LA RIVOLUZIONE FRANCESE - APPROFONDIMENTI La Rivoluzione e la guerra. Attraverso la guerra,la Rivoluzione esporta i suoi problemi politici e la sua dialettica interna. Dopo Varennes, i sovrani desiderano ardentemente un conflitto seguito da una disfatta francese, come ultima possibilità della propria restaurazione; essi immaginano una Francia indebolita, disunita per la rivoluzione. Per lo stesso motivo, Robespierre si oppone alla guerra, sostenendo che “gli avvenimenti militari distraggono il popolo dalle deliberazioni politiche che interessano le basi essenziali della sua libertà e fanno sì che presti minore attenzione alle sorde manovre degli intriganti […]; la guerra è buona per gli ufficiali militari, per gli ambiziosi, per gli agitatori, per la coalizione dei nobili, degli intriganti, dei moderati che governano la Francia […]. [Gli uomini che si conquisteranno una specie di reputazione di partiottismo] si guadagneranno il cuore e la fiducia dei soldati per legarli più fortemente alla causa del realismo e del moderatismo”. Di fronte al disfattismo reale e aristocratico, invece, il patriottismo rivoluzionario rende la guerra popolare e la circonda dell’aureola di una missione universale. Il sentimento nazionale diventa l’elemento unificatore della “grande nazione”, fondendo classi illuminate e classi popolari. La filosofia dei Lumi, che aveva conquistato, fino ad allora, solo un pubblico ristretto (élite di aristocratici illuminati e di borghesi) e quasi del tutto urbano, penetra nelle masse popolari delle città e delle campagne, proprio attraverso il sentimento nazionale. I Francesi hanno, per primi, integrato le masse popolari e lo Stato; la loro esperienza costituisce l’opposto del dispotismo illuminato, in quanto la realizzazione dei Lumi non avviene, con essa, ad opera dei re (dall’alto), ma grazie a un nazionalismo democratico (coinvolgimento delle masse). La “seconda rivoluzione” Il primo agosto del 1792 era stato reso noto il Proclama di Coblenza, il manifesto con cui il generale prussiano Brunschwick minacciava la distruzione di Parigi se fosse stato fatto del male ai sovrani francesi; tale proclama accrebbe l’indignazione popolare contro il re, che era già stato denunciato di tradimento, in seguito al ritrovamento di documenti che attestavano la sua collaborazione con i nobili emigrati e i sovrani stranieri. Le oscillazioni dei girondini (che cercavano di trattare con la monarchia) provocarono una vera e propria insurrezione popolare, diretta dalle sezioni parigine, che portò all’incarcerazione del re. La decisione finale sulla sorte del re fu demandata alla nuova assemblea costituente (la convenzione), eletta a suffragio universale, che decise l’abolizione della monarchia e preparò la nuova Costituzione (la Costituzione del 1793, o “dell’anno I” della Repubblica). L’insurrezione popolare dell’agosto del 1792 non portò soltanto alla fine della monarchia, ma portò anche all’insediamento, a Parigi, al posto della precedente amministrazione comunale, del Comune insurrezionale, un comitato cittadino che fu riconosciuto dalla stessa Assemblea legislativa. Il Comune insurrezionale rappresenta un vero e proprio esempio di democrazia diretta. Le cariche assegnate ai rappresentanti, infatti, erano di breve durata e facilmente revocabili; il popolo esercitava un continuo controllo sull’azione dei rappresentanti, attraverso le petizioni e la propria attiva presenza alle riunioni. Contro la teoria della divisione dei poteri, nel Comune insurrezionale la sovranità era una e indivisibile, sotto l’ispirazione delle dottrine di Rousseau sulla volontà generale, cui dovevano essere alienati tutti i diritti. Il Terrore e la dittatura giacobina Lo scontro decisivo tra girondini e giacobini avvenne nel giugno del 1793. La Convenzione fu circondata dalla Guardia Nazionale, che arrestò i deputati e i ministri girondini. Le motivazioni della sconfitta dei girondini risiedevano nella loro condotta politica equivoca e oscillante (erano stati esitanti, ad esempio, con il re), nell’aver appoggiato la guerra e nell’essere stati al servizio della sola borghesia; conformemente alla loro politica liberista, infatti, si erano levati contro tutte le rivendicazioni dei sanculotti e le misure straordinarie reclamate dalla situazione di guerra (come, ad esempio, il calmiere). Dal giugno 1793 al luglio 1794, la Francia fu guidata dai Montagnardi e da Robespierre, che avevano creato, a differenza dei girondini, un vero e proprio “fronte popolare”. Robespierre, infatti, accolse le richieste popolari: la pena di morte contro gli accaparratori, la leva in massa e la formazione di un esercito popolare, la fissazione di un calmiere generale. Di fronte alla pressione popolare, fu approvata anche la Legge dei sospetti, che permetteva ai giudici di condannare gli imputati anche solo in base a una semplice denuncia. La lotta contro i moderati fu condotta anche in campo religioso: fu portata avanti una vera e propria opera di scristianizzazione; solo a dicembre Robespierre , preoccupato dei possibili effetti negativi sulle masse popolari, mese un freno alla scristianizzazione, per istituire il culto dell’Essere supremo. Robespierre cominciò a colpire i suoi avversari, sia gli estremisti (gli Arrabbiati di Roux e gli Esagerati di Hébert), che i più moderati (gli Indulgenti di Danton) e instaurò una vera e propria dittatura giacobina, retta sul principio della democrazia sociale e dell’ideale rousseauiano di una società di piccoli produttori. Egli, infatti, non era contrario la proprietà privata tout court, ma contro i privilegi; la legislazione sociale giacobina, quindi, stabilì la spartizione dei beni comunali e la vendita in piccoli lotti dei beni degli emigrati, per favorire la formazione della piccola proprietà, senza arrivare all’uguaglianza dei beni. Furono stabiliti anche il diritto all’assistenza e l’istruzione pubblica. Gli ideali di Robespierre erano fondati sull’esaltazione delle virtù repubblicane e sul culto dell’Essere Supremo; lo strumento essenziale per il mantenimento dell’ordine, però, fu il Terrore! La Costituzione dell’anno III (1795) La Costituzione dell’anno III era di tono moderato; era preceduta da una Dichiarazione dei diritti ispirata a quella del 1789: erano affermati i diritti della libertà, dell’uguaglianza, della sicurezza e della proprietà. Nella Dichiarazione, però, erano affermati anche alcuni doveri, che si fondavano su due principi: “non fate agli altri ciò che non vorreste che fosse fatto a voi” e il mantenimento della proprietà. Non vi erano più menzionati i diritti sociali (l’obbligo della società di garantire a tutti i mezzi di sussistenza, il diritto all’istruzione e quello all’insurrezione contro il governo dispotico), che avevano, invece, fatto la propria comparsa nella Dichiarazione dei diritti apposta alla Costituzione dell’anno I (1793); quest’ultima, infatti, sebbene fosse rimasta inattuata, rappresentò la fase più avanzata della Rivoluzione e un modello per le generazioni successive. La Costituzione dell’anno III sostituiva il suffragio universale con il suffragio censitario di doppio grado (cittadini attivi ed elettori); si tornava, quindi, ai toni moderati della Costituzione del 1791, ma con alcune importanti differenze: 1) avevano diritto di voto tutti coloro che pagavano le imposte dirette (il suffragio era, quindi, più largo); 2) si manteneva la forma repubblicana; 3) si manteneva la divisione dei poteri, ma il potere legislativo era affidato a un’assemblea non più monocamerale, ma bicamerale (Consiglio degli Anziani – deputati con più di 40 anni d’età - e Consiglio dei Cinquecento – deputati di almeno 30 anni d’età). Il potere esecutivo era affidato a un Direttorio di 5 membri scelti dall’assemblea; per eliminare un pericoloso centro di potere popolare, Parigi fu divisa in 12 arrondissements (dipartimenti amministrativi che stravolgevano la vecchia ripartizione basata sulle sezioni rivoluzionarie). Il Manifesto degli Uguali Il Manifesto degli Uguali, redatto da Maréchal nell’aprile del 1796, può essere considerato il manifesto programmatico della Società degli Uguali, fondata da Babeuf e Buonarroti contro la reazione termidoriana. Nel Manifesto si proponeva il ritorno alla politica giacobina, ma con ulteriori aperture in senso socialista ed egualitario. In esso si dichiarava che “la Rivoluzione francese non è che l’avanguardia di un’altra rivoluzione più grande”, che doveva andare oltre l’uguaglianza dei diritti, per affermare l’uguaglianza dei beni. Si voleva superare, cioè, la semplice richiesta di una riforma agraria (divisione delle terre), per realizzare una vera e propria economia collettivista, in cui i frutti della terra dovevano essere portati al magazzino comune: “Noi miriamo a qualcosa di più equo della divisione delle terre (o legge agraria):il bene comune o la comunità dei beni. Non più proprietà privata della terra: la terra non è di nessuno. Noi reclamiamo, vogliamo il godimento comune dei frutti della terra: i frutti appartengono a tutti”.