COMPLEMENTI SULLA DIVISIONE TRA POLINOMI E REGOLA DI RUFFINI.
CONFRONTO CON LA DIVISIONE NUMERICA E CRITERI DI DIVISIBILITA’.
GENERALITÀ SULLA DIVISIONE TRA NUMERI E TRA POLINOMI
Come sappiamo l’insieme Z dei numeri interi e l’insieme Q[x] dei polinomi a coefficienti in Q,
presentano numerose analogie. Essi infatti non sono soltanto insiemi ma presentano la stessa
struttura algebrica, in quanto sono dotati di due operazioni fondamentali – addizione e
moltiplicazione con le rispettive inverse, sottrazione e divisione - che hanno le stesse proprietà
formali: commutativa e associativa per le due fondamentali, distributiva della moltiplicazione
rispetto al’addizione (e alla sottrazione), esistenza dell’elemento opposto per ciascun numero e
polinomio grazie al quale, sia in Z che in Q[x], la sottrazione diventa sempre possibile (proprio in
quanto equivalente all’addizione dell’opposto), al contrario di quanto accadeva nell’insieme N.
Più esattamente la matematica moderna riconosce sia in Z che in Q[x] la stessa struttura algebrica
di “anello “commutativo rispetto alle due operazioni (interne) di addizione e moltiplicazione.
Essendo poi l’insieme Z un sottoinsieme di Q[x] – in quanto chiaramente ogni numero relativo può
sempre pensarsi come un polinomio di grado zero – ben si capisce come le proprietà dei polinomi
comprendano e generalizzino quelle dei numeri.
In particolare le ben note formule dei prodotti notevoli possono subito applicarsi al caso numerico.
Così ad es. 103 2 = 100 2 + 2 100  3 + 3 2 = 10609 in quanto (A +B) 2 = A2 + 2AB + B2 e così
pure 992 = (100 – 1) 2 = 100 2 - 2 1001 + 1 2 = 9801. In modo del tutto analogo si ottiene subito:
1022 - 982 = (102 - 98)  (102 + 98) = 4  200 = 800 in quanto A2 – B2 = (A – B) (A + B) e ancora,
ricordando che vale: A3 + B3 = (A + B) (A2 - AB + B2) si ricava subito che il numero 1.000. 027,
poiché 1.000. 027 = 1003 + 33= (100 + 3)  (1002 - 1003 + 32), si scompone in 103  9709 da cui
finalmente – essendo 103 primo ma non 9709 (che risulta divisibile per 7 e, dopo qualche tentativo,
anche per 19) – si conclude che vale: 1.000. 027 = 7  19  73  103.
L’ultimo calcolo affrontato, la scomposizione di un numero naturale (quindi anche intero) mediante
divisione - nel caso nostro prima per 7 e poi per 19 – subito ci pone davanti all’interrogativo: si può
fare altrettanto anche con i polinomi? Come risulterà più caro parlando del teorema di Ruffini la
scomposizione di un polinomio a coefficienti interi o frazionari in polinomi di 1° grado del tipo x-a
è sempre possibile solo a patto che a sia anch’esso intero o frazionario. Ma per scomporre bisogna
innanzitutto dividere e a tale proposito chiediamoci perché la divisione tra polinomi procede nel
modo ben noto. Ma che cosa significa dividere un polinomio A(n)(x) per un altro B(p)(x) ?
Anche in questi caso conviene fare riferimento alla divisione tra interi.
Essendo la divisione l’operazione inversa della moltiplicazione, che come sappiamo è a sua volta
un’addizione ripetuta, essa è pertanto una sottrazione ripetuta. Ad es. 17 : 3 dà 5 con resto 2 in
quanto il 3 può essere successivamente sottratto 5 volte da 17 con l’avanzo finale 2 <3 (mentre 14,
11, 8, 5 sono i quattro resti parziali in quanto maggiori del divisore 3). La verifica è immediata:
3 5 + 2 = 17. Diciamo cioè che A: B dà quoziente Q e resto R  A = BQ + R essendo R <B.
Se R risulta 0 si avrà allora A = BQ ossia A è divisibile per B o, detto in altro modo, A è multiplo di
B e quindi B è sottomultiplo di A. Si noti che la divisione tra un dividendo A e un divisore B è
sempre possibile a patto che B ≠ 0, anche quando A < B. Così ad es. 3 diviso per 7 dà 0 con resto 3.
Quando il dividendo è molto grande rispetto al divisore la divisione eseguita per successive
sottrazioni del divisore potrebbe diventare molto lunga. A ciò pone rimedio la ben nota regola della
divisione che consiste nel dividere non tutto il numero A per B ma solo il numero formato dalle
prime cifre di A che per la prima volta formano un numero divisibile per B; il quoziente parziale tra
esso e B sarà pertanto un numero di una sola cifra (la prima a sinistra del quoziente Q) che poi
moltiplicata per B darà un valore che sottratto da A costituisce il primo resto parziale, ovviamente
minore di A. A questo punto la divisione ricomincia daccapo - e le successive cifre che così si
ottengono saranno nell’ordine le successive di B – sino a quando il resto parziale non risulterà
minore di B, diventando pertanto quello definitivo.
Così ad es. (si veda sotto a destra) dividendo 3876 per 12 basta dividere le prime sue due cifre più
significative (che messe insieme danno 38) per 12; si ottiene 3 che rimoltiplicato per 12 dà 36, che a
sua volta sottratto da 38 dà 2. Osserviamo subito che aggiungendo due zeri (quelli in verde, così
indicati perché non vengono scritti) a 36si ottiene 3600 che, sottratto dal dividendo 3876, dà 276.
Per ottenere 3600 da 12 occorre però moltiplicare per 12 non 3 ma 300 (in verde) che al solito non è
scritto in modo esplicito ma c’è, visto che poi alla prima cifra 3 del quoziente seguiranno le altre
due (2 e 3). Osserviamo ancora che al solito il primo resto parziale 276 non viene scritto tutto ma
basta abbassare il 7 (ecco perché ora il 6 è indicato in arancione) ottenendo 27 che poi diviso per 3
darà 2 (il cui vero contributo al quoziente è pertanto 20 (al solito scritto in verde) e finalmente al 3
che avanza viene aggiunto il 6, ultima cifra del quoziente, ottenendo 36, secondo resto parziale.
Essendo quest’ultimo multiplo di 12 la nostra divisione termina ora senza resto con quoziente 323
ma se ad es. il numero divisore fosse stato non 3876 ma 3877 avremmo ottenuto resto 1 e sempre
quoziente 323 e così via sommando 1 al divisore sino ad arrivare a 3887 ottenendo così resto 11 e
sempre quoziente 323.
E ora significativo osservare che dividendo il polinomio di 3° grado avente per coefficiente
esattamente le cifre di 3876 per il polinomio x + 2 (i cui coefficienti sono le cifre di 12), si ottiene
un quoziente di grado 2 le cui cifre sono proprio quelle del quoziente mentre il resto è nullo, come
si può vedere nella sottostante tabella Excel, a sinistra della corrispondente divisione numerica.
Ciò non è casuale, anche se questa situazione in pochi casi si presenta (avendo i polinomi dei
coefficienti che in genere non sono cifre positive tra loro divisibili bensì numeri interi qualsiasi,
spesso frazionari) ma illustra chiaramente come la divisione tra polinomi segue le stesse regole di
quella numerica, sia pure con una differenza fondamentale per quanto indispensabile: il resto finale
di una divisione tra i due polinomi A(n)(x) e B(p)(x) è il primo polinomio R(r)(x) tra tutti i successivi
resti parziali il cui grado r è minore del grado p del divisore: r < p. Tale polinomio certamente
prima o poi si presenta nella divisione proprio perché, dividendo ogni volta il monomio di grado
massimo del dividendo (e poi dei successivi resti parziali) con il corrispondente monomio del
divisore, rimoltiplicando poi il monomio così ottenuto per tutto il divisore e sottraendo (oppure
sommando l’opposto, il che è lo stesso) il risultato così ottenuto al dividendo (o al successivo resto
parziale) il polinomio differenza – che diventa il nuovo resto parziale della divisione – per come si è
proceduto sempre risulterà di grado almeno 1 di meno minore del divisore (o del precedente resto) e
quindi prima o poi si arriverà ad avere un grado r < p.
3 X3
+
8X2+
7X + 6
|__X + 2
3876
-
3
3X
+
6X
2
2
3X +
2X + 3
3600
----------------------------------------------2X2+
|___1 2
3 23
-----------
7X + 6
27 6
-
2X2+
4X
24 0
.---------------------------
-------------
3X + 6
3 6
-
3X + 6
3 6
.-------------0
.-------------0
300
20
3
Si noti che, non essendo i polinomi un insieme ordinato come sono invece i numeri, l’unico
possibile confronto tra polinomi – nel caso nostro tra resto parziale e divisore, per stabilire se tale
resto è quello finale - è il loro grado ma solo se tali gradi sono diversi. Z è infatti un anello
totalmente ordinato(dati due numeri diversi c’è sempre il minore), mentre Q[x] è un anello ordinato
solo parzialmente.
TEOREMA E REGOLA DI RUFFINI – SUO SIGNIFICATO E CONSEGUENZE
Come si è appena detto la divisione tra polinomi (ma anche tra numeri) è sempre possibile se il
divisore non è ovviamente il polinomio nullo(o il numero zero) in quanto la regola, sempre uguale
nei suoi successivi passaggi, che ci porta a calcolare quoziente e resto, prima o poi si conclude.
Detto più in breve nel linguaggio moderno, la divisione tra numeri o polinomi è un algoritmo finito.
Naturalmente, come già si è osservato per l’iniziale sottrazione ripetuta del caso numerico, ciò non
esclude che diventi piuttosto lunga e noiosa e quindi anche a rischio di errore.
Nel caso in cui il divisore sia un polinomio di primo grado, che per ora supporremo del tipo x – a,
essendo a un numero (o anche una costante letterale) qualsiasi – ad es. se a = 2 allora x - a
diventa x – 2 mentre per x = -2 x – a diventa x – (-2) = x-+ 2 – la ben nota regola di Ruffini ci offre
la possibilità non solo di calcolare speditamente i coefficienti del quoziente ma innanzitutto di
calcolare preventivamente il resto R della divisione in quanto in tal caso R risulta sempre essere un
numero puro, non dipendente cioè dai valori che x assume se si decide di sostituirlo con un numero.
Ricordiamo infatti che A(n)(x) diviso per B(p)(x) dà quoziente Q(n-p)(x) e resto R(r)(x) 
A(n)(x) = B(p)(x)  Q(n-p)(x) + R(r)(x) essendo r < p.
Se ora B(p)(x) è il polinomio x – a (il che significa p =1), l’eventuale R(r)(x) sarà allora un numero
puro, in quanto r < p = 1 => r = 0 e un polinomio di grado 0 è un numero (essendo x 0 =1).
Si avrà pertanto:
A(n)(x) diviso per x - a dà quoziente Q(n-1)(x) e resto R  A(n)(x) = (x – a)  Q(n-1)(x) + R
Se a questo punto decidiamo di sostituire ad x proprio il valore a, si ottiene allora:
A(n)(a) = (a – a)  Q(n-1)(a) + R = 0 Q(n-1)(a) + R = R ossia:
e di conseguenza:
A(n)(a) = R (Teorema del Resto)
il polinomio A(n)(x) è divisibile per (x – a)  R = A(n)(a) = 0 (Teorema di Ruffini)
che diventa, enunciato con il linguaggio delle equazioni (dove “radice” significa soluzione):
il polinomio A(n)(x) è divisibile per (x – a)  l’equazione (di grado n): A(n)(x) = 0 ha radice a.
Il primo teorema costituisce a tutti gli effetti un criterio di divisibilità per il polinomi, così come ci
sono i criteri di divisibilità per i numeri (per 2, 3, 5, 11); il secondo diventa invece un semplice ma
fondamentale metodo per risolvere un’equazione, quale che sia il suo grado.
Vediamo di chiarire con qualche esempio i fondamentali risultati appena ottenuti.
Sia ad es. A(3)(x) = x 3 - 2 x 2 +3. Se , per cominciare, sostituiamo 1 alla x si ottiene:
A(3)(1) = 1 3 - 2 1 2 + 3 = 2  0 e quindi per il teorema del resto possiamo affermare che il resto R
della divisione tra x 3- 2 x 2 +3 e (x – 1) vale R = A(3)(1) = 2 il che significa che il polinomio
x 3 - 2 x 2 +3 non è divisibile per (x - 1) essendo 2 il resto della divisione per (x – 1).
Se invece si sostituisce x con -1 si ottiene:
A(3)(-1) = (-1) 3 – 2  (-1) 2 + 3 = -1 -2 + 3 = 0 = R , per il teorema di Ruffini il polinomio
x 3 - 2 x 2 +3 è ora divisibile per [x- (-1)] = (x +1) oppure, detto in modo equivalente,
l’equazione (di 3° grado) : x 3 - 2 x 2 +3 = 0 ammette come soluzione -1 (ha cioè radice -1).
Sia nel 1° che nel 2° esempio resta il problema di determinare il quoziente Q(n-1)(x) della divisione
– per (x -1) nel 1° caso, (x +1) nel 2° - senza passare attraverso la lunga tradizionale divisione tra
polinomi illustrata in precedenza. A ciò provvede la comoda e ben nota Regola di Ruffini che,
utilizzando solo i coefficienti di A(3)(x) e il numero a ci permette di ricavare i coefficienti di
Q(2)(x) - il quoziente, usando Ruffini, ha sempre 1 grado in meno del dividendo – ritrovando inoltre
il resto R (se ciò non accade sappiamo con certezza che prima e/o dopo abbiamo sbagliato i calcoli).
La dimostrazione completa e rigorosa di tale regola non è difficile ma è piuttosto delicata e poco
convincente per via dei troppi indici che mette in gioco. Più semplice e comodo è verificarla in un
caso particolare, ad es. nella divisione di un generico polinomio di 4° : ax4 + bx3 + cx2 + dx + e per
il solito binomio che ora indicheremo con (x-α). Se mx3 + nx2 + px + q è il quoziente ed R il resto,
si dovrà avere: ax4 + bx3 + cx2 + dx + e = (x-α)( mx3 + nx2 + px + q) + R e svolgendo i calcoli nel
2° membro si trova: mx4 + (n- αm)x3 + (p- α n)x2 + (q - α p)x + R - αq . Dovendo questo polinomio
coincidere con ax4 + bx3 + cx2 + dx + e i corrispondenti monomi dovranno avere stessi coefficienti:
m = a; b = n- αm, da cui n = b + αm; c = p – αn, da cui p = c + αn; d = q – αp, da cui q = d + αp ed
infine e = R – αq, da cui R = e + αq. Come si vede è proprio la ben nota regola che partendo da α
e dai coefficienti del dividendo permette di calcolare in successione i coefficienti m, n, p, q a partire
da quello di grado massimo m=a (uguale per dividendo e quoziente) mediante somme di a, b, c, d, e
con il prodotto per α dei precedenti coefficienti appena calcolati. Tale regola chiaramente non
dipende dal grado del polinomio dividendo A(n)(x) e vale pertanto anche per n=3 oltre che per n>4.
Continuando allora nei due es. precedenti avremo (si noti che mancando x va aggiunto c = 0):
1° caso:
a b
c d
2° caso:
a b
c d
| 1 -2
0 | 3
| 1 -2
0 | 3
α= 1 |
1 -1 | -1
da cui :
α = -1 |
-1
3 | -3
da cui :
2
-------------------------- Q1(x) = x - x -1
------------------------- Q2(x) = x 2- 3x +3
| 1 -1 -1 | 2
| 1 -3
3 | 0
m n
p R
m n
p R
Quindi: 1° caso: x 3 - 2 x 2 +3 = (x-1)( x 2- x -1) + 2; 2° caso: x 3 - 2 x 2 +3 = (x+1)( x 2- 3x + 3)
Da quanto sinora esposto e visto negli es. ben si comprende quanto i teoremi e la regola di Ruffini,
tutte le volte che sono applicabili, siano molto più semplici e comodi da calcolare della divisione
tradizionale tra polinomi. Purtroppo questa tecnica, il cui successo dipende dal fatto che il resto R
della divisione non dipende da x, richiede necessariamente che il polinomio divisore sia di 1° grado.
Meno vincolante è invece la condizione che il divisore sia del tipo x – a . Osservato infatti che
se vale A = BQ + R allora vale pure: (A / k) = (B / k) Q + R / k, si può concludere che se si divide
sia il dividendo A sia il divisore B di una divisione tra due polinomi (o anche numeri) per uno
stesso numero k non nullo, il quoziente Q non cambia mentre il nuovo resto viene anch’esso diviso
per k. Ciò permette di applicare Ruffini anche quando non si divide per x – a ma per kx – a.
Basta infatti dividere tutti i coefficienti di A(n)(x) per k (dividendo cioè tutti i suoi coefficienti per k)
e fare altrettanto per il binomio kx – a (ottenendo quindi x – a/ k). A questo punto la regola di
Ruffini nella divisione di A(n)(x) /k con (x – a/k) diventa praticabile e il quoziente ottenuto
sappiamo già che coincide con quello richiesto della divisione originaria tra A(n)(x) e x-a. Il Resto
finale che si ricava dalla divisione modificata non è invece quello richiesto, essendo anch’esso
diviso per k. Basterà allora moltiplicare per k il resto appena ottenuto per ottenere quello richiesto.
Cosi ad es. dovendo eseguire (6x 2 + 3x -1) : (3x -1) si dividono ambo i polinomi per 3 e poi si
procede con Ruffini nella nuova divisione: (2x 2 + x – 1/3): (x – 1/3). Il quoziente finale è quello
cercato mentre, indicando con R’ = 2 (1/3) 2 + 1/3 – 1/3 = 2/9, il resto R richiesto sarà 2.
Nessun problema si presenta invece quando la divisione da svolgere con Ruffini contiene un’altra
variabile, ad es.: x 3 -a 3 : ( x – a). Calcolando A(3)(x) per x =a si trova: R = A(3)(a) = a 3 - a 3 = 0
e quindi x 3 -a 3 è divisibile per x – a. Più in generale si verifica subito che x n ± a n si divide sempre
per (x ±a) se n è dispari; x n -a n per x+a e per x-a se n è pari. Se n è pari x n +a n non si divide mai.
SCOMPONIBILITÀ DI UN POLINOMIO MEDIANTE RUFFINI – RICERCA DELLE EVENTUALI RADICI
RAZIONALI DI UN’EQUAZIONE A COEFFICIENTI INTERI O RAZIONALI
Come abbiamo detto il teorema di Ruffini è uno degli strumenti più preziosi, in molti casi l’unico,
nella ricerca delle radici delle equazioni algebriche, qualunque sia il loro grado.
Esso permette infatti, una volta che una radice a1 dell’equazione considerata sia stata trovata (non
conta come, magari anche per caso) di “abbassare il grado dell’equazione” dividendo il polinomio
corrispondente per (x - a1). Il quoziente di tale divisione darà allora luogo ad una nuova equazione
di grado 1 di meno rispetto all’equazione assegnata e se nuovamente si riuscirà a trovare una radice
anche per questa seconda equazione si potrà ripetere il procedimento e così via, ed ogni radice di
queste successive equazioni diventerà una nuova radice dell’equazione di partenza. Da quanto detto
già si capisce che una qualsiasi equazione di grado n non può mai avere più di n radici razionali.
Vediamo ora se e come, limitatamente alle equazioni con coefficienti interi o al più razionali ( le
solite frazioni, positive o negative) sia possibile trovare radici anch’esse razionali quando ci sono
oppure riconoscere che tale eventualità non può sicuramente verificarsi.
Cominciamo con l’osservare che le equazioni prive di radici razionali sono infinite e in almeno
alcuni tipi la cosa è del tutto evidente. Un caso tipico sono quelle del tipo: x n +a n = 0, con n pari
come ad es. x 2 +1 = 0, . x 4 +16 = 0 ecc. ma anche ogni altra del tipo x n +b = 0, dove n continua ad
essere un numero pari e b > 0. Chiaramente ogni numero intero o frazione elevato ad una potenza
pari dà un numero positivo che sommato ad un altro positivo non può dare 0. Si noti che l’assenza
di radici nelle equazioni del primo tipo, quando n è pari, garantisce grazie a Ruffini la non
scomponibilità del polinomio corrispondente, come già si è detto in precedenza.
Ma parliamo di quelle equazioni che possono avere radici o il che è lo stesso, grazie a Ruffini,
parliamo dei polinomi che possono scomporsi in fattori di grado minore. Osserviamo subito che se
tali equazioni hanno coefficienti frazionari, positivi negativi (o nulli ma solo in parte) che siano,
moltiplicando ambo i membri dell’equazione per il m.c.m. dei denominatori l’equazione si muta in
un’altra equivalente a coefficienti interi. Così ad es. l’equazione: 3/5 x 4 – 2/3x3 +1/6 x - 2 =0, se si
moltiplicano ambo i membri per 30 diventa: 18 x 4 – 20 x3 + 5 x - 60 =0.
Possiamo pertanto limitarci a considerare equazioni a coefficienti interi come questa.
Chiediamoci ora in proposito quali possono essere le sue soluzioni razionali o eventualmente intere
e supponiamo che α /β sia una sua soluzione frazionaria, essendo α e β due numeri interi qualsiasi
non nulli positivi o negativi che possiamo sin d’ora ulteriormente supporre siano primi tra loro (se
così non fosse semplificheremmo la frazione). Se β dovesse poi risultare ±1, la soluzione sarebbe in
particolare intera. Sostituendo α /β nell’equazione si ottiene:
α4
α3
α
18 ---- - 20 ----- + 5 --- - 60 = 0 che diventa 18 α4 – 20 α3 β + 5 α β3 – 60 β4 = 0 moltiplicando
β4
β3
β
ambo i membri per il denominatore comune β4. Se ora si isola il primo termine portando a secondo
membro tutti gli altri si ottiene: 18 α4 = 20 α3 β - 5 α β3 + 60 β4  18 α4 = β(20 α3 + 5 α β2 – 60 β3).
In quest’ultima equazione - essendo il 1° membro uguale a β per la successiva parentesi - il
numero β risulta un divisore di 18 α4 ed essendo per ipotesi β primo con α e quindi anche con α4 ne
deriva che β deve essere un divisore di 18, cioè del coefficiente del termine di grado massimo del
polinomio, la sua “testa” insomma. Se invece avessimo isolato non 18 α4 ma – 60 β4 ( o 60 β4, fa lo
stesso) avremmo concluso che α deve essere un divisore di 60, la “coda” del polinomio.
Chiaramente la conclusione a cui siamo giunti non dipende dalla particolare equazione considerata
né dal suo grado. Possiamo pertanto enunciare la regola generale:
Data una qualsiasi equazione a coefficienti interi allora tutte le sue eventuali radici razionali + α /β
sono frazioni (con α, β  N che supponiamo primi tra loro) in cui il numeratore α è un divisore
del termine noto dell’equazione (la sua “coda”) mentre il suo denominatore β (ovviamente ≠ 0) è
un divisore del coefficiente del suo termine di grado massimo (la “testa”).
La regola appena enunciata – che come si vede non mette in gioco i coefficienti intermedi
dell’equazione ma solo i suoi estremi (la “coda” e la “testa”, appunto) permette subito di
determinare la rosa entro la quale dobbiamo cercare le possibili radici intere o frazionarie
dell’equazione data o, parlando solo di polinomi, dei possibili valori α /β che lo annullano e quindi
lo rendono divisibile per (x - α /β).
Così ad es. se 15 x n + … + 8 è un qualsiasi polinomio (quindi con il grado n e tutti gli altri
coefficienti intermedi volutamente imprecisati), se esso si annulla per una frazione (o intero) α /β ,
allora α /β non può essere che una delle seguenti 32 :
+ 1; +2; +4; +8;
+1/3; +1/5; +1/15; +2/3; +2/5; +2/15; +4/3; +4/5; +4/15; +8/3; +8/5; +8/15;
Esse risultano cioè le combinazioni, ciascuna presa una volta con segno positivo ed un’altra con
segno negativo, di tutte le possibili distinte frazioni aventi al numeratore un qualsiasi divisore del
termine noto e al denominatore un qualsiasi divisore del coefficiente del termine di grado massimo
dell’equazione data. Si osservi però che se ad es. n = 6 è il grado del polinomio allora solo 6 di
quelle già possibili 32 possono essere gli eventuali valori razionali che annullano il polinomio.
Se invece fosse ad es. n = 40 allora potremmo dire con certezza che le eventuali 32 frazioni non
sono sufficienti e quindi ci devono essere altri valori non razionali (eventualmente immaginari) che
annullano il polinomio
REGOLA DI RUFFINI E CRITERI DI DIVISIBILITÀ DEI NUMERI OLTRE CHE DEI POLINOMI
La regola di Ruffini è certamente il più potente criterio di divisibilità per i polinomi, anche se da
sola non basta: ad es. il polinomio x 4 +5 x2 + 6 si scompone subito in (x 2 + 2)( x 2 + 3) – basta
infatti porre y = x 2 e sostituire applicando poi il metodo somma e prodotto (caso particolare questo
della Regola di Ruffini) – ma tale scomposizione non può essere ottenuta applicando Ruffini,
essendo i due fattori del polinomio dato di grado 2 e non 1. Neanche Ruffini è pertanto la regola
universale per scomporre.
E’ invece interessante osservare che da essa possono derivarsi alcuni criteri di divisibilità per i
numeri. Sia dato ad es. il numero 174. Facciamogli corrispondere il polinomio P(x) =x 2 + 7x + 4.
Se ora dividiamo tale polinomio per x -1, applicando Ruffini il resto vale 1+7+4 = 12.
Si avrà pertanto: x 2 + 7x + 4 = (x-1)Q(x) + 12 essendo Q(x) il quoziente che ora non interessa.
Se ora si sostituisce 10 al posto di x si ottiene: 174 = 9Q(10) + 12 = 3[3Q(10) + 4], grazie al fatto
che 12, somma delle tre cifre di 174 , è divisibile per 3. Il numero 174 risulta pertanto anch’esso
divisibile per 3, come la somma delle sue cifre e viceversa.
Abbiamo così ottenuto, dividendo per x-1, il criterio di divisibilità per 3 dei numeri e anche per 9.
Se avessimo invece diviso per x+1, essendo allora P(-1) la somma delle cifre a segno alterno ed
essendo 11 il valore di x+1 quando x = 10, avremmo ottenuto il criterio di divisibilità per 11.
Ma c’è di più.
Se infatti dividiamo non per x ± 1 ma per x-3, calcolando P(3), con lo stesso procedimento troviamo
ch se P(3) è divisibile per 10 – 3 = 7 il numero è divisibile per 7 e viceversa.
Se ad es. il numero è 182, calcolando P(3) per il polinomio P(x) = x 2 + 8x + 2 si ottiene:
3 2 + 8  3 + 2 = 9 + 24+2 = 35, numero divisibile per 7, così come lo è 182 = 7  26Se invece dividiamo per x + 3 calcolando quindi P(-3) analogamente ai casi precedenti si ottiene ul
criterio di divisibilità per 13. Così ad es. dal numero 221 si passa a P(x) = 2x 2 + 2x + 1 ed essendo
P(-3) = 2  3 2 – 2 3 + 1 = 18 -6 +1 = 13, anche 221 è divisibile per 13. Vale infatti: 221 = 13  17.