali si aderisce per libera volontà, quanto le
organizzazioni collettive necessarie, come gli enti pubblici territoriali (regioni, province, comuni) o
come la famiglia, alle quali l’individuo può trovarsi ad appartenere indipendentemente da un suo
atto di volontà. Nella giurisprudenza sulle associazioni l’appello all’art. 2 Cost. denota diverse
funzioni: talvolta il principio costituzionale è invocato a protezione delle associazioni, quali
strumenti mediante i quali l’uomo realizza la propria personalità; più spesso è fatto valere a
106
Il discorso sulla soggettività potrebbe apparire prima facie assai semplice per quel
che concerne la trattazione delle persone fisiche, ma ciò avviene erroneamente in
quanto anche la materia del concepito è un argomento assai delicato. Se il soggetto
di diritto, in quanto centro di imputazione di diritti e doveri, è titolare della capacità
giuridica, egli stesso può acquistare la capacità di disporre delle posizioni giuridiche
di cui il medesimo sia titolare, quindi la capacità di agire; pertanto la possibilità di
effettuare attribuzioni patrimoniali a causa di morte o a titolo donativo a favore del
concepito ha postulato la necessità di conciliare tali situazioni con il precetto di cui
all’art. 1 cod. civ. secondo il quale la capacità giuridica si acquista con la nascita344.
Ciò si è potuto operare attraverso la figura dell’aspettativa di diritto, posizione che,
nelle suddette circostanze, viene riconosciuta al concepito ed anche al nascituro non
ancora concepito.
La materia della personalità giuridica si presenta anch’essa piuttosto complicata, fin
dall’epoca dell’elaborazione di questa categoria concettuale. Personalità giuridica è
un attributo che riguarda tutti quegli enti che soddisfino determinati requisiti
affinché venga ad essi riconosciuta una autonomia patrimoniale piena e perfetta 345,
protezione dei diritti fondamentali del singolo all’interno delle associazioni e contro il prepotere di
queste”.
344
Osserva sul punto A. FALZEA, v. Capacità (teoria gen.), in Enc. dir., Milano, 1960, VI, p. 9,
che “le fondamentali manifestazioni della soggettività giuridica si raccolgono intorno alle due figure
della capacità giuridica e della capacità di agire”, chiarendo, nel corso della trattazione, che, se la
capacità giuridica vale ad individuare “la posizione generale del soggetto in quanto destinatario
degli effetti giuridici”, la capacità di agire, nel suo collocarsi in “un diverso momento della
soggettività giuridica”, “costituisce una possibilità giuridica generale del soggetto: che, in forza di
tale possibilità, si qualifica come operatore giuridico”. In ogni caso, “la soggettività giuridica trova il
suo normale svolgimento nella capacità di agire”. I concetti di soggettività e di personalità vengono
invece considerati maggiormente saldati a quello della capacità giuridica da M.A. LIVI, I soggetti.
Profili generali. Ambito della problematica dei soggetti nel diritto comunitario, in N. LIPARI (a
cura di), Tratt. Dir. priv. Eur., Il diritto privato europeo nel sistema delle fonti. I soggetti (prima
parte), I, Padova, 2003, p. 293-294, dove si osserva che “L’astrazione sistematica della suddivisione
fra persona fisica e persona giuridica è legata essenzialmente alla rappresentazione della disciplina
relativa alla capacità giuridica cui può certamente attribuirsi il significato di nozione generale
dell’intero ordinamento giuridico. A sua volta, il discorso sulla capacità giuridica si rifà direttamente
alle riflessioni da sempre svolte in dottrina sui concetti di personalità e soggettività: l’art. 1 c.c. è
certamente espressione di un principio da tempo acquisito dalla nostra esperienza giuridica che
sancisce il riconoscimento della capacità-soggettività della persona umana già tutelata a livello
costituzionale dagli artt. 2 e 22 Cost.”. Sull’argomento della soggettività amplius si veda anche A.
FALZEA, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, Milano, 1939; nonché R. ORESTANO,
Diritti soggettivi e diritti senza soggetto, in ID., Azione. Diritti soggettivi. Persone giuridiche,
Bologna, 1978.
345
Quanto alle modalità attraverso cui è possibile ottenere, nel nostro ordinamento, il
riconoscimento della personalità giuridica, bisogna effettuare una summa divisio tra gli enti di cui al
Libro I del Codice civile e gli enti di cui al Libro V: se si tratta di associazioni, fondazioni, comitati,
si dovrà richiedere l’iscrizione nel Registro delle persone giuridiche tenuto presso le prefetture
secondo l’iter disciplinato dal d.p.r. 10 febbraio 2000 n. 361; se si tratta di società o di enti quali
consorzi e cooperative allora il riconoscimento consegue all’iscrizione dell’ente nel registro delle
imprese.
107
che si sostanzia nella netta separazione del patrimonio dell’ente dagli averi
personali dei soggetti che lo compongono346.
Se, per le varie vicende che vedono coinvolta la persona fisica, il Codice civile reca
in sé una disciplina piuttosto compiuta, le norme che regolano il fenomeno della
personalità giuridica vanno piuttosto rintracciate nei precetti che hanno riguardo
all’associazione che si trovi in condizione di aver ottenuto il riconoscimento nonché
alla fondazione. Lo scarto tra la personalità giuridica e la soggettività giuridica si
coglie nel rilievo per cui la persona giuridica è un soggetto di diritto perfettamente
autonomo dalla pluralità dei membri che lo compongono, e la condizione
patrimoniale in cui versa l’ente in tali circostanze ne costituisce la massima
espressione. Il Codice civile, invero, non si sofferma a delineare la differenza che
intercorre dal punto di vista patrimoniale tra associazione riconosciuta ed ente di
fatto, limitandosi a prescrivere che le associazioni riconosciute hanno un
patrimonio, mentre le associazioni non riconosciute hanno un fondo comune.
Certamente il diverso regime della responsabilità degli amministratori per le
obbligazioni dell’associazione vale ad evidenziare il significato pratico-operativo
dell’investitura di persona giuridica.
Nel corso del tempo, la nozione di soggettività giuridica ha conosciuto il suo
sviluppo, anche grazie al complicarsi delle situazioni giuridiche soggettive e dei
soggetti titolari di esse, in particolare negli ultimi cinquanta anni. Negli anni
Sessanta, il concetto di soggettività costituiva, nel lessico tecnico, un sinonimo della
capacità giuridica e, al contempo, il “soggetto” veniva essenzialmente identificato
con la “persona”347. Nel Codice civile non si rinviene l’impiego del termine persona
giuridica, la quale è stata dalla dottrina ricondotta ad una delle tre ipostasi della
categoria della soggettività. Se il concetto di personalità giuridica, il cui ingresso
non è avvenuto in modo pacifico nello spettro degli strumenti propri del giurista348,
F. GALGANO, Trattato di diritto civile, op. cit., I, p. 175, ricorda che “il nome di persona
giuridica non individua un tipo specifico di ente (come lo individuano i nomi di associazione o
fondazione o società), ma designa un particolare modo di essere dell’ente: un possibile modo di
essere dell’associazione o della fondazione o della società”.
347
M. BESSONE – G. FERRANDO, v. Persona fisica (dir. priv.), in Enc. dir., XXXIII, Milano,
1983, p. 193 ss., nell’inquadrare la tutela della persona fisica nella cornice costituzionale, rilevano
come il concetto di persona si sia andato evolvendo e dilatando fino all’assumere accezioni diverse,
cui corrispondono differenti misure giuridiche: si pensi, da un lato, alla tutela del concepito;
dall’altro, all’accordata garanzia dei diritti della personalità anche alle persone giuridiche.
348
M. BASILE – A. FALZEA, v. Persona giuridica (dir. priv.), in Enc. dir., Milano, 1983, XXXIII,
nel ripercorrere l’iter evolutivo della categoria, con la consapevolezza che riguardo ad essa “nessuna
idea affacciata dai giuristi è incontroversa” (p. 234), forniscono un quadro esaustivo e dettagliato
della vasta gamma di posizioni della dottrina con riguardo a questi “fenomeni del diritto diversi
dalle persone fisiche”. Tra le originali ipotesi ricostruttive di tale fenomeno in chiave di
346
108
costituisce una delle tre modalità della soggettività giuridica, allora sarà possibile
individuare i tratti propri della categoria della soggettività che permangono tanto
nelle persone fisiche quanto nelle persone giuridiche e negli enti di fatto 349. Si tratta
essenzialmente del requisito della responsabilità patrimoniale a fronte della quale si
verifica che i creditori del soggetto di diritto potranno soddisfarsi sui beni che
appartengono al patrimonio dello stesso, ciò vuol dire possibilità di ricondurre al
medesimo soggetto di diritto tanto un determinato bene quanto una determinata
obbligazione sorta. Gli elementi dell’unità e dell’alterità danno invece luogo a
perplessità circa la ascrivibilità di essi al concetto di soggettività giuridica in
generale, piuttosto che a quello di persona fisica o di persona giuridica, in
particolare350. L’unità viene infatti in considerazione quale idoneità dell’ente ad
essere considerato una sola persona, al pari delle persone fisiche, per quanto
riguarda non solo il regime generale di imputazione ma anche la riconducibilità di
una determinata situazione ad una sola persona. L’alterità acquista importanza ogni
qualvolta una norma dell’ordinamento statuisca che specifiche conseguenze sono da
ricondursi alla circostanza secondo cui una determinata persona sia la stessa o
diversa da quella alla quale è attribuibile un certo comportamento, derivando da ciò
che il nucleo del problema ruota attorno alla possibilità di considerare qualsiasi ente
soggetto diverso o medesimo rispetto a quello che ha materialmente posto in essere
il comportamento stesso.
compatibilità con i precetti generali dell’ordinamento, emerge, in particolare, la teoria della finzione,
alla quale si contrappone quella della realtà. Per una ricostruzione dell’affermazione della categoria
di persona giuridica si vedano: F. DI GIOVANNI, “Persona giuridica”: storia recente di un
concetto, Torino, 2005; V. MAURINI, Evoluzione del concetto di persona giuridica, Teramo, 2005.
Sul problema del rapporto tra la soggettività in generale e la personalità giuridica si veda P. ZATTI,
Persona giuridica e soggettività, Padova, 1975, nonché, ancora più risalenti all’interno della
letteratura in materia, F. D’ALESSANDRO, Persone giuridiche e analisi del linguaggio, in Studi in
memoria di Tullio Ascarelli, Milano, 1969; F. GALGANO, Il costo della persona giuridica, in Riv.
Soc., 1968, e F. FERRARA, Le persone giuridiche, Torino, 1938. Sull’eccessivo ricorso allo
strumento della persona giuridica, nella presente stagione, N. ZORZI, L’abuso della personalità
giuridica: tecniche sanzionatorie a confronto, Padova, 2002. La questione della personalità
giuridica, pur essendo, nella sua elaborazione squisitamente scientifica, un argomento proprio della
dottrina di età moderna, non solo a livello intuitivo ma anche nella sostanziale operatività pratica
degli effetti che ad essa si ricollegano, mostrava tracce di sé già nel mondo romano, al quale era ben
noto il concetto di universitas. Sul punto si veda R. ORESTANO, Il “problema delle persone
giuridiche” in diritto romano, Torino, 1968.
349
Sul punto si vedano G. SCALFI, L’idea di persona giuridica e le formazioni sociali titolari di
rapporti nel diritto privato, Milano, 1968; P. RESCIGNO, Enti di fatto e persona giuridica, in ID.,
Persona e comunità, II, Bologna, 1966, passim.
350
Sul diverso significato del quale si riempiono i termini “soggettività” e “personalità giuridica” si
veda V. SCALISI, Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al postmoderno, Milano,
2005, p. 136-137, il quale, in particolare (p. 137), osserva che “in ultima istanza, la distinzione tra
soggettività e personalità degli enti sembra poggiare, oltre che su una positiva diversità di struttura,
anche su una tendenziale differenza di funzione”, evidenziando così come le due nozioni siano in
concreto non coincidenti.
109
Volendo compiere la mappatura del patrimonio genetico ed identificativo della
categoria della soggettività di diritto, emerge come non si tratti di un unico effetto
giuridico da ricondurre ad un determinato concetto/soggetto, quanto piuttosto di un
fascio di effetti, indipendenti tra loro ma compartecipi della medesima ratio, per i
quali è possibile tracciare una sorta di scala gerarchica che va dagli effetti minimi,
quelli della imputazione e della legittimazione, che competono ai cosiddetti enti di
fatto, quali associazioni non riconosciute, comitati, società di persone, fino agli
effetti dell’unità e dell’alterità che hanno riguardo alle persone fisiche ed alle
persone giuridiche, nonché al diverso regime della responsabilità patrimoniale351.
I recenti interventi normativi di matrice comunitaria, non soltanto nella materia del
consumatore ma anche con riguardo alle varie modalità di esercizio dell’attività di
impresa in forma associativa, dettati dal fine di portare avanti quel processo di
armonizzazione delle legislazioni nazionali che costituisce uno dei presupposti per
la realizzazione del mercato unico, comportano una revisione ed un ripensamento
dei tratti peculiari della categoria tradizionale della soggettività, al fine di
verificarne la compatibilità con i precetti del “diritto privato europeo”352.
2. Se, come è noto, fin dall’epoca della civiltà romana, per il diritto, era ritenuta
fisiologica l’equazione tra “uomo” e “persona” (con l’eccezione del fenomeno della
schiavitù), allo stesso modo, bisogna osservare come il riferimento del termine
“persona” per individuare soggetti diversi dalle persone fisiche, in particolare gli
enti istituzionali, non fosse un’idea affatto aliena alla sensibilità del giurisperito già
in quel periodo. Nelle fonti romane si rinviene infatti il ricorso al termine “persona”
per individuare enti pubblici e privati, similmente a quanto accade ai giorni
nostri353. L’iter che ha condotto all’ampliamento della nozione di “persona” in
modo tale da ricomprendervi la universitas, ovvero l’istituzione, l’ente,
351
L.G. PELLIZZI, v. Soggettività giuridica, in Enc. giur., Istituto della Enciclopedia italiana
fondata da G. Treccani, XXXIV, cit., p. 7, nel delimitare lo spazio di operatività della soggettività
giuridica all’interno dell’ordinamento, e l’apertura di quest’ultimo verso il conferimento del
requisito della soggettività a forme associative sempre nuove, constata che “i reali significati della
soggettività, che l’analisi del discorso giuridico rivela, mostrano che i fini per i quali l’ordinamento
determina i vari elementi della soggettività non sono necessariamente connessi con l’idea
d’individuo della specie umana”.
352
N. LIPARI, Diritto e mercato della concorrenza, in Riv. dir. comm., 2000, I, p. 325, definisce il
diritto privato europeo quale diritto “interno a tutti gli effetti, ma di fonte comunitaria nelle sue
regole fondamentali”.
353
U. VINCENTI, Diritto senza identità. La crisi delle categorie giuridiche tradizionali, RomaBari, 2007, p. 50, ricorda come ai Romani non fosse estraneo né il concetto di persona giuridica
pubblica, quale la res publica, la civitas, la colonia, né quello di persona giuridica privata, la
societas.
110
nell’affondare le proprie radici nell’epoca romana, conosce, nel corso del XIV
secolo, una fase importante, che ha condotto poi alla piena ascrivibilità della
persona giuridica alla categoria dei soggetti di diritto, attraverso la strada del
riconoscimento all’ente di una autonoma capacità patrimoniale. Attualmente, nel
nostro ordinamento, sono considerate persone giuridiche tutte quelle realtà
organizzate, che è possibile far rientrare nella nozione di “enti”, il cui scopo
consiste nello svolgimento di un’attività volta a perseguire fini che trascendono la
mera sfera individuale dei soggetti che ne fanno parte, e dotate di una struttura
stabile e di una realtà patrimoniale tale per cui, al controllo istituzionale circa la
sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della personalità giuridica, risulterà
l’idoneità di tali enti a venire in considerazione, dal punto di vista giuridico, come
centri di imputazione di diritti e doveri totalmente autonomi e separati dalle sfere
patrimoniali delle singole persone fisiche che ne compongono la struttura354.
L’odierno ricorso allo strumento della persona giuridica, al fine di eludere
determinate regole o di trarre illecito vantaggio dall’applicazione della normativa
sulla personalità giuridica in assenza delle condizioni che la abilitano ad essere
operativa, conduce al fenomeno dell’abuso della personalità giuridica, al quale si
connette la necessità di un rigido controllo tanto in sede preventiva quanto nella
giurisprudenza355. Con la conseguenza per cui, qualora venga riscontrata dal
giudice, chiamato a pronunciarsi su una determinata vicenda, una circostanza di
impiego abusivo della personalità giuridica, l’interprete dovrà compiere il
superamento di tale schermo in modo tale da imputare i rapporti giuridici facenti
capo all’ente ai singoli soggetti che lo compongono356.
354
L. BIGLIAZZI GERI, v. Patrimonio autonomo, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, p. 280 ss.,
nell’indagare intorno al fenomeno della separazione patrimoniale attraverso il ricorso ad alcune
figure tipicamente fornite dalla lettera della legge, individua i criteri rivelatori della separazione in
ciò che comporta la deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c., esprimendo consapevolezza circa la necessità
che al fenomeno della separazione patrimoniale si accompagni la creazione di un autonomo regime
di amministrazione dei beni separati, senza tuttavia trascurare che, mentre la persona giuridica è un
fenomeno di separazione patrimoniale che si ricollega alla venuta ad esistenza di un soggetto di
diritto, il patrimonio separato, al contrario, può venire in considerazione in termini di soggettività
soltanto ove attorno ad esso si costruisca la struttura di un ente. Il fenomeno della separazione
patrimoniale non comporta, pertanto, di per sé la venuta ad esistenza di un soggetto di diritto.
355
La Suprema Corte, trovatasi ad affrontare il problema dell’abuso della personalità giuridica a
partire da una vicenda concreta, ha preso posizione con riguardo alla nozione della soggettività
giuridica delle organizzazioni collettive; in Cass., 8 novembre 1984, n. 5642, in Giur. it., 1985, I, 1,
c. 426, si afferma che “la soggettività delle persone giuridiche non corrisponde a quella della
persona fisica, perché esse sono tali in senso traslato e la qualificazione viene richiamata per
analogia. Ne consegue che la soggettività dei gruppi, siano essi dotati o no di personalità giuridica, è
sempre una incompleta soggettività, diversa da quella delle persone fisiche”.
356
P. SPADA, Persona giuridica e articolazioni del patrimonio: spunti legislativi recenti per un
antico dibattito, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 837 ss., conduce la sua indagine intorno al rapporto tra la
111
Se, dunque, il concetto di persona giuridica, in condizioni di abuso, può essere
superato o, per meglio dire, disatteso, in nome di un regime di responsabilità
fondato sul coinvolgimento ad personam dei vari soggetti che fanno parte della
struttura dell’ente, ciò varrà a mettere in luce come la categoria della soggettività di
diritto, nell’abbracciare la species delle persone giuridiche, presenti in realtà al suo
interno delle articolazioni che sono, per così dire, tra loro inconciliabili357. Se,
infatti, la personalità giuridica opera in veste di concetto, di qualificazione alla
quale è subordinata l’applicazione, per l’ente, di un certo gruppo di norme, ciò non
altrettanto per la soggettività delle persone fisiche358. La soggettività di diritto, nel
suo sostanziarsi nella idoneità ad essere centro di imputazione di diritti e doveri,
ricopre, concretamente, un ruolo strutturale ed intrinseco per quanto concerne la
posizione giuridica delle persone fisiche, le quali, seppur prive di capacità di agire o
aventi una limitata capacità di agire, rimangono sempre soggetti di diritto359. Gli
enti, anch’essi soggetti di diritto, possono acquistare la personalità giuridica, che
assurge a requisito specifico ulteriore, proprio di tutti quei soggetti che non siano
persone fisiche, e che conferisce determinati poteri e requisiti, che valgono ad
assimilarli, sul piano della responsabilità patrimoniale, alla condizione giuridica alla
quale sono assoggettate le persone fisiche. All’interno della categoria della
soggettività di diritto, la visione dicotomica persone fisiche – persone giuridiche
può essere superata, ad avviso di chi scrive, in quanto se non si cessa mai
dall’essere persone fisiche, dal momento della nascita a quello della morte, il
requisito della personalità giuridica si qualifica diversamente, all’interno della
categoria della soggettività, per cui i due elementi persona fisica – persona giuridica
non possono essere considerati species contrapposte all’interno del medesimo
genus, appartenendo essi strutturalmente a due ambiti diversi: l’uno, all’ambito
della qualificazione intrinseca, sostanziale e perpetua; l’altro, all’ambito della
personalità giuridica e l’articolazione di patrimoni, ravvisando come alla base dell’alternativa tra tali
due tecniche di “concettualizzazione di regimi della garanzia patrimoniale” (p. 847) vi sia la
funzione di tutela e di cura di determinati interessi precostituiti, giungendo per tale via ad
accomunare questi due snodi dell’autonomia privata sotto la sostanziale unicità della prospettiva
funzionale.
357
Non sono, tuttavia, da trascurare i significativi punti di contatto tra queste due ipostasi della
soggettività. Basti considerare, con L. DELLI PRISCOLI, Diritti della personalità, persone
giuridiche e società di persone, in Giust. civ., 2008, 9, p. 1998 ss., che recentemente la Suprema
Corte ha riconosciuto la sostanziale equiparazione tra persona fisica e persona giuridica con riguardo
alla risarcibilità del danno non patrimoniale derivante da lesione di diritti della personalità.
358
V. BONELLI, La teoria della persona giuridica, in Riv. dir. civ., 1910, p. 652
359
A. JANNARELLI, Brevi note a proposito di “soggetto giuridico” e di “patrimoni separati”, in
Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 4, p. 1253 ss.,
112
qualificazione funzionale ed anche temporanea, nel senso che può essere disattesa
in nome della corretta applicazione delle norme di legge360. Se proprio si vuole
creare una summa divisio all’interno della categoria della soggettività, allora sarà
più opportuno contrapporre alla persona fisica gli enti, rispetto ai quali il requisito
della personalità giuridica vale a distinguere gli enti che maggiormente si
avvicinano al regime al quale sono sottoposte le persone fisiche, dal punto di vista
dei rapporti patrimoniali, dagli enti che invece hanno una limitata autonomia
patrimoniale361. Sfogliando i manuali non recentissimi, o andando alla ricerca della
peraltro generosa letteratura in materia di personalità giuridica, si noterà come,
negli anni lontani, fosse considerato per così dire fisiologico inserire qualsivoglia
trattazione in materia di persone giuridiche in un approccio dicotomico rispetto alla
persona fisica. Ciò in quanto, in primo luogo, non era ancora emersa quella
molteplicità di figure di enti, volti a perseguire scopi nuovi (si pensi agli enti non
profit362) e dotati di regimi patrimoniali tali per cui si possa prescindere dal
riconoscimento della personalità giuridica (si pensi alla possibilità di istituire trust)
al contempo ottenendo ciò nonostante analoghi effetti concreti, ed, in secondo
luogo, non era ancora invalsa la prassi di fare ricorso alle norme che regolano la
persona giuridica con funzione elusiva di altre norme di legge, o per trarre dalle
prime illeciti vantaggi363. Del resto, a voler ragionare sugli abusi degli strumenti
giuridici, è caratteristica propria di tempi non risalenti l’impiego del meccanismo
della persona giuridica in funzione abusiva o elusiva di altre norme di legge. Lo
stesso Codice civile fonda la propria impostazione sulla nozione bipolare persone
fisiche – persone giuridiche, sintomo di una concezione incardinata sull’idea
secondo cui la persona giuridica soltanto in quanto tale può essere annoverata tra i
soggetti di diritto364. I limiti e la fallacia di questa formulazione concettuale sono
360
F. ALCARO, Attività e soggettività: circolarità funzionale, in Rass. dir. civ., 2007, 4, p. 883
Se della qualifica di persona fisica non si cessa mai di essere titolari, quel che può mutare è
semmai soltanto la capacità di agire, la qualifica di persona giuridica “va e viene”, così da non
poterla collocare sullo stesso piano della persona fisica, in funzione alternativa alla prima, in sede di
configurazione della struttura della categoria della soggettività. Opportunamente osserva F. D’
ALESSANDRO, Persone giuridiche e analisi del linguaggio, in Studi in onore di Tullio Ascarelli,
Milano, 1969, I, p. 243, che “veri soggetti dell’ordinamento sono soltanto gli uomini. La persona
giuridica fa parte di un ordine del tutto diverso di concetti”.
362
Sulla soggettività degli enti non profit si veda M. CUGURRA, Gli enti non profit ed i
finanziamenti comunitari, in Non profit, 2009, 1, p. 89; nonché amplius L. BOCCACIN, Il Terzo
settore italiano e le forme di partnership sociale, in Non profit, 2008, 2-3, p. 289; M. TAMPIERI, Il
comitato figura giuridica del mondo non profit, in Non profit, 1999, 3, p. 537
363
A. GANGEMI, Abuso della personalità giuridica e fallimento della società di fatto, in Dir.
fallim., 2005, 6, 2, p. 1046
364
C. CAPPONI, Superamento della personalità giuridica?, in Riv. dir. comm., 1988, 1-2, p. 4
361
113
stati dimostrati dalla successiva legislazione in materia di enti diversi dalle persone
fisiche, che hanno permesso di compiere una corretta ricostruzione della posizione
che occupa la persona giuridica all’interno della categoria della soggettività365.
L’iter graduale che ha condotto all’estensione della soggettività a tutti gli enti, e
quindi anche a tutte le formazioni sociali non personificate ed anche
sostanzialmente disinteressate ad ottenere il riconoscimento della personalità
giuridica, ha comportato per quest’ultima una significativa perdita di centralità366.
Se, quindi, per un lungo arco di tempo, la dottrina si è affannata nell’offrire tentativi
di ricostruzione del fenomeno della persona giuridica367 in una prospettiva di
conciliazione con l’idea fondamentale secondo cui sono essenzialmente soggetti di
diritto esclusivamente le persone fisiche, generando suggestive teorie che vanno da
quella normativa a quella della finzione, abbracciando perfino la teoria
antropomorfica368, l’attuale approccio alla persona giuridica è piuttosto imperniato
sulle disposizioni di legge che la disciplinano, in una impostazione che prende
coscienza del fatto che si tratta di un soggetto ben distinto dalle persone fisiche, ma
che non viene trattato alla stregua di un fenomeno della dogmatica quanto piuttosto
di un mero prodotto normativo, che costituisce il risultato della necessità di trovare
rimedio a specifiche esigenze di carattere funzionale369.
Nel tentativo di fornire una lettura critica delle articolazioni interne della categoria
della soggettività, una volta collocata la persona giuridica in termini non antitetici
alla persona fisica, si tratta ora di metterne ulteriormente in risalto le divergenze
L. CASTALDI – E. COVINO – R. LUPI, Ulteriori spunti sulla regolamentazione tributaria del
trust: la soggettività tributaria, in Dialoghi dir. trib., 2007, 3, p. 349
366
F.D. BUSNELLI, Persona umana e dilemmi della bioetica: come ripensare lo statuto della
soggettività, in Dir. umani e dir. internaz., 2007, 2, p. 245
365
Per una dettagliata ricostruzione dell’argomento della soggettività di diritto della persona
giuridica si veda P. ZATTI, Persona giuridica e soggettività, Padova, 1975, passim. In particolare,
in sede di analisi sulla possibile conciliazione tra il concetto di persona e il diritto soggettivo, risulta
suggestivo il collegamento, operato dall’autore, tra l’esistenza del concetto di persona e il verificarsi
di determinati fatti per cui tale esistenza sia riconosciuta dall’ordinamento, rintracciando così una
“naturale relazione tra i comportamenti valutati e l’identità dell’agente” (p. 234), in vista della
conclusione secondo cui (p. 235) “il concetto di persona riassume una complessa disciplina
valorizzando il ruolo di riferimento – di un individuo o di un ordinamento particolare – che segnala,
tra i fatti e gli atti collegati secondo la previsione normativa, il fattore di (individuazione d’una)
organizzazione in cui trovano identificazione i comportamenti regolati in dipendenza dalle varie
possibili fattispecie. All’indicazione del titolare di situazioni soggettive si riserba invece la funzione
di indicare colui che si trova nella situazione designata dai concetti del tipo “diritto soggettivo”:
dunque di colui che si comporta, intronizzato senza problemi nel luogo del soggetto”.
368
Per un’accurata ricostruzione delle varie teorie, secondo una prospettiva di conciliazione di
dottrina e giurisprudenza, si veda G. TAMBURRINO, Persone giuridiche. Associazioni non
riconosciute. Comitati, in W. BIGIAVI (fondata da), Giurisprudenza sistematica di diritto civile e
commerciale, Torino, 1997, 2 ed., passim.
369
L. STILO, Quando il consumatore divenne un valore in sé, in Nuovo dir., 2007, 8-9, p. 479
367
114
sussistenti sotto l’aspetto concreto e normativo, mediante il ricorso all’argomento
dei diritti fondamentali. Nei tempi recenti, contemporaneamente al proliferare delle
leggi di settore preoccupate prevalentemente di disciplinare tutte quelle fattispecie
che si riconducono alla sfera economica della dimensione dell’agire umano, ed
all’emergere di nuovi enti da ascrivere al novero dei soggetti di diritto, si è iniziato
a comprendere come la problematica dei diritti fondamentali non potesse essere
trascurata, non soltanto in un’ottica di respiro nazionale, ma anche nel più ampio
contesto comunitario370. Si registra così, da tempo, una crescente attenzione per i
diritti della personalità, ovvero una serie, in espansione, di diritti riconosciuti
all’uomo in quanto tale, e che necessitano di essere tutelati come diritti che ogni
Stato ha il dovere di riconoscere e proteggere371. Si pensi al diritto alla vita,
all’integrità fisica, alla salute, al diritto al nome, all’onore, alla libertà personale,
all’espressione del pensiero, al diritto alla riservatezza, e molti altri, alcuni dei quali
sono espressamente menzionati nelle Carte costituzionali dei vari Stati, altri trovano
piuttosto la loro garanzia all’interno di Convenzioni internazionali372. Ai singoli
diritti della personalità, nel vigente quadro delle fonti del diritto interno, sono
accordate specifiche forme di protezione, che operano sulla base di un leitmotiv che
si sostanzia nel carattere assoluto (sono fatti valere erga omnes) ed indisponibile di
tali diritti. Nel novero dei diritti fondamentali, viene in considerazione, primo tra
tutti, il diritto alla vita ed all’integrità fisica, che trova la propria disciplina nell’art.
5 c.c., in materia di atti di disposizione del proprio corpo, in cui si vieta il
compimento di tutti quegli atti di disposizione del proprio corpo che “cagionino una
diminuzione permanente dell’integrità fisica”. Vi è poi il diritto all’onore, da
intendersi come diritto alla dignità e al decoro personale e nella sfera sociale, il
quale non è contemplato nel Codice civile quanto piuttosto a livello penale,
370
M. CERCHIARA, La tutela del consumatore rispetto ai diritti fondamentali della Costituzione e
il rischio di eccesso di potere legislativo in materia, in Giust. amm., 2007, 4, p. 743
371
S. MONTICELLI, L’indisponibilità dei diritti del consumatore nel Codice del consumo e la
nullità dei patti, in Contratti, 2007, 7, p. 697
372
Se si guarda al corso degli eventi che hanno segnato le varie fasi della storia del mondo, emerge
come, per la verità, l’argomento dei diritti fondamentali non sia affatto estraneo ai nostri antenati.
Troviamo, infatti, tracce concrete e significative di una consapevole sensibilità per i diritti dell’uomo
nella Magna Charta (1255); nel Bill of Rights (1689); nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del
cittadino della Francia del 1789, nonché nelle varie Dichiarazioni dei diritti appartenenti alla storia
dei diversi Stati Nordamericani del Settecento; fino ad arrivare ad un’epoca a noi più vicina, con la
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, approvata dall’Assemblea dell’Onu, la
Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, approvata, nel 1950,
dal Consiglio d’Europa, e successivamente ratificata dall’Italia con legge n. 848 del 1955 e, ancora,
il Patto internazionale sui diritti civili e politici firmato a New York nel 1966, ratificato dall’Italia
con legge n. 881 del 1977.
115
attraverso la inibizione dell’ingiuria (art. 594 c.p.) e la diffamazione (art. 595 c.p.).
Tra i diritti della personalità vi è anche il diritto, di cui ognuno è titolare, al proprio
nome, strumento di identificazione del soggetto. Ricevono protezione anche il
diritto all’immagine nonché quello all’identità personale, alla riservatezza ed il
diritto morale d’autore e di inventore. Questo argomento si va ad inserire, nella
cornice delle riflessioni sull’alternativa persona fisica – persona giuridica,
all’interno del più ampio discorso sulla soggettività, in funzione di introduzione
della problematica della tutela dei diritti riconosciuti alle persone giuridiche, dal
momento che, attualmente, il novero dei diritti non strettamente legati alla sfera
economica e patrimoniale del soggetto coinvolge anche la persona giuridica. Si
pensi ai diritti della personalità, la cui tutela viene accordata indubbiamente anche
ai soggetti diversi dalle persone fisiche sulla base del dettato costituzionale di cui
all’art. 2, in cui si fa parola delle “formazioni sociali”373. Certamente, l’accezione
“diritti della personalità” con riguardo alle persone giuridiche va intesa in senso
ampio, in quanto si tratta di diritti fisiologicamente connaturati alla persona umana.
Bisogna, infatti, tenere sempre presente che la persona giuridica, rimane, in ogni
caso, in ultima analisi, un mero “prodotto normativo”374.
In una prospettiva che eccede i confini statali, si può osservare come alla tutela
della persona sia riservato un ruolo di preminenza all’interno della Carta europea
dei diritti fondamentali, sintomo della maturata consapevolezza della impossibilità
di prescindere dalla garanzia del “soggetto agente” nella sua interezza, ove si voglia
373
D. MESSINETTI, v. Personalità (diritti della), in Enc. dir., XXXIII, Milano, 1983, p. 371, nel
condurre una indagine altamente argomentata sul valore giuridico della persona, analizza la
partecipazione di essa alle formazioni sociali, osservando come il valore della persona assurga a
“principio generale dell’ordinamento”. In tale contesto, lo stesso autore si sofferma, a p. 369, a
delineare la specifica funzione dei principi generali, da rintracciarsi nella circostanza per cui “i
principi generali hanno una applicazione normativa mediata o indiretta, in quanto presuppongono
necessariamente una relazione con un complesso di norme. Tale relazione è duplice: da una parte, il
principio generale vincola i rapporti tra i soggetti solo in connessione con la valutazione normativa
espressa nelle regole giuridiche positive, della quale serve a riassumere il contenuto; dall’altra,
l’intermediazione della norma si rende necessaria perché si specifichi (in via induttiva) la portata
normativa del principio stesso, dal momento che esso, di per sé, non ha un significato
giuridicamente apprezzabile”. La ratio dell’elevazione del valore giuridico della persona umana
rimane così chiarito, dalle parole dello stesso autore, il quale rileva, p. 369, che “la formalizzazione
di tale valore come valore giuridico tende a comprendere ogni istanza della persona umana: nel
terreno delle fonti normative il valore giuridico della persona emerge a livello dei principi generali
dell’ordinamento, che esprimono i valori ritenuti superiori e fondamentali nel sistema”.
374
Se le norme si esprimono tramite le parole, una volta arrivati alla impostazione estrema per cui la
persona giuridica si esaurisce nelle parole in cui si risolve la stessa normazione, verrebbe allora da
estendere al concetto di persona giuridica quella riflessione, compiuta, ad altro riguardo, da J.F.
LYOTARD, La condizione postmoderna, Milano, 2006, p. 74, secondo cui “lo stesso soggetto
sociale sembra dissolversi in questa disseminazione di giochi linguistici. Il legame sociale è
linguistico, ma non è fatto di un’unica fibra. E’ una trama in cui si intrecciano almeno due, in realtà
un numero indefinito, tipi di gioco linguistico, governati da regole differenti”.
116
portare avanti il processo di integrazione comunitaria, con la coscienza che la
libertà economica integra una delle libertà fondamentali della persona, la quale
tuttavia deve venire in considerazione per le norme giuridiche nella sua
completezza e non soltanto in quanto attore nel teatro dei commerci. Lo spazio di
libertà non deve pertanto riguardare la libera circolazione delle merci, bensì la
sicurezza che la persona possa, in quanto tale, ricevere a livello sovranazionale una
adeguata forma di tutela, al pari di quanto avviene negli ordinamenti nazionali per
opera delle Carte costituzionali e delle leggi ordinarie. Occorre riconoscere che ai
vari Paesi membri dell’Unione sono consegnate tradizioni costituzionali comuni, il
che rende più agevole il processo di individuazione di quel novero essenziale di
principi e diritti strettamente attinenti alla tutela della persona, al fine di dettare per
esso una comune normativa garantistica. Gli stessi valori invocati nel Trattato che
adotta una Costituzione per l’Europa sono quelli della dignità umana, della
democrazia, della libertà del soggetto in quanto tale, delle libertà di cui quest’ultimo
è titolare, del rispetto dei diritti umani. Il dibattito sulla centralità dell’individuo in
sede di elaborazione della legge, nonché sulla fonte di legittimazione del potere
statale di imporre limitazioni ai soggetti e sull’origine dei diritti contemplati dalla
legge, viene da lontano, trovando un momento di grande fervore nelle dottrine
giusnaturalistiche che si sono sviluppate nel XVII e XVIII secolo. Prosegue, ai
giorni nostri, ove il moltiplicarsi degli ambiti socio-economici che vedono la
persona protagonista, unitamente alle nuove frontiere della scienza in materie molto
delicate quali quella del diritto alla vita, comporta la necessità di un maggior grado
di complessità delle forme e delle circostanze in cui debba essere ad essa accordata
tutela. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea inserisce la libertà
economica nel novero dei diritti dell’uomo che vengono garantiti; tuttavia la tutela
sovranazionale che viene oggi accordata ai diritti fondamentali si atteggia in modo
sostanzialmente diverso da quanto avviene nella nostra Carta Costituzionale, dove è
realtà storica che la garanzia dei diritti inviolabili, unitamente alla forma
repubblicana, costituiscono espressione di un compromesso politico tra i vari attori
della scena dell’Italia dell’immediato secondo dopoguerra. I diritti fondamentali si
sono ancorati aprioristicamente ed intrinsecamente al concetto di democrazia,
assurgendo, per tale via, a categorie essenziali dello Stato di diritto. Il significato
che essi assumono nella Carta europea è innegabilmente diverso, dal momento che
quest’ultima nasce in un diverso contesto storico e ad essa è affidata una funzione
117
peculiare differente, dal momento che, almeno per ora, non si è esplicitamente
ventilato di dare vita allo “Stato dell’Unione europea”! Nella Carta europea è,
piuttosto, espressamente formulato un principio di sussidiarietà costituzionale, che
si fonda sulla compenetrazione tra la protezione più intensa dei diritti nazionali e la
tutela dei diritti fondamentali riconosciuti a livello comunitario375. L’iter è lungo e
non facile da proseguire, anche a fronte della esigenza di accordare la tradizione di
civil law, avvezza alla formalizzazione di principi e categorie, con quella di
common law che, al contrario, si connota per il sostanziale rifiuto di tale
impostazione. In ogni caso, il processo di armonizzazione degli ordinamenti è in
atto e non può non coinvolgere il terreno dei diritti fondamentali ed, in particolare,
valori quali quelli di uguaglianza sostanziale, democrazia nonché tutela dei soggetti
più deboli, da intendersi questi ultimi nell’accezione più ampia di quella in cui
vengono in considerazione agli effetti della normativa dei consumi.
3. Il diritto privato europeo mostra di rivolgersi, nelle formulazioni normative che
ad esso appartengono, ad una molteplicità di figure della soggettività giuridica,
peraltro senza che nella normativa comunitaria si possano rintracciare regole di
carattere generale che valgano ad identificare i soggetti del diritto né i requisiti che,
agli effetti del diritto comunitario, si debbano possedere per poter essere ascritti a
tale categoria, contrariamente all’impostazione che contraddistingue il diritto
privato interno. Per la verità, all’interno del cosiddetto diritto privato europeo non si
rinviene l’impostazione operativa “per categorie”, tendendosi al contrario a
desumere i soggetti destinatari della normazione dal novero delle vicende in cui si
ambienta il mercato unico e dagli operatori presenti sulla scena. La necessità di
dettare le regole è dovuta all’esigenza di disciplinare lo svolgimento delle varie
attività che hanno luogo nel mercato europeo376. Il diritto privato di derivazione
comunitaria si rivolge pertanto essenzialmente sia alle persone fisiche, sulla base
della loro diversa collocazione sulla scena economica (si pensi al consumatore, del
quale si dirà infra, ma anche alle forme di tutela del risparmiatore nella disciplina
comunitaria nei settori dell’attività bancaria ed assicurativa), sia a tutti quegli enti
M. FIORAVANTI, La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea nella prospettiva del
costituzionalismo moderno, in Persona e mercato, 2002, passim.
376
M.A. LIVI, cit., in op. cit., p. 294, osserva, a tale proposito, che “la disciplina dei soggetti è,
dunque, essenzialmente disciplina della loro attività, attraverso la quale indirettamente si tende ad
una rifondazione degli stessi, poiché in tale quadro, i soggetti considerati dalle norme comunitarie o
di derivazione comunitaria sono per lo più soggetti che svolgono un’attività lato sensu economica”.
375
118
che, seppur non essendo persone fisiche, tuttavia sono idonei a svolgere attività
economiche (si pensi alle banche). Le stesse norme del diritto comunitario hanno
poi dato vita a nuove istituzioni, che sono da ascrivere al novero dei soggetti di
diritto, quali il Gruppo europeo di interesse economico e l’Associazione europea,
senza trascurare le associazioni fra professionisti e le imprese di investimento377.
In sede di valutazione comparativa del panorama dei soggetti del diritto interno e di
quello comunitario, si nota immediatamente un diverso approccio, da parte dei vari
legislatori, agli stessi. La funzione che alle norme di legge di matrice comunitaria
viene attribuita consiste essenzialmente nel controllare e disciplinare lo svolgimento
delle attività che hanno luogo nel mercato unico europeo, con la conseguenza di
uno spiccato interesse per la dimensione economica dei soggetti delle norme, intesa
come potenzialità e capacità di questi di intervenire sulla scena mercantile. Di qui
l’interrogativo, diffuso negli ambienti della dottrina, circa il rischio che le norme di
diritto privato europeo, nel trattare e qualificare il soggetto di diritto sulla base delle
varie sfaccettature del suo essere homo oeconomicus, il che vale a dire operatore del
mercato in un determinato ruolo (consumatore, risparmiatore e via dicendo),
comporti una modalità riduttiva di individuazione del referente dell’enunciato
normativo, nonché una frammentazione dell’uomo nella molteplicità delle esigenze,
di segno economico, che allo stesso sono riconducibili378. Questo rischio, che
coinvolge la sociologia del diritto379 nonché l’essenza stessa del fenomeno giuridico
considerato nella sua interezza, si va a combinare con la caotica compresenza, nel
377
Sul punto si vedano A. BUSANI, Attuazione della direttiva 2002/87/Ce relativa alla vigilanza
supplementare sugli enti creditizi sulle imprese di assicurazione e sulle imprese di investimento
appartenenti ad un conglomerato finanziario, nonché all’istituto della consultazione preliminare
interna di assicurazioni, in Guida al dir., 2005, 44, p. 16; R. DI MARIO, Associazioni e società tra
professionisti intellettuali, in Giust. civ., 1993, I, p. 713; A. FUSARO, Le associazioni tra
professionisti, in Vita Not., 1993, p. 494. Lo studio professionale associato viene annoverato tra le
ipotesi di associazioni non riconosciute “atipiche”: sul punto si veda V. SCALISI, Categorie e
istituti del diritto civile nella transizione al postmoderno, cit., p. 153-155.
378
In una prospettiva di teoria generale, merita di essere ricordata la caratterizzante impostazione al
problema della ricostruzione della soggettività alla luce dell’essenza del fenomeno-diritto, espressa
da B. ROMANO, Soggetto libertà e diritto nel pensiero contemporaneo. Da Nietzsche verso Lacan,
Roma, 1999, p. 34, il quale afferma che “il senso esistenziale del diritto si esprime nella garanzia
che, all’interno del rapporto, i singoli non si incontrino nella riduzione della realtà di ciascuno a
possibilità dell’altro, nell’esercizio cioè della violenza”. Ebbene, nel momento in cui, nel contesto
contemporaneo il soggetto delle norme “di diritto privato europeo” è trattato alla stregua di mero
homo oeconomicus, allora egli stesso viene confinato nell’ingiusto ruolo di “spersonalizzata
occasione” che permette il concretizzarsi della “possibilità economica” dell’altro soggetto, di quello,
cioè, che ricopre sul mercato la “posizione forte”, accadendo frequentemente che la stessa regola del
rapporto sia stata formulata proprio in seno al “gruppo” al quale il “soggetto egemone” appartiene.
379
N. LIPARI, Diritto e sociologia nella crisi istituzionale del postmoderno, in Riv. crit. dir. priv.,
1998, p. 415, osserva che “nella stagione del postmoderno il problema non sta mai nelle regole,
intese come un contenuto individuato di precetti, ma semmai nella determinazione delle ragioni che
hanno condotto al sostanziale svuotamento della loro funzione”.
119
panorama delle fonti del diritto interno, di regole che, avendo una diversa origine,
trattano in maniera diversa il soggetto di diritto: le norme di matrice squisitamente
nazionale, tanto nella forma quanto nella sostanza, da un lato; le norme di respiro
comunitario che vengono recepite o che sono direttamente operative nel nostro
ordinamento, dall’altro380. Nel ridurre il destinatario delle norme giuridiche a mero
homo oeconomicus si compie una operazione che conduce alla contraddizione: la
negazione del carattere di “persona” al soggetto di diritto, che consegue in modo
diretto ed inevitabile allo sconfinamento dell’ampio, complicato ed imprevedibile
fascio di volizioni, comportamenti e valori che hanno riguardo all’essere umano, e
quindi alla persona, in quanto tale.
Se, da un lato, ad una analisi delle norme comunitarie che hanno riguardo al
risparmiatore, al consumatore, al lavoratore subordinato o al professionista, risulta
che la dimensione economica del soggetto sia l’elemento al quale la normazione
appare massimamente attenta, dall’altro è possibile notare i molteplici tentativi,
effettuati nello stesso ambito comunitario, per dare riconoscimento e un adeguato
grado di tutela ai diritti fondamentali381. Il dibattito intorno ai diritti della persona si
accompagna, così, ad una generosa attività di confezione di regole che hanno
riguardo alla dimensione prettamente economica della persona382. Tale circostanza
parrebbe una contraddizione se non emergesse la connessione intrinseca tra i due
predetti fenomeni i quali, se non trovano la loro giustificazione all’interno di una
relazione biunivoca, tuttavia si possono ben comprendere nel momento in cui viene
ricostruito il loro rapporto rendendo l’ultimo fenomeno un presupposto per il
primo383. L’iter che dà luogo al riconoscimento, a livello comunitario, dei diritti
fondamentali passa attraverso i Trattati, l’elaborazione di Principi, che proprio
attraverso i Trattati sono stati costruiti, nonché lo stesso riconoscimento che, a
livello dei singoli ordinamenti nazionali dei Paesi Membri, i diritti fondamentali
trovano all’interno delle varie Carte costituzionali, unitamente agli orientamenti
della Corte di giustizia e delle Corti costituzionali, ed alle varie operazioni di
380
S. GIUBBONI, Modelli socialnazionali, mercato unico europeo e governo delle differenze, in
Riv. dir. sic. soc., 2009, 2, p. 293
381
I. VIARENGO, Corte costituzionale, Corte di giustizia e tutela dei diritti fondamentali in
Europa, in L. DANIELE (a cura di), La dimensione internazionale ed europea del diritto
nell’esperienza della Corte costituzionale, Coll. “Cinquanta anni della Corte costituzionale della
Repubblica italiana”, Napoli, 2006, p. 442
382
G. ALPA, La codificazione del diritto dei consumatori. Aspetti di diritto comparato, in Nuova
giur. civ. comm., 2009, 6, 2, p. 241
383
C. CARDIA, Carta dei valori e multiculturalità alla prova della Costituzione, in Iustitia, 2009, 2,
1, p. 147
120
verifica della compatibilità e dei rapporti reciproci tra i Trattati e la Convenzione di
Roma384. Si ricordi inoltre che la Comunità ha aderito alla Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950. In questa
prospettiva, accanto ad una intensa e copiosa attività, che vede coinvolte le
istituzioni comunitarie, volta a disciplinare le vicende prettamente economiche che
coinvolgono il mercato europeo, risulta così possibile collocare testimonianze
dell’impegno assunto dalla stessa Comunità nell’ambito della tutela della persona
considerata nella sua interezza. Se, all’analisi di una serie di regole di matrice
comunitaria, la sensazione che deriverà potrà essere quella di una frammentazione
del soggetto nello spettro dei bisogni di cui egli stesso si compone, prelevando
soltanto le esigenze di segno economico ed ergendole a contenuto sostanziale
d’elezione di molteplici interventi normativi, in altri luoghi, sempre di respiro
comunitario, si rinviene piuttosto quella concezione unitaria, sul piano
identificativo, del soggetto che viene incontrato dalle regole, al quale ci si riferisce
ora nella sua interezza385.
Per una disamina del rapporto intercorrente tra interessi economici incentivati dalla
Comunità europea e diritti fondamentali tutelati, bisogna in primo luogo tenere
conto che all’interno del Trattato istitutivo della Comunità economica europea, il
noto Trattato di Roma del 1957, vi erano soltanto alcuni esigui riferimenti alla
posizione del consumatore, nello specifico quelli nelle materie della politica
agricola comune e della concorrenza, nell’ambito dei quali la tutela del
consumatore emergeva alla stregua di una delle politiche comunitarie volte a
rimuovere gli ostacoli alla realizzazione del libero mercato tra i Paesi membri, non
essendo peraltro allora dotata la Comunità europea di alcuna specifica competenza
nell’ambito della tutela dei consumatori386. Ciò spiega pertanto come inizialmente
gli interessi dei consumatori trovassero la loro protezione esclusivamente in via
indiretta
e
mediata,
attraverso
le
garanzie
del
corretto
funzionamento
dell’ingranaggio della libera concorrenza387. Rispetto agli altri ambiti di intervento
comunitario, il diritto dei consumi è entrato piuttosto tardi nel campo di
384
G.B. FERRI, Diritto dei contratti e Costituzione europea. Divagazioni di un civilista intorno alla
Costituzione europea, in Eur. dir. priv., 2005, p. 18
385
L. CABELLA PISU, Cittadini e consumatori nel diritto dell’Unione Europea, in Contr.
impr./Eur., 2007, p. 674
386
M. RODOLFI, La Consulta amplia la tutela dei consumatori ma rischia di far crollare il sistema,
in Guida al dir., 2009, 30, p. 35
387
Sull’argomento si veda amplius R. PARDOLESI, La disciplina della concorrenza: uno sguardo
d’insieme, in N. LIPARI – P. RESCIGNO (diretto da), Diritto civile. Attuazione e tutela dei diritti.
La concorrenza e la tutela dell’innovazione, IV, Milano, 2009, p. 4 ss.
121
osservazione dei giuristi nazionali e delle Istituzioni comunitarie, cominciando a
conoscere i primi interventi nel corso degli anni Settanta. Osservando l’evoluzione
che ha conosciuto la politica di tutela dei consumatori a livello comunitario, si
potranno rintracciare tre fasi salienti, la prima delle quali si colloca nell’alveo
dell’elaborazione dell’Atto Unico Europeo del 1986; la seconda si sostanzia
nell’entrata in vigore del Trattato di Maastricht del novembre 1993, la terza, infine,
nell’appartenere al “Terzo Piano d’azione triennale” del 1995, costituisce un
significativo passo avanti dal momento che la materia dei consumatori viene per la
prima volta svincolata dall’ambito di intervento prettamente economico, per essere
piuttosto allacciata al novero di tutte le politiche che si connotano per la loro
autonoma rilevanza sociale, impostazione che trova la sua consacrazione nel
Trattato firmato ad Amsterdam il 1 maggio 1997. Si comincia così a costituire quel
nucleo di diritti connessi alla posizione del consumatore, di rilevanza e di
pertinenza non necessariamente economica, quali la salute e la sicurezza, che si
vanno ad affiancare alla necessaria protezione degli interessi economici, nonché al
diritto all’informazione, all’educazione ed alla salvaguardia dei propri interessi. Si
può pertanto asserire che in questa fase si collocano le radici concettuali di quella
che nel 2005 diventa la formulazione testuale dell’art. 2 cod. cons 388. Già dalla
rubrica di tale norma, intitolata “diritti dei consumatori”389, si evince la
consapevolezza maturata in seno al “legislatore comunitario” circa l’importanza di
effettuare un riconoscimento formale e sostanziale degli interessi individuali e
collettivi dei consumatori390, non soltanto in quanto operatori economici ma nella
loro completa identità di persone391. Il secondo comma della norma qui richiamata
contiene infatti un elenco di diritti fondamentali, di rilevanza costituzionale,
riconosciuti ed accordati però stavolta alla posizione dei consumatori392. Tali diritti
assolvono ad una funzione di limitazione del potere e di guida per lo sviluppo
dell’ordinamento giuridico, affidati, nel contesto del Codice del consumo, alla
portata di una norma di chiusura dell’intero sistema, con lo scopo di svolgere un
compito di integrazione e di completamento di quanto già previsto nello specifico
B. NASCIMBENE - A. LANG, Il Trattato di Lisbona: l’Unione europea a una svolta?, in Corr.
Giur., 2008, p. 137
389
F. RONCHESE, Credito al consumo e diritti del consumatore nel rapporto con il finanziatore, in
Nuova giur. civ. comm., 2009, 5, 1, p. 440
390
F. CAMILLETTI, L’art. 2 del Codice del consumo e i diritti fondamentali del consumatore nei
rapporti contrattuali, in Contratti, 2007, p. 908
391
Corte giust. CE, 14 ottobre 2004, c. 36/02
392
P. MORLUPO, Il Diritto dei consumi: realtà e prospettive, in Rass. dir. civ., 2009, 1, p. 276
388
122
dal legislatore all’interno dello stesso Codice o anche in altri luoghi normativi.
Pertanto essi vengono attivati dall’interprete ogniqualvolta le misure o i rimedi già
riconosciuti si rivelino insufficienti o inadatti a portare a termine la funzione di
tutela della situazione in concreto393. Per cui in tali casi si dovrà effettuare un
bilanciamento al termine del quale sarà possibile scoprire se sia più opportuno
ritenere prevalente l’esigenza di protezione del consumatore o gli altri valori,
anch’essi tutelati, che sono però in conflitto con la prima. Percorrendo l’elenco di
cui al secondo comma dell’art. 2 cod. cons., si rinvengono il diritto alla tutela della
salute, alla sicurezza nonché alla qualità dei prodotti e dei servizi, ad una adeguata
informazione e ad una corretta pubblicità, all’educazione al consumo, alla
correttezza, alla trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali, alla promozione e
allo sviluppo dell’associazionismo libero, volontario e democratico tra i
consumatori e gli utenti, all’erogazione di servizi pubblici secondo standard di
qualità e di efficienza394. Si tratta di diritti che, in alcuni casi, assumono anche
esplicita rilevanza costituzionale, come il diritto alla salute, che trova la sua tutela
nel dettato di cui all’art. 32 Cost. in quanto “fondamentale diritto dell’individuo e
interesse della collettività”395.
Il novero dei diritti dei consumatori qualificati come “fondamentali” dalla stessa
lettera dell’art. 2 cod. cons. é da ascrivere ai diritti inviolabili di cui all’art. 2 della
Carta costituzionale, dal momento che, non fornendo quest’ultima un elenco
tassativo bensì un elenco aperto, può ricomprendersi nel concetto di inviolabilità
qualsiasi diritto fondamentale, a prescindere dalla circostanza per cui esso sia
espressamente enunciato in una norma della stessa Costituzione o in altra norma di
legge. Ove si voglia rintracciare il collegamento tra l’art. 2 cod. cons. e l’art. 2
Cost., esso avviene per il tramite del secondo comma dell’art. 3 Cost. che, nello
statuire il principio di uguaglianza sostanziale, contempla il diritto dei cittadini, i
quali versino in condizioni di debolezza rispetto ad altri, a ricevere adeguata
tutela396.
393
N. DELLA BIANCA, Illecito antitrust e la tutela collettiva dei consumi, in Resp. civ. e prev.,
2009, 2, p. 274
394
E. CAPOBIANCO, La protezione del consumatore tra obiettivi di razionalizzazione normativa e
costruzione del sistema nell’esperienza del Codice del consumo, in Vita Not., 2008, 3, 1, p. 1187
395
T. WILHELMSSON, Un’armonizzazione completa del diritto dei contratti del consumatore?, in
Riv. crit. dir. priv., 2008, 4, p. 605
396
Occorre ricordare che l’art. 3 Cost. rientra nella nozione di “norma programmatica”, in quanto in
esso non è formulato direttamente il precetto normativo, bensì viene enunciato il programma che
spetterà alle Istituzioni attuare.
123
L’apertura delle Istituzioni comunitarie verso una dimensione costituzionale dei
diritti della persona-consumatore, della quale costituiscono un significativo indice
sintomatico tanto il Trattato di Amsterdam quanto la Carta di Nizza397,
nell’esprimere i passi che vengono mossi per un progressivo ampliamento dei valori
e degli interessi che sono a fondamento del diritto comunitario, rivela un sostanziale
allontanamento dalla originaria impostazione squisitamente mercantile che era
fisiologicamente propria dello stesso398. Ciò comporta una sorta di “salto di valore”
che vede oggi protagonista il diritto dei consumi di derivazione comunitaria, dal
momento che esso è attualmente in grado di porsi al di sopra del novero di ragioni
di segno prettamente economico, con la conseguenza per cui la tutela dei
consumatori, nello spogliarsi delle vesti del fenomeno funzionale alla realizzazione
del mercato unico, assume su di sé i connotati di uno degli strumenti di tutela della
persona umana, marcando i contorni del passaggio da una logica puramente
mercantile, alla quale si è ispirato il Trattato di Roma, ad una consapevole
attenzione per la materia dei diritti fondamentali, come emerge dalla impostazione
del Trattato di Amsterdam399. Se può sorgere il quesito circa la effettiva necessità
che anche le Istituzioni comunitarie si facciano carico della tutela dei diritti
fondamentali, dal momento che questo compito è stato tradizionalmente affidato
agli ordinamenti interni, attribuendo piuttosto alla Comunità europea sempre una
accezione di carattere meramente economico, anche quando si è passati, a livello
A. CELOTTO, Carta dei diritti fondamentali e Costituzione italiana: verso il “Trattato
costituzionale” europeo, in Eur. dir. priv., 2003, p. 47, considera che “l’emanazione della Carta di
Nizza pone definitivamente in crisi la teoria dei controlimiti, in quanto l’emanazione formale di una
Carta, tesa a tutelare i diritti in ambito comunitario, suggella definitivamente che anche l’Unione
europea tutela i diritti fondamentali dell’uomo”. Sul punto si veda anche G. AZZARITI, Il valore
della Carta dei diritti fondamentali nella prospettiva della costruzione europea: dall’Europa dei
mercati all’Europa dei diritti?, in F. GABRIELE – G. BUCCI – C.P. GUARINI, Il mercato: le
imprese, le istituzioni, i consumatori, Bari, 2002, p. 3; nonché G. VETTORI, Carta europea e diritti
dei privati (diritti e doveri nel nuovo sistema delle fonti), in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 671
398
Sul punto cfr. P. PERLINGIERI, Leale collaborazione tra Corte costituzionale e Corti europee.
Per un unitario sistema ordinamentale, Napoli, 2008, passim, nonché I. VIARENGO, Corte
costituzionale, Corte di giustizia e tutela dei diritti fondamentali in Europa, in L. DANIELE (a cura
di), La dimensione internazionale ed europea del diritto nell’esperienza della Corte costituzionale,
Coll. “Cinquanta anni della Corte costituzionale della Repubblica italiana”, Napoli, 2006, p. 442.
Sull’argomento generale delle potenze economiche mondiali che oggi sono in grado di dettare le
regole sulla base delle quali si svolgono le contrattazioni sulla scena dei traffici mondiali, J.
HABERMAS, La costellazione postnazionale. Mercato globale, nazioni e democrazia, Milano,
1999, p. 98, osserva che “oggi questa politica mondiale (…) non si presenta staticamente come
politica gerarchizzata nel quadro di una organizzazione mondiale, bensì dinamicamente come un
insieme di interferenze e interazioni tra processi politici che seguono logiche specifiche sul piano
nazionale, internazionale, globale”.
399
P. PERLINGIERI, La tutela del consumatore nella Costituzione e nel Trattato di Amsterdam, in
P. PERLINGIERI – E. CATERINI, Il diritto dei consumi, Napoli, 2004, p. 26. Inoltre cfr. S.
CATANOSSI, In attesa di Lisbona: la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea al vaglio
della teoria costituzionalista, in Riv. crit. dir. priv., 2008, p. 714
397
124
nominale, dalla Comunità economica europea all’Unione europea, allora bisogna
osservare come il processo di armonizzazione delle legislazioni nazionali dei vari
Paesi membri non possa prescindere, per il livello di compenetrazione degli
ordinamenti (interno e comunitario) al quale si è giunti, dalla creazione di una
coscienza giuridica comune, non potendo peraltro il mercato essere trattato
esclusivamente alla stregua di luogo di mero svolgimento delle negoziazioni, dal
momento che è un dato incontrovertibile che alla base delle dinamiche economiche
ed imprenditoriali si collocano proprio i diritti fondamentali, ai quali è necessario
assicurare un adeguato livello di tutela e dei quali si deve avere, da parte di tutte le
Istituzioni, un appropriato grado di consapevolezza400. Il complicarsi degli scambi
commerciali, delle operazioni negoziali e dei fenomeni dell’attività economica in
generale, postula, al contempo, l’abilità di coniugare, tanto a livello nazionale
quanto a livello comunitario, lo sviluppo mercantile con il progresso sociale, in una
prospettiva di conciliazione delle istanze economiche con quelle solidaristiche401.
Senza dubbio, tra i protagonisti della scena che si svolge sul teatro dei traffici
commerciali, il consumatore è quello che occupa la positio princeps, non soltanto in
quanto destinatario dei vari prodotti (sia merci sia servizi) ai quali egli stesso può
accedere, ma anche in quanto persona della quale bisogna tutelare la salute, la
sicurezza nonché assicurare condizioni di equità nel trattamento402. Certamente il
mercato necessita di apposite regole che presiedano alle vicende degli scambi ed
allo svolgimento dei rapporti economici tra i soggetti coinvolti, generalmente
attraverso il ricorso a meccanismi correttivi che permettano la determinazione ed il
controllo dei presupposti di efficienza e del corretto funzionamento del mercato
stesso. In questa chiave, la libertà di mercato assume pertanto una nuova
connotazione, riempiendosi di quella accezione che, accanto alla libertà dalle
imposizioni ed alla libertà di competizione, si connota per una necessaria attività di
Tuttavia si presenta scettico con riguardo all’idea di una armonizzazione totale delle legislazioni
dei vari Paesi T. WILHELMSSON, Un’armonizzazione completa del diritto dei contratti del
consumatore?, in Riv. crit. dir. priv., 2008, p. 605, il quale osserva che . Sul punto si veda anche G.
AJANI – S. FERRERI – M. GRAZIADEI, Introduzione ai Principi di diritto comunitario in materia
di contratto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2009, p. 271, nonché A. ZACCARIA, Il futuro del diritto
privato europeo, in Studium iuris, 2007, p. 1299
401
Ciò dipende dal modo in cui il mercato viene considerato. Esso può essere infatti inteso sia come
un’istituzione che produce essa stessa le regole delle contrattazioni che si ambientano sulla scena
medesima, sia come “locus di garanzie e di libertà”, come osserva G.P. CALABRO’, Tutela del
contraente debole e mercato: la dialettica tra norme e valori, in P. PERLINGIERI – E. CATERINI
(a cura di), Il diritto dei consumi, cit., passim.
402
R. CALVO, La tutela del consumatore alla luce del principio di eguaglianza sostanziale, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 2004, 3, p. 869
400
125
regolamentazione volta a favorire “l’attuazione di una politica sociale correttiva
della lex mercatoria”403. Il che vale a dire esigenza di una politica di regulation che
sia finalizzata alla elaborazione di regole che permettano la composizione degli
interessi che dominano la scena mercantile secondo una logica democratica404.
403
Sul punto cfr. P. PERLINGIERI, Mercato, solidarietà e diritti umani, in cit., 1995, p. 95,
procedendo poi col mettere in risalto l’importanza dell’antitrust, con l’affermare, a p. 105-106, che
“le ragioni costituzionali dell’antitrust risiedono nella necessità di evitare le distorsioni
monopolistiche e di tendenzialmente garantire la correttezza della attività economica, senza abusi di
posizioni dominanti, senza accaparramenti ingiustificati, al fine pur sempre di realizzare una utilità
sociale intesa come punto di confluenza tra produttori e consumatori. La sua funzione quindi si
esaurisce esclusivamente sul piano economico e non coinvolge, se non indirettamente, la solidarietà
e i diritti inviolabili dell’uomo”, ricordando che, al contrario, “la libertà economica e la concorrenza,
anche sul piano strettamente economico, sono non un fine ma un mezzo, una regola, per realizzare
l’utilità sociale, l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione economica e sociale del Paese e
il pieno sviluppo della persona”. Si veda anche L. ROSSI CARLEO, Diritto del mercato, diritto per
il mercato o diritto per i soggetti del mercato?, in Rass. Dir. civ., 1992, p. 751, la quale osserva che
“la centralità del mercato si rivela un punto di coesione illusorio. La necessità di ricercare comunque
una qualche funzione riequilibratrice comporta, rispetto alle opzioni di fondo, che la centralità del
mercato si frantuma in una gamma assai variegata di modelli interpretativi. Ne deriva che il giurista,
per non abdicare al suo compito, non deve guardare all’economia come ipotesi di ridefinizione del
sistema giuridico, ma piuttosto deve considerarla come una valenza metodologica, senza pretendere
che dalla scienza economica derivino più certezze di quante quest’ultima riesca a segnare al proprio
attivo”.
404
Sul punto si veda N. LIPARI, Riflessioni di un giurista sul rapporto tra mercato e solidarietà, in
Rass. Dir. civ., 1995, p. 31, il quale autorevolmente afferma che “questa frenesia liberistica nella
quale siamo piombati, il tentativo cui stiamo assistendo di una distruzione concentrica del modello
dello Stato sociale (non quindi solo delle sue discorsive attuazioni), l’identificazione strisciante tra
sistema capitalistico e sistema consumistico (quasi che la logica del mercato debba inevitabilmente
condurre ad un vortice senza limiti) rappresentano una vistosa contraddizione con i principi
costituzionali”; proseguendo con l’osservare che “è ormai consapevolezza acquisita che, varcata una
certa soglia, il consumo di ciò che siamo in grado di produrre supera le ragioni dell’utilità, diventa
semplice assuefazione, in sostanza si risolve nel tritume di qualsiasi cosa”. Nonché ID., Diritto e
mercato della concorrenza, in cit., p. 320, in cui si pone in evidenza la linea di congiunzione tra
mercato e diritto, osservando che “quando perciò si assume una coerente lineare simmetria tra
politicità e giuridicità, intese come necessario presupposto delle scelte mercantili, nel senso che “il
mercato prende forma dalla decisione politica e questa si esprime in leggi”, si indica una sorta di
modello esemplare o utopico, ma certo non si rappresenta la realtà dell’esperienza contemporanea”;
procedendo poi ad individuare l’essenza della crisi del rapporto ortonomo tra diritto e mercato
nell’epoca contemporanea proprio nell’allontanamento dalla peculiare dimensione del giuridico che
consiste nel prendere atto che “la giuridicità si connota necessariamente in chiave di solidarietà”,
chiarendo che “il diritto è necessariamente solidaristico, nel senso che sarebbe contraddittorio
all’idea stessa di giuridicità intenderlo come limitato ad una parte soltanto della collettività
considerata ovvero destinato necessariamente a non proiettarsi nel tempo, a non coinvolgere soggetti
diversi da coloro che hanno concorso a dettare la regola” (p. 327-328). Il mercato è il luogo in cui si
incontrano interessi contrapposti; gli interessi della classe imprenditoriale egemone sono oggi
piuttosto interessi di gruppi di potere, dei quali le regole giuridiche si fanno portatrici, deviando così
dalla loro sostanziale specificità. Sul problema del rapporto tra diritto ed interessi politici L.
LOMBARDI VALLAURI, La scienza giuridica come politica del diritto, Firenze, 1974, I, p. 181,
afferma che “Scienza giuridica significa appunto politica del diritto fatta criticamente, in
opposizione a una politica ascientifica, a una politica di interessi particolari di qualsiasi natura, a una
politica non tesa metodicamente alla validità universale, alla razionalità, alla integrale
comunicabilità e persuasività dei propri assunti”. Sull’argomento in generale cfr. anche G. ALPA,
La c.d. giuridificazione delle logiche dell’economia di mercato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, p.
744. In merito alla vicenda della regulation, P. PERLINGIERI, Mercato, solidarietà e diritti umani,
in cit., p. 111, osserva che “regolamentazione e concorrenza non si prospettano come alternative, ma
come complementari là dove la regulation serve per garantire non soltanto la concorrenza, in una
pluralità di segmenti del mercato, ma anche valori non riducibili al livello della produzione e del
126
Nella presente stagione giuridica, è possibile rintracciare una diversa prospettiva
nell’approccio alla modalità attraverso cui il mercato e l’iniziativa economica
assumono la loro configurazione, ben lontana oggi dall’essere imperniata sul
principio di solidarietà sociale405 che, secondo una prospettiva ortonoma e
ossequiosa
dell’eticità
del
diritto406,
assurgerebbe
a
valore
cardine
dell’ordinamento407. La libertà di iniziativa economica privata, una delle libertà
fondamentali riconosciute dalla Carta costituzionale alla lettera dell’art. 41 primo
comma, nel costituire presidio all’autonomia contrattuale, deve coordinarsi con la
protezione di valori appartenenti alla sfera dell’extraeconomico408.
consumo”. In una visione ortonoma del diritto elaborato per la disciplina dei fenomeni che si
prospettano sullo scenario del mercato, le diverse posizioni in cui si trovano le parti della
negoziazione devono necessariamente trovare un punto di equilibrio, o per meglio dire un punto di
incontro, e ciò può avvenire soltanto tramite la funzione mediatrice della norma, in un assetto in cui
tramite la stessa norma si può concretizzare il superamento di un rapporto di forza e di un rapporto
esclusivamente governato dalle logiche del mercato, come afferma L. ROSSI CARLEO, Diritto del
mercato, diritto per il mercato o diritto per i soggetti del mercato?, in cit., p. 763, la quale evidenzia
la funzione mediatrice della norma che determina “il superamento di un rapporto di forza, e di un
rapporto determinato meccanicamente da fenomeni di mercato. Il superamento del rapporto di forza
significa, fra l’altro, superamento di una astratta parità formale, così come il superamento del
determinismo economico significa prendere atto delle esternalità, considerando che non tutto è
calcolabile, non tutto è monetizzabile. (…) Lo sforzo maggiore induce ad una rimeditazione che
guardi al sistema enucleando le posizioni formali non più in una logica astratta che fissa gli status
sotto il profilo statico, quanto, piuttosto, che guardi alle posizioni intersoggettive inquadrandole,
sotto il profilo dinamico, nella generalità della situazione della quale i soggetti sono parti e partecipi.
Gli strumenti tecnici tradizionali si rinnovano, pertanto, nei contenuti e, in tal modo, possono
adeguarsi alla diversa realtà. (…) Ciò che risulta evidente è la necessità di non fermarsi ad una
concezione di diritto del mercato, intendendo il diritto esclusivamente come un insieme di strumenti
offerti dalle regole del mercato”.
405
N. IRTI, Concetto giuridico di mercato e dovere di solidarietà, in Riv. dir. civ., 1997, I, p. 185
406
Si può rintracciare una dimensione etica nel modo in cui il diritto assurge ad arbitro delle vicende
mercantili laddove i rapporti tra i vari soggetti che operano sul mercato si svolgono in chiave di
solidarietà, piuttosto che all’insegna del prevalere dei soggetti forti sui più deboli. Opportunamente
osserva R. DWORKIN, Cos’è l’eguaglianza? Parte 2: l’eguaglianza delle risorse, in B.A.
ACKERMAN – R. DWORKIN – S.C. SAGNOTTI, Il mercato: diritto, etica ed economia, Torino,
1999, p. 13, che “la proprietà privata non è un fatto a sé, che riflette il solo rapporto intercorrente tra
una persona e una risorsa materiale, ma un rapporto a struttura aperta di cui molti aspetti devono
essere fissati politicamente”. Analogamente si può dire con riguardo alle vicende traslative della
proprietà che si ambientano sulla scena del mercato. N. LIPARI, Diritto e mercato della
concorrenza, in cit., nel porre in evidenza come il diritto sulla concorrenza sia in realtà incardinato
sul rapporto tra persona e mercato, ricordando (p. 327) che “la giuridicità si connota
necessariamente in chiave di solidarietà”, pone in luce l’essenza del fenomeno giuridico che è da
cogliersi nell’essere il diritto (p. 330) “esperienza destinata continuamente a raccordare enunciati
formali tendenzialmente immutabili ad indici storici capaci di riempirli di significati sempre
mutevoli”, in un’ottica secondo cui il sistema giuridico assurge a “filtro della varietà di informazioni
provenienti dall’ambiente sociale circostante” (p. 331).
407
Sull’argomento del mutato assetto in cui hanno luogo, nel contesto contemporaneo, le relazioni
commerciali si veda F. GALGANO, I rapporti di scambio nella società post-industriale, in Vita
Not., 1992, p. 52 ss.
408
Sul punto si veda G. SANTORO-PASSARELLI, Le “ragioni” dell’impresa e la tutela dei diritti
del lavoro nell’orizzonte della normativa europea, in Eur. dir. priv., 2005, p. 95, il quale considera
che “la Costituzione si pone in linea di continuità rispetto ai precedenti Trattati le cui disposizioni
talvolta riproduce letteralmente, tuttavia sarebbe riduttivo non riconoscere la rilevanza storica e
giuridica del Trattato Costituzionale. Infatti il progetto costituzionale organizza e sistema valori-
127
La politica comunitaria, inizialmente preoccupata esclusivamente della tutela di
interessi di segno meramente economico, oggi invece attenta anche alla
salvaguardia dei diritti fondamentali della persona, risulta pertanto orientata, in
materia contrattuale, ad abbracciare soluzioni che si facciano carico della garanzia
della qualità del contratto e della contrattazione, in modo tale da superare anche
quell’insieme di asimmetrie informative alle quali è esposto il soggetto che risulti
debole nella stessa contrattazione409. Di qui, si è compresa l’esigenza di rivolgersi al
consumatore non soltanto nella sua dimensione economica, e ciò si è iniziato a
compiere attraverso l’apertura delle politiche comunitarie verso settori che superano
lo stretto ambito di operatività del mercato e, nel trascendere la logica di segno
essenzialmente
patrimonialistico,
si
muovono
verso
una
dimensione
personalistica410 che si rende garante di un equilibrato bilanciamento tra rapporti
economici, rapporti civili e rapporti sociali411.
Con il Trattato di Amsterdam, si è quindi iniziato a comprendere, a livello
comunitario, che il consumatore non può e non deve essere trattato meramente alla
diritti già presenti nell’ordinamento comunitario e attribuisce formale efficacia giuridica ai “diritti”
ed ai “principi” enunciati dalla Carta di Nizza. La rilevanza costituzionale riconosciuta ai diritti
sociali produce una serie di conseguenze”, tra cui quella di evitare che gli Stati membri, in forza
della loro adesione alla Comunità europea, nel dare attuazione alle norme di diritto comunitario in
materia di concorrenza, riducano il livello di garanzia dei diritti sociali riconosciuti nella
Costituzione”. Cfr. anche B. LIBONATI, Ordine giuridico e legge economica del mercato, in Riv.
soc., 1988, p. 1540 ss.; nonché G. IUDICA, L’economia di mercato, in G. IUDICA – G. ALPA (a
cura di), Costituzione europea e interpretazione della Costituzione italiana, Napoli, 2006, passim, il
quale, in particolare, rileva che “il fatto che dalla Costituzione repubblicana non derivi nessun
vincolo al legislatore ordinario circa la realizzazione del modello di economia sociale di mercato,
aperta e concorrenziale, accolto nei Trattati europei e scolpito nella Costituzione europea, è del resto
di tutta evidenza se solo si considera che, (…) restrizioni alla libertà di iniziativa economica privata
fondate su ragioni di utilità sociale ma non compatibili con la struttura concorrenziale del mercato,
come pure strategie di pregnante intervento pubblico nell’economia, sotto le ombrose fronde
dell’art. 41 Cost., e dell’art. 43 Cost., abbiano potuto ampiamente prosperare, e siano per lo più
sopravvissute al vaglio di costituzionalità”.
409
V. BUONOCORE, Contratto e mercato, in Giur. comm., 2007, I, p. 379
410
P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italocomunitario delle fonti, p. 348, rileva che “l’atto negoziale è valido non tanto perché voluto ma se, e
soltanto se, destinato a realizzare, secondo un ordinamento fondato sul personalismo e sul
solidarismo, un interesse meritevole di tutela”.
411
Si vedano, sul punto, C. CASTRONOVO, Autonomia privata e costituzione europea, in Eur. dir.
priv., 2005, 1, p. 29; M. GRONDONA, Solidarietà e contratto: una lettura costituzionale della
clausola generale di buona fede, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, 2, p. 727; S. MAZZAMUTO,
Note minime in tema di autonomia privata alla luce della Costituzione europea, in Eur. dir. priv.,
2005, 1, p. 51; L. RUGGERI, Produzione normativa ed interpretazione assiologica per un diritto
contrattuale europeo, in R. FAVALE – B. MARUCCI (a cura di), Studi in memoria di Vincenzo
Ernesto Cantelmo, II, Napoli, 2003, passim; F.S. TONIATO, Rapporti economici, regole di
mercato, principi costituzionali, in N. LIPARI (a cura di), Giurisprudenza costituzionale e fonti del
diritto, in Coll. “Cinquanta anni della Corte costituzionale della Repubblica italiana, Napoli, 2006,
passim.
128
stregua di homo oeconomicus, quanto piuttosto come persona412. Il mercato viene
pertanto ad essere, in tale ottica, una delle modalità fenomenologiche della
personalità dell’individuo413. Nell’assetto socio-economico contemporaneo, il
consumatore, che si qualifica per essere il contraente debole all’interno delle
complesse dinamiche della negoziazione, è inserito, nell’insieme delle materie
trattate dalla “legislazione comunitaria”, all’interno di una politica che parte dalla
difesa del mercato in quanto difesa dell’iniziativa privata, per arrivare alla garanzia
dello svolgimento dell’attività economica in modo conforme ai precetti dell’utilità
sociale, della sicurezza della libertà e della dignità umana414.
Il centro della problematica ruota attorno alla questione del rapporto tra mercato e
diritto, che equivale a dire tra mercato e persona415, se, in una concezione corretta
del fenomeno giuridico, si comprende che il diritto è il luogo d’elezione per la tutela
dell’individuo, nella dimensione del suo agire sociale, considerato nella sua
interezza, e quindi, in quanto tale, come persona416. Il fulcro del binomio, oggi
412
F. SEATZU, Le nuove basi giuridiche della politica dei consumatori nel Trattato di Amsterdam,
in Dir. com., 2000, p. 809. In merito all’iter che ha conosciuto lo sviluppo, a livello comunitario,
della materia della tutela dei diritti dei consumatori si veda anche P. PADOVIN, La riforma dei
Trattati: l’Atto unico europeo, in Nuova rass. legisl. dottr. giur., 1986, p. 2342
413
G.B. FERRI, Divagazioni di un civilista intorno alla Costituzione europea, in Eur. dir. priv.,
2002, p. 345; B. BOSCHETTI, Economia e forme giuridiche, in Dir. econ., 2007, p. 455; in merito
all’art. 41 secondo comma Cost. afferma che “sembra infatti pienamente condivisibile l’idea di chi
ritiene che la garanzia della pari dignità umana riprenda quel concetto di pari dignità sociale di cui
all’art. 3 primo comma della Costituzione e per l’effetto implichi la garanzia di uguali condizioni in
tutti quei rapporti nei quali si fa esercizio di diritti e libertà, siano essi etico-sociali, politici o,
appunto, economici”.
414
A tale proposito, osserva P. PERLINGIERI, Mercato, solidarietà e diritti umani, in Rass. dir.
civ., 1985, p. 84 ss., che “in tal modo la libertà non è negata, ma è garantita, in quanto regolata al
fine esclusivo di realizzare la socialità della quale è capace: la sua forza di principio incide anche sul
giudizio di adeguatezza e di ragionevolezza delle misure programmatorie di controllo che non
possono essere tali da annientare o rendere di fatto impossibile l’espletamento della iniziativa nei
suoi diversi momenti di accesso e di uscita dal mercato”. Inoltre ID., Le insidie del nichilismo
giuridico. Le ragioni del mercato e le ragioni del diritto, in Rass. Dir. civ., 2005, p. 2, rileva che
l’appiattimento verso un vuoto formalismo ingenera il “pericolo che si annida nell’atteggiamento
cinico del prendere atto, senza alcuna partecipazione critica, che l’economia governa essa sola la
politica, e la legge è ormai amica soltanto del mercato e delle sue ineludibili esigenze; che
l’interpretazione della legge non può che scoprire il suo senso e attribuire alle cose i loro nomi senza
porsi dubbi di legittimità, e ancor più di legittimazione e di giustificazione, sì da lasciar sempre più
coincidere le ragioni della legge con le ragioni del più forte e quindi dell’economia e del mercato.
Questa deriva che si definisce nichilista, (…) non è neutrale. Essa, sostanzialmente, sottende un
realismo, benefico perché utile a comprendere la realtà , ma fondato sul primato del mercato inteso
come valore unico, sul quale costruire la moderna legalità”. L’argomento del nichilismo è al centro
del pensiero di N. IRTI, Nichilismo e metodo giuridico, in Riv. Trim. dir. proc. civ., 2002, p. 200.
Sul punto cfr. anche M. BARCELLONA, Il nichilismo giuridico, la forma del diritto moderno e il
nuovo sovrano, in Riv. Dir. civ., 2007, I, p. 207.
415
N. IRTI, Persona e mercato, in Riv. dir. civ., 1995, I, p. 295; B. PASTORE, Il Manifesto sulla
giustizia sociale nel diritto europeo dei contratti, in A. SOMMA (a cura di), Giustizia sociale e
mercato nel diritto europeo dei contratti, Torino, 2007, p. 187
416
F. PANETTI, Autonomia contrattuale e persona nella dialettica tra diritti sociali e libertà
individuali: un percorso europeo, in Riv. dir. civ., 2007, I, p. 517
129
conflittuale, tra diritto e mercato, va pertanto rintracciato in quella dimensione
giuridica secondo cui il diritto non può non assumere su di sé la tutela di tutti quei
beni e valori che non appartengono alla mera logica dello scambio417. Bisogna
pertanto accordare al mercato quella dimensione giuridica che è indispensabile al
fine della regolazione della complessa serie di negoziazioni che si svolgono in tale
luogo, senza però ridurre il diritto a mero strumento di regolamentazione del
mercato secondo una logica improntata peraltro sulla esclusiva necessità di
assicurare ai gruppi di potere ed agli operatori economici più forti quel vantaggio
calcolabile in termini monetari che si esprime con la voce del massimo profitto418.
Nel panorama del mercato, in cui il contratto si pone come la categoria ordinante
della variegata molteplicità dei fenomeni che in esso hanno luogo, esso stesso può
essere certamente considerato lo strumento attraverso cui si coniugano le istanze
economiche, che non sono null’altro se non ipostasi dell’esercizio dell’autonomia
privata, con le esigenze di controllo e di programmazione derivanti dalla necessità
di tutela dei valori strettamente attinenti al soggetto agente in quanto persona, che
pure vengono in considerazione in modo imprescindibile negli stessi contesti di
segno prettamente mercantile419. La categoria del consumatore, la cui normativa
costituisce la risposta alla evidente esigenza di approntare un adeguato livello di
protezione a soggetti che altrimenti ne resterebbero privi e che si trovano
fisiologicamente in posizione di debolezza, ingloba in sé la necessità di ricordare
sempre che il contratto, in quanto strumento attraverso cui si svolge in concreto la
dinamica dei rapporti di consumo, è un valore fondante dell’ordinamento dei
N. LIPARI, Diritto e mercato della concorrenza, in op. cit., p. 331, rileva che “in un momento
storico in cui da un lato vanno emergendo nuove tensioni culturali all’interno della dialettica sociale
e dall’altro è difficile ricondurre l’interesse del consumatore, nella banalità e ripetitività dei gesti
indotti, alla razionalità di un’azione valutabile secondo parametri di valore, è necessario riscoprire,
nell’integralità dell’ordinamento, l’eticità del diritto”.
418
L. ROSSI CARLEO, Il mercato tra scelte volontarie e comportamenti obbligatori, in Enc. dir.
priv., 2008, p. 167, nel mettere in risalto le caratteristiche dell’agire degli operatori economici
all’interno di un mercato regolamentato (quale quello globale), con la conseguente problematica
dell’individuazione dei poteri e dei confini dell’autonomia negoziale, afferma che “l’ottica si sposta
dal contratto al mercato, dallo specifico atto negoziale all’attività commerciale”.
419
N. LIPARI, Diritto e mercato della concorrenza, in cit., p. 325, con riguardo al mutamento della
concezione del contratto, osserva che “la normativa non si esprime più come regola del contratto (e
dei suoi tipi), ma semmai come disciplina dei soggetti che operano sul mercato”, proseguendo nel
considerare che in “quello che mi è parso opportuno chiamare diritto privato europeo (…), il criterio
del contratto non è più indice individuante della disciplina, considerato che contratti dello stesso tipo
sono sottoposti a discipline diverse in quanto posti in essere da soggetti appartenenti a categorie
diverse”. Il mutamento delle modalità che comportano lo svolgersi delle dinamiche mercantili
permette induce così a rilevare che “l’incidenza normativa sul mercato non si misura quindi oggi
più in funzione esclusiva di parametri riguardanti lo spostamento della ricchezza, ma semmai con
riferimento differenziato agli interessi dei soggetti che su quel mercato agiscono (e non sempre si
tratta di interessi di ordine esclusivamente economico)”.
417
130
soggetti privati420; con la conseguenza per cui non si può certo negare che la libertà
che determina lo statuto costituzionale della persona è anche, ma non
esclusivamente, libertà di carattere economico421.
L’ampio spettro dei diritti dei consumatori, che oggi costituiscono una categoria
ben precisa e verso cui le Istituzioni, in misura maggiore quelle comunitarie rispetto
a quelle nazionali, mostrano un sempre crescente grado di consapevolezza e
sensibilità, è, come la massima parte dei fenomeni giuridici, venuto emergendo nel
corso del tempo, sulla base di movimenti esogeni di carattere economico e
sociale422. Tuttavia soltanto in tempi recentissimi l’approccio normativo alla figura
del consumatore è riuscito ad esulare dal mero profilo della economicità, ovvero
dell’essere il consumatore un operatore d’elezione sulla scena mercantile, a favore
di una impostazione per così dire “umanistica” che tenga, quindi, conto del
consumatore in quanto persona e, in quanto tale, della totalità delle esigenze di cui
egli stesso sia titolare, non limitandosi a considerare esclusivamente quelle di netto
segno economico423. Questo diverso approccio alla categoria del consumatore ha
portato con sé una maturazione nelle modalità di tutela della posizione dello stesso,
determinando così un passaggio da un sistema di garanzia incardinato sulle norme
dettate a presidio della libera concorrenza ad un complesso meccanismo di
protezione del consumatore articolato su alcuni nodi centrali, quali le regole volte a
reprimere la pubblicità ingannevole, la delimitazione dei confini della pubblicità
comparativa, gli obblighi di informazione nell’etichettatura dei prodotti, la tutela
nella fase negoziale (la disciplina delle clausole vessatorie e la nullità di
protezione), il sistema di risarcimento del danno derivante da prodotto difettoso,
l’ampliamento dei poteri di cui sono titolari le associazioni dei consumatori424.
420
G. BENEDETTI, Tutela del consumatore e autonomia contrattuale, in cit., p. 24, asserisce che il
contratto “va ascritto alla persona, quale espressione significativa dell’autonomia riconosciuta
nell’area patrimoniale dall’ordine giuridico”.
421
N. LIPARI, Il mercato: attività privata e regole giuridiche, in N. IRTI – A. GAMBINO – N.
LIPARI – V. ROPPO, Il diritto della transizione, Milano, 1998, p. 41-42, osserva che l’epoca di fine
secolo è caratterizzata dal “pannegozialismo”, in quanto è “tutta giocata intorno alla valutazione
dell’atto di autonomia assunto nella singolarità del suo contenuto precettivo e nella specificità della
funzione”, comportando così una visione secondo cui “il mercato sia soltanto la finale risultante
delle forze espresse, nell’unità individuata di un tempo storicamente definito, da una pluralità di atti
contrattuali, di scelte imprenditoriali, di relazioni giuridicamente rilevanti, essendo tutta rimessa la
loro considerazione sintetica ad un metro valutativo di segno o economico o politico”.
422
S. RODOTA’, Il Codice civile e il processo costituente europeo, in A. SOMMA (a cura di),
Giustizia sociale e mercato nel diritto europeo dei contratti, Torino, 2007, p. 201
423
Sull’argomento “persona e mercato” si veda N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, RomaBari, 2008, p. 97 ss.
424
V. FERRARI, Una sfida al binomio “libero mercato-democrazia”, in Giornale dir. lav., 2008, 4,
p. 717
131
4. La materia contenuta nel cosiddetto Codice del Consumo conosce una nozione di
consumatore espressamente dettata dal “legislatore delegato” nella formulazione di
cui all’art. 3 lett. a) Cod. cons., in ossequio alla tradizione contrattuale di common
law che è avvezza alla pratica delle definizioni425. Tuttavia, non è possibile
rintracciare una accezione univoca del termine “consumatore” nei vari contesti
normativi e giurisprudenziali nei quali esso viene impiegato426. Ciò in quanto si
tratta di un termine suscettibile di riempirsi di una diversa specifica portata
semantica in base all’utilizzo che di esso viene fatto, spesso esulando dal contesto
della disciplina protettiva del soggetto debole. Accade pertanto che le definizioni di
impronta comunitaria non coincidano con la nozione che di quel medesimo termine
si rinviene nel linguaggio di utilizzo comune427. Se infatti nel dizionario della lingua
italiana è possibile cercare il termine “consumatore” da molto tempo, ciò non
avviene altrettanto nel lessico giuridico di diritto interno, nel quale si è iniziato a
parlare di “consumatore” in maniera significativa soltanto in tempi recenti, in forza
della esigenza di armonizzazione delle legislazioni nazionali tramite lo strumento
del diritto privato europeo428.
425
Osserva F. LUCCHESI, Commento. Art. 3, in G. VETTORI (a cura di), Codice del Consumo.
Commentario, Padova, 2007, p. 45, che “l’art. 3 contempla le definizioni dei concetti cardine della
normativa raccolta ed ora trasfusa nel Codice del consumo, secondo una tecnica legislativa corrente
nel diritto comunitario, volta a garantire maggiore certezza e snellezza al corpo normativo cui le
definizioni si riferiscono”. Sull’ottimismo di tale approccio alla portata delle definizioni
consumeristiche si ritiene di riflettere, nel corso della presente trattazione, in maniera critica.
426
Osserva opportunamente G. CHINE’, Il consumatore, in N. LIPARI (a cura di), Tratt. Dir. priv.
Eur., Il diritto privato europeo nel sistema delle fonti. I soggetti, I, Padova, 2003, p. 435, nel
ricostruire i vari itinerari giuridici, economici e sociologici che conducono ad una nozione di
consumatore, che “attribuire un significato univoco al termine “consumatore” è operazione alquanto
difficile. Tale difficoltà è la conseguenza naturale dell’evoluzione storico-culturale di un termine (e
di una categoria) che ha vissuto esperienze, per così dire, parallele in settori tra essi diversi, quali
quello economico, sociologico ed, infine, giuridico.
427
G. BERTOLO, Status di consumatore, libertà d’impresa e tutela del contraente aderente, in
Giur. it., 2003, 1, p. 203
428
Inserita nei vari contesti specifici ai quali essa è suscettibile di appartenere, la posizione del
consumatore si presenta tradizionalmente speculare a quella del produttore, del quale pure si
rintraccia la nozione all’interno del Codice del consumo, nello stesso art. 3, lett. d), nel quale si
legge che per produttore è da intendersi, “fatto salvo quanto stabilito nell’articolo 103, comma 1,
lett. d), e nell’articolo 115 comma 2-bis, il fabbricante del bene o il fornitore del servizio, o un suo
intermediario, nonché l’importatore del bene o del servizio nel territorio dell’Unione europea o
qualsiasi altra persona fisica o giuridica che si presenta come produttore identificando il bene o il
servizio con il proprio nome, marchio o altro segno distintivo”. La letteratura giuridica sulla figura
del produttore si presenta piuttosto generosa, quasi al pari di quella avente riguardo al consumatore,
anche perché spesso i due concetti, tanto antitetici quanto funzionalmente ed essenzialmente
connessi, vengono trattati congiuntamente. Sul punto cfr. M. QUINTANO, Il governo delle
relazioni produttore-consumatore, Torino, 2001, passim. Per quanto concerne l’ambito della
responsabilità per danno cagionato da prodotto difettoso, si vedano R. D’ARRIGO, La
responsabilità del produttore: profili dottrinali e giurisprudenziali dell’esperienza italiana, Milano,
2006, passim; G. ALPA – M. BIN – P. CENDON (a cura di), La responsabilità del produttore, in F.
132
Ai fini della applicabilità della normativa contenuta nel testo del Codice del
consumo429, per consumatore o utente è da intendersi “la persona fisica che agisce
per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o
professionale eventualmente svolta”430. Nell’incipit di questo testo di legge non
poteva non esservi una definizione dei vari termini, dalla portata semantica usuale
assai ampia, i quali, nel tenore della formulazione normativa, vengono richiamati
piuttosto con uno specifico significato tecnico. Del resto, l’attitudine per le
definizioni, tanto di carattere soggettivo quanto di quello oggettivo, la cui finalità si
sostanzia peraltro nel delineare nettamente l’ambito di operatività e di applicabilità
di un determinato intervento normativo, è un fenomeno ormai largamente invalso
nell’ambito della generosa produzione di regole da parte delle istituzioni
comunitarie. Da qui emerge il potere che acquista il precipitato dell’attività di
definizione, dal momento che ogni nozione vale non soltanto a stabilire i confini di
applicabilità del testo di legge, ma giunge anche ad orientare i giudici nazionali
nonché tutti quegli operatori giuridici che nella loro attività concreta si trovano a
doversi misurare con quel determinato materiale normativo431. Nel tenore del
Codice del consumo, se ad esso è stato rimproverato quell’arrogarsi il termine
“codice” che, nella sua accezione tecnica, assume un significato peculiare, che si
ricollega a requisiti del tutto lontani dai tratti propri della normativa del
GALGANO (diretto da), Tratt. Dir. comm. e dir. pubbl. econ., Padova, 1989, XIII, passim; A.
GORASSINI, Problemi e prospettive della responsabilità del produttore, Milano, 1982; U.
CARNEVALI, La responsabilità del produttore, Milano, 1974. La portata innovativa della nozione
di produttore contenuta nel Codice del Consumo viene sottolineata chiaramente da F. LUCCHESI,
Commento. Art. 3., in op. cit., p. 55, in cui afferma che tale definizione “contempla, oltre alle figure
già note, il fornitore, nel caso in cui il consumatore sia destinatario non di un bene, ma di un servizio
e l’intermediario”. Sul punto cfr. anche E. BELLISARIO, sub art. 3, in G. ALPA – L. ROSSI
CARLEO (a cura di), Codice del Consumo. Commentario, Napoli, 2005, p. 81, in cui si afferma che
la progressiva dilatazione della nozione di produttore denota un’evoluzione “che esprime la chiara
tendenza verso la costruzione di un sistema unitario di responsabilità d’impresa che, eliminando le
distinzioni meramente artificiali, sia in grado di riflettere la complessità delle forme organizzative di
produzione ed erogazione di beni e servizi”.
429
La nozione di cui all’art. 3 cod. cons. è una delle definizioni di consumatore che sono state
dettate ai fini della individuazione dell’ambito di applicazione soggettiva del Codice del consumo.
Per tale ragione, si può validamente asserire che ancora non sia stata formulata una nozione generale
di consumatore nel nostro ordinamento giuridico. Lo stesso testo dell’art. 3 chiarisce che la nozione
è valida soltanto “ai fini del presente codice”. Con la conseguenza per cui vi sono molteplici nozioni
di consumatore, nei luoghi delle legislazioni speciali, le quali tutte rimangono in vigore. Secondo
una prospettiva critica, è dato ritenere che, a fronte del trend legislativo settoriale contemporaneo
nonché della confusione che governa il contenuto testuale e semantico delle fonti normative,
difficilmente si avvertirà l’esigenza di lavorare alla elaborazione di una nozione univoca di
consumatore, che possa essere acquisita all’ordinamento con valenza di definizione di carattere
generale. Sull’argomento si veda amplius L. DELOGU, Leggendo il Codice del consumo alla
ricerca della nozione di consumatore , in Contr. impr. Eur., 2006, p. 100.
430
G. CHINE’, Uso e abuso della nozione di consumatore nel codice del consumo, in Corr. Merito,
2006, p. 431; ID., v. Consumatore (Contratti del), in Enc. dir., Agg., IV, Milano, 2000, p. 419
431
N. ROCCO DI TORREPADULA, Sulla nozione di consumatore, in Contratti, 2007, p. 1071
133
consumatore, e che è stato al centro della storia delle fonti del diritto per ben due
secoli, allo stesso modo si riscontra l’assenza di organicità e un’assoluta carenza di
coerenza tecnica, dal momento che la definizione di cui al su richiamato art. 3 viene
affiancata, in modo non complementare ma, al contrario, talvolta anche
contraddittorio, da nozioni sparse di consumatore, che è possibile rintracciare in
altri luoghi dello stesso testo normativo432. Si pone pertanto un problema di
conciliabilità a fini ermeneutici della definizione generale con quella speciale che
eventualmente venga in considerazione nello specifico. Con la conseguenza per cui
la nozione generale viene ad acquisire un significato operativo residuale laddove
quella speciale viene applicata per prima e soltanto laddove essa presenti delle
lacune allora esse stesse verranno colmate mediante il ricorso alla notio
generalis433.
Certamente la pretesa di chiamare Codice un tale testo normativo mostra la propria
fallacia già all’esame dell’impianto strutturale dello stesso considerato in alcune
delle sue fondamenta, quale appunto il profilo definitorio. Si è ben lontani dalla
lucidità e dalla coerenza delle nozioni che si riscontrano nel Codice civile e con le
quali, dopo molti anni, il giurista è ancora chiamato a misurarsi, quali, ad esempio,
la definizione di contratto o, ancora, quella di proprietario. Se la capacità definitoria
contemporanea mostra carenze e comporta confusione, sia piuttosto ben accolta la
scelta dei Compilatori del 1942 di non dettare una nozione di obbligazione!
E’ da notare come, in epoca anteriore all’entrata in vigore del Codice del consumo,
fosse del tutto estranea al diritto interno una nozione codificata di consumatore,
permettendo così l’emergere di nozioni elaborate e dettate ad hoc434, aventi quindi
carattere assolutamente settoriale, che fossero idonee ad indicare l’ambito
applicativo di un determinato intervento normativo, le quali già hanno costituito un
Si pensi alla definizione di “consumatore di pacchetti turistici” di cui all’art. 83 primo comma
lett. c); alla nozione di “acquirente” nell’ambito della normativa dei contratti relativi all’acquisizione
di un diritto di godimento ripartito di beni immobili, di cui all’art. 69 lett. b) cod. cons.
433
P. RESCIGNO, Situazioni e status nell’esperienza del diritto, in Riv. dir. civ., 1973, I, p. 213;
nonché G. COLACINO, La nozione di consumatore: questioni ermeneutiche e riflessi applicativi
(prima parte), in Studium iuris, 2009, 4, p. 377; ID, La nozione di consumatore: questioni
ermeneutiche e riflessi applicativi (seconda parte), in ivi, 2009, 5, p. 517; F. RINALDI,
Allargamento della nozione di consumatore: una questione di uguaglianza?, in Nuova giur. civ.
comm., 2009, 1, 2, p. 39; F. FERRARI, Ancora sulla nozione di consumatore, in Giud. Pace, 2008,
4, p. 302
434
G. ALPA, Gli usi del termine “consumatore” nella giurisprudenza, in Nuova giur. civ. comm.,
1999, II, p. 4, osserva che “l’espressione consumatore non è sempre impiegata per individuare il
soggetto destinatario della disposizione da interpretare e applicare, né configura necessariamente il
titolare dell’interesse alla cui protezione è finalizzata la disposizione, ma è impiegata anche per
raggiungere altri scopi, sicché l’uso del termine consumatore è mediato o interinale per raggiungere
uno scopo ulteriore.
432
134
passo avanti in materia, andando ad affiancare le previgenti nozioni sorte
esclusivamente in ambito scientifico.
E’altresì da riflettere riguardo al modo in cui la figura del consumatore sia stata per
lungo tempo del tutto estranea all’impianto codicistico del 1942 ma anche alla
Costituzione, pur essendovi in quest’ultima riferimenti formali alla disciplina dei
rapporti economici (Cost., Titolo III, artt. 35-47), con specifiche indicazioni aventi
riguardo, ad esempio, alla tutela del risparmio ed all’esercizio del credito435.
Contrariamente alla sostanziale assenza di una nozione di consumatore che si è per
molti anni registrata nel panorama del diritto interno, si assiste, nel contesto
contemporaneo, al proliferare non soltanto di regole ma anche di nozioni alle quali
le regole siano da applicare, a tal punto da parlarsi, nei luoghi della dottrina, a
ragione, perfino di “abuso della nozione di consumatore”436.
Volendo ripercorrere i tratti salienti della definizione di cui all’art. 3 cod. cons.,
emerge subito come essa sia incardinata su due essenziali nuclei concettuali, che
sono da riscontrare in primo luogo nella riconduzione di tale status esclusivamente
alla persona fisica, nonché, in secondo luogo, nella severa delimitazione dell’attività
svolta dal soggetto destinatario della tutela, il quale non deve venire in
considerazione quale “consumatore nell’esercizio di un’attività professionale”,
sintagma che per l’ordinamento giuridico costituisce attualmente un ossimoro se si
considera che l’attività di consumo esercitata nell’esercizio della professione esula
dall’applicabilità della normativa di garanzia sia interna sia comunitaria437. Lo
G. CHINE’, Il consumatore, in op. cit., p. 437, osserva che “il termine consumatore, nel suo
significato più moderno, ricorre invece nelle costituzioni più recenti di Stati dell’area occidentale
che hanno subito l’influenza culturale delle politiche del diritto ispirate dalla c.d. consumer
protection. Emblematico in tal senso è il caso della Spagna, la cui nuova Costituzione del 1978
contiene una norma espressamente dedicata alla tutela dei consumatori”. Prosegue ricordando inoltre
che “altri Paesi del vecchio continente, come la Gran Bretagna, la Francia e la Germania, già dai
primi anni settanta hanno inaugurato specifiche discipline che approntavano modelli sostanziali e
processuali di tutela per il consumatore”. A livello comunitario, si rinvengono espliciti riferimenti
alla figura del consumatore già nel Trattato istitutivo della Comunità economica europea. Il Trattato
di Maastricht sull’Unione Europea si prefigge poi lo scopo di annoverare all’interno della politica
comunitaria anche il tema della protezione dei consumatori, obiettivo che continua a trovare seguito
nel Trattato di Amsterdam nonché nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, meglio
nota come Carta di Nizza, del 7 dicembre 2000.
436
Sull’argomento cfr. G. CHINE’, Uso ed abuso della nozione di consumatore nel codice del
consumo, in Corr. Merito, 2006, 4, p. 431 ss.
437
Osserva G. CHINE’, cit., in op. cit., p. 433, che “può essere qualificato consumatore soltanto chi
compie un atto che soddisfi bisogni personali o familiari, non certo il professionista che, sebbene
agendo al di fuori della propria specifica attività professionale, si approvvigioni di beni o servizi
strumentali o comunque inerenti all’esercizio della professione. E ciò perché il consumo
professionale, per il legislatore comunitario e nazionale, è un “non consumo”. Ne discende che non
può essere riconosciuto lo status di consumatore [ad esempio] alla persona fisica che acquisti beni
per esercitare in futuro un’attività professionale”.
435
135
stesso Codice del consumo non si ripropone tuttavia di fissare nell’incipit una
nozione valevole all’interno dell’intero testo normativo, quanto piuttosto di dettare
una definizione di carattere generale e residuale, da coordinarsi, a sua volta, con le
nozioni specifiche presenti nei vari luoghi della stessa normazione. Si pensi infatti
all’art. 5 primo comma cod. cons. che individua una accezione di consumatore, ai
fini della disciplina, contenuta nello stesso Titolo II, Parte II, del Codice, con
riguardo alla materia degli obblighi di informazione. Qui si registra un ampliamento
della nozione di consumatore se la si paragona con quella di cui all’art. 3 comma
primo lett. a), con il contestuale emergere di un significativo profilo di innovazione,
che è da cogliere nel tratto per cui, venendo qui in considerazione in termini di
persona fisica cui sono dirette le informazioni commerciali, nulla vieta che, ai
predetti fini, possa essere considerato consumatore anche il professionista, o, per
meglio dire, colui il quale agisce nell’ambito della propria attività professionale. Se
si imposta il discorso in termini di ricerca della ratio, potrebbe sembrare, ad un
primo approccio all’intero precipitato normativo, che esso rechi in sé segni di
contraddizione affatto trascurabili. Volendo però condurre un approccio alla materia
con lo sguardo di un giurista consapevole e benevolo, allora si potrà osservare come
in realtà, entrando nello specifico della materia degli obblighi di informazione, ed
esclusivamente in essa, le regole che la disciplinano siano idonee ad essere
applicate anche ad un consumatore il cui consumo ricada nello spettro di esercizio
della propria attività professionale438.
Ma la definizione di consumatore dalla portata semantica più ampia, tra le
molteplici contenute all’interno del Codice del consumo, è senza dubbio quella di
cui all’art. 18, dettata in materia di pubblicità e di comunicazioni commerciali, con
la quale vengono superati entrambi i limiti, quello soggettivo e quello oggettivo,
fissati nella nozione di cui all’art. 3. Nel costituire un complemento alla disciplina
dell’informazione ed a quella dell’educazione del consumatore, quella della
pubblicità, se per un verso permette, sul piano pratico, al consumatore di conoscere
le varie offerte commerciali, per altro verso si va ad inserire all’interno di una
politica di marketing, svolgendo la funzione di orientamento dei consumi,
influenzando le scelte degli stessi consumatori439. Le norme del Codice del
U. COREA, Ancora in tema di “consumatore” e contratti a scopi professionali: un intervento
chiarificatore, in Giust. civ., 2000, I, 2, p. 2117
439
F. RINALDI, L’allargamento della nozione di consumatore: una questione di eguaglianza?, in
Nuova giur. civ. comm., 2009, I, p. 48, osserva che “nell’ambito della ricerca della giusta definizione
438
136
consumo che annoverano all’interno della categoria del consumatore qualunque
soggetto, indipendentemente dall’attività svolta e dall’essere persona fisica o
persona giuridica, si applicano ad ogni forma di comunicazione commerciale, senza
alcuna limitazione per quel che attiene alle modalità attraverso cui essa venga
effettuata440. Quel che è interessante notare, ai fini della presente trattazione, è
senza dubbio il profilo soggettivo di cui tiene conto l’art. 18, in una prospettiva di
comparazione con quello al quale si ispira il tenore del disposto di cui all’art. 3.
Perciò, anche i soggetti che, secondo il dettato dell’art. 3 sono da ascrivere alla
categoria dei professionisti, possono essere reputati consumatori, ai sensi e per gli
effetti della nozione di cui all’art. 18 e delle norme alle quali essa si va ad applicare,
che sono le regole poste a presidio della pubblicità ingannevole. Con la
conseguenza per cui qui la nozione di consumatore giunge alla massima estensione
della sua portata semantica e, al contempo, le regole che hanno ad oggetto la
pubblicità ingannevole, si applicano, in sostanza, anche ai rapporti che intercorrono
tra professionisti. La necessaria compresenza, all’interno del “testo sui
consumatori”, di tre nozioni, piuttosto ampie del consumatore, è dovuta alle
esigenze che nello specifico sono poste dalla materia della pubblicità, nonché al
loro carattere marcatamente pubblicistico, rispetto alla nozione dettata in via
residuale di cui all’art. 3, la cui importanza si rintraccia nel tratto per cui la nozione
combinata di cui agli artt. 5 e 18, non permettendo di escludere dal predetto novero
i professionisti che agiscano per scopi prettamente professionali, risulterebbe troppo
ampia ed in contrasto con le finalità generali della normativa del consumo. Per
contro, in materia pubblicitaria, non avrebbero potuto trovare applicazione le
nozioni di cui agli artt. 3 e 5 in quanto connotate da una portata troppo ristretta. Il
bisogno di assicurare una solida tutela contro le conseguenze negative che possono
derivare dalla pubblicità ingannevole sussiste non soltanto nei confronti delle
persone fisiche che agiscano per soddisfare esigenze che sono estranee alla loro
attività professionale, ma anche nei confronti di tutti i soggetti, siano essi persone
fisiche o persone giuridiche, che esercitano un’attività professionale, in quanto tutti
di consumatore, assume particolare rilevanza la natura strumentale o meno dell’atto posto in essere,
in relazione, cioè, alla finalità di consumo”.
440
Per quanto attiene all’individuazione dell’ambito oggettivo di operatività della normativa a tutela
del consumatore contenuta nel Codice del Consumo, la Suprema Corte, con la sentenza Cass. civ.,
sez. III, 20 marzo 2010, n. 6802, in Dir. &Giust., 2010, p. 201, ha recentemente chiarito che tale
normativa di protezione del consumatore opera a prescindere dal tipo di contratto al quale le parti
intendono dare vita; pertanto, essa trova applicazione sia in caso di contratti predisposti mediante
moduli o formulari, sia per il singolo contratto concluso per uno specifico affare.
137
possono subire pregiudizio da messaggi pubblicitari idonei a trarre in inganno. Qui
il margine di tutela conosce pertanto un profondo ampliamento, se si considera che
il legislatore ha assunto su di sé il compito di dare protezione non soltanto al
singolo soggetto che sia parte di un rapporto contrattuale, ma a tutti i destinatari di
tali messaggi, coerentemente con la vocazione indubbiamente pubblicistica della
disciplina della pubblicità, che, essendo fisiologicamente rivolta a tutelare
prevalentemente interessi di portata generale rispetto a quelli di cui si renda titolare
il singolo, non può limitarsi alla sola tutela delle persone fisiche che agiscono per
scopi estranei all’attività professionale. Viene perciò accordata protezione non
soltanto al soggetto che acquisti in concreto il prodotto o il servizio, ma anche a
tutti coloro i quali possano essere raggiunti dal messaggio pubblicitario e coloro ai
quali il messaggio stesso sia rivolto441. Anche questi ultimi sono soggetti deboli, a
prescindere dall’effettivo compimento dell’atto di acquisto442. Per tutte le suesposte
ragioni, la nozione di consumatore fornita alla lettera dell’art. 18 cod. cons.,
nell’abbracciare il consolidato orientamento in materia pubblicitaria, è stata scelta,
nella sua formulazione, in quanto idonea ed adeguata a perseguire le finalità di
protezione complessivamente considerate all’interno dell’intero testo normativo,
risultando, al contempo, suscettibile di adattarsi opportunamente alle norme della
cui operatività si definisce l’ambito proprio tramite la stessa443. La complessità della
materia del consumatore, nel rendere necessaria una pluralità di nozioni, giunge
così con l’assumere anch’essa una predilezione per i termini al plurale, escludendo
l’univocità della definizione di consumatore, a vantaggio piuttosto di una
impostazione aperta verso l’idea di una categoria di consumatori che assume quindi
la sua vocazione al plurale444.
Nell’alveo della tendenza fisiologica e peculiare del diritto alle sistemazioni
concettuali, la posizione del consumatore viene in considerazione quale status, al
quale peraltro si contrappongono quello di produttore nonché di imprenditore445. Lo
441
L. DELOGU, Leggendo il Codice del consumo alla ricerca della nozione di consumatore, in
Contr. impr. Eur., 2006, 1, p. 87
442
F. RICCI, La vendita dei beni di consumo (artt. 128-135 del d. lg. 6 settembre 2005 n. 206). La
nozione di consumatore, in Nuove leggi civ. comm., 2006, 2, p. 351
443
G. ALPA, Ancora sulla definizione di consumatore, in Contratti, 2001, p. 206
444
A. BARCA, Brevi note in ordine alla nozione di consumatore, in Nuova giur. civ. comm., 2003,
II, p. 367
445
A tale proposito, conclude le sue riflessioni G. CHINE’, Il consumatore, in LIPARI N. (a cura
di), Tratt. dir. priv. eur., Il diritto privato europeo nel sistema delle fonti. I soggetti, I, Padova, 2003,
p. 474, esprimendosi in tali termini: “Seppure trattasi di status in funzione sociale o protettiva,
pertanto diverso dagli status tradizionali c.d. legittimanti o privilegianti delle epoche storiche più
remote, esso rappresenta pur sempre la prova lampante di una chiara inversione di tendenza che la
138
status di consumatore si ambienta necessariamente in una dimensione
contraddistinta dalla sua portata relazionale e dinamica446: tale posizione giuridica
soggettiva interviene infatti ad assicurare protezione al consumatore in quanto
soggetto che svolge un’attività giuridica ed economica ben precisa nel teatro del
mercato447.
La figura giuridica della “parte contraente” sta conoscendo, ai giorni nostri, una
profonda innovazione nel modo in cui viene trattata dalle norme di legge. Ad una
nozione di carattere unitario, e quasi dogmatico, di “parte contraente”, che è propria
della tradizionale impostazione codicistica, si è andata sostituendo, complice il
generoso affiorare delle leggi di settore, una concezione, in aperto contrasto con
quella alla quale il giurista è stato per molto tempo avvezzo, fondata sull’idea
secondo cui il differente status giuridico assunto dalle parti, che sono protagoniste
dell’operazione negoziale che trova normazione, vale quale elemento discretivo
delle regole da applicare alla fattispecie contrattuale. Lo status di consumatore è,
per così dire, una “giovane creazione” del “laboratorio normativo comunitario”.
Esso risale a quella novella del 1996 la quale, nel dare attuazione alla direttiva
93/17/CEE, ha segnato un momento assai significativo per la materia contrattuale
contenuta nel Codice civile, mettendo in luce “un punto di non ritorno” col mostrare
“gli albori del declino” dell’idea della assoluta centralità del Libro IV c.c. sul
terreno della disciplina delle negoziazioni, nonché aprendo la strada verso un
cammino di allontanamento da quella sensibilità del giurista verso l’impostazione
categorica incardinata sull’idea di una distinzione tra i vari contratti sulla base di
dottrina di questo secolo aveva già segnalato. Dopo l’abbandono avvenuto nel secolo scorso in nome
della libertà contrattuale, lo strumento dello status riemerge nell’intervento comunitario ed assurge a
mezzo per riequilibrare ed unificare il trattamento riservato a categorie di persone con riferimento a
determinati atti e rapporti”.
446
F. PROSPERI, Rilevanza della persona e nozione di status, in Rass. dir. civ., 1997, p. 810; P.
RESCIGNO, Situazioni e status nell’esperienza del diritto, in Riv. dir. civ., 1973, I, p. 213. Nonché
R. CONTI, Lo status di consumatore alla ricerca di un foro esclusivo e di una stabile
identificazione, in Corr. Giur., 2001, p. 524 ss.
447
L. AVITABILE, La funzione del mercato nel diritto. Economia e giustizia in N. Luhmann,
Torino, 1999, p. 33, nel condurre una lucida ed argomentata analisi del rapporto tra mercato e
diritto, osserva che “l’equazione mercato-diritto, indica una pretesa confinabile nella
normativizzazione, questo significa che un’aspettativa normativizzata è resa più forte rispetto ad
un’aspettativa cognitiva; l’esito negativo sarebbe costituito dalla circostanza che, divenendo il
mercato sempre più forte attraverso la circolazione monetaria, è possibile che pretenda la
normativizzazione di aspettative che non condividono nulla con il concetto di giuridicità
fenomenologica, non riducibile alla sua specificità funzionale”, prospettando, in modo lungimirante,
un panorama nel quale è possibile identificare la condizione in cui versa attualmente il fenomeno
giuridico.
139
requisiti meramente oggettivi (il tipo di effetti che il negozio tende a realizzare)
piuttosto che soggettivi (la qualità delle parti contraenti)448.
Se tuttavia lo status, per la stessa definizione, consiste in una condizione, che può
venire in considerazione sotto un profilo pubblicistico (i.e. cittadinanza) o
privatistico (i.e. socio di una società di capitali), avente connotati ben definiti, per il
consumatore si pongono problemi in quanto la nozione di consumatore di cui
all’art. 3 cod. cons. su richiamata, per la quale peraltro è discussa una valenza di
carattere generale, mostra fallaci limiti laddove ne rimangono escluse tanto le
persone giuridiche e i cosiddetti enti di fatto quanto tutti coloro che effettuino il
consumo nell’ambito di un’attività professionale. Ebbene, ad opinione di chi scrive,
risulta piuttosto amena l’idea di considerare la definizione di cui al predetto art. 3
cod. cons. la nozione di uno status, a fronte di tali restrizioni, se, come è vero, lo
status vale ad individuare una categoria generale di soggetti. Si potrebbe piuttosto
trattare il contenuto della norma qui richiamata alla stregua di un “frammento di
nozione di status del consumatore”, operativa esclusivamente in tutti quei luoghi
del Codice del consumo in cui peraltro non sia dettata una nozione di consumatore
ad hoc (come accade per la vendita di pacchetti turistici). Lo status di consumatore
si potrebbe piuttosto ravvisare nella somma di tutte le nozioni di consumatore che il
nostro ordinamento attualmente conosce, traendo da ciascuna di esse gli elementi
comuni, e ammettendo che si possa trattare di una posizione giuridica soggettiva
altamente articolata al suo interno449.
Se, nell’ambito della normativa del consumo, il termine consumatore viene
utilizzato in funzione di sinonimo del sintagma “contraente debole”, ciò non può
rimanere invariato una volta che si affronta la problematica della parte debole del
contratto all’interno di una cornice di carattere generale. In quest’ultima
prospettiva, il “contraente debole” si connota infatti per una triplice accezione che
coinvolge anche i Principi Unidroit. Ad un esame accurato ed ampio della intera
normativa sui contratti attualmente vigente, emergerà come la “parte debole” si
sovrapponga all’idea di “parte svantaggiata” anche al di fuori delle tipiche
situazioni di squilibrio successivo e sopravvenuto o piuttosto originario all’interno
della dinamica negoziale. I Principi Unidroit, dopo aver evidenziato il peculiare
F. MACARIO, Il commento – Dalla tutela del contraente debole alla nozione giuridica di
consumatore nella giurisprudenza comune, europea e costituzionale, in Obbl. contr., 2006, 11, p.
672
449
G. FRANCHI, Considerazioni in merito alla nozione di consumatore, in Giud. Pace, 2007, 4, p.
328
448
140
ruolo svolto dalla gross disparity e dalla hardship clause, tengono in considerazione
tutte quelle circostanze in cui una parte sia assoggettata ad un contegno non
ossequioso del principio di buona fede da parte dell’altro contraente sia nel corso
delle trattative, sia in sede di esecuzione del rapporto o anche a fronte dell’attività di
divulgazione di informazioni riservate, esaurendo il novero, non chiuso in senso
tassativo, delle possibilità, con la previsione di una clausola generale che si fa
carico di tutti quegli “eventi che alterano l’equilibrio del contratto”. Per cui la
relazione intercorrente tra il concetto di “contraente debole” e quello di
“consumatore” può essere ricostruita in termini di genus a species.
Analogamente alla introduzione del parametro valutativo dell’uomo medio
all’interno della sistematica codicistica, il Codice del consumo prevede, seppur
senza fissarne la nozione, la figura del “consumatore medio”, in materia di pratiche
commerciali scorrette, alla lettera dell’art. 20 secondo comma, nel quale si afferma
che “una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale,
ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in
relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta
o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un
determinato gruppo di consumatori”. La scelta di non dettare alcuna nozione di
consumatore medio va collocata nel novero delle lacune dalle quali accade che
siano affette le direttive comunitarie, con riguardo alle quali l’atteggiamento del
legislatore interno, in sede di recepimento, consiste nel rifiutare di farsi carico di
colmare il vacuum, soprattutto quando si rischia di addentrarsi in terreni spinosi in
quanto si ha a che fare con fenomeni che, per la specifica portata semantica di cui
variamente si connotano in sede operativa, risultano difficilmente costringibili
all’interno di una definizione.
Il consumatore non viene contemplato, all’interno del Codice del consumo,
esclusivamente per così dire in modo atomistico, il che significa quale soggetto
individualmente considerato, ma anche in quanto potenziale membro delle
associazioni dei consumatori450.
5. La posizione del consumatore necessita di idonei strumenti di tutela, alla cui
problematica non si sono mostrate insensibili né la “legislazione comunitaria” né le
450
G. GIUSTI, Tutela del consumatore, in CENDON P. (a cura di), Il diritto privato nella
giurisprudenza, Compravendita e figure collegate, VIII, Torino, 2007, p. 27
141
Istituzioni nazionali451. Occorre primariamente operare una distinzione tra la tutela
individuale e le forme di tutela collettiva, dando conto delle prospettive di
innovazione che stanno coinvolgendo, nella presente stagione, in particolar modo
quest’ultima, soprattutto per ciò che concerne l’utilizzo del nuovo strumento di
derivazione americana, la class action, attraverso cui si possano assicurare forme
collettive di garanzia risarcitoria ai consumatori. Bisogna poi osservare che la tutela
del consumatore si svolge a vari livelli, a partire dalla sede contrattuale, intendendo,
come tale, il momento stesso in cui il contratto venga concluso.
Partendo dalla tutela legata strettamente alla fase di stipulazione del contratto, si
osserverà come la disciplina delle clausole vessatorie, dapprima introdotta
all’interno del Libro IV del Codice civile attraverso un intervento legislativo
straordinario452 ed in seguito confluita nel corpo del Codice del consumo 453, sia
volta a garantire la posizione del consumatore nei confronti dello squilibrato potere
di cui dispone l’imprenditore, mediante un meccanismo che sanziona tutte quelle
“clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un
significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”, secondo il
tenore del disposto di cui all’art. 33 cod. cons.454 Ci si trova di fronte ad una norma
per così dire “in bianco”, dal momento che essa, non contiene alcuna previsione o
451
V. ZENO-ZENCOVICH, v. Consumatore (tutela del), Agg., in Enciclopedia giuridica. Istituto
dell’enciclopedia italiana fondato da G. Treccani, Roma, 2000, p. 2
452
Si tratta dell’art. 25 della legge 6 febbraio 1996 n. 52 con il quale sono stati introdotti nel Libro
IV Cod. civ. gli artt. dal 1469-bis al 1469-sexies. Sul punto si vedano: G. ALPA, Il diritto dei
consumatori, Roma-Bari, 2003; G. ALPA – S. PATTI (a cura di), Le clausole vessatorie nei
contratti con i consumatori, Milano, 2003; G. ALPA – L. ROSSI CARLEO (a cura di), Codice del
consumo, Napoli, 2005; A. BARENGHI (a cura di), La nuova disciplina delle clausole vessatorie
nel codice civile, Napoli, 1996; BIN, Clausole vessatorie: una svolta storica, in Contr. Impr. Eur.,
1996; C. CECERE, art. 1469-bis, comma 4, in A. BARENGHI (a cura di), La nuova disciplina delle
clausole vessatorie nel codice civile, Napoli, 1996; A. CESARO, Clausole vessatorie e contratto del
consumatore, Padova, 1996; G. CIAN, Il nuovo capo XIV-bis (titolo II, libro IV) del codice civile,
sulla disciplina dei contratti con i consumatori, in Studium iuris, 1996; P. SIRENA, L’integrazione
del diritto dei consumatori nella disciplina generale del contratto, in Riv. Dir. civ., 2004, 2, p. 787.
453
G. VETTORI (a cura di), Codice del consumo, Padova, 2007, passim.
454
E. BATTELLI, Consumatore: nozione, clausole abusive e foro del consumatore, in Corr. Merito,
2006, p. 5; R. BOCCHINI, La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti con i
consumatori, p. 174; M. CERESOLA, Clausole vessatorie e atto pubblico, in Nuova giur. Civ.,
2005, I, p. 602; E. DALMOTTO, Le clausole vessatorie ed il contratto stipulato davanti al notaio,
in Nuova Giur. Civ., 2001, I, p. 386; C. DORE jr., Appunti in tema di condizioni generali di
contratto e clausole vessatorie, in Riv. Giur. Sarda, 2004, p. 30; A. GENOVESE, Sulla specifica
approvazione per iscritto delle clausole vessatorie, in Obbl. contr., 2005, p. 210; M. IAIONE, I
contratti del consumatore – La trattativa collettiva delle clausole vessatorie, in Contr. Impr., 2004,
p. 699; A. MANIACI, Atto notarile e clausole vessatorie, in Contratti, 2005, p. 351; A.
MANTELERO, Il notaio, il consumatore e la clausola vessatoria, in Contr. Impr., 2002, p. 1221;
M. PERRECA, Specifica approvazione delle clausole vessatorie e formalismo notarile, in Riv. Giur.
Sarda, 2004, p. 681; G. SICCHIERO, Il riconoscimento di aver trattato specificamente una clausola
vessatoria, in Contr. Impr., 2003, p. 1; L. VALLE, L’inefficacia delle clausole vessatorie e il codice
del consumo, in Studium Iuris, 2006, p. 134; L. VALLE, L’inefficacia delle clausole vessatorie e la
nullità a tutela della parte debole del contratto, in Contr. Impr., 2005, p. 149
142
descrizione dettagliata delle clausole vessatorie, limitandosi ad indicarne gli effetti.
Tuttavia, con la formulazione di cui alla lettera del secondo comma dell’articolo qui
in esame, lo stesso legislatore prevede una serie di ipotesi di clausole vessatorie la
cui vessatorietà viene stabilita “ fino a prova contraria”, in forza della loro
intrinseca idoneità alla pericolosità455. Si pensi, ad esempio, a tutte quelle
pattuizioni che contengono limitazioni all’obbligo di adempimento del contratto o
che, nel derogare al principio di immodificabilità del contratto o dell’irretrattabilità
del consenso o che, ancora, nel limitare le modalità di difesa del consumatore o
nello statuire forme di autotutela del professionista, sostanzialmente importano un
tale svantaggio a carico del consumatore ed una tale disparità tra questi ed il
professionista che esulano dal fisiologico e tollerabile squilibrio tra le parti
contraenti, che è proprio di questa configurazione negoziale456. Accanto alle
predette ipotesi di vessatorietà “fino a prova contraria”, la formulazione di cui
all’art. 36 cod. cons. rintraccia le clausole per così dire a vessatorietà assoluta, che
consistono in tutte quelle pattuizioni che, benché abbiano formato oggetto di
trattativa tra consumatore e professionista, perseguono l’effetto (o hanno per
oggetto) di escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte
o danno alla persona del consumatore, derivante da un fatto o da un’omissione del
professionista; escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del
professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di
adempimento inesatto da parte del professionista; prevedere l’adesione del
consumatore come estesa a clausole che non ha avuto, di fatto, la possibilità di
conoscere prima della conclusione del contratto457. Nel novero delle fattispecie
appena richiamate, a fronte dell’alta potenzialità a concretizzare l’effetto della
esclusione della responsabilità del professionista o ad estendere il consenso del
contraente debole a clausole non conosciute, lo stesso legislatore ha previsto una
forma di tutela fondata sulla inibizione della operatività del meccanismo impeditivo
della vessatorietà, che, per regola generale, si sostanzia nel requisito della trattativa
Il problema della legittimazione ad agire coinvolge l’indagine intorno alla qualificazione
soggettiva della associazione di categoria che esperisce l’azione collettiva risarcitoria, come è
evidenziato da S. MEUCCI, Ambito applicativo, situazioni giuridiche tutelate e legittimazione ad
agire nell’azione collettiva risarcitoria (art. 140-bis cod. cons.), in Riv. dir. priv., 2008, 4, p. 605
455
I profili dell’azione collettiva risarcitoria sono evidenziati, nella sede delle controversie di massa,
da A. GIUSSANI, Controversie seriali e azione collettiva risarcitoria, in Riv. dir. proc., 2008, 2, p.
465
457
Alcune considerazioni preliminari intorno ad un istituto di netta matrice americana sono fornite
da P.F. GIUGGIOLI, L’azione collettiva risarcitoria: una prima lettura, in Corr. Giur., 2008, 3, p.
430
456
143
individuale, la cui possibilità operativa è pertanto significativamente esclusa nello
spazio di applicabilità del tenore dell’art. 36 cod. cons.
Ad un esame accurato della materia qui in commento, emerge come la
preoccupazione, manifestatasi a livello comunitario, per una ampia ed efficace
garanzia della posizione della parte debole nelle dinamiche negoziali che
afferiscono alla vicenda del consumo, nell’assurgere a leitmotiv dell’intero corpo di
regole contenute nel Codice del consumo, si possa cogliere massimamente proprio
nella perizia con cui il legislatore si è preoccupato di delineare, alla lettera dell’art.
33 secondo comma cod. cons., il novero tipizzato delle clausole che “si presumono
vessatorie fino a prova contraria”458. Nell’intento di fornire un elenco che, lungi
dalla tassatività, si prefigge piuttosto di perseguire un effetto descrittivo ed
orientativo, e nella generosa previsione di una molteplicità di effetti vessatori che le
pattuizioni tra consumatore e produttore possono in concreto realizzare, si possono
suddividere le predette fattispecie in due grandi gruppi di norme, il cui spazio di
operatività si colloca nella stessa esclusione del contesto applicativo dell’art. 36
cod. cons.: nel primo gruppo, si annoverano tutte quelle clausole riduttive della
posizione contrattuale del consumatore; nel secondo gruppo, invece, le pattuizioni
che rafforzano, in modo abnorme, la posizione del professionista459. Appartengono
al primo gruppo tutte quelle pattuizioni che siano volte ad imporre limitazioni alle
facoltà e ai diritti del consumatore. Si pensi alla clausola che esclude o limita
l’opponibilità da parte del consumatore della compensazione di un debito nei
confronti del professionista con un credito vantato nei confronti di quest’ultimo, o
la clausola che limita o esclude l’opponibilità dell’eccezione di inadempimento da
parte del consumatore o, ancora, la pattuizione che pone a carico del consumatore
decadenze, limitazioni della facoltà di opporre eccezioni, deroghe alla competenza
dell’autorità giudiziaria, limitazioni all’allegazione di prove, inversioni o
modificazioni dell’onere della prova, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti
con i terzi460. Ricadono nel secondo gruppo le clausole che perseguono il
sostanziale effetto di porre, a favore del professionista, modalità e condizioni
potestative, quali quelle che prevedono un impegno definitivo del consumatore
mentre l’esecuzione della prestazione del professionista è subordinata ad una
T. MANCINI, L’abusività della clausola compromissoria per arbitrato irrituale nei contratti con
il consumatore, in Banca borsa tit. cred., 2008, 1-2, p. 111
459
G. FINOCCHIARO, Class action: una chance per i consumatori, in Guida al dir., 2008, 5, p. 21
460
R. CAPPONI, Modelli europei di tutela collettiva nel processo civile: esperienza tedesca e
italiana a confronto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2007, 4, p. 1225
458
144
condizione il cui adempimento dipende unicamente dalla sua volontà, o quella che
permette al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto,
ovvero le caratteristiche del prodotto o del servizio da fornire, senza un giustificato
motivo indicato nel contratto stesso, o quella che statuisce che il prezzo dei beni o
dei servizi sia determinato al momento della consegna o della prestazione, o che
abiliti il professionista ad aumentare il prezzo del bene o del servizio senza che il
consumatore possa recedere se il prezzo finale è eccessivamente elevato rispetto a
quello originariamente convenuto, nonché la clausola che riserva al professionista il
potere di accertare la conformità del bene venduto o del servizio prestato a quello
previsto nel contratto o che gli conferisce il diritto esclusivo di interpretare una
clausola qualsiasi del contratto461. Nella prassi contrattuale accade sovente di
imbattersi in singole pattuizioni che, nel formare il contenuto del contratto, sono
volte a ridurre la responsabilità del professionista. Il legislatore ha mostrato la sua
consapevolezza anche riguardo a queste fattispecie, facendo ricadere nel terreno
della vessatorietà anche tutte quelle clausole che siano volte a limitare la
responsabilità del professionista rispetto alle obbligazioni derivanti dai contratti
stipulati in suo nome dai mandatari o che siano idonee a subordinare l’adempimento
delle suddette obbligazioni al rispetto di particolari formalità o, ancora, che
riconoscano al solo professionista, e non anche al consumatore, la facoltà di
recedere dal contratto, e che permettano al professionista di trattenere, anche solo in
parte, la somma versata dal consumatore a titolo di corrispettivo per prestazioni non
ancora adempiute, quando sia il professionista a recedere dal contratto, o che
abilitino il professionista a recedere da contratti a tempo indeterminato senza un
ragionevole preavviso, eccetto quando si prospetti una giusta causa, o che
permettano al professionista di sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti dal
contratto, anche nel caso di preventivo consenso del consumatore, qualora risulti
diminuita la tutela dei diritti di quest’ultimo462.
La vessatorietà delle clausole si pone, quindi, come uno degli strumenti di tutela
della posizione della cosiddetta weak party, il consumatore463. Il meccanismo di
accertamento della vessatorietà è ampiamente descritto alla lettera dell’art. 34 cod.
461
L. DELLI PRISCOLI, La tutela del consumatore fra accertamento della non professionalità del
suo agire, tutela della concorrenza e affidamento della controparte, in Contr. impr., 2007, 6, p.
1533
462
A. MARRA, Il caso “Apocalypto”. Opera cinematografica e diritti riconosciuti al consumatore,
in Giur. merito, 2007, 11, p. 3019
463
F. FERRARI, Contratti del consumatore e tutela del contraente debole, in Giud. Pace, 2007, 3,
p. 211
145
cons., i cui primi due commi forniscono all’operatore del diritto cinque criteri
strumentali per la valutazione del carattere abusivo di una clausola, che possono
essere suddivisi in criteri positivi e criteri negativi, dal momento che alcuni di essi
fondano il sindacato sulla vessatorietà o meno di una clausola su una valutazione
che ricade sulla natura del bene o del servizio che forma oggetto della prestazione
dedotta in contratto, sulle circostanze vigenti nel momento in cui lo stesso è stato
concluso, nonché sul confronto con le altre clausole del contratto o di un altro
contratto collegato o da cui esso dipende; altri criteri invece svincolano l’indagine
sulla vessatorietà alla idoneità della clausola da qualsiasi valutazione attinente “alla
determinazione dell’oggetto del contratto e all’adeguatezza del corrispettivo dei
beni o dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e
comprensibile”464.
Le clausole che risultino affette dalla vessatorietà sono soggette alla sanzione della
nullità di protezione, in ossequio al disposto di cui all’art. 36 cod. cons., argomento
che occupa ampiamente il prosieguo del presente lavoro. In questa sede, risulta
significativo condurre qualche riflessione con riguardo alla operatività della nullità
di protezione quale strumento di tutela individuale a favore del consumatore,
accanto al quale si colloca la tutela inibitoria collettiva di cui all’art. 37 cod.
cons.465, che si svolge secondo la procedura di cui all’art. 140 cod. cons. Ai sensi
del dettato normativo contenuto nel primo comma della norma di cui all’art. 37, “le
associazioni rappresentative dei consumatori”, nonché “le associazioni dei
professionisti e le camere di commercio, industria e artigianato e agricoltura,
possono convenire in giudizio il professionista o l’associazione di professionisti che
utilizzano, o che raccomandano l’utilizzo di condizioni generali di contratto e
richiedere al giudice competente che inibisca l’uso delle condizioni di cui sia
accertata l’abusività” in ossequio a quanto previsto nello stesso Codice del
464
M. SCUFFI, Tutela antitrust del consumatore e azione di classe, in Dir. ind., 2009, 4, p. 341
Sull’argomento della tutela inibitoria collettiva cfr. L. ROSSI CARLEO, L’azione inibitoria
collettiva: dalla norma sulle clausole abusive al nuovo Codice dei consumatori, in Eur. dir. priv.,
2005, p. 847; G. GENOVESI, Brevi note sul problema (non risolto) della legittimazione all’azione
inibitoria a tutela dei consumatori, in Corr. Merito, 2005, p. 885. Peraltro il Codice del consumo, al
secondo comma dell’art. 37, prevede l’azione inibitoria collettiva cautelare, recependo così il
contenuto del previgente art. 1469-sexies del c.c. Sul punto cfr. L. DE RENTIIS, La tutela inibitoria
collettiva accordata alle associazioni rappresentative dei consumatori verso le condizioni generali
di contratto connotate dal carattere della abusività, in Giur. It., 2003, p. 904; M. MONNINI, Brevi
note in tema di azione inibitoria cautelare urgente ex art. 1469-sexies c.c. con riferimento a clausole
riconosciute vessatorie in tema di contratti in materia di multiproprietà, in Foro tosc. – Toscana
giur., 2003, p. 160
465
146
consumo466. Ci si trova di fronte alla netta individuazione di un numerus clausus di
soggetti ai quali è consegnata la legittimazione attiva, i quali, in sostanza, come
emerge dallo stesso dato testuale della norma, si riassumono nelle associazioni
rappresentative dei consumatori, nelle associazioni dei professionisti e nelle Camere
di Commercio. L’esercizio dell’azione inibitoria è pertanto affidato a soggetti
collettivi, in ciò cogliendosi il dato che permette di distinguere tale forma di tutela
da quella che si può ottenere mediante l’azione individuale. Nella formulazione
della norma il cui contenuto è qui richiamato, vengono rintracciati espressamente i
requisiti per l’esperimento dell’azione inibitoria, che si concretizzano nell’utilizzo,
da parte dei soggetti legittimati passivi, di condizioni generali di contratto delle
quali sia accertato il carattere abusivo. Si tratta di un accertamento che, in via
generale, deve essere effettuato alla luce dei parametri di cui all’art. 34 cod. cons.,
che comportano che l’esame si svolga tenendo conto “della natura del bene o del
servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al
momento della sua conclusione ed alle altre clausole del contratto medesimo o di un
altro collegato da cui dipende”.
La forma di tutela inibitoria, rispetto a quella individuale, permette di perseguire un
effetto ulteriore, che consiste in un più alto grado di omogeneità e di diffusione del
sindacato di vessatorietà, dal momento che la pronuncia con la quale si conclude il
giudizio non soltanto esplica i suoi effetti nei confronti del professionista
convenuto, ma va altresì ad inserirsi nel novero dei precedenti giurisprudenziali
idonei a fungere da monito per tutti i professionisti che ricorrono, nelle loro
contrattazioni, ad analoghi meccanismi di condizioni generali di contratto. Da ciò
deriva che la pronuncia interviene a tutelare una molteplicità di consumatori, non
suscettibili di identificazione individuale, i quali trarranno beneficio dagli effetti
della declaratoria di vessatorietà e dal provvedimento inibitorio.
La crescente attenzione, tanto a livello comunitario quanto nella sensibilità degli
operatori del diritto interno, per la tutela della posizione del consumatore, che,
dall’epoca del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea, in cui gli
interessi del fenomeno del consumo erano tutelati soltanto in via indiretta,
attraverso gli strumenti di garanzia del funzionamento della libera concorrenza, ai
giorni nostri, ha determinato la venuta ad esistenza di una normazione di
riferimento, è altresì responsabile di una maturata consapevolezza dell’importanza
466
C. TENELLA SILLANI, Pratiche commerciali sleali e tutela del consumatore, in Obbl. contr.,
2009, 10, p. 775
147
di dare un impulso al fenomeno della rappresentanza dei consumatori attraverso il
mezzo delle associazioni di consumatori. Di qui si è venuto delineando il problema
della necessità di forme di tutela risarcitoria collettiva, la cosiddetta class action, in
ossequio alla sua origine statunitense467, la cui disciplina confluisce oggi nella
formulazione normativa di cui all’art. 140-bis cod. cons. L’ingresso, nel nostro
ordinamento, dello strumento dell’azione risarcitoria collettiva costituisce una
deroga al principio di diritto processuale, peraltro di rilevanza costituzionale (art. 24
Cost.), in forza del quale la titolarità del potere di esercitare l’azione giudiziaria è
accordata soltanto ai soggetti che si affermino titolari del diritto che fanno valere,
dal momento che il potere di adire le forme della tutela giurisdizionale dei diritti
deriva dall’attribuzione, in capo ai singoli della esclusiva disponibilità degli stessi.
Nella materia dei consumatori, gli stessi cardini del sistema processuale conoscono
una significativa modifica dei loro connotati tradizionali, a fronte della cogente
necessità di trovare idonei meccanismi di tutela di diritti che assumono, ora, una
dimensione che trascende la sfera individuale del singolo, per confluire nella
nozione di collettività. L’effetto sostanziale che si persegue con lo strumento
dell’azione collettiva risarcitoria consiste nella simultanea tutela di un numero
indeterminato di posizioni giuridiche soggettive individuali, accomunate dal rilievo
per cui si tratta di situazioni che presentano gli stessi tratti d’identità468. Nel
modello di tutela risarcitoria collettiva presente accolto nel Codice del consumo,
l’azione può essere promossa dalle associazioni a ciò abilitate, al fine di richiedere
la tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti, proprio attraverso la
richiesta, rivolta all’organo giudicante, dell’accertamento circa la sussistenza del
diritto al risarcimento del danno ed alla restituzione delle somme spettanti ai singoli
consumatori o utenti facenti parte di rapporti giuridici ed economici che trovano la
loro origine in contratti conclusi mediante la prassi dei moduli o formulari, ovvero
Sull’argomento si veda A. GIUSSANI, Un libro sulla storia della “class action”, in Riv. crit. dir.
priv., 1989, p. 171
468
Una suggestiva ricostruzione dell’argomento degli interessi individuali e degli interessi collettivi
è offerta da A. ROSS, Diritto e giustizia, Torino, 2001, p. 341-343, in cui egli osserva che “gli
interessi sono sperimentati dalle persone – noi non conosciamo nessun altro centro di esperienza – e
in tal senso sono individuali”; “rilevare il fatto della solidarietà, cioè indicare in quale misura gli
interessi umani siano reciprocamente connessi, è un compito teorico. Parlare di interessi comuni o di
interessi della comunità è qualcosa di più; non è soltanto una asserzione relativa alla connessione
fattuale degli interessi, ma anche un mezzo di persuasione perché esprime un atteggiamento di un
sentimento comune che fa appello allo stesso sentimento di altre persone”. Procede poi, a p. 344, nel
considerare che “qualunque tentativo di comporre un catalogo di interessi individuali e sociali in
conflitto e indipendenti è destinato all’insuccesso. Si tratta di due aspetti dello stesso fenomeno,
l’aspetto particolare e quello generale”.
467
148
derivanti da illeciti extracontrattuali, da pratiche commerciali scorrette o da
comportamenti anticoncorrenziali da cui derivi la lesione di diritti di una pluralità di
consumatori o di utenti. Si tratta di uno strumento approntato per assicurare un
adeguato grado di tutela per gli interessi di una collettività o di un gruppo, quale è la
massa dei consumatori o degli utenti. Si può pertanto osservare come l’azione
risarcitoria collettiva costituisca uno strumento attraverso cui viene accordata la
garanzia ad un interesse che viene in considerazione in quanto “distinto da quelli
facenti capo ai singoli individui lesi dal medesimo tipo di violazione e proprio,
invece, di taluni enti esponenziali od organismi pubblici, ai quali il diritto d’azione
è attribuito in via esclusiva”469, pur conservando ciascun consumatore la facoltà di
intentare una azione autonoma, per la violazione del proprio diritto 470. L’espediente
in parola, di cui all’art. 140-bis, non si può ritenere una sorta di “inutile doppione”
del meccanismo di tutela inibitoria collettiva apprestato con la formulazione
dell’art. 140 cod. cons., dal momento che quest’ultimo esprime una forma di
garanzia per le associazioni consumeristiche e per l’interesse collettivo di cui esse
sono portatrici, mentre con il primo ci si prefigge di assicurare tutela al diritto, di
carattere risarcitorio o restitutorio, di cui sono titolari i singoli utenti o consumatori,
i quali siano stati lesi dall’”illecito plurioffensivo del convenuto”471. Emerge
pertanto come l’azione risarcitoria collettiva sia, al contempo, idonea a tutelare
tanto l’interesse collettivo di cui è portatrice l’associazione che agisce quanto le
posizioni giuridiche soggettive dei singoli appartenenti al gruppo i quali abbiano
espressamente richiesto di poter essere ammessi a condividere gli esiti dell’iter
giudiziario attivato con la stessa azione collettiva. Viene in considerazione il profilo
della tutela simultanea per una molteplicità di situazioni individuali che tuttavia
condividono, in via generale, i medesimi presupposti e caratteristiche.
Al fine di indagare nel dettaglio quella che si può qui definire quale duplice identità
giuridica del consumatore, il quale viene in considerazione sia in quanto singolo sia
in quanto membro di una categoria, risulta opportuno compiere qualche notazione
sul profilo del coordinamento tra l’iter collettivo risarcitorio e i giudizi individuali
che vengano eventualmente attivati dal medesimo. Occorre osservare che l’azione
di cui all’art. 140-bis si qualifica per essere un’azione di mero accertamento sui
469
Si esprime in tali termini A. BALENA, Aspetti processuali della tutela dei consumatori, in Riv.
Dir. civ., 2006, p. 564.
470
A. CARRATTA, Dall’azione collettiva inibitoria a tutela di consumatori e utenti all’azione
collettiva risarcitoria: i nodi irrisolti delle proposte di legge in discussione, in Giur. It., 2005, p. 662
471
A. BALENA, cit., p. 565.
149
generis, in quanto promossa da un ente rappresentativo e fondata sulla asserita
illiceità della condotta “plurioffensiva” addebitata al convenuto, mentre l’iter
processuale che venga eventualmente instaurato su autonoma iniziativa di ciascun
singolo soggetto danneggiato dalla medesima predetta condotta “plurioffensiva”
sarebbe volto ad ottenere l’accertamento del diritto al risarcimento del danno
spettante a ciascuno di essi, unitamente alla condanna del professionista. Entrambe
le azioni sembrano quindi condividere esclusivamente il profilo della declaratoria
della violazione dell’obbligo contrattuale seriale o del dovere di non ledere
incombente sull’imprenditore convenuto. Per tale ragione, è possibile che siano
contemporaneamente pendenti sia il processo risarcitorio collettivo sia le cause
individuali fondate sullo stesso illecito di massa.
In occasione della presente disamina delle forme di tutela accordate al consumatore
nel contesto della vigente legislazione interna di armonizzazione, non si può
prescindere da alcune riflessioni sull’argomento delle specifiche forme di tutela,
realizzate per ciascuna delle varie fattispecie negoziali abbracciate dal complesso
della disciplina dei consumatori, anche al di fuori del Codice del consumo, nonché
nel luogo della normazione delle pratiche commerciali scorrette.
Con riguardo al primo profilo, si pensi alla materia del credito al consumo, la cui
disciplina si connota per essere espressamente impostata sulla tutela del
consumatore, come emerge dalla prescrizione dell’obbligo di pubblicità delle
operazioni di credito al consumo in modo tale da permette al soggetto contraente
una lucida e consapevole formazione della propria volontà, in ossequio al disposto
di cui all’art. 117 TUB. Si consideri, ancora, l’ambito della tutela degli acquirenti di
immobili da costruire, che ha conosciuto significativi interventi normativi, da quello
con cui si è concretizzata la possibilità di trascrivere il contratto preliminare, in
presenza delle condizioni richieste dalla norma, alle innovazioni introdotte con la
disciplina del 2005, nella quale, nel definire l’acquirente in termini di “persona
fisica che sia promissaria acquirente o che acquisti un immobile da costruire,
ovvero abbia stipulato ogni altro contratto, compreso quello di leasing, che abbia o
possa avere per effetto l’acquisto o comunque il trasferimento non immediato, a sé
o ad un proprio parente in primo grado, della proprietà o della titolarità di un diritto
reale di godimento su di un immobile da costruire, ovvero colui il quale, ancorché
non socio di una cooperativa edilizia, abbia assunto obbligazioni con la cooperativa
medesima per ottenere l’assegnazione in proprietà o l’acquisto della titolarità di un
150
diritto reale di godimento su di un immobile da costruire per iniziativa della stessa”,
non viene tuttavia specificato se l’acquirente – persona fisica che viene qui in
considerazione comporti o meno l’esclusione, dal novero delineato con tale
definizione, di tutte le persone fisiche che effettuino l’acquisto nell’esercizio della
loro attività imprenditoriale o professionale, aprendo così la strada a molteplici
ricostruzioni e dibattiti dottrinari sul problema di trovare una prospettiva di
conciliazione tra le diverse nozioni che possano presentare profili di interferenza e
che si rintracciano oggi nei vari luoghi normativi472.
Anche il complesso dei meccanismi posti a tutela dell’acquirente nell’ambito della
vendita dei beni di consumo rientra nel più ampio programma, di ispirazione
comunitaria ed internazionale, di garanzia della posizione della weak party nelle
varie vicende negoziali che si ambientano sul mercato. Le fonti normative della
vendita dei beni di consumo consistono oggi negli artt. 128-135 cod. cons., che
costituiscono l’approdo della vicenda di attuazione della direttiva 1999/44/CE473,
Sull’argomento si vedano in particolare: A. LUMINOSO, La tutela degli acquirenti di immobili
da costruire (d .lgs. 20 giugno 2005, n.122), in La compravendita, Torino, 2005, il quale,
nell’indagare intorno alla posizione dell’acquirente in rapporto a quella del consumatore, rintraccia
la figura dell’acquirente di immobile da costruire in “colui che acquista investendo il proprio
risparmio familiare”. Sul punto però appare maggiormente persuasiva l’impostazione di M.C.
PAGLIETTI, La vendita di immobili da costruire, in N. LIPARI – P. RESCIGNO (diretto da),
Obbligazioni. I contratti, III, Milano, 2009, p. 63, la quale osserva che “l’ipotesi che dunque sembra
preferibile è quella del cumulo di qualifiche soggettive. Fermo che oggetto e presupposto della tutela
è la sola persona fisica, nel caso in cui questa agisca per scopi privati assumerà anche l’ulteriore
connotazione di consumatore (e come tale verrà tutelato anche alla luce delle norme del codice dei
consumi). Le due figure, dunque, pur non coincidendo, possono sommarsi senza peraltro porre
particolari problemi di raccordo: si configura un’ipotesi di concorrenza di discipline (non di
alternatività né di esclusività), sicché non è necessario individuare un rigido ordine di precedenza
nell’applicazione delle norme, ben potendo esse coesistere all’interno dello stesso rapporto
contrattuale”. G. PETRELLI, Gli acquisti di immobile da costruire. Le garanzie, il preliminare e gli
altri contratti, le tutele per l’acquirente (d. lgs. 20 giugno 2005, n. 122), Milano, 2005
473
La Direttiva 99/44/CE, incentrata “su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di
consumo”, è stata adottata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio dell’Unione Europea, il 25
maggio 1999, con lo scopo di dare un impulso al programma, già individuato alla lettera dell’art.
153 paragrafo 1 del Trattato CE, volto a “promuovere gli interessi dei consumatori ed assicurare un
livello elevato di protezione dei consumatori”, nell’ambito del quale la Comunità “contribuisce a
tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori nonché a promuovere il loro
diritto all’informazione, all’educazione e all’organizzazione per la salvaguardia dei propri interessi”.
La normativa comunitaria del 1999 in materia di vendita di beni di consumo è essenzialmente
incentrata sulla necessità di apprestare un agevole strumentario attraverso cui il consumatore possa
ricevere la garanzia all’interno della dinamica negoziale. A tale proposito, si vedano: R. FADDA, Il
contenuto della direttiva 1999/44/CE: una panoramica, in Sette voci sulla Direttiva comunitaria
riguardante le garanzie nella vendita dei beni di consumo, in Contr. impr./Eur., 2000, p. 411; P.R.
LODOLINI, La direttiva 1999/44/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio su taluni aspetti della
vendita e delle garanzie dei beni di consumo: prime osservazioni, in Eur. dir. priv., 1999, p.1275 ss.;
nonché R. CALVO, L’attuazione della Direttiva n. 44 del 1999: una chance per la revisione in
senso unitario della disciplina sulle garanzie e rimedi nella vendita, in Sette voci sulla Direttiva
comunitaria riguardante le garanzie nella vendita di beni di consumo, in Contr. impr./Eur., 2000, p.
463; A. ZACCARIA, Riflessioni circa l’attuazione della Direttiva n. 1999/44/CE su taluni aspetti
della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, in Studium iuris, 2000, p. 260; R. PARDOLESI,
472
151
concernente esclusivamente alcuni aspetti della fattispecie della vendita dei beni di
consumo, alla quale è stata data una prima forma di attuazione mediante
l’introduzione degli artt. 1519-bis e seguenti del codice civile, materiale in seguito
confluito nelle norme consumeristiche appena richiamate. L’argomento della tutela
del consumatore in tale dinamica negoziale comporta l’indagine sulle garanzie nel
contratto di vendita business to consumer, che devono essere conciliate con le
prescrizioni in materia di vendita in generale contenute nel Codice civile. Occorre
osservare innanzi tutto che l’ambito di applicazione degli artt. 128-135 cod. cons.
viene individuato sulla base di tre elementi: il tipo di contratto, i soggetti che lo
pongono in essere nonché il bene che forma oggetto della negoziazione. Viene poi
individuato l’obbligo del professionista nella consegna di beni conformi al
contratto, introducendo in tale modo un parametro valutativo nuovo rispetto
all’assetto della materia proprio del Codice civile, al quale è estraneo il concetto del
difetto di conformità al contratto474. La consegna, da parte del professionista, di un
bene non conforme rispetto al pattuito oggetto del contratto comporta il sorgere
della ordinaria responsabilità per inadempimento dell’obbligazione in capo allo
stesso professionista, a fronte della quale il consumatore ha a disposizione un
ventaglio di rimedi da poter esperire, che si sostanziano in primo luogo, nella
facoltà di pretendere dal professionista il ripristino della conformità, optando
alternativamente per la riparazione o per la sostituzione del bene, in forza di quanto
disposto alla lettera del secondo comma dell’art. 130 cod. cons. Qualora poi risulti
fin dal principio impossibile o eccessivamente onerosa la riparazione o la
sostituzione del bene, l’acquirente potrà richiedere la riduzione del prezzo o la
risoluzione del contratto475. Quanto al risarcimento del danno, nel silenzio sia della
direttiva 1999/44/CE sia della normativa di attuazione, l’art. 135 cod. cons. prevede
che “le disposizioni del presente capo non escludono né limitano i diritti che sono
attribuiti al consumatore da altre norme dell’ordinamento giuridico”, statuendo alla
lettera del secondo comma che “per quanto non previsto dal presente titolo, si
applicano le disposizioni del codice civile in tema di contratto di vendita”,
La direttiva sulle garanzie nella vendita: ovvero, di buone intenzioni e risultati opachi, in Riv. crit.
dir. priv., 2001, p. 437 ss.; A. LUMINOSO, Riparazione o sostituzione della cosa e garanzia per
vizi nella vendita dal Codice civile alla Direttiva 1999/44/CE, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 860
474
Sul difetto di conformità cfr. G. COLAIACOMO, Diritti del consumatore e difetti di conformità
dei beni di consumo, in Contratti, 2003, p. 960; G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al
contratto e diritti del consumatore – L’ordinamento italiano e la direttiva 99/44/CE sulla vendita e
le garanzie dei beni di consumo, Padova, 2000, passim.
475
M. TARUFFO, La tutela collettiva: interessi in gioco ed esperienze a confronto, in Riv. trim. dir.
e proc. civ., 2007, 2, p. 525
152
permettendo così l’applicabilità alla fattispecie della vendita dei beni di consumo
anche delle norme generali in materia di compravendita476.
Un altro strumento di garanzia della posizione del consumatore si sostanzia, nei
contratti del commercio elettronico conclusi tra professionista e consumatore, nel
diritto, a vantaggio di quest’ultimo, di recedere dal contratto, conformemente a
quanto previsto nell’art. 64 cod. cons477.
La disciplina delle pratiche commerciali scorrette tra imprese e consumatori
costituisce altresì un’altra modalità attuativa del complesso sistema di tutela del
consumatore, il quale rimane assoggettato agli effetti della pubblicità ingannevole
che incidono sul processo di scelta dello stesso consumatore e sono in grado di
influenzarne le decisioni di carattere commerciale478. La disciplina, sorta anch’essa
in ambiente comunitario, è stata recepita nel corpo del Codice del consumo,
prescrivendo alla lettera dell’art. 20 il divieto di pratiche commerciali scorrette, in
quanto idonee a falsare il comportamento economico dei consumatori, confinandoli
così in una situazione in cui essi agiscono in modo diverso da come si sarebbero
comportati in assenza della pratica stessa479. Pertanto le pratiche commerciali
scorrette sono da inibire in quanto idonee a provocare alterazioni della capacità
decisionale del consumatore480. Il Codice del consumo prende in considerazione
non soltanto le pratiche scorrette, ma anche quelle ingannevoli ed aggressive,
garantendo così nel modo più ampio possibile la libertà negoziale del consumatore,
il quale deve trovarsi nelle condizioni idonee a formare correttamente la propria
manifestazione di volontà contrattuale481. Si registra tuttavia un vuoto normativo
per quanto concerne la previsione dei rimedi individuali ai quali possa fare ricorso il
consumatore che sia rimasto vittima di un’azione scorretta compiuta dal
476
M. LIBERTINI, Le prime pronunce dei giudici amministrativi in materia di pratiche
commerciali scorrette, in Giur. comm., 2009, II, p. 880
477
A. GENOVESE, Diritto di recesso e regole d’informazione del consumatore, in Contratti, 2004,
p. 379
478
A. RICCIO, L’azione collettiva risarcitoria non è, dunque, una class action, in Contr. impr.,
2008, p. 500 ss.
479
G. DE CRISTOFARO, Le pratiche commerciali scorrette nei rapporti fra professionisti e
consumatori, in Nuove leggi civ. comm., 2008, p. 1057
480
G. DE CRISTOFARO, La difficile attuazione della dir. Ce 2005/29 concernente le pratiche
commerciali sleali nei rapporti fra imprese e consumatori: proposte e prospettive, in Contr. impr.
Eur., 2007, p. 1 ss.
481
Sull’argomento della pubblicità ingannevole in generale si vedano: G. CASABURI, La tutela
civilistica del consumatore avverso la pubblicità ingannevole dal d. lgs. n. 74 del 1992 al codice del
consumo, in Giur. Merito, 2006, p. 622; E. ZANOLINI, Pubblicità ingannevole come
comportamento anticoncorrenziale, in Riv. dir. ind., 2003, II, p. 354
153
professionista482. Il Codice del consumo si limita infatti ad occuparsi del margine di
tutela collettiva, conferendo all’Autorità garante della concorrenza e del mercato la
competenza a vigilare sull’applicazione della normativa concernente le pratiche
commerciali sleali ed a sanzionarne le violazioni483.
Il recente sviluppo della materia dei consumi attraverso fonti del diritto che
appartengono, nei loro contenuti effettivi, all’ambito comunitario, mostra non
soltanto la carenza, nel nostro ordinamento, non soltanto di una disciplina del
fenomeno avente carattere sostanziale, ma anche di idonee regole volte ad
assicurare l’attuazione dei diritti dei consumatori attraverso lo strumento
processuale484. L’innovazione maggiore è consistita senza dubbio nella introduzione
della class action, supra richiamata, con la quale si persegue l’obiettivo secondo cui
“i diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti di cui al comma 2 [art.
140-bis cod. cons.] sono tutelabili anche attraverso l’azione di classe, secondo le
previsioni del presente articolo. A tal fine ciascun componente della classe, anche
mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa, può agire per
l’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e
alle restituzioni”. [art. 140-bis cod. cons.485]. L’ampiezza della formulazione
testuale permette di desumere che vadano ascritte alla norma appena citata non
soltanto le associazioni di cui all’art. 137 cod. cons., ma tutte le associazioni, tanto
quelle riconosciute quanto quelle che hanno piuttosto il nome di enti di fatto. Il
meccanismo si fonda su una spontanea adesione ed attivazione del soggetto leso al
fine di partecipare all’azione di classe, che si distingue dall’azione inibitoria
collettiva generale ex art. 140 cod. cons. ed a quella ex art. 37 cod. cons.486 avverso
482
V. VIGORITI, Impossibile la class action in Italia? Attualità del pensiero di Mauro Cappelletti,
in Resp. civ., 2006, p. 31 ss.
483
Sul tema dei poteri accordati, in generale, all’Autorità Garante in materia di pubblicità
ingannevole, anche prima della nascita del Codice del consumo, si vedano: P. AUTERI, I poteri
dell’autorità garante in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, in Riv. dir. ind., 2002, I,
p. 266; E. MINA, I nuovi poteri dell’autorità garante in materia di pubblicità (commento alla l. 6
aprile 2005 n. 49), in Dir. ind., 2005, p. 406; nonché F. MACARIO, Autorità indipendenti,
regolazione del mercato e controllo di vessatorietà delle condizioni contrattuali, in Riv. dir. priv.,
2003, p. 295
484
G. BALENA, Aspetti processuali della tutela del consumatore, in Riv. dir. civ., 2006, I, p. 562
485
L’innovazione è stata apportata, all’interno del Codice del consumo, dall’art. 2 comma 446 della
legge 24 dicembre 2007 n. 224, pubblicata in G.U. 28 dicembre 2007 n. 300.
486
Tra l’azione di cui all’art. 140 cod. cons. e quella contenuta nella previsione di cui all’art. 37 cod.
cons. intercorre un rapporto di genus a species. Quest’ultimo rimedio costituisce una sorta di
rafforzamento della tutela generale prevista nel Codice del consumo. Sul punto osserva F.
LUCCHESI, Commento sub art. 37 cod. cons., in G. VETTORI (a cura di), Codice del consumo –
Commentario, Padova, 2007, p. 397, che “il legislatore ha affiancato al rimedio individuale e
successivo previsto dall’art. 36 del Codice per far dichiarare la nullità della clausola vessatoria
inserita all’interno di un determinato regolamento contrattuale, un ulteriore strumento di tutela,
154
l’uso di clausole abusive per la sua natura di azione per così dire “successiva” e non
“preventiva”. Per espressa previsione del testo normativo, l’azione collettiva
risarcitoria tutela “i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che
versano nei confronti di una stessa impresa in situazione identica, inclusi i diritti
relativi a contratti stipulati ai sensi degli articoli 1341 e 1342 del codice civile; i
diritti identici spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto nei
confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto
contrattuale; i diritti identici al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi
consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti
anticoncorrenziali” (art. 140-bis cod. cons.)487. Il novero degli strumenti di carattere
rimediale attribuiti ai consumatori e agli utenti, all’interno della legislazione di
settore, nel ricomprendere in sé anche lo strumento dell’azione collettiva
risarcitoria, sancisce un netto avvicinamento con il sistema americano della class
action488. Essendosi già trattato dell’argomento della soggettività giuridica, qui
giova ricordare che i comitati, ai quali viene riconosciuta la legittimazione ad
attivare tale meccanismo procedurale, non essendo caratterizzati dal requisito della
necessaria pluralità di soggetti, contrariamente a quanto previsto per le fondazioni,
possono essere formati da un ente pubblico non economico o anche da un solo
consumatore; ciononostante, essi possono validamente venire in considerazione
posto a disposizione di soggetti portatori di interessi che, concernendo un’ampia pluralità di persone,
si presentano come situazioni soggettive di portata superindividuale: l’art. 37 conferisce la
possibilità di esercitare un’azione di tipo inibitorio ad un ente esponenziale, che si rivela in grado di
far valere i diritti lesi in modo più efficace rispetto alle “vittime” in senso proprio. L’articolo in
commento ha, dunque, previsto una tutela di tipo preventivo e collettivo esercitabile attraverso
un’azione di carattere generale con cui chiedere all’autorità giudiziaria di inibire l’uso delle
condizioni di cui sia accertata la vessatorietà”.
487
Appaiono rilevanti le considerazioni compiute da V. COSTANTINO, La tutela collettiva
risarcitoria 2009: la tela di Penelope, in Foro It., 2009, V, c. 391, secondo cui “la tutela collettiva
dovrebbe soddisfare e conciliare diversi interessi: dovrebbe, in primo luogo, contribuire a ristabilire
fiducia nel mercato, rassicurando i consumatori e gli utenti con la previsione di efficaci strumenti di
protezione; in secondo luogo, la tutela collettiva dovrebbe soddisfare l’interesse del convenuto alla
predeterminazione dei danni, sottraendolo alla ripetuta aggressione delle iniziative individuali;
dovrebbe tener conto dell’esigenza di valutare preventivamente il rischio di impresa; in terzo luogo,
la tutela collettiva dovrebbe contribuire alla deflazione del contenzioso, consentendo la
concentrazione in un unico processo delle controversie individuali, assicurando la definizione,
rapida ed efficace, di una pluralità di pretese in un’unica soluzione; in quarto luogo, la tutela
collettiva dovrebbe consentire l’emersione di una domanda di giustizia altrimenti inespressa; in
quinto luogo, la tutela collettiva dovrebbe reggere la concorrenza tra ordinamenti, orientando verso
gli uffici giudiziari italiani il forum shopping. In sesto luogo, la tutela collettiva soddisfa gli interessi
e la vanità di coloro che se ne occupano perché costituisce un nuovo giocattolo ed offre occasioni di
visibilità e di turismo processuale. A ben vedere, la disciplina introdotta con la l. 24 dicembre 2007
n. 244, ed il dibattito sulla riforma hanno contribuito a soddisfare soltanto l’ultimo degli interessi
indicati”.
488
A. RICCIO, L’azione collettiva risarcitoria non è, dunque, una class action, in Contr. impr.,
2008, p. 515
155
quali soggetti legittimati attivi ad esperire l’azione collettiva risarcitoria. La ratio
che accomuna la sussistenza di tale circostanza sia nell’ordinamento interno sia in
quello americano è da ravvisarsi in quella valutazione di carattere pratico secondo
cui una efficace tutela della categoria dei consumatori, in questo caso, può aver
luogo a prescindere dal requisito della rappresentatività quantitativa.
Se la tutela collettiva inibitoria va ad aggiungersi, in modo innovativo, alla
ordinaria forma di tutela giurisdizionale individuale, non di rado accade che nel
corso del giudizio abbia luogo la conciliazione giudiziaria, attraverso cui, per il
tramite dell’attività di intermediazione del giudice dinanzi al quale pende la
controversia, le parti riescono a trovare un accordo tra loro.
Accanto alle modalità giudiziali di risoluzione dei conflitti va collocato lo spettro
della “giustizia alternativa”, al quale è da ricondursi lo strumento stesso della
conciliazione, che assume una connotazione rilevante nella stessa materia dei
consumatori. Occorre distinguere le cosiddette alternative dispute resolutions
(ADR)489 in due branche: quella composta dalle forme di autocomposizione delle
controversie e quella formata da tutte le cosiddette modalità di eterocomposizione
dei conflitti, sulla base della presenza o meno di un soggetto terzo il quale
interviene nella lite con funzione decisoria. Laddove invece non sia previsto
l’intervento del terzo, si avrà piuttosto un bonario componimento della
controversia490. La conciliazione è senza dubbio quella, tra le forme di tutela
489
Sul punto si veda R. DE MEO, Tutela del consumatore e accesso alla giustizia: funzioni e
prospettive dei metodi alternativi di soluzione delle controversie, in N. SCANNICCHIO (a cura di),
I metodi alternativi nella soluzione delle controversie dei consumatori, Bari, 2007, p. 38, rintraccia
la nozione delle ADR attraverso la idoneità a “raggruppare fenomeni di composizione delle
controversie molto eterogenei per struttura e risultati raggiunti e fra loro semplicemente accomunati
dall’elemento negativo di essere estranei all’esercizio della potestà giurisdizionale dello Stato. Sono
metodi di risoluzione delle liti che spesso parlano lingue diverse – perché sono caratteristici di
differenti rami economici del mercato e di diverse tipologie di questioni giuridiche coinvolte – e
percorrono strade diverse ma che consentono ai litiganti di non giungere al cospetto di un’autorità
giudiziaria ordinaria, togata o meno, a seconda dei casi”.
490
R. DE MEO, Tutela del consumatore e accesso alla giustizia. Cit., in cit., dopo aver definito, a p.
40, l’alternativa appena richiamata in termini di “poli estremi ed opposti della realtà variegata delle
ADR”, prosegue nel ricordare la sussistenza di procedure in cui si riscontra la presenza di un
soggetto terzo con la mera funzione di essere d’ausilio alle parti affinché esse stesse possano trovare
il loro accordo, spiegando, a p. 41, che “il terzo, cioè non ha potere decisorio, anche se spesso è
tenuto a formulare quella che egli ritenga essere la soluzione preferibile per il caso di specie. I suoi
sono, piuttosto, dei suggerimenti e degli indirizzi diretti a garantire ad entrambe le parti della
controversia l’equa possibilità di argomentare, motivare, contestare gli altrui diritti e difendere i
propri. La decisione, comunque, spetta sempre alle parti e l’eventuale conciliazione raggiunta riveste
il carattere della consensualità e si traduce in un programma contrattuale con il quale le parti
raggiungono un assetto di interessi diretto all’estinzione della lite. Potremmo qualificare tali metodi
di ADR come forme di autocomposizione (perché fondata sul reciproco consenso delle parti) delle
liti. Modelli di autocomposizione eterodiretta sono rappresentati dalla conciliazione/mediazione. La
differenza terminologica, che negli Stati Uniti è riferibile ad altrettanto ben precise differenze
156
alternativa, di maggiore importanza, nella duplice modalità di strumento attivabile
tanto nel corso del processo quanto con funzione extraprocessuale491. Ai fini della
tutela del consumatore, il tenore del secondo comma dell’art. 140 cod. cons.
prevede la figura della cosiddetta conciliazione “collettiva”, dal momento che essa
può essere attivata esclusivamente da soggetti qualificati, qualora si presenti
l’esigenza di accordare tutela agli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti.
Dispone infatti la norma che “le associazioni di cui al comma 1, nonché i soggetti di
cui all’art. 139, comma 2, possono attivare, prima del ricorso al giudice, la
procedura di conciliazione dinanzi alla camera di commercio, industria, artigianato
e agricoltura competente per territorio, a norma dell’articolo 2, comma 4, lettera a),
della legge 29.12.1993, n. 580, nonché agli altri organismi di composizione
extragiudiziale per la composizione delle controversie in materia di consumo a
norma dell’articolo 141”. Come si desume dalla stessa lettera della legge, la
legittimazione attiva all’esperimento del tentativo di conciliazione è limitata
esclusivamente alle associazioni dei consumatori ed utenti rappresentative a livello
nazionale ex art. 137 cod. cons. Tuttavia, la legittimazione delle associazioni non
esclude che i singoli consumatori possano anch’essi agire in giudizio, naturalmente
sulla base delle norme processuali ordinarie, qualora risultino essere titolari di un
concreto interesse ad agire492. Lo strumento della conciliazione previsto all’art. 140
cod. cons. è operativo anche in sede di azione inibitoria avverso l’utilizzo di
clausole abusive ex art. 37 cod. cons.
Il Codice del consumo la cui ratio risiede nell’ottica di regolare la materia con una
disciplina uniforme per i vari Paesi dell’Unione europea, riconosce un ruolo di
indiscussa centralità al sistema delle ADR o, per meglio dire, della “composizione
extragiudiziale”
delle
controversie,
ravvisando
negli
stessi
strumenti
extraprocessuali un valido contributo alla formazione di un terreno normativo
comune di portata transnazionale per il fenomeno dei consumi 493. Del resto,
l’esigenza di trovare strumenti idonei ad assicurare una tutela certa e veloce per le
strutturali, nel nostro Paese rappresenta sostanzialmente un modo diverso per indicare in generale la
prassi conciliativa. Anche i documenti normativi comunitari si riferiscono alla mediation per
indicare fenomeni lato sensu conciliativi. L’Uncitral, poi, ha diffuso un documento, il Model Law on
International Commercial Conciliation, nel quale gli aspetti sostanziali della conciliation sono
altrettanto riferibili alla mediation”.
491
E. MINERVINI, Le Camere di commercio e la conciliazione delle controversie, in Riv. trim. dir.
proc. civ., 2001, p. 939
492
P. RESCIGNO, Sulla compatibilità tra il modello processuale della class action ed i principi
fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano, in Giur. it., 2000, p. 2224 ss.
493
E. MINERVINI, Contratti dei consumatori e tutela collettiva nel codice del consumo, in Contr.
impr., 2006, p. 635
157
posizioni giuridiche soggettive è un argomento che riesce ad incontrare le attenzioni
delle stesse Istituzioni comunitarie.
Accanto alla conciliazione stragiudiziale si colloca l’arbitrato, quale iter alternativo
alla giurisdizione ordinaria, che può definirsi in termini non propriamente tecnici
come un processo privato, attivato di comune accordo dalle parti ed affidato ad uno
o più arbitri, alla cui origine si colloca un negozio giuridico – il compromesso o la
clausola compromissoria – che costituisce la fonte della possibilità di
compromettere per arbitri una controversia avente ad oggetto diritti disponibili494. Il
procedimento può svolgersi secondo diritto o secondo equità e termina con una
decisione, che prende il nome di lodo arbitrale, che, nel caso di arbitrato rituale,
produce gli effetti della sentenza pronunziata dall’autorità giudiziaria, ai sensi
dell’art. 829-bis c.p.c., ed acquista efficacia esecutiva con il provvedimento di
omologazione del tribunale, ai sensi dell’art. 825 primo comma c.p.c., mentre, nel
caso di arbitrato irrituale, ha valore di determinazione contrattuale, conformemente
a quanto disposto alla lettera dell’art. 808-ter primo comma c.p.c.495.
Quel che rileva, del complesso argomento appena richiamato, ai fini della presente
trattazione, è l’indagine intorno all’impiego dell’arbitrato nella materia dei consumi.
L’analisi prende l’avvio a partire dal disposto di cui all’art. 141 cod. cons., dal
quale emerge a chiare lettere il favor del “legislatore comunitario” per una
impostazione volta a dare un impulso al ricorso alle modalità alternative di
risoluzione delle controversie, come emerge dallo stesso tenore della formulazione
normativa appena citata in cui, al primo comma, si statuisce che “nei rapporti tra
consumatore e professionista, le parti possono avviare procedure di composizione
extragiudiziale per la risoluzione delle controversie in materia di consumo, anche in
via telematica”. Tale previsione di legge è foriera di una clausola generale per
mezzo della quale il consumatore ed il professionista possono attivare le procedure
494
Volendo fornire una descrizione nozionistica del fenomeno V. CASPANI, I consumatori e la
giustizia. Conciliazione e arbitrato: l’evoluzione europea e l’esperienza nazionale, Piacenza, 2002,
p. 226, afferma che “l’arbitrato costituisce un modo per definire delle controversie civili alternativo
al giudizio ordinario, caratterizzato da due aspetti essenziali: le parti della controversia scelgono
liberamente coloro che dovranno deciderla – gli arbitri – e conferiscono loro il potere e l’autorità di
rendere tale decisione. E’ evidente già da questa prima presentazione dell’istituto, la netta differenza
che lo separa dal processo davanti ai giudici statuali: l’organizzazione giudiziaria statale impone la
sua potestà di giudicare, per l’oggettiva forza giuridica dell’ordinamento da cui promana, mentre
l’arbitrato può svolgersi soltanto tra coloro che l’hanno voluto”.
495
Si tratta, in quest’ultimo caso, di una decisione avente natura giuridica negoziale, la cui funzione
viene posta in risalto da Cass., sez. I, 13 aprile 2001, n. 5527, in Giust. civ., 2002, I, p. 2909, in cui si
chiarisce che con l’atto che segna l’esito di un arbitrato irrituale “viene posta in essere una
composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibili alla volontà delle parti stesse,
le quali si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà”.
158
di risoluzione alternativa delle controversie nella materia del consumo, sancendo
una netta apertura verso ognuna delle varie figure di ADR.
159
Capitolo Quarto
La categoria della nullità del contratto tra tradizione ed innovazione.
Sommario: 1. Brevi premesse. – 2. La categoria della nullità codicistica. Ricostruzione in chiave
operativa della figura codicistica della nullità: dalla funzione di sanzione… – 3. …alla funzione di
protezione: le nullità cd. anomale. La nullità tra l’interesse pubblico e la violazione degli obblighi di
informazione. - 4. La categoria della causa. Concezione tradizionale della causa. Superamento della
teoria bettiana. Rivisitazione del concetto di causa del contratto alla luce della legislazione di settore
e della nuova realtà delle contrattazioni. Nostra adesione alla tesi della causa quale indice rilevatore
dello scopo concreto ed oggettivato. – 5. Il formalismo negoziale tra Codice civile e diritto europeo.
Il neoformalismo. - 6. Intorno alla possibilità di estendere la nullità consumeristica in materia di
clausole vessatorie ad altre fattispecie sulla base della ratio legis. 7. La nullità relativa: dal Codice
civile alle regole poste a tutela del consumatore. Per una tassonomia delle nuove nullità.
“Le categorie giuridiche e i relativi concetti possono anche essere oggetto di storia,
come tutte le creazioni dell’intelletto, ma non si deve perdere di vista che essi non
sono valori universali ma strumenti di conoscenza di una realtà sociale alla quale
si devono adeguare e intimamente aderire”496.
R. Nicolò
1. Nell’attuale contesto giuridico, i notevoli stravolgimenti all’interno del panorama
delle fonti del diritto dei contratti, tanto per quanto attiene ai soggetti che elaborano
le regole quanto per ciò che concerne i contenuti delle regole stesse, conducono il
giurista ad un necessario ripensamento delle categorie giuridiche nei loro connotati
peculiari e tipici con i quali egli si è per lungo tempo trovato a misurarsi. In
particolare, quella figura propria della categoria dell’invalidità, la nullità, sta oggi
conoscendo significativi mutamenti. L’invalidità497, con le sue specifiche
articolazioni, e lato sensu l’inefficacia, sono da sempre le categorie ordinanti delle
varie ipotesi in cui si può manifestare, all’interno della dinamica contrattuale, una
Citazione tratta da R. NICOLO’, Attuale evoluzione del diritto civile, in Raccolta di Scritti, III,
Milano, 1993, p. 17.
497
Qualsiasi discorso sulla invalidità, intesa come qualificazione in termini negativi del fatto
giuridico, non prescinde da un necessario preliminare chiarimento della nozione di validità, da
intendersi, attraverso le pacifiche parole di V. SCALISI, Categorie e istituti del diritto civile,
Milano, 2005, p. 628, quale concetto assiologico-pratico attraverso cui è possibile verificare “se un
interesse negoziale rilevante ha oppure no legittimazione positiva a costituire punto di
ricollegamento di effetti giuridici”, che è cosa ben diversa dal sindacato sulla effettiva produttività
degli effetti, con il quale si entra invece nella sfera della mera inefficacia. Il dibattito sul tema
invalidità/inefficacia si svolge su due terreni tanto connessi quanto però appartenenti a due diversi
momenti della esperienza del diritto contrattuale: il primo, quello regolamentare-programmatico; il
secondo, quello del prodursi dell’effetto giuridico. L’argomento è messo accuratamente in luce nelle
pagine su richiamate ed in particolare a p. 629 in cui l’autore afferma che “le cause di invalidità sono
funzionali al momento regolamentare o programmatico dell’agire autonomo dei privati al fine di
consentirne il controllo sotto il particolare profilo della sua idoneità a determinare il mutamento
pratico e giuridico avuto di mira. Come tali, le cause di invalidità sono perfettamente speculari agli
elementi o requisiti normativamente richiesti allo scopo di garantire che regolamento e programma
siano in grado di portare a compiuta realizzazione l’interesse già apprezzato siccome rilevante”.
496
160
patologia nell’esercizio dell’autonomia negoziale da parte dei soggetti privati498.
Esse costituiscono, all’interno della materia del contratto, i pilastri della disciplina
sistematicamente approntata dal legislatore. I cambiamenti che sono da tempo in
atto sulla scena delle regole che disciplinano il contratto non hanno tuttavia
risparmiato tali categorie, riguardo alle quali è quindi ora opportuno, se non
addirittura necessario, interrogarsi sulla funzione e sui tratti identificativi che oggi
le contraddistinguono, al fine di tentare di compiere una conciliazione delle nuove
figure, di matrice extracodicistica, con quelle tradizionali499. Certamente non ci si
deve meravigliare se al mutamento degli interessi che dominano la scena economica
e commerciale a livello extrastatale corrisponde una esigenza di rideterminare (o
forse soltanto di adattare il proprio pensiero ad una idea di categoria come di un
quid che muta le proprie specificità ogniqualvolta ripercorra il proprio momento
genetico, che è da collocarsi nel punto di stretta saldatura del piano formale di
posizione della regola con quello dell’incontro della norma con la concreta realtà
sociale, in chiave di effettività500) le categorie ordinanti della realtà pratica in modo
tale da approntare una qualificazione normativa che sia maggiormente rispondente
alla realizzazione nonché alla tutela di tali nuovi interessi501. Ciò, tuttavia, avviene
non senza che si produca un inevitabile contrasto, sul piano concettuale e logico
tanto quanto su quello applicativo, per così dire, tra il vecchio e il nuovo502. Questa
premessa, con la quale si intende introdurre un non brevissimo discorso che vede la
categoria contrattuale della nullità al centro di ogni riflessione, volendo, appunto,
fungere da cornice entro la quale si ambienterà questo ampio argomento, è,
nell’intenzione di chi scrive, il luogo prediletto per richiamare l’invalidità e
498
C.M. BIANCA, Diritto civile. Il contratto, cit., passim.
La duplice funzione di sanzione e di protezione degli interessi del singolo, che è propria della
nullità assoluta nel primo caso e della nullità relativa nel secondo caso, viene posta in risalto da A.
GENTILI, Nullità di protezione e ruolo del notaio, in Riv. not., 2010, 2, p. 285
500
Sull’effettività del diritto quale discrimen tra regola che appartiene “al giuridico” e qualsivoglia
altra regola cfr. H. KELSEN, Teoria generale delle norme, Torino, 1985, passim.
501
A. D’ANGELO, Contratto e operazione economica, in G. ALPA – M. BESSONE (diretto da), I
contratti in generale, Torino, 1999, I, p. 257
502
Sul passaggio dalla tradizionale impostazione bipolare (fondata sul binomio nullità-annullabilità),
di matrice codicistica, ad un assetto monistico, imperniato sulla categoria della nullità V. SCALISI,
Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al postmoderno, Milano, 2005, p. 648, osserva
che “quella che nel codice è una concezione dualistica e bipolare della invalidità, nella disciplina
europea ha ceduto il posto a una configurazione solitaria e monistica incentrata sulla nullità. E la
nullità a sua volta, abbandonati gli antichi ancoraggi, da strumento astratto e irrelato, ubbidiente
soltanto a un prestabilito e rigido schema concettuale (art. 1418 c.c.), è divenuta in prospettiva
europea un rimedio sempre più dipendente e relato, e cioè conformato, quanto a struttura e funzione,
ma anche nel suo fondamento sostanziale, dal tipo di operazione contrattuale posta in essere,
valutata sia dal punto di vista dello specifico assetto di interessi in gioco che sotto il profilo della
particolare posizione delle parti coinvolte e della natura dei beni e servizi dedotti”.
499
161
l’inefficacia, quali categorie assiologiche del contratto, nei loro tratti peculiari503.
Questi due “giganti”, tra le categorie contrattuali elaborate nel corso delle varie
epoche della storia del diritto e poi approdate nell’impianto codicistico, presentando
profonde diversità l’una dall’altra, appaiono, tuttavia, sul piano operativo, connesse
e correlate, seppure in modo non biunivoco, se si rammenta che laddove il contratto
presenti una patologia tale per cui venga sanzionato con la invalidità allora gli
effetti del contratto subiscono un pregiudizio nel senso che, a seconda del caso
specifico di invalidità (nullità o annullabilità), o vengono eliminati del tutto e nei
confronti di tutti, o vengono eliminati nei confronti delle parti ma il contratto resta
produttivo di effetti nei confronti dei terzi di buona fede504. Al contrario, può
accadere che, in seguito a vicende che si collocano cronologicamente nella fase in
cui il rapporto negoziale ha esecuzione, il contratto, benché venuto ad esistenza
validamente, non sia più idoneo a produrre i suoi effetti505. In questo caso, allora,
l’inefficacia non è conseguenza della sussistenza di una causa di invalidità506.
Ci troviamo, attualmente, nell’epoca postmoderna, in cui il contratto, se, da un lato,
ha notevolmente ampliato il suo spettro di operatività, dall’altro, ha certamente
mutato alcuni dei suoi tratti caratteristici, coinvolgendo in questo processo di
cambiamento, che soltanto con grande ottimismo e senza nostalgia per le radici
503
Sul punto si veda amplius F. SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile,
Napoli, 2002, p. 245 ss.
504
F. GALGANO, Trattato di diritto civile, II, Padova, 2009, p. 371-372, nel ripercorrere
approfonditamente la tematica, sulla base del dato normativo, ricorda chiaramente che “la sentenza
che dichiara la nullità di un contratto opera retroattivamente (ed elimina, perciò, ogni effetto del
contratto) sia fra le parti sia rispetto ai terzi, anche se questi sono in buona fede, ossia ignoravano la
causa di nullità. (…) La sentenza che annulla il contratto, invece, opera retroattivamente tra le parti
(e, fra queste, elimina ogni effetto del contratto) ma, quanto ai terzi, opera solo rispetto ai terzi di
mala fede, che conoscevano (o potevano conoscere con l’uso dell’ordinaria diligenza) la causa di
annullabilità del contratto. Essa non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede”. Quanto
all’azione di nullità, sono tuttavia fatti salvi gli effetti del negozio, nullo, nei confronti dei terzi
qualora operi il dettato di cui all’art. 2652 n. 6 cod. civ. in materia della cd. pubblicità sanante, per
cui, se la domanda diretta a far dichiarare la nullità del contratto viene trascritta dopo cinque anni
dalla data della trascrizione dell’atto impugnato, la sentenza che la accoglie non pregiudica i diritti
acquistati a qualunque titolo dai terzi di buona fede in base ad un atto trascritto o iscritto
anteriormente alla trascrizione della domanda.
M. FRANZONI, Degli effetti del contratto, (art. 1374-1381), Integrazione del contratto – Suoi
effetti reali e obbligatori, II, Milano, 1999, p. XII-512
506
E’ la cosiddetta inefficacia in senso stretto, che si articola nella sequenza validità/inefficacia la
quale, al di là dell’apparenza, non costituisce un paradosso né sul piano logico né su quello
normativo, dal momento che le cause dell’inefficacia sono da rintracciare nelle vicende che, non
attenendo al momento programmatico - regolamentare, pregiudicano soltanto l’effetto, con la
conseguenza per cui, con V. SCALISI, Categorie e istituti del diritto civile, cit., p. 639, si può dire
che “ l’assetto degli interessi in campo, pur avendo ottenuto la garanzia giuridica della propria
conservazione (validità), non riesce ciò nonostante a conseguire anche la garanzia giuridica della
propria realizzazione”, seguendo pertanto che la mancata attuazione in concreto del rapporto
derivante dal contratto consiste nella inefficacia giuridica dello stesso.
505
162
della cultura giuridica, si riesce a definire di evoluzione, anche le sue categorie
ordinanti, tra le quali, primariamente, quella della nullità507. Allo stesso modo del
contratto, anche le sue categorie, hanno conosciuto, nell’iter della storia del diritto
del ventesimo secolo, una non breve fase caratterizzata dalla totale centralità delle
regole contenute nella Codificazione del 1942, per poi trovarsi esposte al repentino
sopravvento delle norme di matrice comunitaria, le quali, dietro la quasi scusabile
ragione della necessità di porre in essere un procedimento di avvicinamento delle
varie legislazioni nazionali, hanno finito con l’acquistare una grandissima
familiarità con la materia dei contratti, giungendo esse stesse a disciplinarne una
porzione che oggi, sulla scena economica e commerciale, appare certamente quella
più rilevante508. Anche la nullità contrattuale è stata fagocitata all’interno del
binomio vecchio-nuovo, per il cui accostamento di termini si pone il problema di
verificare se si tratti di una antitesi o semplicemente di una evoluzione, cioè di una
transizione da una fase all’altra di uno stesso fenomeno, senza che vi si debba
rintracciare una soluzione di continuità con il tradizionale iter operativo del diritto,
il quale, per sua stessa natura, in condizioni di corretto funzionamento dell’apparato
giuridico, economico e sociale, pur mantenendo i suoi pilastri immutati, è
suscettibile di conoscere adattamenti a seconda delle esigenze prospettate, nel
tessuto sociale, dalla realtà concreta509. Pur con l’intento, da parte di chi scrive, di
non assumere la propria posizione sull’argomento, fino a quando non si saranno
compiute, nella sede del presente lavoro, tutte le riflessioni, non si può tuttavia fare
a meno di notare come, per la categoria dell’invalidità negoziale, l’impatto con il
cosiddetto diritto europeo dei contratti sia stato molto brusco, se si pensa che la
tradizionale articolazione bipolare dell’invalidità codicistica nelle due figure della
nullità e della annullabilità viene soppiantata, nella disciplina europea dei contratti,
dalla presenza di una unica figura ibrida, quella che nominativamente è la nullità,
507
R. TOMMASINI, v. Nullità (dir. priv.), in Enc. dir., Milano, 1978, XXVIII, p. 866 ss., nel
fornire una lucida ed esaustiva disamina dell’istituto, osserva che la ratio profonda della nullità si
può cogliere una volta che si ascriva tale categoria negoziale alla più ampia funzione
dell’ordinamento che consiste nella tutela dei valori fondamentali di uguaglianza e di solidarietà.
508
E. GABRIELLI, Il contratto e le sue classificazioni, in E. GABRIELLI (a cura di), I contratti in
generale, in Tratt. contr. Rescigno-Gabrielli, Torino, 1999, I, p. 48-58, ove viene fornita una
ricostruzione dei rapporti intercorrenti, nell’epoca contemporanea, tra autonomia privata e
operazione economica. Lo svolgimento delle operazioni economiche su terreni che eccedono i
confini nazionali, unitamente al complicarsi ed al moltiplicarsi delle operazioni stesse, implica
necessariamente la creazione di nuovi modelli e schemi negoziali, nonché la realizzazione di un
terreno normativo fondato su regole basilari che siano sostanzialmente condivise dai vari Paesi attori
della scena europea, ed anche di quella globale.
509
C. COLOMBO, Operazioni economiche e collegamento negoziale, Padova, 1999, passim.
163
ma che viene ridisegnata con dei tratti che la fanno risultare, per così dire, a metà
strada tra la nullità e l’annullabilità che i Compilatori del 1942 hanno sapientemente
elaborato510. Peraltro, così come sta avvenendo per la materia dei contratti, per i
quali ci si esprime oggi al plurale511, allo stesso modo accade per le nullità
disciplinate nelle leggi di settore, di matrice comunitaria, le quali, lungi dal poter
essere ricondotte ad una categoria unitaria della nullità, non sono altro se non il
risultato della frammentazione di tale categoria in una congerie di molteplici
modelli e corrispondenti statuti normativi i quali, pur condividendo il medesimo
nome di “nullità”, fanno in realtà riferimento ad una pluralità di vicende eterogenee
e spesso assai diverse tra loro512. Se lo spirito che ha animato le grandi
Codificazioni è stato proprio quello di ricercare criteri di reductio ad unum del
molteplice, oggi si avverte quanto mai forte il bisogno di trovare, per la materia dei
contratti e delle annesse categorie ordinanti, una identità che, preservando la
pluralità e la diversità delle figure giuridiche frutto della frammentazione, ne
costituisca al contempo un valido collante in modo tale da evitare la dispersione513.
C’è, quindi, bisogno non di una reductio ad unum intesa in senso geometrico
piramidale, che è stata propria dell’epoca in cui si è guardato ai fenomeni giuridici
prevalentemente in base al principio di specialità, quanto piuttosto di individuare un
leitmotiv che leghi in senso non più verticale, ma stavolta orizzontale, tutta la serie
di autonome figure specializzate che, a partire da quella che era la categoria
generale (sia della nullità, sia del contratto), si stanno sviluppando514. Il rifiuto del
trattamento, per così dire, unitario o, se si vuole, monistico, dei fenomeni giuridici è
dovuto al complicarsi delle esigenze di carattere economico e giuridico che
emergono da una dimensione mercantile ormai transnazionale e caratterizzata dal
meccanismo della libera concorrenza, dal quale deriva il sorgere di una molteplicità
di distinti interessi spesso in conflitto gli uni con gli altri515. Per tale ragione, il
510
L. DE GIOVANNI, La nullità nella logica del diritto, Napoli, 1964, passim.
V. SCALISI, Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al postmoderno, cit., p. 649,
nel saldare all’assetto proprio dell’economia di mercato la contingente vocazione per il “carattere
plurale” dei fenomeni giuridici un tempo connotati da un’accezione al singolare, a fronte della
varietà degli interessi che dominano la stessa scena mercantile, mette in risalto l’inevitabile “rigetto
per un trattamento normativo rigidamente monistico di una categoria, come quella del contratto,
chiamata a dare veste e rappresentanza a operazioni economiche della più varia natura per soggetti
coinvolti, beni dedotti, interessi perseguiti”.
512
C. CASTRONOVO, I principi di diritto europeo dei contratti, in Eur. dir. priv., 2000, p. 249-291
513
C. CAMARDI, Integrazione giuridica europea e regolazione del mercato. La disciplina dei
contratti di consumo nel sistema del diritto della concorrenza, in Eur. dir. priv., 2001, p. 703
514
V. BUONOCORE, Contratti del consumatore e contratti d’impresa, in Riv. dir. civ., 1995, p. 37
ss.
515
G. BENEDETTI, La categoria generale del contratto, in Riv. dir. civ., 1991, 6, p. 649
511
164
diritto europeo dei contratti, al quale è demandato il compito di portare avanti il
processo di uniformazione o, quanto meno, di armonizzazione delle legislazioni
nazionali al fine di agevolare la realizzazione del mercato unico, accoglie con
grande sensibilità e sollecitudine il bisogno di dettare una disciplina dettagliata per i
vari fenomeni che si ambientano sul mercato, e assolve a tale compito operando la
rottura della unitarietà della categoria del contratto e della relativa disciplina, a
favore di una dicotomica molteplicità dei diversi modelli contrattuali, ciascuno
assoggettato ad un proprio regime giuridico, andando in direzione opposta a quella
seguita dalla Codificazione del 1942 che ha invece segnato, tra l’altro, il momento
di unificazione della materia dei contratti di diritto civile con quelli di diritto
commerciale516.
Con la consapevolezza che può provenire da tali osservazioni che sono state
preliminarmente condotte, prima di passare ad analizzare l’odierno panorama della
nullità o, meglio, delle nullità contrattuali, si ritiene opportuno ripercorrere, nei
tratti salienti, nonché in alcuni punti critici, la nullità codicistica quale ipostasi della
categoria della invalidità negoziale517.
2. Nell’immaginario collettivo tradizionale, la categoria della nullità del contratto
viene dal giurista ascritta alla figura dell’invalidità negoziale, sostanziandosi, in
particolare, in quello tra i due strumenti (nullità e annullabilità) posto non soltanto a
presidio degli interessi delle parti contraenti ma anche, più ampiamente, a tutela di
interessi di carattere generale518. La figura della nullità negoziale, nei tratti specifici
attraverso i quali essa trova la sua connotazione nel nostro ordinamento, è il
516
M. MANTOVANI, Le nullità e il contratto nullo, in Tratt. Roppo, cit., passim.
R. ROLLI, Il “codice” e i “codici” nella moderna esperienza giuridica: il modello del codice del
consumo, in Contr. impr., 2007, p. 1497
518
Ricorda opportunamente G. PASSAGNOLI, Art. 38 Cod. cons.- Commento, in G. VETTORI (a
cura di), Codice del Consumo. Commentario, Padova, 2007, pp. 373 – 374, che il tradizionale
carattere unitario attribuito alla categoria della nullità si è fondato esclusivamente sulla “esigenza di
tutela del pubblico interesse, contrapposto ed astratto rispetto a quello individuale dei contraenti”,
così che “l’intera disciplina della nullità veniva a ridursi a strumento di tutela di quell’unitario
interesse, escludendo dall’ambito della figura ogni rilevanza degli interessi dei quali fosse portatrice
una parte contraente”. Con la conseguenza per cui anche sul piano dell’inefficacia del negozio nullo,
si è assistito per lungo tempo ad un trattamento sostanzialmente unitario, essendo esso
“obiettivamente ed assolutamente improduttivo di effetti, proprio per il contrasto con
quell’omogeneo e prevalente pubblico interesse”. Di qui, la dicotomica summa divisio delle
invalidità negoziali nelle due figure della nullità e della annullabilità, laddove il discrimen essenziale
si coglieva proprio nell’essere la nullità “insensibile alle interferenze di ogni piano di interesse
sottordinato e, così, di ogni interesse individuale coinvolto”, non essendoci pertanto possibilità
alcuna di “riconoscere rilievo formale alla peculiare ratio normativa di nullità poste a speciale tutela
di un contraente”, le quali venivano trattate alla stregua di una “anomalia, da inserire in un più o
meno vasto catalogo di bizzarre eccezioni alla coerenza sistematica”. S. POLIDORI, Disciplina
della nullità e interessi protetti, Napoli, 2001, p. 114
517
165
risultato di un complesso percorso evolutivo che ha tratto origine dall’elaborazione
pandettistica, malgrado ai giuristi romani non fosse del tutto sconosciuto
l’argomento. Il Codice civile del 1942 non detta una nozione di nullità, occupandosi
direttamente, alla lettera dell’art. 1418, delle cause che rendono il contratto nullo.
Essendo, tuttavia, connaturato alla natura umana il tentativo di trovare una
definizione per qualsivoglia fenomeno, allora è pacificamente condivisibile la
nozione di nullità, invalsa da lungo tempo nella dottrina dominante nonché
largamente condivisa, secondo la quale si tratta di una patologia del negozio
giuridico che si verifica ogniqualvolta esso presenti una mancanza o una grave
anomalia di qualche elemento intrinseco, tale per cui quel negozio, che pure è
venuto ad esistenza in tutti i suoi elementi, non sia, tuttavia, rispondente alla figura
tipica individuata dall’ordinamento, proprio perché qualcuno dei suoi elementi è
inficiato da uno dei vizi gravi in presenza dei quali il negozio viene sanzionato
dall’ordinamento stesso con la nullità. Ne consegue tanto la mancanza di validità
quanto la mancanza di efficacia del negozio viziato, da intendere come una sorta di
reazione dell’ordinamento alla predetta situazione patologica e, precisamente, la
reazione più decisa, se si tiene conto degli effetti che la pronuncia di nullità
comporta; per tale ragione, la nullità è pacificamente ritenuta la forma più grave di
invalidità519.
Al fine di ripercorrere i punti salienti di qualsiasi discorso sulla nullità del contratto,
intesa nella sua “versione codicistica”, occorre fare qualche considerazione
preliminare sull’autonomia negoziale520. Se l’ordinamento, da un lato, abilita i
soggetti privati a scegliere liberamente il contratto da porre in essere e a dettarne
essi stessi la disciplina, ovviamente nel rispetto delle disposizioni di legge
inderogabili ed in ossequio ai principi generali di certezza giuridica, per altro verso,
l’ordinamento stesso nega fondamento a tutte quelle manifestazioni di volontà
mediante le quali si realizza un contrasto con lo schema legale e con gli interessi
generali che il medesimo ordinamento deve tutelare. In questo panorama si colloca
esattamente lo strumento della nullità, nella sua peculiare accezione di indice del
giudizio di meritevolezza di tutela degli interessi programmati dalle parti rispetto ai
519
Occorre tuttavia tenere ben distinta la circostanza in cui la nullità costituisca la conseguenza, sul
piano sanzionatorio, della mancanza o della patologia di un elemento essenziale del contratto, da
quella in cui piuttosto il contratto stesso sia contrario all’ordine pubblico o al buon costume. Sul
punto si veda P. PERLINGIERI, Forma dei negozi e formalismo degli interpreti, Napoli, 1987, p. 26
– 30.
520
S. ROMANO, Autonomia, in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1953, passim
166
fini della comunità. E’ proprio facendo ricorso alla sanzione della nullità che
l’ordinamento nega la propria tutela a tutte quelle programmazioni che non siano
idonee a rispondere ai valori fondamentali, per cui si nega ab initio ogni effetto al
negozio posto in essere521.
L’inevitabile attività di elaborazione di classificazioni, che è cosa comune alla
dottrina ed alla giurisprudenza, ha condotto alla summa divisio tra nullità testuale e
virtuale, intendendo con il primo termine la nullità che viene comminata da una
specifica norma di legge quale conseguenza della presenza di un determinato vizio
(è tale la nullità di cui all’art. 1418 comma 3 cod. civ.), mentre con il secondo
termine si allude a quella nullità che non è comminata espressamente da nessuna
norma di legge, ma che piuttosto si ricava dal sistema in quanto si sostanzia nella
contrarietà ad una norma imperativa522. Altra distinzione è quella tra nullità totale o
parziale, a seconda che investa il negozio nella sua totalità, o in una parte, o,
addirittura, semplicemente in una clausola di esso523. Vi è poi l’ulteriore distinzione
tra nullità assoluta e relativa, laddove la prima può essere fatta valere da qualsiasi
soggetto (quindi non solo dalle parti contraenti ma anche dal giudice d’ufficio
nonché da qualunque terzo il quale abbia interesse a farla dichiarare), mentre la
seconda è, secondo l’opinione più largamente diffusa, quella che può essere fatta
valere soltanto da alcuni soggetti legittimati ad agire. Non manca, tuttavia, in
dottrina chi ha dato una nozione diversa della figura della nullità relativa, riferendo
piuttosto il concetto a quelle ipotesi di nullità per le quali è possibile una
sanatoria524. La prima accezione appare tuttavia la più accreditata anche perché è
suffragata dal tenore del disposto di cui all’art. 1421 cod. civ. per cui la nullità
relativa è quella che può essere fatta valere esclusivamente da soggetti determinati,
anche se, una volta dichiarata, essa opera nei confronti di tutti525. Vi è poi la
distinzione tra nullità originaria e nullità sopravvenuta, laddove la prima si verifica
nel caso in cui il vizio sia presente nell’atto ab origine, mentre si ha nullità
sopravvenuta qualora il negozio, per una circostanza sopravvenuta, perda un
requisito essenziale.
G. D’AMICO, “Regole di validità” e principio di correttezza nella formazione del contratto, in
Riv. dir. civ., 2002, 1, 1, p. 37
522
A. ALBANESE, Violazione di norme imperative e nullità del contratto, Napoli, 2003, p. 96
523
G. CRISCUOLI, La nullità parziale del negozio giuridico: teoria generale, Milano, 1959,
passim; P.M. PUTTI, La nullità parziale: diritto interno e comunitario, Napoli, 2002, passim.
524
G. FILANTI, Inesistenza e nullità del negozio giuridico, Napoli, 1983, passim
525
G.B. FERRI, Il contratto in generale, in Tratt. Bessone, XIII, p. 7-27
521
167
Quanto, poi, alle cause di nullità, la lettera dell’art. 1418 cod. civ. fornisce un
elenco delle ipotesi in cui il contratto, affetto da specifici vizi, viene sanzionato con
la nullità. Non raramente, tuttavia, accade di trovarsi di fronte a norme di legge che
vietano il compimento di un determinato negozio senza però prevedere
espressamente la sanzione della nullità per il caso in cui il predetto divieto sia
violato. In questa ipotesi si parla di nullità virtuale proprio in quanto la legge non
dispone una specifica sanzione, diversa dalla nullità, da doversi applicare. Il primo
comma dell’art. 1418 disciplina la cosiddetta nullità virtuale526.
Le fattispecie previste nel secondo comma della norma integrano, invece, le
specifiche ipotesi di nullità dovute alla presenza di un vizio dal quale sia affetto uno
o più elementi essenziali del contratto527. Il richiamo è, infatti, ai requisiti del
contratto tipicamente previsti alla lettera dell’art. 1325 cod. civ., i quali potranno
essere viziati nel senso di mancanza o di illiceità di essi528. Tra le cause di nullità vi
sono, quindi, la mancanza di accordo, l’assenza o l’illiceità della causa, la carenza
dell’oggetto del contratto o di uno dei requisiti specifici dell’oggetto di cui all’art.
1346 cod. civ., la mancanza della forma quando quella determinata forma sia
prescritta dalla legge a pena di nullità del contratto. Si discute se il contratto
simulato integri o meno un’ipotesi di nullità529. Il dubbio dal quale è sorta la vexata
quaestio trova la sua origine nella stessa formulazione testuale dell’art. 1414 cod.
civ. in cui il legislatore, nel disporre che il contratto simulato non produce effetto
fra le parti, non ha chiarito se si tratti di una mera inefficacia o se piuttosto
l’inefficacia sia da intendersi quale conseguenza della invalidità, in termini di
nullità, del contratto stesso530. Ripercorrendo, per così dire, i momenti topici della
nota categoria della nullità codicistica, occorre chiarire che la regola in forza della
quale alla nullità del contratto si ricollega pacificamente la inefficacia dello stesso
conosce delle eccezioni, che si possono rintracciare nella stessa lettera della
legge531. In alcuni limitati casi, il contratto nullo produce effetti, seppure indiretti,
526
U. BRECCIA, Il contratto in generale, in Tratt. Bessone, XIII, p. 3-155
G. VETTORI, Regole di validità e di responsabilità di fronte alle Sezioni Unite. La buona fede
me rimedio risarcitorio, in Obbligaz. e contr., 2008, p. 104 ss.
528
F. DI MARZIO, La nullità del contratto, Padova, 2008, passim
529
F. GALGANO, Della simulazione. Della nullità del contratto. Dell’annullabilità del contratto,
art. 1414-1446, in F. GALGANO (a cura di), Commentario del Codice civile Scialoja-Branca,
Bologna, 1998, passim.
530
In giurisprudenza, si è affermato che il contratto è nullo in toto qualora si tratti di simulazione
assoluta, mentre, nel caso di simulazione relativa, è nullo soltanto il negozio simulato. Sul punto si
veda Cass. 6 marzo 1970 n.578 in Giur. it., 1970, I, 1, c. 1656
531
L. BIGLIAZZI GERI, Contributo ad una teoria dell’interesse legittimo nel diritto privato,
Padova, 1967, passim.
527
168
tra le parti o nei confronti dei terzi, che tuttavia non si possono definire
propriamente positivi, quanto piuttosto un’attenuazione degli effetti negativi della
nullità. Basti pensare alla disciplina della conoscenza delle cause di invalidità, di
cui all’art. 1338 cod. civ., secondo cui “la parte che, conoscendo o dovendo
conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia
all’altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per aver confidato,
senza sua colpa, nella validità del contratto”; o, ancora, a quanto previsto all’art.
1415 cod. civ. in materia degli effetti della simulazione rispetto ai terzi, o, infine,
nell’ambito del diritto del lavoro e del diritto delle società, a quanto statuito
rispettivamente alle lettere degli artt. 2126 e 2332 secondo comma cod. civ. In
queste due ipotesi il legislatore, nel tenore della disciplina espressamente dettata, ha
dato netta prevalenza all’operatività del principio di conservazione del contratto,
principio che, pur essendo espressamente dettato all’art. 1367 cod. civ. e
costituendo esso stesso uno dei pilastri della materia contrattuale, generalmente in
materia di nullità è destinato a lasciare spazio alla operatività della inefficacia del
contratto viziato, dal momento che il significato specifico di tale inefficacia, che
costituisce una conseguenza legale delle cause di nullità, e quindi sottratta al potere
di disposizione delle parti, si rintraccia nel fatto che la nullità è istituto posto a
tutela di interessi di carattere generale,
pertanto si colloca in un ambito di
operatività che trascende la mera funzione di garanzia della posizione della parte
contraente che abbia subito un pregiudizio in sede di formazione del contratto
(come invece avviene nel caso della annullabilità, sanzione volta a punire i vizi che
attengono al momento formativo della volontà di uno dei contraenti 532). Uno dei
tratti che contraddistinguono la figura della nullità codicistica consiste nella
legittimazione attiva all’azione, che spetta a chiunque vi abbia interesse, nonché
nella rilevabilità d’ufficio da parte del giudice, in ogni stato e grado del giudizio.
L’individuazione dei soggetti legittimati passivi appare piuttosto complicata dal
momento che occorre distinguere due circostanze: se l’azione di nullità è esperita al
fine di risolvere la controversia in via definitiva e con forza di giudicato, allora il
giudizio deve svolgersi nei confronti di tutte le parti, con la conseguenza per cui si
532
L’art. 2126 c.c. statuisce, infatti, al primo comma, che “la nullità o l’annullamento del contratto
di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la
nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa”; il secondo comma dell’art. 2332 dispone che
“la dichiarazione di nullità non pregiudica l’efficacia degli atti compiuti in nome della società dopo
l’iscrizione nel registro delle imprese”.
169
instaura un litisconsorzio necessario; se, invece, con l’azione di nullità si mira a
difendere posizioni giuridiche altrimenti pregiudicate dall’atto nullo, allora il
processo dovrà svolgersi soltanto nei confronti dei soggetti interessati e dei
controinteressati alla difesa di tali posizioni giuridiche, pertanto in questo caso la
sentenza ha forza vincolante soltanto tra tali soggetti. La necessaria garanzia, che
l’ordinamento fornisce all’interesse generale, che si sostanzia nella possibilità di
effettuare, in ogni tempo, l’accertamento della situazione effettiva, comporta la
fisiologica imprescrittibilità dell’azione di nullità, secondo quanto dispone il testo
dell’art. 1422 cod. civ533.
La disciplina codicistica della nullità del contratto presenta due punti peculiari che
si concretizzano l’uno nella previsione concernente la nullità parziale e l’altro nella
norma che ha riguardo alla possibilità di conversione del contratto nullo534. Quanto
al primo, l’art. 1419 primo comma cod. civ., nel prevedere che “la nullità parziale di
un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell’intero contratto, se
risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo
contenuto che è colpita dalla nullità”, costituisce una particolare eccezione al
requisito della assolutezza che è proprio della categoria della nullità, essendo tale
espressa deroga generalmente giustificata, in dottrina ed in giurisprudenza,
mediante il ricorso al su richiamato principio di conservazione del contratto, di cui
all’art. 1367 cod. civ., dettato nell’ambito dell’interpretazione del contratto.
Analogamente, nel caso di nullità nel contratto plurilaterale, l’art. 1420 cod. civ.
recepisce il principio utile per inutile non vitiatur per cui lo scioglimento del
vincolo nei confronti di una sola parte non determina lo scioglimento dell’intero
rapporto contrattuale, a meno che la partecipazione di quella parte non debba,
secondo le circostanze, considerarsi essenziale535. Il tenore del disposto di cui
all’art. 1419 primo comma cod. civ. prende in considerazione l’ipotesi in cui la
nullità non coinvolga l’intero contratto, quanto piuttosto una clausola o una parte
dello stesso, ponendo il sindacato sulla validità/invalidità dell’intero documento
nelle mani del criterio di essenzialità della parte o della clausola affetta da nullità,
con il conseguente gravoso problema, a carico dell’interprete, di verificare se la
533
G. IUDICA, Impugnative contrattuali e pluralità di interessati, Padova, 1973, passim.
E. BETTI, v. Conversione del negozio giuridico (diritto vigente), in Nov. Dig., IV, p. 811
535
F. MESSINEO, Contratto plurilaterale, in Enc. dir., X, Milano, 1962, p. 154, chiarisce un dato
essenziale della figura in esame, affermando che “il fenomeno della variabilità del numero delle
parti, compatibile con la figura del contratto, non si concilia con la figura del negozio plurilaterale.
Questo non è un negozio aperto”.
534
170
valutazione dell’essenzialità sia da compiere sulla base degli elementi oggettivi o
soggettivi che hanno riguardo a quella determinata dinamica negoziale536.
Il secondo comma dell’art. 1419 cod. civ. detta, poi, la disciplina del fenomeno
della sostituzione automatica delle clausole contrattuali nulle con norme imperative,
statuendo specificamente che “la nullità di singole clausole non importa nullità,
quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative”. E’, questo,
un fenomeno di eterointegrazione che si compie, quindi, esulando dagli interessi
delle parti e prediligendo la tutela di interessi generali che vengono salvaguardati
nel momento in cui vi è completezza nella disciplina della produzione degli effetti
del contratto537. Si può, pertanto, asserire che il primo comma sia a tutela
dell’autonomia privata, mentre con il secondo comma emerge il tratto
marcatamente “pubblicistico” che contraddistingue la nullità dalla annullabilità
nell’ambito della categoria dell’invalidità negoziale538.
Quanto al problema della conversione del negozio nullo, soccorre la norma di cui
all’art. 1424 cod. civ. secondo cui “il contratto nullo può produrre gli effetti di un
contratto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma, qualora,
avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse lo
avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità”539. Questa norma ha in comune
con quella della nullità parziale la evidente ispirazione al principio di conservazione
del contratto540. Tuttavia, l’operatività di tale principio in questo caso non
comporta, come avviene invece nel caso di nullità parziale, l’eliminazione della
536
S. D’ANDREA, La parte soggettivamente complessa. Profili di disciplina, Milano, 2002, p. 93
ss.
537
B. DE GIOVANNI , La nullità nella logica del diritto, Napoli, 1964, passim.
L’argomento della nullità contrattuale è da affrontare nella cornice dell’odierno significato che,
nel profondo, assume la categoria della libertà contrattuale, la quale attualmente si sostanzia nel
fenomeno dei contratti standard, che ne ridisegnano i confini e le potenzialità, inducendo il giurista
a ripercorrere i momenti salienti della distinzione tra libertà contrattuale in senso formale ed in senso
sostanziale, come evidenziato da G. ALPA, Autonomia delle parti e libertà contrattuale, oggi, in
Riv. crit. dir. priv., 2008, 4, p. 593 ss.
539
G. GANDOLFI, La conversione dell’atto invalido, Milano, 1984, passim. Nonché S. TANDOI,
La conversione del negozio nullo: confermata la rilevanza dello scopo perseguito, in I Contratti,
2005, 10, p. 888, in cui, nell’esaminare una pronuncia della Suprema Corte in cui si afferma che ai
fini dell’operatività dell’art. 1424 c.c. occorre che siano soddisfatti i presupposti della presenza
nell’atto nullo dei requisiti di sostanza e di forma necessari per l’atto sostitutivo e che esso sia
conforme allo scopo perseguito dalle parti contraenti, osserva come l’indagine sull’atto di autonomia
negoziale stia spostando il fuoco prospettico da quello della volontà reale delle parti contraenti a
quello della volontà ipotetica e degli intenti pratici, in ossequio alle tendenze giurisprudenziali di
carattere europeo.
540
C. CAMARDI, Contratti di consumo e contratti tra imprese. Riflessioni sull’asimmetria
contrattuale nei rapporti di scambio e nei rapporti “reticolari”, in Riv. crit. dir. priv., 2005, p. 570,
osserva che “la cosiddetta asimmetria di posizione contrattuale e la conseguente tutela del cosiddetto
contraente debole vanno definiti nel contesto proprio dei rapporti di rete”.
538
171
clausola o della parte viziata, quanto piuttosto si converte il negozio nullo in un
altro negozio diverso da quello originariamente programmato dalle parti, attuando,
così, una sorta di riduzione funzionale del negozio stesso541. Ciò sarà possibile sul
presupposto per cui la sostanza, ovvero il contenuto del negozio nullo, sia idoneo a
permettere che si riconduca all’ambito di questo il nuovo negozio, e che la forma
del negozio nullo sia compatibile con quella richiesta per il negozio nuovo542. Vi è,
poi, necessità che vi sia identità di soggetti, il che vale a dire tra le parti dei due
negozi, malgrado la lettera della legge non lo statuisca espressamente543.
Dopo aver richiamato in breve i tratti che contraddistinguono la categoria della
nullità contrattuale per come essa è stata prevista e disciplinata nel tenore del
Codice del 1942, si passerà ora alla disamina della nullità per come essa è
ambientata nel contesto postmoderno544.
3. Se, a partire dall’entrata in vigore del Codice civile del 1942 fino a tempi
piuttosto recenti, l’invalidità negoziale ha occupato il posto di categoria autonoma,
unitariamente suddivisa in due pacifiche articolazioni interne, in cui si sostanziano
la figura della nullità e quella dell’annullabilità, costituendo la normativa codicistica
stessa la regolamentazione di riferimento dell’intero fenomeno, attualmente non è
invece possibile ricondurre la materia esclusivamente alle previsioni generali
contenute negli artt. 1418 e seguenti cod. civ., a fronte della presenza di una
massiccia e corposa legislazione speciale che, nel disciplinare la materia qui in
argomento, apporta testuali deviazioni rispetto alle regole appena richiamate545.
Negli ultimi anni, le scelte legislative, dettate dalle esigenze, di segno
esclusivamente economico, dei gruppi di potere maggiormente influenti sul
mercato, hanno significato lo stravolgimento della disciplina generale del contratto
e delle sue categorie ordinanti, giungendosi, in particolare nel campo dell’invalidità,
ad un assetto quasi sovversivo della disciplina codicistica546. Anche senza volersi
G. OPPO, I contratti d’impresa tra codice civile e legislazione speciale, in Studi in onore di C.M.
Bianca, III, Milano, 2006, passim; nonché ID., Categorie contrattuali e statuti del rapporto
obbligatorio, in Riv. dir. civ., 2006, 6, 43
542
A. D’ADDA, Nullità parziale e tecniche di adattamento del contratto, Padova, 2008, p. 145 ss.
543
M. MANTOVANI, Le nullità e il contratto nullo, in V. ROPPO (a cura di), Tratt. contr., V,
Milano, 2006, p. 43 ss.
544
V. SCALISI, Contratto e regolamento nel piano d’azione delle nullità di protezione, in Studi in
onore di C.M. Bianca, Milano, 2006, III, p. 837
545
G. D’AMICO, Nullità virtuale – Nullità di protezione (Variazioni sulla nullità), in Contratti,
2009, p. 727 ss.
546
Sul punto, è condivisibile l’osservazione di V. ROPPO, Il contratto del duemila, Torino, 2005, p.
15, in cui egli considera che “gli artt. 1418 – 1424 c.c. sembrano oramai disegnare un paradigma
541
172
spingere a condividere un approccio tanto estremo alle novità normative che hanno
riguardo al fenomeno della nullità contrattuale, rimane comunque pacifico che,
nelle contingenze contemporanee, sia necessaria una rilettura della disciplina
tradizionale, in modo tale da trovare una prospettiva di conciliabilità tra la
medesima e le emergenti istanze, al fine di riuscire a dare alle nuove discipline
anomale della materia una collocazione sistematica all’interno dell’ordinamento
giusprivatistico547. Per poter compiere tale passo, bisogna preliminarmente accettare
che le varie autonome figure extracodicistiche di “nullità speciale” sono entrate a
far parte del panorama generale delle fonti del diritto privato interno, per cui il
nucleo del problema ruota attorno alla indagine circa la possibilità che esse siano
ricondotte alla categoria tradizionale, o piuttosto, che rimangano figure a sé
stanti548. Per affrontare questo argomento, è stato indispensabile ripercorrere i tratti
salienti, le peculiarità nonché la ratio sottesa alla categoria tradizionale della
nullità549. Con il giusto sostrato, ci si può quindi soffermare sulla materia delle
clausole vessatorie contenuta, in un primo momento, nella novella al Codice civile
operata
mediante
l’introduzione
degli
artt.
1469-bis
e
seguenti550
e,
successivamente, nelle previsioni del Codice del Consumo, alle lettere degli artt. 33
e seguenti, interventi in seguito ai quali si è realmente posto il problema della
configurazione dogmatica della figura della nullità relativa, unitamente alla
necessità di verificare la compatibilità di queste nuove disposizioni con la disciplina
generale di cui agli artt. 1418 e seguenti cod. civ551. Già nella prima disciplina
consumeristica, l’art. 1469-quinquies cod. civ. sanciva una forma di inefficacia,
limitata alle singole clausole reputate vessatorie, la quale inefficacia operava
soltanto a vantaggio del consumatore ed era rilevabile d’ufficio552. Già in ciò vi era
la prima evidente deroga al tenore generale codicistico di cui all’art. 1419 cod. civ.,
residuale, di fronte alla proliferazione delle nullità speciali; e ciascuna di queste sembra andare per
conto proprio, sicché dall’insieme di esse non si riescono neppure a enucleare le linee di un coerente
paradigma alternativo”.
547
A. ALBANESE, Contratto. Mercato. Responsabilità, Milano, 2008, p. 83 ss.
548
Sulla pluralità delle figure di nullità speciale cfr. A. GENTILI, Nullità annullabilità inefficacia
(nella prospettiva del diritto europeo), in Contratti, 2003, 2, p. 203-205
549
F. SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 2002, passim.
550
La disciplina delle clausole vessatorie nella materia consumeristica è di matrice comunitaria.
Essa è stata dettata all’interno della Direttiva 93/13/CEE del 5 aprile 1993 ed è stata recepita nel
nostro ordinamento per la prima volta attraverso l’art. 25 della legge 6 febbraio 1996, n. 52, con il
quale è stato novellato il Libro IV, Titolo II, del Codice civile, mediante l’introduzione di tali
articoli, sotto la rubrica “contratti dei consumatori”.
551
R. SCOGNAMIGLIO, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1950, passim.
552
Sul punto cfr. E. GABRIELLI – A. ORESTANO, v. Contratti del consumatore, in Digesto. Disc.
Priv., sez. civ., Agg., Torino, 2000, p. 256 – 258.
173
in quanto non era previsto, prima di questo momento, che il vizio potesse inficiare
soltanto una parte del negozio, e che le sorti del negozio potessero essere affidate al
contegno nonché alla scelta del contraente debole: il consumatore553. L’ingresso nel
Codice554 della suddetta disciplina ha mostrato gradualmente i problemi di
compatibilità dell’innovazione con la categoria tradizionale, anche perché in origine
si parlava di “inefficacia” delle clausole vessatorie, piuttosto che di “nullità”. E’
stata proprio la comparsa della parola “nullità” all’interno del Codice del Consumo
che si è incaricata, per quanto attiene al settore del consumatore, di rappresentare in
maniera dirompente il punto di frattura della concezione unitaria, fino ad ora
pacifica, della nullità, o, forse, piuttosto, l’impulso evolutivo della categoria
tradizionale, ove si voglia guardare al nuovo come ad una soluzione di continuità
rispetto a ciò che c’è già555. Di qui, sorge allora spontaneo domandarsi se la
necessità delle nuove molteplici autonome figure di nullità valga a dimostrare la
sussistenza di limiti funzionali della categoria usuale. Già dalla rubrica dell’art. 36
Cod. cons., “nullità di protezione”556, risulta agevole osservare come non si debba
553
La necessità che il contraente debole, grandemente esposto agli abusi in sede di accettazione di
condizioni generali di contratto, sia efficacemente tutelato, è posta in risalto da C. GARUFI,
Condizioni generali di contratto: per le clausole vessatorie, comunque evidenziate, ritrascritte o
richiamate, occorre ulteriore e separata sottoscrizione, in Dir. e giust., 2010, p. 21 ss.
554
Vicenda, questa, che non è avvenuta del tutto in silenzio, né senza alcune preoccupazioni e
perplessità. Sul punto cfr. A. GENTILI, Codice del consumo ed esprìt de géométrie, in Contratti,
2006, p. 155; A. PALMIERI, Arriva il Codice del consumo: riorganizzazione (tendenzialmente)
completa tra addii ed innovazioni, in Foro It., 2006, V, c. 77; G. DE CRISTOFARO, Il “codice del
consumo”: un’occasione perduta?, in Studium Iuris, 2005, p. 1137; L. ROSSI CARLEO, La
codificazione di settore: il Codice del Consumo, in Rass. Dir. civ., 2005, p. 879; E-M- TRIPODI,
Diritto dei consumatori e codice del consumo- Postille al d. lgs. 206/2005, in Discipl. Comm., 2005,
p. 781; L. DELOGU, Anche in Italia un Codice del consumo?, in Contr. e impr./Eur., 2003, p. 1349.
555
N. SCANNICCHIO, Il diritto privato europeo nel sistema delle fonti. I presupposti per la
formazione del diritto privato europeo, in N. LIPARI (a cura di), Diritto privato europeo, Padova,
2003, I, p. 29-290
556
Sulla funzione che è deputato ad assolvere il “neoformalismo” sostanziatosi, già prima della
venuta ad esistenza del Codice del Consumo, in quella, se si vuole, preoccupante congerie di leggi
speciali attraverso le quali è stata statuita la forma scritta per i contratti del mercato finanziario (art.
23-24 d. lgs. 1998 n. 58), per quelli di subfornitura (art. 2 l. 1998 n. 192), per quelli bancari (art. 117
d. lgs. 1993 n. 385 TUB), nonché per la multiproprietà (art. 3 d. lgs. 1998 n. 427, ora confluita negli
artt. Cod. cons.) e il franchising (art. 3 l. 2004 n. 129), E. MORELATO, Neoformalismo e
trasparenza contrattuale, in Contr. Impr., 2005, 2, p. 592, opportunamente osserva come si tratti di
“vincoli formali che trovano applicazione in contesti in cui non ricorrono le finalità, né i presupposti
tradizionali della forma scritta ad substantiam. La stessa autrice prosegue, p. 596 – 597, rilevando
come “la forma vincolata, quale manifestazione del neoformalismo”, possa primariamente assolvere
ad una “funzione di certezza della vicenda contrattuale”, compiendo, sulle orme dei passi compiuti
da Irti nella sua analisi del requisito formale del diritto potestativo di recesso in capo al conduttore
ex art. 4 l. 1978 n. 392, nonché su quello previsto per la disdetta nel contratto d’affitto ex art. 4
secondo comma l. 1982 n. 203, la ricostruzione funzionale del complesso e avvincente iter del
principio della libertà di forma, fino al formalismo degli anni Ottanta e al neoformalismo dell’epoca
attuale, nella sintetica ma pregnante affermazione secondo cui “la forma serve a garantire e a fissare
il dialogo tra opposte categorie di contraenti”. Una funzione diversa da quella con la quale è stato
per molti anni aduso a misurarsi il giurista tradizionale. Si passa dunque da uno strumento di tutela
174
ravvisare la giustificazione della introduzione delle nuove nullità nella inidoneità
della figura tradizionale ad assolvere il proprio ruolo, in quanto qui viene piuttosto
in considerazione una diversa operatività della nullità consumeristica rispetto a
quella codicistica generale557. Il discorso non va, pertanto, impostato in chiave di
ricerca dei limiti, ma di emersione di diverse e specifiche esigenze della realtà
concreta tali per cui si è reso necessario affiancare alla consueta nullità le nuove
figure. Del resto, le categorie vengono create dagli stessi operatori del diritto con lo
scopo di ordinare i fenomeni della concreta e pragmatica realtà sociale558. Se,
quindi, con la nullità di cui agli artt. 1418 e seguenti cod. civ. l’ordinamento ha
apprestato uno strumento di tutela degli interessi pubblici contro tutte quelle
manifestazioni dell’autonomia negoziale non ossequiose dei precetti di legge, con la
nullità contenuta nel Codice del consumo il legislatore, con un intervento normativo
che, nella sua sostanza, è di chiara derivazione comunitaria, ha inteso approntare
una forma di garanzia di un contraente, quello debole, nella dinamica della
negoziazione559. Qui si coglie il passaggio del concetto di nullità dalla funzione
sanzionatoria a quella di tutela. Lo strumento in esame non è qui schierato dalla
parte dell’ordinamento, super partes, e collocato all’esterno della scena in cui viene
ambientata l’autonomia negoziale, quanto piuttosto all’interno della negoziazione,
ed è precisamente schierato dalla parte di un soggetto contraente, a garanzia di
questo nei confronti dell’altro. Il punto risulta, pertanto, chiarito, laddove si riesca a
condividere che la nullità ha conosciuto, per così dire, un aumento dei propri
compiti. Ciò ha, tuttavia, portato con sé l’esigenza di delineare nuovi tratti
strutturali suscettibili di permettere il conseguimento dell’obiettivo di tutela appena
descritto. Se si osservano i tratti identificativi della nullità consumeristica, si noterà
che essa costituisce una sorta di evoluzione di una mera inefficacia (tanto più che,
nel testo del Codice del Consumo, è scritto che le clausole abusive “non sono
vincolanti” – leggasi: sono inefficaci – per il consumatore), o comunque di un
ibrido tra mera inefficacia e nullità/annullabilità codicistiche. La nullità di
protezione è foriera di una invalidità relativa della clausola viziata, la quale è
degli interessi pubblici e dell’ordinamento ad una, per così dire, “mano invisibile” che si insinua
nella dinamica del rapporto negoziale con lo scopo di garantire certezza alla vicenda contrattuale.
557
U. NATOLI, Diritti fondamentali e categorie generali, Milano, 1993, p. 426.
558
G. OPPO, Categorie contrattuali e statuti del rapporto obbligatorio, in cit., p. 43 ss.
559
G. CIAN, Contratti civili, contratti commerciali e contratti d’impresa: valore sistematicoermeneutico delle classificazioni, in Riv. dir. civ., 2004, 6, 1, p. 849
175
rilevabile d’ufficio560. Se, da un lato, si tratta di una nullità azionabile solo da una
parte del contratto, dall’altro, l’intervento autoritativo del giudice può sostituirsi al
consumatore nel decidere le sorti del negozio, cosa che potrebbe anche, a voler
essere polemici, o forse soltanto critici, verso questa proliferante produzione
normativa, porsi in contrasto con le esigenze effettive del consumatore stesso561. In
ogni caso, questo impasse concettuale è stato superato mediante l’interpretazione
del testo di legge volta a limitare la rilevabilità d’ufficio ai soli casi in cui il
consumatore stesso non abbia manifestato espressamente una sua volontà sanante, o
perfino non abbia posto in essere alcun comportamento concludente dal quale
quest’ultima possa essere desunta562. In ogni caso, il potere/dovere d’indagine della
concreta situazione negoziale, di cui è titolare il giudice nell’esercizio della propria
funzione, include una scrupolosa valutazione, da parte di questo, di tutte le
potenziali conseguenze del suo intervento sulla sfera degli interessi del
consumatore, nonché delle intenzioni di quest’ultimo563. Per cui si dovrà valutare se
nell’effettivo caso di specie la clausola in esame sarà suscettibile di apportare al
consumatore soltanto svantaggi o se, invece, pur essendo essa nel suo contenuto
difforme dalle prescrizioni di legge, non sia piuttosto in grado di soddisfare gli
interessi che la parte debole abbia in concreto manifestato564. Una volta chiarito che
le nuove figure di nullità, lungi dal segnare il declino e la sconfitta della categoria
tradizionale, costituiscono soltanto espressione di emergenti situazioni economiche
e sociali che necessitano di strumenti giuridici di tutela ad hoc, rimane ora l’annosa
questione della qualificazione sistematica della nullità anomala contenuta nel
Codice del consumo, dal momento che il legislatore si è limitato a definirne
sommariamente i tratti somatici, senza dettarne la collocazione strutturale. Il
problema trova il suo fulcro nel tenore dell’art. 134 Cod. cons. e nella lettura di
questo in combinato disposto con l’art. 36 Cod. cons. Se è ormai fuor di dubbio il
carattere relativo e parziale dell’invalidità di cui all’art. 134, rimane tuttora aperta la
questione dell’inquadramento di questa nullità relativa nella cornice sistematica. E
Sulla rilevabilità d’ufficio delle nullità di protezione cfr. G. BONFIGLIO, La rilevabilità
d’ufficio delle nullità di protezione, in Riv. Dir. priv., 2004, p. 861
561
Sull’argomento amplius cfr. G. GIOIA, Nullità di protezione tra esigenze del mercato e nuova
cultura del contratto conformato, in Corr. Giur., 1999, p. 600.
562
A. LUMINOSO, Il contratto nell’Unione Europea: inadempimento, risarcimento del danno e
rimedi sinallagmatici, in I Contratti, 2002, 11, p. 1037
563
F. CRISCUOLO, Autonomia negoziale e autonomia contrattuale, IV, 1, in P. PERLINGIERI
(diretto da) Tratt. dir. civ. Consiglio Nazionale del Notariato, Napoli, 2008, passim.
564
A. GENTILI, Le invalidità, in I contratti in generale, II, in P. RESCIGNO (diretto da), Tratt.
contr., Torino, 2006, p. 1545
560
176
se tutti questi problemi fossero infondati in quanto originati esclusivamente da un
nomen iuris (quello di nullità di protezione) dato dal legislatore in modo atecnico ed
inappropriato, come sovente accade nei recenti testi normativi, ad uno strumento
che in realtà non presenta alcuna connessione con la categoria della nullità di cui
all’art. 1418 cod. civ.? “Tanto rumore per nulla”, verrebbe da dire! Se, certamente,
l’art. 134 Cod. cons. costituisce l’emblema di un trend legislativo settoriale volto a
dettare una normativa di protezione fondata su alterazioni allo statuto codicistico
delle invalidità negoziali, mediante il ricorso al nomen iuris di nullità per fattispecie
che, se, da un lato, sono caratterizzate dalla rilevabilità d’ufficio, dall’altro,
presentano il requisito della limitata legittimazione ad agire, non si ritiene tuttavia
di poter liquidare così pacificamente l’argomento. E ciò in quanto, anche a voler
tralasciare la questione nullità anomale – nullità codicistica, il problema si
ripropone con impellenza, oggigiorno, investendo tutte le categorie generali del
diritto dei contratti565. Con la conseguenza per cui, affrontare questo argomento con
riguardo alla nullità, non costituisce altro che un utilissimo allenamento per poter
creare una nuova concezione della categoria, da intendersi non più come vertice di
una piramide rispetto alla quale ricondurre, a cascata, tutti i fenomeni che
presentino i requisiti per poter essere ascritti alla medesima, e dove ai vari livelli
della piramide corrisponda un maggiore o minore grado di specialità della disciplina
per determinate fattispecie, quanto piuttosto come una etichetta da apporre su un
contenitore al cui interno vi sono a loro volta tanti contenitori, di uguali dimensioni,
autonomi gli uni dagli altri566. Perciò, se si esclude l’impostazione per cui nel
Codice del consumo, così come negli altri luoghi della legislazione di settore, il
termine nullità è stato usato commettendo un errore linguistico, allora si potrà
considerare che la categoria delle nullità (al plurale) è composta da una molteplicità
di figure autonome, rispetto alle quali quella codicistica ne è soltanto una, che
hanno alcuni elementi in comune tali per cui vengano ricondotte alla medesima
categoria (in particolare, con riguardo alla nullità di protezione, la rilevabilità
d’ufficio567). Per fare ciò, si deve abbandonare l’abitudine al voler leggere ad ogni
565
N. SCRIPELLITI, Tecniche di protezione del contraente debole, tra Codice del consumo,
disciplina speciale delle locazioni e Codice civile, in Arch. locaz. e cond., 2008, 6, p. 603
566
R. CALVO, Il risparmiatore disinformato tra poteri forti e tutele deboli, in Riv. trim. dir. e proc.
civ., 2008, 4, p. 1431
567
Il tenore del terzo comma dell’art. 36 cod. cons. espressamente prevede che “la nullità opera
soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice”. Sul punto P.
CHIRICO, Commento sub art. 36 cod. cons., in E. CESARO (a cura di), I contratti del consumatore
– Commentario al Codice del consumo (d. lgs. 6 settembre 2005 n. 206), Padova, 2007, p. 590
177
costo in chiave sistematica, e quindi tramite il principio di specialità, le nuove
figure che segnano il passaggio dall’utilizzo al singolare all’utilizzo al plurale dei
vari termini che individuano ciascuna delle diverse categorie contrattuali568. Alla
categoria non corrisponde più una figura, ma una molteplicità di figure provenienti
dai diversi settori dell’esperienza concreta nei quali la categoria viene, di volta in
volta, creata e resa operativa569.
4. Viene in considerazione in questo discorso anche la causa, sia quale categoria
contrattuale che conosce anch’essa, in quest’epoca, rilevanti mutamenti rispetto alla
sua configurazione originaria, sia quale requisito essenziale del contratto nonché
quale fonte di nullità negoziale, nel caso in cui la causa sia illecita o manchi del
tutto570. Per molti decenni, il concetto di causa del contratto si è posto al centro di
ogni dibattito sull’autonomia negoziale, dal momento che la causa stessa costituisce
un ponte tra gli interessi dei soggetti privati e gli strumenti negoziali che
l’ordinamento mette a disposizione affinché tali interessi possano essere
perseguiti571. La causa va, quindi, intesa quale essenziale momento di raccordo tra
la posizione dei soggetti privati e l’ordinamento. Nel corso degli anni il concetto di
causa è stato riempito di significati specifici diversi, negli ambienti della dottrina,
con il conseguente avvicendarsi di teorie e tentativi di definizione dell’istituto, del
quale lo stesso legislatore del 1942 ha preferito omettere di dettare la nozione,
osserva che “la regola della rilevabilità di ufficio a vantaggio del consumatore introduce un principio
volto a facilitare l’onere probatorio sia da parte del singolo consumatore che dell’ente collettivo che
agisce nell’interesse della categoria dei consumatori. In tal senso, si afferma che eventuali carenze
nell’allegazione dei profili di abusività delle clausole possono essere colmati dal giudice”.
568
E. LUCCHINI GUASTALLA, Sul rapporto tra parte generale e parte speciale della disciplina
del contratto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2004, I, p. 379.
569
M. COSTANZA, Il contratto e il negozio: due non categorie, in Vita Not., 1988, 4-5, p. 500
570
La mancanza della causa si verifica ogniqualvolta il contratto che le parti hanno concluso non
menzioni la propria ratio giustificatrice, e questa eventualità è da tenere distinta dalla figura della
illiceità della causa la quale viene in considerazione nel caso in cui la ratio giustificatrice che
sorregge la specifica operazione, pur essendo stata esplicitata e menzionata all’interno del contratto,
incontra la disapprovazione dell’ordinamento. In quest’ultimo caso, a seconda della modalità in cui
si verifica la contraddizione della causa concreta rispetto all’ordinamento, si prospettano tre ipotesi
distinte: quella del contratto illecito, del contratto illegale, del contratto immorale.
571
L’iter attraverso cui la causa è giunta a ricoprire tale ruolo di preminenza nel discorso sulla
materia del contratto ha conosciuto, storicamente, una vera e propria evoluzione in seguito alla quale
si è assistito al passaggio dalla causa dell’obbligazione alla causa del contratto. G.B. FERRI,
L’”invisibile” presenza della causa del contratto, in Eur. e dir. priv., 2002, 4, p. 898, argomentando
in merito alla assenza dell’elemento della causa dalle codificazioni contemporanee, dovuta
certamente alla impossibilità di delineare un univoco concetto di causa che sia familiare ai diversi
ordinamenti nazionali, ricorda che “i codici francese ed italiano, che fanno riferimento alla causa,
quale elemento del contratto, la intendono in maniera non univoca; nell’esperienza francese e
nell’esperienza italiana del codice civile del 1865 la causa è (ed era) intesa come “causa
dell’obbligazione”, mentre nell’attuale esperienza italiana la causa è “causa del contratto”.
178
probabilmente nella lungimirante intuizione che la causa, al pari della buona fede,
dell’equità e degli altri cosiddetti “concetti-valvola”, è uno degli strumenti di
integrazione dell’ordinamento con la realtà concreta, ed, in quanto tale, suscettibile,
quindi, di assumere significati specifici diversi a seconda delle epoche storiche e
delle esigenze della collettività572. Con l’entrata in vigore del Codice del 1942, la
dottrina ha subito iniziato a lavorare per elaborare una nozione del concetto di causa
del contratto573. Dopo il non grande successo conosciuto dalla teoria soggettiva,
secondo la quale la causa andava ravvisata nel momento ultimo delle ragioni che
risiedono nella sfera psichica e volitiva individuale e nello scopo soggettivo, ha
prevalso per moltissimo tempo la teoria oggettiva, imperniata sulla definizione di
causa quale funzione economico-sociale del contratto. Sulle orme di quanto
espresso nella Relazione al Codice, i sostenitori di questa teoria, largamente
accreditata, hanno argomentato a partire dalla considerazione secondo cui
l’approccio alla causa deve essere condotto non in termini di strumento posto al
servizio degli interessi delle parti contraenti, quanto piuttosto come mezzo tecnico
attraverso cui l’ordinamento compie la verifica della meritevolezza di tutela degli
interessi privati e della riconducibilità di quegli interessi alle finalità che
l’ordinamento stesso persegue e garantisce574. Alla causa è stato, quindi, demandato
il compito di svolgere il controllo circa la sussistenza della meritevolezza di tutela
degli interessi perseguiti in concreto dai soggetti privati: la causa, difensore
dell’ordinamento, verrebbe da dire575. Questa teoria, per quanto sia stata formulata
P. DUVIA, La sostituzione automatica di clausole nell’art. 1419, comma 2, cod. civ., in Riv. dir.
priv., 2008, 4, p. 789 ss., indaga sul corretto significato da attribuire alla “automaticità” del
meccanismo di sostituzione delle clausole nulle, ricordando che questo strumento, mutuato
dall’esperienza del diritto del lavoro, ha conosciuto il suo momento apicale negli anni sessanta
proprio a fronte del consolidarsi della legislazione vincolistica, assurgendo ad elemento di forte
limitazione dell’autonomia privata, con la conseguenza per cui il nucleo del problema va spostato
nella direzione della individuazione delle condizioni in presenza delle quali la sostituzione possa
definirsi correttamente “automatica”, problema di non poca rilevanza se si considera che l’ambito di
operatività del secondo comma dell’art. 1419 c.c. esclude l’applicabilità del primo comma della
medesima norma. Nel ricordare che il primo comma si inquadra nell’alveo dei principi di
economicità e di conservazione del contratto in ossequio alla volontà delle parti, l’Autore pone in
risalto come invece il secondo comma, la cui ratio è da ravvisare nell’esigenza di tutela di interessi
di carattere generale, da ricondurre peraltro al meccanismo dell’integrazione legale, esprime un
intento sanzionatorio del legislatore, indirizzato ad una sola o ad entrambe le parti, a seconda
dell’interesse che ciascuna di essa aveva con riguardo alla clausola automaticamente sostituita dalla
norma imperativa.
573
C. CASTRONOVO, Diritto privato generale e diritti secondi. La ripresa di un tema, in Eur. dir.
priv., 2006, p. 397
574
R. CAPONI, Azione di nullità (profili di teoria generale), in Riv. dir. civ., 2008, 1, p. 59
575
Non si tralasci tuttavia l’operatività della causa anche quale criterio di qualificazione del
contratto. Sul punto cfr. A. BARENGHI, Qualificazione, tipo e classificazione dei contratti, cit., p.
308.
572
179
molto autorevolmente ed abbia accolto un grande consenso, ha mostrato tuttavia
alcune intrinseche contraddizioni non trascurabili. Si pensi al problema della
ammissibilità della illiceità della causa nei contratti tipici576. La concezione della
causa quale mezzo di controllo dell’ordinamento sull’autonomia privata mal si è
andata adattando alle nuove esigenze dettate dalla circolazione dei beni nell’epoca
della contrattazione europea e mondiale, mostrando come, nel momento, attuale sia
quanto mai necessario condurre l’approccio alla causa non più in termini ideologici
e dogmatici, bensì con la consapevolezza del ruolo operativo che in concreto tale
categoria è oggi chiamata a svolgere. In tempi recentissimi, la stessa Suprema Corte
ha messo da parte la nozione di causa in termini di funzione economico-sociale per
abbracciare il ripensamento della causa alla stregua di funzione economicoindividuale, da intendersi quale espressione di quelle finalità soggettive dei
contraenti che si oggettivano all’interno della dinamica negoziale577. La causa è
intesa ora come elemento di raccordo tra gli interessi delle parti contraenti che
rilevano nel rapporto contrattuale. Con la conseguenza per cui, per tale via, viene
sciolto il problema della conciliabilità del concetto di causa con il tipo negoziale. Se
si osserva però il panorama del diritto europeo dei contratti, si noterà che i
molteplici interventi normativi, volti a portare avanti il processo di armonizzazione
delle legislazioni nazionali, non solo nella materia consumeristica ma anche in
quella dell’usura o dell’abuso di dipendenza economica, mostrano di voler
prescindere dal concetto di causa578. Oggi il sindacato della meritevolezza di tutela
degli interessi privati viene compiuto essenzialmente mediante la adesione delle
parti al programma contrattuale prestabilito, l’operatività di norme inderogabili
destinate a sostituire automaticamente la difforme volontà dei soggetti privati, e la
G. GITTI, La ” tenuta” del tipo contrattuale e il giudizio di compatibilità, in Riv. dir. civ., 2008,
I, p. 491
577
V. SCALISI, Il diritto europeo dei rimedi: invalidità e inefficacia, in Riv. dir. civ., 2007, 6, 1, p.
843
578
E. NAVARRETTA, Europa cum causa, in Diritto comunitario e sistemi nazionali: pluralità
delle fonti e unitarietà degli ordinamenti. Atti del 4° Convegno Nazionale, 16-17-18 aprile 2009 –
Capri, Napoli, 2010, nell’affrontare l’argomento dell’attuale scomparsa della causa dal Draft
Common Frame of Reference attraverso l’analisi dell’istituto dell’arricchimento senza causa,
osserva, a p. 337, che “la causa del contratto sia che venga in considerazione a priori, nei sistemi
che la associano al rimedio della nullità, sia che venga in esame a posteriori attraverso il titulus che
opera come causa di giustificazione dell’avvenuta attribuzione è chiamata in ogni caso a verificare
che vi sia un minimo di razionalità esternata o, comunque, ricostruibile nella produzione dell’effetto
giuridico, che manca non solo nell’attribuzione derivante da un accordo nudo, ma anche
nell’attribuzione effettuata in esecuzione di un accordo con causa simbolica o con causa
radicalmente irrisoria”.
576
180
statuizione di rigidi obblighi di condotta a tutela della parte debole 579. Nello
scenario appena prospettato, che altro non è se non la fedele descrizione della realtà
concreta contemporanea in cui viene ambientata la versione postmoderna
dell’autonomia negoziale, la causa si riduce a mero criterio di individuazione
dell’ambito di applicazione di una determinata legge580. Tanto i Principi Unidroit
quanto i Principles of European Contract Law (quelli elaborati dalla Commissione
Lando), nel delineare i requisiti essenziali del contratto, prescindono sia dal
concetto di causa (proprio dei sistemi di civil law), sia dalla consideration (che
consiste in una sorta di corrispettivo della causa, nei sistemi di common law)581,
laddove la consideration opera in veste di presupposto per la validità o la
eseguibilità di un determinato contratto, per la modificazione o la risoluzione del
contratto stesso da parte dei soggetti contraenti, rimanendo tuttavia poco operativo
sul piano pratico, dal momento che, trattandosi per lo più di contratti che, secondo
la terminologia continentale, sono a prestazioni corrispettive, e quindi le
obbligazioni sono generalmente assunte da entrambe le parti, acquistando,
specularmente, maggiore importanza sia la volontà di una parte di obbligarsi
giuridicamente nei confronti dell’altra sia il contenuto stesso del contratto, in cui è
presente una serie di clausole aventi ad oggetto l’attribuzione alle parti di un ampio
e dettagliato spettro di diritti e doveri, quali quello di recesso 582, quelli di
informazione, attraverso cui l’ordinamento abilita la parte che è giunta alla
stipulazione senza essere, non per sua colpa, a conoscenza di determinate
informazioni, a sciogliere il rapporto negoziale, con la conseguenza del prodursi dei
medesimi effetti economici che si realizzerebbero mediante il ricorso allo strumento
della nullità583. L’armonizzazione a livello europeo ed internazionale della materia
dei contratti porta, quindi, con sé inevitabilmente il declino della causa come
Si è autorevolmente parlato di “morte della causa”. Sul punto U. BRECCIA, Morte e
resurrezione della causa: la tutela, in S. MAZZAMUTO (a cura di), Il contratto e le tutele.
Prospettive di diritto europeo, 2002, p. 241
580
Si pensi al tentativo, compiuto dalla dottrina, di costruzione di un concetto di contratto con causa
di consumo.
581
Ben si comprende la scelta, operata, in particolare, in sede di formulazione dei Principi
UNIDROIT, di omettere la causa, se si considera che essi si inseriscono in un programma di
armonizzazione a livello internazionale del diritto contrattuale e certamente non sarebbe stato
proficuo affidare il controllo della meritevolezza di tutela degli interessi privati ad un concetto,
quale quello di causa, che trova la sua origine negli ordinamenti nazionali, espressione sia della
essenziale eteronomia delle regole che disciplinano la manifestazione dell’autonomia contrattuale
rispetto alla stessa, sia della dimensione statuale del diritto.
582
F. DI MARZIO, Teoria dell’abuso e contratti del consumatore, in Riv. dir. civ., 2007, 5, 1, p. 681
583
E. BEVILACQUA – M. LABRIOLA, Codice del consumo: clausole vessatorie nei contratti di
mutuo bancario ed intervento del notaio, in Riv. not., 2007, 3, p. 703
579
181
elemento essenziale del contratto, sintomo della rinuncia, che l’ordinamento è stato
costretto a fare, al sindacato sulla meritevolezza di tutela degli interessi sottesi alla
contrattazione in concreto584. La perdita di centralità della causa all’interno delle
dinamiche attraverso cui si svolgono gli scambi ha, per di più, condotto
all’affermarsi, sulla scena dei cosiddetti tools, della categoria delle promises
binding without acceptance: vincoli unilaterali.
Ove, tuttavia, si sia convinti che tanto i redattori dei Principi Unidroit quanto quelli
dei Principi di diritto europeo dei contratti, in sede di formulazione dei rispettivi
lavori, non abbiano potuto non essere persuasi, seppur a livello subliminale, da una
certa insita familiarità con la categoria della causa, allora si noterà come, essendo il
contratto in entrambi i testi trattato alla stregua dello strumento d’elezione
attraverso cui si realizza “l’affare”, quindi nella sua dimensione funzionale, sia
possibile ravvisare le tracce della stessa costruzione della causa in chiave
economico-individuale585.
La constatazione della perdita di centralità della causa all’interno dell’autonomia
negoziale porta con sé un certo timore riguardo alla possibilità che, nell’attuale
modalità in cui la stessa libertà contrattuale si esplica, si arrivi all’acquisizione di
una autonoma rilevanza dell’intento delle parti di vincolarsi giuridicamente, con la
conseguenza per cui ci si troverebbe di fronte al problema della ammissibilità di un
accordo per così dire svincolato dalle regole del diritto statuale ed, in quanto tale,
non suscettibile di essere sanzionato giuridicamente mediante gli strumenti
tradizionali: dall’affare che le parti concluderebbero trarrebbe, così, origine un
assetto di interessi esterno all’ordinamento giuridico e, per meglio dire, esente da
esso. Un accordo sottoposto, pertanto, esclusivamente alle regole che appartengono
al tessuto della morale o a quelle che, seppur invalse nella società, sono tuttavia
prive del crisma della giuridicità. Già per la verità le premesse di tale fenomeno si
possono scorgere nel gentlemen’s agreement586. E’, del resto, in potere dei soggetti
privati la scelta di fare ricorso a meri vincoli sociali al fine di regolare i loro affari,
con la conseguenza per cui queste modalità di accordi, esulando dalla sfera di
sovranità dell’ordinamento giuridico, rimangono totalmente ed esclusivamente
C. CACCAVALE, La “nullità” di protezione delle clausole abusive e l’art. 28 della legge
notarile, in Notariato, 2007, 1, p. 49
585
Alludendo a ciò, G.B. FERRI, L’ “’invisibile” presenza della causa del contratto, in Eur. dir.
priv., 2002, I, p. 897.
586
Si tratta di un atto di autonomia sociale. Sul punto N. LIPARI, Rapporti di cortesia, rapporti di
fatto, rapporti di fiducia (Spunti per una teoria del rapporto giuridico), in Riv. Trim. dir. proc. civ.,
1968, p. 414
584
182
regolati dalla volontà dei soggetti che li pongono in essere587. Se si ammette che
l’autonomia negoziale non è un potere che l’ordinamento concede ai soggetti
privati, quanto piuttosto una capacità che questi stessi hanno e che viene ad essere
ricompresa nel campo di operatività dell’ordinamento giuridico nel momento in cui
sono gli stessi soggetti privati a volere che il rapporto che pongono in essere ricada
nella sfera di tutela che l’ordinamento può accordare, allora non sarà più
improbabile pensare che esistono vincoli derivanti da atti di autonomia privata, con
i quali può accadere che abbiano origine anche affari di grande rilevanza sotto il
profilo economico, ed ai quali non è possibile attribuire, attraverso il procedimento
di qualificazione dell’atto, l’idoneità alla produzione dell’effetto giuridico588. Il
concetto di causa viene tradizionalmente utilizzato per assolvere a diverse funzioni,
che possono essere riassunte in quattro blocchi essenziali: la causa, quale elemento
attraverso cui operare la summa divisio tra promesse giuridicamente vincolanti e
non vincolanti; quale criterio di qualificazione del contratto, che permette di
ascrivere il singolo contratto ad un tipo piuttosto che ad un altro, o, altrimenti, a
collocarlo nel novero di quel complesso e variegato scenario della atipicità
negoziale che, oggigiorno, acquista sempre maggiore terreno all’interno del
panorama dei contratti; quale criterio di controllo della conformità dell’operazione
negoziale, che, con la stipula del contratto, viene in concreto conclusa, rispetto ai
precetti inderogabili di legge, nonché ai principi dell’ordine pubblico e del buon
costume; quale strumento di integrazione del regolamento contrattuale. Se è
pacifico che con il sintagma “qualificazione del contratto” si intende indicare quella
complessa attività che si sostanzia nella valutazione del contratto alla luce dei
principi della disciplina normativa della materia contrattuale, allora ben si
comprenderà l’essenziale differenza tra qualificazione ed interpretazione, laddove
l’interpretazione è, per così dire, un momento che viene affidato alla competenza
del giudice di merito, in sede di accertamento fattuale, e nel quale il giudice stesso
rintraccia ed individua la comune volontà delle parti contraenti 589. La qualificazione
consiste piuttosto nell’inquadramento della comune volontà all’interno dello
schema legale corrispondente. Il procedimento di ascrizione del contratto
concretamente venuto ad esistenza, mediante l’attività negoziale delle parti
587
V. SCALISI, Il contratto e le invalidità, in Riv. dir. civ., 2006, 6, p. 237
C. IURILLI, Le garanzie nella vendita dei beni di consumo tra Codice civile e Codice del
consumo, in Studium iuris, 2006, 12, p. 1365
589
P. QUARTICELLI, Contratto di vendita di pacchetto turistico e nullità per mancanza di forma
scritta, in Nuova giur. civ. comm., 2006, 9, 1, p. 882
588
183
contraenti, ad un determinato tipo legale (o del tipo sociale, nel caso di contratto
atipico590) si fonda proprio sulla considerazione delle rispettive cause e sulla
valutazione di aderenza della causa concreta alla causa tipica, indipendentemente
dal nomen che le parti abbiano dato al contratto posto in essere. La funzione del tipo
consiste proprio nel permettere di determinare le regole giuridiche che si possano
applicare ai rapporti contrattuali al medesimo riconducibili, in modo tale da
specificare il novero, generalmente molto ampio, dei diritti e degli obblighi delle
parti. Nel contingente panorama in cui si svolgono gli scambi commerciali, si
assiste tuttavia ad una inevitabile perdita di centralità della tipicità negoziale, dal
momento che la complessità delle transazioni richiede, molto spesso, la creazione di
modelli e schemi negoziali non noti al mondo della tipicità giuridica. Di qui,
l’importanza del giudizio di meritevolezza di tutela degli interessi, che costituisce il
filtro attraverso cui vagliare le operazioni negoziali che possano trovare una tutela
da parte dell’ordinamento, e paralizzare quelle che, al contrario, risultino in
contrasto con i principi inderogabili dello stesso591. Ci si è chiesti se la causa di
meritevolezza operi esclusivamente con riguardo ai contratti atipici o se, piuttosto,
essa rappresenti il richiamo, in materia di contratti atipici, ad una clausola generale
che, in modo espresso o implicito, opera anche rispetto ai contratti tipici. La
questione, per la verità alquanto spinosa in dottrina, ruota intorno all’indagine sui
rapporti tra l’art. 1322 e l’art. 1343 cod. civ., che possono essere ricostruiti nella
seguente maniera: l’art. 1322 cod. civ. costituisce espressione di una clausola
generale applicabile tanto ai contratti atipici, quanto a quelli tipici, andando per
questi ultimi a rafforzare il controllo effettuato per mezzo dell’art. 1343 cod. civ.;
l’art. 1322 cod. civ. è da ritenersi applicabile ai soli contratti atipici, e l’art. 1343
cod. civ. contiene un divieto di portata generale previsto soltanto per i contratti
tipici; l’art. 1322 cod. civ. va avvicinato come una sorta di duplicazione dell’art.
1343 cod. civ., con la conseguenza per cui i contratti atipici che non siano volti a
590
Il discrimen tra tipo legale e tipo sociale si sostanzia in ciò: nel primo, si tratta di un modello di
operazione economica che è stato preso in considerazione dal legislatore, che lo ha espressamente
disciplinato, a tal punto da fare di esso un modello normativo; nel secondo caso, il modello di
operazione economica trova la propria genesi nonché il proprio sviluppo nella realtà concreta della
pratica degli affari. Sovente, il tipo emerso dall’esperienza pragmatica e concreta si converte in tipo
legale, e ciò accade ogniqualvolta il legislatore, previa valutazione della rilevanza e della diffusione
del modello, ritenga opportuno dettarne una disciplina espressa. F. LAPERTOSA, Tipicità e
atipicità nei contratti, in P. CENDON (a cura di), Il diritto privato nella giurisprudenza, II, Torino,
2000, p. 15 ss.;G. DE NOVA, Il tipo contrattuale, Padova, 1974, p. 59; R. SACCO, Autonomia
contrattuale e tipi, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1966, p. 785
591
G. PERLINGIERI, Funzione notarile e clausole vessatorie. A margine dell’art. 28 l. 16 febbraio
1913 n. 89, in Rass. dir. civ., 2006, 3, p. 804
184
perseguire interessi meritevoli di tutela non sarebbero nient’altro che contratti
atipici contrari a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume592.
Queste sono le tre vie prospettate dalla dottrina per risolvere il problema.
L’intervento della Cassazione è stato tuttavia assai chiarificatore, in quanto, in
merito alla questione della disciplina da applicare ai contratti atipici, la Suprema
Corte stessa ha affermato che ai contratti non espressamente disciplinati dal codice
civile (ovvero i contratti atipici o innominati) possono legittimamente applicarsi, in
aggiunta alle norme generali in materia di contratti, anche le norme regolatrici dei
contratti nominati, ogniqualvolta il concreto atteggiarsi del rapporto, quale
risultante dagli interessi coinvolti, faccia emergere situazioni analoghe a quelle
disciplinate dalla seconda serie di norme593. La causa non si inserisce nella
dinamica negoziale soltanto in quanto elemento essenziale e qualificante
dell’operazione, attraverso cui si accerta se la stessa sia meritevole di tutela da parte
dell’ordinamento giuridico, ma anche come criterio basilare per l’effettuazione del
controllo di liceità dell’operazione medesima, sulla base della regolamentazione
degli interessi voluta e posta in essere dalle parti. Statuisce, infatti, il disposto di cui
all’art. 1343 cod. civ. che l’operazione deve essere valutata nella sua conformità
alle norme imperative, all’ordine pubblico nonché al buon costume. Tale controllo
investe la struttura dell’accordo a partire dalla sua ratio giustificatrice. Gli esiti del
controllo investono anche gli effetti dell’accordo, il che vuol dire i risultati giuridici
ed economici ai quali esso è volto nonché l’eventuale vincolo di relazione o
dipendenza rispetto ad altre operazioni594. L’elemento causale ricorre altresì in
funzione di integrazione del regolamento voluto dalle parti. Esso permette
all’interprete di indagare l’operazione dall’interno, in quanto blocco di interessi
Sul punto cfr. E. MOSCATI, La causa del contratto, in N. LIPARI – P. RESCIGNO (diretto da),
Diritto civile, vol. III – Obbligazioni, II – Il contratto in generale, Milano, 2009, p. 269 ss.
593
Si tratta di un principio affermato dalla Suprema Corte con riguardo ad una vicenda di locazione
finanziaria traslativa alla quale è stata ritenuta applicabile la norma di cui all’art. 1526 cod. civ. che
prevede la risoluzione del contratto di vendita con riserva della proprietà e, pertanto, ritiene
inapplicabile il dettato normativo di cui all’art. 1458 primo comma cod. civ. Sul punto cfr. Cass., 28
novembre 2003, n. 18229, in Rep. Foro It., 2003, v. “Contratto in generale”, n. 257; Cass., 23
febbraio 2000, n. 2069, in Vita Not., 2000, p. 870.
594
La prassi del ricorso al fenomeno del collegamento negoziale implica uno spostamento di
prospettiva nell’approccio all’argomento della causa, la quale viene colta non più all’interno di
ciascuno dei contratti coinvolti nella complessa operazione negoziale ed economica, bensì
all’esterno, nella finalità oggettiva dell’intera operazione. Ben si adatta a descrivere la realtà odierna
della causa l’intuizione nitida e lungimirante di M. GIORGIANNI, v. Causa (dir. priv.), in Enc. dir.,
VI, Milano, 1960, p. 564, il quale afferma che “noi riteniamo che nel nostro ordinamento la
“funzione” del negozio assume frequentemente il ruolo di “causa”, ovverosia di “giustificazione”
dello spostamento patrimoniale attuato col negozio stesso, ma riteniamo altresì che la “causa” vada
ricercata talora al di fuori della “funzione” del negozio”.
592
185
programmati dalle parti contraenti, e la causa viene in tale contesto vista quale
strumento idoneo a garantire il permanere degli equilibri raggiunti tra interessi
confliggenti anche a fronte di eventi sopravvenuti. La causa assurge, quindi, in
questa prospettiva, a cartina di tornasole dell’economia dell’affare: in essa si
sostanzia la sintesi delle ragioni soggettive oggettivamente rilevanti che sorreggono
e giustificano in concreto l’atto di autonomia privata, nell’ottica di attribuire all’atto
una concreta funzione individuale, per cui dalla causa dipende l’equilibrio
funzionale dell’atto di autonomia privata595.
Il nostro ordinamento è improntato sul principio di causalità596. Ogni dibattito sulla
materia delle obbligazioni e del contratto ha conosciuto sempre, pertanto,
riferimenti al tema della causa. Nel processo di armonizzazione europea ed
internazionale del diritto dei contratti, si assiste invece ad una, seppur apparente,
inversione di tendenza, dal momento che, almeno ad un approccio testuale con i
vari prodotti di questo complesso lavoro, si registra l’assenza della causa. Bisogna
comprendere se si tratti di una estraneità soltanto testuale, o, al contrario, se tale
mancanza sia da riscontrare anche nel sistema concettuale sotteso al lavoro di
redazione dei testi attraverso cui portare avanti il processo di armonizzazione.
E’opportuno rilevare come, per un verso, il concetto di causa che è proprio dei
sistemi a vocazione codicistica non coincida con la consideration597 di ambiente
anglo-sassone, e come l’indagine sulla meritevolezza di tutela degli interessi e sulla
conformità dell’operazione negoziale all’assetto giuridico inderogabile venga
595
Sul punto cfr. G. MARINI, La causa del contratto, in P. CENDON, (a cura di), Il contratto in
generale. Requisiti ed elementi del contratto, Milano, 2003, p. 14.
596
L’affermazione è corretta, laddove tuttavia non si ometta di ricordare che, con riguardo a
determinati istituti, questo principio conosce una forte attenuazione della propria operatività. Si
pensi alle ipotesi della rinuncia ad un diritto o alla remissione di un debito, nei quali non è richiesta
la causa; allo strumento probatorio della confessione o, ancora, al negozio di accertamento.
597
I limiti della consideration vengono individuati a chiare linee da E. NAVARRETTA, La causa e
le prestazioni isolate, Milano, 2000, p. 239-240, la quale evidenzia l’inadeguatezza della
consideration rispetto alla prospettiva del contratto che ci consegna l’esperienza giuridica
contemporanea facendo leva sulla “rigidità” che si registra “nella costruzione della consideration,
legata a regole giurisprudenziali quali l’irrilevanza della past consideration o della moral
consideration”. In particolare, si afferma che “se pure la consideration esprime una visione di
garanzia individualistica, in qualche modo correlabile (…) con quella della causa, di fatto la sua
costruzione incarna una logica di tutela rigorosamente costruita sul sinallagma contrattuale, che
viene ulteriormente irrigidito dal presupposto dell’attualità delle prestazioni (…). Proprio tale
mancanza di flessibilità ha indotto un processo di erosione della consideration in direzione di tutela
formale più che sostanziale ed è alla base delle costanti soluzioni elusive e delle modifiche
legislative che, da un lato, hanno privato in buona parte l’elemento della sua stessa matrice
garantistica, ma, da un altro lato, non sono riuscite comunque ad attribuirgli sufficiente elasticità”.
Nella distinzione tra causa e consideration, si chiarisce che “la causa (…) non ostacola l’autonomia
privata né la libertà creativa delle parti, ma impedisce unicamente la programmazione di un affare
irrazionale, nel quale sia insito il rischio di una sopraffazione di una parte sull’altra o quello di un
privilegio dei terzi rispetto ai contraenti”.
186
affidata a strumenti diversi dalla causa, senza trascurare che anche la funzione della
causa quale mezzo di sussunzione del contratto in concreto concluso ad una
disciplina piuttosto che ad un’altra perde la sua importanza nel momento in cui si
ammette che la disciplina del contratto possa essere affidata a fonti normative di
matrice non legislativa, rispetto alla cui operatività l’ascrizione di quel contratto alla
tipicità legale o soltanto a quella sociale non è rilevante in quanto tali fonti
prevalgono su qualsiasi disciplina legale (non inderogabile), essendo esse stesse
invocate dalla autonomia negoziale delle parti contraenti598. Si è fatto ricorso ad
espedienti nuovi e diversi per perseguire un risultato che, nell’ordinamento
tradizionale, è stato affidato per lungo tempo all’istituto della causa. Certamente, in
sede di avvicinamento dei vari sistemi giuridici nazionali, si è voluto evitare di
adoperare istituti che, negli ordinamenti dei diversi Paesi, o sono del tutto assenti o
si presentano con caratteristiche assai diverse. Tuttavia il giurista avvezzo ad
operare con le categorie contrattuali tradizionali non potrà ritenersi soddisfatto di
questa, seppur veritiera, argomentazione, né tanto meno potrà egli stesso accettare
pacificamente la scomparsa, almeno testuale, della causa dal panorama del nuovo
diritto dei contratti, senza avventurarsi alla ricerca di una diversa chiave di lettura
dello
scenario
che
gli
si
prospetta
innanzi.
Ogniqualvolta,
nei
“testi
dell’armonizzazione”, si rinvenga un riferimento – e ciò accade regolarmente – alla
natura, allo scopo nonché alle finalità ed alla funzionalità del contratto, allora ciò
esprime la sensibilità dei redattori verso l’elemento della causa, malgrado essa non
sia stata resa palese nello stesso modo in cui è presente, ad esempio, nel Codice
civile del 1942, ed è proprio questa abitudine ad avere familiarità con l’elemento
causale inteso in senso di elemento tipizzato dal legislatore che induce il giurista
tradizionale a soffrire di un senso di spaesamento, ad un approccio iniziale, o di
carattere meramente tecnico piuttosto che scientifico al nuovo diritto dei contratti.
Una volta chiarito che con il termine causa si intende la dimensione funzionale del
contratto, agevolmente si possono scorgere i riferimenti, seppure impliciti, ad essa
tanto nel tenore dei Principi Lando (ovvero i Principi di diritto privato europeo dei
contratti), quanto nei Principi UNIDROIT, nel Code Europèen des Contrats e nel
Se si ravvisa la funzione dell’elemento causale non soltanto nello strumento deputato alla tutela
dell’ordinamento da pattuizioni contrarie ai principi inderogabili dello stesso, ma anche in una
modalità garantistica della parte che risulti debole nella negoziazione, non si comprendono le ragioni
dell’eliminazione della causa dai testi degli interventi normativi volti all’armonizzazione, a favore
dell’introduzione, per dirne solo alcune, della materia delle clausole abusive nella disciplina
consumeristica; di un annesso sindacato sull’abuso contrattuale sanzionato con una rinnovata figura
di nullità; di un contratto specifico quale la subfornitura.
598
187
Draft Common Frame of Reference. L’art. 1:102 dei Principi Lando, nella
formulazione del testo in lingua inglese, fa infatti riferimento al purpose: la natura e
lo scopo del contratto. Ma anche in altri luoghi del testo vi sono riferimenti al
criterio di ragionevolezza, al principio di sufficienza dell’accordo, di buona fede e
di correttezza da intendersi quali comportamenti commisurati e aderenti alle finalità
che i contraenti si prefiggono di perseguire con la conclusione del contratto599.
Analogamente avviene nel testo dei Principi Unidroit e del Code Europèen des
Contrats, i quali si collocano tutti nel novero delle esperienze normative di matrice
extrastatuale. Nel Code Européen des Contrats, in particolare, l’art. 2, occupandosi
della nozione di autonomia contrattuale, la individua nel potere delle parti di
determinare liberamente il contenuto del contratto, analogamente a quanto dispone
nel nostro ordinamento l’art. 1322 cod. civ., collocandosi in quella modalità di
pensiero secondo cui l’insieme delle finalità soggettive dei contraenti che vengono
oggettivate nel regolamento negoziale, e quindi nel contenuto del contratto, esprime
la funzione alla quale il contratto stesso è chiamato in concreto ad assolvere.
5. La forma, intesa quale modalità attraverso cui si manifesta la volontà
contrattuale, è un elemento dal quale non si può prescindere in sede di confezione
del contratto, dal momento che la volontà inespressa non può essere valutabile
quale atto di autonomia. Essendo pacifico che una espressione della volontà è,
quindi, sempre necessaria, bisogna valutare quali siano le varianti assunte dalla
manifestazione di essa nel panorama contrattuale europeo contemporaneo.
Potendosi ascrivere alla categoria concettuale di forma del contratto qualsivoglia
rilevante esteriorizzazione della volontà, si deve considerare che, in talune
circostanze, è la legge stessa ad imporre una determinata opzione espressiva, o
comunque ad indirizzare i soggetti privati circa i requisiti della modalità espressiva.
Basti pensare al tenore del disposto di cui al secondo comma dell’art. 1230 cod.
civ., ai sensi del quale “la volontà di estinguere l’obbligazione precedente deve
risultare in modo non equivoco”, o, ancora, alla formulazione testuale di cui all’art.
1937 cod. civ. in materia di fideiussione, ove il legislatore stesso prescrive che “la
F. ADDIS, Diritto comunitario e “riconcettualizzazione” del diritto dei contratti: accordo e
consenso, in Diritto comunitario e sistemi nazionali: pluralità delle fonti e unitarietà degli
ordinamenti, cit., p. 273 ss., nell’affrontare la tematica delle modalità di conclusione del contratto
alla luce della necessaria riconcettualizzazione che l’assetto del diritto privato europeo oggi impone
di compiere, dimostra, seppur implicitamente, come non siano estranee a tale operazione nemmeno
le categorie che sanzionano la patologia dell’accordo né quelle che si inseriscono nella fase di
esecuzione del rapporto che dal vincolo giuridico ha origine.
599
188
volontà di prestare fideiussione dev’essere espressa”. Certamente, il dettato
normativo attraverso cui vengono imposte manifestazioni di volontà espresse e non
equivoche segna alcuni dei presupposti di rilevanza oggettiva dell’accordo; al
contrario, ogniqualvolta sia prescritta una specifica esteriorizzazione dell’accordo in
sede di momento formativo dello stesso, allora si tratta di un vero e proprio vincolo
di forma che costituisce una condizione di validità della convenzione medesima. In
tutti i casi in cui all’interno del Codice Civile si dà rilievo alla finalità
dell’accertamento circa l’adeguatezza e l’idoneità dello strumento espressivo
rispetto alla volontà contrattuale che, per mezzo dello stesso, viene manifestata,
allora ci si trova di fronte ad una valutazione concernente il requisito formale
specifico. Ciò al fine di evitare la ostile e svantaggiosa circostanza per la quale il
contratto venga ad esistenza nutrito, al suo interno, di espressioni suscettibili di dare
luogo, in sede di interpretazione e di attuazione del rapporto, a fraintendimenti o
equivoci600. Non è una questione trascurabile quella delle vicende cui dà luogo la
presenza di clausole dalla formulazione poco chiara all’interno del contenuto del
contratto. Nella materia consumeristica, è testualmente ribadito che l’oggetto e
l’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi devono essere individuati in
modo chiaro e comprensibile, così da evitare di incorrere nella sanzione
conseguente al carattere abusivo delle clausole che ad essi si riferiscono601. Il
legislatore ha dettato, in tale sede, non soltanto le prescrizioni formali, quali la
richiesta della forma scritta per la redazione del contratto di vendita di pacchetti
turistici, ma anche i requisiti che la stessa manifestazione di volontà ridotta in
iscritto deve avere, in quanto i termini devono essere chiari e precisi602, trattandosi
di un formalismo dettato ad substantiam. Il Codice civile del 1942 è imperniato sul
principio della libertà di forma, eccetto i casi in cui sia la legge stessa a prescrivere
una determinata modalità espressiva della volontà, con valenza ad substantiam o ad
probationem603. La categoria concettuale della forma negoziale si è trovata, quindi,
600
Chiarisce, sul punto, U. BRECCIA, La forma, in V. ROPPO, Trattato del contratto, Milano,
2006, C. GRANELLI (a cura di), Formazione, I, p.475 che “l’equivocità della regola privata è il
sintomo materiale, entro rapporti per definizione non equilibrati, di un’alterazione di fatto nella
definizione, secondo correttezza, dei contenuti essenziali del contratto”.
601
In tali termini si dispone alla lettera dell’art. 34 secondo comma d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206,
Codice del consumo.
602
L’art. 85 primo comma d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206, Codice del consumo, dispone che “il
contratto di vendita di pacchetti turistici è redatto in forma scritta in termini chiari e precisi”.
603
Questo approccio dicotomico, peraltro risalente, all’argomento della forma degli atti, è stato
sottoposto ad autorevoli critiche, che hanno segnato un punto di svolta rispetto alla tradizionale
visione della forma. M. GIORGIANNI, Forma degli atti (diritto privato), in Enc. Dir., XVII,
Milano, 1968, nell’affermare, p. 999, che “l’alternativa tradizionale (ad substantiam o ad
189
per molto tempo a trarre la propria identità e configurazione operativa soltanto dal
dettato codicistico. Il formalismo contemporaneo, che prende le mosse dal
subbuglio normativo in cui si inserisce il picco fenomenico del diritto europeo dei
contratti, conosce la difficoltà di identificare all’interno dell’univoco e tradizionale
concetto di forma, quello di matrice codicistica, la congerie di formalità nelle quali
esso stesso si concretizza. Il tradizionale principio della libertà della forma, che per
molti anni ha costituito una delle pietre miliari del diritto dei contratti, è una regola
generale che ammette eccezioni soltanto laddove la legge stessa prescriva ipotesi di
forma vincolata, che ha resistito fintanto che il nuovo assetto sociale e delle
relazioni commerciali e negoziali non ha iniziato a demandare alla forma stessa
funzioni nuove ed ulteriori rispetto a quelle finora assolte dalla medesima, quali
quella di difesa sociale del contraente debole, di garanzia e di controllo in sede di
formazione delle deliberazioni degli organi collettivi, di controllo di legalità
procedurale con riguardo al ricorso delle pubbliche autorità alla contrattazione
secondo le regole del diritto privato. L’assetto della post-modernità, con la peculiare
diffusione delle nuove tecnologie di trasmissione del pensiero e delle immagini a
distanza, ha condotto, da un lato, all’esigenza di riservare al momento formale una
particolare attenzione604 e, dall’altro, ad ammettere la dilatazione del novero degli
strumenti formali, con il conseguente ingresso, sulla scena dei contratti, di forme
prima inconsuete, e l’avvio dell’epoca della documentazione e della comunicazione
in via telematica, sintomo (o causa) di una nuova era del commercio605. Il
neoformalismo contemporaneo, fondato sul proliferare di un molteplice novero di
probationem) deve oggi considerarsi del tutto superata, e che le funzioni della forma “vincolata”
sono molteplici”, ne compie la dimostrazione richiamando, p. 998, il concetto di forma “integrativa”
ad regularitatem, categoria che viene in considerazione ogniqualvolta con una determinata forma si
intenda assicurare “al negozio un più alto grado di efficacia, ovvero l’efficacia propria di esso”,
come accade nel caso in cui le parti effettuino la ripetizione per iscritto del negozio già concluso
oralmente. Con particolare riguardo alla forma ad substantiam, egli stesso, p. 994, afferma che essa
“costituisce una deroga penetrante (…) alla stessa autonomia privata”.
604
La crisi dei “contenuti del diritto”, cui corrisponde la “ultraoperatività” della dimensione formale,
assetto che caratterizza l’attuale momento storico, viene posta in evidenza da N. IRTI, Il salvagente
della forma, Bari, 2007, passim. L’autore si sofferma sulla contingente ipertrofia del “carattere
procedurale” del diritto, che si trova confinato nella mera attitudine a dare vita a regole che
appartengono all’ordine del giuridico soltanto in quanto vengono racchiuse nella veste formale di
una norma di legge. Il problema della “forma del diritto” coinvolge, oggigiorno, tanto la sede delle
regole idonee a vincolare la collettività (le fonti del diritto), quanto quella delle regole valide
esclusivamente inter partes (il regolamento contrattuale). Spostare l’attenzione dall’uno all’altro dei
due fuochi, sempre indossando le lenti del formalismo contemporaneo, induce a riscontrare, in
entrambi i luoghi, significative fratture rispetto all’assetto tradizionale.
605
Si vedano sul punto G. PASCUZZI, Il diritto dell’era digitale, Bologna, 2006; F. RICCI,
Scritture private e firme elettroniche, Milano, 2004; G. COMANDE’ – S. SICA, Il commercio
elettronico, Torino, 2001; A. GAMBINO, L’accordo telematico, Milano, 1997, passim.
190
formalità606, porta con sé l’inevitabile interrogativo concernente le sorti del
principio della libertà della forma, oggi. Certamente si assiste attualmente al
tramonto di ogni approccio in chiave di dogmatismo puro a questo, come a molti
altri fenomeni del diritto dei contratti, a vantaggio di una impostazione che segna il
primato delle ricostruzioni funzionali e finalistiche su quelle strutturali, con la
salvezza del richiamo ai principi costituzionali. Anche la materia del formalismo
contrattuale conosce attualmente una regolamentazione frammentata nella miriade
di leggi e disposizioni di carattere speciale, volte a soddisfare le esigenze di natura
funzionale sottese alla contrattazione.
Vi sono oggi tanti vincoli formali specifici, la cui molteplicità è da ricollegare alla
varietà e vastità dei fenomeni contrattuali con riguardo ai quali essi vanno ad
operare. Si assiste ad un netto e deciso passaggio dal binomio inscindibile formamanifestazione ad una miriade di singoli ed autonomi vincoli formali, che
determinano una eterogeneità del fenomeno e la conseguente impossibilità di
compiere la reductio ad unum, segnando l’incrinatura della dogmatica unitarietà
delle categorie concettuali contrattuali in generale, e di quella della forma, in
particolare607. Se, però, si coglie il fenomeno giuridico in quella stretta sutura tra le
regole e l’ambiente sociale all’interno del quale le regole si traducono in
comportamenti della collettività, allora riuscirà agevole comprendere come
nell’esperienza contemporanea del diritto, le forme legalmente prescritte si
inseriscano, all’interno della materia contrattuale, quali strumenti rafforzativi della
manifestazione di volontà, nelle vesti di comportamenti prefissati, ascrivibili alla
complessa attività del “documentare”, evidenziando lo stretto legame che intercorre
tra ciascun singolo vincolo di forma e la variegata modalità fenomenica degli effetti
giuridici, il che vuol dire con le finalità che di volta in volta la legge intende
perseguire608. La forma, nel panorama dell’armonizzazione del diritto europeo dei
606
Come già rilevato in altri luoghi della presente trattazione, il fenomeno dello scambio si svolge
oggi essenzialmente tramite la contrattazione di massa, la quale si fonda sul ricorso alle condizioni
generali di contratto. Ogni discorso sulla forma negoziale nell’ambito dei contratti di massa ruota
attorno alla essenziale considerazione secondo cui si tratta in questo caso di una forma che è già
unilateralmente prevista dalle stesse condizioni generali, rispetto alla quale la controparte contraente
si limita ad accettare o meno, intervenendo l’autonomia negoziale di quest’ultima esclusivamente a
determinare la sussistenza o meno dello scambio, e non le singole condizioni della negoziazione. Sul
punto cfr. M. ORLANDI, La forma dei contratti di massa, in Studi in onore di Nicolò Lipari, cit., II,
p. 1987-1990.
607
S. PAGLIANTINI, La forma del contratto: appunti per una voce, in Studi senesi, 2004, 1, p. 105
608
Sul punto cfr. E. MORELATO, Nuovi requisiti di forma nel contratto. Trasparenza contrattuale
e neoformalismo, Padova, 2006, passim; M.C. ANDRINI, Forma contrattuale, formalismo
negoziale e documentazione informatica, in Contr. e impr., 2001, p. 134; S. TONDO, Formalismo
negoziale tra vecchie e nuove tecniche, in Riv. Not., 1999, p. 923
191
contratti, se ripensata in questa veste, può, allora, validamente assurgere a
strumento di garanzia della libertà contrattuale609. L’argomento della forma
presenta momenti di collegamento con varie fasi del procedimento di formazione
del contratto: in particolare, con l’individuazione della struttura essenziale dell’atto;
con quella dell’approccio al dato normativo che disciplina quel determinato negozio
ed alle prescrizioni formali in esso contenute; con il piano esecutivo e dell’efficacia
del rapporto negoziale. Per cui la forma è chiamata ad operare sia nel contesto della
validità dell’atto che in quello probatorio, in sede di esecuzione del rapporto. Nel
panorama attuale, l’inosservanza di una determinata prescrizione in ordine alla
forma viene, talvolta, sanzionata con la nullità. Non si deve, tuttavia, leggere questo
dato normativo con le lenti tradizionali della tutela pubblicistica degli interessi che,
nell’impianto codicistico, è stata affidata alla categoria della nullità contrattuale.
Qui il ricorso alla nullità è piuttosto da leggersi quale forma di tutela delle parti
contraenti ed, in particolare, della parte debole, e dei terzi nel confronto con gli
interessi di una categoria di parti, il tutto in rapporto all’assetto del mercato
concorrenziale ed avvezzo ad assumere dimensioni di carattere transnazionale, per
non dire globale610. Malgrado nella prassi delle operazioni negoziali si assista oggi
ad un progressivo svuotamento della forma libera, i giudici nazionali, pur
trovandosi di fronte alla congerie di leggi speciali, non trascurano di fare
riferimento al principio della libertà delle forme, mostrandosi spesso poco inclini ad
accogliere gli interventi normativi settoriali ed autonomi nei quali le regole della
pratica dei mercati vengono tradotte in disposizioni cogenti per l’ordinamento
giuridico. Emerge da questo quadro come anche nell’ambito delle forme, avendo la
prospettiva funzionale messo da parte il dogmatismo, sia necessario rivisitare i
tradizionali criteri ordinanti, imperniati sulla codificazione del 1942, nella
prospettiva di una conciliazione di quest’ultima con il proliferare della legislazione
di settore. La forma integra, nell’impianto codicistico, uno dei requisiti essenziali
del contratto, “quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità”, in
ossequio a quanto dettato nel disposto dell’art. 1325 n. 4) cod. civ., norma da
leggersi in combinazione con l’elenco di cui all’art. 1350 cod. civ 611. Emerge,
R. FAVALE, Forme “extralegali” e autonomia negoziale, Napoli, 1994, p. 30
F. VENOSTA, Profili del neoformalismo negoziale: requisiti formali diversi dalla semplice
scrittura, in Obbl. contr., 2008, p. 872
611
Una lettura dell’art. 1325 cod. civ. scientificamente ricca, viva nonché pienamente aderente
all’intento del legislatore del 1942, è fornita da N. IRTI, Studi sul formalismo negoziale, p. 144 –
145, laddove egli afferma che tale norma “descrive due strutture di contratto. Una struttura nasce
609
610
192
pertanto, come gli elementi formali essenziali siano posti accanto agli altri requisiti
del contratto in vari luoghi del Codice civile (si pensi all’art. 1414 secondo comma
cod. civ. o all’art. 1424 cod. civ.). Il Legislatore stesso ha condotto la summa divisio
dei requisiti del contratto nelle due sfere della sostanza e della forma, quasi a voler
lasciare intendere come, essendo l’accordo, la causa e l’oggetto del contratto
elementi imprescindibili ed essenziali in tutti i contratti, la forma per contro possa
essere considerata alla stregua dell’elemento che rende i tre predetti, che di per sé
sono necessari, anche sufficienti per la venuta ad esistenza del negozio. Nel
panorama odierno delle molteplici fonti settoriali del diritto dei contratti, si assiste o
ad una enunciazione espressa di requisiti formali specifici, o al margine di libertà
accordato alle parti contraenti, sempre tuttavia leggendo la presenza o l’assenza dei
vincoli formali in chiave di efficienza economico-pratica di cui la sfera del mercato
pervade oggi l’ambito del giuridico612. Questo brusco passaggio da situazioni in cui
non viene dettato alcun onere formale ad altre in cui invece si hanno rigide
prescrizioni di forma sancite sotto pena di nullità si giustifica a seconda delle
diverse esigenze concrete che si intendono garantire613. L’assenza di formalismo
può, infatti, in certi casi, agevolare il commercio, laddove la funzione di garanzia e
di tutela della parte debole e, più in generale, di quel determinato e concreto
rapporto negoziale, sia affidata al principio di buona fede e di equità; in altri casi,
per contro, il legislatore di settore ha ritenuto consegnare al formalismo le finalità di
protezione di una soltanto delle parti, la parte debole, appartenente ad una
determinata categoria di soggetti contraenti. Si potrebbe dire, quindi, che si tratti di
un formalismo di protezione614.
6. Sorge spontaneo il quesito circa la sussistenza o meno della possibilità di
estendere la disciplina espressamente dettata agli artt. 36, 67 septies decies, 67
octies decies, 134 cod. cons. sia a tutte le previsioni di nullità contenute nello stesso
dalla combinazione di quattro elementi (accordo, causa, oggetto, forma); un’altra, dalla
combinazione di tre elementi (accordo, causa, oggetto)”, intervenendo a “denominare la prima,
struttura o fattispecie forte (o ricca); la seconda, struttura o fattispecie debole (o povera)”,
scorgendo, nel confronto tra le due serie di fattispecie il principio di libertà delle forme, il quale
emerge proprio laddove non sia stata dettata alcuna prescrizione formale, e definendolo, p. 147,
come “espressione positiva dell’assenza di una norma”.
612
R. FAVALE, Le clausole di forma scritta nelle condizioni generali di contratto: forma di
protezione o di pregiudizio?, in Obbl. contr., 2008, p. 777
613
F. VENOSTA, Profili del neoformalismo negoziale: requisiti formali diversi dalla semplice
scrittura, in Obbl. contr., 2008, 11, p. 872
614
R. FAVALE, Le clausole di forma scritta e la tutela del contraente debole, in P. PERLINGIERI
– E. CATERINI (a cura di), Il diritto dei consumi, Rende, 2007, III, p. 306
193
testo legislativo, tra cui anche quelle derivanti dalla mancanza di elementi formali
del negozio di cui agli artt. 71 e 76 cod. cons., o quelle in cui il difetto dei requisiti
legali non sia specificamente sanzionato (art. 85 cod. cons.), sia alle ipotesi di
nullità contenute nei testi che, disciplinando altri settori, quali quello creditizio e
bancario, non sono tuttavia direttamente finalizzate alla tutela del contraente
debole615. Con riguardo alla prima ipotesi, si tratta di stabilire se si tratti di figure di
invalidità speciali espressamente descritte e previste, le quali possano essere
applicabili ogniqualvolta, all’interno del testo normativo del Codice del consumo, si
ponga il problema della tutela del contraente debole, malgrado non siano state
dettate esplicite indicazioni in tale senso. Ci si deve chiedere, in particolare, se il
legislatore abbia voluto stabilire un assetto fondato su due discipline dell’invalidità,
una speciale per le clausole vessatorie, e l’altra ordinaria fondata sugli artt. 1418 e
seguenti cod. civ., o se piuttosto tutte le previsioni di nullità contenute nel tenore
della normativa qui in esame siano da ritenere ipotesi “speciali”. Sovvengono in
ausilio due distinti meccanismi, nel caso in cui si voglia estendere l’applicazione
delle espresse previsioni di nullità speciale anche alle ipotesi di nullità tout court:
quello dell’analogia, sulla base dell’osservazione secondo cui tanto le situazioni di
nullità espressamente speciale quanto quelle di nullità tout court sono sorrette da
una medesima logica, che si sostanzia in ogni caso nella tutela del contraente
debole616; o, piuttosto, l’applicazione diretta del disposto di cui all’art. 36 primo e
terzo comma cod. cons., impostazione, quest’ultima, che non sembra incontrare
particolari ostacoli617. In questo acceso dibattito, in dottrina sembra prendere
G. BONFIGLIO, La rilevabilità d’ufficio della nullità di protezione, in Riv. dir. priv., 2004, 4, p.
861
616
Il ricorso alla tecnica dell’analogia permette di rendere applicabile la figura della nullità speciale,
contenuta nel Codice del consumo, addirittura ad ambiti legislativi, di protezione e non, che esulano
dalla sfera di operatività dello stesso, purché si possa riscontrare la medesima ratio. Sul punto cfr. S.
POLIDORI, Discipline della nullità e interessi protetti, Napoli, 2001, p. 106, nonché A. LA
SPINA., La nullità degli accordi in materia di ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali,
in Rass. Dir. civ., 2003, p. 152, in cui egli rintraccia tale medesimezza di ratio nella finalità di
“garantire l’effettività della tutela apprestata ad un interesse particolare”, perciò in tale circostanza
“l’interesse ad agire deve intendersi riconosciuto solo al soggetto destinatario della tutela”.
617
Se i rapporti tra Codice civile e Codice di consumo vengono regolati espressamente sulla base del
tenore di varie norme dello stesso Codice di consumo, nelle quali viene stabilito che la disciplina
contenuta nel Codice civile è suscettibile di essere applicata ai contratti dei consumatori soltanto in
via residuale e suppletiva, per contro, è stata formulata in dottrina la proposta dell’estensione
dell’ambito di applicabilità della disciplina consumeristica contenuta nel Codice del consumo anche
a tutti quei contratti dei consumatori che abbiano la propria disciplina fuori dal Codice del consumo
stesso: sul punto cfr. F. DI MARZIO, Codice del consumo, nullità di protezione e contratti del
consumatore, in Riv. Dir. priv., IV, 2005, p. 837. Sembra assurgere così a normativa di carattere
generale, nella materia del consumatore, il complesso di regole contenuto nel Codice del consumo,
per cui, seguendo questa impostazione, non sembra impossibile prospettare l’applicabilità diretta
615
194
sempre più il sopravvento l’idea che nella figura di nullità speciale espressamente
disciplinata nel Codice del consumo sia in concreto ravvisabile una vera e propria
“nullità relativa virtuale”618. La ratio di tale figura di nullità si può, del resto,
desumere dall’analisi del tenore stesso degli articoli del Codice del consumo
coinvolti nell’argomento; si pensi al disposto di cui all’art. 52 cod. cons., dettato in
materia di contratti a distanza, nel quale, alla previsione di cui al terzo comma, si
statuisce che “in caso di comunicazioni telefoniche, l’identità del professionista e lo
scopo commerciale della telefonata devono essere dichiarati in modo non
equivocabile all’inizio della conversazione con il consumatore, a pena di nullità del
contratto”: a questa ipotesi si potrà estendere l’applicazione diretta del combinato
disposto degli artt. 36 e 134 cod. cons., in materia di nullità speciale, malgrado
nell’art. 52 cod. cons. vi sia soltanto un generico richiamo alla nullità, dal momento
che in questa fattispecie la legittimazione ad agire da parte di chiunque vi abbia
interesse, propria della nullità di cui agli artt. 1418 ss. cod. civ., sarebbe in contrasto
con la finalità di tutela della parte debole, il consumatore619. Nella limitazione della
legittimazione ad agire si sostanzia quindi il meccanismo di tutela del contraente
debole. La nullità non investe l’intero negozio, ma soltanto la pattuizione lesiva dei
diritti del consumatore, determinandone pertanto l’esclusione dal contenuto del
contratto e la paralisi della operatività di tale medesima pattuizione, rimanendo
tuttavia in piedi l’intero contratto che presenterà ora una lacuna laddove prima vi
era la clausola viziata620. Due ipotesi interessanti di nullità si scorgono nel tenore
dell’art. 36 primo e terzo comma cod. cons. a tutte quelle ipotesi di nullità contenute nello stesso
Codice del consumo, per le quali tuttavia sia stato dettato un regime incompleto.
618
Sul punto V. SCALISI, Nullità e inefficacia nel sistema europeo dei contratti, in Eur. dir. priv.,
2001, p. 503, G. AMADIO, Nullità anomale e conformazione del contratto (note minime in tema di
“abuso dell’autonomia contrattuale”), in Riv. Dir. priv., 2005, p. 292; V. ROPPO, Il contratto, cit.,
p. 843. In giurispr. App. Brescia 29 gennaio 2000, in Foro It., 2000 I, c. 2679; Trib. Venezia, 22
novembre 2004, in Società, 2005, p. 621. Contra: G. VILLA, Contratto e violazione di norme
imperative, Milano, 1993, p. 121.
619
Sull’argomento della nullità speciale cfr. B. COLOSIMO, Commento agli artt. 52-53, in G.
VETTORI (a cura di), Codice del consumo, Commento al D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, Padova,
2007, p. 535; G. RICCI, Commento all’art. 52, in G. ALPA – L. ROSSI CARLEO (a cura di),
Codice del consumo, Napoli, 2005, p. 401.
620
L’esigenza di effettuare l’integrazione del negozio si prospetta laddove, una volta ammesso, sul
piano dell’ermeneutica, che le ipotesi di nullità previste nel tenore testuale del Codice del consumo
sono essenzialmente da ricondursi alla figura della nullità speciale, in esso stesso disciplinata,
pertanto a legittimazione relativa e, al tempo stesso, rilevabili d’ufficio dal giudice, essendo inoltre
l’invalidità da circoscrivere ad una sola clausola piuttosto che all’intero contratto, allora il “vuoto
normativo nel regolamento negoziale” lasciato dall’eliminazione della clausola viziata potrà essere
colmato o mediante il ricorso alle previsioni di legge in funzione suppletiva, ove ve ne siano, o, in
caso di assenza di una disciplina specifica sul punto, facendo ricorso agli strumenti generali di
integrazione del contratto, secondo quanto dispone l’art. 1374 cod. civ. unitamente al dettato di cui
all’art. 1375 cod. civ. Sull’argomento delle fonti di integrazione del contratto cfr. S. RODOTA’, Le
fonti di integrazione del contratto, Milano, 2004.
195
rispettivamente dell’art. 36 quinto comma e 134 terzo comma cod. cons. nei quali,
accanto alla previsione espressa di ipotesi di nullità speciali, vengono formulate
statuizioni di nullità tout court, nella parte in cui si dispone che “ogni clausola
contrattuale che, prevedendo l’applicabilità al contratto di una legislazione di un
Paese extracomunitario, abbia l’effetto di privare il consumatore della protezione
assicurata (…), laddove il contratto presenti uno stretto collegamento con il
territorio di uno Stato membro dell’Unione europea”621. A ben vedere, il Codice del
consumo si articola, quindi, in ipotesi espressamente formulate di nullità speciali, e
situazioni di nullità semplici riguardo alle quali, tuttavia, sulla base di una
interpretazione fondata sullo scopo e sulla funzionalità di tali strumenti in rapporto
all’ambito in cui esse sono collocate, ci si sente qui di condividere l’impostazione,
seguita tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, dell’ascrivibilità delle medesime
alle figure espresse di nullità speciale contenute nel testo del Codice del
consumo622. Questo testo normativo presenta però altri punti critici, suscettibili di
venire in considerazione in un discorso sulla categoria della nullità contrattuale,
quale questo si ripropone di essere. Si consideri che in alcuni luoghi della predetta
legge, precisamente gli artt. 71 e 76 cod. cons., sono rinvenibili previsioni di nullità
che si attivano nel caso in cui il negozio presenti una carenza di elementi formali.
La prima norma appena richiamata statuisce che il contratto avente ad oggetto
l’acquisizione di un diritto di godimento ripartito di beni immobili “deve essere
redatto per iscritto a pena di nullità”; a ciò si aggiunge che le fideiussioni che
devono essere prestate dal venditore a garanzia della corretta esecuzione del
contratto e della ultimazione dei lavori devono essere menzionate nel contenuto di
tale contratto, anch’esse a pena di nullità. Qui la nullità travolge l’intero schema
negoziale, non limitandosi ad una sola clausola di esso, e ciò, unitamente al rilievo
per cui stavolta viene sanzionato un vizio formale, rende maggiormente
problematico l’inquadramento della figura di nullità appena descritta nel novero
delle nullità espressamente speciali, considerando anche che, nella dicotomica
visione della forma ad substantiam e ad probationem, la nullità generalmente
comminata in violazione di una previsione relativa ad un requisito formale risponde
Sulla valenza dell’art. 134 cod. cons. quale norma di chiusura cfr. A.M. SINISCALCHI,
Commento all’art. 134, in G. VETTORI (a cura di), Codice del consumo, cit. p. 1029.
622
V. SCALISI, Contratto e regolamento nel piano d’azione delle nullità di protezione, in Riv. dir.
civ., 2005, 5, 1, p. 459
621
196
alla esigenza di tutela di interessi di carattere pubblicistico623. Si è parlato in
dottrina di “nullità formali di protezione”, ravvisando nella forma uno degli
strumenti di tutela del contraente debole624. Dall’analisi di queste due norme da
ultimo richiamate, emerge come, non incontrandosi particolari difficoltà nella
riconduzione dell’art. 76 cod. cons.625 alle ipotesi di nullità di protezione espresse,
al contrario, si ritenga, da parte di dottrina autorevole, che la previsione dell’art. 71
cod. cons. debba piuttosto essere ascritta all’ambito di operatività dell’art. 1418 cod.
civ.626, ravvisandosi in tale fattispecie una netta prevalenza della finalità di tutela di
interessi pubblici, con riguardo in particolare al ricorso al vincolo formale per
esigenze di opponibilità nei confronti dei terzi, ciò tuttavia non intaccando la
ricostruzione generale secondo cui, sempre previa analisi della ratio della regola di
volta in volta esaminata, qualsiasi previsione di nullità presente nel Codice del
consumo, la quale non sia stata espressamente disciplinata, è da ricondursi alla
figura espressa di nullità speciale che in alcuni luoghi testuali del medesimo è stata
elaborata.
Se la figura della nullità speciale, esplicitamente delineata nel tenore testuale del
Codice del consumo, integra uno degli strumenti in cui si sostanzia la protezione del
contraente debole, allora l’intero argomento merita di essere letto alla luce del
disposto di cui all’art. 143 cod. cons., in materia di “irrinunciabilità dei diritti”, ai
sensi del quale “i diritti attribuiti al consumatore dal codice del consumo sono
irrinunciabili. E’ nulla ogni pattuizione in contrasto con le disposizioni del codice”.
Si tratta di una norma di chiusura che, secondo un approccio ermeneutico
consapevole della ratio sottesa allo zoccolo duro della normativa consumeristica, è
G. DOTTORE, Il senso della rilevabilità d’ufficio della nullità negoziale nel sistema civilistico e
processuale: la Cassazione torna sull’art. 1421 c.c., in Nuova giur. civ. comm., 2006, 4, 1, p. 380
624
Sul punto cfr. F. DI GIOVANNI, La regola di trasparenza, in E. GABRIELLI – E. MINERVINI
(a cura di), I contratti dei consumatori, I, Torino, 2005, p. 340; G. SCODITTI, Regole di validità e
principio di correttezza nei contratti del consumatore, in Riv. Dir. civ., 2006, I, p. 141; E. CALICE,
Vendite di diritti di “godimento ripartito” di beni immobili: formalismo e tutela dell’acquirente,
Torino, 2006, p. 150.
625
L’opportunità di estendere o meno l’impostazione ermeneutica dell’art. 76 cod. cons. all’ipotesi
di cui all’art. 85 cod. cons., sulla base dell’interrogativo circa le conseguenze della conclusione in
forma orale di un contratto di viaggio, può essere valutata mediante l’ausilio di una generosa
letteratura sul tema della forma di tale schema negoziale. Cfr. F. CARRASSI, Commento agli artt.
6-9, in V. ROPPO (a cura di), Viaggi, vacanze e circuiti tutto compreso, Commentario, in Nuove
leggi civ. comm., 1997, p. 20; M. LA TORRE, Il contratto di viaggio “tutto compreso”, in Giust.
Civ., 1996, II, p. 31; S. MONTICELLI – G. GAZZARA, Il contratto di viaggio, in E. GABRIELLI
–E. MINERVINI (a cura di), I contratti dei consumatori, cit., II, p. 764. In giurispr. cfr. Trib. Bari, 8
agosto 2000, in Foro It., 2001, I, c. 2089; Trib. Bari, 27 luglio 2005, in Foro It., 2005, I, c. 2872;
Trib. Treviso, 4 aprile 2003, in Dir. turismo, 2004, p. 127
626
Cfr. P.M. PUTTI, L’invalidità nei contratti del consumatore, in N. LIPARI (a cura di), Diritto
privato europeo, II, Padova, 1997, p. 727 ss.
623
197
certamente da ascriversi al novero delle modalità di protezione del consumatore,
rimanendo tuttavia da chiarire se la disciplina del consumatore non possa essere
oggetto di alcuna deroga da parte dell’autonomia negoziale dei soggetti privati.
Rimanendo chiaramente sempre possibile una deroga in melius del dettato
legislativo, il limite riguarda piuttosto la derogabilità in peius, rendendosi
necessaria questa previsione normativa laddove l’autonomia negoziale, se lasciata a
se stessa, rischierebbe di ledere la posizione della parte debole627. L’indagine sui
confini dell’autonomia negoziale del contraente debole, quando si tratti di un
consumatore, permette di asserire pertanto che, posto il divieto di deroghe in peius
alla normativa consumeristica, e asserita la non intaccabilità, da parte del potere di
disposizione del soggetto privato che ne è titolare, del novero dei diritti
fondamentali espressamente riconosciuti e garantiti dalla vigenza testuale della
legge stessa, l’operatività della libertà contrattuale in questa modalità di
negoziazioni permette tanto deroghe in melius quanto la possibilità che il
consumatore rinunci ai diritti patrimoniali, di cui sia già divenuto titolare, e che non
rientrano nello spettro di cui all’art. 2 cod. cons628.
La presente trattazione della odierna configurazione della categoria della nullità
contrattuale ruota attorno all’innovazione più eclatante, dovuta alla genesi del
massiccio impianto normativo contenuto nel Codice del consumo, che ha costituito
In tal senso si esprime A.M. SINISCALCHI, Commento all’art. 134, in G. VETTORI (a cura di),
Codice del consumo, Commentario, p. 1013. Sull’argomento della indisponibilità dei diritti da parte
del consumatore, cfr. S. MONTICELLI, L’indisponibilità dei diritti del consumatore nel Codice del
consumo e la nullità dei patti, in Contratti, 2007, 7, p. 697, il quale, ravvisando nell’art. 143 cod.
cons. lo strumento di legittimazione a “deroghe migliorative” a favore del consumatore, provvede a
compiere la distinzione tra diritti fondamentali di cui all’art. 2 cod. cons., irrinunciabili, ed il novero
dei diritti patrimoniali che sono suscettibili di rinuncia, una volta verificatisi i fatti relativi al sorgere
degli stessi, condividendo tale approccio con G. DE CRISTOFARO, Il “Codice del Consumo”, cit.,
p. 815, in cui egli rileva lucidamente come, qualora venisse negata al consumatore la possibilità di
disporre liberamente e consapevolmente dei diritti che gli vengono riconosciuti dallo stesso codice
del consumo e di cui egli sia già divenuto titolare, allora si verificherebbe una pesante nonché
ingiustificata coercizione dell’autonomia privata nell’ambito consumeristico. Per cui, con S.
MONTICELLI, L’indisponibilità dei diritti del consumatore nel Codice del consumo e la nullità dei
patti, cit., p. 698, si può validamente asserire che tanto il professionista quanto il consumatore sono
“liberi di transigere, rinunciare o comunque disporre dei propri reciproci diritti, quanto meno di
quelli già acquisiti”, altrimenti non avrebbe senso il tenore del disposto di cui all’art. 141 cod. cons.
628
Rientra nel novero delle previsioni di cui all’art. 2 cod. cons. l’obbligo, gravante in capo al
professionista, relativo al fornire ai consumatori una adeguata informazione ed una corretta
pubblicità, conformemente al principio di correttezza, trasparenza ed equità nello svolgersi dei
rapporti contrattuali. Emerge pertanto come l’obbligo di informazione svolga un ruolo centrale quale
forma di tutela del contraente debole. Sul punto cfr. G. D’AMICO, Regole di validità e regole di
comportamento nella formazione del contratto, in Riv. Dir. civ., 2002, I, p. 37; S. VALENTINO,
Obblighi di informazione, contenuto e forma negoziale, Napoli, 1999, p. 252; E. SCODITTI, Regole
di validità e principio di correttezza nei contratti del consumatore, in Foro It., 2007, I, c. 2094 ss.;
P.L. FAUSTI, Il Codice del consumo. Il ruolo ambiguo della trattativa e l’importanza della
trasparenza (con nuove considerazioni sul ruolo del notaio nei contratti di finanziamento bancario),
in Notariato, 2007, p. 71.
627
198
lo scoglio con il quale la parte del Codice civile relativa alla materia del contratto in
generale è stata chiamata a confrontarsi, nella necessità di una rivisitazione del
terreno di operatività di quest’ultima. In ciò si rintraccia la ragione per cui ci si è
finora preoccupati quasi esclusivamente dell’argomento del consumatore. Da una
accurata analisi della proliferante legislazione contrattuale di settore emerge tuttavia
la sussistenza di molteplici ipotesi di nullità contenute in discipline non
espressamente volte alla protezione del contraente debole, inteso nell’accezione
consumeristica629. Si pensi alla disciplina della subfornitura nelle attività produttive,
di cui alla legge 18 giugno 1998, n. 192, nella quale si prevedono diversi casi di
nullità tanto formali quanto sostanziali senza che sia indicato il regime della nullità
stessa. A ben vedere, anche in tale dinamica negoziale è possibile riscontrare che un
contraente si trova in posizione di non perfetta parità rispetto all’altro: il
subfornitore necessita infatti di una adeguata protezione in quanto egli si trova ad
avere un ruolo più debole nella contrattazione. Affrontando l’argomento della
subfornitura in un contesto incentrato sulla problematica della nullità, quale è la
presente sedes materiae, sorge inevitabilmente il quesito relativo alla valenza
assunta dalla legittimazione a far valere le nullità di cui alla legge 192/1998: se,
invero, essa sia da intendere riservata al contraente protetto dalla specifica norma o
se piuttosto si debba applicare la disciplina generale di cui all’art. 1418 ss. cod. civ.,
nel silenzio del legislatore sul punto630. In realtà, il problema sembra vedere
ridimensionati i propri connotati, nel momento in cui si ha riguardo a tutta la serie
di nullità che, per definizione, sono volte a sanzionare soltanto una clausola del
contratto, dal momento che in questi casi, la necessaria parzialità della nullità
esclude che si prospetti il rischio che la controparte faccia cadere tutto il negozio in
629
M. NUZZO, I contratti del consumatore tra legislazione speciale e disciplina generale del
contratto, in Rass. dir. civ., 1998, 2, p. 308
630
L’approccio di carattere scientifico all’interrogativo introduce ad una dottrina controversa.
Sull’applicabilità delle regole generali del Codice civile alla nullità per vizio di forma di cui all’art.
2 l. 192/1998, cfr. A. MUSSO, La subfornitura, in Comm. Scialoja-Branca, Libro IV, Titolo III,
Suppl. L. 18 giugno 1998, n. 192, Bologna – Roma, 2003, sub art. 2, p. 137. Contra: G. GIOIA,
Nuove nullità relative a tutela del contraente debole, in Contr. Impr., 1999, p. 1345; R. GRAZZINI,
in V. BERTI – R. GRAZZINI, La disciplina della subfornitura nelle attività produttive, Milano,
2005, p. 148; S. MONTICELLI, Nullità, legittimazione relativa e rilevabilità d’ufficio, in Riv. Dir.
priv., 2002, p. 698. Quanto all’ipotesi di nullità di cui all’art. 4 legge 192/1998, cfr. M.A. LIVI, Le
nullità, in V. CUFFARO (a cura di), La subfornitura nelle attività produttive, Napoli, 1998, p. 187.
Sulla qualifica della nullità di cui all’art. 5 legge 192/1998: essa è definita relativa da R.
GRAZZINI, in V. BERTI – R. GRAZZINI, La disciplina della subfornitura nelle attività produttive,
cit., p. 150; contra A. MUSSO, La subfornitura, in Comm. Scialoja-Branca, cit., sub art. 5, p. 293, il
quale mette in luce la riconducibilità di essa alla figura codicistica tradizionale; opta per una lettura
in chiave di nullità assoluta anche E. PRATI, La sanzione della nullità nel contratto di subfornitura,
in Contratti, 1999, p. 297. A conferma di tale ultima impostazione anche S. POLIDORI, Discipline
della nullità e interessi protetti, cit., p. 117.
199
ossequio al disposto di cui all’art. 1419 cod. civ. Vi sono, tuttavia, alcune ipotesi,
come l’art. 9 terzo comma della legge 192/1998, nelle quali si scorge una potenziale
estensione della invalidità all’intero contratto. Nel vigore testuale della norma
appena richiamata, si legge che “il patto attraverso il quale si realizzi l’abuso di
dipendenza economica è nullo”, con il conseguente problema dell’esegesi del
termine “patto” che, se si propendesse per l’identificazione con l’intero contratto,
comporterebbe la nullità di tutto il negozio631. A voler leggere il fenomeno della
nullità in una prospettiva di comparazione della disciplina contenuta nel Codice del
consumo con quella di cui alla legge sulla subfornitura, emergono quindi elementi
di diversità inconciliabile, come è pacifico se si considera che il legislatore del 1998
non ha approntato una normativa a protezione di una categoria determinata di
soggetti (contrariamente a quanto avviene con il Codice del consumo), bensì ha
apprestato una modalità di tutela per chi in concreto si trovi in una condizione
svantaggiata. In quest’ultima circostanza, il ricorso alla nullità parziale,
caratterizzata dalla limitata legittimazione ad agire, una volta ammessa la lettura in
tali termini delle ipotesi di nullità di cui alla legge sulla subfornitura, si presentano
quali strumenti efficaci ad assicurare l’equivalenza sostanziale delle posizioni delle
parti contraenti.
Le ipotesi di nullità di cui ci si è fin qui occupati vengono ricondotte all’espressione
gergale “nullità anomale”, proprio per indicare che esse presentano punti di
discrepanza rispetto alle figure codicistiche tradizionali dell’invalidità, in
particolare quella della nullità. Si può certamente rilevare la scarsa accuratezza da
parte del legislatore di settore nell’impiego, per molti aspetti superficiale ed
imprudente, del termine “nullità”. A ciò è da aggiungersi qualche notazione relativa
alla mancanza di uniformità nel linguaggio adottato, se si ha riguardo alla
formulazione di cui all’art. 36 terzo comma cod. cons. letto in combinazione con
l’art. 134 primo comma cod. cons. In alcuni luoghi legislativi, si registra piuttosto
l’omissione di elementi presenti invece in norme simili e, in molti casi, operativi nel
medesimo ambito di applicabilità: la rilevabilità d’ufficio della nullità da parte del
631
Ci si trova qui di fronte ad un impiego peculiare della categoria della nullità non tanto e non solo
quale strumento di protezione della parte che risulti debole nella negoziazione, quanto piuttosto
come mezzo attraverso cui riequilibrare le posizioni contrattuali, al fine di porre rimedio all’abuso di
dipendenza economica. Sul punto cfr. C. PILIA, Circolazione giuridica e nullità, Milano, p. 351 e
L. DELLI PRISCOLI, L’abuso di dipendenza economica nella nuova legge sulla subfornitura:
rapporti con la disciplina delle clausole abusive e con la legge antitrust, in Giur. Comm., 1998, I, p.
843, nonché, per una lettura comparativa dell’abuso di dipendenza economica con l’abuso di
posizione dominante, S. NATOLI, v. Abuso di dipendenza economica, in Dig. Disc. Priv. – sez.
comm., Torino, 2003, p. 16
200
giudice talvolta è espressamente statuita, altre volte invece non si rintraccia nella
lettera della legge alcun richiamo ad essa, e ciò come emerge dal confronto degli
artt. 67 septies decies cod. cons. e 67 octies decies cod. cons. Per contro, ricorrono
molteplici elementi volti a marcare i tratti somatici della disciplina delle nuove
figure di nullità, quali la restrizione ex lege della nullità a singole clausole e le
limitazioni alla legittimazione ad agire per far valere il vizio del negozio, nonché la
rilevabilità d’ufficio632. Emergono, quindi, due figure di nullità anomale: quella
della cosiddetta “nullità parziale necessaria”633 e quella della “nullità relativa di
protezione”634.
L’elemento
centrale
della
questione
ruota
attorno
alla
consapevolezza della diversa ratio che sta alla base del giudizio di parzialità in
questi casi, rispetto alle ipotesi regolate in via generale dalla disciplina codicistica,
dal momento che tale “nullità parziale necessaria” è da leggersi quale nullità che si
fonda su un giudizio a priori, formulato dal legislatore, in senso favorevole al
mantenimento del contratto, al fine di garantire una forma più completa di tutela del
contraente debole, così che quest’ultimo sia messo di fronte alla sconveniente
alternativa di scegliere tra l’esecuzione della fattispecie viziata e la rinuncia in toto
al negozio. Il carattere parziale della nullità viene così in considerazione quale
soluzione intermedia che permetta, al tempo stesso, al contraente debole di essere
tutelato contro gli aspetti pregiudizievoli derivanti dalla contrattazione viziata e di
evitare di rinunciare a quei vantaggi che dalla contrattazione stessa possano
derivargli. Il limite della portata e della convenienza applicativa del disposto di cui
all’art. 1419 primo comma cod. civ. a queste nuove esigenze di tutela si scorge
proprio nel rilievo per cui, qualora il contraente debole invocasse la nullità della
clausola viziata in assenza di qualsivoglia precisazione normativa, allora la
controparte potrebbe appellarsi al fatto che “non avrebbe concluso quel contratto
senza la parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità”, con la conseguenza per
cui il giudice si vedrebbe di fatto costretto a decidere in senso favorevole alla
invalidazione dell’intero contratto. Ma, seguendo tale via, sarebbe proprio la parte
“forte” a decidere le sorti del negozio, e ciò è contrario alla ratio della stessa
legislazione di protezione, che non è cosa da trascurare se si considera che, alla luce
632
S. MONTICELLI, Limiti sostanziali e processuali al potere del giudicante ex art. 1421 c.c. e le
nullità contrattuali, in Giust. civ., 2003, 7-8, 2, p. 295
633
G. PASSAGNOLI, Nullità speciali, Milano, 1995, passim; F. DI MARZIO, Forme della nullità
nel nuovo diritto dei contratti. Appunti sulla legislazione, sulla dottrina e sulla giurisprudenza
dell’ultimo decennio, in Giust. civ., 2000, II, p. 475.
634
V. ROPPO, Il contratto, cit., p. 753 e 842
201
della novità normativa, la stessa ratio legis assurge ad elemento d’elezione sulla
base del quale effettuare il giudizio sulle sorti del negozio, imponendo di trovare la
soluzione che si riveli maggiormente ossequiosa dello scopo della normativa da
applicare, a costo di sacrificare e superare i criteri e principi propri della disciplina
tradizionale, con i quali il giurista si è, per molto tempo, misurato. Si comprende,
allora, come al criterio della ratio legis rispondano tanto il requisito della necessaria
parzialità della nullità quanto il tratto della sostituzione delle clausole viziate con i
parametri desumibili dallo stesso contesto normativo nell’ambito del quale si
colloca la specifica sanzione della nullità. La prevalenza della ratio legis sul tenore
testuale della regola da applicarsi costituisce un trend nei recenti interventi
legislativi di settore, sintomo della maggiore attenzione per la ricerca della
soluzione del caso concreto che sia maggiormente rispondente al criterio di equità
sostanziale.
7. La presente disamina delle sorti della categoria della nullità negoziale richiede
qualche notazione specifica sulla figura della nullità relativa. Si tratta di un
argomento che, da non breve periodo, si trova al centro di molteplici dibattiti e studi
scientifici, volti precipuamente ad individuare gli effettivi rapporti tra – o, per
meglio dire, il discrimen tra – nullità tout court e nullità relativa. In particolare, la
questione ruota attorno all’interrogativo circa la sussistenza o meno della possibilità
di configurare la nullità relativa quale categoria autonoma, piuttosto che ascriverla a
quella della nullità tout court. Affrontando qui il discorso a partire dall’epoca in cui
la Codificazione del 1942 ha conosciuto l’apice della sua importanza ed operatività,
per poi giungere all’esame del fenomeno della nullità relativa nelle vesti in cui essa
è prevista nel Codice del Consumo, bisogna in primis ricordare la difficoltà che ha
inizialmente incontrato la dottrina nell’accettare che potesse esistere una forma di
invalidità attivabile da parte di uno soltanto dei soggetti contraenti635. Per tale
ragione, è stata per lungo tempo essenzialmente negata la possibilità che essa
venisse configurata quale categoria dogmatica autonoma, propendendo piuttosto per
l’ascrivibilità di essa agli istituti della annullabilità o dell’inopponibilità. Già
Per un’esigenza di completezza, è opportuno chiarire come, nell’ambito della nullità relativa, si
debbano tenere distinti i casi in cui l’invalidità possa essere fatta valere da uno soltanto dei soggetti,
da quelli in cui piuttosto essa sia fatta valere nei confronti di determinati soggetti. La distinzione è
lucidamente operata nella pagina di L. CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto
privato italiano, Napoli, 1948, p. 347, in cui si afferma che “nella prima si ha limitazione della
legittimazione attiva a far valere la nullità, nella seconda si ha limitazione dal punto di vista
passivo”. Alla prima figura è da attribuirsi il termine “nullità relativa” tecnicamente intesa.
635
202
dall’analisi dell’impiego della figura della “nullità relativa” nelle varie ipotesi tanto
quelle allora presenti all’interno del Codice civile, quanto riscontrabili nella – per
molto tempo poco frequente – legislazione di settore, è emerso come lo stesso
termine “nullità relativa” sia stato utilizzato con riguardo ad una molteplicità di
situazioni, alcune delle quali effettivamente riconducibili alla nullità vera e propria,
ed altre annoverabili tra le situazioni idonee ad attivare propriamente l’istituto della
annullabilità, così che la “nullità relativa” è stata confinata in un ruolo di carattere
residuale, quasi a voler dire che essa sarebbe venuta in considerazione
ogniqualvolta, per esclusione, la situazione concreta non fosse suscettibile di poter
essere ricondotta alle note e pacifiche figure della nullità “indiscussa” o della
annullabilità, negando ad essa ogni autonomo valore sistematico.
Se ci si affaccia oggi sullo scenario delle nullità, viene subito in evidenza come la
figura della nullità relativa si riempia essenzialmente di due significati specifici: il
primo, quello di una ipotesi particolare di nullità attivabile ad libitum suum da un
soggetto determinato; il secondo, quella forma di nullità in conseguenza della quale
gli effetti del contratto vincoleranno soltanto uno dei contraenti, rimanendo invece
l’altro libero di sciogliersi dal vincolo qualora lo desideri. Tuttavia, soltanto il
primo dei due significati conduce alla ascrivibilità della nullità relativa al fenomeno
della invalidità, dal momento che, mentre nel primo caso il contraente protetto ha
l’alternativa se mantenere in vita il negozio o eliminarlo con effetti erga omnes, nel
secondo caso, invece, si vuole che gli effetti del negozio si producano soltanto nei
confronti della parte non protetta, non andando a coinvolgere la parte debole contro
la sua volontà. Pertanto, solo nella prima ipotesi si può parlare correttamente di
invalidità, malgrado essa si manifesti stavolta in una forma, per così dire, inusuale,
mentre, nel secondo caso, è più opportuno parlare di annullabilità o, più in generale,
di mera inopponibilità del vincolo negoziale nei confronti del contraente tutelato
dalla disposizione, esulando, perciò, in tale ultima circostanza, dalla figura della
nullità relativa. Ne consegue che, secondo tale ricostruzione contemporanea del
fenomeno, l’esigenza che oggi la nullità relativa è chiamata a soddisfare consiste
proprio nel fornire il massimo grado di tutela effettiva per il soggetto individuato
come “parte debole”. Alla luce di tali considerazioni, sarebbe opportuno guardare
alla nullità relativa come ad una forma di invalidità negoziale fondata
essenzialmente sulla limitazione, operata dalla legge, della legittimazione a farla
valere, costituendo questo un soddisfacente criterio di distinzione tra nullità relativa
203
e nullità assoluta636. Questa sembra essere la modalità più corretta attraverso cui
condurre l’approccio alle varie ipotesi di nullità contenute nella odierna legislazione
di protezione637. Una volta risolto in senso affermativo l’interrogativo circa la
riconducibilità della nullità relativa alle conseguenze della patologia di un negozio
giuridico, rimane ora da considerare, specificamente, la collocazione che sia da dare
ad essa all’interno dell’ampio genus dell’invalidità. L’incertezza ha riguardo in
particolare alla configurazione sistematica della nullità relativa in rapporto alle
tradizionali categorie della nullità e dell’annullabilità. Si verifica sovente
l’approccio alla figura qui in esame quale epifania od ipostasi della categoria
generale della nullità, rispetto alla quale il requisito della limitata legittimazione a
farla valere non varrebbe di per sé a fare di essa una autonoma categoria. Del resto,
neppure l’analisi degli interessi tutelati permette, a gran parte della dottrina, di
costruire la categoria autonoma della nullità relativa, se si condivide l’impostazione
secondo cui, poiché la figura della nullità negoziale è posta a presidio di interessi di
carattere generale, essendo la nullità relativa una forma di protezione di interessi “di
serie o di massa”, quali quelli di una determinata categoria (si pensi a quella dei
consumatori), allora anche in questo caso la nullità relativa opera come forma di
garanzia e di tutela dei valori fondamentali dell’ordinamento. Neanche seguendo la
via degli interessi tutelati si può, quindi, giungere a delineare la nullità relativa di
protezione quale autonoma categoria negoziale638.
Al fine di compiere il tentativo di costruzione della nullità relativa quale autonoma
categoria sistematica, è opportuno soffermarsi sul tratto della possibilità per il
contraente debole di scegliere se attivare la nullità per la pattuizione viziata o
piuttosto determinare il consolidamento della fattispecie relativamente nulla.
Certamente, la conferma, espressa o tacita, compiuta dal contraente debole
assumerà valenza di rinuncia allo strumento di tutela approntato dalla legge,
optando piuttosto per la sanatoria della pattuizione viziata. Tale sanatoria non può
peraltro essere ricondotta pacificamente alla figura della convalida del negozio
annullabile, dal momento che in questo caso si ha a che fare con una fattispecie che
è inefficace ab origine. Del resto, la possibilità che, in limitati casi previsti dalla
636
In tale senso R. TOMMASINI, v. Nullità (dir. priv.), in Enc. dir., XVIII, 1978, p. 896.
F. DI MARZIO, Forme della nullità nel nuovo diritto dei contratti, appunti sulla legislazione,
sulla dottrina e sulla giurisprudenza, cit., p. 478, il quale richiama una delle rare pronunce della
giurisprudenza in cui si è fatto ricorso alla categoria della nullità relativa (Trib. Firenze, 5 maggio
1960, in Giur. It., 1960, I, 2, c. 885).
638
V. ROPPO, Il contratto, cit., p. 842
637
204
legge, possa aver luogo la sanatoria di un negozio nullo è quanto il legislatore stesso
ha inteso prevedere alla lettera dell’art. 1423 cod. civ., al quale potrebbe essere
ricondotta l’ipotesi della nullità relativa di protezione.
Ebbene, sulla scorta di tali riflessioni, la figura della nullità relativa di protezione
può essere considerata una autonoma ipotesi di invalidità, da un punto di vista
sistematico, qualificabile come “nullità anomala”, in quanto essa, pur condividendo
con la tradizionale categoria della nullità di matrice codicistica tanto il requisito
della rilevabilità d’ufficio639 quanto quello della originaria inefficacia della clausola
sanzionata con tale forma di nullità nonché della potenziale imprescrittibilità della
possibilità di far accertare la sussistenza del vizio, tuttavia si differenzia dalla nullità
generale non soltanto per la limitata legittimazione a farla valere, ma anche in
quanto per la prima è sempre ammessa la sanabilità, mediante una convalida
compiuta dal contraente debole, contrariamente al panorama generale della nullità
al quale il giurista è tradizionalmente avvezzo640. In aggiunta a questa notazione,
anche in forza del sempre crescente margine di operatività della figura della nullità
relativa, essa può attualmente essere considerata alla stregua di una autonoma
categoria sistematica, piuttosto che una mera articolazione funzionale della nullità
in generale. Il requisito della relatività necessita pertanto di essere letto, non solo
nella chiave di limitata legittimazione ad esperire l’azione di nullità, quanto
piuttosto in termini di potere esclusivo del contraente debole di optare o meno per la
sanabilità della pattuizione viziata, potere peraltro speculare rispetto alla
legittimazione ad agire. In tale maniera è proprio il contraente debole a poter
decidere liberamente quali saranno le sorti della pattuizione negoziale, o, in altri
casi, dell’intero negozio. Il tradizionale principio di conservazione del contratto si
viene, così, in questa sede, ad esprimere proprio nel requisito della tendenziale
sanabilità del vizio, attribuita dal legislatore stesso ad una ipotesi di nullità, ed
attivabile esclusivamente per scelta del contraente debole641.
L’assetto contemporaneo della materia delle invalidità negoziali conosce, accanto
alle tradizionali figure della nullità e della annullabilità, anche quell’ampio novero
delle cosiddette “nullità anomale”, che costituiscono il prodotto della copiosa
G. BONFIGLIO, La rilevabilità d’ufficio della nullità di protezione, in Riv. Dir. priv., 2004, p.
861 (p. 898); S. MONTICELLI, Nullità, legittimazione relativa e rilevabilità d’ufficio, in Riv. Dir.
priv., 2002, p. 685
640
S. PAGLIANTINI, Autonomia privata e divieto di convalida del contratto nullo, Torino, 2007, p.
200.
641
E. QUADRI, “Nullità” e tutela del “contraente debole”, in cit., p. 1187.
639
205
legislazione di settore, quasi esclusivamente di matrice comunitaria, e che, tanto per
le loro caratteristiche specifiche quanto per la funzione che sono chiamate a
svolgere, si distinguono a tal punto dalle previsioni codicistiche di cui agli artt.
1418 ss. cod. civ. da potersi parlare di una nuova figura di invalidità, autonoma
rispetto alla nullità generale con la quale il giurista è stato chiamato
tradizionalmente a misurarsi.
Il ricorso, da parte del legislatore di settore, al termine “nullità” per questa nuova
forma di protezione non è da ritenersi una scelta terminologica avventata né
inidonea, se si considera che queste figure di nullità, per così dire, anomale
condividono con la nullità generale alcuni tratti salienti sopra richiamati642. La linea
di demarcazione tra questi due blocchi concettuali è da rintracciarsi nel requisito
della sanabilità della pattuizione viziata, ad opera della parte al cui presidio la
nullità stessa è stata posta. E proprio sulla base di questo rilievo si può costruire una
autonoma categoria delle nullità di protezione, alla quale sono da ascrivere tanto le
ipotesi di nullità espressamente disciplinate all’interno della legislazione di settore,
quanto quelle fattispecie che, nella medesima, sono sanzionate con la nullità senza
tuttavia che il legislatore abbia provveduto a chiarire a quale delle figure di nullità
essa vada ricondotta, ma che, sulla base di un lavoro ermeneutico imperniato sul
costante riferimento alla ratio legis, possono pacificamente essere annoverate tra le
ipotesi di nullità di protezione. Nella legislazione di settore rimangono, comunque,
tra i casi in cui è statuita la nullità senza che siano dettate ulteriori espresse
indicazioni, molteplici situazioni nelle quali è operativa la nullità codicistica
generale, determinandosi, pertanto, una coesistenza della nullità, per così dire,
speciale con quella tradizionale. Certamente, dal lavoro ermeneutico operato, sulla
legislazione di settore, tanto negli ambienti scientifici quanto nel contesto
applicativo della giurisprudenza, si registra una sempre crescente operatività della
nullità speciale di protezione rispetto a quella di matrice codicistica, a tal punto da
non sembrare infondata l’ipotesi avanzata, da parte di autorevole dottrina643, circa la
possibilità di prospettare una vera e propria species di nullità, quella speciale di
Nell’analisi del concetto di nullità nell’epoca attuale A. CATAUDELLA, Il concetto di nullità
del contratto ed il suo permanente vigore, in Studi in onore di Nicolò Lipari, cit., I, p. 414 – 415,
rintracciando la contingente operatività dei criteri distintivi essenziali della nullità, il che vale a dire
l’imprescrittibilità, la rilevabilità d’ufficio e l’inefficacia iniziale del contratto nullo, proprio sulla
base di ciò afferma “la attuale tenuta” del “concetto di nullità così come è stato elaborato e ci è stato
tramandato”.
643
V. SCALISI, Nullità e inefficacia nel sistema europeo dei contratti, p. 503, in ID, Il contratto e le
invalidità, p. 250
642
206
protezione, volta a costituire parte integrante della categoria generale della nullità
sanabile, la quale, a sua volta, costituirebbe una fattispecie a sé stante rispetto al
dettato codicistico di cui agli artt. 1418 ss. cod. civ644.
644
Il problema degli odierni rapporti tra disciplina generale e nullità speciali può essere affrontato
con maggiore lucidità di pensiero se si ha riguardo alla ricostruzione effettuata autorevolmente da E.
BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, 1971, p. 121, 184, impostazione
ripresa, in epoca più recente, da G. BENEDETTI, La categoria generale del contratto, in Il diritto
comune dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, Napoli, 1991, p. 61
Per un approccio in chiave di teoria generale N. LUHMANN, Sistema giuridico e dogmatica
giuridica, Stuttgart, 1974, p. 73. E’ degna tuttavia di qualche notazione la singolare nonché
autorevole impostazione secondo cui la specialità non comporta necessariamente la negazione del
carattere dogmaticamente unitario della figura della nullità: L. MENGONI, Problema e sistema
nella controversia sul metodo giuridico, in Diritto e valori, Bologna, 1985, p. 11
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