CAPITOLO π
I terremoti
I sismi si manifestano entro fasce della superficie terrestre, le aree sismiche mentre mancano nelle aree asismiche. Le aree
scismatiche coincidono con le dorsali oceaniche, le catene montuose e altre tipiche figure della superficie terrestre. Un terremoto
è una vibrazione più o meno forte della Terra prodotta da una rapida liberazione di energia meccanica in qualche punto al suo
interno. Il punto in cui l’energia si libera è detto ipocentro.: da esso si propagano onde sferiche che attraversano tutta la terra.
Mallet diceva che un terremoto consiste in una serie di onde elastiche che si propagano attraverso la Terra. Reid invece giunse
alla conclusione che le rocce, sottoposte a qualche sforzo si comportano in maniera elastica e si deformano progressivamente
fino a che non viene raggiunto il limite di rottura: in quel momento si innesca una lacerazione a partire dal punto più debole e
si crea una faglia, lungo il cui piano le rocce possono scorrere le une contro le altre in direzioni opposte. Le due parti
dell’originaria massa rocciosa riacquistano bruscamente il loro volume e la loro posizione di equilibrio con una serie di rapide
vibrazioni che si trasmettono alle masse rocciose circostanti. Se nella massa rocciosa esiste già una faglia è il forte attrito tra
le due estremità della faglia a impedire all’inizio ogni movimento, per cui le rocce si deformano elasticamente. Quando la
tensione supera la resistenza la faglia si riattiva e si muove. Questa è la teoria del rimbalzo elastico di Reid: con il brusco
ritorno delle masse rocciose all’equilibrio l’energia elastica accumulata durante la deformazione si libera in parte sotto forma
di calore e in parte sotto forma di violente vibrazioni che si propagano a partire dell’ipocentro.
Essi sono movimenti in atto nella crosta terrestre e nel mantello superiore che sottopongono a sforzo volumi di rocce, nelle quali
si va accumulando energia come deformazione elastica finche essa si libera provocando il terremoto.
In base alla teoria del rimbalzo elastico dopo un terremoto ci sarebbe un periodo di tranquillità sismica, ma le forze tettoniche
continueranno a deformare la crosta fino ad un’altra crisi sismica. Esso è il ciclo sismico. Nello stadio pre sismico la
deformazione elastica provoca variazioni in alcune caratteristiche delle rocce; in quello post sismico, l’area colpita va verso un
nuovo equilibrio con delle scosse successive.
I movimenti all’ipocentro producono differenti tipi di deformazioni, cui corrispondono diversi tipi di onde; inoltre la struttura
della Terra, con l’alternarsi di materiali diversi provoca nelle onde fenomeni di rifrazione e riflessione. Nella zona posta in
superficie sulla verticale dell’ipodentro, l’epicentro, arriva un groviglio di onde di ogni frequenza e velocità e il terreno vibra
più a lungo e più velocemente.
 Onde longitudinali: le particelle di roccia oscillano avanti e indietro nella direzione di propagazione dell’onda stessa:
la roccia subisce rapide variazioni di volume, comprimendosi e dilatandosi. Sono le onde più veloci dette P, si
propagano in ogni mezzo e sono la causa del rumore cupo che accompagna il terremoto perché provocano lo
spostamento d’aria.
 Onde trasversali: le particelle di roccia compiono delle oscillazioni perpendicolari alla direzione di propagazione;
la roccia subisce variazioni di forma e non di volume. Sono più lente delle onde P e sono dette S e non si propagano
tra i fluidi. Le onde P e S sono dette onde interne o di volume
 Onde superificiali: sono le onde che arrivano in superficie e si propagano dall’epicentro. Esse si dividono in onde R,
dove le particelle compiono movimenti lungo un orbita ellittica in un piano verticale lungo la direzione di
propagazione come avviene per le onde in acqua, e in onde L dove le particelle oscillano trasversalmente alla
direzione di propagazione come le onde S.
La registrazione del movimento sismico si chiama sismogramma. Nell’area prossima all’epicentro il sismogramma appare
complicato e confuso, per l’ampiezza delle oscillazioni e perché le onde arrivano quasi contemporaneamente. Lontano
dall’epicentro si riconosce la struttura fondamentale. Prima arrivano le onde P, poi alle P si sovrappongono le S e nell’ultima
parte appaiono le onde superficiali, più lente e ampie. L’esame di un sismogramma può fornire anche indicazioni sulla
profondità dell’epicentro.
La scala di intensità più usata in Europa e in America è la scala MCS (Mercalli) divisa in 12 gradi. L’intensità viene stabilità in
base alla valutazione degli effetti prodotti dal terremoto su persone, manufatti e terreno. Ad ogni località viene assegnato
un grado di intensità fino alle zone in cui non si sono rilevati effetti. Dopo aver riportato i dati su una cartina si individuano le
linee di confine tra le zone e si tracciano una serie di linee chiuse dette isosisme. Le isosisme forniscono informazioni sulla
struttura geologica dell’area in esame.
A parità di distanza dalla sorgente, un terremoto più forte di un altro fa registrare sul sismogramma oscillazioni più ampie.
L’ampiezza massima indicata con A è usata come misura della grandezza di un terremoto e se viene messa a confronto con
l’ampiezza massima A0 di un terremoto standard si può misurare la magnitudo di un terremoto come fece Richter. Come
terremoto standard egli scelse uno che produce su un sismografo posto a 100km dall’epicentro un sismogramma un oscillazione
massima di 0,001 mm.
Per poter confrontare il valore di A con quello di A0 è necessario prima determinare il valore di A0 a distanze dell’epicentro
diverse da 100km, tenendo conto dell’attenuazione che le onde subiscono. L’ampiezza di un forte sisma può essere anche dieci
milioni di volte maggiore di quella di un terremoto debole e per evitare numeri di magnitudo troppo grandi Richter ricorse al
logaritmo di 10 per cui la magnitudine è M = log10 A/A0. Se A = A0 la magnitudine è uguale a 0. Non esiste un limite alla
magnitudine. L’aumento di un’unità nella magnitudine corrisponde ad un aumento del fattore 10 nell’ampiezza del movimento e
una liberazione di energia di 30 volte maggiore. Non c’è alcuna corrispondenza tra intensità e magnitudo.
© Federico Ferranti S.T.A.
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