Sintesi - Jazzitalia

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REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA
Presidenza della Giunta Regionale
Assessorato della Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Sport e Spettacolo
Assessorato del Turismo, Artigianato e Commercio
Assessorato dell’Agricoltura e della Riforma Agropastorale
C OMUNE DI SANT’ANNA ARRESI
ASSOCIAZIONE CULTURALE
PUNTA GIARA
XX FESTIVAL INTERNAZIONALE
AI CONFINI TRA SARDEGNA E JAZZ
PROGETTO “SINTESI„
SANT’ANNA ARRESI
DAL 4 AL 6 AGOSTO 2005
AGENZIA
REGIONALE
DEL LAVORO
FONDAZIONE
BANCO DI
SARDEGNA
Programma dei Concerti
4 agosto
LE LUNGHE CANNE, SPECIAL GUEST PAT METHENY
Sandro Satta (sax contralto), Michel Godard (basso tuba, serpentone),
Antonello Salis (piano, fisarmonica), Paolo Alfonsi (chitarra),
Paolo Damiani (violoncello), Hamid Drake, Fulvio Maras (batteria, percussioni),
Carlo Mariani, Stefano Pinna, Giuseppe Orrù, Gianfranco Meloni,
Giulio Pala, Renzo Ζucca, Massimo Congiu (launeddas)
5 agosto
ANGELI-METHENY-SALIS-DRAKE QUARTET
Pat Metheny (chitarra elettrica), Paolo Angeli (chitarra sarda preparata),
Antonello Salis (pianoforte, fisarmonica), Hamid Drake (batteria, percussioni)
6 agosto
ENRICO RAVA QUINTET, SPECIAL GUEST PAT METHENY
Enrico Rava (tromba), Gianluca Petrella (trombone), Stefano Bollani (pianoforte),
Rosario Bonaccorso (contrabbasso), Roberto Gatto (batteria), Pat Metheny (chitarra)
IL PROGETTO
“SINTESI„
UN’IDEA PARADIGMATICA. L’idea di aprire il ventennale dell’attività dell’Associazione
Culturale Punta Giara con un progetto che ha come titolo “Sintesi”, potrebbe far pensare ad
intenti commemorativi, se non addirittura autocelebrativi.
I cattivi pensieri troverebbero terreno ancor più fertile al cospetto della figura di Pat
Metheny, nelle vesti di “affidatario” del progetto: una sintesi di quattro lustri di iniziative,
consegnata ad un grande della musica, autentico “astro” della chitarra jazz e non solo – il
sospetto sembrerebbe farsi certezza.
Tuttavia, ricostruendo la vicenda entro cui si è sviluppato il Progetto “ Sintesi”, si ha facile
gioco a dissipare qualsivoglia perplessità “preventiva”.
Sul rapporto fra Pat Metheny e Sant’Anna Arresi tanto è già stato detto, in più occasioni
anche dal cinquantenne musicista del Missouri, che più volte ha descritto la Sardegna e il
centro del Sulcis come una sorta di “luogo d’elezione”, per gli stimoli che ne vengono alla sua
serenità di artista e alla sua creatività. Si potrebbero spendere le parole della retorica facile,
per “cantare” la barbosa storiella della star internazionale che, quaggiù, in una landa della
Sardegna meridionale – periferia della periferia – riscopre i ritmi di una vita più consona
all’arte. Non sarà fatto né in questa né in nessun’altra occasione: il Sulcis non è un’Arcadia
del terzo millennio, né Metheny, a nostro modestissimo parere, ne è alla ricerca.
Con tutta probabilità, invece, il rapporto fra la Rassegna musicale di Sant’Anna Arresi e
tutto ciò che ne fa parte – una piccola grande associazione culturale, lo spazio in cui si
svolgono i concerti, il piacevole ambiente circostante, il pubblico civile e competente – e Pat
Metheny, è una sorta di emblema della storia ventennale del Festival “Ai confini tra
Sardegna e jazz”. Un rapporto, si vuol dire, simbolico dell’incontro tra una piccola realtà
divenuta una delle esperienze più interessanti della produzione musicale a livello planetario
e le vicissitudini di una musica che è l’esperienza peculiare della musica e dell’arte del XX
secolo – e di un musicista che è di questa musica e della musica tout court è un mito.
Di questo incontro, fonte di riflessioni e di contraddizioni, che soprattutto costringe tutti gli
interessati – organizzatori, fruitori e addetti ai lavori – a ripensare il rapporto fra le
categorie del “grande” e del “piccolo”, si è voluto in questa particolare occasione fare una
“sintesi”: che parte, ad ogni buon conto, dalla volontà, espressa da Metheny, di riprendere il
filo del suo rapporto con Sant’Anna Arresi e con la Sardegna, sulla scorta degli esiti positivi
della sua partecipazione alla rassegna del 2001.
In questa successione di eventi si disegna infatti uno dei paradigmi della vicenda del
Festival: per cui accade che un musicista di tale levatura, uno – sia permesso dirlo – dei
tanti avvicendatisi sul palco al cospetto del Nuraghe, affidi la propria creatività e
disponibilità alla disponibilità e creatività di un’associazione che crede ancora nella
possibilità di interagire con la fantasia degli artisti, che non vuole limitare la propria azione
alla scelta di questa o quella proposta. In breve: nel ruolo della committenza nello sviluppo
dell’arte contemporanea.
L’ARTICOLAZIONE DEL PROGETTO. Il Progetto “Sintesi” si muove su due livelli. Lasciando ad
altra sede l’illustrazione della parte didattica, con i tre giorni della Master Class che
Metheny terrà dal 1° al 3 agosto, la parte concertistica sarà affidata ad altre serate (dal 4 al 6
agosto), due delle quali verranno allestite su proposta della Direzione Artistica
dell’Associazione Culturale Punta Giara, ed una su esplicita richiesta del chitarrista
statunitense. In questo articolarsi del progetto, si ripete lo schema della precedente
partecipazione di Metheny al Festival, con due appuntamenti proposti dall’Associazione –
quelli con il quartetto di Enrico Rava e con il Meta Quartet – e uno a cura del protagonista
che aprì la Rassegna con il suo trio, in cui suonavano per l’occasione il contrabbassista
Larry Grenadier e il batterista Bill Stewart.
Nell’agosto del 2005 come nell’agosto del 2001, per altro, tanto della riuscita del progetto è
affidata alla capacità dei protagonisti di dare corso alle premesse su cui si basa “Sintesi”:
premesse accattivanti ma ormai, consegnate nelle sole mani degli artisti.
Ad aprire il Progetto “Sintesi” sarà la produzione originale “Orchestra Le Lunghe Canne,
special guest Pat Metheny”. L’ensemble guidato da Carlo Mariani – che, novità rispetto
all’edizione 2003, fa registrare l’ingresso del batterista Hamid Drake e l’uscita di Marc Ribot
e Trilok Gurtu – sarà comprimario di una sorta di “concerto per chitarra e orchestra”: il
gruppo che fa convivere, in forma stabile dal 1999, una formazione di stampo jazzistico con
una sezione di sette specialisti delle launeddas, lavorerà su partiture originali. L’Orchestra
Le Lunghe Canne si è caratterizzata, negli anni, per la spiccata capacità di favorire
l’ingresso di nuovi apporti: predisposizione che sarà esaltata dalla capacità di Metheny di
interagire nei più svariati contesti.
Il giorno successivo sarà la volta dell’inedito quartetto formato da Metheny, dal “ chitarrista”
Paolo Angeli, da Antonello Salis e da Hamid Drake. Sull’intesa fra Pat Metheny e Angeli
non resta più tanto da dire. La scintilla, com’è noto, è scoccata dietro le quinte del XVI
Festival “Ai confini tra Sardegna e jazz”: ne nacque un amicizia non solo artistica. Metheny
volle una copia della “chitarra sarda preparata” di Angeli e l’amicizia tra i due potrà sfociare
in un appuntamento che è tra i più attesi della stagione musicale internazionale, tanto da
aver suscitato l’interesse della Direzione Artistica del Teatro La Fenice di Venezia, per un
bis sul prestigioso palcoscenico. A favorire il concerto arresino la compresenza di Drake e di
Salis, artisti eclettici e favorevoli ai rendez-vous più inconsueti.
A chiudere la “tre giorni” metheniana del prossimo agosto il nuovo incontro fra il chitarrista
ed Enrico Rava, che porterà sul palco arresino il suo già celebrato quintetto. Tra Rava e
Metheny c’è tanto feeling, e chi poté ascoltare – e vedere – il concerto della XVI Edizione,
non potrà non ricordare quanto immediatamente si combinò un’intesa che parve frutto di
anni di collaborazione. Il lavoro che la band del trombettista ha mandato in stampa per la
Ecm – con i fidi Bollani e Gatto al piano e batteria, e con Gianluca Petrella al trombone e
Rosario Bonaccorso al contrabbasso – pare essere base solidissima per questo nuovo
“abbraccio” artistico: un album, ‘Easy Living’ che è stato lodato, oltre che per l’estrema
sapienza tecnico-espressiva dei protagonisti, per il relax dell’esecuzione e per il lavoro di
sintesi delle differenti esperienze jazzistiche che informano l’arte dei cinque. Premessa che
fa vaticinare un nuovo, incantevole exploit, non senza coltivare il sogno di un nuovo “regalo”
da parte di Pat Metheny al pubblico del Festival: come fu quel solo alla chitarra acustica, il
primo della sua carriera, del tutto fuori programma, che per quasi un’ora, il 3 agosto 2001,
ammaliò il “popolo del jazz” assiepato sotto il monumento simbolo della Sardegna più antica.
PAT METHENY E SANT’ANNA ARRESI
Al Festival Internazionale “Ai confini tra Sardegna e jazz”, Pat Metheny arriva quest’anno
per la quarta volta.
La sua prima performance fu quella con il trio che annoverava Dave Holland al
contrabbasso e Roy Haynes alla batteria: un gruppo da favola, che fece il “ sold out”, una
delle occasioni in cui davvero non ci sarebbe stato il posto per uno spillo nella piccola arena
sotto il Nuraghe Arresi.
Nel 1994, invece, tornò come special guest nel quartetto di Kenny Garrett che portava in giro
per il mondo, in quell’occasione, il suo disco ‘Pursuance: The Music Of John Coltrane’, e
anche il quell’occasione l’affetto dei fan di Metheny si fece sentire: qualcuno fu deluso
perché Pat, da grande uomo d’arte, se ne rimase in un canto senza debordare neanche per un
attimo, interpretando fino all’ultimo il ruolo di “ ospite” che, per quanto “speciale”, è pur
sempre “al servizio” di un progetto altrui.
Ma il legame forte fra Sant’Anna Arresi e il musicista del Missouri si è allacciato dopo le tre
incredibili serate del 2001.
Doveva essere il mattatore, e l’attesa non fu stata tradita. Ma certo nessuno avrebbe potuto
presagire che, fra i tre appuntamenti in programma – di cui due collaborazioni senza rete –,
il chitarrista avrebbe trovato l’umore giusto per lo storico fuori programma del 3 agosto.
Quel solo all’acustica, donato al pubblico che l’aveva osannato nei due giorni precedenti e al
Festival di un piccolo grande paese che l’ha adottato, quei sessanta minuti di intensità e
dolcezza, di umanità artistica immensa furono la prima fotografia dell’album 2001. L’hic et
nunc del jazz ebbe la massima esaltazione, favorita anche da una performance inedita,
perché Metheny non si risparmiò neppure da solo, attraversando nel volgere di una decina di
temi l’intero spettro della sua arte.
Non si risparmia mai, Pat: neppure in quel magico trittico. In trio fu torrenziale, rutilante,
esaustivo, riuscendo tuttavia a non tracimare, grazie anche alla puntuale partnership di
Larry Grenadier e Bill Stewart. Con il quartetto di Enrico Rava riuscì ad interagire fin
dall’attacco, special guest così speciale da sembrare collega abituale: immersosi fino al collo
nella densa poesia della band italiana ne arricchì la gamma, infilando assoli (quello su
Theme For Jessica e su Stella By Starlight su tutti) fatti di carne e sangue, senza un solo
trucco del mestiere. E il giorno successivo, dopo il solo a sorpresa, il rendez-vous con i sardi
del Meta Quartet: concerto fra i più “coraggiosi” nella storia del Festival, giocato sul terreno
dei nervi, degli scatti e degli sbalzi, dei passaggi arditi e fluidi fra ariose melodie e interludi
furiosi da collettivo free. Metheny si mise a disposizione e suggerì spunti e scarti, ancora una
volta integrato alla perfezione in un contesto difficile e francamente poco consono alle sue
abituali frequentazioni: non prima di aver messo “alla frusta” i partner, costretti nel
pomeriggio a faticosi “prova e riprova”, continuati in solitudine in albergo e proseguiti fino a
un attimo prima di andare in scena.
Sul palco le strizzate d’occhio, i sorrisi, gli ammiccamenti si sprecavano: fotografie di due
appuntamenti riuscitissimi. E poi il fotogramma che Paolo Angeli non dimenticherà più:
sceso dal palco, il giovane musicista di Palau, dopo una bella esibizione alle prese con la sua
chitarra sarda preparata, trovò Pat Metheny – in persona… – a sommergerlo di complimenti
e a chiedergli di poter visionare quell’affascinante “oggetto sonoro”, che qualche anno dopo
ottenne in copia per poterne studiare le possibilità.
ORCHESTRA LE LUNGHE CANNE
SPECIAL GUEST PAT METHENY
Giunta alla terza “edizione”, l’Orchestra Le Lunghe Canne, nata nel 1999 al fine di aprire lo
spazio di una sperimentazione stabile fra la musica popolare sarda e i suoni e i ritmi di
discendenza afroamericana, mostra sempre più chiaramente il proprio carattere. A questo
ensemble e al suo direttore Carlo Mariani l’Associazione Culturale Punta Giara ha affidato,
a più riprese, il compito di sintetizzare le esperienze “sperimentali” empiricamente realizzate
lungo la vicenda della Rassegna di Sant’Anna Arresi. Il contesto è quello di composizioni
originali che consentano di confrontare linguaggi – sui quali l’apertura è totale – e
intraprendere percorsi comuni: «Trovare una sintesi possibile – come spiega lo stesso
Mariani – nella quale tutti si trovino a proprio agio e le diverse aree musicali si mescolino
armonicamente, senza prevaricazioni». Le traiettorie del rapporto fra le forme della musica
isolana e l’estetica jazzistica si portano sul terreno della compiutezza di un meditato e
freschissimo lavoro di scrittura: realmente, ogni performance dell’Orchestra Le Lunghe
Canne è così una produzione originale, punto di partenza per chi ha fatto
dell’attraversamento dei “confini” qualcosa di più di un copyright. L’esordio rimonta al
settembre 1999, serata finale del XV Festival. L’organico era formato da otto solisti di
launeddas, una vera e propria sezione orchestrale guidata da Mariani, affiancata da sette
musicisti appartenenti all’area jazzistica: Sandro Satta al sax alto, Michel Godard al basso
tuba e serpentone, Marcello Fiorini alla fisarmonica, Massimo Nardi alla chitarra, Paolo
Damiani al violoncello, Fulvio Maras e Michele Rabbia alla batteria e percussioni. La
presenza delle launeddas si staccava di slancio dal contesto coloristico di certe “ fusioni”,
rinnovandone il ruolo sia dal punto di vista tecnico – attraverso le modifiche dello
strumento in funzione armonica – sia ritmico-melodico. Nel rapporto fra le launeddas e gli
altri strumenti si evidenziava piuttosto un problema di “ quantità” sonora, rinviabile per
altro ai tecnici dell’amplificazione: questioni inedite sollevate da un’esperienza
concretamente e intimamente nuova.
Dopo la replica nel 2000, nell’edizione dell’ “esilio” a Nora, l’Orchestra le Lunghe Canne è
tornata al Festival in un contesto che, già in partenza appariva assai pertinente e stimolante:
quello di “Angedras”, omaggio all’arte e alla musica di Marcello Melis. Nel gruppo, oltre alla
consueta sezione di launeddas, ridotta di un’unità, si confermavano Satta, Godard, Damiani
e Maras, e venivano inseriti il pianoforte e la fisarmonica di Antonello Salis, le chitarre di
Paolo Alfonsi e Marc Ribot, le percussioni di Trilok Gurtu. Assai profondo l’apporto
all’eccellente risultato della prestazione, condotta da Mariani nel corso della XVIII
Edizione, che a Melis era interamente dedicata, offerto da Antonello, Marc e Trilok:
l’allargamento dello spettro timbrico si è felicemente risolto in risultato estetico, palesando
l’intima qualità di un’Orchestra intrinsecamente votata all’apertura totale. Quanto allo
sviluppo delle premesse sulla cui base è stata formata, può dirsi che il lavoro compiuto negli
anni ha posto le basi per un esito positivo dei dilemmi e delle incertezze postesi
all’attenzione dei musicisti e dei fruitori delle prime prove del gruppo.
L’incontro con Pat Metheny, promette di rappresentare una nuova fondamentale tappa nel
percorso di questo singolarissimo combo, ancora rinnovato da nuovi apporti.
ANGELI-METHENY-SALIS-DRAKE
QUARTET
«Credo che Paolo Angeli abbia sviluppato, con le sue innovazioni nel design della chitarra,
una direzione nuova e significativa per il nostro strumento. Quando l’ho sentito suonare la
chitarra per la prima volta, mi è subito apparso chiaro che le implicazioni di ciò che lui e il
suo strumento offrivano erano importanti e provocatorie. Il suo concerto in solo era
impressionante, non solo per i suoni unici che produceva ma anche per l’evocazione di una
energia creativa pura. Ammiro Paolo da diversi punti di vista, e mi senti orgoglioso di avere
avuto un coinvolgimento nella sua ricerca in progress che ha prodotto, sotto i suoi auspici,
due strumenti nuovi, uno dei quali sono eccitatissimo di possedere. Sento che le innovazioni
del design chitarristico apportate da Paolo offrono delle grandi opportunità ai chitarristi
che vogliano trovare le porte d’ingresso nella musica vis a vis con il proprio strumento, e non
vedo l’ora di poter trascorrere del tempo con la mia chitarra “Paolo Angeli”, alla ricerca di
un mio passaggio nel mondo sonoro offerto da questo strumento unico ».
Così Pat Metheny, a proposito dell’incontro avvenuto a Sant’Anna Arresi il 2 agosto 2001,
nel corso della XVII Edizione del Festival “Ai confini tra Sardegna e jazz”: parole di grande
elogio, che tuttavia non sorprendono chi conosce l’umiltà del chitarrista del Missouri e il suo
sincero interesse per la musica e per la chitarra (di cui è collezionista) e per l’impatto
espressivo dell’arte del musicista di Palau e della sua creatura, quella “chitarra sarda
preparata” – locuzione che è l’unica finora lessicalmente possibile per descrivere la sua boite
a musique da cui può sortire, e sortisce, davvero di tutto – che è una delle creazioni più
autenticamente originali degli ultimi decenni. «Un ibrido – così la definisce lo stesso Angeli
– tra chitarra, basso acustico, violoncello e batteria. Ha i martelletti come il pianoforte
(azionati da cavetti di bicicletta applicati a sei pedali), ha una manina meccanica per le
corde trasversali che mi permette di realizzare le parti ritmiche, ha quattro corde di sitar
montate su un ponte di contrabbasso, ha delle eliche per ottenere i bordoni e la tengo stretta
“tra una gamba e l’altra” come un violoncello». L’appuntamento di Sant’Anna Arresi è una
nuova, attesissima tappa dell’intasa fra due mondi espressivi: a favorire un possibile exploit
la presenza di due artisti che hanno recentemente duettato con Angeli dal vivo.
Il primo, Antonello Salis, è unito al chitarrista, oltre che da comuni radici geografiche, da
un’inesauribile vena “sperimentale”. Salis e Angeli rappresentano in maniera esemplare il
momento particolare vissuto dalla musica sarda: nel pianista e fisarmonicista, si raccolgono
le esperienze del jazz isolano a confronto con la modernità delle avanguardie dei Sessanta e
Settanta, le cui tensioni si sono risolte in un efficace melting pot di ispirazioni e stimoli; nel
“chitarrista” la contemporaneità è un presente che sfugge, come scappa di mano
all’ascoltatore – mai all’esecutore – il rutilante caleidoscopio dei riferimenti che sgorgano
senza soluzione di continuità dalla “macchina” che Angeli ha costruito da sé. Se ne avuta
prova nel cd ‘Ma.Ri.’: «Per chi voglia capire dove il jazz italiano possa andare, scantonando
dall’ormai sua cementata elecanza – ha scritto Enzo Siciliano – ascolti i due solisti, e ne
gusterà il brio, l’inventiva, anche la complessa cultura musicale (cosa che non guasta quando
sappia farsi interprete spregiudicata della vita». Fortunata anche la performance al Festival
“Jazz In’It” di Vignola: nel loro intenso dialogo, la tradizione emergeva a tratti, con
riferimenti che erano di volta in volta spettrali simulacri o lacerti graffiati via dall’incrocio
melodico e umoristico; c’è stato spazio tuttavia anche per un’intensa e lunga citazione
dell’Ave Maria “in limba”, digressione pianistica di un Salis più propenso ad imbracciare la
fisarmonica, e per un canto d’amore gallurese, intonato da un Angeli ispiratissimo.
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Chi volesse saperne di più, troverà una dettagliata descrizione nel sito web www.paoloangeli.it.
Con Hamid Drake, il rendez-vous risale al settembre scorso, per una dei set migliori del XIX
Festival “Ai confini tra Sardegna e jazz”, da cui la Splasc(h) ha deciso di trarre una
pubblicazione discografica prossimamente sugli scaffali delle rivendite. Un incontro giocato
in buona parte sul terreno ritmico, grazie alla pregnanza del percussionismo di Drake,
intenso e ricco, spettacolare ad onta della discrezione di chi lo propone. La forte componente
aleatoria ha prodotto esiti che hanno entusiasmato pubblico e critica, segno di un’intesa
profonda seppure trovata nella “casualità” di un dialogo senza “rete”.
ENRICO RAVA QUINTET
ENRICO RAVA (TROMBA),
GIANLUCA PETRELLA (TROMBONE), STEFANO BOLLANI (PIANOFORTE),
ROSARIO BONACCORSO (CONTRABBASSO), ROBERTO GATTO (BATTERIA)
Una band che mette fianco a fianco un grande del jazz come Enrico Rava, uno dei massimi
interpreti della batteria in ambito continentale come Roberto Gatto; un talento ormai
affermato e “adorato” da un pubblico vasto come Stefano Bollani, e due volti nuovi ormai
prossimi a passare sotto l’arco trionfale, come Gianluca Petrella e Rosario Bonaccorso.
Il capolavoro, manco a dirlo, era nel destino di questo “Hot Five” del jazz nostrano nel Terzo
Millennio: l’ha fissato l’Ecm nel cd “Easy Living”, Disco dell’Anno “Premio Arrigo Polillo”
nel referendum Top Jazz 2004 del mensile Musica Jazz, che ha sancito anche la vittoria del
quintetto nella categoria Miglior Gruppo, mentre Rava ha prevalso per il Musicista
dell’Anno.
Un lavoro di bellezza apollinea che sfiora – sfiora… – la perfezione: «È uno dei migliori
album che ho fatto – ha detto il leader – ognuno di noi si esprime al meglio e la seduta di
registrazione è corsa via liscia, veramente rilassata».
Rava ancora una volta ha proposto una musica intensa, meditativa, introspettiva, con la
tromba esaltata dalla magistrale registrazione: il trombettista si è mosso fra il “classicismo”
di un Bix e di un Satchmo e il Miles più iconoclasta, passando per il prediletto Chet, con un
profonda opera di sintesi concretamente “contemporanea”, ricca di echi del passato
all’interno di un linguaggio attuale. Con questo bagaglio, Rava ha dialogato con i suoi
compagni d’avventura palesando un entusiasmo che raramente si rileva in musicisti assai
più giovani, trascinando il quintetto in una performance inesauribilmente ricca di spunti di
riflessione e di puro piacere.
Se ne sono giovati in particolare Petrella e Bollani.
Il primo ha confermato e acuito la sensazione che la critica ha ormai da parecchio tempo: si
tratta di un artista che è in grado di fare grandi cose, perché ha tecnica sopraffina e idee
forti e leggere allo stesso tempo.
Il secondo, come sempre “enciclopedico”, ha evitato nel frangente la ridondanza che talvolta
caratterizza le sue prove e ha strappato la sua eccezionale competenza all’esibizionismo, per
essere solo ed esclusivamente delizioso.
Quanto al contrabbasso, ha confermato la tradizione che vuole Rava “servirsi” di
strumentisti di vaglia – da Marcello Melis a Enzo Pietropaoli. Gustoso il vezzo di
Buonaccorso di doppiare gli assolo con la voce, novello Slam Stewart, ma nel complesso la
sua prova si è caratterizzata per precisione, puntualità e capacità evocative.
Qualcosa di più va detto, infine, per quanto riguarda la prestazione di Roberto Gatto, ormai
sempre più magistrale, perentorio, autorevole per non dire “ autoritario”: ha trascinato il
gruppo con mano ferma e fantasiosa, con le sue metriche e i ritmi spezzettati, contorti,
obliqui. Una conferma che fa pensare a quanto sia lontano il traguardo di questo gigante
della percussione europea.
BIG BAND DELLA SCUOLA CIVICA DI MUSICA
DI CAGLIARI
DIRETTORE: M° PAOLO CARRUS
DANIELE PASINI, FLAUTO; ROBERTO FRAILIS, SAXOFONO SOPRANO; VALERIA GENTILI E
MAURO PERROTTA, 1° SAXOFONO CONTRALTO; ENRICO MANCA E ALESSANDRO MEDICI,
2° SAXOFONO CONTRALTO; MASSIMO CAPPAI, 1° SAXOFONO TENORE; WALTER ALBERTON
E GIANFRANCO FARET, 2° SAXOFONO TENORE; MARCO ARGIOLAS, SAXOFONO BARITONO;
ENRICA PALLA, 1A TROMBA; ANDREA MORANDINI, 2A TROMBA; MATTEO SEDDA, 3A
TROMBA; CARLO DESSÌ, 4A TROMBA; SIMONA CORRIAS, CORNO FRANCESE; GIUSEPPE
SALIS, 1° TROMBONE; ANTONELLO GALLO, 2° TROMBONE; ALESSANDRO GHIRONI, 3°
TROMBONE; GUIDO MURGIA, TROMBONE BASSO; ANDREA MELEDDU E GIAMPAOLO
VEDELE, PIANOFORTE; MAURIZIO MELEDDU, CHITARRA; MASSIMO BATTARINO,
CONTRABBASSO; FRANCESCO SANTUCCI E NICOLA MONARI, BATTERIA
GIUSEPPE MURGIA , SAXOFONO CONTRALTO , E BILLY SECHI, BATTERIA: SOLISTI
La Big Band della Scuola Civica di Musica di Cagliari, composta da 25 elementi, si accinge
ad affrontare un passo importante: il confronto con l’atmosfera del Festival Internazionale
“Ai confini tra Sardegna e jazz”. Il suo momento sarà, anteprima del Progetto “Sintesi”, il 3
agosto, in una “festa musicale” che suggellerà la Master Class tenuta da Pat Metheny.
La Big Band, fondata sulla compresenza di artisti professionisti ed allievi dei Corsi di
Musica d’insieme della Scuola Civica, ha preparato questo appuntamento seguendo due linee
guida.
«La prima – spiega il Direttore Paolo Carrus – è fondata sui rapporti fra la musica popolare
sarda e il jazz, in linea con uno dei leit motiv del Festival, attraverso i brani originali scritti
dal sottoscritto. Verranno eseguite composizioni, fra le quali Passo, Sardegna Oltre Il Mare,
Odras, Motivi Sardi, appartenenti anche al repertorio di varie orchestre jazz italiane, che
sono stati riconosciuti come brani di sintesi anche in concorsi di composizione per orchestra
jazz, fra cui “Scrivere in jazz” e “Barga Jazz”. Verranno eseguiti anche altri brani scritti da
me, fra i quali Launo, che è stato premiato dal Concorso di Composizione intitolato a
Dionigi Burranca, proprio a Sant’Anna Arresi».
«La seconda linea guida – prosegue il Direttore della Big Band – è una sfida costituita dalla
rielaborazione per grande orchestra di alcuni brani di grande fascino ed originalità scritti
da Pat Metheny, con i miei arrangiamenti, per rendere omaggio ad uno dei musicisti più
significativi del jazz contemporaneo. L’incontro fra la musica di Metheny e la band, nata
da un corso scolastico, avviene, non a caso, nel corso di questa eccezionale iniziativa ».
Un lavoro che si presenta di non facile soluzione per questo ensemble, che mostra un
indubbio coraggio nel mettere mano a un materiale artistico di particolare qualità estetica,
soprattutto in presenza del suo autorevole autore.
La Big Band della Scuola Civica di Musica di Cagliari è nata da un’idea di Giorgio
Baggiani, Vice-Direttore della Scuola, nell’ambito del Corso di Musica d’insieme tenuto
da Paolo Carrus, con l’obiettivo di introdurre i giovani allievi nel mondo della musica
moderna attraverso l’esperienza dell’orchestra jazz.
Il nucleo di base è costituito da allievi selezionati con l’aiuto dei docenti delle classi di
tromba, saxofono, piano moderno, chitarra moderna, contrabbasso, batteria. Il gruppo di
allievi è coadiuvato da alcuni maestri che si sono resi disponibili per guidare le sezioni
orchestrali. Con il tempo il livello dell’orchestra è cresciuto ed oggi il repertorio della band,
costituito da oltre 30 brani, spazia dai classici dello swing di autori come Duke Ellington,
Count Basie, Glenn Miller, fino a brani di jazz contemporaneo. La big band esegue anche
composizioni che traggono ispirazione dalla musica popolare sarda, scritte dallo stesso
Carrus.
La testimonianza dei risultati ottenuti ha trovato un riscontro nelle oltre 20 esibizioni
pubbliche, intervallate da lunghi periodi di prove: dal primo concerto al Molo Ichnusa di
Cagliari il 25 aprile 2002, la band si è esibita nel quadro di prestigiose rassegne
internazionali, fra le quali “Cala Gonone Jazz”, la rassegna del Palazzo Civico di Cagliari, il
Seminario “Nuoro Jazz” e di recente al Festival Internazionale “Jazz In Sardegna”,
registrando consensi anche presso la stampa specializzata.
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