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Previsioni: difficile farle, facile sbagliarle
Viaggio all'interno dell'economia
A fine 1998 il parere dei previsori economici, secondo il Consensus
regolarmente pubblicato dall’ Economist, vedeva l’ economia della Corea
del Sud contrarsi ancora, se pur di poco, nel 1999. Il 1998 era stato un
annus horribilis, di seguito alla crisi asiatica iniziata nel 1997, e il Pil
sudcoreano era caduto del 5,7 per cento. Ebbene, che cosa successe nel
1999? Lungi dal contrarsi, l’ attività economica nella Corea del Sud registrò
una performance stellare: +10,7%! Qualcuno ha detto che lo scopo delle
previsioni economiche è principalmente quello di far fare bella figura alle
previsioni meteorologiche.
Una battuta cattiva, che potrebbe essere resa più amara, per coloro che
leggono nella sfera di cristallo delle economie, dal fatto che le previsioni
meteorologiche, almeno quelle per il weekend, sono molto migliorate. I casi di coloro che, fidandosi delle
previsioni, vanno a fare un picnic e si ritrovano inzuppati di pioggia, sono sempre più rari. Ma gli
economisti avrebbero buon gioco a ritorcere: le previsioni sul tempo sono buone per i prossimi 2-3 giorni.
Che tempo farà il mese prossimo? E l’ anno prossimo? Qui i meteorologi si arrendono o lasciano il posto
agli aruspici, che si affidano alla balbuzie fortunosa degli uccelli o al lontano contrappeso degli astri.
Mentre ai poveri economisti viene chiesto appunto quello: come andrà l’ economia l’ anno prossimo?
Fortunatamente per gli economisti, il sistema economico, se pure incredibilmente complesso, ha meno
variabili del sistema meteo.
Un confronto fra le previsioni del tempo e quelle dell’ economia è istruttivo. Gli equilibri planetari in tema
di tempo atmosferico rappresentano un sistema chiuso. Il matematico francese Lagrange disse un giorno
che se si potesse tener conto esattamente del comportamento – dettato da leggi invarianti – di tutte le
grandezze che compongono un sistema chiuso, si potrebbe prevedere il suo andamento nel tempo. E le
leggi della fisica dettano il comportamento delle molecole dell’ aria e dell’ acqua, così come degli altri
fattori che determinano il tempo che fa, dai raggi cosmici ai potenziali elettrici. Non ci sono ostacoli teorici
a che si sappia che tempo farà il 23 ottobre del 2027. Gli ostacoli sono pratici, perché il numero delle
variabili è troppo alto e le loro interazioni troppo complesse.
Per le previsioni economiche i problemi sono diversi. Il numero delle variabili, come detto, è
fortunatamente più limitato ma le interazioni devono fare il conto con un imponderabile che non esiste
nelle previsioni del tempo: la natura umana. Talché anche Lagrange dovrebbe arrendersi: neanche in
teoria è possibile proiettare la storia e le passioni, a meno di non affidarsi alla fantascienza, e in
particolare alla famosa "psicostoria" di Hari Seldon, il protagonista della immortale serie delle Fondazioni
di Isaac Asimov. Ma torniamo, più modestamente, a quel poco di previsioni economiche che è possibile
fare oggi. La figuraccia fatta dai previsori con il caso del post-crisi asiatica, riportata sopra per quanto
riguarda la Corea del Sud, è stata ripetuta più di recente. Segno che dagli errori non sono scaturiti
pentimenti o ripensamenti. Il grafico mostra, per quanto riguarda il più recente annus horribilis, il 2009, lo
scostamento fra consuntivo e previsioni.
Le previsioni sono quelle fatte nell’ aprile 2008 dal Fondo monetario, e i consuntivi del 2009 sono riportati
nell’ ultima edizione del World Economic Outlook del Fmi. Come si vede, lo scostamento è enorme, e
riguarda tutti i paesi del mondo, non solo quelli di un continente, come nel caso precedente. A nove mesi
di distanza dall’ inizio del 2009 tutte le previsioni riportavano una crescita positiva per tutte le principali
aree dell’ economia mondiale. A consuntivo il segno meno ha imperato, con cadute che vanno da -0,6
per l’ economia mondiale nel suo complesso a -5,5% per Giappone e Italia. Solo per i Paesi emergenti il
segno più si è mantenuto, ma la crescita è caduta da +6,6 a +2,7%.
Una recente analisi del Fondo monetario (Information Rigidities in Economic Growth Forecasts: Evidence
from a Large International Panel, di Jonas Dovern, Ulrich Fritsche, Prakash Loungani e Natalia Tamirisa,
WP/13/56 Febbraio 2013) ha segnalato che molte previsioni sbagliate hanno a base una riluttanza
(rigidità) a cambiare le proiezioni fatte in precedenza, specie quando sono in corso forti cambiamenti
strutturali (e si spiega anche perché gli errori di previsione sono più forti e frequenti per in paesi in via di
sviluppo, la cui struttura produttiva cambia rapidamente). La stessa conclusione è stata raggiunta da un
altro studio del Fmi (Quarterly GDP Revisions in G-20 Countries: Evidence from the 2008 Financial Crisis,
di Manik Shrestha e Marco Marini, IMF Working Paper Marzo 2013) che ha esaminato quelle “ previsioni
sul presente” che sono le prime stime del Pil trimestrale con le successive revisioni.
La conclusione è che queste revisioni sono state più ampie in occasione della recente crisi, quando le
economie hanno reagito a un cocktail di forze strutturali che non era ben conoscuto e studiato, cioè
l’ interazione fra finanza ed economia. Un lavoro del premio Nobel Daniel Kahneman (uno psicologo – è
stato il primo non-economista a ricevere un premio Nobel per l’ economia) ha spiegato esaustivamente
quella “ rigidità” sopra menzionata che è responsabile dell’ incapacità dei previsori a incorporare
cambiamenti radicali nelle loro proiezioni. In uno scritto del 1981 Tverski e Kahneman diedero una
spiegazione “ comportamentale” per i casi di insuccesso delle previsioni: noi tendiamo – scrissero – ad
assorbire solo lentamente le sorprese, sia buone che cattive, e a dilazionare il loro inserimento negli abiti
mentali che dettano le previsioni.
Questi studi pongono l’ accento sulla seconda e più importante causa degli errori di previsione. La prima
causa è banale: il futuro è inconoscibile e tutti i tentativi di penetrarlo sono soggetti a margini di errori. Gli
errori sono quindi, fisiologici e si hanno anche in periodi di calma, quando le economie ticchettano lungo
strade conosciute e argini già rilevati. In questa ottica i cicli non sono avventure lungo sentieri sconosciuti,
ma parte di un funzionamento del sistema economico che gli economisti conoscono e indagano. Già nel
1939 Joseph Schumpeter scrisse: «I cicli non sono come le tonsille, cose separate che possono essere
curate da sole, ma come il battito del cuore, appartengono all’ essenza dell’ organismo».
L’ economia accumula tossine nella fase di espansione, che assomiglia di solito più a un boom
disordinato che a una ordinata avanzata. E la recessione che ne segue serve appunto a
purificare l’ organismo da quei veleni. La seconda causa è legata invece al fatto che l’ economia non è
una scienza esatta, e la realtà si incarica periodicamente di costringere gli economisti a rivedere le teorie
per metterle in accordo con la realtà. L’ esempio, triste ma, appunto, esemplare, è recente. La Grande
recessione. Come è stato possibile che una crisi in un oscuro angolo della finanza americana – i mutui
subprime – sia andata ingrossando come una valanga che acquista forza e abbia squassato l’ intera
economia mondiale fino a costringerla al primo passo indietro del dopoguerra?
Chiaramente, i previsori sono senza colpa. La colpa è dei teorici. Perché i previsori non possono
prevedere quello che non è nella loro ‘ cassetta degli attrezzi’ , nell’ insieme di strumenti cui ricorrono
per costruire le previsioni. Nella fattispecie, mancava alla scienza economica un anello essenziale: gli
effetti della “ turbofinanza” – l’ insieme di innovazioni finanziarie introdotte negli ultimi anni –
sull’ economia reale. L’ economia del contagio, con la sfiducia che rimbalza da un paese all’ altro, così
come il ruolo delle banche – non solo passivi intermediari ma lubrificanti del sistema economico – non
erano stati adeguatamente apprezzati. E anche se qualsiasi meccanico sa cosa succede al motore se
manca l’ olio lubrificante, questa semplice nozione mancava nella cassetta del attrezzi dei previsori
economici.
Luigino Bruni
(Articolo tratto da la Rivista del Banco Popolare)
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