DIRITTO DELLA PREVIDENZA SOCIALE CAPITOLO PRIMO L'EVOLUZIONE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 1. Considerazioni preliminari La materia della previdenza sociale e le stesse fonti che la regolano si caratterizzano per una essenziale ambiguità, che si spiega in considerazione del fatto che tutte le forme di tutela previdenziale sono state istituite subito prima e durante l'ordinamento corporativo. Al momento della loro istituzione tali forme di tutela costituivano espressione di una solidarietà limitata ai datori di lavoro e ai lavoratori. Ciò non solo imponeva che la tutela previdenziale fosse limitata ai lavoratori subordinati, ma consentiva anche che tale tutela venisse realizzata attraverso un complesso di rapporti analoghi a quelli propri delle assicurazioni private. Si riteneva infatti che tra contributi e prestazioni previdenziali intercorreva una relazione di corrispettività poiché l'ammontare della prestazione era proporzionato ai contributi versati, mentre il mancato versamento di questi ultimi escludeva il diritto alle prestazioni. La Costituzione repubblicana invece considera la tutela previdenziale come espressione di una solidarietà estesa a tutti i cittadini, la cui realizzazione corrisponde alla soddisfazione di un interesse di tutta la collettività. Secondo i principi costituzionali, il titolo per avere diritto alle prestazioni previdenziali risiede soltanto nell'essere cittadini e i livelli di quelle prestazioni, debbono essere determinati soltanto in funzione delle scelte politiche che ispirano il legislatore nella valutazione e nella individuazione delle esigenze di liberazione dal bisogno alle quali occorre dare soddisfazione. L’ambiguità di cui si è parlato, deriva anche dal fatto che dopo l'entrata in vigore della Costituzione è mancato un disegno per una riforma organica, mentre la più recente legislazione risulta sempre più ispirata ai principi costituzionali ma soltanto per alcuni aspetti. Tale ambiguità ha finito per determinare un’alterazione del rapporto tra gettito contributivo e onere della prestazione, soprattutto nelle gestioni previdenziali che si caratterizzano per l’erogazione di trattamenti pensionistici e per il Servizio sanitario nazionale. Da tale alterazione è derivata la crisi finanziaria del sistema alla quale è stato posto rimedio con una riduzione dei livelli di tutela. L’ambiguità ora rilevata non è di per sé insuperabile. Infatti le leggi più recenti, ispirate ai principi costituzionali, una volta inserite nell'ordinamento giuridico preesistente ne impongono la riconsiderazione in una prospettiva diversa da quella originaria. Inoltre tutte le volte che si prospetti un’alternativa di soluzioni, sia per la ricostruzione teorica del sistema previdenziale, per il superamento dei nodi interpretativi posti da single disposizioni, la prevalenza spetta alla soluzione conforme ai principi costituzionali. Un limite esiste deve essere individuato non tanto e non solo nell'impossibilità di superare l'enunciato legislativo ( art. 12, disp. prel., c.c.), ma soprattutto nella stessa diversità di significati e di rilevanza che la giurisprudenza attribuisce ai principi accolti dalla Costituzione. 2. Origine della previdenza sociale Le trasformazioni economiche e sociali determinate dalla rivoluzione industriale posero in evidenza anche il problema di quanti si venivano a trovare in condizione di bisogno. L'esigenza di realizzare una tutela dei lavoratori subordinati che si venivano a trovare in condizione di bisogno per il verificarsi di eventi che ne menomavano la capacità lavorativa fu ben presto avvertita. Il liberalismo ottocentesco considerò con intransigenza i problemi sociali del lavoro. Si riteneva che alla loro soluzione dovessero provvedere direttamente i lavoratori. Il ricorso alla beneficenza pubblica e privata veniva considerata una soluzione ultima e destinata a garantire la conservazione dell'ordine pubblico. La prima manifestazione di quella che poi sarà la previdenza sociale fu determinata dalla spontanea iniziativa dei lavoratori interessati. Le società di mutuo soccorso, associazioni volontarie di lavoratori, realizzarono la solidarietà tra agli associati provvedendo, con i loro contributi ad erogare prestazioni a quanti si fossero trovati in condizione di bisogno, nonché una pensione agli associati che avessero raggiunto un'età che li rendeva inabili ad un lavoro proficuo e una erogazione una tantum ai familiari degli associati defunti. Lo schema è quello dell'assicurazione anche se c'è l'eliminazione dell'intermediario- assicuratore. Le mutue di soccorso si rivelarono solo parzialmente idonee a risolvere il problema dell'incerto domani di chi vive del proprio lavoro. Alle mutue si potevano iscrivere soltanto i lavoratori meglio retribuiti. L'esperienza mutualistica rappresenta una delle prime manifestazioni dell'associazionismo operaio: la loro costituzione può essere messa in relazione a quella del sindacato, ed anzi l'ha preceduta e favorita. L’atteggiamento dello Stato cominciò a modificarsi sol quando l’attenzione dei politici e dell’opinione pubblica fu richiamata dal grave problema degli infortuni sul lavoro che si andavano sempre più intensificando. La legge 17 marzo 1898, n. 80, rese obbligatoria per i datori di lavoro l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, e si è soliti ritenere che essa segni la nascita della previdenza sociale italiana. In realtà, questa legge si limita a rendere obbligatoria un'assicurazione privata per la responsabilità civile del datore di lavoro. Quell’assicurazione non era limitata agli infortuni determinati da colpa del datore di lavoro, ma era estesa anche agli infortuni determinati da caso fortuito, forza maggiore o addirittura da colpa non grave del lavoratore. Tale peculiarità venne giustificata ritenendo che il datore di lavoro doveva anche sostenere i rischi che lavoratore incontra nello svolgimento della sua attività. Questo fu il primo intervento statale a tutela di chi, vivendo del proprio lavoro, si viene a trovare in condizione di bisogno. Nello stesso periodo, con l’istituzione della Cassa Nazionale di Previdenza Sociale, per la vecchiaia e l’invalidità degli operai vennero poste le premesse di una più ampia solidarietà tra i lavoratori, sia pure in un primo tempo limitatamente ai lavoratori che percepivano retribuzioni di livello modesto, ed al finanziamento della quale presto saranno chiamati a partecipare anche i datori di lavoro. 3. La previdenza sociale nel periodo precorporativo e corporativo L'evoluzione della previdenza sociale è rapida. Si accentua il carattere pubblicistico della tutela previdenziale. Essa, nata volontaria, diventa dapprima obbligatoria, nel senso che la sua piena attuazione, ancorché imposta dalla legge, è condizionata pur sempre dall’adempimento degli obblighi posti a carico specialmente del datore di lavoro; diviene infine necessaria, nel senso che opera ex lege. La realizzazione della tutela previdenziale viene affidata esclusivamente ad enti pubblici appositamente istituiti. Tuttavia l’esperienza delle mutue di soccorso e la prima legge sugli infortuni sul lavoro lasciano un segno indelebile. Da un lato lo strumento dell’assicurazione continua ad essere usato anche quando l’intervento pubblico ben avrebbe potuto avvalersi di strumenti diversi; dall’altro la tutela resta essenzialmente limitata ai lavoratori subordinati. Se la necessarietà della tutela previdenziale, sta ad indicare che alla realizzazione di quest'ultimo corrisponda l'interesse pubblico, la realizzazione di quella tutela continua ad essere considerato un compito proprio delle categorie interessate sulla quale soltanto ricade l'onere di finanziarne l'attuazione. Lo Stato si limita a dar vita a nuovi istituti, a dettare con legge la disciplina dei rapporti, ma raramente interviene finanziariamente. L’interesse dei lavoratori è soddisfatto mediante il contemperamento e la reciproca subordinazione degli interessi individuali degli appartenenti alla categoria o mediante la subordinazione dell'interesse dei datori di lavoro. La dottrina del tempo è stata indotta a ritenere che tra all'obbligo degli istituti previdenziali di erogare prestazioni e quella del pagamento dei contributi previdenziali intercorresse una relazione sinallagmatica riducendo così tutta la tutela previdenziale entro schemi privatistici. Durante il periodo corporativo il sistema delle assicurazioni sociali non solo viene completato con la previsione della tutela di nuovi rischi, ma viene assumendo man mano caratteristiche che introducono la successiva evoluzione. Così all'originaria concezione del rischio professionale si viene affiancando una concezione più ampia: quella della solidarietà corporativa tra datori e prestatori di lavoro ispirata alla realizzazione dell'interesse pubblico dell'economia nel quale si pretendeva di risolvere autoritativamente il conflitto sociale. Essa consentì l'estensione della tutela previdenziale, estendendola anche a rischi che non sono connessi con l’attività lavorativa. La disposizione 26 della Carta del Lavoro dice: " la previdenza è un'altra manifestazione del principio di collaborazione. Il datore di lavoro e il prestatore d'opera devono concorrere proporzionalmente agli oneri di essa. Lo Stato procurerà di coordinare ed unificare, quanto più è possibile, il sistema degli istituti di previdenza". Il compito di realizzare la tutela previdenziale resta attribuito essenzialmente agli stessi interessati, mentre il fine pubblico posto a fondamento delle assicurazioni sociali nell’ordinamento corporativo continua ad avere ad oggetto il mantenimento dell’ordine pubblico, al quale si aggiunge la sanità della razza e la potenza nazionale, ma non certo la liberazione dal bisogno di chi vive del proprio lavoro. 4. L'idea della sicurezza sociale L'evoluzione della previdenza sociale avviene nell'immediato secondo dopoguerra. Essa deve essere posta in relazione con l'affermarsi dell'idea della sicurezza sociale. L'idea sicurezza sociale esprime l’esigenza che venga garantita a tutti i cittadini la libertà dal bisogno, in quanto questa libertà è ritenuta condizione indispensabile per l'effettivo godimento dei diritti civili e politici. La libertà dal bisogno deve essere garantita a tutta la collettività organizzata nello Stato della quale essa costituisce il fine da perseguire mediante ricorso ad una solidarietà che è generale quanto coinvolge tutti i cittadini. Nella varietà dei modi di attuazione si possono individuare due principi fondamentali e rappresentanti gli elementi caratteristici è e determinanti devoluzione dei sistemi giuridici previdenziali in relazione all'idea della sicurezza sociale: il sempre più determinante intervento dello Stato, che assume direttamente tra i suoi fini la realizzazione della tutela previdenziale la progressiva estensione di questa nuove situazioni di bisogno e la nuova categoria di soggetti, anche oltre l'ambito tradizionale del lavoro subordinato. 5. L'evoluzione della previdenza sociale e nelle disposizioni della Costituzione L'idea sicurezza sociale è stata accolta per effetto dell’art. 3 Cost. Tale principio, che trova specificazione in numerose altre disposizioni della Costituzione, sta a significare che la liberazione dal bisogno corrisponde ad un interesse riferibile a tutta la collettività. In particolare l'art. 38 Cost. costituisce il nuovo fondamento dell’evoluzione del nostro sistema di previdenza sociale. La tutela di chi si viene a trovare in condizioni di bisogno costituisce un’espressione necessaria della solidarietà di tutta la collettività. A questo proposito dobbiamo considerare il quarto comma dell'art. 38 Cost. che dispone che la realizzazione del programma previsto debba avvenire ad opera dello Stato, tenuto non solo a predisporre gli organi e gli istituti necessari ma anche ad integrarli. L’intervento dello Stato deve quindi tendere all'effettiva realizzazione della tutela dei soggetti protetti, realizzazione che costituisce un fine fondamentale dello Stato, nel senso che ad essa corrisponde un interesse pubblico immediato e diretto. La formulazione letterale del quarto comma dell’art. 38 non contrasta con questa conclusione. Che lo Stato non sia chiamato direttamente a realizzare i compiti previsti in quell’articolo non vuol dire affatto che quei compiti non siano propri e fondamentali dello Stato. Vuol dire che la Costituzione consente un modello organizzativo basato su strutture differenziate per tipi di tutela e di soggetti protetti e eventualmente articolato territorialmente. Ma l’art. 38 indica anche la prospettiva secondo la quale sarebbe dovuta avvenire l’ulteriore evoluzione del sistema. Dall’esame dell’art. 38, risulta che tutti cittadini, in caso di bisogno, hanno diritto ai mezzi necessari per vivere. I lavoratori inoltre hanno diritto a che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita quando si verificano determinati eventi generatori di bisogno. L’indicazione di tali eventi nell’art. 38 non ha valore tassativo, tuttavia pone un vincolo al legislatore ordinario nel senso che rende irreversibile l’evoluzione già realizzata. Il sistema della previdenza sociale supera l'ambito del lavoro subordinato per estendersi a tutte le categorie di lavoratori. Il sistema previdenziale ha superato anche tradizionale carattere territoriale che ne limitava l’attuazione al criterio nazionale. La Corte Costituzionale ha esteso la tutela previdenziale anche ai lavoratori italiani all'estero. Le prestazioni previdenziali devono essere adeguate anche alle esigenze di vita della famiglia del lavoratore: garanzia dei mezzi adeguati alle esigenze di vita e una retribuzione proporzionata e sufficiente. L'art. 38 Cost., all'ultimo comma, afferma il principio della libertà della previdenza privata, come manifestazione di quella specifica solidarietà che si esprime anche nelle formazioni sociali (art.2 Cost.). Previdenza privata che non può essere che libera in quanto volontaria e destinata esclusivamente alla soddisfazione di interessi privati. La previdenza privata non solo a libere, ma deve essere anche i incoraggiata e tutelata costituendo una forma di risparmio (art.47 Cost.). 6. L'evoluzione della previdenza sociale nella legislazione ordinaria I principi contenuti nel secondo comma dell'art. 3 e nell'art. 38 della Costituzione consentono di individuare lo schema essenziale del sistema di previdenza sociale nella legislazione ordinaria. La legislazione ordinaria ha dato attuazione ai principi della sicurezza sociale. Dell’evoluzione della previdenza sociale nella legislazione ordinaria sono espressione, oltre che l'istituzione del servizio sanitario nazionale, l'intervento finanziario dello Stato e l'integrale finanziamento a carico del bilancio dello Stato dell'assegno sociale, la continua estensione della tutela previdenziale nell'ambito stesso del lavoro subordinato, l'estensione della tutela di malattia a tutti i cittadini, la rivalutazione automatica delle pensioni, l'estensione della tutela infortunistica per eventi dannosi occorsi in ambito domestico. Per contrastare fenomeni di povertà e di esclusione sociale, il legislatore ha anche predisposto interventi in favore dei soggetti dotati di risorse economiche insufficienti a garantire la liberazione dal bisogno e ha istituito il sistema integrato di interventi e servizi sociali. I destinatari delle provvidenze sono: i cittadini stranieri presenti sul territorio italiano, le persone esposte al rischio della marginalità sociale e impossibili a provvedere al mantenimento proprio ed i figli (c.d. assegno di povertà), le madri cittadine italiane, residenti tale, alle quali compete un assegno per maternità. L’intervento finanziario dello Stato trova il suo fondamento nel fatto che a esso è affidato il compito di realizzare la tutela previdenziale; l'estensione di quest'ultima oltre l'ambito tradizionale del lavoro subordinato, invece, risponde all'esigenza di garantire a chiunque viva del proprio lavoro e a tutti cittadini i minimi mezzi di sostentamento al verificarsi di eventi generatori di bisogno. 7. Il servizio sanitario nazionale L'istituzione del servizio sanitario nazionale realizza appieno il precetto costituzionale in base al quale la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e come interesse della collettività ( art. 32 Cost.). Il servizio sanitario nazionale è stato istituito dalla legge 23 dicembre 1978, n. 833. Tale servizio è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi, e delle attività destinate alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione, secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini. Con l'istituzione del servizio sanitario nazionale, non solo sono state radicalmente modificate l’organizzazione e le strutture attraverso le quali la tutela previdenziale si realizza, ma è stata avvertita l’esigenza di una funzione preventiva. Infatti il meccanismo mutualistico-assicurativo era idoneo a realizzare la tutela di malattia, ma non poteva essere utilizzato quando si trattava di prevenirla. Il servizio sanitario nazionale è chiamato a svolgere la funzione di concorrere alla formazione di una moderna coscienza sanitaria. Esso è tenuto a provvedere alla prevenzione, alla diagnosi e alla cura delle malattie fisiche e psichiche, accertamento e alla rimozione dei rischi presenti negli ambienti di lavoro e di vita, alla riabilitazione. Interventi di assistenza sanitaria garantiti dal servizio sanitario nazionale risultano efficacemente integrati dagli interventi di servizio sociale realizzati dal sistema integrato di assistenza sociale di cui al legge n. 328 del 2001. 8. Sicurezza sociale e funzioni sociali dello Stato L'attuazione dell'idea della sicurezza sociale trova riscontro in quella complessa attività svolta dallo Stato, che si qualifica si determina in relazione al fine di realizzare la protezione dei cittadini dal bisogno. Il benessere dei consociati è fine inerente alla essenza della comunità statuale in ogni sua forma storicamente conosciuta. Varia però è la rilevanza che è stata data a questo fine e diversi sono i mezzi e gli strumenti attraverso i quali si è cercato di realizzarlo. Dallo strumento della beneficenza pubblica si è passati ora all'assistenza e la previdenza sociale tradizionali che tendono a realizzare la libertà del bisogno di tutti i soggetti presenti sul territorio, anche se non cittadini italiani. L'assistenza e previdenza sono nate con la motivazione politica del mantenimento dell'ordine costituito. I principi accolti nella Costituzione assegnano allo Stato anche il fine di realizzare la garanzia del minimo di sostentamento per ogni cittadino, nonché, sia pure con limitazioni, per i cittadini dell’Unione europea, stranieri, profughi, apolidi. L’interesse da soddisfare è ancora l’interesse pubblico, ma questo non ha più ad oggetto soltanto il mantenimento dell’ordine sociale, né la potenza economica sociale. La soddisfazione dell’interesse pubblico è direttamente e immediatamente connessa alla soddisfazione dell’interesse del singolo che si trovi in condizioni di bisogno in quanto strumentale all’interesse della collettività a che tutti i cittadini siano in grado di godere dei diritti civili e politici. L'idea di sicurezza sociale trova riscontro nella estensione delle funzioni sociali dello Stato e,in tal caso, è destinata a influenzare non solo la previdenza sociale, ma in genere ogni attività pubblica a scopo sociale. 9. Sicurezza, previdenza e assistenza sociale Non tutti questi interventi possono essere ricompresi nell’attuazione dell’idea della sicurezza sociale, almeno se si voglia evitare di dare a quest’ultima un contenuto troppo vago. A ben guardare, il significato più profondo di quell’idea può essere individuato proprio nel rilievo dato alla persona umana. L'idea della sicurezza sociale ha avuto attuazione mediante quegli interventi che consistono nell'erogazione di beni e servizi ai cittadini che si trovino in condizione di bisogno. Tali sono gli interventi dello Stato che vanno dalla fornitura di cure gratuite agli indigenti, alla predisposizione e alla integrazione di organi e istituti che assicurino ai cittadini inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere, il mantenimento e l’assistenza sociale e che assicurino ai lavoratori mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di infortuni, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. L'assistenza sociale assolveva ad una generica funzione di tutela degli indigenti. La previdenza sociale assolveva alla funzione specifica di tutela dei lavoratori in quanto espressione di una solidarietà imposta esclusivamente ai loro datori di lavoro. Corrispondentemente, nell'assistenza sociale gli assistiti erano titolari di un interesse legittimo, mentre soltanto nella previdenza sociale era riconosciuto ai lavoratori un diritto soggettivo alle prestazioni. Sennonché i termini nei quali si pone la distinzione tra previdenza e assistenza sociale non sono più idonei a comprenderne l’effettiva portata. Nell’art. 38 Cost. viene mantenuta la distinzione tra cittadini e lavoratori, ma distinguere non significa separare. La distinzione tra previdenza e assistenza allora non può che ridursi alla diversità dell’ambito ed all’intensità della tutela, giustificata dal diverso modo in cui l’ordinamento ha valutato le esigenze dei cittadini rispetto a quelle dei lavoratori. Significato del tutto diverso assumono le nozioni di previdenza e assistenza sociale, quando vengono utilizzate per distinguere le prestazioni ancora finanziate su base contributiva e quelle finanziate soltanto a carico dello Stato. Le differenze dei metodi di finanziamento non influiscono sulla funzione propria delle varie forme di tutela. Il richiamo a modi di finanziamento avviene, in realtà, in funzione delle preoccupazioni che inducono a prevedere una limitazione dei livelli di tutela fin qui realizzati, come mezzo necessario per superare la crisi finanziaria del settore, nell’ambito del necessario contenimento della spesa pubblica. Esclusivamente in quella prospettiva quella limitazione trova riscontro nell’istituzione, nell’ambito dell’INPS, della Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali, nella quale sono stati riuniti quegli interventi il cui il finanziamento era stato posto a carico dello Stato. Ne deriva una distinzione tra i settori ove il finanziamento è esclusivamente a carico del bilancio dello Stato e quelli in cui continua ad essere a carico delle categorie interessate. 10. Il sistema integrato di interventi e servizi sociali In questo contesto evolutivo dell’idea di sicurezza sociale si colloca la recente riforma dell’assistenza sociale. Infatti con la legge n. 328 del 8 novembre 2000, è stato abrogato il sistema assistenziale istituito nel 1890 ed è stato sostituito da un sistema che attribuisce diritti soggettivi alle persone protette. I principi generali e le finalità di tale legge confermano che la sicurezza sociale, in attuazione dei principi espressi dall’art. 2 e 3 Cost., è destinata ad operare oltre l'ambito tradizionale della previdenza sociale. 11. Assicurazioni sociali e assicurazioni private Il meccanismo assicurativo, ha ormai perso ogni rilevanza giuridica. Quel meccanismo è ormai da ritenere destinato al perseguimento di fini diversi da quelli per cui fu istituito e, cioè, al soddisfacimento diretto ed esclusivo di un pubblico interesse e non più di interessi privati, si pure di gruppi. Si può dire che quella forma di tutela che prese il nome di assicurazione sociale, sia giunta al termine di una lunga evoluzione. Peraltro si deve ritenere che, nonostante i dubbi di una parte della dottrina, anche le assicurazioni private assolvono ad una funzione previdenziale. Nell'assicurazione privata l'eliminazione del bisogno si realizza attraverso l'assunzione da parte dell'assicuratore dell'obbligo di sopportare le conseguenze economiche dell'evento temuto, dietro il corrispettivo del pagamento del premio da parte della assicurante. Nelle assicurazioni sociali, invece, l'eliminazione delle situazioni di bisogno si realizza con l'organizzazione di un servizio pubblico. D’altra parte, le assicurazioni sociali e quelle private, al di sopra delle profonde differenze tecniche, di strutture e di funzioni, sono, a ben guardare, anche complementari. Tutti i problemi dell’incerto avvenire non devono essere risolti con la previdenza obbligatoria. La sicurezza sociale, come fine essenziale dello Stato, riguarda i bisogni essenziali. Anzi essa incontra un limite che è quello di realizzare un interesse pubblico generale. Al di là di questo limite, la liberazione dal bisogno è lasciata alla previdenza privata. Le assicurazioni private possono essere considerate come strumenti di sicurezza sociale solo quando questa sia intesa non come un'idea politica, ma come un risultato. Intesa come un'idea politica, invece, la sicurezza sociale può dirsi attuata solo mediante quegli strumenti che realizzano la liberazione dal bisogno con il ricorso alla solidarietà di tutta la collettività organizzata nello Stato. In questa prospettiva, la previdenza complementare occupa una posizione particolare, diversa, almeno in parte, da quella delle assicurazioni private. Essa, infatti, ancorché eventuale, perché libera, realizza pur sempre una forma di solidarietà meritevole di particolare tutela. 12. Le esigenze di razionalizzazione del sistema della previdenza sociale La crisi finanziaria che affligge il nostro sistema previdenziale e le sue conseguenze sul debito pubblico sono state determinata da diversi fattori: da un lato, dall'introduzione di miglioramenti delle prestazioni e dall’ampliamento del campo di applicazione della tutela previdenziale senza che fosse prevista una adeguata copertura finanziaria; dall’altro lato, per i regimi pensionistici, dalle profonde modificazioni del rapporto esistente tra pensionati e lavoratori in servizio. L'aumento della disoccupazione la diminuzione della popolazione in età di lavoro hanno ridotto inevitabilmente il gettito della contribuzione previdenziale. A ciò si aggiunga che le contribuzioni versate nel tempo si sono rivelate inadeguate a compensare la costante limitazione dei trattamenti pensionistici, se ragguagliati alle ultime retribuzioni. Per il servizio sanitario nazionale la perdurante assenza di una coerente ed efficace programmazione e la conseguente carenza di coordinamenti, hanno determinato costi sempre crescenti ai quali corrisponde una tutela della salute inadeguata e incompleta. A questa situazione si tenta ora di porre rimedio affidando la gestione della tutela della salute alle regioni e alle quali è stato imposto l'autofinanziamento. I problemi recentemente posti dalla crisi finanziaria e di gestione dei vari regimi previdenziali si aggiungono a quelli che devono essere considerati tradizionali. Tra questi ultimi si pone il problema posto dalla disomogeneità dei criteri in base quali sono determinati i livelli delle prestazioni e dalle conseguenti disparità delle condizioni. Ciò ha determinato profonde differenze di trattamento a seconda della categoria di appartenenza dei soggetti protetti. Al verificarsi del medesimo evento, a seconda del regime applicabile, possono essere erogate prestazioni diverse sia in relazione all’ammontare, sia in relazione alle condizioni richieste per il sorgere del relativo diritto. La liberazione dal bisogno sarebbe dovuta avvenire sulla base della valutazione che la legge fa del bisogno in funzione delle esigenze di carattere generale che attendono di essere soddisfatte. Una soluzione è stata data quando sono stati stabiliti gli stessi requisiti di età e di contributi per aver diritto alla pensione, abolendo anche le differenze tra dipendenti pubblici e privati. Un’ulteriore omogeneizzazione è prevista per i requisiti oggettivi e soggettivi di accesso alla pensione di vecchiaia unificata e per i criteri di calcolo dell’ammontare dei trattamenti pensionistici e della contribuzione previdenziale. Al tempo stesso era avvertita da tempo l'esigenza di una riforma del sistema destinata a limitare la gestione pubblica ai regimi destinati ad erogare trattamenti pensionistici che garantiscano la soddisfazione delle esigenze essenziali e ad agevolare la volontaria costituzione di regimi previdenziali privatistici in funzione integrativa di quelli pubblici destinati a perseguire interessi privati. Il problema sotteso a tale esigenza è quello del rapporto che deve intercorrere tra le esigenze della tutela previdenziale quelle di politica economica. Problema per la soluzione del quale era necessario che la tutela previdenziale realizzi la funzione della liberazione dal bisogno al fine di garantire godimento dei diritti civili e politici. 13. La razionalizzazione del sistema pensionistico L’esigenza di contenere i disavanzi e di realizzare l’equilibrio finanziario delle gestioni pensionistiche ha ispirato numerosi provvedimenti legislativi emanati nel periodo 1992-2001. Tali provvedimenti hanno introdotto numerosi elementi di razionalizzazione, sia perché hanno realizzato una omogeneizzazione delle tutele sia perché hanno previsto, per l'avvenire, modificazioni dei criteri di calcolo delle prestazioni pensionistiche per ridurne progressivamente livello, e più rigorosi requisiti di accesso, specialmente per le pensioni di anzianità delle quali era stata sospesa temporaneamente l'attribuzione. Per attenuare gli effetti della riduzione di tutela derivante dalla razionalizzazione, il legislatore ha tentato di favorire il ricorso alla previdenza privata. L'obiettivo della definitiva stabilizzazione del rapporto tra spesa previdenziale e P.I.L. è stato perseguito da legge 8 agosto 1995, n. 335 , la quale ha introdotto modificazioni, tra cui la reintroduzione del sistema di calcolo delle pensioni che assume come base la contribuzione versata, in luogo delle retribuzioni percepite nell’intero arco dell’attività lavorativa. A questa reintroduzione corrisponderebbe una vera e propria riforma, in quanto il principio di solidarietà sarebbe stato sostituito con quello della corrispettività tra contributi versati e prestazioni pensionistiche. La differenza tra la c.d. pensione retributiva e quella contributiva si riduce dicendo che nella pensione retributiva, l'ammontare della pensione è determinato direttamente sulla base delle retribuzioni percepite; nella pensione contributiva, si fa riferimento alla contribuzione previdenziale e all'età di ingresso in pensione. Riferimento che non esclude la rilevanza delle retribuzioni percepite, in base alle quali è calcolata e riscossa la contribuzione. Ne deriva che il diverso sistema di calcolo dell’ammontare delle pensioni non è sufficiente, da solo, a modificare la funzione assegnata alla tutela previdenziale. Anche con la reintroduzione del principio di corrispettività tra contributi e prestazioni il sistema pensionistico continua ad essere ispirato al principio della solidarietà. Il principio della corrispettività è contraddetto anche dalla regola per cui esiste diritto alla pensione soltanto se l'ammontare di questa è superiore ad un importo determinato con la conseguente perdita della retribuzione versata. La legge n. 335 del 1995 ha introdotto una razionalizzazione riconducendo la funzione del sistema pensionistico alla liberazione delle effettive situazioni di bisogno. In questa prospettiva le modifiche apportate alla disciplina previgente possono essere considerate soltanto come accorgimenti tecnici, destinati a realizzare un efficace controllo della spesa pensionistica e la sua costate compatibilità con la situazione economica e finanziaria del Paese. Tuttavia negli ultimi tempi è stata avvertita nuovamente la esigenza di una riforma o di una ulteriore razionalizzazione del sistema pensionistico che concorresse a ristabilire l’equilibrio finanziario delle gestioni. Tale esigenza è stata soddisfatta dalla legge 23 agosto 2004 n. 243 che ha introdotto nuovi elementi di razionalizzazione. Con tale legge il legislatore ha delegato il Governo ad emanare norme aventi forza di legge per liberalizzare l’età pensionabile, per eliminare il divieto di cumulo tra pensioni e redditi di lavoro, per rivedere il principio di totalizzazione dei periodi assicurativi estendendone l’applicazione, per sostenere e favorire lo sviluppo delle forme di previdenza complementare. Inoltre la legge n.243/2004 contiene disposizioni che modificano la disciplina della pensione di anzianità. Ciò perché l’onere derivante dall’erogazione delle pensioni di anzianità incide in modo determinante nella formazione del deficit dei bilanci delle gestioni pensionistiche, soprattutto perché quella pensione viene erogata per notevoli periodi di tempo in quanto spettante a soggetti che ancora sono in età relativamente giovane. CAPITOLO SECONDO IL SISTEMA GIURIDICO DELLA PREVIDENZA SOCIALE 14. Sistema giuridico della previdenza sociale e rapporto giuridico previdenziale La realizzazione della tutela previdenziale è compito dello Stato. L'erogazione delle prestazioni previdenziali è affidata ad enti detti appunto previdenziali, i quali reperiscono i mezzi necessari per la realizzazione del loro fine istituzionale dalla contribuzione obbligatoria posta a carico dei soggetti protetti, di soggetti che si trovano con questi ultimi in determinati rapporti, e dal concorso dello Stato. I soggetti che intervengono nella realizzazione della tutela previdenziale sono: - lo stato - gli enti previdenziali - i soggetti tenuti al pagamento dei contributi - i soggetti protetti aventi diritto come tali alle prestazioni previdenziali. La dottrina tradizionale definiva la posizione dei soggetti interessati alla realizzazione della tutela previdenza usando l'espressione di "assicurato", "assicurante" e "assicuratore" o a volte di "lavoratore", "datore di lavoro" ed "ente gestore delle assicurazioni sociali". L’uso di tali espressioni sembra improprio; infatti nella misura in cui resta fedele alla nomenclatura del rapporto di assicurazione privata, non corrisponde all’attuale spirito e alla struttura del sistema giuridico della previdenza sociale. Una terminologia che faccia riferimento al rapporto di lavoro subordinato deve ritenersi inadeguata a descrivere il fenomeno previdenziale. Questo infatti ormai ricomprende anche la tutela dei liberi professionisti, degli artigiani, commercianti e degli imprenditori agricoli, dei lavoratori parasubordinati, dei familiari che pure non sono lavoratori, delle casalinghe, nonché la tutela dei cittadini ultra sessantacinquenni che si trovino in disagiate condizioni economiche. Il sistema giuridico della previdenza sociale deve essere inteso come l'insieme dei vari rapporti intercorrenti tra soggetti comunque partecipano alla realizzazione della tutela previdenziale e cioè: del rapporto intercorrente tra lo Stato e l'istituto previdenziale, tra lo Stato e il beneficiario delle prestazioni previdenziali; nonché del rapporto intercorrente tra quest'ultimo e l'istituto previdenziale e di quello che intercorre tra l'istituto e l'obbligato al pagamento dei contributi previdenziali. Il rapporto sul quale si incardina tutto il sistema però è quello intercorrente tra l'istituto e i soggetti aventi diritto alle prestazioni previdenziali. Tale rapporto può ben essere definito come il rapporto giuridico previdenziale. 15. Il rapporto giuridico previdenziale secondo la dottrina tradizionale Secondo la dottrina tradizionale il rapporto giuridico previdenziale avrebbe struttura analoga a quello derivante dal contratto di assicurazione privata. Esso sarebbe formato dal rapporto intercorrente tra lavoratori e l'istituto assicuratore e da quello intercorrente tra quest'ultimo e datori di lavoro. In questa concezione restano esclusi i rapporti dei quali lo Stato è parte. Questo perché quella concezione postula che lo Stato intervenga nei confronti degli altri soggetti del rapporto giuridico previdenziale non diversamente che nei confronti di qualsiasi altro soggetto pubblico o privato, lasciando del tutto in ombra quella che deve essere considerata la moderna concezione della previdenza sociale accolta anche nella Costituzione. Secondo la Costituzione, la realizzazione della tutela previdenziale è compito dello Stato (art. 38, comma 4, Cost.). Ne deriva che i rapporti di cui quest'ultima parte si vengono a trovare con gli altri in un nesso particolarmente qualificante, non solo perché consentono di porre in evidenza il fine pubblico per il quale sono predisposti, ma anche perché la partecipazione dello Stato è essenziale alla realizzazione della tutela previdenziale. La dottrina tradizionale affermava che il rapporto giuridico previdenziale sarebbe rapporto complesso, ma unitario. L’esistenza dell’obbligazione di erogare prestazioni previdenziali sarebbe stata determinata dall’esistenza dell’obbligazione di pagare i contributi e viceversa, mentre esisterebbe un nesso di interdipendenza anche tra l’adempimento dell’obbligazione contributiva e l’erogazione delle prestazioni previdenziali. Questa concezione del rapporto giuridico previdenziale era legata alla struttura contrattuale, al meccanismo assicurativo, e all’ideologia che ne caratterizzano le prime realizzazioni. 16. La relazione intercorrente tra prestazioni e contributi previdenziali Per una critica di tale concezione basta guardare come, per relazione di sinallagmaticità si deve intendere quella intercorrente tra le obbligazioni derivanti dai contratti detti a prestazioni corrispettive, nei quali le parti realizzare i propri interessi subordinandoli reciprocamente. Qualora il contemperamento degli interessi non possa aver luogo non c’è ragione di parlare di corrispettività. Questa affermazione esclude che nel sistema previdenziale l’obbligazione di versare contributi e quella di erogare prestazioni previdenziali possano essere configurate come obbligazioni corrispettive. Ciò in funzione del fatto che tali obbligazioni sono imposte unicamente e immediatamente per la soddisfazione di un interesse pubblico. Esse non realizzano la composizione del conflitto d'interessi tre soggetti obbligati, ma sono destinato a soddisfare un interesse da questi diverso e ad essi superiore: quello pubblico. In realtà un nesso tra le due obbligazioni sussiste, ma è una relazione di strumentalità. I contributi previdenziali hanno natura di tributo e sono imposti per reperire i mezzi necessari al soddisfacimento dell'interesse a pubblico connesso alla realizzazione della tutela previdenziale. 17. Il principio dell'automaticità delle prestazioni L'inesistenza di una corrispettività tra contributi e prestazioni previdenziali è confermata dal principio dell'automaticità delle prestazioni. Tale principio sta a significare che le prestazioni previdenziali non vengono erogate in funzione del versamento dei contributi previdenziali, a differenza di quanto avviene, nell'assicurazione privata, per le prestazioni dell'assicuratore e il premio (art.1901 c.c.). Manca nelle c.d. assicurazioni sociali quella corrispettività che è caratteristica delle assicurazioni private. Con l'evoluzione del sistema previdenziale, il principio dell'automaticità delle prestazioni ha attualmente trovato una porzione pressoché completa. Per lungo tempo il principio dell'automaticità delle prestazioni non aveva trovato attuazione. Quel principio è ormai esteso anche alla tutela per la vecchiaia, invalidità e superstiti. Ciò perché la legge, da un lato, ha disposto che il requisito di contribuzione si debba intendere verificato anche quando i contributi non siano stati versati, ma risultino dovuti nel limite della prescrizione e, dall’altro, ha previsto che i periodi non coperti da contribuzione siano considerati utili anche ai fini della determinazione della misura delle pensioni. Quando il principio dell'automaticità delle prestazioni trova attuazione ancora soltanto parziale, sussiste l'obbligo dell'ente previdenziale di impedire la decorrenza della prescrizione. Tale obbligo sussiste quantomeno nei confronti del lavoratore che abbia denunciato l’omissione contributiva. Ove la prescrizione sia maturata, l’adempimento dell’obbligo contributivo continua a condizionare l’erogazione delle prestazioni previdenziali. Non per questo, però, si può continuare a parlare di corrispettività tra contributi e quest’ultime. In realtà, il pagamento dei contributi previdenziali costituisce un elemento della fattispecie, dal completamento della quale deriva come effetto giuridico il sorgere del diritto alle prestazioni previdenziali. Esso assume una funzione sostanzialmente diversa da quella del corrispettivo del premio dell'assicurazione privata. 18. Mutualità e solidarietà nel sistema giuridico della previdenza La mutualità si realizza attraverso l'impegno assunto da più soggetti, in vista di un rischio comune e con lo scopo di eliminare, o quanto meno ridurre, determinate situazioni di bisogno e di dividere tra loro le conseguenze economicamente dannose derivanti dal verificarsi di un determinato evento che ha colpito uno di loro. Quei soggetti in tal modo realizzano la reciproca subordinazione dei loro interessi individuali alla soddisfazione dell'interesse comune. Ne deriva che la struttura mutualistica non appare idonea a realizzare il fine della previdenza sociale, posto che ad esso corrisponde ormai un interesse pubblico, che deve essere immediatamente e necessariamente realizzato, e rispetto al quale gli interessi privati finiscono per essere necessariamente e non volontariamente subordinati. La struttura mutualistica caratterizzò le prime realizzazioni della previdenza sociale, ma divenuta quest'ultimo un fine proprio dello Stato, ha subito profonde alterazioni. È sufficiente osservare come i mezzi necessari alla realizzazione della tutela previdenziale sono ormai reperiti o attraverso il finanziamento pubblico, o mediante l'imposizione di contributi a soggetti che non hanno alcun interesse a quella realizzazione che si vengono a trovare con i soggetti protetti in relazioni anche sporadiche e occasionali. È vero che l'onere della tutela previdenziale è sostenuto anche da soggetti che di quella tutela beneficiano. Ma anche in questi casi non sussistono le caratteristiche proprie della mutualità e manca soprattutto la reciprocità tra i soggetti esposti al rischio. Nelle varie forme di previdenza sociale è prevalsa ormai la tendenza verso l'adduzione del sistema finanziario detto della ripartizione. Tale sistema, per il quale le contribuzioni sono proporzionate all’onere delle prestazioni man mano che queste vengono erogate, ha sostituito quello della capitalizzazione, per il quale la contribuzione deve essere proporzionale all'onere finanziario derivante dal numero degli eventi che si sarebbero verificati in futuro, stimato secondo il calcolo della probabilità. Questo significa che l’onere dell’erogazione delle prestazioni previdenziali a favore di quei lavoratori che si trovano in situazioni di bisogno non è coperto con il gettito dei contributi che essi hanno versato, ma ricade su quella parte della popolazione che in quel momento è attiva. Manca quell’identità fra soggetti esposti al rischio e coloro tra i quali sono ripartite le conseguenze del verificarsi di quest'ultimo che caratterizza la struttura mutualistica e si ha solo la subordinazione dell'interesse di quanti producono alla soddisfazione dell'interesse pubblico a che venga realizzata la tutela previdenziale di quei lavoratori che si trovino in determinate situazioni di bisogno. 19. Il sistema giuridico della previdenza sociale come espressione della solidarietà nazionale Nel sistema della previdenza sociale, sebbene il suo finanziamento non è interamente a carico della collettività, trova attuazione un principio diverso e di portata più vasta rispetto a quello mutualistico. Attraverso il sistema della previdenza sociale si realizza la solidarietà di quanti sono in grado di lavorare e di quanti dall'altrui lavoro traggono utilità, nei confronti dei lavoratori divenuti incapaci di trarre dal proprio lavoro i mezzi di sostentamento e di chi si trovi in condizione di bisogno. Questa solidarietà non può essere espressa da una struttura mutualistica. In quest’ultima si realizza una solidarietà limitata sia quantitativamente, all’ambito degli stessi esposti a un rischio, sia qualitativamente, per l’essenziale caratteristica della reciprocità. La solidarietà realizzata con la previdenza sociale è solidarietà è attuata dallo Stato. Questi garantisce l'attuazione della solidarietà nazionale attraverso la realizzazione della tutela previdenziale anche con diretti interventi finanziari. La solidarietà che trova espressione del sistema giuridico previdenziale altro non rappresenta che una specie di quella solidarietà che lo Stato realizza ogni volta che opera una redistribuzione del reddito. L'obbligo contributivo è imposto al fine di attuare la solidarietà di tutta la collettività organizzata (art. 2 Cost.) ed esso ricade ancora su una parte soltanto della popolazione e, in sostanza, sui lavoratori. Quando tale obbligo incombe, sia pure in parte, sugli stessi soggetti protetti deve ritenersi che questi siano tenuti al pagamento dei contributi in quanto lavoratori e, pertanto, compresi nella parte attiva della popolazione. Indicative a proposito sono due considerazioni: la prima è che le prestazioni previdenziali sono determinate sulla base di scelte politiche che tengono conto non solo non tanto della contribuzione versata, ma anche e sempre più intensamente dall'effettivo bisogno del soggetto protetto. La seconda è che, almeno formalmente, dall'onere della metà del contributo previdenziale imposto al lavoratore ( art. 2115 cc), si è passati, da un periodo in cui, nell'immenso dopoguerra, si era avuto l'esonero completo, a una contribuzione di gran lunga inferiore rispetto a quella posta a carico del datore di lavoro, adeguando così alla realtà economica e sociale la misura del contributo di chi lavora alla realizzazione della solidarietà nazionale. Tutto ciò trova conferma nel finanziamento diretto a carico della collettività di quelle forme di tutela previdenziale che sono estese a tutti i cittadini, anche ai cittadini appartenenti alla Unione Europea nonché agli stranieri, ai profughi e agli apolidi. 20. La previdenza sociale come pubblico servizio È possibile considerare l'organizzazione degli enti pubblici previdenziali solo in relazione al fine per il quale essa è predisposta e cioè per l'erogazione delle prestazioni previdenziali. Da questo punto di vista l'attività degli enti previdenziali è qualificata come un servizio pubblico. L'attività degli enti previdenziali è diretta alla realizzazione di interessi che, oltre a essere pubblici, sono individuali. L’erogazione delle prestazioni previdenziali tende al soddisfacimento di bisogni individuali che vengono considerati al tempo stesso come bisogni della collettività, per cui il loro soddisfacimento è posto dallo Stato tra i suoi fini. Gli interessi individuali assumono così rilevanza giuridica solo perché attraverso la loro tutela trova soddisfacimento l’interesse pubblico. Per converso, le prestazioni previdenziali trovano il loro scopo essenzialmente nell'interesse pubblico alla loro erogazione, indipendentemente da ogni interesse patrimoniale degli enti previdenziali e della economicità o meno del servizio. 21. Lo Stato nel sistema giuridico della previdenza sociale Lo Stato interviene nella realizzazione della tutela previdenziale attraverso gli enti previdenziali. L’interesse dei soggetti protetti alla effettiva realizzazione della tutela previdenziale trova soddisfazione anzitutto nel rapporto che intercorre tra tali soggetti e lo Stato, il quale, in base all’art. 38 Cost. è tenuto a garantire la realizzazione di quella tutela. Tale articolo impone un vincolo al legislatore per quanto riguarda le forme di tutela già realizzate, nel senso che dovrebbe ritenersi in contrasto con la Costituzione ogni provvedimento legislativo che preveda l'abolizione di ogni forma dell'attuale tutela previdenziale. In questo rapporto è da ravvisare la matrice del rapporto giuridico previdenziale nel quale trova definitiva realizzazione anche l’interesse individuale dei soggetti protetti. Ne deriva che rapporto intercorrente tra lo Stato e gli enti previdenziali tenuti ad erogare quelle prestazioni si trova in una relazione di strumentalità rispetto al rapporto giuridico previdenziale, in quanto costituisce un mezzo al fine della realizzazione della tutela previdenziale. Infine, il rapporto contributivo alcune volte coincide, ma più spesso deriva, dal rapporto intercorrente tra i soggetti obbligati al pagamento dei contributi previdenziali e lo Stato, unico titolare del potere di imposizione. I rapporti nei quali interviene lo Stato non solo non sono estranei rispetto al meccanismo previdenziale, ma sono anche indicativi della funzione di questi. 22. Gli enti previdenziali come enti strumentali Per individuare le caratteristiche del rapporto tra lo Stato e gli enti previdenziali occorre muovere dalla constatazione che tra lo Stato e gli enti pubblici possono intercorrere relazioni diverse. L'attività di un ente pubblico può essere soltanto rilevante per lo Stato; l’ente pubblico può svolgere una sua propria attività e, però, nel contempo deve curare un fine statuale; inoltre può essere titolare di un compito che è esclusivamente statuale e perciò la sua attività è posta per intero al servizio dello Stato. Quando sussiste soltanto una connessione e non una coincidenza fra gli interessi dello Stato e quelli dell'ente pubblico, quest'ultimo gode di una certa autonomia. Diversamente accade per gli enti strumentali, i quali sono necessariamente vincolati al perseguimento dell'interesse pubblico statuale in vista del quale sono stati istituiti. Per gli enti previdenziali lo Stato provvede non solo ad istituirli, ma determina altresì l'ordinamento, ne prevede e ne nomina agli organi, stabilisce l'indirizzo politico- amministrativo della loro attività, precisando i modi e i limiti in cui deve essere realizzata la tutela previdenziale, li sottopone infine al suo controllo. La competenza delle rappresentanze delle categorie produttive in materia di realizzazione della tutela previdenziale va ricercata ai livelli stessi nei quali si operano le fondamentali scelte di indirizzo della politica previdenziale. Infatti, lo Stato, se affida agli enti previdenziali il perseguimento di fini che non sono suoi, provvede anche al reperimento dei mezzi che sono necessari al loro raggiungimento. Ciò avviene contribuendo direttamente al loro finanziamento o imponendo l'obbligo di contribuire ad alcuni soggetti. Il carattere della strumentalità non manca neanche per gli enti previdenziali privatizzati (d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509 ). Infatti, la facoltà riconosciuta dalla legge ad alcuni enti pubblici previdenziali di trasformarsi in associazioni o fondazioni è prevalentemente in funzione della privatizzazione della attività di gestione delle loro risorse. Sia pure nella nuova veste di enti privati esercenti pubbliche funzioni, gli enti previdenziali "privatizzati" devono soddisfare, oltre all'interesse individuale degli associati, anche il fine pubblico della tutela previdenziale secondo l'art. 38 cost. Così la legge ha previsto che gli enti previdenziali privatizzati possano accorparsi tra loro o includere altre categorie professionali di nuova istituzione che dovessero risultare prive di una tutela previdenziale pensionistica. 23. L'intervento dello stato al finanziamento degli enti previdenziali L'intervento finanziario dello Stato alla gestione degli enti previdenziali ha raggiunto attualmente una intensità notevole, e corrisponde anche a scopi sostanzialmente diversi. Lo Stato, non si limita più a favorire, stimolare e incoraggiare l'attività ai soggetti interessati, ma in attuazione dell'art. 3, 2 comma e dell'art. 38, 4 comma Cost., interviene per rendere effettivo il diritto dei soggetti protetti alle prestazioni previdenziali. L'intervento finanziario dello Stato è stato determinato dalla necessità di provvedere ad esigenze contingenti, come quelle derivanti dalla svalutazione della moneta nel dopoguerra. Successivamente, l'intervento finanziario è stato previsto per la realizzazione della tutela previdenziale dei lavoratori autonomi, nei casi in cui le condizioni economico e sociali di questi ultimi non consentivano di reperire i mezzi necessari attraverso la contribuzione degli stessi soggetti protetti. Per i lavoratori subordinati, invece, l'intervento finanziario dello Stato consente di realizzare un miglioramento della tutela. Più di recente l’intervento dello Stato è apparso destinato a assolvere una funzione diversa e ancora più significativa. Ciò avviene con il finanziamento della Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali che ha la funzione di erogare una quota, parte delle prensioni dei lavoratori subordinati ed autonomi, l’assegno sociale ai cittadini ultrasessantacinquenni che si trovino in condizioni economiche disagiate, i pensionamenti anticipati, agevolazioni contributive, gli interventi di integrazione salariale straordinaria. Quanto alla natura giuridica del contributo previdenziale, parte della dottrina aveva ritenuto che il contributo dello stato avrebbe natura simile al contributo previdenziale, in quanto rappresenterebbe il concorso della collettività a sostegno degli oneri derivanti da un servizio pubblico di cui anche la collettività è beneficiaria. Altri invece sostengono che tale intervento sarebbe il corrispettivo di alcuni vantaggi che la realizzazione della tutela previdenziale produrrebbe all’amministrazione dello Stato. Ambedue le impostazioni non possono essere accolte. Qualunque sia la natura giuridica del contributo previdenziale imposto ai singoli, il contributo dello Stato non può assumere la stessa qualificazione. Se si tratta di tributi, lo stato non paga tributi. Questa configurazione presupporrebbe che compito fondamentale dello Stato sia solo l’assistenza sociale, e non anche la realizzazione della tutela previdenziale che resterebbe ancora affidata gli stessi soggetti interessati. Piuttosto dovrebbe ritenersi che l'intervento finanziario dello Stato alla realizzazione della tutela previdenziale avvenga in esecuzione di un preciso dovere imposto dalla Costituzione. Lo Stato è tenuto a realizzare quella tutela intervenendo direttamente e a finanziare gli enti previdenziali. Tant'è che tali enti non solo sono finanziati, ma sono anche stati ammessi al c.d. " tiraggio di tesoreria" onde lo stato soddisfa direttamente anche alle loro esigenze di cassa, mentre sono tenuti a versare alla tesoreria dello Stato le somme riscosse a titolo di contributi previdenziali. In definitiva il finanziamento dello stato rappresenta una manifestazione della solidarietà di tutta la collettività verso chi si trova in condizione di bisogno. 24. La gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali L'esigenza di consentire all'INPS il recupero degli importi di contributi dei quali era creditore per legge nei confronti dello Stato e che questi non aveva versato, aveva indotto alla istituzione di una gestione autonoma denominata fondo sociale. A detta gestione era stata dapprima attribuita la competenza ad irrogare la quota parte di ciascuna mensilità di pensione. Successivamente viene attribuito al fondo anche il compito di erogare la pensione sociale ai cittadini ultra sessantacinquenni in disagiate condizioni economiche, attualmente nominato " assegno sociale". Quella gestione consentì l'avvio di una importante forma di solidarietà. L'art. 40 della legge n. 88 del 1989 ha soppresso, a decorrere dal 1° gennaio 1989, il fondo sociale e lo ha istituito, la gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali. A questa gestione fanno carico anche l'integrazione dell'assegno ordinario di invalidità, gli oneri derivanti dalle agevolazioni contributive disposte per legge e quelli dei trattamenti di integrazione salariale straordinaria e dei trattamenti speciali di disoccupazione; gli oneri derivanti dai pensionamenti anticipati, le pensioni delle gestioni dei coltivatori diretti, mezzadri e coloni avente decorrenza anteriore al 1° gennaio 1989. La gestione è finanziata dallo Stato attraverso il trasferimento delle somme stanziate dalle leggi finanziarie. Alla gestione sono anche attribuiti i contributi versati dai datori di lavoro per il finanziamento dei trattamenti di integrazione salariale straordinaria e dei trattamenti speciali di disoccupazione. Le complesse competenze attribuite alla gestione radicano maggiormente la progressiva presenza dello Stato nel sistema di tutela e il principio di solidarietà ad essa collegato. Per questi motivi e per le funzioni che sono proprie della gestione, può dirsi che quella gestione, appare, significativa della realizzazione dell'idea di sicurezza sociale. In particolare, per la promozione ed il raggiungimento degli obiettivi di politica sociale, lo Stato ripartisce le risorse in maniera tale da razionalizzare e armonizzare le sovrapposizioni e le diseconomie nell’allocazione delle risorse. Nella stessa logica di intervento statale per la realizzazione dell’idea di sicurezza sociale, l'onere del finanziamento delle misure a favore dei lavoratori stranieri, delle misure volte a contrastare l’emarginazione derivante da motivi razziali, etnici, religiosi, è accollato al fondo nazionale per le politiche migratorie, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. CAPITOLO TERZO IL RAPPORTO CONTRIBUTIVO 25. I contributi previdenziali e i soggetti tenuti al loro pagamento il reperimento dei mezzi necessari al raggiungimento dei fini e istituzionali degli enti previdenziali avviene mediante l'imposizione dell'obbligo del pagamento di contributi previdenziali ad alcune categorie di cittadini. Tenuti al pagamento dei contributi previdenziali sono il datore di lavoro dei soggetti protetti. Accanto a questi, anche i lavoratori subordinati sono tenuti, almeno per alcune forme di previdenza, al pagamento dei contributi previdenziali. In questi casi responsabile dell'adempimento dell'obbligo contributivo è il datore di lavoro che ha diritto di rivalsa nei confronti del lavoratore. Per i lavoratori parasubordinati e a progetto, la contribuzione previdenziale è posta anche a carico dei committenti, mentre per la tutela realizzata a favore dei lavoratori autonomi ed i liberi professionisti sono gli stessi soggetti protetti che contribuiscono alla sua realizzazione. L'onere di pagamento dei contributi previdenziali, quando è imposto a soggetti diversi da quelli protetti, non ricade solo ed esclusivamente sui datori di lavoro. Anzitutto non sempre ricade sui datori di lavoro dei soggetti protetti, quando, pur essendo imposto un contributo per ogni lavoratore dipendente, non tutti i lavoratori hanno diritto alle prestazioni previdenziali, o quando i contributi imposti ad alcuni datori di lavoro sono destinati a realizzare la tutela previdenziale, o di lavoratori dipendenti da altri imprenditori che esercitano attività diverse, oppure di altre categoria di soggetti protetti. Ciò avviene con il c.d. contributo di solidarietà, imposto ai datori di lavoro dell'industria, al fine di realizzare un miglioramento della tutela di malattia ai lavoratori dell'agricoltura; con il contributo posto a carico del datore di lavoro per finanziare l'assistenza di malattia ai pensionati; con il contributo di fedeltà imposta gestione pensionistica diversa da quella del regime generale gestito dall'INPS per il finanziamento dell'assicurazione generale obbligatoria per la invalidità, vecchiaia e superstiti e per il contributo di solidarietà che i datori di lavoro sono tenute a versare, sulle somme versate o destinate al finanziamento di forme volontarie di previdenza integrativa o complementare. Vi sono casi poi, in cui l'obbligo del pagamento dei contributi previdenziali grava su soggetti che non sono datori di lavoro. Così, le società cooperative e le società, anche di fatto, sono tenute al pagamento dei contributi per i loro soci impiegati nei lavori da esse assunti. Allo stesso modo la tutela previdenziale dei lavoratori autonomi e in particolar modo quella dei liberi professionisti, si realizza anche con i contributi posti a carico di soggetti che con i soggetti protetti si venga a trovare in relazione occasionali e cioè dei committenti. Tale è la situazione dei clienti dei liberi professionisti. Contributi previdenziali sono posti a carico degli artigiani, dei commercianti e dei coltivatori diretti anche per quei familiari che lavorino abitualmente dell'impresa artigiana o commerciale o nei fondi e per i familiari viventi a carico. In questi casi, tra il soggetto obbligato a al pagamento dei contributi e il beneficiario delle prestazioni previdenziali intercorre rapporto familiare o un rapporto associativo, sottratto alla disciplina del diritto di lavoro e designato da dottrina come rapporto di lavoro familiare. Dal 1 gennaio 1996 l’art.2, commi da 26 a 32 della legge n.335 del 1995, ha esteso l’area dei soggetti protetti ricomprendendovi i lavoratori parasubordinati che sostengono in parte l’onere dei contributi previdenziali messo a carico, per una quota, dei loro committenti. È stata istituita una apposita Gestione separata presso l’INPS per l’estensione dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti nei confronti dei soggetti che esercitano per professione abituale attività di lavoro autonomo, dei titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, degli incaricati della vendita a domicilio, dei soggetti che conferiscono prestazioni lavorative nell’ambito di contratti di associazione in partecipazione e dei collaboratori a progetto. 26. Funzione previdenziale e obiettivi di politica economica Il sistema di finanziamento della previdenza sociale è stato modificato con i provvedimenti legislativi che hanno predisposto la fiscalizzazione degli oneri e sociali e gli sgravi contributivi e per le imprese industriali che utilizzano effettivamente lavoratori nel Mezzogiorno. A questi provvedimenti, se ne sono succeduti numerosi altri. Attualmente, la fiscalizzazione degli oneri sociali è diventata strutturale e cioè definitiva, mentre il regime degli sgravi contributivi per il Mezzogiorno è stato sostituito. Per effetto della fiscalizzazione, i datori di lavoro, e a volte anche lavoratori sono, ed erano, esonerati dall'obbligo del versamento di alcuni o di una parte di alcuni contributi previdenziali, mentre l'onere corrispondente è, ed era, assunto dallo Stato. Si deve escludere che tutti questi provvedimenti concorrano a realizzare la logica della sicurezza sociale. Essi sono esclusivamente destinati al perseguimento di finalità di politica economica e tendono ad incrementare la competitività delle imprese e i livelli occupazionali. Sia il godimento degli sgravi contributivi sia quello dei benefici della fiscalizzazione sono stati condizionati alla c.d. clausola sociale e, cioè, all'erogazione ai dipendenti di un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi nazionali del settore. Agli obiettivi di politica economica si è aggiunto quello di garantire ai lavoratori un trattamento economico e normativo adeguato ed è stata perseguita una politica di sostegno all’azione sindacale che, tuttavia, potrebbe costituire una alterazione della libera concorrenza contrastante con le regole dell’Unione Europea. 27. La contribuzione figurativa La contribuzione figurativa può essere riconosciuta, a seconda dei casi, d'ufficio o su domanda dell'interessato. Quando il rapporto di lavoro rimane sospeso per effetto di determinati eventi (malattia, disoccupazione), e nei casi di persecuzione politico razziale, la legge dispone che quei periodi si considerino come periodi di contribuzione ai fini del diritto alle prestazioni previdenziali e della determinazione della loro misura. In quei casi infatti, la sostituzione del finanziamento pubblico alla contribuzione posta a carico dei datori e dei prestatori di lavoro costituisce una precisa attuazione del principio della solidarietà, in quanto tende ad evitare che i soggetti protetti subiscano un pregiudizio per quanto attiene al futuro godimento delle prestazioni previdenziali. Sempre allo stesso fine, la legge consente per i non vedenti adibiti alle mansioni di centralinisti telefonici, nonché per i sordomuti e gli invalidi oltre 74%, l'accredito su richiesta dell'interessato di due mesi di contributi figurativi per ogni anno di lavoro effettivo, sino ad un massimo di cinque anni. Il problema è quello di sapere se i mezzi necessari alla realizzazione della tutela previdenziale, una volta che destinata esclusivamente a realizzare un interesse pubblico generale, debbano essere reperiti mediante l'imposizione di contributi esclusivamente ad alcune categorie di cittadini. Quest'ultima è la soluzione realizzata per la gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali, per il Servizio sanitario nazionale e per la gestione dei diversi fondi con finalità assistenziali istituiti presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, coerentemente al principio secondo il quale al raggiungimento di un fine pubblico deve provvedere tutta la collettività. 28. I contratti di riallineamento La connessione esistente tra politica economica e sociale e politica del finanziamento dei regimi previdenziali attuata mediante la contribuzione previdenziale è confermata dalla disciplina dettata dalla legge per i contratti di riallineamento e, più di recente, dalla disciplina dettata per incentivare l’emersione dell’economia sommersa. La ratio della disciplina dei contratti di riallineamento può essere agevolmente compresa se si tiene conto delle esigenze che essa tende a soddisfare. Il godimento degli sgravi e della fiscalizzazione è stato condizionato all'erogazione di trattamenti non inferiori a quelli previsti dalla contrattazione collettiva nazionale. Di conseguenza, le imprese che non avevano rispettato tali condizioni, da un lato, non avevano diritto agli sgravi fiscali e alla fiscalizzazione e sarebbero state obbligate a restituire le somme corrispondenti ai benefici indebitamente goduti. Dall'altro, quelle imprese erano anche inadempienti alle obbligazione contributive, posto che, la retribuzione minima assoggettabile a contribuzione previdenziale è, dopo la legge 389/1989 quella prevista dalla contrattazione collettiva nazionale. In questa situazione, il legislatore ha presunto che l'erogazione dei trattamenti retributivi inferiori a quelli previsti dalla contrattazione collettiva nazionale fosse un sintomo delle difficoltà economiche di quelle imprese che avevano potuto sopravvivere e mantenere livelli di occupazione. Peraltro il legislatore ha avvertito che quelle imprese, se fossero state escluse dai benefici degli sgravi e della fiscalizzazione,e costrette a adempiere agli obblighi contributivi evasi, sarebbero entrate in crisi. È stata così avvertita l'esigenza di salvaguardare i livelli occupazionali alleggerendo l'onere della contribuzione previdenziale. Esigenza è stata soddisfatta abitando l'autonomia sindacale a stipulare contratti di riallineamento e cioè accordi territoriali o aziendali che prevedono programmi di graduale ( triennale e a volte quadriennale) riallineamento dei trattamenti retributivi praticati a quelli previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro. E per effetto dell’adesione ai contratti di riallineamento, da un lato le imprese continuano a beneficiare degli sgravi contributivi e della fiscalizzazione; dall’altro quell’adesione comporta la sanatoria dei contributi evasi per effetto dell’illegittima fruizione degli sgravi e della fiscalizzazione e delle relative sanzioni. Peraltro, il legislatore, al fine di evitare facili elusioni, ha consentito quell’equiparazione a condizione che i contratti di riallineamento siano soltanto stipulati da organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. 29. L'emersione del lavoro sommerso La legge n. 383 del 2001 tende ad incentivare l'emersione del lavoro sommerso e persegue l'obiettivo di regolarizzare le posizioni contributive dei dipendenti di quelle imprese che non avevano adempiuto agli obblighi previsti dalla disciplina previdenziale e da quella fiscale. L'emersione del lavoro sommerso non ha rimessa alla contrattazione collettiva ma è affidata all'iniziativa dei singoli imprenditori. Questi hanno l'onere di presentare una dichiarazione di emersione con la quale si impegnano ad erogare, per il futuro, a propri dipendenti e retribuzioni non inferiori a quelle previste dai contratti collettivi nazionali. Dichiarazione che doveva essere approvata dal sindaco sulla base delle indicazioni del C.I.P.E. Il d.l. n.210 del 2002 istituisce, per ogni provincia, Comitati per il lavoro e l'emersione del sommerso ai quali il datore di lavoro deve inviare la dichiarazione di emersione affinché ne valutino la fattibilità tecnica. La legge consente all'imprenditore di presentare a compiere individuale di emersione progressiva per il quale è prevista una procedura particolare. Due sono gli effetti della presentazione della dichiarazione di emersione. Per il periodo anteriore alla presentazione della dichiarazione di emersione, l'imprenditore può chiedere un concordato tributario e previdenziale che gli consente di regolarizzare gli inadempimenti fiscali e previdenziali. Regolarizzazione che avviene versando un'imposta sostitutiva, la quale è determinata nella misura dell'8% del costo del lavoro irregolare utilizzato e dichiarato. All'imprenditore che ha presentato la dichiarazione di emersione si applica, per i piani successivi quella presentazione, un regime contributivo di grande favore. Egli è tenuto a versare una contribuzione previdenziale determinata progressivamente in una misura che va del 7% all’11% e premi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro ridotti progressivamente dal 75% al 65% rispetto al quelli dovuti. L’adesione del lavoratore al programma di emersione ha un’efficacia novativa del rapporto di lavoro emerso. Infatti Con effetto dalla data di presentazione della domanda di emersione, l’adesione del lavoratore costituisce rinuncia non impugnabile relativamente ai diritti di natura retributiva e risarcitoria per il periodo pregresso. 30. Il problema della natura giuridica dei contributi previdenziali Tutte le soluzioni possibili del problema della natura giuridica dei contributi previdenziali sono state proposte dalla dottrina: da quella per cui essi dovrebbero essere considerati come un corrispettivo delle prestazioni previdenziali, alla stregua dei premi delle assicurazioni private, fino a quelle che ne hanno sostenuto alla natura di tributo, discutendosi poi se si tratta di tassa, di contributo speciale, di imposta in senso stretto oppure di imposta speciale. L'opinione secondo la quale i contributi previdenziali sarebbero da considerare come premi di assicurazione, però, deve essere respinta solo tenendo presente l'inesistenza di quel nesso di corrispettività tra contributi e prestazioni previdenziali che ne costituirebbe il presupposto. Allo stesso modo la configurazione dei contributi previdenziali come parte integrante del salario considera i contributi previdenziali con esclusivo riguardo al rapporto tra lavoratore e datore di lavoro; nulla dice a proposito della natura giuridica dei contributi previdenziali. Si deve quindi convenire con la dottrina prevalente la quale ritiene che i contributi previdenziali siano tributi imposti dalla legge a favore di un ente pubblico e per la realizzazione di un pubblico interesse. Le incertezze che sussistono circa l’ulteriore qualificazione dei contributi previdenziali come tasse, come contributi speciali, oppure come imposte, non sono essenziali né rilevanti. Tuttavia l’ulteriore qualificazione è rilevante per una più precisa comprensione del sistema giuridico della previdenza sociale, posto che ad essa corrisponde una diversa concezione della funzione assolta dalla tutela previdenziale. Da questo punto di vista va innanzitutto respinta l'opinione di chi ritiene che i contributi previdenziali siano figure autonome speciale del tributo; poiché si perviene a tale conclusione solo perché si è ritenuto impossibile accettare una delle qualificazione tradizionali, essendosi ammessa l'esistenza di una relazione sinallagmatica a tra l'obbligazione contributiva è quella di erogare le prestazioni previdenziali. Poiché nei tributi la corrispettività tra il sacrificio dell'imposizione e il vantaggio che ne deriva ai singoli è normalmente esclusa. Va anche respinta configurazione dei contributi previdenziali come tasse o come contributi speciali. La caratteristica di ambedue queste figure di tributi sta in ciò che il fondamento della loro imposizione risiede nell’esplicazione di un’attività pubblica dalla quale l’obbligato riceve un vantaggio specifico, distinto e diverso da quello di cui tutta la collettività gode. Accogliendo una di queste configurazioni berrebbe esclusa quella particolare coincidenza tra interesse pubblico e interesse dei soggetti protetti. 31. I contributi previdenziali come imposte Se si tiene conto del significato dell’intervento dello Stato nel sistema della previdenza sociale, i contributi previdenziali possono essere configurati come imposte. Le imposte sono le prestazioni pecuniarie che un ente pubblico ha il diritto di esigere in virtù della sua potestà di imperio, nella misura nei modi stabiliti dalla legge, allo scopo di reperire mezzi necessari allo svolgimento della sua attività. Presupposto dell'imposta è esclusivamente la soggezione alla potestà dello stato, mentre l'impiego che l'ente pubblico fa del ricavo dell'imposizione, in base a norme estranee al rapporto tributario, non ha alcuna influenza sull'origine e sull'estensione dell'obbligo contributivo. La funzione dei contributi previdenziali e è quella di fornire agli enti previdenziali i mezzi necessari alla realizzazione dai compiti loro affidati dalla legge per la soddisfazione immediata di un interesse pubblico. Né il presupposto dell’obbligazione contributiva può essere individuato nella traslazione del rischio professionale. Obbligati al pagamento dei contributi possono essere gli stessi soggetti che beneficiano della tutela previdenziale; mentre, quando lo sono altri soggetti, tra questi soggetti protetti intercorrono rapporti a volte diversi da quelli di lavoro subordinato e cioè rapporti associativi, di lavoro autonomo o addirittura familiari. Il trasferimento del rischio professionale all’imprenditore non può fornire il criterio per individuare il presupposto dell’imposizione contributiva, proprio perché giustificato e strettamente connesso con la subordinazione che è tipica del rapporto di lavoro subordinato. In realtà, l’obbligo contributivo è giuridicamente indipendente sia dall’effettiva erogazione delle prestazioni previdenziali, sia dal vantaggio che i soggetti obbligati potrebbero trarre dalla realizzazione della tutela previdenziale. I contributi previdenziali sono dovuti esclusivamente in vista della realizzazione di un interesse pubblico e hanno la funzione di fornire mezzi necessari agli enti che con la loro attività devono soddisfare questi interessi. Il gettito dei contributi è destinato alla corresponsione indifferenziata delle prestazioni a chi si viene a trovare nelle condizioni previste dalla legge per averne diritto. La validità di questa impostazione risulta confermata dalla possibilità di qualificare i contributi previdenziali come imposte speciali; come quei contributi cioè che colpiscono solo determinate categorie o gruppi di persone e il cui provento ha una particolare destinazione, alla quale i soggetti obbligati possono avere un particolare interesse senza, però, che l’obbligazione tributaria sia commisurata al vantaggio del contribuente. 32. Costituzione ed estinzione del rapporto avente ad oggetto l'obbligazione contributiva. La prescrizione L'obbligo del pagamento dei contributi previdenziali sorge immediatamente al verificarsi delle condizioni previste dalla legge. La fattispecie da cui deriva come effetto giuridico il sorgere dell’obbligazione contributiva può essere costituita dal fatto che il soggetto obbligato diviene parte di un rapporto di lavoro subordinato, di lavoro autonomo o a volte familiare, oppure dallo svolgimento di una determinata attività in relazione all’iscrizione ad un determinato albo professionale. A volte l'obbligazione contributiva sorge solo quanto si verifichino fatti ulteriori: l'esercizio di una determinata specifica attività rispetto alla generica prestazione del lavoro in posizione subordinata; lo svolgimento di una attività lavorativa rispetto ad un rapporto associativo o il trarre un certo profitto dallo svolgimento di una determinata attività. Quest'ultimo è il caso dei liberi professionisti che sono iscritti di diritto alle rispettive casse di previdenza e quindi sono automaticamente obbligati alla contribuzione previdenziale, se esercitano la professione con carattere di continuità. L'obbligo contributivo si estingue con il venir meno delle condizioni per cui era sorto; ma anche per prescrizione. Questa è divenuta quinquennale dal 1° gennaio 1996. La legge n. 335 del 1995 ha ridotto a cinque anni la prescrizione per tutte le altre contribuzioni di previdenza e assistenza sociale obbligatoria, restando, così, modificata anche la previgente prescrizione decennale per la contribuzione dovuta per la tutela contro gli infortuni e le malattie professionali e per la tutela di malattia. 33. Determinazione dell'obbligo contributivo Secondo l'art. 23 Cost. nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge, quest'ultima non solo importa obbligo contributivo ma ne determina anche l'ammontare. A volte i contributi sono determinati in misura fissa, invece altre volte, in misura proporzionale della retribuzione imponibile. Retribuzione o reddito professionale costituiscono la base imponibile che deve essere valutata secondo i criteri stabiliti dalla legge che determina l’ammontare del contributo indicandone il tasso, cioè la percentuale rapportata alla base imponibile. In alcuni casi però il tasso è fissato, o può essere variato, con decreto del presidente della repubblica su proposta del ministro del lavoro e delle politiche sociali. In questi casi non è violato il precetto costituzionale che riserva alla legge l’imposizione di prestazioni personali o patrimoniali. La legge determina le condizioni per l'esistenza dell'obbligo contributivo, mentre la discrezionalità attribuita all'autorità governativa e agli enti previdenziali deve essere esercitata nel rispetto dei criteri e nei casi determinati dalla legge. Ai soggetti tenuti al pagamento dei contributi la legge impone anche obblighi accessori, rispetto a quello contributivo, allo scopo di fornire agli enti previdenziali elementi necessari per accertare l'esistenza dell'obbligo. Questi obblighi accessori, assistiti a volte da sanzioni, sono imposti dalla legge al solo fine di fornire gli elementi necessari per accertare l'esistenza dell'obbligazione contributiva e l'ammontare dei contributi dovuti, deve ritenersi che il loro adempimento dia luogo a vere e proprie denunzie. L'obbligazione contributiva non sorge per effetto dell'accertamento, ma è già venuta in essere nel momento in cui si sono verificate le condizioni oggettive e soggettive previste dalla legge. 34. La retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale: a) la nozione legale Per la determinazione dell'importo dei contributi previdenziali dovuti alle forme di tutela previdenziale dei lavoratori subordinati, è determinante l'individuazione della retribuzione da prendere come base per l'applicazione delle percentuali previste dalla legge. La nominativa vigente prima del 1969 considerava retribuzione, ai fini contributivi, tutto ciò che il lavoratore riceve, in danaro o in natura, dal datore di lavoro per compenso dell'opera prestata. La disciplina del 1969, invece, considerava retribuzione, ai fini contributivi,tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro, in danaro o natura, in dipendenza del rapporto di lavoro. Era assoggettabile a contribuzione previdenziale non solo il corrispettivo in senso oggettivo del lavoro prestato, ma anche il corrispettivo in senso soggettivo. Un ulteriore evoluzione della nozione di retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale si è avuta, di recente, con l'emanazione del decreto legislativo 2 settembre 1997 n. 314. La legge n. 662 del 1996 aveva indicato come criterio direttivo la completa equiparazione, ove possibile della nozione di reddito imponibile a fini fiscali e di retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale. Sennonché, l'inciso "ove possibile" segnava un limite al legislatore delegato. Di conseguenza, l'art. 6 del d.lgs. n.314 del 1997, che ha novellato l'art. 12 della legge n. 153 del 1969, dev'essere interpretato nel senso che la nozione di retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale è deferita mediante il rinvio all'art. 46 del TUIR e non all'art. 48 TUIR che definisce il reddito da lavoro ai fini del prelievo fiscale. Ne deriva che la nozione di retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale non ha subito sostanziali modifiche posto che l'art. 46 del TUIR stabilisce che " sono redditi di lavoro dipendenti quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze sotto la direzione di altri". Sono espressamente escluse sia l'indennità di anzianità che l'indennità di cassa e alle quali sono state aggiunte le erogazioni liberali concesse dal datore di lavoro, in occasione di festività o ricorrenze, alle generalità o a categorie di lavoratori; i pasti consumati nelle mense aziendali. Sono escluse le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro al fine di incentivare l'esodo dei lavoratori. Restano, invece, comprese da retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale le integrazioni delle prestazioni previdenziali economiche che i contratti collettivi pongono a carico dei datori di lavoro in caso di assenza dal lavoro per malattia, infortunio o gravidanza e puerperio. 35. Segue: b) l'interpretazione giurisprudenziale La giurisprudenza, sostituendo il requisito della dipendenza da rapporto di lavoro, voluto dal legislatore, con il criterio della coincidenza temporale con rapporto stesso, aveva finito con il ritenere assoggettabile a contribuzione previdenziale qualsiasi erogazione che, a prescindere dall'accertamento della sua natura e funzione, avvenisse durante rapporto di lavoro emesse nell'esistenza di tale rapporto la ragione, anche indiretta o occasionale, della sua erogazione. L'unico limite all'assoggettabilità a contribuzione previdenziale finiva per essere costituito dalla tassativa elencazione prevista dalla legge. Di qui la nozione di retribuzione assoggettabile a condizione previdenziale è stata estesa fino a ricomprendervi le somme erogate dal datore di lavoro da soggetti diversi dal lavoratore. Quella giurisprudenza però era stata più volta contraddetta dal legislatore con l’emanazione di numerose disposizioni recanti l’interpretazione autentica dell’art. 12 legge 153/1969. Fin quando la legge n. 335 del 1995 non ha modificato i criteri di calcolo delle pensioni, la retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale costituiva anche la base di calcolo dell'ammontare delle prestazioni pensionistiche. Di conseguenza, il rigore mostrato dalla giurisprudenza degterminava la lievitazione degli oneri contributivi posti a carico di ambedue le parti del rapporto di lavoro e non concorreva al risanamento delle finanze previdenziali in quanto elevava i livelli pensionistici delle prestazioni previdenziali. 36. Segue: c) l'interpretazione legislativa Si era assistito a ripetuti interventi legislativi, volti a fornire una interpretazione autentica dell'art. 12 della legge n. 153 del 1969 che determinava l'esclusione, totale o parziale, dall'imposizione contributiva degli specifici trattamenti di volta in volta presi in considerazione. Il legislatore, da un lato, aveva stabilito che la disposizione dell'art. 12 della legge n. 153 del 1969 doveva essere interpretata nel senso che sono escluse dall'imposizione contributiva e che sono assoggettate esclusivamente ad un contributo di solidarietà, a carico dei datori di lavoro, "le contribuzioni e somme, versate o accantonate, a finanziamento di casse, di fondi, gestioni o forme assicurative previsti da contratti collettivi o da accordi o da regolamenti aziendali, al fine di erogare prestazioni integrative previdenziali o assistenziali a favore del lavoratore e suoi familiari nel corso del rapporto o dopo la sua cessazione". Dall’altro, il legislatore aveva anche stabilito che l'art. 12 della legge n. 153 nel 1969 da essere interpretato nel senso che nella diaria onde indennità di trasferta sono ricomprese anche le indennità spettanti ai lavoratori tenuti a per contratto ad una attività lavorativa in luoghi variabili e sempre diversi da quello della sede aziendale, anche se corrisposti con carattere di continuità. Il legislatore aveva anche stabilito che non è assoggettabile a contribuzione previdenziale il finanziamento dei servizi di mensa e di trasporto predisposti dal datore di lavoro a favore della generalità dei lavoratori e per esigenze connesse con l'attività lavorativa. Più di recente il legislatore aveva affermato che sono escluse dalla retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale: le spese sostenute dal datore di lavoro per il funzionamento degli asili nido aziendali; le spese per il finanziamento di circoli aziendali; le differenze tra il prezzo di mercato e quello agevolato praticato per l'assegnazione ai dipendenti di azioni della società datrice di lavoro ovvero di società controllanti o controllate. Il legislatore aveva escluso dalla retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale anche: le spese sostenute dal datore di lavoro per colonie climatiche in favore di figli dei dipendenti, o universitari; il valore dei generi prodotti azienda ceduti dipendenti. Era stato assoggettato a contribuzione previdenziale il 50% della differenza tra il costo aziendale della provvista relativa ai mutui e prestiti concessi dal datore di lavoro dipendenti e il tasso agevolato se inferiore al predetto costo, applicato ai dipendenti stessi. 37. Segue: d) l'uniformità di disciplina Alcune gestioni pensionistiche prevedevano voci della retribuzione limitate, sia per quanto concerne l’assoggettamento a contributo, sia per quanto concerne quelle da assumere a parametro di calcolo per i trattamenti di pensione. Tali specificità sono state però superate. E infatti la disciplina dettata per il regime generale è stata estesa a regimi esclusivi dei dipendenti dello stato e degli enti locali e a quelli sostitutivi. 38. Segue: e) minimali e massimali di contribuzione e di retribuzione pensionabile La gestione dei dirigenti di aziende industriali prevedeva un limite massimo della retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale e di quella pensionabile. Nell'assicurazione generale obbligatoria e nelle gestioni dei quali trova applicazione l'art. 13 della legge n. 153 del 1969, non era previsto alcun limite massimo di retribuzione, oltre il quale viene meno l'l'obbligo contributivo. Tale limite è stato recentemente introdotto per tutti lavoratori che iniziano l'attività lavorativa dopo il 1 ° gennaio ha 1996 e per i lavoratori che opterranno per la liquidazione della pensione di vecchiaia unificata con il nuovo sistema contributivo. Per la retribuzione da assumere a parametro per il calcolo delle pensioni retributive è fissato un massimale. Tale massimale viene progressivamente adeguato nel tempo con atto apposita normativa. Per contro è previsto un minimale di retribuzione, ai fini del calcolo dei contributi previdenziali dovuti. La retribuzione da assumere come base di quel calcolo non può essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale e non può essere inferiore al 9, 5% dell'importo del trattamento minimo mensile della pensione a carico del fondo pensioni lavoratori dipendenti. Il legislatore ha disposto che, nella determinazione delle voci indirette o indiretta della retribuzione si debba necessariamente tener conto della effettiva volontà delle parti stipulanti i contratti collettivi e gli accordi sindacali aziendali che li prevedono. Un tipo particolare di minimale di retribuzione, ai fini del versamento dei contributi previdenziali, è previsto per i rapporti di lavoro ad orario ridotto. La contribuzione è determinata su retribuzione media convenzionale, non solo per i lavoratori italiani all'estero, ma anche per i coltivatori diretti, mezzadri e coloni e sul reddito professionale netto imponibile ai fini IRPEF per gli altri lavoratori autonomi. 39. L'obbligazione contributiva nei confronti dei lavoratori italiani all'estero La tutela previdenziale e dei lavoratori italiani all'estero ha avuto attuazione condizionata dall'esistenza di convenzioni internazionali in materia di sicurezza sociale che estendevano agli stranieri il regime previdenziale dei lavoratori nazionali. Una tutela più intensa, ma limitata all'ambito dei paesi aderenti, si è avuta con l'istituzione della comunità economica europea. Il principio della libera circolazione della manodopera è stato attuato mediante regolamenti comunitari a quelli resistenti. Ai fini della realizzazione della tutela previdenziale dei lavoratori dell'Europea, deve essere tenuto conto della giurisprudenza della corte di giustizia delle comunità che più volte ha statuito sull'interpretazione ed applicazione delle legislazioni nazionali. Per i paesi extra comunitari e ove fossero mancate convenzioni internazionali, il lavoratore italiano restava privo di quelle forme di tutela previdenziale che si realizzano mediante l'erogazione di prestazioni sanitarie o di indennità economiche temporanee. Per la tutela pensionistica la legge si limitava a prevedere la possibilità, per i cittadini italiani che avessero prestato lavoro subordinato all'estero, di chiedere il riscatto dei periodi non coperti da assicurazioni sociali riconosciute dalla legislazione italiana. Fuori dalla comunità economica europea, la tutela previdenziale dei lavoratori italiani all'estero era condizionata dall'esistenza di una convenzione internazionale o dalla volontà dello stesso datore di lavoro. La necessità di modificare questa situazione fu avvertita la prima volta in occasione dell'istituzione del servizio sanitario nazionale. L'art. 37 della legge n. 833 del 1978 previde l'emanazione di provvedimenti legislativi idonei a garantire la tutela della salute anche agli italiani che lavorano all'estero. Tale garanzia è stata attuata dal d.p.r., 31 luglio 1980 n. 618. Restava pur sempre il problema della tutela del lavoratore all’estero contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e per i trattamenti di pensione. La legge n. 398 del 1900 878 ha stabilito che i lavoratori italiani all'estero, impiegati in paesi extracomunitari con i quali non siano in vigore accordi di sicurezza sociale, sono obbligatoriamente iscritti alle gestioni previdenziali italiane. Il legislatore ha previsto che la contribuzione previdenziale e la misura delle prestazioni non siano commisurate alla retribuzione effettivamente percepita all'estero, ma ad una retribuzione convenzionale determinata sulla base di un accertamento annuo di valore medio delle retribuzioni sindacali italiane. 40. Responsabilità per omessa o irregolare contribuzione previdenziale Quando obbligato al versamento della contribuzione previdenziale è il datore di lavoro, e egli è responsabile anche per la quota che la legge pone a carico del lavoratore ( art. 2115, 2 comma cc). Il datore di lavoro ha diritto di rivalsa nei confronti del lavoratore ( art. 2115 , 2 comma cc). L'omessa o irregolare contribuzione previdenziale può dar luogo ad una responsabilità penale e civile e amministrativa del datore di lavoro. L'omesso o irregolare versamento dei contributi previdenziali è stato lungo considerato dalla legge come reato e come una contravvenzione. È punito con l'ammenda per la quale però era ammessa l'oblazione. Successivamente però sono state abolite le sanzioni penali sostituendole con quelle amministrative (c.d. depenalizzazione). Sono ancora previste sanzioni penali per il datore di lavoro quando l'evasione contributiva e quantitativamente rilevante a condizione non solo che l'evasione sia determinata dalla omessa o irregolare tenuta delle scritture ( libro paga,) Ma sia anche qualificata dal dolo specifico. Le sanzioni amministrative possono essere annullate, o ridotte, nei casi in cui il ritardo dell'adempimento del datore di lavoro sia limitato nel tempo. La legge prevede infine, ulteriori sanzioni, c.d. civili. Oltre contributi non versati sono dovuti, eccezionalmente e in presenza di determinate situazioni, gli interessi legali, ma di norma è dovuta una "somma aggiuntiva" il cui ammontare varia a seconda che si tratti di mera omissione contributiva (mancato o tardivo pagamento di contributi in presenza di registrazioni e documentazione aziendale regolarmente tenute) ovvero di evasione contributiva ( e conseguente ad omessa o infedele registrazione). Nel primo caso non può superare il 40% dell'ammontare dei contributi omessi; nel secondo caso l'ammontare massimo complessivo delle sanzioni è pari al 60%. La sanzione della " somma aggiuntiva" è dovuta nella misura massima del 40% anche nel caso di evasione ove il datore di lavoro denunci spontaneamente inadempimento contributivo e provveda a versare contributi dovuti entro 30 giorni dalla denuncia. Le sanzioni civili possono essere ridotte sino alla misura degli interessi legali, nel caso di oggettive, gravi incertezze relative all'esistenza dell'obbligo contributivo nonché nel caso di aziende in crisi. Si ritiene che la sanzione della somma aggiuntiva è abbia natura di sanzione civile e costituisca il risarcimento del danno liquidato dalla legge in misura diversificata a seconda del ritardo del pagamento e a seconda che la evasione contributiva derivi o meno dalla mancata esecuzione delle registrazioni o denunce obbligatorie o da registrazioni non conformi al vero. Sanzioni amministrative sono previste per la violazione da parte del datore di lavoro degli obblighi accessori che hanno lo scopo di fornire al lavoratore l'indicazione della retribuzione denunciata e assoggettata a contribuzione previdenziale e di fornire agli enti previdenziali gli elementi per accertare l'esistenza dell'obbligo contributivo e l'ammontare dei contributi dovuti e delle retribuzioni individuali. 41. Responsabilità del datore di lavoro nei confronti del lavoratore per omessa o irregolare contribuzione previdenziale Nei limiti in cui non trova compiuta applicazione il principio dell'automaticità delle prestazioni, e il datore di lavoro e anche responsabile nei confronti del lavoratore del danno che a questo sia derivato dalla mancata o irregolare contribuzione previdenziale ( art. 2116, 2 comma cc). Responsabilità che deriva dalla violazione del diritto soggettivo del lavoratore alla posizione contributiva. Questa viene configurata come entità patrimoniale. come un bene giuridico produttivo di effetti economici, la cui lesione concretizza un danno certo, suscettibile di immediato risarcimento. E infatti, il lavoratore, a ragione del divieto di versare contributi prescritti, può subire un danno. Danno che può derivare dal fatto che l’accreditamento a suo favore di un certo numero di contributi costituisce, uno dei requisiti soggettivi richiesti per il perfezionamento del diritto alla pensione e dal fatto che la retribuzione, o la contribuzione versata costituiscono la base di calcolo per determinare l’ammontare delle pensioni sul quale influisce l’omessa o irregolare contribuzione. Il diritto risarcimento dei danni per omessa o irregolare contribuzione è riconosciuto anche superstiti del lavoratore. La giurisprudenza della corte di cassazione ritiene che lavoratore possa far valere le sue ragioni esercitando due azioni: a) trova fondamento nell'art. 2116 cc e ha ad oggetto il risarcimento dei danni. Azione esperibile nel momento in cui l'ente previdenziale ha verificato le prestazioni o le abbia concesse in misura minore di quella dovuta per effetto del mancato o irregolare versamento dei contributi previdenziali dovuti. Il termine di prescrizione di questa azione è di dieci anni dalla data del provvedimento di rifiuto della pensione o di quello che la determina in misura inferiore di quella dovuta. b) deriva dalla lesione del diritto del lavoratore alla sua posizione contributiva. Azione che non solo sarebbe esperibile sin dal momento in cui si è verificata l' omissione contributiva, ma sarebbe anche imprescrittibile. Questa azione può avere ad oggetto la condanna del datore di lavoro ad adempiere l'obbligazione contributiva non ancora prescritta nei confronti dell'ente previdenziale che però deve essere chiamato in giudizio in quanto unico legittimato a far valere il credito contributivo. Ove quest'ultimo sia prescritto, l'azione non potrà avere altro oggetto che il risarcimento del danno. La legge prevede una liquidazione in forma specifica del danno derivante da omessa o irregolare contribuzione previdenziale. La costituzione della rendita avviene con il pagamento all'ente previdenziale di un capitale corrispondente alla riserva matematica necessaria per erogare le prestazioni che sarebbero state dovute e se non si fosse verificata l'omissione contributiva. Ne consegue che il versamento di quel capitale comporta la regolarizzazione della posizione contributiva del lavoratore. Il rapporto di lavoro deve risultare da documentazione di data certa. Il lavoratore, quando non possa ottenere la costituzione della rendita dal datore di lavoro, può sostituirsi a quest'ultimo. La giurisprudenza della corte di cassazione ammette anche che il lavoratore possa chiedere al giudice la condanna del datore di lavoro alla costituzione della rendita. CAPITOLO QUARTO IL RAPPORTO GIURIDICO PREVIDENZIALE 42. Costituzione del rapporto giuridico previdenziale La realizzazione della tutela previdenziale avviene con la costituzione del rapporto giuridico previdenziale, del rapporto, cioè, intercorrente tra gli enti previdenziali e i soggetti protetti ed avente come contenuto del diritto di questi ultimi alle prestazioni previdenziali. La dottrina tradizionale riteneva che tale rapporto si sarebbe costituito simultaneamente a quello contributivo, al verificarsi delle condizioni oggettive e soggettive che determinano il sorgere dell’obbligo di versare i contributi previdenziali. Questa configurazione del modo in cui si costituisce il rapporto giuridico previdenziale non può essere accolta. L'obbligazione dell'ente previdenziale di erogare prestazioni non viene ad esistenza fin quando non si verificano le condizioni previste dalla legge e, cioè, non si verifichino gli eventi dai quali deriva per i soggetti protetti u a situazione di bisogno e, ove richiesti, sussistano requisiti di contribuzione e di assicurazione. La fattispecie da cui deriva il diritto alle prestazioni previdenziali è sempre costituita da due elementi che possiamo definire costanti: - il fatto che un soggetto viva del proprio lavoro; - a il fatto che si sia verificato uno degli eventi che la legge reputa generatori di bisogno. Tuttavia, tale fattispecie a volte, è più complessa. Il verificarsi di un evento considerato generatore di bisogno, lo svolgimento di un’attività lavorativa o l’esistenza di un rapporto familiare con un lavoratore sono soltanto gli elementi che si rivengono costantemente. Accanto ad essi, altri requisiti sono richiesti. Ciò avviene soprattutto quando non trova piena applicazione il principio dell'automaticità delle prestazioni, la fattispecie si completa solo in presenza di ulteriori elementi: il versamento di determinato numero di contributi previdenziali entro un certo periodo di tempo. Soltanto al completamento della fattispecie sorge una posizione giuridica attiva del soggetto protetto avente ad oggetto le prestazioni previdenziali verso l'ente previdenziale. L’obbligo di quest’ultimo di realizzare la tutela previdenziale non concerne più, ormai, solo lo Stato e l’insieme non individuato dei lavoratori protetti, bensì anche il soggetto nei cui confronti l’evento dannoso si è verificato. 43. Rapporti preliminari a quello previdenziale Nei casi in cui non trova attuazione il principio dell'automaticità delle prestazioni si deve ritenere che sussiste ancora obbligo dell'ente previdenziale di cooperare al loro adempimento. A tal fine è stato istituito presso l’INPS, il “casellario centrale delle posizioni previdenziali attive” per la raccolta, la conservazione e la gestione dei dati relativi ai lavoratori iscritti ad ogni regime previdenziale obbligatorio, generale e speciale. Compito del Casellario centrale è quello di emettere l’estratto conto contributivo annuale e di calcolare, su richiesta del soggetto protetto, l’ammontare della pensione ai fini della presentazione della relativa domanda. Tali obblighi esistono nei confronti dello Stato e anche nei confronti dei soggetti protetti, i quali in tal modo sono titolari di un diritto ad una prestazione, consistente nella emanazione di un atto amministrativo, dovuta da un ente pubblico in attuazione di un pubblico servizio. La Corte Costituzionale ha ritenuto che in presenza di un'esigenza determinata dalla limitatezza delle disponibilità finanziarie, è consentita una modificazione legislativa che possa determinare un irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività. Nonostante ciò l'aspettativa del lavoratore al conseguimento del diritto alla pensione ha una tutela oggettiva realizzata sia attraverso i limiti posti alla discrezionalità legislativa che ad opera dello stato. Lo stato provvede direttamente alla realizzazione di quella tutela sia con il controllo che esercita sugli enti previdenziali sia perché garantisce la pienezza del diritto alle prestazioni. Ciò avviene sia con l'accreditamento dei contributi figurativi, sia con l'accreditamento dei contributi omessi. Conseguenza dell’adempimento di quegli obblighi è soltanto la realizzazione di uno dei presupposti di quello che sarà l’atto di ammissione al godimento delle prestazioni previdenziali. Non si tratta quindi del rapporto giuridico previdenziale ma soltanto di un rapporto ad esso preliminare e strumentale. L'attività svolta dagli enti previdenziali inadempimento degli obblighi suddetti a una pluralità di effetti: ad costituisce l'adempimento dell'obbligazione esistente anche nei confronti dei soggetti protetti (effetto immediato); dall’altro viene in rilevanza come un mero fatto il sorgere del diritto alle prestazioni previdenziali (effetto mediato). 44. Il diritto dei lavoratori alla cosiddetta posizione contributiva Tutte le volte in cui non trovi per l'applicazione principale automaticità delle prestazioni o comunque, quando dall'omessa o irregolare contribuzione derivino conseguenze in ordine alla realizzazione della tutela previdenziale, il soggetto protetto ha diritto a che i doveri e obbligazioni siano adempiuti non solo da parte degli enti previdenziali, ma anche da parte del datore di lavoro. Tale diritto si estende al versamento dei contributi previdenziali. Il diritto del lavoratore al corretto porsi degli elementi che consentiranno il sorgere del suo diritto alle prestazioni previdenziali, trova ora il presupposto per il suo esercizio dell'obbligo, imposto dalla legge ai datori di lavoro e sanzionato in via amministrativa, di consegnare ai loro dipendenti, della denuncia nominativa presentata all'INPS, contenente l'indicazione delle retribuzioni individuali corrisposte. Il datore di lavoro è responsabile per la violazione del diritto del lavoratore alla periodica regolarizzazione della sua posizione contributiva, e come responsabile sussidiario nei suoi confronti deve anche essere considerato l'ente previdenziale che abbia lasciato cadere in prescrizione i contributi dovuti, ovvero abbia dato comunicazioni errate su una situazione contributiva.. Un'ulteriore tutela della posizione contributiva è stata realizzata dalla legge che prevede la ricongiunzione e, cioè, consente di cumulare le contribuzioni effettuate in regimi diversi ai fini del diritto e della misura di un'unica pensione, ed è stato stabilito dalla Corte Costituzionale un "doppio canale" per i liberi professionisti che non abbiano maturato il diritto a pensione in nessuna delle gestioni cui sono o sono stati iscritti ed ai quali è data la facoltà di scegliere tra il sistema della ricongiunzione dei periodi assicurativi e quello della totalizzazione degli stessi e, poi, dalla legge che ha disciplinato la totalizzazione. 45. L'atto di ammissione al godimento delle prestazioni previdenziali La posizione giuridica in cui si trova il soggetto protetto nel momento in cui si verifica l'evento previsto dalla legge è ancora una posizione preliminare. Essa consiste nel diritto all'ammissione al godimento delle prestazioni previdenziali. La domanda non è da sono ancora sufficiente trasformare il diritto all'ammissione in diritto al godimento delle prestazioni previdenziali. Tale trasformazione non avviene per effetto dell'attività dei soggetti protetti né automaticamente ad opera della legge, ma solo per effetto di un atto dell'ente previdenziale: atto di ammissione. Esso consiste nell'accertamento dell'esistenza di tutte le condizioni richieste dalla legge e dell'ammissione del richiedente al godimento delle prestazioni previdenziali, attribuendogliene il diritto. Ove l’ente non provveda all’ammissione, il soggetto protetto può rivolgersi al giudice ordinato che, accertato che si sono verificate tutte le condizioni richieste dalla legge, condanna l’ente previdenziale alla erogazione delle prestazioni con sentenza che ha gli effetti del provvedimento di ammissione. L'ammissione può essere dedotta anche nei fatti concludenti e consistere nel fatto materiale dell'erogazione stessa delle prestazioni. Alla disciplina generale la legge deroga espressamente alcuni casi. 46. I soggetti protetti Tra le caratteristiche più rilevanti dell'evoluzione del sistema della previdenza sociale c'è quella dell'estensione della tutela previdenziale ai lavoratori autonomi, a quelli parasubordinati e a soggetti che non sono lavoratori. A volte, tale estensione avviene mediante la semplice equiparazione ai lavoratori subordinati, altre volte, con l'istituzione di nuovi regimi previdenziali. Non solo la tutela della salute si estende a tutti cittadini; anche la tutela per l'invalidità, vecchiaia e superstiti si estende oramai è soci delle cooperative di lavoro, ai mezzadri, ai coloni, ai coltivatori diretti, agli artigiani. Lo stesso dicasi per la tutela contro gli infortuni e le malattie professionali, estesa anche alle persone occupate nell'ambito domestico. La tutela previdenziale si estende familiari partecipanti alle imprese familiari indicati nell'art. 230 bis c.c., e si estende ai familiari dei lavoratori, i quali, pur non lavorando, traggono dal lavoro del capofamiglia l'unico mezzo di sostentamento. I familiari del lavoratore sono titolari di un autonomo diritto alle prestazioni previdenziali nei casi in cui queste siano previste dalla legge a loro favore. Quanto alla portata delle prestazioni nessun dubbio esiste per le prestazioni dovute, in caso di morte del lavoratore capofamiglia; ma neanche può dubitarsi per quanto riguarda l’erogazione delle prestazioni sanitarie dovute in caso di malattia o di tubercolosi- queste prestazioni infatti sono destinate alla tutela della salute dei soggetti protetti e corrispondono al principio costituzionale sancito nell’art. 32 Cost. I familiari del lavoratore sono titolari di un autonomo diritto alle prestazioni previdenziali, poiché l’interesse che è direttamente ed immediatamente tutelato con l’erogazione di quelle prestazioni è l’interesse del familiare protetto. La tutela previdenziale si estende anche tutti cittadini ultrasessantacinquenni che si trovino in disagiate condizioni economiche. 47. Specie e funzione delle prestazioni previdenziali Le prestazioni previdenziali sono determinate dalla legge, in relazione ad ogni singolo evento protetto. Le prestazioni possono essere: A) sanitarie, quando hanno ad oggetto l'assistenza medico- chirurgica, le prestazioni ambulatoriali, i ricoveri in case di cura, la somministrazione di medicinali. La funzione di questo tipo di prestazioni è quella di soddisfare il bisogno di cure e quella di reintegrare le perdute o menomate energie di lavoro dei soggetti protetti, realizzando così oltre all'interesse privato anche l’ interesse pubblico generale. Le prestazioni sanitarie hanno costituito per i soggetti non solo un diritto, ma anche un dovere o un onere. L'infortunato sul lavoro che, senza giustificato motivo, rifiuti di sottoporsi alle cure mediche ritenute necessarie dall'istituto erogatore ai fini del recupero dell'attitudine al lavoro o non le avesse eseguite, avrebbe perso il diritto all'indennità pecuniarie. Allo stesso modo l'infortunato sul lavoro il quale si rifiuti di sottoporsi alle cure utili per la restaurazione delle capacità lavorative, avrebbe subito una riduzione della rendita di inabilità. Diversamente accade per la tutela per l'invalidità, vecchiaia ed i superstiti. Qui, nei casi in cui si fosse potuto evitare o ritardare ad un soggetto protetto di rimanere invalido ovvero si fosse potuto eliminare o ritardare l'invalidità già accertata, l'ente previdenziale non può imporre tale cura soggetto protetto. In caso di rifiuto, non si ha più la soppressione o la riduzione delle prestazioni economiche. B) economiche quando consistono nell'erogazione di denaro; esse soddisfano l'interesse pubblico generale all'eliminazione di determinate situazioni di bisogno. A volte sono erogate in proporzione al grado di invalidità, altre volte sono erogate in proporzione sia al numero dei soggetti a carico del lavoratore e del reddito di questi, sia del reddito del nucleo familiare e al bisogno effettivo di quest’ultimo desunto dal suo reddito complessivo. Esse non possono essere cedute e sono limitatamente impignorabili, insequestrabili e indisponibili, appunto perché sulla loro destinazione al perseguimento di interesse pubblico non possono prevalere interessi individuali e nemmeno l'interesse del soggetto diretto. Di recente, tuttavia, è stata dichiarata impugnabile soltanto la quota della pensione destinata ad assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita. Tanto le prestazioni economiche e quelle sanitarie assolvono a loro funzioni soddisfare, insieme con interesse del soggetto protetto, anche uno pubblico. 48. Prestazioni previdenziali, retribuzione e reddito lavorativo Il principio fondamentale che ispira il nostro sistema è che il compito dello Stato, da realizzare attraverso la previdenza sociale, sia quello di garantire a tutti cittadini il minimo essenziale alle esigenze di vita. Il mantenimento del livello di vita raggiunto durante il normale svolgimento dell'attività lavorativa non rientra nei compiti dello stato, ma tra quelli propri degli individui dei gruppi. La più recente disciplina legislativa, ha dapprima attenuato notevolmente il rilievo dell’interesse dei lavoratori a conservare come pensionati il tenore di vita raggiunto al termine del rapporto di lavoro, e successivamente ha previsto la progressiva sostituzione delle ultime retribuzioni o degli ultimi redditi con la contribuzione previdenziale versata durante l’attività lavorativa. Per quanto riguarda il rapporto tra pensione, retribuzione e reddito lavorativo sotto il profilo della possibilità del cumulo, la legge aveva disposto il divieto di quest'ultimo della pensione di invalidità e di vecchiaia con la retribuzione. Successivamente, la legge ha superato questi dubbi e ha tenuto conto dei limiti derivanti dalla funzione stessa della prestazione previdenziale. Essa ha disposto che le quote delle pensioni di vecchiaia e invalidità non siano cumulabili che parzialmente. Successivamente, pur facendo salvi i diritti acquisiti, la legge aveva vietato il cumulo totale delle pensioni di vecchiaia e di invalidità anche con il reddito di lavoro autonomo. Questa disciplina era coerente con la funzione e la natura delle prestazioni previdenziali, tuttavia non era giusto privare del tutto della pensione chi continua a lavorare dopo il pensionamento. Al tempo stesso però il cumulo tra retribuzione o reddito da lavoro autonomo e pensione contraddiceva alla funzione di quest'ultima, posto che le prestazioni previdenziali sono erogate con esclusiva funzione di far fronte a situazioni di bisogno. Quella disciplina soddisfaceva ambedue le esigenze; infatti ammetteva il cumulo per i trattamenti minimi e per il 50 % dell’eccedenza, indicando così il limite massimo entro il quale la pensione realizzava la sua funzione. Più di recente, il legislatore ha dovuto tener conto del fenomeno per cui pensionati, per sottrarsi al divieto di cumulo, accettavano il lavoro irregolare con conseguente evasione della contribuzione previdenziale. Per eliminare, o almeno ridurre tale fenomeno, la legge 23 dicembre 2000, n. 388 ha revocato in alcuni casi, il divieto di cumulo tra pensione di vecchiaia e redditi di lavoro autonomo o dipendente. Dal 1° gennaio 2001 le pensioni di vecchiaia e i trattamenti anticipati sono interamente cumulabili con redditi da lavoro autonomo e dipendente. Quando gli anni di contribuzione sono inferiori a 40 e è stato ribadito il divieto di cumulo con redditi da lavoro subordinato e i limiti del cumulo con redditi da lavoro autonomo. Resta così confermato il superamento delle concezioni mutualistico- assicurative anche per quanto riguarda la tutela previdenziale contro l'invalidità e la vecchiaia. 49. Natura giuridica delle prestazioni previdenziali Non può accogliersi la configurazione delle prestazioni previdenziali come parte della retribuzione o come risarcimento del danno sofferto dal lavoratore. La configurazione della natura retributiva delle prestazioni previdenziali va respinta con riferimento alle prestazioni sanitarie e all’ipotesi in cui esse siano dovute a soggetti protetti che non sono lavoratori subordinati. Anche se a volte le prestazioni previdenziali si sostituiscono alla retribuzione, ciò non significa che abbiano natura retributiva. Infatti per esempio, l'assegno per il nucleo familiare, per la funzione cui assolve, per il sistema con cui viene erogato, per il modo con cui vengono reperiti i mezzi necessari la sua erogazione, presenta caratteristiche diverse dalla retribuzione, nonostante l’esplicito richiamo alle esigenze della famiglia del lavoratore contenuto nell’art. 36 Cost. La teoria del salario familiare, al pari di quella del salario previdenziale, si risolve in una considerazione di politica sociale. Allo stesso modo le prestazioni previdenziali non possono essere qualificate come risarcimento del danno; la loro principale funzione è quella di reintegrare le perdute energie di lavoro. Anche nel caso delle prestazioni economiche, la loro funzione è unicamente quella di fronteggiare situazioni di bisogno al quale sono a volte proporzionate. Il bisogno eliminato con le prestazioni previdenziali è quello derivante dalla mancanza dei beni essenziali, necessari alla vita del soggetto protetto; mentre il danno che consegue al verificarsi degli eventi può riguardare beni che accedono quelli necessari. Il bisogno può avere come presupposto un danno, ma ciò non significa necessariamente che le prestazioni previdenziali abbiano una funzione indennitaria. Infine la mancanza di un nesso di interdipendenza tra pagamento dei contributi e erogazione delle prestazioni previdenziali, vediamo che quest'ultime non possono essere configurate nemmeno come il corrispettivo di quelli; il loro ammontare è proporzionale ai contributi versati. Ciò se mai si spiega o con l’esigenza di garantire l’economicità della gestione, ovvero con la considerazione che quella proporzionalità è riferita a quest’ultimi. La natura delle prestazioni previdenziali viene in rilievo con esattezza dove si faccia riferimento alla nozione di prestazione amministrative rese ai privati; di una prestazione cioè erogata dallo stato o da un altro ente, in esecuzione dell'obbligo specifico, per la tutela montante dell'interesse del singolo beneficiario quanto dell'interesse pubblico generale. 50. Il diritto alle prestazioni previdenziali I soggetti protetti sono titolare di un vero e proprio diritto soggettivo perfetto alle prestazioni previdenziali. Tale posizione attiva non è concessa dall'ordinamento sono tutela dell'interesse soggetti protetti; l'interesse del singolo è strettamente connesso all'interesse pubblico il cui soddisfacimento si realizza con la soddisfazione del primo. La protezione in cui si trovano i soggetti che hanno diritto alle prestazioni previdenziali riceve anche una tutela costituzionale. Deve infatti ritenersi che lo Stato non può far venir meno, neanche con legge ordinaria, il diritto delle prestazioni previdenziali, per cui ove venisse leso l'interesse del singolo a quelle prestazioni, l'ordinamento reagirebbe sia predisponendo una tutela oggettiva, sia attribuendo al singolo il potere di provocare un giudizio incidentale di legittimità costituzionale del provvedimento lesivo del suo interesse. Tale conclusione non impedisce al legislatore di intervenire con provvedimenti diretti a utilizzare in modo più efficace le risorse finanziarie disponibili. Sotto un ulteriore profilo si ritiene che la posizione giuridica attiva del soggetto faccia riscontro, accanto alla posizione giuridica passiva degli enti previdenziali, anche quella dello Stato, in quanto questi, in virtù dell’art. 38 Cost., ha l’obbligo di integrare gli istituti da lui predisposti per le prestazioni. 51. Il rischio professionale Il discorso sulla natura e sulla funzione delle prescrizioni previdenziali è collegato a quello del rischio. La dottrina tradizionale designa come rischio ogni evento al verificarsi del quale sorge il diritto dei soggetti protetti alle prestazioni previdenziali. Tale concezione, da un lato, presuppone l'equiparazione delle assicurazioni sociali a quelle private. Dall’altro essa deve essere posta in relazione al rilievo attribuito al rischio professionale il quale costituì la giustificazione della prima forma di assicurazione sociale, quella contro gli infortuni sul lavoro. Nonostante l’evoluzione del sistema previdenziale e l’istituzione di forme di tutela diverse da quella per gli infortuni sul lavoro, si è continuato a ritenere che il rischio professionale costituisce fondamento e la giustificazione dell'imposizione dell'obbligazione contributiva posta a carico al datore di lavoro. Quest'ultimo sarebbe chiamato a sopportare le conseguenze di quegli eventi che colpiscono il lavoratore che è alle sue dipendenze. Sennonché questa concezione non è idonea a fornire una esatta qualificazione del sistema giuridico della previdenza sociale. Essa è insufficiente a dare ragione dell'imposizione dell'obbligo contributivo agli stessi lavoratori subordinati; e inoltre soltanto alcuni degli eventi al verificarsi del quale la legge prevede l’erogazione delle prestazioni previdenziali sono connessi con la prestazione di un’attività lavorativa. In ogni caso non si può ritenere che le conseguenze dannose dell'evento futuro è incerto e colpire lavoratore siano trasferite sul datore di lavoro. Per poter accogliere tale concezione si dovrebbe ritenere che il trasferimento delle conseguenze dannose di tali eventi dal lavoratore al datore di lavoro avvenga mediante un meccanismo simile a quello dell’assicurazione privata, mediante cioè l’assunzione di un nuovo rischio da parte del datore di lavoro. Ma l’accoglimento di siffatta concezione presuppone l’esistenza di una corrispettività tra contributi e prestazioni previdenziali. Ma, i contributi e le prestazioni sono rispettivamente riscossi ed erogate per la realizzazione di un fine pubblico. Anche per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro deve ritenersi attualmente superato il principio del rischio professionale. Questa forma di tutela previdenziale è espressione del più elevato principio della solidarietà sociale. 52. Il rischio del sistema giuridico della previdenza sociale D’altra parte, se per il rischio deve intendersi il giudizio di possibilità o di probabilità del verificarsi di un evento, deve respingersi come inesatta la comune definizione del rischio come oggetto del rapporto giuridico previdenziale. Il rischio, inteso come giudizio di probabilità del verificarsi di determinati eventi, assume giuridica rilevanza in quanto l'ordinamento ne regola le conseguenze. Nel sistema giuridico della previdenza sociale le conseguenze del verificarsi di determinati eventi vengono, per legge, sopportate dagli enti previdenziali i quali sono obbligate ad erogare, al verificarsi dell'evento, le prestazioni previdenziali. Ciò consente di comprendere perché le prestazioni previdenziali vengano a volte erogate pur se con condizionamenti che tengono conto dell’effettiva esistenza di stati di bisogno, come per esempio l’assegno per il nucleo familiare. In questi casi il rischio assume rilevanza nella misura in cui la sua considerazione ha indotto il legislatore a predisporre la tutela previdenziale dei soggetti che ad esso sono esposti. Neanche possono sorgere dubbi per il fatto che in alcune situazioni, come dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, si ha una particolare rilevanza del rischio in quanto ad esso sono proporzionati i contributi previdenziali. Tale corrispondenza influisce solo sull'ammontare dei contributi e non sull'esistenza dell'obbligo contributivo. Il fatto che i contributi siano proporzionati alla probabilità del verificarsi dell'evento risponde solo l'esigenza di garantire la economicità e l'equilibrio finanziario della gestione, ed assolve anche alla funzione di favorire la prevenzione degli infortuni stessi. 53. Il rischio sociale Il concetto di rischio presenta nella previdenza sociale caratteristiche particolari, sia riguardo al tipo di intervento volto a regolare le conseguenze degli eventi previsti, sia alla natura di questi ultimi è cioè al fine dell'intervento stesso. L'eliminazione delle conseguenze che determinati eventi producono sui lavoratori è realizzata mediante l'erogazione di prestazioni previdenziali, alla quale si provvede sia con il contributo finanziario dello stato, sia con le posizioni contributi che hanno natura d'imposta. Tali conseguenze non vengono trasferite su un altro soggetto o su oggetti diversi da quelli che ad esse sono esposti, ma vengono sostenute da tutta la collettività. Il sistema giuridico della previdenza sociale deve essere considerato come espressione della solidarietà di tutta la collettività organizzata nello stato. Gli eventi al verificarsi dei quali è prevista l'erogazione di prestazioni e sono eventi, per la natura delle cose o per il modo in cui la società è organizzata, normalmente inevitabili che determinano per chi vive del proprio lavoro una situazione di bisogno. Se si volesse fornire una qualificazione di questi eventi che servisse a caratterizzare il rischio che rileva nella previdenza sociale, ben si potrebbe parlare di rischi sociali. CAPITOLO QUINTO LA TUTELA PER GLI INFORTUNI SUL LAVORO E LE MALATTIE PROFESSIONALI 54. Origine ed evoluzione Una tutela contro gli infortuni sul lavoro fu prevista per la prima volta alla fine del XIX secolo. La legge 80 del 1898, impose ai datori di lavoro dell’industria l’obbligo di assicurarsi per la responsabilità civile dei danni derivanti dagli infortuni sul lavoro di cui fossero rimasti vittima i loro operai, al fine di garantire questi ultimi contro l’ulteriore rischio dell’insolvenza del datore di lavoro, responsabile dell’infortunio. Si trattava di una vera e propria assicurazione che poteva essere stipulata da qualsiasi assicuratore, anche privato. La tutela era estesa anche agli infortuni derivanti dal caso fortuito, forza maggiore o cola non grave de lavoratore, il lavoratore infortunato quindi non doveva più provare, per aver diritto alla prestazione, che l’infortunio fosse derivato da colpa del datore di lavoro. Successivamente la tutela contro gli infortuni sul lavoro venne estesa ai lavoratori dell’agricoltura, ed ad essa si affiancò quella contro le malattie professionali. La tutela contro gli infortuni assunse caratteristiche pubblicistiche più nette, e se ne affidò la gestione a un ente pubblico, l’attuale Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli infortuni sul Lavoro (INAIL). I tratti pubblicistici vennero accentuati con il t.u. del 1935 n. 1935 che, da un lato ha introdotto il principio dell’automaticità delle prestazioni, per cui i lavoratori infortunati o affetti da malattia professionali hanno diritto alle prestazioni anche se il datore di lavoro non abbia adempiuto ai suoi obblighi e non abbia versato i contributi; dall’altro venne dato più cospicuo rilievo alle prestazioni sanitarie tendenti a conservare o a recuperare la capacità di lavoro dell’infortunato. Attualmente la fondamentale disciplina che regola la materia è contenuta nel t.u. 1124 del 1965, di recente modificato e integrato dal d.lgs. 23 febbraio 2000 n. 38, mentre la tutela sanitaria è regolata dalla legge n. 833 del 1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale. 55. Il fondamento della tutela Al momento della sua istituzione, il fondamento della tutela contro gli infortuni sul lavoro fu individuato nel principio del rischio professionale. I datori di lavoro che espongono il loro dipendenti al rischio dell’infortunio debbono sopportare anche, con il pagamento di premi, le conseguenze negative del verificarsi di quel rischio. Durante il periodo corporativo, si continuò a ritenere che la tutela contro gli infortuni sul lavoro trovasse fondamento nel principio del rischio professionale, ritenuto compatibile con la logica della solidarietà corporativa, secondo cui la realizzazione della tutela previdenziale doveva restare affidata alle categorie interessate. Il principio del rischio professionale forniva, e fornisce, un fondamento e una spiegazione che sono relativi. Da un lato la sua influenza è limitata alle ipotesi di infortunio non dovuto a colpa del datore di lavoro, posto che negli altri casi, quest’ultimo avrebbe dovuto comunque rispondere dei danni secondo il diritto comune. Dall’altro, il principio del rischio professionale non può fornire una giustificazione della tutela infortunistica in tutti quei casi in cui il soggetto protetto non è un lavoratore subordinato, perché in questo caso manca un datore di lavoro sul quale trasferire il rischio dell’infortunio. In realtà il principio del rischio professionale corrisponde ad una concezione della tutela previdenziale ormai superata dai principi accolti nella Costituzione repubblicana. Questi comportano il riconoscimento di un diritto dei lavoratori a che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, non diversamente come negli altri eventi considerati generatori di bisogno. Nella prospettiva indicata dai principi costituzionali, il fondamento della tutela contro gli infortuni sul lavoro è espressione della solidarietà di tutta la collettività organizzata nello Stato a favore di chi si viene a trovare in situazione di bisogno; e la sua funzione non è più quella di risarcire un danno, ma quella eliminare le situazioni di bisogno che impediscono l’effettivo e il pieno godimento dei diritti civili e politici. 56. Il significato della tutela per gli infortuni sul lavoro nel sistema della previdenza sociale Nella tutela per gli infortuni sul lavoro trova piena applicazione (e non parziale, come accade nella tutela per l’invalidità e la vecchiaia e superstiti) il principio della automaticità delle prestazione e si prescinde dall’esistenza di requisiti di contribuzione. Questa maggiore effettività si spiega con la particolare valutazione che l’ordinamento ha del bisogno in cui si trova chi è vittima di un infortunio sul lavoro. In questo caso, alla valutazione meramente oggettiva del bisogno che deve essere eliminato, si aggiunge una valutazione soggettiva che attiene alla causa generatrice di esso. Chi si trova in condizioni di bisogno a causa del proprio lavoro merita una considerazione particolare e una tutela più intensa, quasi a compensare la circostanza che in si è venuto a trovare in quelle condizioni per aver contribuito al benessere di tutta la collettività. Questa valutazione ha già trovato riscontro nella istituzione della pensione per invalidità o per morte per causa di servizio, e ad essa corrisponde l’estensione della tutela contro gli infortuni sul lavoro a soggetti che non sono lavoratori subordinati. Se la particolarità della tutela per gli infortuni sul lavoro sta nella intensità della sua efficienza, e se questa si giustifica con il rilievo attribuito alla causa generatrice del bisogno, appare inevitabile una conclusione: tutte le limitazioni di quella tutela, disposte in funzione della presunta pericolosità di certi lavori, e tutti gli aspetti della disciplina legislativa che ancora rispecchiano l’originaria funzione di assicurazione della responsabilità civile dei datori di lavoro, costituiscono palesi incongruenze rispetto alla funzione che ormai è propria di questa forma di tutela previdenziale. La Corte Costituzionale, in riguardo a tali limitazioni della tutela, ha affermato l’esistenza di una presunzione juris et de jure della pericolosità del lavoro, destinata ad operare anche in assenza di un rischio effettivo e concreto. 57. L’organizzazione amministrativa La tutela per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali è affidata dalla legge all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), ormai anche per i dipendenti dell’Ente Ferrovie dello Stato e dell’Ente Poste Italiane. L’INAIL ha struttura centrale e si articola in sedi periferiche con competenza estesa all’ambito di ciascuna provincia. Gli ordinari compiti di assistenza sanitari sono svolti ormai dal Servizio sanitario nazionale, mentre restano attribuite all’INAIL le funzioni concernenti le attività medicolegali ed i relativi accertamenti e certificazioni. Non per tutti i lavoratori la tutela per gli infortuni sul lavoro è gestita dall’INAIL. Alla tutela per gli infortuni sul lavoro degli addetti alla navigazione marittima e alla pesca marittima provvede L’Istituto di previdenza per il settore marittima. La tutela dei dirigenti e degli impiegati tecnici e amministrativi di concetto e d’ordine di aziende agricole e forestali è gestita dall’Ente nazionale di previdenza e assistenza degli impiegati dell’agricoltura. La tutela degli sportivi dilettanti tesserati in qualità di atleti, dirigenti e tecnici alle Federazioni sportive nazionali, è gestita dagli enti assicuratori liberamente scegli dalle stesse Federazioni. 58. L’ambito di applicazione della tutela per gli infortuni sul lavoro nell’industria: a) le lavorazioni pericolose La tutela per gli infortuni sul lavoro trova applicazione a tutti i lavoratori subordinati e non, come in origine, solo a quelli dell’industria. È significativo che la tutela infortunistica sia stata estesa anche ai lavoratori dell’area dirigenziale, ai lavoratori parasubordinati e a progetto, agli sportivi professionisti dipendenti, nonché, mediante l’istituzione di un fondo autonomo speciale presso l’INAIL, anche a ciascun componente del nucleo familiare che svolge lavoro domestico in via esclusiva. Sennonché nei fatti la tutela per gli infortuni sul lavoro resta limitata soltanto ai lavoratori la cui attività comporti una più intensa esposizione al rischio dell’infortunio. L’ambito di applicazione della tutela è delimitato dalla legge in base a due criteri che devono trovare applicazione in concorrenza tra loro: il primo attiene alle lavorazioni considerate pericolose e quindi protette, il secondo attiene alle persone ammesse alla tutela Le lavorazioni sono definite a loro volta secondo due criteri diversi: in primo luogo la legge fa riferimento alla pericolosità derivante sia dall’attività svolta, sia dall’ambiente in cui l’attività si svolge. Così la legge considera pericolosi tutti i lavori che comportino l’uso di macchine mosse non direttamente dalla persona che le usa, l’uso di apparecchi a pressione. La pericolosità della macchina, intesa come qualsiasi meccanismo utilizzato per ottenere un maggiore rendimento con sforzo minore, sta nel fatto che, essendo il suo funzionamento determinato da una forza estranea all’operatore, sfugge al controllo di questo. La legge considera pericoloso anche il lavoro di quanti siano addetti a lavori che siano complementari o sussidiari a quelli che comportino l’uso delle macchine. in secondo luogo la legge ha riguardo alla pericolosità del lavoro svolto, indipendentemente dall’utilizzazione o no di macchine o impianti. La stessa legge detta un elenco di 28 lavorazioni che sono considerate lavorazioni pericolose. La legge assimila a queste, anche quelle ad esse complementari o sussidiarie a condizione che non si svolgano in locali diversi e separati da quelli nei quali si svolge la lavorazione principale. 59. Segue: b) le persone protette: i lavoratori subordinati Per l’applicazione della tutela contro gli infortuni sul lavoro non è sufficiente lo svolgimento di una delle attività ora descritta, ma la legge dispone che quella tutela sia limitata ai lavoratori che svolgano la loro attività in particolari posizioni. La tutela è limitata a quanti “in modo permanente o avventizio svolgono alle dipendenze e sotto la direzione altrui opera manuale retribuita, qualunque sia la forma di retribuzione”. Con tale formula (in modo permanente o avventizio) si ritiene che la legge abbia voluto dichiarare l’irrilevanza della continuità del rapporto di lavoro. Più complesso è il requisito della manualità del lavoro. Esso continua ad essere richiesto dalla legge in relazione alla concezione per cui pericolose sarebbero soltanto le lavorazioni che impegnano fisicamente la persona che lavora. Non se ne può trarre però la conclusione per cui tutti gli impiegati sarebbero sempre e comunque esclusi dalla tutela per gli infortuni sul lavoro. Occorre far riferimento al tipo di mansioni effettivamente svolte; quindi si potrebbe riscontrare l’esistenza di impiegati ai quali si estende la tutela per gli infortuni sul lavoro e di operai che ne potrebbero restare esclusi. Nel valutare a questo effetto le mansioni svolte, non sembra possibile utilizzare il criterio che conduce a distinguere a seconda che l’attività manuale sia soltanto lo strumento per l’esplicazione di un’attività intellettuale oppure l’oggetto stesso dell’attività dedotta in contratto. Appare quindi chiaro che il criterio della manualità del lavoro è superato. Peraltro tale requisito non è richiesto per i sovraintendenti al lavoro altrui, per i lavoratori che pur non essendo addetti direttamente a macchine, si trovino nel luogo di lavoro in cui vengono usate, per gli sportivi professionisti. La tutela infortunistica si estende agli sportivi dilettanti, ai lavoratori italiani all’estero, e ai lavoratori in aspettativa sindacale che svolgono attività comportante esposizione a rischio professionale. 60. Segue c) le persone protette diverse dai lavoratori subordinati La tutela per gli infortuni sul lavoro si estende anche a numerose categorie di soggetti che non sono lavoratori subordinati. Essa riguarda: gli apprendisti, gli artigiani che prestino abitualmente opera manuale nelle rispettive imprese, gli alunni delle scuole o istituti di istruzione di qualsiasi ordine e grado, gli allievi dei corsi di qualificazione o riqualificazione professionale, i ricoverati in case di cura, in ospizi e ospedali ecc. Anche nel caso dell’assicurazione delle presone occupate in lavori nell’ambito domestico, si prescinde dall’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, ancorché la tutela rivesta specifiche connotazioni. Nella medesima prospettiva la tutela è stata estesa anche ai lavoratori parasubordinati e ai collaboratori coordinati e continuativi, a condizione che siano addetti ad attività ritenute pericolose, o che, per l’esercizio delle loro mansioni, si avvalgono non in via occasionale, di veicoli a motore da essi condotti; nonché, sempre alle stesse condizioni, ai collaboratori a progetto e a quelli che svolgono attività di lavoro occasionale. Infine, la tutela è stata estesa anche ai prestatori di lavoro accessorio. 61. L’ambito di applicazione della tutela per gli infortuni sul lavoro nell’agricoltura Anche l’ambito di applicazione della tutela per gli infortuni sul lavoro in agricoltura è limitato dalla legge mediante due criteri che devono essere applicati in concorrenza tra loro: l’esercizio di determinate attività pericolose e la posizione in cui sono svolte. Per l’agricoltura la legge non determina le attività che ritiene pericolose, bensì quelle che ritiene agricole, per cui si ritiene che tutte le attività agricole siano pericolose. Sono considerate agricole tutte le attività dirette alla coltivazione dei fondi, alla silvicoltura, all’allevamento del bestiame ed attività connesse, anche se i lavori siano eseguiti con uso di macchine e non per conto e nell’interesse dell’azienda conduttrice del fondo. Sono altresì considerate agricole le lavorazioni connesse, complementari ed accessorie dirette alla trasformazione e all’alienazione dei prodotti agricoli, purché siano svolte sul fondo dell’azienda o nell’interesse e per conto di un’azienda agricola o forestale. La legge ha accolto una nozione particolarmente ampia di attività agricola. Questa ampiezza della nozione deve essere spiegata in relazione ai bassi regimi contributivi imposti all’agricoltura anche per questa forma di tutela previdenziale, per cui, la funzione della tutela previdenziale viene, in realtà, deformata a realizzare più generali scopi di politica economica. Ai fini della tutela infortunistica agricoltura, le persone protette sono tutti i lavoratori fissi o avventizi addetti ad aziende agricole e forestali. Sono altresì considerate persone protette i proprietari, i mezzadri, gli affittuari, le loro mogli e figli che prestino opera manuale abituale nelle rispettive aziende. I requisiti di della manualità e dell’abitualità sono specificati dalla legge. Tra i soggetti protetti, rientrano anche gli operai, assunti a tempo determinato o indeterminato, da pubbliche amministrazioni o imprese per lavori di forestazione, irrigazione, miglioramenti fondiari, sistemazione montana e rimboschimento. Infine, i dirigenti e gli impiegati, tecnici e amministrativi, dipendenti da aziende agricole e forestali godono di una specifica tutela per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dall’ENPAIA. 62. L’infortunio sul lavoro: a) l’occasione di lavoro La legge dispone che il diritto alle prestazioni previdenziali sorga in tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, a cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero una inabilità temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni. Discussioni sorgono quando si tratti di individuare quale relazione debba intercorrere tra il lavoro e l’infortunio, affinché quest’ultimo dia luogo all’erogazione delle prestazioni previdenziali. La legge non richiede affatto che il lavoro sia la causa dell’infortunio. Si può ritenere che “l’occasione di lavoro” si realizzi tutte le volte che lo svolgimento di un’attività lavorativa, costituisca l’occasione dell’infortunio, pur non essendone la causa; e cioè che abbia determinato l’esposizione del soggetto protetto al rischio del suo verificarsi, dando luogo così ad un nesso causale tra evento e lavoro. Da ciò deriva che l’occasione di lavoro può avvenire anche quando l’infortunio derivi dal caso fortuito o da cause estranee al lavoro svolto. Per contro non si può ritenere che l’occasione di lavoro sussista soltanto perché l’infortunio si sia verificato durante o sul luogo del lavoro. La dottrina che determina la ricorrenza di un’occasione di lavoro distinguendo a seconda che l’infortunio sia derivato da un rischio generico o da un rischio specifico, da un rischio cioè che incombe su tutti i cittadini o solo sul lavoratore, appare ambigua. L’occasione di lavoro sussiste anche quando il lavoro espone il soggetto protetto a un rischio generico, come per esempio accade quando le modalità di esercizio dell’attività lavorativa comportino un esposizione al rischio della strada. 63. Segue: b) colpa e dolo del soggetto protetto; il rischio elettivo Va precisato come il nesso che deve intercorrere tra il lavoro e l’infortunio non è affatto interrotto dall’eventuale colpa del lavoratore, almeno quanto questa si concretizzi nell’imprudenza, nella negligenza o nell’imperizia attinenti all’esecuzione della sua prestazione di lavoro. La legge esclude il diritto alle prestazioni soltanto quando l’infortunio consegue ad un comportamento doloso del soggetto protetto, e cioè in caso di autolesionismo. Tuttavia, quando il comportamento colposo non sia collegato all’esecuzione del lavoro, viene meno, in caso di infortunio, l’occasione di lavoro. Alla stessa conclusione si deve pervenire nel caso in cui il lavoratore abbia posto in essere, di sua iniziativa, comportamenti che, non potendo essere considerati come adempimento dell’obbligazione di lavoro, escludono ogni connessione tra l’esposizione al rischio e il lavoro. È questo il caso del cosiddetto rischio elettivo, che non si caratterizza per la rilevanza della colpa del lavoratore, ma per l’interruzione del nesso occasionale che deve intercorrere tra il lavoro e l’infortunio. I criteri ora esposti risolvono anche il problema dell’indennizzabilità dell’infortunio occorso durante i conflitti di lavoro. L’esercizio del diritto di sciopero presenta strette connessioni con il lavoro, avendo in questo la sua ragion d’essere e la sua giustificazione. Ne deriva che, anche per gli infortuni verificatisi in occasione di azioni di lotta sindacale, sussiste l’occasione di lavoro, a meno che non ricorra un ipotesi di rischio elettivo o di solo del soggetto protetto, in ordine sia al verificarsi dell’infortunio che all’aggravamento della lesione. 64. Segue: c) occasione di lavoro e infortunio in itinere La nozione di occasione di lavoro consentiva di ritenere indennizzabili alcuni casi di infortunio in itinere, e cioè di infortuni che hanno colpito il soggetto protetto durante il percorso seguito per recarsi dall’abitazione al lavoro o viceversa. In mancanza di una disciplina legislativa si riteneva che l’infortunio in itinere fosse indennizzabile soltanto quando poteva essere considerato un infortunio sul lavoro e, cioè, si fosse verificato in occasione di lavoro, essendo stato il lavoro ad esporre il soggetto protetto al rischio dell’infortunio sulla strada. Secondo una giurisprudenza risalente, l’infortunio in itinere era ritenuto indennizzabile se il soggetto protetto fosse rimasto vittima di un infortunio su un cammino che è necessario percorrere perché è l’unico che può condurre alla sede del lavoro; avesse dovuto usare speciai mezzi di trasporto apprestati dallo stesso datore di lavoro; avesse dovuto trasportare strumenti di lavoro pesanti ed ingombranti tali da essergli di impaccio nei movimenti. In tutti questi casi si riteneva che fosse stato il lavoro a esporre il lavoratore al rischio dell’infortunio. Una più recente giurisprudenza aveva però ritenuto che l’infortunio in itinere fosse indennizzabile anche quando derivi da eventi che soltanto indirettamente sono in occasione del lavoro, essendo determinati, in realtà, dal cosiddetto rischio della strada. Al tempo stesso la Corte Costituzionale ha confermato la legittimità dell’art. 4 del d.p.r. n. 1124 del 1965, nella parte in cui non prevede l’obbligo assicurativo per quanti siano costretti all’uso dell’automobile per raggiungere il posto di lavoro. Sennonché il legislatore ha delegato il Governo ad estendere la tutela infortunistica agli infortuni in itinere ispirandosi al più recente orientamento giurisprudenziale. La delega ha esteso la tutela a: gli infortuni occorsi durante il percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro; gli infortuni occorsi durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro; agli infortuni occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale di pasti. Non è indennizzabile l’infortunio occorso in caso di interruzione o deviazione del percorso del tutto indipendenti dal lavoro o non necessitate e inoltre qualora l’infortunio in itinere risulti cagionato dall’abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso non terapeutico di stupefacenti o allucinogeni, nonché quando il conducente sia sprovvisto della abilitazione di guida. A ben guardare, l’estensione apportata con la delega, esclude ogni rilevanza dell’occasione di lavoro. Infatti soltanto la rilevanza attribuita all’occasione di lavoro consente di giustificare la limitazione della tutela infortunistica ai lavoratori addetti a lavorazioni pericolose. Per contro tutti i lavoratori sono egualmente esposti al rischio della strada, onde vi è una violazione del principio costituzionale di eguaglianza. Si aggiunga inoltre che ai datori di lavoro è imposto l’onere della contribuzione destinata a finanziare anche la tutela dell’infortunio in itinere senza che possano approntare alcuna specifica attività di prevenzione dei quel rischio. 65. Segue: d) la causa violenta e il problema delle concause Il secondo requisito richiesto dalla legge per il sorgere del diritto alle prestazioni previdenziale è che l’infortunio sia derivato da una causa violenta, e cioè da una causa efficiente e rapida. Va osservato come violenta debba essere la causa della lesione, e non la lesione stessa. L’efficienza della causa violenta non esclude la possibilità che la lesione sia dovuta anche a fattori preesistenti o sopravvenuti, detti concause, e che possono incidere tanto sulla lesione che sull’inabilità. Si hanno concause preesistenti di lesione quando a causa di precedenti condizioni morbose, l’infortunio produce lesioni diverse o più gravi rispetto a quelle che avrebbero prodotto di per sé. In questi casi le prestazioni previdenziali sono commisurate alla lesione complessiva effettivamente verificatasi. In questo caso la legge dispone che si proceda alla liquidazione di una nuova rendita che assommi le due inabilità, tenendo conto del grado di riduzione complessiva dell’attitudine di lavoro causato dalle lesioni determiate dal precedente infortunio e dal nuovo. Si hanno invece concause preesistenti di inabilità quando l’inabilità derivante dall’infortunio si aggiunge ad una inabilità già esistente, sia di carattere professionale o extraprofessionale. In questo caso invece la legge dispone che il grado di riduzione permanente dell’attitudine al lavoro debba essere rapportato non all’attitudine al lavoro normale, ma a quella ridotta per effetto della preesistente inabilità. Le concause sopravvenute di lesioni o di inabilità si hanno quando alla lesione o all’inabilità derivanti da un infortunio si assomma una lesione o un’inabilità ad esso successiva. In questo caso la legge riconosce il diritto del soggetto protetto a chiedere la maggiorazione della rendita di inabilità in caso di peggioramento soltanto ove l’aggravamento sia derivato dall’infortunio. 66. Segue: e) la lesione Infine il diritto alle prestazioni previdenziali sorge quando dall’infortunio derivi la morte o l’inabilità al lavoro. Sulla morte, come fatto naturale, non c’è nulla da dire. L’inabilità al lavoro, invece, come concetto legale, deve essere intesa come eliminazione o riduzione delle attitudini psicofisiche del soggetto protetto a svolgere attività lavorativa. Essa, pertanto va accertata con riguardo all’inabilità al lavoro che ne deriva. Di recente la legge ha esteso la nozione di lesione ricomprendendovi anche le lesioni all’integrità psicofisica del lavoratore, indipendentemente dalla capacità di produzione di reddito, e, quindi, dall’esistenza di una inabilità al lavoro. L’inabilità al lavoro è considerata dalla legge in termini diversi a seconda che si tratti di inabilità temporanea o permanente. L’inabilità è temporanea quando le conseguenze dell’infortunio sono sanabili nel tempo e il soggetto può recuperare completamente le sue attitudini di lavoro. In questo caso il diritto alle prestazioni previdenziali sorge solo quando si tratti di una inabilità assoluta che impedisca totalmente e di fatto all’infortunato di attendere al lavoro, e quindi quando si tratti di inabilità specifica, cioè riferita al lavoro effettivamente svolto dal soggetto protetto al momento dell’infortunio. Si ha inabilità permanente quando le conseguenze dell’infortunio sono destinate a durare per tutta la vita. Tuttavia deve ritenersi permanente anche l’inabilità che non sia precaria e, cioè, sia comunque destinata a durare nel tempo. Ai fini dell’accertamento dello stato di permanenza, non si richiede un giudizio di definitività e di immutabilità, essendo sufficiente che con la definitività e la immutabilità concorra la loro immodificabilità per un tempo ragionevole. L’inabilità permanente deve essere generica e quindi riferita a qualsiasi lavoro proficuo. L’inabilità permanente può essere assoluta o parziale. Nel primo caso essa toglie completamente le attitudini al lavoro. Nel caso di inabilità permanente parziale essa viene calcolata sulla base della tabella delle menomazioni di cui al decreto ministeriale 12 luglio 2000. Per aver diritto alle prestazioni previdenziali, le attitudini dal lavoro nel caso di inabilità permanente parziale, devo essere ridotte in misura superiore al 10%. 67. Danno estetico e danno biologico Il cosiddetto danno estetico, e cioè la lesione che consiste in un’alterazione dell’estetica che deriva da un infortunio sul lavoro, dà luogo al diritto a prestazioni previdenziali soltanto se incide sulle attitudini al lavoro del soggetto protetto. Anche il danno estetico, dunque, quando per la ripugnanza che suscita crei difficoltà ad un’occupazione o costringa il lavoratore a accettarne qualcuna in condizioni sfavorevole, può dar luogo a prestazioni previdenziali. Più complessa è la questione della rilevanza del danno biologico, e cioè del danno alla persona del lavoratore. La Corte Costituzionale aveva affermato la contrarietà ai principi costituzionali delle disposizioni che determinano prestazioni che non tengono conto anche del danno inferto alla salute del lavoratore. La Corte si era astenuta dal dichiarare l’illegittimità delle norme esaminate ed aveva invitato il legislatore a disporre una riforma della disciplina vigente. In tal modo la Corte aveva confermato l’indirizzo secondo il quale il diritto alla salute deve trovare realizzazione nei rapporti tra privati, e la lesione di quel diritto provoca un danno in sé, danno che deve essere risarcito indipendentemente dal danno economico. Tuttavia il presupposto dal quale i giudici costituzionali avevano preso le mosse, e cioè che le prestazioni economiche hanno una funzione risarcitoria limitata al danno economico, era errato almeno per due ragioni. Da un lato perché presupponeva che la tutela infortunistica continuasse ad assolvere ad una funzione risarcitoria, come se ancora fosse da ricondurre esclusivamente ad una assicurazione per la responsabilità civile dei datori di lavoro e non assolvesse, invece, ad una funzione previdenziale. Dall’altro perché non teneva conto dei criteri che presiedono alla determinazione dell’ammontare delle prestazioni economiche alle quali l’infortunato ha diritto. E infatti, la riduzione permanente dell’attitudine al lavoro è soltanto teorica. Il lavoratore infortunato o affetto da malattia professionale ben può continuare a svolgere la stessa attività o a svolgerne un’altra, con produzione di reddito, nonostante che l’inabilità debba essere riferita a qualsiasi lavoro genericamente proficuo e non soltanto a quello svolto al momento dell’infortunio. Tutto ciò esclude che le prestazioni di cui si tratta avessero una funzione esclusivamente risarcitoria. In realtà quelle prestazioni prescindevano dal danno effettivo, ed erano condizionate da una valutazione complessiva della situazione in cui si viene a trovare il lavoratore che ha subito un infortunio o ha contratto una malattia professionale. Anche la tutela previdenziale contro gli infortuni e le malattie professionali si realizzava mediante l’erogazione di prestazioni che devono garantire mezzi adeguati alle esigenze di vita, e quindi erogazione di prestazioni che sono esclusivamente destinate a realizzare la liberazione dal bisogno che si presume derivare dall’infortunio o dalla malattia professionale, al fine di consentire l’effettivo esercizio dei diritti civili e politici. 68. L’indennizzo per danno biologico Il legislatore ha preso in considerazione il danno biologico derivante da infortunio o malattia professionale e ha dettato per esso una speciale disciplina. Speciale disciplina perché provvisoria in quanto in attesa della definizione di carattere generale di danno biologico, e perché la prestazione prevista nell’ambito del sistema d’indennizzo e sostengo sociale sostituisce, e non si aggiunge, alla rendita per inabilità permanente. Il danno biologico dà luogo ad un indennizzo sotto forma di capitale per danni fino al 15%, e per i danni ulteriori sotto forma di rendita, determinata in base ad una tabella delle menomazioni di cui al decreto ministeriale 12 luglio 2000. Deve quindi ritenersi che il diritto all’indennizzo di cui trattasi sorge quando cessa il diritto all’indennità giornaliera per inabilità temporanea. Quando al menomazione conseguente a danno biologico, applicando la tabella risulta essere superiore al 16%, l’indennizzo è integrato da una ulteriore quota di rendita commisurata in base alla tabella dei coefficienti, alla retribuzione percepita, al tipo di attività lavorativa svolta e alla ricollocabilità del soggetto protetto. Al finanziamento di questo aspetto della tutela infortunistica si fa fronte con un’addizionale dei premi e contributi assicurativi. 69. La nozione di malattia professionale L’ambito di applicazione della tutela delle malattie professionale è ancora più ristretto di quello degli infortuni sul lavoro. Tale tutela, da un lato è accessoria rispetto a quest’ultima in quanto si estende soltanto agli addetti a lavorazioni comprese tra quelle alle quali si applica la tutela per gli infortuni. Dall’altro, le malattie professionali davano diritto a prestazioni previdenziali solo in quanto fossero state comprese negli appositi elenchi aventi carattere tassativo e fossero state contratte nell’esercizio e a causa delle specifiche lavorazioni, anch’esse tassativamente indicate dalla legge. Tuttavia la giurisprudenza ha sempre sostenuto che la tassatività dell’elenco ne consentisse un’interpretazione estensiva. Quindi sono da ritenere implicitamente incluse nell’elenco anche le malattie contratte in lavorazioni non previste, ma caratterizzate dall’identità dei contenuti essenziali riscontrabili in queste ultime. Attualmente l’elenco delle malattie professionali per l’industria ne comprende 58, mentre quello dell’agricoltura ne comprende 27. La tabella è aggiornata periodicamente e, per agevolare l’aggiornamento è istituito il registro nazionale delle malattie causate dal lavoro o ad esse correlate. I criteri in base ai quali la legge definisce l’ambito dell’estensione della tutela appaiono legati alla concezione del rischio professionale, sia perché richiedono un nesso causale diretto tra il lavoro e la malattia, sia perché comportano una rigorosa definizione delle lavorazioni ritenute pericolose. Tuttavia il ricorso a tali criteri era in contrasto i principi accolti dalla Costituzione. Anzi, per le malattie professionali il contrasto era ancora più evidente proprio perché anche la scienza medica tende ormai a ritenere superato ogni tentativo di individuare singole materie professionali, e cioè malattie che possono essere contratte soltanto nell’esercizio e a causa di una determinata lavorazione, mentre si avvia alla formulazione di un unico concetto di malattia da lavoro, ricomprendente, in modo più aderente alla realtà, tutte le alterazioni psicofisiche che trovano nel lavoro la loro genesi. In questo quadro la Corte Costituzionale ha dichiarato la incostituzionalità delle norme che limitavano la tutela delle malattie professionali a quelle indicate tassativamente nelle tabelle. Ne consegue che anche malattie non ricomprese nella tabella danno luogo alla tutela previdenziale a seconda che venga provato che si sono verificate a causa del lavoro prestato da chi ne è stato colpito. Da qui deriva l’attuale sistema cosiddetto misto, in base al quale alcune malattie danno luogo alla tutela senza che sussiste per il lavoratore l’onere di provare che sono state causate dall’attività lavorativa svolta; quelle non tabellate invece danno luogo a tutela solo se il lavoratore prova che sono state causate dall’attività di lavoro. Anche al fine di agevolare questa prova, è previsto che nell’elenco di malattie professionali denunciate dai medici che ne riconoscono l’esistenza, siano inserite anche liste di malattie di probabile e possibile origine lavorativa, da tenere sotto osservazione ai fini della revisione delle tabelle delle malattie professionali. Infine, la Corte Costituzionale ha rimosso le limitazioni della tutela che derivano dalla regola secondo la quale le prestazioni erano dovute soltanto quando la malattia professionale si fosse manifestata entro un determinato periodo di tempo dall’abbandono delle lavorazioni considerate morbigene. Il diritto alle prestazioni previdenziali economiche sorge soltanto quando la riduzione permanente della capacità lavorativa è superiore al 10%. 70. Le prestazioni in genere In caso di infortunio sul lavoro o di malattia professionale, il diritto alle prestazioni sorge indipendentemente dall’adempimento da parte del datore di lavoro dei vari obblighi imposti dalla legge e, in particolare, dall’avvenuto versamento dei contributi previdenziali. Infatti, in questa forma di tutela trova piena applicazione il principio dell’automaticità delle prestazioni. Le prestazioni sono tanto economiche che sanitarie. Le prestazioni economiche erogabili in caso di infortunio sul lavoro o malattia professionale non sono cumulabili con pensioni, assegni o indennità di guerra, avendo il soggetto protetto soltanto la facoltà di opzione tra queste e quelle. Inoltre non sono cumulabili con le pensioni di invalidità e di reversibilità e con l’assegno ordinario di invalidità, se erogati dall’INPS in conseguenza dello stesso evento invalidante che da luogo alla rendita a carico dell’INAIL. Per contro, le prestazioni economiche, sono cumulabili con altre prestazioni previdenziali secondo una regola che può trovare spiegazioni solo considerando i livelli generalmente bassi di quest’ultime. Così la rendita da inabilità permanente è cumulabile con la pensione di invalidità o vecchiaia. Le prestazioni sanitarie hanno lo scopo principale di garantire il diritto alla salute, ma sono anche funzionalizzate al recupero dell’attitudine al lavoro. 71. Le prestazioni sanitarie La legge di riforma sanitaria ha attribuito al Servizio sanitario nazionale la competenza ad erogare le prestazioni sanitarie ai lavoratori colpiti da infortunio sul lavoro o che abbiano contratto malattia professionale. Nessuna innovazione è stata portata alle disposizioni contenute nel t.u. 1124 del 1965 e concernenti le prestazioni di assistenza sanitaria, curativa e riabilitativa, che devono essere comunque garantite agli invalidi del lavoro. La legge di riforma sanitaria ha, invece, disposto che con legge regionale dovrà essere disciplinato il coordinamento, anche mediante convenzioni, fra l’erogazione delle prestazioni e gli interventi che l’INAIL è tenuto a porre in essere in favore degli infortunati e tecnopatici compresi gli accertamenti e le relative certificazioni. Le prestazioni sanitarie consistono nell’erogazione delle cure mediche e chirurgiche necessarie per tutta la durata dell’inabilità temporanea ed anche dopo la guarigione clinica, in quanto occorrano a recuperare la capacità lavorativa. Tuttavia, anche quando la lesione si sia definitivamente consolidata, l’INAIL può chiedere che la erogazione delle prestazioni sanitarie continui in favore del soggetto protetto. Sennonché la tutela della salute fisica e psichica del lavoratore infortunato o che abbia contratto una malattia professionale, debba ormai avvenire nel rispetto della dignità e della piena libertà del medesimo. Pertanto in caso di rifiuto del soggetto protetto di sottoporsi a tali cure, non si ha né la perdita del diritto all’indennità per inabilità temporanea, né la riduzione della rendita alla misura presunta alla quale sarebbe stata ridotta ove si fosse sottoposto alle cure prescritte. 72. Le prestazioni economiche: a) l’indennità giornaliera In caso di inabilità temporanea assoluta il soggetto protetto ha diritto ad un’indennità giornaliera con decorrenza dal quatto giorno successivo a quello in cui si è verificato l’infortunio o si è manifestata la malattia professionale e per tutta la durata dell’inabilità stessa. L’indennità giornaliera è ragguagliata al 60% della retribuzione, ma ove la durata dell’inabilità si prolunghi oltre i 90 giorni, anche non continuativi, la misura di tale indennità è elevata al 75 % della retribuzione. L’indennità giornaliera viene calcolata facendo riferimento alla retribuzione che il lavoratore ha effettivamente percepito in danaro o in natura durante i 12 mesi precedenti all’infortunio, salvo l’applicazione di particolari tecniche stabilite dalla legge per l’ipotesi in cui tale retribuzione non sia determinabile o perché il lavoratore abbia prestato la sua opera in modo non continuativo o perché l’abbia prestata presso diversi datori di lavoro. Per i lavoratori agricoli va distinto a seconda che siano o no addetti a macchine mosse da agente inanimato. Nel primo caso le prestazioni economiche sono calcolate nello stesso modo previsto per i lavoratori dell’industria. Nel secondo caso invece l’indennità giornaliera è corrisposta a partire dal quarto giorno dall’infortunio, nella misura del 60% della retribuzione media giornaliera più elevata, determinata per singole provincie, per i salariati fissi, con decreto ministeriale, ai sensi dell’art. 28 del d.p.r. n.488 del 1968 ovvero della retribuzione giornaliera minima determinata, anno per anno, per i lavoratori dell’industria ove si tratti di proprietari, mezzadri ed affittuari e relativi familiari. Ove la durata si prolunghi otre 90 giorni, la misura dell’indennità giornaliera è elevata, a decorrere dal novantesimo giorno, al 75% della retribuzione giornaliera anzidetta. 73 b) la rendità da inabilità permanente In caso di inabilità permanente il soggetto protetto ha diritto ad una rendita con decorrenza dal giorno successivo a quello della cessazione della inabilità temporanea assoluta. Se l'inabilità permanente è Assoluta, la rendita è pari all'intera retribuzione già goduta, entro un massimale fissato e se richiesta un'assistenza continua, vi è anche un speciale assegno non cumulabile con l'assegno erogato ai pensionati di inabilità. Se l'inabilità è Parziale la legge dispone che la rendita sia pari ad una percentuale variabile: -- dal 50 al 60% della retribuzione per l'inabilità di grado compresa tra l'11 e il 40%; - dal 61 al 98% della retribuzione per l'inabilità compresa dal 41 e 64%; - mentre per i gradi di inabilità compresi tra 65 e il 100% le rispettive aliquote in percentuali sono tutte equiparate al 100%. Un importante criterio correttivo introdotto in tema di individuazione della retribuzione ,da porre in base del calcolo della rendita, è stato dettato nell'art. 13 decreto legislativo 38 del 2000: afferma che la retribuzione viene ridotta mediante l'applicazione dei coefficienti previsti nell'apposita tabella allegata al d.m. 12 luglio 2000. Naturalmente la quota di rendita così determinata si va ad aggiungere alla quota di rendita prevista per il danno biologico. La retribuzione da rendere per base per la determinazione della rendita è la retribuzione annua effettiva corrisposta al soggetto protetto durante 12 mesi, trascorsi prima dell'evento lesivo, sempre nel limite di minimale e del massimale previsto dalla legge. Ove ciò non sia possibile si procede alla determinazione della cosiddetta retribuzione calcolata secondo il sistema indicato dalla legge. In ogni caso la retribuzione viene contenuta entro un limite minimo ed un massimo i quali confermano dunque che le prestazioni economiche non hanno la funzione di risarcire il danno, ma quello di garantire standard di tutela ritenuti idonei a fornire mezzi adeguati alle esigenze di vita. L'importo del massimale e del minimale viene modificato ogni anno con decreto ministeriale in relazione alle variazioni salariali intervenute. L'importo della rendita è aumentato di un ventesimo per la moglie e per ciascun figlio,indipendentemente dalla data del matrimonio o della nascita. Le quote integrative sono concessi anche se l'infortunio è occorso una donna. Le quote integrative costituiscono parte integrante della rendita e ne seguono le variazioni e cessano con essa. Per i lavoratori dell'agricoltura la situazione va distinta seconda che se siano addetti o no a macchine mosse da agente inanimato poiché: nel primo caso la rendita è calcolata nello stesso modo previsto per i lavoratori dell'industria, nel secondo caso invece le rendite sono calcolate allo stesso modo dell'indennità giornaliera, sempre relazione grado di inabilità Anche tali rendite sono revisionate ogni anno; e anche all'agricoltura si aggiungono le quote integrative per il le carico di famiglia. Infine è da ricordare come dopo il primo decennio di erogazione della rendita per inabilità permanente se questa è di grado superiore al 10 e inferiore al 16% per i lavoratori industria e di grado inferiore al 20% per i lavoratori dell'agricoltura, è data la facoltà soggetto protetto di chiedere il riscatto. 74 c) la revisione della rendita. Tanto per i lavoratori dell'industria come per quelli dell'agricoltura, la legge dispone che la rende di inabilità possa essere riveduta tanto in caso di diminuzione o di aumento dell'attitudine al lavoro, quanto in seguito ad intervenute modificazioni delle condizioni fisiche del titolare, purché si tratti di peggioramento e sia derivato dall'infortunio che ha dato luogo alla liquidazione della rendita contattato La revisione puo avvenire solo entro un periodo di tempo prestabilito dalla legge: 10 anni dalla costituzione della rendita per gli infortuni sul lavoro e 15 anni dalla costituzione di quella per malattia professionale. Trascorso dalle periodo la legge ritiene che i postumi dell'infortunio o della malattia non siano più suscettibile di miglioramento di peggioramento. 75 d) la rendita ai superstiti. Ove dall'infortunio sul lavoro o dalla malattia professionale sia derivata la morte del soggetto protetto, la legge attribuisce ai superstiti il diritto ad una rendita ragguagliata al 100% della retribuzione annua goduta dal defunto. Tale rendita compete al coniuge superstite, nella misura del 50%, fino alla morte o al nuovo matrimonio, anche se in questo secondo caso è corrisposta una somma pari a tre annualità di rendita. Nei casi in cui tra i superstiti ci siano figli, la rendita spetta ad essi nella misura del 20%, fino alla raggiungimento di 18 anni o in raggiungimento del ventunesimo anno di età ,se studenti di scuola media o professionale e per tutta la durata normale corso, ma non oltre il ventiseiesimo anno se studenti universitari. Sono equiparati ai figli gli altri discendenti viventi a carico del defunto, se orfani di ambedue i genitori o se inabili al lavoro. Spetta invece il 40% ai figli orfani di entrambi genitori anche adottanti. La corte costituzionale ha accolto l'interpretazione della cassazione che ha equiparato all'orfano originario di entrambi genitori anche il minore che diventa orfano per successivo decesso del genitore sopravvissuto. In mancanza del coniuge o dei figli, la rendita spetta ciascuno degli ascendenti e dei genitori adottanti, in ogni caso però la somma complessiva delle rendite ai superstiti non può superare l'importo dell'intera retribuzione percepita dal soggetto protetto. Ove l'importo sia superiore, ciascuna delle rendite viene proporzionalmente ridotta entro il limite. Peraltro la Corte costituzionale con la sentenza 544 delle 90 ha stabilito che la prescrizione triennale dell'azione giudiziaria degli eredi decorre dal momento della morte. Successivamente ha mantenuto fermi gli articoli 112 e 135 delle t.u.n. 1124 della 65 nella parte in cui individuano il momento in cui la malattia si è consolidata,nel minimo indennizabbile. Infine la legge prevede l'erogazione coniuge superstite o ai figli anche di un assegno una tantum 76 il finanziamento della tutela dei lavoratori dell'industria. I mezzi finanziari necessari per l'erogazione delle prestazioni previdenziali economiche in caso di infortunio sul lavoro o di malattia professionale sono reperiti mediante contribuzione posta esclusivamente a carico del datore di lavoro. Diversamente accade nel caso in cui il soggetto protetto sia un lavoratore parasubordinato o a progetto tenuto a sostenere l'onere di un terzo della contribuzione, restando gli altri 2/3 a carico del committente. Per le prestazioni sanitarie invece gli oneri finanziari sono imputabili alle regioni e devono provvedere a iscrivere nel loro bilancio l'importo delle quote annue stabilite nei rispettivi piani sanitari triennali. L'ammontare dei contributi dovuti è determinato in proporzione alle retribuzioni, secondo le percentuali stabilite dalla tariffa dei premi approvata con decreto del ministero del lavoro. La legge stabilisce però i criteri di base. I tassi ben devono essere determinati in relazione alla rischio medio nazionale per ogni singola lavorazione pericolosa e, secondo medie differenziate per ciascuna delle gestioni separate ossia industria, artigianato, terziario e altre attività. Di conseguenza i tassi sono determinati in modo tale da garantire la copertura dell'onere finanziario relativo all'erogazione delle prestazioni durante il periodo di loro applicazione. La tariffa premi prevede inoltre la possibilità di variazione nel ammontare dei contributi a seconda dell'andamento infortuni aziendali: il cosiddetto rischio ponderato. Pertanto,i contributi non solo sono determinati in misura diversa in funzione della pericolosità media propria delle singole lavorazioni, ma possono anche variare in ordine alla pericolosità specificha di ciascun azienda. Tuttavia i contributi sono dovuti nella stessa misura per tutti i lavoratori addetti alla stessa lavorazione od occupati nella stessa azienda. Va osservato come criteri in base ai quali è determinata la tariffa dei premi siano ancora quelli propri di una assicurazione che realizza la ripartizione del rischio della responsabilità civile derivante dall'infortunio sul lavoro o dalla malattie professionali. Il mantenimento di tale tenica corrisponde a concezioni, che ormai dovrebbero essere considerate superate dai principi accolti la costituzione. Al tempo stesso va osservato come il mantenimento di quella tecnica realizza una solidarietà limitata al gruppo dei datori di lavoro che svolgono attività di analoga pericolosità, in quanto consente che essi distribuiscano anche il rischio determinato dal verificarsi di infortuni eccedenti la media, con la conseguenza che quella tecnica esclude la realizzazione di una solidarietà generale e rende più marcata la persistenza del carattere assicurativo che caratterizzò l'istituzione di questa forma di tutela. Quella tecnica inoltre ostacola l'estensione di questa forma di tutela previdenziale a tutti i lavoratori e costituisce la ragione delle resistenze dei datori di lavoro ad una disciplina meno rigorosa dei limiti di applicazione di quella tutela. 77 il finanziamento della tutela dei lavoratori dell'agricoltura Per quanto attiene al settore dell'agricoltura, la legge prevede due sistemi di determinazione dei contributi: da un lato i contributi potevano essere determinati in ragione dell'estensione dei terreni, della specie la coltivazione, della manodopera necessaria, dall'altra i contributi potevano essere commisurati all'imposta erariale sui fondi rustici. Di questi due sistemi aha trovato applicazione solo il primo e fino alla 31 dicembre 73. Successivamente la legge ha disposto che datori di lavoro dell'agricoltura siano tenuti al pagamento di contributi per la tutela infortunistica in una misura percentuale delle retribuzioni imponibili dei lavoratori dipendenti, mentre lavoratori autonomi e concidenti di terreno leggiadria sono tenuti al pagamento di contributi in misure di una quota capitaria annua. La legge poi ha dettato le modalità attraverso le quali contributi devono variare in relazione al fabbisogno annuale della gestione della tutela infortunistica per l'agricoltura, stabilendo che una tale variazione si obbligatoria ogni volta che il disavanzo risulti superiore al 10% rispetto a quello dell'esercito precedente. Nonostante ciò, la gestione finanziaria della tutela infortunistica dei lavoratori dell'agricoltura risulta notevolmente deficitaria. Per il risanamento della gestione, la legge ha previsto un finanziamento a carico del bilancio dello Stato e un incremento dei contributi dovuti sia da lavoratori autonomi che per i lavoratori subordinati. Infine dopo la soppressione del servizio contributi di coltivatori unificati (SCAU),tali contributi sono riscossi secondo i criteri e le modalità vigenti per la riscossione dei contributi dovuti per l'assicurazione per l'invalidità, vecchiaia superstiti. 78 l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per l'infortunio e la malattie professionali. La legge esonera espressamente datori di lavoro dalla responsabilità civile derivante dall'infortunio salvo che l'infortunio sia avvenuto per il fatto stessoi che costituisce il reato o attuato dallo stesso datore di lavoro o da un altro lavoratore. Tale disposizione nega al lavoratore il diritto di ottenere dal suo datore di lavoro il risarcimento dei danni eccedenti le prestazioni previdenziali, anche nei casi in cui l'infortunio si sia verificato per colpa di quest'ultimo. Per capire la portata di questo limite è da considerare: - da un lato che il diritto a queste ultime sorge solo quando dall'infortunio sia derivata la perdita o la riduzione delle attitudine al lavoro. - dall'altro come le prestazioni economiche siano comunque mantenute entro certi massimali. La corte costituzionale ha ritenuto che principio della parità di trattamento sancito dall'art 3 della cost. non sia affatto violato dalla norma che esonero il datore di lavoro dalla responsabile civile dell'infortunio occorso dai suoi dipendenti, infatti è stato ritenuto che la disparità di trattamento che si determina trovi una ragionevole giustificazione nella circostanza che le disposizioni che regolano la tutela infortunistica prevedano un sensibile beneficio per i lavoratori . Inoltre la Corte costituzionale ha ritenuto che quell' esonero non contrasti neppure con l'art 38 dalla cost. Appare così evidente come la Corte: da un lato abbia continuato ad accogliere la concezione tradizionale per cui tutela previdenziale e risarcimento dei danni vanno considerati sullo stesso piano, dall'altro abbia compreso la sostanziale differenza che vi è tra prestazioni previdenziali e il risarcimento dei danni: infatti le prime sono erogate nell'interesse pubblico e non realizzano la liberazione dal bisogno del lavoratore infortunato,mentre le seconde invece prescindono dal bisogno e mirano a restaurare il pregiudizio patrimoniale arrecato dall'autore di un semplice fatto illecito a chi ne è rimasto vittima. Nel complesso però la giustificazione dell'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile di infortunio data la corte costituzionale, è la stessa che veniva formulata circa settant' anni fà. E’ poi da osservare come la corte ha limitato l'esonero: da un lato intervenendo ripetutamente sul disposto di articoli 10.11 del d.p.r. 1124 del 65, dall'altro facendone applicazione alla sola responsabilità per danni economici derivanti dall'inabilità. Per il cosiddetto danno biologico e per quella la vita di relazione la Corte ha ritenuto invece che sussista una responsabilità del datore di lavoro, nell'errato presupposto che i risarcimenti di tali danni sarebbero riconducibili ad una responsabilità del datore di lavoro diversa da quella espressa dall'obbligo di risarcire il danno economico. L'estensione della tutela previdenziale per gli infortuni professionali al danno biologico pone però il problema di sapere se l'esonero della responsabilità civile dei datori di lavoro riguardi ormai anche il danno biologico quale componente delle conseguenze lesive dell'infortunio. CAPITOLO 6 – LA TUTELA PER L’INVALIDITA’, LA VECCHIAIA E I SUPERSTITI 79-ORIGINE ED EVOLUZIONE Il primo intervento pubblico volto a realizzare una tutela previdenziale per la vecchiaia si ebbe con l’istituzione della Cassa nazionale di previdenza. Ossia la cassa doveva potevano iscriversi volontariamente tutti i cittadini italiani che svolgessero lavori manuali. La cassa era finanziata dai contributi degli iscritti, nonché anche da una quota di concorso da parte dello stato e anche da versamenti di terzi. Si trattava cosi di una vera e propria mutua assicuratrice che provvedeva alla tutela della vecchiaia ed eventualmente alla invalidità. Tale previdenza volontaria si trasformò in obbligatoria solo dopo l’istituzione della Cassa nazionale per le assicurazioni sociali,dove la tutela vene estesa per la 1° volta anche agli impiegati, a condizione però che non ricevessero retribuzioni superiori a 350 lire al mese. Al finanziamento si provvedeva attraverso contributi posti a carico sia dei datori di lavoro che dei prestatori mentre lo stato interveniva con un contributo di 100 lire annue per ogni pensione liquidata. La Cassa nazionale per le assicurazioni sociali erogava pensioni, determinate in proporzioni ai contributi versati in caso di vecchiaia e anzianità. Il sistema poi venne perfezionato con L. 1827/1935 e con Decreto Legge 636/1939 che portarono a Innovazioni: da un alto: all’introduzione del principio di automaticità delle prestazioni anche nella tutela previdenziale per l’invalidità,vecchiaia e superstiti. Cosi l’originaria concezione assicurativa era stata superata dall’introduzione della regola per cui l’ammontare delle pensioni doveva essere determinato in funzione delle ultime retribuzioni. Dall’altro: la tutela per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti ha avuto un’estensione notevole, infatti non riguarda più solo i lavoratori subordinati, ma tutte le categorie di lavoratori autonomi. Anzi una particolare tutela fu data alle persone in disagiate in condizioni economiche anche se non lavoratori. Ciò naturalmente avvenne con l’istituzione di nuovi enti o nuove gestioni autonome nell’ambito di quelle gia esistenti. La grossa varietà di strutture e di situazioni impone una limitazione della trattazione sul regime di invalidità,vecchiaia e superstiti subordinati, gestiti dall’Istituto Nazionale della previdenza sociale (INPS) Che è un istituto determinante non solo da un punto di vista quantitativo (per il gran numero dei sogg. per il quale si applica) ma anche da un punto qualitativo, dato che ha caratteristiche tali da indurre a considerarlo come la più interessante manifestazione di forma di tutela previdenziale. La conferma di ciò si può trarre: da un lato, dalla previsione della pensione unica erogata da regime generale gestito dall’INPS x i lavoratori subordinati dall’altro, dall’adempimento del dir. alla posizione contributiva conseguente alla generalizzazione dell’istituto 80- FONDAMENTO DELLA TUTELA È stato a lungo ritenuto che anche la tutela dell’invalidità dovesse trovare giustificazione nel princ. del rischio professionale. Senonchè tale giustificazione è errata, anche perché il principio del rischio professionale non può essere invocato nemmeno a condizione che venga data un’eccezione piu ampia di quella originaria. E infatti la tutela dell’invalidità ancor oggi realizzerebbe interessi meramente privati, ossia interessi che trovano soddisfazione nel rapporto di lavoro. Sennonché la solidarietà tra datori e lavoratori è ormai superata e sostituita da una solidarietà che coinvolge tutta la collettività organizzata nello stato. Cosi si deve ritenere che il fondamento della tutela dell’invalidità risieda nell’interesse pubblico a che vengano garantiti da ogni cittadino i mezzi necessari per consentire il godimento dei diritti civili e politivi, tutte le volte che si verifichi una situazione di bisogno per: invalidità, morte o età del lavoratore. 81 – L’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA: IL REGIME GENERALE E I REGIMOI SPECIALI Per i lavoratori dipendenti da privato o enti pubblici economici, la tutela previdenziale è realizzata dal regime generale gestito dall’INPS. La tendenza all’espansione del regime generale è stata realizzata anche con l’adozione del regime sostitutivo dei dirigenti di azienda industriali gestito dall’INPDAI (istituto nazionale di previdenza dei dirigenti industriali) che è stato ormai soppresso. Quindi anche i dirigenti delle azienda industriali sono iscritti al regime generale. All’INPS non è però affidata la tutela dei lavoratori subordinati dipendenti da privarti. Esistono infatti regimi speciali gestiti da enti diversi dall’INPS, che riguardano particolari categorie di lavoratori subordinati, per i quali la tutela è disciplinata in maniera parzialmente diversa. I regimi speciali possono infatti essere: esclusivi,sostitutivi o integrativi. Cosi ad es un regime esclusivo è INPDAP, che realizza una tutela per l’invalidità,vecchiaia e superstiti dei dipendenti civili e militari dello stato, nonché del personale degli enti locali e degli enti di dir pubblico. Ma la diversità rispetto all’INPS è ormai molto attenuata dato la tendenza all’omogeneizzazione delle tutele previdenziali,che comporta l’assoggettamento di tutte le prestazioni per invalidità,vecchiaia e superstiti alle stesse regole dettate per l’INPS. Sono poi anche per effetto dell’omogeneizzazione stati soppressi i regimi sostitutivi di quello generale istituiti per singole aziende. Restano invece i regimi sostitutivi dei giornalisti iscritti nell’INPGI (istituto nazionale di previdenza dei giornalisti professionali) , e per i lavoratori dello spettacolo iscritti nell’ENPALS (ente nazionale di previdenza e assistenza lavoratori dello spettacolo). Altri regimi speciali sono gestiti dall’INPS per i lavoratori autonomi , mentre per i liberi professionisti abbiamo una tutela gestita da casse di previdenza categoriale. A questi va aggiunto EPAP ossia l’ente di previdenza assistenza pluricategoriale che gestisce la tutela dei professionisti per i quali non vi era un apposito regime. I regimi integrativi realizzano invece una tutela che si aggiunge a quella generale e cosi rappresentano una mutualità. Una organizzazione amm. cosi articolata e la diversità di discipline non sempre sono giustificate da esigenze obiettive, ma spesso derivano da ragioni contingenti. Passi imp. Verso una unificazione dei trattamenti sono stati compiuti dalla eliminazione dei regimi pensionistici esclusivi dei banchi meridionali (banco di Sicilia e banco di Napoli) Quei regimi e fondi sono stati trasformati in regimi e fondi integrativi a seguito del trasferimento nel regime generale gestito dall’INPS di tutte le posizioni già accese presso di loro. 82- RICONGIUNGIMENTO E TOTALIZZAZIONE DEI PERIODI DI CONTRIBUZIONE PRESSO REGIMI DIVERSI. I regimi esclusivi,speciali e sostitutivi, dei lavoratori dipendenti da privati si pongono in alternativa al regime generale, ma non ne escludono mai la competenza, posto che ha carattere residuale. Ed infatti quando in tali regimi non si verificano i presupposti per il sorgere del dir a prestazioni previdenziali , la posizione del sogg. protetto viene riconosciuta nel regime generale. Detto principio è rafforzato dall’art 1 L.29/1979 e dall’art 1 D.Lg 184/97, che prevedono il ricongiungimento dei contributi versati nei regimi speciali sostitutivi,senza oneri per gli interessati, nonché dalla totalizzazione . La totalizzazione infatti consente di utilizzare le anzianità contributive non coincidenti e di durata non inferiore a 6 anni, per il raggiungimento dei requisiti contributivi richiesti per il sorgere del diritto a pensione di anzianità ,vecchiaia,inabilità o superstiti. Ma la corte pur dichiarando l’illegittimità della mancata previsione della facoltà di scelta fra ricongiunzione e totalizzazione ha escluso che nel nostro ordinamento la totalizzazione abbia carattere generale (poiché la scelta spetta al legislatore). L’esercizio di essa non richiede oneri per chi lo esercita. Il lavoratore cosi dovrà presentare la domanda all’ente previdenziale dove è iscritto (è punto di riferimento per determinare la decorrenza dei trattamenti pensionistici). L’art 2 l L. 29/79 prevede anche la ricongiunzione dei periodi contributivi risultanti nel regime generale a quelli maturati nei regimi special, ma in tal caso esso è a titolo oneroso. Stessa facoltà è prevista dalla L. 45/90 per consentire ai liberi professionisti di ricongiungere le varie attività lavorative svolte. Ciò colma il vuoto lasciato dalla L. 29/79. 83 – I SOGGETTI PROTETTI La tutela previdenziale realizzata dal regime generale dell’invalidità, si estende a tutti coloro che abbiano compiuto la l’età di 14 anni e prestino lavoro retributivo alle dipendenze altrui. Peraltro la Corte cost. ha ravvisato un contrasto delle norme di legge, che limitavano la tutela del previdenziale ai lavoratori che prestano la loro attività in Itali,con l’art 35 cost. Il vuoto determinato da tali sent. è stato poi colmato con dalla L. 198 /1987 che disciplina anche gli aspetti previdenziali del lavoro italiano all’estero,quando viene svolto in paesi non comunitari e con i quali siano state stipulate convenzioni. Quella dell’invalidità è una forma di tutela che ha estensione generale ,senza limitazioni. Cosi si puo capire come l’unica limitazione posta, ossia il compimento dei 14 anni, non sia in realtà un vero e proprio limite alle tensione della tutela. Ed infatti la legge,vieta il lavoro ai minori di 14 anni, però stabilisce che se hanno effettivamente lavorato, hanno diritto alle prestazioni assicurative, attribuendo agli enti previdenziali cosi il dir di esercitare rivalsa verso il datore . Allo stesso modo la legge dispone che i contributi previdenziali siano dovuti anche per i lavoratori che continuino o inizino a svolgere un’attività lavorativa. Cosi anche chi inizia a tarda età a lavorare puo maturare diritti per l’invalidità,vecchiaia e superstiti. La corte infatti ha chiarito come l’obbligo dell’assicurazione alla prestazione dell’attività lavorativa e alla relativa retribuzione sussiste indipendentemente dal raggiungimento di ogni limite di età del lavoratore. 84 - I REQUISITI DI CONTRIBUZIONE NE ASSICURAZIONE La realizzazione della tutela per l’invalidità è limitata , nel senso che il diritto alle prestazioni previdenziali è condizionato al verificarsi di un evento protetto e all’esistenza di requisiti di contribuzione e di assicurazione. La legge infatti richiede che siano passati almeno 5 anni dalla data in cui è sorta l’obbligazione contributiva,con un minimo di 3 anni di contribuzione nell’ultimo quinquennio precedente alla data di pensionamento. Si richiede poi che per il dir alla pensione di anzianità si abbiano almeno 35 anni di contribuzioni – con almeno 57 anni; oppure 40 anni di contribuzioni indipendentemente dall’età. Fino al 2007 la legge ha aveva previsto che la pensione di anzianità si conseguisse fermi i 35 anni di contributi ad un età inferiore o con 40 anni di contributi indipendentemente dall’età. Per contro la legge ha però previsto che la pensione si consegue: se liquidata con il sistema retributivo, quando sono stati maturati 40 anni di contribuzione; o se possiede almeno 35 anni di contribuzioni se supera i 60 anni di età nel 2008 e nel 2009;altrimenti il limite è alzato a 61 fino al 2013. Se liquidata con sistema contributivo invece, quando sono maturati 40 anni di contribuzioni; o se ha raggiunto 35 anni di contributi quando raggiunge 60 anni per le donne o 65 anni per gli uomini. Peraltro per i lavoratori i cui trattamenti sono liquidati solo con il sistema contributivo, le pensioni sono state sostituite da una unica prestazione denominata “pensione di vecchiaia”, conseguibile: fino 2007 → tra i 57 e i 65 anni di età dal 2008 invece → al raggiungimento di 60 anni per le donne e 65 pe gli uomini ( con anzianità retributiva di almeno 5 anni). In alternativa è riconosciuta al raggiungimento di una anzianità contributiva non inferiore ha 40 anni a prescindere dall’età. Infine sempre nel 2008 e 2009 , quella pensione si consegue con 35 anni di contributi(se ha 60 anni); mentre nel 2010 con 61 anni di età. Il diritto invece alla pensione dei superstiti è subordinato alle condizioni di assicurazione e di contribuzione previste per le prestazioni di invalidità o al versamento di almeno 15 annoi di contribuzione. Ma mentre prima tali requisiti trovavano spiegazione in una struttura assicurativa della tutela previdenziale , oggi invece si spiega in funzione della esigenza di garantire un minimo di economicità alla gestione di un servizio pubblico. Va ricordato naturalmente che a agli effetti diu tali requisiti vi sono provvidenze speciali ed eccezioni. 85 – CONTRIBUZIONE FIGURATIVA E CONTRIBUIZONE VOLONTARIA Va tenuto conto pii che i requisiti di contribuzione assicurazione si possono realizzare anche senza che vi sia stato un versamento di contributi da parte del datore di lavoro. La legge dispone che in casi in cui il rapporto di lavoro rimane sospeso (malattia, infortunio, maternità etc) contributi figurativi possono essere accreditati d’ufficio o su domanda dell’interessato.Questi contributi sono dati anche durante i periodi di disoccupazione e di ricovero a seguito di: tubercolosi,aspettative per funzioni pubbliche o cariche sindacali, causa di persecuzione politica o razziale. Oggi la disciplina dettata dalla L. 155 /81 è stata ridisciplinata con L.355/95 che ha introdotto disposizioni di immediata a attuazione in tema di contribuzione figurativa per maternità. Poi vi sono state le modifiche introdotte dalla D.Lgs 278 /98 (ha alzato i i periodi di contribuzione figurativa per malattia e infortunio sul lavoro) e dalla L. 53 /2000 (estende la copertura da contribuzione figurativa anche per i periodi di gestione facoltativa in favore della lavoratrice madre (figlio da 3 a 8 anni), con possibilità di avvalersi della contribuzione da riscatto). Poi in attuazione dell’ art 15 L.53/00 è stato emanato il testo unico delle, disp legisl imìn materia di sostegno della maternità. La contribuzione figurativa è stata estesa ai permessi in favore dei genitori con figli portatori di handicap gravi. Una particolare forma è stata poi data ai centralinisti non vedenti inclusi in det elenchi, ma oggi estesa a tutti i lavoratori non vedenti. Si assegna infatti al centralinista non vedente, 4 mesi di contribuzione figurativa utili ai soli fini del dir. alla pensione e alla anzianità contributiva. Analoga tutela per i sordomuti e gli invalidi oltre al 74% in ragione di 2 mesi di contributi figurativi per ogni hanno di lavoro svolto e fino ad un max di 5 anni. Inoltre la legge consente l’accredito dei contributi omessi, ponendone l’ammontare a carico della gestione dell’invalidità,vecchiaia e superstiti. Cosi anche in tali casi i lavoratori possono realizzare i requisiti di contribuzione e di assicurazione,se sia mancato l’effettivo versamento dei contributi previdenziali. Dall’altra parte il lavoratore una volta estinto il rapporto è autorizzato a proseguire il versamento volontario dei contributi, che cosi sono considerati utili sia ai fini del diritto e sia per il calcolo dell’ammontare delle pensioni. Tale contribuzione volontaria è autorizzata anche nella disciplina del lavoro intermittente quando il lavoratore voglia integrare i contributi obbligatori versati con riguardo ai periodi nei quali ha ottenuto una contribuzione + bassa o ha avuto una indennità di disponibilità. La corte ha dichiarato l’illegittimità cost dell’art 3 L.297/82 nella parte in cui faceva derivare dalla contribuzione volontaria una diminuzione,e non ujn incremento della trattamento pensionistico spettante. La corte ha affermato il princ. per cui nella fase successiva al perfezionamento del requisito minimo,l’ulteriore contribuzione è destinata a incrementare il livello di pensione già consolidato. Ha dichiarato infine l’illegittimità dell’art 14 L.153/69,nella parte in cui prevedeva un criterio di calcolo della pensione che ne diminuisce l’importo. 86 – IL PRINCIPIO DELL’AUTOMATICITA’ DELLE PRESTAZIONI Dall’altra parte il rilievo dato ai requisiti della contribuzione è stato mitigato con l’introduzione del princ. di automaticità delle prestazioni anche nelle tutela per l’invalidità,vecchiaia e superstiti. La legge ha disposto che il requisito di contribuzione stabilito per il dir alle prestazioni di vecchiaia,invalidità e superstiti, si intende verificato anche quando i contributi non siano effettivamente versati . Altra garanzia è data per il caso in cui il datore sia assoggettato a procedure concorsuali. La legge consente al lavoratore di chiedere che quei contributi siano considerati utili a tutti gli effetti. ,attribuendo all’istituto previdenziale azione di regresso verso il datore per un importo corrispondente alla liquidazione. Il princ dell’automaticità delle prestazioni non trova invece applicazione rispetto al lavoro autonomo. La parzialità con cui il princ. di automaticità ha travato attuazione sta in cio che non è assegnata rilevanza a tutti i contributi non versati, ma solo a quelli che non siano prescritti. Questi però sono esigibili all’INPS, dato che la nuova disciplina suìi limita a trasferire all’ente il rischio dell’inadempimento del datore. Cosi sis deve ritenere che l’ente previdenziali sia tenuto ad impedire tale prescrizione e che ne risponda nei confronti del sogg. protetto, almeno se questo attua denuncia. Del resto la legge impone all’INPS anche l’obbligo di inviare a ogni lavoratore un estratto conto contente l’indicazione della retribuzione denunciata dal datore, consentendo cosi un controllo costante. 87 – LE PRESTAZIONI PENSIONISTICHE IN GENERE. I CRITERI DI CALCOLO Le prestazioni erogate nel regime generale dell’invalidità sono prevalentemente economiche. Sia caratterizzano per la continuità delle loro erogazioni che cessano con la morte del sogg. protetto e vengono destinate con il termine specifico di pensioni. Nella tutela per l’invalidità, sono anche previste prestazioni sanitarie la cui disciplina va coordinata con le disp. della legge di rif. sanitaria. Cosi nei casi in cui possa essere ritardato o evitato ad un sogg. protetto di rimanere invalido o possa essere eliminata o attenuata l’invalidità già accertata, l’INPS non puo imporre tali rimedi ed il sogg protetto è libero di sottoporsi o no alle cure mediche,senza che in caso di rifiuto si determini la soppressione delle prestazioni economiche previste. In origine l’ammontare della pensione era det. solo con il sistema contributivo; poi si è aggiunto il sistema retributivo, che è stato poi generalizzato dal 1° agosto 1976. L’ammontare della pensione retributiva è si determina in base: da un lato alla media delle retribuzioni percepite negli ultimi anni di lavoro prestato. Dall’altro all’anzianità di servizio in modo tale che per quarant’anni di anzianità spetti l’805 della retribuzione. Il periodi da considerare è invece determinato in riferimento ad un numero di anni sempre maggiore, con lo scopo cosi di attenuare l’incidenza delle ultime retribuzioni sull’ammontare delle pensioni. Poi per tener conto della crisi finanziaria quel periodo è stato poi individuato in relazione all’anzianità di iscrizione maturata dal 31 dic 92; mentre per i lavoratori che hanno trovati occupazione dopo tale data, il calcolo avviene sull’intero periodo di lavoro e contribuzione. A partire dal 1° gen 96 è stato introdotto un nuovo sistema di calcolo delle pensioni detto contributivo. Il calcolo in questo sistema ha il suo punto di partenza nell’accantonamento annuale di un ammontare di contributi pari al 33% della retribuzione imponibile .la somma dei singoli importi annuali è il montante individuale. L’ammontare annuo si ottiene moltiplicando il montante contributivo individuale per il coefficiente determinato dalla legge. Tale criterio non rappresenta certo un ritorno al passato,dato che prima la pensione si determinava solo in base alla contribuzione versata, mentre l’attuale varia a seconda della durata residua della vita. La pensione peraltro non sorge come una rendita ma come capitale produttivo di una rendita variabile con l’età di accesso. Peraltro la sostituzione del sistema retributivo con il nuovo, andrà a regime con gradualità. La legge ha infatti previsto che la liquidazione della pensione avvenga: interamente con il nuovo sistema retributivo(per coloro che avranno maturato un anzianità di almeno 18 anni entro il 31 dic 95) ed esclusivamente con il sistema contributivo (per coloro che non rientrano nei precedenti parametri e per chi opti volontariamente per tale sistema) l’adozione integrale del sistema contributivo a seguito di opzione è stata prima sospesa, e poi disciplinata in modo piu restrittivo, essendo troppo oneroso. L’art 59 L.449/97 ha reso però piu veloce il ritmo delle modifiche della L. 335/95 88 – MINIMI E MASSIMI DI PENSIONE Per evitare che l’ammontare delle pensioni calcolate con il sistema retributivo risulti irrisorio, la legge aveva determinato un ammontare minimo che era dovuto. Cosicché le pensioni retributive non potevano essere inferiori a det. importi (appunto pensioni minime). La pensione minima era stata introdotta dalla L. 218/52 solo per o sogg che si trovassero in particolari condizioni di indigenza,e poi estesa anche alle forme di tutela previdenziali non gestite dal regime generale. La pensione minima era in realtà,costituita da 2 distinte prestazioni dovute da gestioni diverse: da un lato comprendeva la quota erogata dalla Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali. Dall’altro comprendeva un’integrazione della pensione minima, la cui eventuale differenza viene posta a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti. Questa però non spettava a chi possedeva redditi propri superiori a 2 volte l’ammontare dello stesso trattamento minimo; o nel caso che il reddito cumulato con quello del coniuge non fosse superiore 4 volte quello minimo. Cio perché si ritiene che la funzione dell’integrazione al minimo venga meno quando la garanzia della sopravvivenza sia assicurata da redditi propri. Senonchè la legge ha abolito l’integrazione al trattamento minimo per le pensioni liquidate con il sistema contributivo, dopo il 1° gennaio 1996. Dovuto da un lato al mantenimento della spesa previdenziale e dall’latro per valorizzare periodi contribuivi che prima erano infruttiferi. Peraltro il legislatore ha disposto l’incremento del trattamento pensionistico per i pensionati con + di 70 anni,alla data 31 dic 01, se inferiore a 1 milione di lire per tredici mensilità. A partire dal 1°gen 02, la cosiddetta pensione minima è integrata sino al raggiungimento di un importo pari a 516,46 euro rivalutato annualmente secondo gli indici ISTAT. L’integrazione spetta anche: ai titolari di assegno sociale, titolari di pensione sociale, titolari trattamenti pensionistici trasferiti all’INPS, ai cechi civili con pensione; nonché ai 60enni, agli invalidi civili, ciechi,sordomuti con pensione etc. Per avere diritto all’incremento, il pensionato non deve fruire di redditi propri (salvo la casa) pari o superiori a 11,339 euro e se cumulati con il coniuge allo stesso importo incrementato dell’importo annuo dell’assegno sociale. L4 stesse esigenze di solidarietà avevano spinto a un massimo anche che però era stabilito solo in modo indiretto. Con la legge si disponeva che non si dovevano prendere in considerazione le retribuzioni che avessero superato il limite massimo della tabella in vigore, aumentata del 5%.. Piu recentemente si fissava una cifra di 68.000.000 lire nel 2001,da adeguare annualmente in base alla perequazione economia. Poi gli art 21 L.67/88 e art 3 L.160/88 hanno disposto che anche le retribuzioni eccedenti il limite massimo di retribuzione pensionabile vengano considerate,solo con coefficenti minori. La corte poi con alcune sentenze ha esteso cio anche quelle pensioni liquidate prima del 88. Per i lavoratori che al 31 dic 95 non avessero maturato alcuna anzianità contributiva e chi esercita la ripristinata opzione per il nuovo sistema contributivo, la legge ha previsto un nuovo massimale di 132.000.000 lire rivalutabili annualmente e cosi pari a 87.000 euro circa. 89- LE MAGGIORAZIONI PER I FAMILIARI A CARICO L’adattamento delle pensioni all’effettiva situazione di bisogno è garantito anche con l’erogazione di maggiorazioni per i familiari a carico, e con la perequazione automatica delle pensioni. La legge dispone infatti che ai titolari delle pensioni spetti a carico della Cassa unica, l’assegno per il nucleo familiare. Questo spetta una sola volta per uno stesso beneficiario e assorbe a tutti gli altri trattamenti di famiglia. La disciplina attuale appare cosi piu congrua della precedente che si limitava a stabilire che le maggiorazioni fossero dovute nella stessa misura degli assegni familiari dei lavoratori dell’industria. Si ripropone però il problema se le maggiorazioni per i familiari a carico costituissero o no parte del trattamento pensionistico. A favore della tesi negativa si ci basa sul presupposto che tali maggiorazioni avrebbero militato: l’accidentalità dell’erogazione condizionata dall’esistenza di un carico di famiglia, l’incompatibilità della legge verso ogni altra retribuzione. Mentre per contro va osservato che si tratta di uno pseudo problema sia perché dalla soluzione che è data non derivano rilevanti conseguenze pratiche e sia perché le maggiorazioni per i familiari avevano la stessa funzione della pensione, adeguandone l’ammontare alla situazione di bisogno. Peraltro tale atteggiamento va man tenuto. Infatti : da un lato va osservato come anche degli assegni per il numero familiare costituiscano una prestazione previdenziale dall’altro come tutte le prestazioni previdenziali siano funzionalizzate al perseguimento dello stesso fine, e cioè alla liberazione del bisogno. 90 – LA PEREQUAZIONE AUTOMATICA DELLE PENSIONI Allo stesso modo l’adattamento delle pensioni all’effettivba situazione di bisogno è garantita dall’istituto della perequazione automatica delle pensioni che consente di adeguarne costantemente i livelli in relazione agli aumenti del costo della vita. L’esigenza di adeguamento delle pensioni al costo della vita è stato sempre avvertita e si è provveduto a ciò con l’emanazione di singoli provvedimenti legislativi che disponevano un aumento dei trattamenti di pensione già in atto. La l. 903/65 introdusse per la 1° volta una forma di rivalutazione automatica delle pensioni. In questo provvedimento pero la rivalutazione era prevista solo per il regime generale dell’INPS ed era condizionata all’esistenza di una avanzo annuale di gestione superiore al 5% dell’importo delle rate di pensione erogate nell’anno. Peraltro il nuovo sistema trovò attuazione anche nei regimi speciali. La disciplina poi venne estesa a tutte le gestioni,comprese quelle integrative. Ed eventuali dubbi di legittimità sono stati superato ormai dalla corte. Tale disciplina ha subito poi negli anni delle modifiche. Attualmente prevede che la perequazione automatica sia determinata esclusivamente in base all’adeguamento al costo della vita rilevato dall’ISTAT. Il legislatore del 92 aveva previsto che eventuali miglioramenti del sistema potevano essere stabiliti annualmente in sede di legge finanziaria. A ben vedere i provvedimenti che ci sono stati hanno razionalizzato la disciplina della perequazione,prevedendo che l’aumento automatico spetti per intero solo per le pensioni non eccedenti il triplo del trattamento minimo; nella misura del 90% per gli importi da 3 a 5 volte il trattamento minimo; ed infine del 75% per i trattamenti eccedenti il quadruplo del trattamento minimo. Nonostante tali provvedimenti la corte cost ha continuato a ritenere che il meccanismo della perequazione automatica sia idoneo a garantire un reale adeguamento delle pensioni alle variazioni dl costo della vita. Infine va ricordato che la legge ha imposto anche un contributo di solidarietà del 3% sui trattamenti pensionistici superiori a 25 volte l’importo stabilito dall’art 38 L.448/01 Tali contributi sono destinati a finanziare il Fondo Nazionale per le politiche sociali istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri dalla L.449/97 art 59. 91 – LE VARIE FORME DI PENSIONE IN FUNZIONE DELLA MISURA O DELL’EVENTO PROTETTO Dall’esposizione fatta risulta che le pensioni sono diversificate con riguardo ai criteri con i quali si det. l’ammontare. Peraltro la diversità dei criteri non esclude che le varie pensioni abbiano identica natura e funzione. Invero quelle diversità attengono a valutazioni di politica legislativa che riguardano il rilievo da dare alle condizioni in cui il sogg. protetto si trova al verificarsi dell’evento; mentre altre volte attengono all’esigenza di garantire la congruità e adeguatezza dei trattamenti erogati alle situazioni di bisogno. Piu in particolare l’identità di natura e di funzione delle varie forme di pensione non è esclusa dalla previsione di trattamenti differenti in relazione alla diversità delle fattispecie, ma invece alle modalità e all’ampiezza della tutela da realizzare e all’esigenza di una equilibrata distribuzione delle risorse finanziarie disponibili. All’identità di funzione corrisponde poi l’identità dei vari rapporti giuridici. E va Osservato come anche il finanziamento dei vari trattamenti avvenga mediante una contribuzione che è globale e indistinta per tutte le forme realizzate dal regime speciale. Senonchè per effetto dei principi accolti nella cost.,tutte le forme di tutela previdenziale siano in realtà funzionalizzate al perseguimento del medesimo obiettivo. 92 – IL CUMULO DEI TRATTAMENTI PENSIONISTICI Dalle conclusioni fatte, dovrebbe derivare, la regola dell’alternatività delle prestazioni e quindi del divieto di cumulo.+ Ed invece la tendenza è stat a mantenere l’ammissibilità del cumulo tra prestazioni previdenziali , sia pure con alcuni temperamenti. Ma si è avvertita l’esigenza di un intervento riformatore che provvedesse a garantire quell’uniformità di trattamenti previdenziali.in questo senso abbiamo la disciplina detata dalla L.421/92E dal D .Lgs 503/92 e infine dalla L. 335/95. Specie quest’ultima ha sancito il divieto di cumulo delle pensioni di invalidità e di reversibilità, e anche dell’assegno ordinario di invalidità a carico dell’INPS, se liquidati in conseguenza di infortunio sul lavoro o malattia professionale,con rendita vitalizia liquidata dall’INAIL per lo stesso evento. Tuttavia il divieto è stato mitigato dall’art 73 L. 388/00 che ha previsto la possibilità di cumulo tra il trattamento di reversibilità erogato dall’INPS e la rendita ai superstiti erogata dall’INAIL,se dall’infortunio o malattia consegua la morte del lavoratore. 93 –IL CUMULO DELLE PENSIONI CON ALTRI REDDITI La disciplina del cumulo tra pensioni e retribuzioni ha avuto alterne vicende. All’inizio la legge aveva disposto il divieto totale di cumulo delle pensioni d’invalidità e vecchiaia con retribuzione e con altri redditi. In seguito il divieto di cumulo è stato limitato alla parte eccedente i trattamenti minimi e ha previsto la non cumulabilità della quota di pensione di vecchiaia con la retribuzione nella misura del 50% e fino alla concorrenza della stessa retribuzione. Il parziale divieto di cumulo è stato poi esteso a tutti i regimi previdenziali. Per le pensioni di anzianità maturate dopo il 30 sett 96 la legge ha vietato il cumulo con i redditi da lavoro di qualsiasi natura, eccetto il caso del pensionato che avesse maturato i requisiti di età per la pensione di vecchiaia. Allo stesso modo è stato vietato il cumulo tra retribuzione e pensione di invalidità. La L. 335/95 ha anche stabilito il divieto parziale di cumulo di trattamenti pensionistici ai superstiti con reddito del beneficiario. Infine la stessa legge ha disposto per i titolari (con - di 63 anni) di pensione di vecchia unificata, il divieto totale del cumulo con la retribuzione. Il cumulo è consentito nel limite del 50% della parte eccedente il trattamento minimo ,solo a condizione che sia stata raggiunta un età pari o superiore a 63 anni e indipendentemente dall’età se i rediti derivano da lavoro autonomo. La disciplina è stata modificata con L. 388/00 che ha revocato all’art 72 il divieto di cumulo tra prestazioni pensionistiche e redditi da lavoro autonomo e dipendente. Dal 1° genn 2001 le pensioni di vecchiaia sono divenute cumulabili con i redditi da lavoro autonomo e dipendente.. Se invece l’anzianità contributiva è inferiore a 40 anni, resta il divieto del cumulo con i redditi da lavoro subordinato, mentre la pensione è cumulabile per intero con i redditi da lavoro autonomi fino al limite del trattamento minimo e parzialmente (70%) per la parte eccedente il trattamento m minimo. Stessa disciplina era stata dettata per le pensioni di anzianità,ma la legge poi ha previsto la totale cumulabilità tra reddito di lavoro dipendente e pensione di anzianità quando questa sia conseguita con 37 anni di retribuzione e 58 anni di età ed stendendo tale disciplina ai gia pensionati. Resta invece il divieto parziale di cumulo dei trattamenti pensionistici ai superstiti con i redditi del beneficiario,per la parte eccedente il trattamento minimo. 94 – LE PRESTAZIONI DI INVALIDITA’, A) REQUISITI,DOMANDA,DECORRENZA La domanda per ottenere le prestazioni di invalidità costituisce un onere per il sogg protetto. Ad essa va allegato un certificato medico e ogni altro documento idoneo a provare l’esistenza dell’invalidità. La presentazione della domanda porta a det. Effetti: costituisce il punto di riferimento per accertare l’esistenza dei requisiti contributivi determina la decorrenza dei trattamenti di invalidità che vengono erogati dal 1° giorno del mese successivo dal giorno della presentazione della domanda. Fa decorrere il termine di 120 gg entro il quale L’INPS è tenuto a erogare la pensione. Mentre per tornare ai requisiti , bisogna ricordare che la legge ha stabilito che le prestazioni di invalidità debbano essere ugualmente erogate anche quando i requisiti richiesti risultano posseduti prima della sua definizione o della decisione del successivo ricorso in via amministrativa. In questo caso però, la decorrenza è spostata al 1° giorno del mese successivo a quello in cui quei requisiti si sono verificati. La corte cost. ha dichiarato l’illegittimità della norma nella parte in cui escludeva da tale possibilità i lavoratori dipendenti. La legge dispone anche che il giudice deve tener conto dell’eventuale aggravamento della malattia, e dispone per le persone in stato di bisogno la possibilità di una liquidazione della pensione da parte dell’INPS. 95 – B) L’INVALIDITA’ PENSIONABILE, LA NOZIONE ORIGINARIA. La nozione di invalidità pensionabile ha subito, nel tempo, una profonda evoluzione. la legge condizionava il diritto alla pensione di invalidità alla riduzione della capacità di guadagno, in modo permanente e a causa di una infermità o difetto fisico-mentale La L. 222/84 ha riformato la disciplina dell’invalidità pensionabile. Gia da tempo si era constatato che la tradizionale nozione di invalidità pensionabile riferita ad una riduzione della capacità di guadagno era troppo elastica in assenza di criteri obiettivi. A riguardo la legge aveva demandato ai Comitati provinciali dell’INPS il compito di esaminare la situazione socio economica e individuare i parametri di riferimento affidabili. Ma rimanendo al vecchio sistema tutto non poteva che avvenire basandosi su valutazioni che risultavano soggettive. In conseguenza di ciò, si era assistito a una espansione anomala del numero dei pensionati di invalidità. 96 – C) LA NUOVA NOZIONE DI INVALIDITA’ E QUELLA DI INABILITA’PENSIONABILE Anzitutto va tenuto presente come la nuova disciplina dettata dalla L.22/84 preveda 2 eventi diversi che danno luogo a prestazioni previdenziali: da un alto la legge considera invalido il sogg protetto la cui capacità di lavoro sia ridotta in modo permanete a causa del difetto fisico o mentale. Quindi si assiste al passaggio dalla concezione di “capacità di guadano” alla “ capacità di lavoro”. Ma va osservato come la nuova concezione non si riferisce ad una generica riduzione della capacità di lavoro, ma ala riduzione della specifica capacità di lavoro in occupazioni confacenti alle attitudini del sogg. protetto. Pertanto rimane ancora esclusa la possibilità di far ricorso ad un sistema di tabelle che stabiliscano un automatico confronto tra infermità e riduzione lavorativa. Accertamento tra l’altro che sarà naturalmente piu complesso se avrà ad oggetto un giovane rispetto che ad un anziano. Dall’altro, la legge considera inabile il sogg. protetto che a causa della infermità si trovi nell’assoluta impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa. La nozione legislativa di inabilità non sembra presentare difficoltà interpretative. 97 – L’ASSEGNO ORDINARIO DI INVALIDITA’ Invalidità e inabilità non solo costituiscono eventi diversi a ragione delle diverse caratteristiche, ma danno luogo all’erogazione di prestazioni previdenziali diverse. L’invalido ha dir ad un assegno,che è erogato per un periodo di 3 anni,ma su domanda dell’interessato può essere prorogato, se è mantenuto lo stato di invalidità. Dopo 3 riconoscimenti consecutivi, però la legge prevede che l’assegno di invalidità sia confermato automaticamente, e cosi assume il carattere di erogazione permanente tipico della pensione,salva la possibilità di una revisione. L’assegno è calcolato secondo la disciplina vigente per il regime generale per i lavoratori dipendenti che regola l’ammontare della pensione . Ne deriva che l’integrazione dell’assegno non puo essere superiore all’importo dell’assegno sociale,sempre che non superi i trattamenti minimi di pensione.. puo cosi accedere che nonostante l’integrazione,l’assegno di invalidità risulti inferiore all’importo del trattamento minimo di pensione. Tale disciplina ha fatto sorgere dubbi di legittimità cost. con l’art 3 e 38 cost. Tale assegno non spetta ai sogg. che posseggono redditi propri assoggettabili all’imposta sul reddito delle persone fisiche per un importo superiore a 2 volte l’ammontare annuo della pensione sociale e di 4 volte se cumulato col, coniuge. Anche la disciplina che fa riferimento al cumulo dei redditi familiari è sospetta di illegittimità cost sempre per contrasto all’art3 e 38 cost. ma la corte ha ritenuto infondata la questione. Durante il godimento dell’assegno, il beneficiario puo proseguire lo svolgimento di una attività lavorativa , ma si applica però la disciplina del cumulo fra pensione e redditi da lavoro subordinato. La L. 22/ 84 infine prevede che al raggiungimento dell’età pensionabile l’assegno di invalidità si trasformi in pensione da vecchiaia. Non è possibile invece la conversione della pensione di invalidità in pensione di anzianità Questa non potrà comunque essere inferiore all’assegno di invalidità, mentre si considerano utili anche i periodi in cui vi è stato il godimento dell’assegno di invalidità. 98- PENSIONE DI INABILITA’ L’inabile invece ha diritto ad una pensione di inabilità , a condizione che cessi del tutto l’attività lavorativa e che si abbia la cancellazione da qualsiasi elenco o albo professionale. Peraltro la pensione di inabilità è incompatibile con i compensi per attività di lavoro autonomo e subordinato, ed è cumulabile con l’eventuale rendita da infortunio sul lavoro o ,malattia professionale. È stato esteso il divieto di cumulo tra prestazioni previdenziali. La pensione di inabilità è costituita da una somma è pari all’importo dell’assegno di invalidità integrato da una maggiorazione di un importo tale da elevare l’ammontare dell’assegno stesso alla misura che sarebbe spettata ove l’inabilità si fosse verificata al raggiungimento dell’età pensionabile. Sono salvi invece i trattamenti minimi. Ma la disciplina dettata per la maggiorazione dell’assegno di invalidità suscita dubbi di legittimità costituzionale,a ragione delle ingiustificate disparità di trattamento che ne possono derivare. La pensione di inabilità non poteva essere liquidata a quei lavoratori che avessero presentato domanda dopo aver raggiunto l’età pensionabile. Questa disp. è stata sospettata di illegittimità cost per contrasto con art 3 e 38 cost. La corte cost. ha ritenuto infatti fondati questi sospetti e ha dichiarato l’illegittimità cost. dell’art 3 L. 222 / 84. Mentre ha ritenuto legittima l’art 2 sempre di tale legge che non consentiva il conseguimento della pensione di inabilità a coloro che siano titolari i pensione di invalidità, pur essendo affetti da inabilità assoluta. 99 L’ASSEGNO MENSILE PER L’ASSISTENZA PERSONALE E CONTINUIATIVA AI PENSIONATI PER INABILITA’ Il titolare di una pensione di inabilità che si trovi nell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o non sia in grado di compiere gli atti quotidiani della vita senza una assistenza continuativa, ha diritto ad un assegno mensile non reversibile. Mentre non è dovuto quando vi sia il ricovero in un istituto di cura o assistenza a carico della P.A. Inoltre esso non è cumulabile con l’analogo benefico previsto per gli invalidi a seguito di infortunio sul lavoro; ed è ridotto in misura corrispondente all’importo della prestazione stessa. 100 – L’ASSEGNO PRIOVILEGIATO DI INVALIDITA’, LA PENSIONE PRIVILEGIATA DI INABILITA’ OD AI SUPERSTITI PER CAUSA DI SERVIZIO La L. 22284 ha ,modificato la disciplina del 1965, andando a prevedere che l’assegno di invalidità o la pensione di inabilità spetti anche quando,in assenza dei requisiti di contribuzione o di assicurazione,l’invalidità,l’inabilità o la morte risultino in rapporto causale diretto con la finalità di servizio;e a condizione che dallo stesso evento non sia derivato il diritto a rendita nell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Il diritto alle prestazioni privilegiate insorge anche in assenza dei requisiti di assicurazione ne di contribuzione stabiliti per le prestazioni ordinarie di invalidità,,inabilità,morte. 101 – IL RISCHIO PRECOSTITUITO Una questione molto imp era stata posta dalla giurisprudenza che negava il dir a pensione di invalidità ai sogg protetti che sarebbero potuti essere considerati invalidi.(= Rischio Precostituito). Si giungeva a tale concezione in quanto si riteneva applicabile anche alla tutela previdenziale per invalidità l’art 1895 cc, il quale prevede la nullità del contratto di assicurazione quando il rischio non è mai esistito o ha cessato di esistere prima della conclusione del contratto. Cio è giustificato con il richiamo all’art 1886 cc, che dispone che si applichi alle assicurazioni sociali la disciplina dettata per quelle private. La Corte dopo aver ritenuto dapprima infondata la questione ha poi risolto il problema stabilendo l’illegittimità cost. dell’art 10 del r.d.l. 636/39 che consentiva il sorgere del diritto a pensione di invalidità in caso di rischio precostituito. Ora invece ola legge stabilisce che il dir all’assegno preesiste al rapporto assicurativo,purchè vi sia stato un successivo aggravamento o siano intervenute nuove infermità 102 – DOLO E COLPA DEL SOGGETTO PROTETTO Il sogg protetto che si procuri dolosamente un invalidità non solo perde il diritto alla pensione, ma commette anche un reato. È stato poi posto il problema se gli esiti invalidanti di un tentativo di suicidio facciano sorgere o no una pensione, e la soluzione prevalente è stata quella che ammette l’esistenza di u diritto a pensione, sulla base del fatto che il dolo è escluso dalla condizione di massima depressione psichica e il totale cedimento del suicida. Mentre nessuna rilevanza negativa è attribuita alla colpa del sogg. protetto cio perché: la legge si limita a considerare solo l’ipotesi del dolo poi perché vi sono anche molti altri fattoti che determinano il generarsi di malattie. Alle stesse conclusioni la giurisprudenza giunge per i casi di etilismo,che spesso non è affatto volontario, ma legato a una deficienza psichica. Non escludendo però cosi i casi dolosi. 103 – REVISIONE DELL’ASSEGNO DI INVALIDITA’ E DELLA PENSIONE DI INABILITA’ L’attribuzione delle prestazioni previste dalla L. 222/84 non è definitiva. La legge infatti in funzione dell’eventuale rinserimento del sogg, prende in considerazione l’ipotesi che lo stato di invalidità e inabilità possano subire delle modificazioni nel tempo. L’art 9 L. 222/84 prevede che il titolare puo essere sottoposto ad accertamenti sanitari per la revisione dello stato di invalidità che è alla base dell’assegno. In ogni caso l0ccertamento è obbligatorio quando risulta che il titolare dell’assegno abbia goduto di un reddito del lavoro subordinato o da lavoro autonomo superiore a 3 volte i trattamenti minimi di pensione. Cosi se sono contestate condizioni ormai mutate è allora adottato il provvedimento della revoca del trattamento liquidato. Mentre se si accerta un recupero che è solo parziale e vi sono ancora gli estremi per dare l’assegno allora la pensione di invalidità èn revocata ma viene riconosciuto il dir all’assegno di invalidità. Per contro nel caso di aggravamento è riconosciuto il dir alla pensione di inabilità. 104 – LA PENSIONE DI VECCHAIA: A) REQUISITI,DOMANDA,DECORRENZA E I PREPENSIONAMENTI. La pensione di vecchia è un diritto che è condizionato dall’esistenza di alcuni requisiti di contribuzione e assicurazione; è infatti condizionato al compimento dell’età pensionabile e alla cessazione del rapporto di lavoro. La dispone, che prevedeva che la pensione decorre dal 1° giorno dl mese successivo a quello nel quale il sogg protetto ha compiuto l’età pensionabile o al mese in cui risultano soddisfatti i requisiti di assicurazione e di contribuzione, è stata poi modificata quando la si è condizionata alla cessazione del rapporto do lavoro Ed infatti quella pensione ha decorrenza dal mese successivo a quello in cui è cessato il rapporto di lavoro. È fatta salva la facoltà del sogg. protetto di ottenere la pensione di vecchia con decorrenza dal mese successivo a quello della presentazione della domanda. Se i requisiti per aver diritto alla pensione si realizzano dopo la domanda, ma prima della sua definizione, la pensione è corrisposta con decorrenza dal mese successivo a quello in cui il diritto è stato maturato. È anche prevista la facoltà di richiedere di continuare a lavorare fino a 65 anni.,anche se si è gia raggiunta l’anzianità contributiva necessaria, con quindi incremento del trattamento pensionistico. In questi casi la legge prevede degli incentivi per il proseguimento dell’attività lavorativa. Le facoltà di opzione però risulteranno superate dalla disciplina della pensione di vecchiaia unificata, che ne condiziona il diritto: fino al 2007 al compimento di un età compresa tra 57 e 65 anni; e dal 2008 al raggiungimento di 65 anni per gli uomini e 60 per le donne. Diversa è invece la situazione per i prepensionamenti dove si consente che il dir alla pensione maturi in anticipo di 5 o + anni, purchè sussistano set. Requisiti di contribuzione e assicurazione. Tale previsione è finalizzata a favorire l’esodo del personale esuberante da aziende, è una misura cosi anti congiunturale. 105 – b) LA VECCHIAIA L’età pensionabile era fissata a 60 anni per gli uomini e 55 per le donne. La legge ha stabilito che l’età pensionabile aumenti progressivamente fino a raggiungere 65 anni per gli uomini e 60 per le donne. Questo trova giustificazione nell’esigenza di far fronte alla crisi finanziaria delle gestioni previdenziali prescindendo cosi da politiche dell’occupazione,ritardando cosi l’erogazioni delle pensioni. Peraltro,se questa è la regola, per alcune categorie di lavoratori vi sono regole particolari. per i lavoratori non vedenti, l’età pensionabile è di 55 per uomini e 50 per le donne per gli invalidi + del 80%, si rimane a 60 uomini e 55 donne. Al raggiungimento dell’età pensionabile, le legge presume che il lavoratore si trovi nell’incapacità di continuare a svolgere attività proficua. Trattasi in questi 2 casi, di circostanze contingenti ed eventuali, disciplinate da una normativa ispirata a valutazioni diverse da quelle sulla capacità di svolgere un’attività proficua. Inizialmente però il legislatore aveva previsto un regime della pensione di vecchiaia unificata, in cui le diversità dell’età pensionabile sparissero (anche uomini e donne), stante la possibilità di raggiungere il diritto alla pensione tra i 57 e i 65 anni d’età o comunque con i 40 di contribuzione. Senonchè quelle diversità sono state ripristinate. Infatti la legge ha previsto che, dal gen 08, il dir alla pensione unificata si consegue con i 60 anni per donne e 65 uomini o con 40 anni di contribuzione. 106 – LA PENSIONE AI SUPERSTITI In questa forma di tutela previdenziale,l’evento protetto è la morte,cioè un fatto naturale del quale la legge presumi consegui e derivi una situazione di bisogno per i familiari superstiti. Quest’ultimi quindi, sono i sogg. Protetti ed hanno diritto alla pensione. Pertanto come la nozione di famiglia,non corrisponda a quella di famiglia derivante dal matrimonio,ma sia piu estesa. La tutela previdenziale ha riguardo anche ai rapporti essenziali di consanguineità e cosi si estende, in mancanza del coniuge e dei figli,anche ad altri familiari del lavoratore defunto, alla sola condizione che questo provvedesse al loro sostentamento. La pensione di reversibilità spetta aò coniuge,ossia alla vedova o al vedovo. La corte cost aveva escluso piu volte la illegittimità cost della discriminazione a danno del vedovo che beneficia di ciò Tale discriminazione è stata abolita, cosi la legge ha esteso le prestazioni ai superstiti,alle vedove,ai vedovi delle lavoratrici e delle pensionate. La corte ha inoltre modificato una precedente decisione del 1980, e ha dichiarato l’illegittimità cost. dell’art 1 L. 29/1945 e art 7 L. 1338/62. È stato cosi attribuito il dir alla pensione di reversibilità anche al coniuge superstite di lavoratore dipendente da datore di lavoro privato e pubblico, a cui sia addebitabile la separazione e poi lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio. Una quota della pensione ai superstiti puo poi essere attribuita al coniuge superstite che abbia contratto nuovo matrimonio a seguito di sent. di scioglimento degli effetti civili matrimonio contratto con il lavoratore defunto. Detta quota compete solo se il coniuge defunto era tenuto ad una somministrazione dell’assegno periodico. Il procedimento consiste: attuazione di una domanda, che va rivolta al Tribunale che fissa anche la misura e la decorrenza della quota di pensione spettante al ex coniuge. Infine la corte ha esteso ancora di piu la pensione ai superstiti, riconoscendo il dir alla pensione di reversibilità al coniuge superstite anche nel caso in cui il matrimonio sia stato contratto posteriormente alla data del pensionamento per vecchiaia La pensione spetta poi anche ai figli inabili e hai minori di 18 anni (siano essi legittimi o illegittimi), nonché anche ai figli che abbiano + di 18 anni se studenti, per tutta la durata del corso di laurea, ma sempre non oltre 26 anni e sempre che non lavori presso un terzi. Hanno poi diritto le figlie maritate,se inabili ed ha carico del genitore al momento del decesso. Mentre una limitazione era stata prevista verso il coniuge che avesse contratto matrimonio con un pensionato in età superiore di 72 anni e il matrimonio fosse durato meno di 2 anni, salvo la nascita di un figlio o in caso di morte dovuta a malattia sul lavoro o per infortunio sul lavoro. La Corte cost. però intervenuta su tali punti ha dichiarato illegittimo la fissazione di un termine minimo per il matrimonio(2anni). Poi a tale sent hanno fatto seguito altre 2 sent che hanno accertato l’illegittimità cost. delle disp. che prevedevano la stessa limitazione per il regime gen gestito dall’INPS. La corte ha ritenuto che tale maggiorazione competa alle vedove degli aventi diritto anche se deceduti prima della data della sent. In mancanza del coniuge e dei figli, la pensione spetta ai genitori ultra sessantacinquenni. In mancanza anche di questi spetta ai fratelli cecili e alle sorelle nubili,purchè inabili al lavoro. Mentre ha dichiarato poi illegittima l’esclusione del dir alla pensione ha favore dei nipoti minori affidati al nonno. Per tutti gli altri familiari è necessario la prova che il defunto sostentava in modo continuativo a loro. Le prestazioni sono costituite da una quota della pensione già liquidata al capo della famiglia defunto, tale quota puo essere ridotta in relazione ai redditi goduti dal beneficiario. Per contro i superstiti che non godano di rendita infortunistica e si trovino nelle condizioni di reddito per l’assegno sociale, hanno diritto a una indennità una tantum. Anche per il trattamento di reversibilità è necessario adempiere all’onere della presentazione di una domanda. Ma ha diff della pensione di invalidità, quella di reversibilità decorre dal 1° giorno del mese successivo a quello della morte del defunto. 107 – LE PRESTAZIONI AI SUPERSTITI PER CAUSA DI SERVIZIO: A) FUNZIONE ED EVENTO PROTETTO Questa forma di tutela previdenziale,estesa ormai anche ai lavoratori dipendenti da privati e disciplinata dall’art 6 L. 222/84 tende a compensare gli effetti negativi derivanti dalle limitazioni che caratterizzano l’ambito di applicazione della tutela contro gli infortuni del lavoro e le malattie professionali. E invero: da un lato la tutela per morte per causa di servizio si stende a tutti i lavoratori indipendentemente dalla pericolosità del lavoro. Dall’altro tale tutela ha una funzione analoga e sussidiaria rispetto a quella per gli infortuni La legge stabilisce che la morte dia luogo a questa forma di tutela quando risulti in rapporto causale diretto con finalità di servizio. Va notato come la nozione di morte per casa di servizio si differenzi dall’0infortiunio sul lavoro, posto che la relazione che deve intercorrere tra il lavoro e l’evento è diversa da quella espressa con la formula “in occasione di lavoro”. Ed infatti la legge richiede che tra la morte e le finalità di servizio intercorra un nesso causale diretto (= causa determinante di esse). Ma una diversità c’è, poiché il fatto di rifarsi a finalità di servizio e non di lavoro indica la volontà di far si che la tutela non riguardi solo la morte causata dal lavoro in senso stretto, ma anche quella determinata da tutte le altre attività svolte finalizzate al lavoro. Cosi anche al morte verificatasi mentre il sogg si reca al lavoro o torna da luogo di lavoro può essere considerata una finalità di servizio. 108 – B)PRESTAZIONI E SOGG PROTETTI Per il resto tale tutela è assoggettata alla disciplina della tutela dell’invalidità,vecchiaia e superstiti. E ciò anche riguardo ai criteri di accertamento dell’invalidità. Soggetti protetti sono allora: tutti i lavoratori subordinati. Mentre dubbi vi sono per i lavoratori autonomi iscritte alle gestioni speciali dell’INPS. Contro l’estensione a questi ultimi milita soprattutto la circostanza che la legge fa esplicito riferimento alla disciplina dettata per i lavoratoti subordinati. Ma l’estensione ai lavoratori autonomi di tale tutela trova validi sostegni: da un lato: essa si fonda sulla genericità della prestazione legislativa che si riferisce agli assicurati e non ai lavoratori e alla causa di servizio e non alla causa di lavoro. Dall’altro: essa si giustifica in relazione ai collegamenti esistenti tra le gestione dei contributi e le prestazioni previdenziali Poi infine trova sostegno dagli stessi principi costituzionali. 109 – LA PENSIONE NDI ANZIANITA’. IL POSTICIPO DEL PENSIONAMENTO La pensione di anzianità spetta al lavoratore che abbia maturato 35 anni di contribuzione e 57 anni o 40 anni di contribuzione indipendentemente dall’età In via transitoria e fino al 2007, la pensione di anzianità spetta anche a chi,avendo maturato 35 anni di contribuzione,abbia un età crescente da 52 a 57 anni, o un anzianità contributiva maggiore, indipendentemente dall’età L’art 59 c.6 pone però delle deroghe per i lavoratori qualificati da contratti collettivi come operai e per i lavoratori ad essi equiparati, per i lavoratori in inabilità o in cassa integrazione o per i lavoratori precoci. Le disp su pensionamenti prevedono di norma, anche il dir alla pensione di anzianità con un anticipo di 5anni o + rispetto al requisito dei 35 anni di contribuzione. La pensione di anzianità puo essere considerata come una pensione di vecchia anticipata. Si puoi ritenere che il titolo dal quale trae giustificazione la tutela dei lavoratori risieda in cio che cittadini lavoratori hanno contribuito al benessere della collettività. Ne consegue la presunzione che la cessazione dell’attività lavorativa dia luogo ad una situazione di bisogno non in funzione dell’età,ma del lavoro gia svolto. La legge 242/04 di recente ha modificato la disciplina ,che però avrà una applicazione graduale nel tempo, dato che il legislatore ha voluto tutelare le aspettative dei lavoratori che già avessero maturato una certa anzianità contributiva. Cosi la previdente disciplina si continua ad applicare per i lavoratori che entro il 31 dic 07, matureranno i requisiti di età e contributi previsti precedentemente. Mentre la L .243/04 dispone che il dir alla pensione si consegue,quando è liquidata: quando sono maturati 40 anni di contribuzione quando l’anzianità contributiva è di almeno 35 anni , con età di 60 anni fino al 2009 e 61 anni dal 2010. Se la pensione è invece liquidata col sistema contributivo, il dir si acquista con; 40 anni di contributi a qualunque età; 35 anni di contributi se donna ha 60 anni o l’uomo 65 anni. Mentre dal 2014 i requisiti di età sono incrementati di 1 anno,salvo decisone contrario del ministro dell’economia. Sono esclusi in base all’art 1 L.243/04 dalla nuova disciplina: lavoratori iscritti agli enti previdenziali privatizzati; i lavoratori che nel marzo 04 erano stati autorizzati alla prosecuzione volontaria e le lavoratrici che optano per la liquidazione di anzianità, nonché ai lavoratori iscritti presso la gestione dell’INPS. Inoltre sempre per contenere gli oneri della spesa il legislatore ha cercato di ritardare l’inizio dell’erogazione delle pensioni attraverso la previsione di vantaggi verso i lavoratori che decidono volontariamente di ritardare il godimento. Tali lavoratori godono cosi di un trattamento retributivo maggiore se decidono il posticipo del pensionamento. Ma si deve notare come: da un lato: il lavoratore avrà solo diritto ad una pensione calcolata sulla base dell’anzianità contributiva maturata al momento in cui ha chiesto il posticipo . dall’altro: non è dato sapere se la diminuzione del gettito contributivo conseguente all’esercizio della facoltà è compensata o no dal minor onere delle prestazioni. Infatti la l. 232/04 prevede che il governo verifichi i risultati del sistema di incentivazione per valutarne l’impatto sulla sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico. L’esito potrebbe determinare l’eventuale modifica dei requisiti di accesso alla pensione di anzianità. 110 – L’ASSEGNO SOCIALE AGLI ANZIANI IN DISAGIATE CONDIZIONI ECONOMICHE Se la vecchiaia costituisce di solito un evento che da luogo al diritto a prestazioni previdenziali a favore dei lavoratori, essa è presa in considerazione anche per prevedere l’assegno sociale a favore di tutti i cittadini ultra cinquantenni , ma solo se si trovino in disagiate condizioni economiche. Sono equiparati ai cittadini italiani quelli di s. marino, i rifugiati politici,i cittadini di uno stato dell’u.e. Tale forma di tutela assume grande importanza agli effetti dell0indicazione delle linee secondo cui si svolge l’evoluzione del nostro sistema previdenziale. Il diritto all’assegno sociale è riconosciuto dalla legge a tutti i cittadini italiani residenti in Italia, che abbiano compiuto 65 anni nell’importo annuo di 4,962,36 euro. La legge ha poi previsto un incremento dell’assegno per i soggetti con + di 70 anni, sino alla concorrenza della somma di 1.000.000 di lire per 13 mensilità. L’assegno è pero ridotto se chi lo riceve ha redditi propri. Nel caso del congiunto si tiene conto anche di redditi del coniuge e la riduzione è prevista fino a concorrenza del doppio dell’importo medesimo. A tali effetti sono presi in considerazione i redditi di qualsiasi natura. Sono invece esclusi : i trattamenti di fine rapporto comunque denominati o le loro anticipazioni; le competenze arretrate soggette a tassazione separata; il reddito della casa di abitazione etc. L’assegno è anche ridotto fino al 50% se il sogg si ricoveri in un istituto o comunità con retta a carico di enti pubblici. In ogni caso l’assegno è erogato con carattere provvisorio,sulla base di dichiarazioni rilasciate dal richiedente ed è conguagliabile sulla base della dichiarazione dei redditi effettivamente percepiti nell’anno precedente. 111 – IL FINANZIAMENTO: A) LA CONTRIBUZIONE PREVIDENZIALE POSTA A CARICO DEI DATORI E DEI PRESTATORI DI LAVORO Il finanziamento del regime gen dell’invalidità,vecchia e superstiti avviene attraverso una contribuzione posta a carico dei datori di alvoro e dei lavoratori . Questi contribuivano in passato in parti uguali. Con il decreto legge 2142/ 1946 i contributi previdenziali furono posti a carico del solo datore di lavoro. Successivamente parte dell’onere contributivo è stato dato di nuovo anche ai lavoratori anche se è ormai mutata la proporzione con un maggior intervento del datore. Riguardo invece all’aspetto finanziario, la legge ha disposto l’unificazione gestoria dei contributi nel Fondo pensioni dei lavoratori dipendenti. Il supermento del sistema a capitalizzazione è da mettere in relazione con la semplificazione del sistema delle denunzie delle retribuzioni assoggettate alla contribuzione. Cosi la legge ha previsto l’istituzione di un modulo di denunzia unico Il datore poi è anche tenuto alla presentazione di denunce individuali dei lavoratori occupati,indicando le varie retribuzioni e gli altri elementi essenziali. Tale sistema è finalizzato a conseguire una rilevazione diretta della retribuzione assoggettata a contribuzione utile per la pensione retributiva e della percentuale retributiva utile per la pensione contributiva,con eliminazione delle marche assicurative per la contribuzione base. 112 – B) IL CONTRIBUTO FINANZIARIO DELLO STATO Al finanziamento del regime generale dell’invalidità ,vecchiaia e superstiti provvede anche lo Stato. Accanto agli interventi finanziari determinati da motivazioni particolari va ricordato l’intervento a favore della Gestione degli interventi assistenziali alla quale fanno carico oltre all’assegno sociale anche la quota spettante a tutti i pensionati di invalidità,vecchiaia e superstiti, gli oneri derivanti dalle agevolazioni contributive disposte per legge, i trattamenti di integrazione salariale, i trattamenti speciali di disoccupazione. La gestione di cui trattasi è finanziata in modo quasi esclusivo con il contributo dello Stato. CAPITOLO 7 – LA TUTELA DELLA SALUTE 113 – ORIGINE ED EVOLUZIONE Nel nostro sistema la tutela previdenziale contro le malattie è stata l’ultima a trovare realizzazione mediante u intervento diretto dallo Stato. Ed infatti il bisogno di cure mediche fu considerato un bisogno individuale, alla cui soddisfazione doveva provvedere la solidarietà familiare,la beneficenza pubblica e privata o l’assistenza pubblica. E anche per la tutela contro le malattie non è mancata l’influenza di quelle concezioni di politica sociale che hanno sempre ritardato la situazione. Per tale tutela però quell’influenza è stata molto piu forte per 2 ragioni: le concezioni di politica sociale hanno operato congiuntamente alla difficoltà di reperire mezzi finanziari adeguati, il quale deriva dalla circostanza che la tutela della malattia non puo essere graduata e non subordinata all’esistenza di requisiti contributivi, inoltre poi la malattia non è un evento deferito nel tempo. Quell’influenza è stata piu forte perché ha operato congiuntamente alla mancata consapevolezza che non solo una tutela della salute, ma anche una tutela contro le malattie, realizzano un interesse collettivo. Cosi sono sembrati sufficienti a realizzare l’interesse pubblico, sia gli interventi assistenziali sia quelli aventi carattere d’ordine pubblico per evitare il pericolo di diffusione delle malattie epidemiche. In questo contesto, la 1° forma di tutela previdenziale di malattia ad essere istituita fu quella della tubercolosi, e ciò in quanto quest’ultima venne considerata una malattia sociale. Nella stessa epoca, una tutela previdenziale di malattia venne prevista e realizzata per alcune categorie di lavoratori. Per la generalità di lavoratori il passaggio verso una forma di tutela obbligatoria si realizzo per effetto della contrattazione collettiva corporativa. A questa il 2°c. della dichiarazione XXVIII della Carta del lavoro demandava la costituzione di casse di mutue malattie con il contributo dei datori di lavoro e dei prestatori di opera. Le casse realizzarono cosi per la prima volta una tutela generalizzata di malattia per quasi tutti i lavoratori subordinati. Senonchè il fatto che tale tutela fosse regolata da contratti collettivi determinò una estrema frammentarietà e diversità di discipline tra le varie categorie professionali. Nel 1943 poi tali casse furono assorbite nell’Ente mutualità, che poi diventerà l’INAM (istituto naz contro le malattie). Tuttavia questa unificazione rimase molto limitata dato la mancanza di una disciplina legislativa e regolamentare. Comunque con l’INAM non si realizzò nemmeno l’unificazione organizzativa della tutela della malattia. Infatti rimasero in funzione enti a cui era affidata la tutela di singole categorie di lavoratori subordinati. Tutto cio ha reso necessaria una altra evoluzione, qual’è quella realizzata con lo scioglimento dell’INAM e degli altri enti gestori e con l’istituzione del servizio sanitario nazionale. 114 – LE FUNZIONI DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE Il fondamento della tutela della salute è da ricercare non solo nei principi cost 3 e 38 cost, ma anche nell’art 32 cost….. La disposizione sostituisce il concetto tradizionale di tutela della ,malattia con quello della tutelas della salute in senso generale nella sua globalità (comprende:cura,prevenzione e riabilitazione) Si tratta cosi di concetti distinti infatti: la tutela della malattia → comportava l’erogazione di prestazioni quando la malattia si era verificata la tutela della salute invece → prevede che i sogg protetti siano tutti i cittadini,indipendentemente dal loro attuale stato di salute quindi risultava inadeguato il tradizionale sistema manualistico e improrogabile la riforma. La tutela della salute è stata realizzata mediante l’istituzione del servizio sanitario nazionale,costituito dal complesso delle aziende sanitarie locali,presidi ospedalieri,servizi servizi di prevenzione. Con l’istituzione del Servizio Nazionale sanitario, dunque tutti i cittadini beneficiano della tutela della salute anche perché è resa obbligatoria dal 1° gen 1980. La legge ha poi anche razionalizzato e riorganizzato la sanità pubblica, provvedendo a : completare il conferimento di competenze in favore degli enti territoriali; individuare specificatamente i residuali compiti riservati allo stato, conferire delega al governo per rivedere il sistema dei trasferimenti erariali alle regioni con la soppressione del fondo sanitario nazionale. Cosi la generalità delle funzioni sanitarie è conferita alle regioni, e anzi è previsto un autofinanziamento della tutela della salute alle regioni stesse per il loro territorio. L’essenza di tale decentramento trova espressione anche nella definizione che la legge dà del servizio sanitario nazionale come “il complesso delle funzioni e delle attività dei servizi sanitari regionali e degli enti e istituzioni di rilievo nazionale”. Peraltro l’organizzazione del servizio sanitario è solo pubblico. 115 – L’ORGANIZZAZIONE SANITARIA La legge affida la realizzazione della tutela della salute al servizio sanitario nazionale. La struttura del servizio si articola in unità sanitarie locali dotate di pena autonomia e capacità. Si dovette constatare che le aspettative che avevano presieduto alla riforma del 78 erano rimaste insoddisfatte. Tra l’altro la mancanza di specifiche competenze aveva portato un’inutile burocratizzazione del servizio senza garantire una corretta conduzione. La ristrutturazione organizzativa del servizio è avvenuta con i D. lgs 502/92 e 517/93. E ha poi trovato attuazione con la L.419/98. Il legislatore della riforma ha realizzato la pena autonomia delle aziende sanitarie locali e enti ospedalieri, prevedendo che la loro gestione fosse affidata una persona responsabile. Le aziende sono per legge dotate di personalità giur. pubbliche e dotate anche di autonomia organizzativa,amministrativa,patrimoniale,contabile,gestionale e tecnica. Organi delle aziende sono: il direttore generale,direttore amministrativo,direttore sanitario e il collegio sindacale. La legge ha restituito autonomia agli ospedali di rilievo nazionale, ospedali di alta specializzazione e quelli di rete di emergenza. Tali ospedali sono costituiti in aziende ospedaliere dal consiglio dei mi nitri e regioni. Gli ospedali invece non costituiti in aziende conservano invece la loro natura di presidio delle aziende sanitarie locali. È infine prevista l’istituzione presso ciascuna azienda di un dipartimento di prevenzione competenti in materia di:igiene alimenti, prevenzione e sicurezza ambienti di lavoro, igiene e sanità pubblica. Il legisl. della rif. ha anche previsto altri imp. compiti sulla gestione finanziaria. Cosi il piano nazionale sanitario dovrà individuare ogni 3 anni, gli obiettivi di prevenzione,cura e riabilitazione e le linee gen del servizio. Spetta però alle regioni di definire, con piani regionali: linee di organizzazione dei servizi e attività destinate alla tutela della salute criteri di finanziamento delle unità sanitarie locali i modelli organizzativi di servizio è previsto infine che i comuni possano finanziarie con risorse proprie,livelli aggiuntivi di assistenza erogati dalle aziende sanitarie locali. 116 – I SOGGETTI PROTETTI Con il passaggio dalle istituzioni mutualistiche alla nuova organizzazione sanitaria,i soggetti che hanno diritto alla tutela della salute sono stati inizialmente individuati dalla loro iscrizione presso i disciolti enti di malattia. Senonchè la legge istitutiva del servizio sanitario nazionale ha disposto l’estensione dell’ obbligatorie dell’assicurazione contro le malattie nei confronti di tutti i cittadini. Questi sono ora assicurati dal Servizio nazionale e sono tenuti al pagamento del contributo alla sola condizione che siano sogg. all’obbligo della presentazione della dichiarazione dei redditi. La tutela dei lavoratori si estende ai lavoratori italiani all’estero e ai cittadini italiani che si trovano temporaneamente fuori del territorio nazionale per ragioni diverse dal lavoro o dalla fruizione di borse di studio. Anche gli stranieri residenti in Italia,possono fruire dell’assistenza sanitaria erogata dal servizio nazionale sanitario. Infine la tutela della salute è estesa a tutti i sogg.che hanno diritto a fruire delle prestazioni del sistema integrato. La legge di riforma ha confermato la tesi per cui questi sono titolari del diritto alle relative prestazioni, prestazioni destinate a realizzare un interesse proprio dei familiari e corrispondono al princ. Cost. che considera tale tutela un diritto di tutti i cittadini. 117 – LA NOZIONE DI MALATTIA Con la legge di riforma venne previsto,che la tutela della salute sarebbe realizzata con interventi di medicina globale. Accanto alle attività di prevenzione si sarebbero dovute realizzare: l’assistenza medico-generica,specialistica, infermieristica ,ospedaliera un’azione sanitaria volta al recupero funzionale e sociale dei sogg. affetti da minorazioni fisiche,psichiche o sensoriali. Senonchè la malattia resta ancora l’evento a cui le aziende sanitarie locali sono tenute ad erogare le prestazioni sanitarie. Resta però che la generalizzazione ha abbattuto gli steccati di delimitazione della competenza assistenziale e medico- saniataria. Ne deriva l’abrogazione della disposizione della legge che definiva l’area di intervento dal vecchio INAM con la formula che prevedeva l’erogazione dell’assistenza per i casi di malattia. Si deve poi ritenere supertata la distinzione delle malattie in : comuni,infettive e contagiose,mentali e tubercolari.(qui la gestione è affidata solo all’INPS sulla erogazione prestazioni economiche). Cosi l’evento da ritenere protetto da tale forma di tutela è non tanto la malattia ma il bisogno soggettivo di cure mediche. La legge poi detta una disciplina specifica per la certificazione di malattia e per il suo tempestivo invio all’INPS e al datore di lavoro,tenuto ad anticipare le prestazioni economiche. 118 – LE PRESTAZIONI IN GENERE La legge prevedeva che il disciolto INAM erogasse prestazioni sanitarie e prestazioni economiche. senza però dettarne una disciplina organica e completa. Ne deriva che la materia delle prestazioni previdenziali continuava a essere regolata dai contratti collettivi corporativi che avevano istituito le casse mutue incorporate nell’INAM. Tra dato che nell’assistenza alle malattie si fa riferimento alle categorie professionali, ne deriva una varietà di discipline specie sulle prestazioni economiche. Tale varietà è stata eliminata o ridotta da alcuni interventi legislativi, ma soprattutto a favore dei sogg. protetti ,da alcune delibere del consiglio di amministrazione del disciolto INAM,. Con l’istituzione del servizio sanitario nazionale è stata superata la varietà di disciplina dell’assistenza sanitaria che è ora erogata a tutti i cittadini in condizione ndi uniformità e di uguaglianza. Peraltro la L.8/90 ha disposto l’applicazione dell’art 22 a tutti i cittadini italiani e dei paesi u.e.,iscritti al servizio sanitario nazionale. L’articolo prevede il diritto alle prestazioni sanitarie ed economiche nei confronti dell’istituzione del luogo di dimora o residenza,come se fosse ad essa iscritto. Il diritto però sorge solo se i lavoratore: versi in uno stato di salute che determini la necessità di prestazioni immediate durante la dimora nel territorio di uno stato membro → autorizzazione però puo essere rifiutata solo quando è accertato che lo spostamento puo compromettere lo stato di salute delle cure. o autorizzato dallo stato membro a recarsi li per avere cure appropriate → non puo essere rifiutata quando le cure non possono essere prestate nel territorio dello stato membro in cui l’interessato risiede. 119- LE PRESTAZIONI SANITARIE: A) SPECIE E MODI DI EROGAZIONE Le prestazioni sanitarie sono erogate dal servizio sanitario nazionale comprendono: assistenza medicogenerica,domiciliare,ambulatoriale,ospedaliera,infermieristica e farmaceutica. Per contro alla legger regionale è dato il compito di disciplinare i casi in cui è ammesso il ricovero in ospedali pubblici. Sono invece posti a carico del servizio nazionale i servizi di assistenza e le prestazioni sanitarie donne a realizzare la tutela della salute. La corte ha dichiarato illegittima la mancata previsione del concorso nelle spese per l’assistenza indiretta avente ad oggetto prestazioni di comportava gravità e urgenza,quando non sia possibile ottenere la preventiva autorizzazione e sussistano le condizioni per il rimborso. 120 – B) L’ASSISTENZA MEDICA CONVENZIONATA Peraltro una situazione particolare è avvenuta riguardo l’assistenza medica domiciliare generica. Ed infatti la legge aveva previsto tanto l’erogazione in forma diretta che indiretta, sulla base del principio per cui si deve tendere verso un medico di9 base di fiducia dell’assistito. La legge ha mantenuto la fig del medico convenzionato, ma ha considerato il rapporto tra medici e aziende sanitarie locali come uno speciale rapporto di lavoro aventi caratteri affini a quello del lavoro subordinato e cosi si ritiene si un lavoro para-subordinato Nello volgimento di tali compiti il medico convenzionato non si .limitava a svolgere un attività puramente professionale (ossia verifica della malattia paziente). la legge ha previsto invece che le regioni e le organizzazioni sindacali,determinino il rapporto ottimale medico-assistibili per la medicina generale e specialistica di libera scelta, indicando il numero max di pazienti per ogni medico. Spetta a ciascuna azienda sanitaria la tenuta di un elenco di medici convenzionali. Il cittadino sceglie il medico di fiducia fra quelli iscritti nell’elenco. L’assistito puo certamente revocare in ogni tempo la scelta effettuata purchè contemporaneamente ne nomini un altro,comunicandolo all’azienda sanitaria locale. Le prestazioni del medico convenzionato di medicina generale comprendono:le visite domiciliari e ambulatoriali a scopo diagnostico,terapeutico, prestazioni di natura extra eseguibili senza impegnativa,nonché le visite occasionali. I medici specialistici ambulatoriali sono tenuti a fornire prestazioni che comprendono:attività di diagnosi,terapia,riabilitazione. Mentre le modalità di attuazione dell’assistenza sono demandate alla scienza del medico nel rispetto delle norme deontologiche. 121 – C) L’ASSISTENZA FARMACEUTICA La prescrizione di specialità farmaceutiche e galenici deve avvenire secondo scienza e coscienza del medico,ma con alcuni limiti previsti per det. farmaci. Il medico puo consentire il rinnovo della prescrizione farmaceutica anche su richiesta del familiare,quando ritenga non serbava un’altra visita. La legge prevede e disciplina la partecipazione dell’assistito alla spesa per le prestazioni sanitarie ma esclude ogni forma di partecipazione degli assistiti affetti da malattie a carattere cronico,invalidante o di rara incidenza. 122 – LE PRESTAZIONI ECONOMICHE Oltre alle prestazioni sanitarie,il disciolto INAM era tenuto anche ad erogare prestazioni economiche. Queste però sono autonome e indipendenti dalle prime. Per i lavoratori subordinati l’indennità giornaliera è calcolata in percentuale della retribuzione effettivamente corrisposta con aliquote in funzione della durata della malattia. In ogni caso l’indennità giornaliera non viene corrisposta per i primi 3 giorni di malattia e spetta per un periodo max di 180 in un anno solare. Peraltro quasi tutti i contratti collettivi prevedono ormai l’obbligo del datore di integrare l’indennità giornaliera dovuta dall’ente previdenziale ai suoi dipendenti. In verità la legge dispone che le prestazioni previdenziali economiche erogate in caso di malattia abbiano funzione sussidiaria rispetto all’obbligo del datore di erogare la retribuzione o un indennità per assenza dovuta a malattia. Tuttavia tale disp. è stata supertata dato che non vi è un obbligo autonomo per i datori. A partire dal 1° gen 1980 è l’INPS ha erogare le prestazioni economiche di malattia e maternità e a riscuotere i relativi contributi. Tuttavia la legge per garantire un a tutela effettiva,ha posto a carico dei datori l’onere di anticipare le prestazioni economiche di malattia e cosi anche per la maternità. È stato poi anche riconosciuto il diritto all’indennità di maternità alle lavoratrici autonome iscritte alle gestioni previdenziali dei coltivatori diretti,nonché alle libere professioniste iscritte alla cassa di previdenza dei liberi professionisti. Altre forme di sostegno sono attribuite alle madri in possesso si det. requisiti di reddito, nonché ha favore delle madri che svolgono lavori atipici e discontinui. Infine a decorrere dal 1° gen 07 la legge ha riconosciuto il dir all’indennità di malattia anche ai lavoratori a progetto e alle categorie assimilate ,scritte alla gestione separata dell’inps. 123 – LE PRESTAZIONI INTEGRATIVE Le prestazioni dette sono le funzioni tipiche ed essenziali della tutela previdenziale contro le malattie. Ad esse si aggiungono altre prestazioni dette integrative essendo finalizzate a funzioni diverse. Sono obbligatorie le prestazioni integrative destinate a realizzare il recupero della capacità lavorativa o la prestazione di malattie che possono determinare uno stato di invalidità temporanee. Sono discrezionali le prestazioni destinate a conseguire il consolidamento di una guarigione clinica o a provvedere ai bisogni economici derivanti da malattia (sussidi). Tali prestazioni oggi poi sono disciplinate dalla L .98/82. 124 – LE FORME DI ASSISTENZA INTEGRATIVA La legge consente l’istituzione di fondi di assistenza sanitaria integrativa,finalizzati all’erogazione di prestazioni aggiuntive rispetto a quelle erogate dal servizio sanitario nazionale. È difficile prevedere con quali modalità le previsioni legali troveranno pratica attuazione, infatti le forme integrative di assistenza costituiscono eccezione alla regola secondo cui l’assistenza sanitaria è erogata in forma diretta. È da dire anche che le forme di assistenza integrativa sono da ricondurre alla logica della previdenza complementare. 125 - IL FINANZIAMENTO Il finanziamento della tutela della salute era affidato al fondo sanitario nazionale ed è ora affidato alle regioni che sono chiamate a gestire quella tutela. Con l’0attuzione del federalismo fiscale la disciplina del finanziamento del servizio è cambiata per effetto dell’affidamento alle regioni di una potestà impositiva. Invero il processo di decentramento fiscale iniziato con il dlg 446797 è stato abolito. Poi il legisl. ha mitigato le conseguenze dell’abolizione del fondo mantenendo il finanziamento a carico dello stato per alcune voci della spesa sanitaria. Margini di autonomia fiscale sono attribuiti alle regioni anche per effetto della soppressione del vincolo di destinazione delle risorse in relazione alle loro caratteristiche socio economiche Alo stato resta affidato affidato il compito di controllare la finanza regionale. I datori sono tenuti a versare i contributi di malattia nel rispetto di certe modalità. Anche i cittadini non lavoratori subordinati sono tenuti a versare annualmente anche per i loro familiari,un contributo per l’assistenza di malattia,detto anche tassa della salute. Allo stesso modo i titolari di pensione di importo annuo superiore a 18 milioni di lire. I contributi di malattia per i lavoratori subordinati,sono accertati e riscossi dall’INPS,mentre per gli altri obbligati, la competenza è del fisco. Infine la legge ha previsto un tetto max di spesa farmaceutica e la partecipazione degli assistiti alle spese per l’acquisto di farmaci,per le prestazioni diagnostiche strumentali e di laboratorio e per quelle specialistiche. CAPITOLO 8 LA TUTELA CONTRO LA TUBERCOLOSI E LA DISOCCUPAZIONE VOLONATRIA. L’ASSEGNO PER IL NUCLEO FAMILIARE. I – LA TUTELA CONTRO LA TUBERCOLOSI 126 Ambito della tutela ed evento protetto Questa forma di tutela previdenziale continua ad essere affidata dalla legge all’ Istituto nazionale della previdenza sociale per quanto attiene le prestazioni economiche, mentre le prestazioni sanitarie ad erogare del servizio sanitario nazionale. Essa ha carattere generale del senso riguarda tutti i lavoratori subordinati. numeri non sono e ai suoi solo La tutela si estende anche familiari dei lavoratori nonché ai coloni ai mezzadri e al personale che presti comunque opera presso le istituzioni sanitarie. Il finanziamento delle prestazioni economiche avviene mediante l’imposizione di contributi a carico dei datori di lavoro e a carico dello Stato per i maestri elementari e direttori didattici. Le prestazioni sanitarie sono invece finanziate dal servizio nazionale sanitario e sono posti a carico delle regioni alle quali la legge attribuito il gettito dell'imposta regionale sulle attività produttive. La legge stabilisce che l'evento tubercolosi consista in forma veicolare in fase attiva. 127. Le prestazioni sanitarie Le prestazioni sanitarie di economiche, sono erogate condizioni di risultino versati, almeno per un anno, contributi previdenziali. Quelle prestazioni, però, sono erogare indipendentemente dal versamento no dei contributi, in attuazione del principio della automaticità delle prestazioni. Inoltre il soggetto protetto che abbia già goduto una volta di prestazioni antitubercolari, conserva il diritto a questi ultimi, anche se successivamente vengono a mancare requisiti della loro erogazione. le prestazioni sanitarie sono erogate dalle strutture servizio sanitario nazionale, senza limiti di tempo e fino a quando permane alla necessità di cure per guarigione o stabilizzazione clinica. Tale prestazioni sanitarie rilievo particolare deve essere assegnata ricovero nelle strutture ospedaliere. Ove la malattia non sia in fase attiva il ricovero può essere sostituito dalla cura ambulatoriale o dalla cura a domicilio. 128. Le prestazioni economiche Le prestazioni economiche per la tubercolosi continuano, come è già stato accennato, ad essere erogate dal Inps.la legge dispone che sia corrisposta al lavoratore un indennità giornaliera detta di ricovero o di cura ambulatoriale. All'indennità è erogata con lo stesso ammontare dell’indennità giornaliera dovuta in caso di malattia comune. Decorsi primi 180 giorni l'indennità giornaliera è dovuta nella predetta misura minima In ogni caso, l'indennità è maggiorata per i familiari a carico dell'importo pari a quello dell'assegno per il nucleo familiare. l'indennità non è dovuta nei casi e per tutto il periodo in cui il lavoratore ha diritto a percepire dal datore di lavoro l'intera retribuzione. le prestazioni economiche erogate in caso di tubercolosi hanno la funzione di provvedere alla liberazione dal bisogno derivante dall'impossibilità di lavorare durante il periodo di ricovero o di cura ambulatoriale. ma va notato come la legge disponga che, sia pure nella misura minima ridotta dalla metà, la stessa indennità dovuta anche ai familiari a carico dei soggetti protetti, quando essi siano ricoverati in luogo di cura o ammessi alla cura ambulatoriale. in quest'ultimo caso la funzione dell'indennità è parzialmente diversa: essa, più che tener conto del bisogno derivante dall'impossibilità di lavorare, tiene conto del bisogno derivante dal esigenze della cura. Inoltre, a favore dei soggetti protetti che siano stati ricoverati in un luogo di cura, per un periodo non inferiore a 60 giorni, la legge prevede l'erogazione di un indennità postsanatoriale, cumulabile con la retribuzione. tale indennità viene erogata per la durata di due anni, con maggiorazioni per eventuali familiari a carico. Tale indennità spetta anche quando l'assistito attenda proficuo lavoro ed è erogata anche ai familiari che siano stati ricoverati o sottoposti a cura ambulatoriale per almeno 60 giorni. l'indennità post sanatoriale è funzionalizzata al consolidamento dello stato clinico di guarigione o di stabilizzazione conseguente al trattamento terapeutico. Del resto, la stessa funzione è assolta dalla fine di cura o di sostentamento. Tale assegno è corrisposto, per un periodo di due anni, rinnovabile di due anni in due anni, a soggetti protetti e ai loro familiari tutte le volte che la loro capacità di guadagno risulti ridotta di almeno la metà. per i familiari a carico di età inferiore a 15 anni l'assegno di cura e di sostentamento è concesso a condizione che siano accertate minorazioni che rendano necessario un ulteriore trattamento. L'assegno di cura o di sostentamento non è cumulabile con la normale retribuzione continuativa ed a tempo pieno, lasciando così intendere che sia cumulabile con una retribuzione parziale ed occasionale. Agli assistiti che abbiano usufruito delle prestazioni sanitarie spetta l'assegno natalizio. Infine la legge ha previsto che tutti cittadini non iscritti alla regime generale gestito dall'Inps se colpiti da tubercolosi e risulti che il loro reddito sia di importo tale da non essere assoggettabile all'imposta sul reddito delle persone fisiche, abbiano diritto a prestazioni economiche a carico del servizio sanitario nazionale. tali prestazioni sono erogate con le stesse modalità di quelle erogate dal Inps agli assistiti ammessi alla relativa tutela. In questo modo, la tutela che si realizza con l'erogazione di prestazioni previdenziali economiche per la tubercolosi é stata estesa a tutti i cittadini di disagiate condizioni economiche, non diversamente da quanto accaduto per l'estensione del diritto a pensione ai cittadini ultra 65 anni. II - LA TUTELA CONTRO LA DISOCCUPAZIONE 129. premessa Vari e sempre più complessi sono gli interventi dello Stato a favore del lavoratore disoccupato. Tale varietà e complessità è da mettere in relazione alla particolare situazione economica del nostro paese nel quale la disoccupazione sia venuta ulteriormente caratterizzando a ragione della profonda crisi che afflitto negli ultimi anni il settore delle grandi industrie. Alcuni di questi interventi corrispondono direttamente alla attuazione della sicurezza sociale. si tratta di interventi che vanno dall'istituzione dei cantieri scuola, dei corsi di qualificazione e di riqualificazione professionale, al collocamento, alle assunzioni obbligatorie, ai particolari trattamenti previsti per i contratti solidarietà, per i contratti di formazione lavoro o per quelle adorar ridotto e alla partecipazione ai cosiddetti lavori socialmente utili. Altri interventi si caratterizzano per le l'erogazione di prestazioni previdenziali economiche in caso di disoccupazione conseguente all'estinzione o alla sospensione del rapporto di lavoro. Ai fini interessa particolarmente quest'ultimo tipo di intervento, corrispondente appunto alla realizzazione della tutela previdenziale per l'ipotesi di disoccupazione e per quella di sospensione, di riduzione dell'orario di lavoro. Peraltro, osservato come l'ambito di applicazione di queste forme di tutela previdenziale si è limitato ai soli lavoratori subordinati. Va anche detto come la gestione di queste forme di tutela previdenziale è affidata al Inps ed è finanziata esclusivamente con i contributi posti a carico dei datori di lavoro per la disoccupazione e le integrazioni salariali ordinari, mentre per le integrazione salariale straordinaria è previsto un contributo a carico dei datori di lavoro e dei lavoratori. 130. L'indennità di disoccupazione: a) i soggetti protetti la tutela previdenziale per la disoccupazione involontaria si stende a tutti i lavoratori subordinati che abbiano compiuto 14 anni. Da tale tutela sono esclusi tutti i lavoratori i quali godano della stabilità del posto. La ragione di tale esclusione è che non sussisterebbe il rischio tutelato, mancando la possibilità stessa di una disoccupazione involontaria. Tuttavia poiché le prestazioni possono essere erogate anche nel caso di disoccupazione volontaria e poiché deve ritenersi che sia quasi del tutto abbandonato il meccanismo assicurativo, quella esclusione dovrebbe ormai ritenersi priva di una ragionevole fondamento. È certo che la garanzia della stabilità del posto non è quella realizzata dalla legislazione limitatrice del recesso del datore di lavoro. Quella garanzia infatti si ha soltanto quando la perdita del posto possa derivare esclusivamente da un notevole inadempimento del lavoratore. Per contro la stabilità si deve considerare realizzata anche quando non esista un vero e proprio organico. Allo stesso modo appaiono prive di ragionevole fondamento l'esclusioni previste dalla legge di tutela per la disoccupazione. 131. Segue: b) l’evento la disoccupazione che da luogo all'erogazione di prestazioni previdenziali non è la disoccupazione in genere bensì soltanto quella che deriva dall'estinzione di un rapporto di lavoro. Sono esclusi quindi da tale tutela gli inoccupati, cioè quanti sono ancora in cerca di una prima occupazione. Deve trattarsi di disoccupazione involontaria, determinata, dal datore di lavoro e non già dal soggetto protetto e quindi dalla lavoratore, come avviene sicuramente ove questo si dimetta o addivenga ad una risoluzione consensuale rapporto di lavoro. La legge introduce un temperamento stabilendo che le prestazioni fossero corrisposte anche in caso di dimissioni e di licenziamento in tronco. Tale beneficio però è stato soppresso per i soggetti che abbiano rassegnato le dimissioni successivamente al 1 gennaio 1999. Restano salve però le dimissioni per giusta causa. Inoltre, l'indennità di disoccupazione non spetta al lavoratore impiegato a tempo parziale cosiddetto verticale per i periodi di inattività. Tale esclusione è stata ritenuta legittima dalla corte costituzionale sulla base della motivazione secondo cui nel part-time verticale il la rapporto di lavoro perdura anche nei periodi di sosta, garantendo al lavoratore una stabilità ed una sicurezza retributiva che impediscono di considerare costituzionalmente obbligata una tutela previdenziale nei periodi di pausa per la prestazione. Peraltro, la legge ha previsto che il diritto all'indennità di disoccupazione spetti non solo nei casi di estensione del rapporto di lavoro, ma anche nei casi di mera sospensione determinata da situazioni aziendali derivanti da eventi transitori o da situazioni temporanee di mercato. Tale indennità non spetta però è lavoratori che non sono già destinatari di trattamenti di integrazione salariale ed è garantita solo entro limite predeterminato di spesa, pari a 48 milioni di euro all’anno. 132. Segue: c) le prestazioni. le prestazioni erogate in caso di disoccupazione involontaria sono esclusivamente economiche e consistono in un indennità. Questa era stabilita nell'importo giornaliero di lire 800 ai sensi dell'articolo 13 legge 114 del 1974. Peraltro la corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di quella disposizione che non consentiva di assicurare l'adeguatezza delle prestazioni previdenziali all'esigenza di vita del lavoratore garantita dall'articolo 38 dalla costituzione. Il legislatore ha stabilito che l'ammontare dell'indennità di disoccupazione sia determinato in percentuale della media delle retribuzioni percepite nei tre mesi precedenti al limite del disoccupazione o della salario medio di riferimento. L'articolo quattro comma 16 della legge 608 del 1996 aveva stabilito che la percentuale sulla quale calcolare l'indennità fosse levata al 30% della retribuzione. L'articolo 78 della legge 388 del 2000 prevede che quella percentuale si è incrementata al 40% ed è applicata sulla media delle retribuzioni assoggettate a contribuzione. In ogni caso, la misura della retribuzione non può essere inferiore all'ammontare medio delle retribuzioni previste dalla contrattazione collettiva della categoria, ma non può essere superiore ai massimali previsti per l'indennità corrisposta dalla cassa di integrazione guadagni. Il diritto alle prestazioni in caso di disoccupazione è condizionato ad un anzianità contributiva di almeno due anni e ad un anno di contribuzione nel biennio precedente l’inizio della disoccupazione. Il diritto alle prestazioni è riconosciuto anche a favore dei lavoratori che abbiano prestato nell'anno solare almeno 78 giornate di lavoro, pur non avendo maturato un'anzianità contributiva di due anni. Trova però piena applicazione principio delle automaticità delle prestazioni. L'indennità decorre dall'ottavo giorno successivo a quello della cessazione del lavoro o del quinto giorno successivo alla domanda se è presentata dopo l'ottavo giorno del dalla cessazione del lavoro, ed è erogata per un periodo massimo di 180 giorni o per un numero di giornate pari a quelle lavorate nell'anno solare sino al massimo di 312 tra giornate lavorate e quell'indennizzate. Per il periodo dal 1 aprile del 2005 al 31 dicembre 2006, la legge ha previsto un incremento sia della percentuale della retribuzione sulla quale calcolare l'indennità di disoccupazione, sia della durata della sua e erogazione. In particolare, la percentuale sulla quale calcolare l'indennità di disoccupazione è stata ulteriormente incrementata 50% delle retribuzioni, dei primi 6 mesi di erogazione del trattamento, con una progressiva riduzione fino al 30% per i mesi successivi. La durata dell'erogazione invece è stata elevata a 7 mesi, per i lavoratori con età inferiore a 50 anni, e a 10 mesi, per quelle con età appare superiore a 50 anni. Tali incrementi non si applicano all'indennità di disoccupazione con requisiti ridotti di cui all'articolo 7 della legge 160 del 1988. Disposizioni particolari vengono per il settore agricolo. Ai lavoratori è erogata per un periodo appare quella delle giornate di effettiva occupazione per fare dell'anno, ma comunque non superiore a 180 giorni e nella medesima percentuale del 40% di cui già si è detto. Anche in questo settore, dal 1 gennaio 1999, indennità ma spetta ai lavoratori il cui rapporto sia cessato a causa di dimissioni. Le indennità di disoccupazione non sono cumulabili con quelle della tubercolosi, con i trattamenti di pensione diretta e erogati sia dal regime generale sia dagli ordinamenti sostitutivi ed esclusivi, nonché dalle gestioni previdenziali non lavoratori autonomi. All'indennità di disoccupazione si aggiunge l'assegno per il nucleo familiare. È da aggiungere poiché la legge ha previsto un trattamento speciale di disoccupazione, detti indennità di mobilità, a favore dei dipendenti di imprese industriali non edili e delle imprese commerciali non più di 200 dipendenti, per le quali trova applicazione la disciplina dell'intervento di integrazione salariale straordinaria. L’indennità di mobilità è erogata per un periodo variabile da uno a 3 anni ai lavoratori licenziati che possono far valere un anzianità aziendale di almeno 12 mesi e che siano stati assunti a tempo indeterminato. L'ammontare di quest'indennità è successivamente ridotta 60% della retribuzione globale. In via transitoria per alcuni settori e per alcune aree del mezzogiorno e per quelle di maggiore crisi occupazionale o di reindustrialuzzazione, l'indennità di mobilità è corrisposta sino raggiungimento delle pensioni di vecchiaia di anzianità. Trattamenti speciali di disoccupazione sono poi previsti a favore di lavoratori licenziati da imprese edili ed affini e per i lavoratori agricoli a tempo determinato Infine, legge prevede che lavoratori decadono dal diritto del trattamento di mobilità, all'indennità di disoccupazione e ad ogni altra indennità o sussidio quando: rifiutano di essere avviati ad un protetto non progetto individuale di inserimento nel mercato del lavoro o rifiutano di partecipare a un corso di formazione professionale o non lo frequentano regolarmente; non accettano l'offerta di un lavoro che comporta un livello retributivo non inferiore del 20% rispetto a quello di provenienza; non accettano di essere impiegati in opere servizi di pubblica utilità. Ciò sempre che il corso di formazione e l'attività lavorativa si svolgono in un luogo che non visti più di 50 km dalla residenza del lavoratore o che sia raggiungibile in 80 minuti con i mezzi di trasporto. 133. La cassa integrazione guadagni: a) la gestione ordinaria Alla tutela contro la disoccupazione involontaria si affianca quella della disoccupazione parziale consistente cioè nella riduzione dell'orario di lavoro o nella sospensione temporanea del lavoro. Questa forma di tutela istituita nel 1941 dalle contrattazioni collettive corporative, aveva all'origine la funzione di attenuare gli effetti negativi che gli avvenimenti della guerra avevano sui lavoratori. Aveva però anche la funzione di equilibrare il potenziale produttivo tra i settori immediatamente impegnati nella produzione di guerra e quelli non impegnati. In questa prima fase, era prevista l'erogazione di prestazioni soltanto solo se vi fosse dovuto ricorrere ad una preordinata e continuativa riduzione dell'orario di lavoro. Nel 1945 la tutela per la riduzione dell'orario di lavoro viene mantenuta ed ebbe, anzi, la sua regolamentazione legislativa che comportò l'istituzione di una cassa di integrazione guadagni, finanziata esclusivamente con contributi posti a carico dei datori di lavoro. La tutela gestita dalla cassa integrazioni guadagni, confluita poi della gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti, interviene in caso di riduzione dell'orario di sospensione del lavoro che non dipendono da cause imputabili all'imprenditore o gli stessi lavoratori o che siano state determinate da situazioni temporanee di mercato. Le prestazioni sono erogate soltanto nei casi in cui sia da ritenere certa la riammissione lavoratori sospesi dell'attività produttiva dell'impresa. Queste condizioni sono sempre state interpretate con una certa larghezza nella pratica. L’integrazione salariale è stata estesa anche agli impiegati nei quadri. Le prestazioni sono erogate ai lavoratori sospesi temporaneamente dal lavoro, nonché ai lavoratori che effettuano l'orario di lavoro inferiore all'orario contrattuale settimanale, con conseguente riduzione delle retribuzioni proporzione alle ore non lavorate. Le prestazioni soltanto economiche, sono commisurate al 80% della retribuzione globale che sarebbe spettata per le ore non lavorate tra le ore zero e il limite dell'orario contrattuale e comunque non superiore alle ore 40. Senonché, l'ammontare di queste prestazioni non può eccedere il limite massimo mensile previsto dalla legge e indicizzato annualmente misura pari all'80% dell'indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati. Tale limite è stato stabilito in misura più elevata per i lavoratori la cui retribuzione supera determinati importi con l'integrazione corrisposta direttamente dal datore di lavoro per conto dell'Inps. Il datore che fa decadere i lavoratori del diritto all'integrazione è tenuto a corrispondere ad essi una somma equivalente. I lavoratori che durante la riduzione del lavoro si dedicano ad altre attività remunerate non hanno diritto alla integrazione. È, ormai, avvertita l’esigenza di una riforma della disciplina della materia che consenta una organica politica attiva del lavoro e di sostegno del reddito. Il finanziamento della gestione ordinaria avviene mediante contribuzione posta carico dei datori di lavoro, in proporzione anche al numero di tutti i dipendenti occupati. 134. Segue: b) la gestione straordinaria Verso la fine degli anni 60 alla gestione ordinaria è stato affiancata la gestione straordinaria della cassa integrazione guadagni, che assume le caratteristiche di un vero e proprio strumento di politica economica. Essa, infatti, ha anche la funzione di facilitare i processi di ristrutturazione e di conversione aziendale e di far fronte alle crisi aziendali. L'intervento straordinario di integrazione salariale è previsto per i casi di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale. Quell'intervento è previsto a favore dei dipendenti di imprese industriali che abbiano occupato in media più di 15 lavoratori. Tale ultimo requisito é richiesto per le imprese industriali che occupino da 5 a 15 dipendenti e che operino in aree ritenute di declino industriale o in aree caratterizzate da un elevata concentrazione di piccole imprese. L’intervento della cassa integrazione straordinaria però è anche previsto a favore dei dipendenti delle imprese commerciali che occupino più di 200 lavoratori, dei dipendenti delle imprese artigiane che dimostrano, nel biennio precedente la richiesta dell'intervento straordinario, che il loro fatturato dipendeva per oltre il 50% dall'impresa committente, che avendo speso un ridotto l'attività produttiva commerciale, è stata messa a beneficiare della gestione straordinaria della cassa. La funzione appare evidente ove si tenga presente che ne è stata prevista l'utilizzazione anche: alle imprese assoggettate a procedure concorsuali, in caso di calamità naturali, in caso di gravi crisi occupazionali del mezzogiorno. Conferma di quella funzione si ha anche ove si consideri che la disciplina della materia è collocata nel più ampio contesto della legislazione mercato di lavoro e della riforma organica degli ammortizzatori sociali avviata con la legge 17 maggio 1999 n. 144, tendente a razionalizzare la disciplina dell'integrazione salariale. Pertanto, al fine di semplificare l'ammissione al trattamento integrativo, alcuni proventi provvedimenti hanno coordinato le procedure di accesso al integrazione salariale straordinaria con quelle previste dal o assetto amministrativo in materia di servizi all'impiego. La nozione di crisi aziendale è rimessa la valutazione dell'autorità governativa. A questa era attribuita un'ampia discrezionalità, ora limitata mediante la determinazione a priori dei criteri dei quali bisogna tener conto. Tali criteri sono bastati sostanzialmente sulle situazioni occupazionali nell'ambito territoriale e sulla situazione produttiva dei settori. L'integrazione salariale straordinaria, in caso di ristrutturazione, riorganizzazione lo conversione aziendale, non può superare la durata di due anni. Sono previste al massimo due proroghe, ma ciascuna di essa non può avere durata comunque superiore a 12 mesi. Le proroghe possono essere concesse solo per quei programmi di ristrutturazione che prestino particolare complessità. Per le crisi aziendali, la durata del programma non può essere superiore a 12 mesi. Per ciascuna unità produttiva comunque i trattamenti non possono superare complessivamente i 36 mesi nell'arco di un quinquennio indipendentemente dalle cause per le quali sono stati concessi. Va notato peraltro come fini della concessione dei trattamenti straordinari di integrazione salariale non sia sufficiente se si verificano le condizioni previste dalla legge, essendo necessario che essi siano accertate con decreto del ministero del lavoro e delle politiche sociali. A tal fine, la richiesta di intervento straordinario deve contenere il programma che l'impresa intende attuare e le indicazioni sulla causa, la durata della sospensione e il numero dei lavoratori interessati, criteri di rotazione o i motivi della eventuale mancata adozione. La procedura per l'adozione del decreto prevede la consultazione preventiva dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali più rappresentative e il parere della direzione regionale del lavoro. Le consultazioni riguardano anche l'individuazione di criteri di rotazione tra lavoratori che espletano le medesimi mansioni. L'impresa autorizzata al ricorso alla cassa integrazione ha altresì l'onere di comunicare i nominativi dei lavoratori sospesi che non siano impegnati in attività formative o di orientamento. La comunicazione deve essere fatta ai sindaci dei comuni nonché alla commissione regionale per l'impiego. Da questo punto di vista, la tutela previdenziale si caratterizza in quanto la sua realizzazione dipende da una valutazione da parte degli organismi del governo; valutazione che riconferma la funzione dell'intervento di politica economica. Dall'altra parte va notato come la nozione dell'evento protetto in questa forma di tutela si è dilatata sino al punto da ricomprendere anche situazioni che non determinano certo l'impossibilità di svolgere attività lavorative e sono imputabili solo a scelte compiute dal datore di lavoro. Il decreto del ministero del lavoro e delle politiche sociali legittima l'erogazione delle integrazioni salariale per il numero di lavoratori previsto e attribuisce al datore di lavoro il potere unilaterale di sospendere il rapporto di lavoro di un eguale numero di lavoratori. Questi non sono che obbligati a lavorare e non hanno diritto retribuzione, ma beneficiano dell'integrazione salariale. La legge non dette una specie di radicale dei criteri ai quali il datore di lavoro deve attenersi per la scelta dei lavoratori da spendere, e da porre in cassa integrazione guadagni. Prevede soltanto che quei criteri formino oggetto di comunicazione ed esame congiunto con le rappresentanze sindacali. Peraltro l'obbligo obbligazione non comporta l'obbligo di concludere un accordo. L'autorità governativa potrà trarne indicazioni dal comportamento delle parti. In particolare, il datore di lavoro non è obbligato ad adottare la rotazione tra lavoratori che esplichino la medesima mansione. Devono tuttavia essere individuate nel programma aziendale le ragioni della mancata rotazione, e se queste non sono ritenute adeguate, il ministero del lavoro invita le parti a raggiungere un accordo e dispone l'adozione della rotazione o le modalità determinate tenendo conto delle proposte formulata dalle parti. Le scelte del datore sono soggette al controllo del giudice non solo per il caso in cui siano state poste in essere discriminazioni vietate, ma anche per il caso di violazione dei criteri previsti dagli accordi sindacali eventualmente intervenuti. Le prestazioni erogate dalla gestione straordinaria della cassa sono determinate in misura analoga a quelle della gestione ordinaria e sono assoggettate allo stesso limite massimo. Anche il trattamento straordinario è anticipato dal datore di lavoro ma, a differenza di quello ordinario, deve anche essere richiesta l'erogazione a carico dell'Inps ove risulti che il datore versi in difficoltà finanziarie. La giurisprudenza ha escluso che il datore di lavoro, quando sia intervenuto il decreto del ministero del lavoro delle politiche sociali, versi in mora, e ha quindi escluso l'esistenza di un obbligo di erogare al lavoratore la differenza tra retribuzione che avrebbe percepito se non fosse stato sospeso e le prestazioni della cassa per guadagni. Quest'ultime sono ritenute idonee a garantire mezzi adeguati di vita. Per contro, le prestazioni della cassa integrazione guadagni, sia della gestione ordinaria che di quella straordinaria, sono assoggettate a ritenute fiscali e a ritenute previdenziali. I lavoratori decadono dal diritto all'integrazione salariale straordinaria quando rifiutano di partecipare ad un corso di formazione di riqualificazione professionale, o non lo frequentano regolarmente, non accettano di essere impiegati per servizi di propria utilità. Anche in questo caso è necessario che il luogo non disti più di 50 Km dalla residenza del lavoratore. I responsabili dell'attività formativa hanno l’onere di comunicare all'Inps i nominativi dei soggetti che possono essere ritenuti decaduti dalle prestazioni previdenziali.. Attraverso tale provvedimento, i lavoratori possono fare ricorso, entro 40 giorni, alle Direzioni provinciali del lavoro territorialmente competenti, le quali devono decidere, in via definitiva entro 30 giorni dalla data di presentazione del ricorso Disposizioni particolari sono dettate per i settori l'edilizia e dell'agricoltura. In passato il finanziamento degli interventi straordinari è a carico dello Stato che era tenuto a versare un contributo annuo alla gestione ordinaria. Attualmente gli interventi straordinari della cassa sono invece finalizzati anche contro contributi posti a carico dei datori di lavoro e dei lavoratori. Le prestazioni sono erogate dalla gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali e così via presso di sé con la legge 88 del 1989. III – L’ASSEGNO PER IL NUCLEO FAMILIARE 135. Origine e funzione una tutela della famiglia venne prevista per la prima volta nel 1934 dalla contrattazione collettiva corporativa ed aveva all'origine la funzione di integrare le retribuzioni dei lavoratori con famiglia a carico per compensare gli effetti derivanti sui livelli retributivi dalla diminuzione dell’orario di lavoro. Vennero così istituiti gli assegni familiari che poco dopo furono previsti e regolati dalla legge e indi istituzionalizzati mediante la creazione della cassa unica assegni familiari. Gli assegni familiari mantennero la funzione che era stata loro assegnata dalla contrattazione collettiva, continuando anche ad essere destinati a compensare la politica di bassi salari che caratterizza il periodo corporativo. La loro natura giuridica e stata a lungo controversa. Ed invero alcuni ritenevano che essi avessero ancora natura retributiva altri affermavano invece che essi avessero natura previdenziale. È quest'ultima soluzione che dovrà essere preferita. Ad essa conduceva la considerazione del sistema con cui si provvedeva al loro finanziamento e alla loro erogazioni. Inoltre, la concezione secondo la quale gli assegni familiari avrebbero avuto natura retributiva contrastava sia con la circostanza che quegli assegni erano finanziati con contributi di tutti i lavoratori, sia con la circostanza che essi erano dovuti da un soggetto diverso dal datore di lavoro, mentre non costituivano un corrispettivo dell'attività lavorativa ed erano corrisposti anche soggetti diversi da lavoratori subordinati. È da ritenere che gli assegni familiari fossero vere proprie prestazioni previdenziali erogati al fine di eliminare o ridurre la accertata situazione di bisogno determinata dal carico della famiglia. Tuttavia, proprio in riferimento alla loro funzione, l'erogazione degli assegni familiari doveva essere spiegata anche in relazione al principio costituzionale secondo cui il lavoratore ha diritto in ogni caso ad una retribuzione sufficiente garantire a se e alla propria famiglia un'esistenza libera e dignitosa, ossia l'articolo 36 della costituzione. A partire dal 1 gennaio 1988 l'articolo 2 della legge 153 del 1988 ha sostituitogli i assegni familiari e le prestazioni integrative denominate maggiorazione degli assegni familiari, con l'assegno per il nucleo familiare che ha mantenuto in vita la struttura operativa preesistente, per quanto attiene sia ai profili contributivi, sia alle modalità di erogazione della prestazione. La prestazione assume a parametro il reddito familiare accentuando il processo della redistribuzione del reddito secondo il bisogno che caratterizza un moderno sistema di tutela previdenziale. 136. ambito di applicazione ed evento protetto. Soggetti protetti sono i prestatori di lavoro subordinato nel territorio italiano, i titolari delle pensioni, i titolari delle prestazioni economiche previdenziali derivanti da lavoro subordinato, i lavoratori assistiti dall'assicurazione contro la tubercolosi, il personale statale in attività di servizio ed in quiescenza, i dipendenti e i pensionati degli enti pubblici anche non territoriali Sono invece esclusi i lavoratori autonomi ai quali il diritto agli assegni sia stato riconosciuto da specifiche normative, quali: i compartecipanti familiari e i piccoli coloni, i coltivatori diretti, i coloni, i mezzadri, i pensionati delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, i caratisti imbarcati sulla nave armata da loro stessi, gli armatori imbarcati ai quali continua ad applicarsi la pregressa normativa. Si deve rilevare quindi un netto privilegio attribuito alla posizione di lavoratore subordinato, sia attivo che pensionato; infatti l'assegno non spetta se la somma dei redditi da lavoro dipendente, da pensione o da altra prestazione previdenziale, è inferiore al 70% del reddito complessivo del nucleo familiare. Ciò che va messo in evidenza è il fatto che si è addivenuti ad una omogeneizzazione della tutela tra lavoratori pubblici e lavoratori privati. La tutela è ora anche estesa ai lavoratori stranieri occupati in Italia e per i familiari residenti all'estero. La legge esclude dalla tutela i lavoratori stranieri extracomunitari, o gli apolidi titolari di permesso di soggiorno per lavoro stagionale, anche se deve rilevarsi che questi soggetti possono beneficiare dei assegni di cura e di altri interventi a sostegno della maternità e della paternità responsabile. L'evento protetto deve essere individuato nelle esigenze del nucleo familiare connesse alla insufficienza della reddito e non più in relazione al carico di famiglia Infatti, l'assegno prende in considerazione unicamente il nucleo familiare in senso stretto, composto cioè dal richiedente l'assegno, dal coniuge, dai figli e ed equiparati di età inferiore ai 18 anni, o se inabili anche maggiorenni, dai fratelli, sorelle e i nipoti di età sempre inferiore ai 18 anni solo se orfani di entrambi genitori e senza diritto a pensione ai superstiti. Nel caso di nuclei familiari con più di 3 figli o equiparati di età inferiore 26 anni la legge, ai fini della determinazione dell'assegno, prende in considerazione anche i figli di età superiore a diciott'anni, ma inferiori a 21 anni poiché studenti o apprendisti. La funzione assolta dall'assegno per il uno familiare, conduce a ritenere che questo spetti anche per i nipoti linea retta, minori e viventi a carico dell’ascendente, stante l'equiparazione di essere figli legittimi operato dalla corte costituzionale in materia di pensioni di reversibilità. Alla corresponsione dell'assegno per il nucleo familiare provvede Inps attraverso la gestione per le prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti. Per i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici, in attività di servizio o in quiescenza provvedono le amministrazioni di appartenenza o le strutture che gestiscono la tutela pensionistica. A decorre dal 1 gennaio del 2005 infine la legge prevede che l'assegno per il nucleo familiare venga corrisposto direttamente al coniuge dell’avente diritto. 137. Le prestazioni. Le prestazioni sono esclusivamente economiche. L'importo spetta in misura differenziata in rapporto al numero dei componenti, al numero dei figli e al reddito familiare. Questo è costituito dall’ ammontare dei redditi complessivi, assoggettabili all'imposta sul reddito delle persone fisiche, conseguiti dai componenti il nucleo stesso, nell'anno solare precedente al 1 luglio di ciascun anno, e al valore per la corresponsione dell'assegno fino al 30 giugno dell'anno successivo. Alla formazione del reddito concorrono i redditi di qualsiasi natura. Sono esclusi trattamenti di fine rapporto e le anticipazioni sui trattamenti stessi nonché ovviamente l'assegno qui discorso. L'importo dell'assegno erogato non concorre a formare la base imponibile dell'imposta sul reddito delle persone fisiche. Il nucleo familiare può essere anche composto da una sola persona qualora la stessa sia titolare di pensione ai superstiti liquidata su posizione assicurativa derivante da lavoro dipendente ed abbia età inferiore agli anni 18 e si trovi nell'assoluta impossibilità di dedicarsi al lavoro proficuo. 138. Il finanziamento. La tutela previdenziale per il carico di famiglia è finanziata con contributi posti esclusivamente a carico del datore di lavoro, ciò in relazione all'origine storica dell'istituto che conduceva a qualificare come una vera e propria integrazione salariale. Tuttavia va ricordato come la tutela delle esigenze del nucleo familiare riconnesse all'insufficienza di reddito continua ad estendersi anche a soggetti che non sono lavoratori subordinati; onde quel contributo costituisce l'espressione di un'ampia solidarietà che si realizza anche in questa sede. Peraltro al contributo dei datori di lavoro si aggiunge un contributo che la legge pone a carico dello Stato. Ciò conferma la tesi secondo cui anche l'assegno per il nucleo familiare è funzionalizzato al perseguimento di un interesse di tutta la collettività ed avente ad oggetto la liberazione dal bisogno conseguente all'esistenza di un carico di famiglia. Anche in questa forma di tutela previdenziale trova applicazione principio dell'automaticità delle prestazioni. CAPITOLO NONO INTRVENTI E SERVIZI SOCIALI PER CONTRASTARE A POVERTA’ E IL RISCHIO DI MARGINALITA’ SOCIALE 139. il principio di universalità come fondamento della tutela Nella prospettiva segnata dalla progressiva realizzazione dell'idea di sicurezza sociale, era da tempo avvertita l’esigenza di una radicale riforma del sistema assistenziale, che realizzasse la razionalizzazione delle misure di intervento già esistenti. Tale esigenza e stata soddisfatta dalla legge quadro 328 del 8 novembre 2000, che ha abrogato i provvedimenti che avevano previsto e regolato le varie forme di assistenza sociale e ha attribuito diritti soggettivi perfetti ai soggetti protetti e alle loro famiglie. Interventi previsti da questa legge sono destinati a contrastare fenomeni di povertà e di esclusione sociale, a valorizzare e sostenere le responsabilità familiari,ad incentivare i misure di sostegno per le persone anziani non autosufficienti, a promuovere progetti individuali per le persone disabili. Al tempo stesso, la legge costituzionale 18 ottobre 2003 ha modificato l'articolo 117 della costituzione e ha quindi ridistribuito la competenza legislativa tra Stato e regioni. La nuova ripartizione tende a realizzare anche una razionale ripartizione sul territorio di interventi assistenziali. Gli interventi previsti e coordinati a livello centrale, sono gestiti dalle autonomie locali, che possono anche demandare alcune funzioni a soggetti privati accreditati L'estensione dell'ambito soggettivo della tutela di cui trattasi e l'intensificazione degli interventi che realizza costituiscono adempimento del dovere di solidarietà sociale e tendono alla realizzazione del diritto alla salute e a garantire le condizioni economiche sociali che condizionano l'effettivo esercizio dei diritti civili e politici Diritti che trovano inevitabile espressione anche nell'ambito delle formazioni sociali in cui si realizza la personalità dell’individuo. 140. Le finalità del servizio integrato di interventi servizi sociali e gli eventi protetti. Il nuovo sistema assistenziale completa la riforma realizzata con l’istituzione del servizio sanitario nazionale. Ed infatti il sistema assistenziale ha applicazione generalizzata al pari della tutela della salute e anzi per degli aspetti, ne riproduce le modalità operative. Alle competenze dello Stato, delle regioni e degli enti locali si affiancano quelle affidate privati appartenenti al cosiddetto terzo settore. Trattasi degli organismi non lucrativi di utilità sociale, es. onlus. Gli eventi per i quali sono previste prestazioni hanno riguardo a situazioni caratterizzate dall’inadeguatezza del reddito dei soggetti protetti e dal bisogno o disagio individuare o familiare Il legislatore ha previsto progetti individuali per le persone disabili; misure a sostegno delle responsabilità familiari quale l'assegno al nucleo familiare. A queste prestazioni se ne affiancano altre a carattere fiscale e tariffario. 141. I soggetti protetti. Il tratto maggiormente qualificante della nuova disciplina è costituito dall'estensione soggettiva della tutela. Questa infatti si applica non solo a tutti cittadini italiani ma anche ai cittadini comunitari e ai loro familiari. La legge prevede un accesso prioritario alle prestazioni e ai servizi a favore dei soggetti che versino in comprovate in situazioni di povertà estrema a causa di inabilità di ordine fisico o psichico, nonché di quelli sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria. 142. L'organizzazione amministrativa della servizio integrato nella carta dei servizi sociali la struttura destinata a realizzare il sistema assistenziale si ispira al principio dell'efficiente decentramento e sociale degli interventi. La legge attribuisce allo stato i compiti di programmazione degli interventi e riparazione delle risorse mediante la determinazione dei principi e degli obiettivi della politica sociale, la programmazione della rete di interventi, la determinazione dei criteri per la ripartizione delle risorse del fondo nazionale per le politiche sociali. A queste competenze si aggiungono quelle derivanti dall'attuazione del principio di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità. Alle regioni spetta la programmazione, il coordinamento e l'indirizzo degli interventi sociali sul territorio, con un monitoraggio del livello di attuazione. infine ai comuni compete la programmazione degli interventi del loro ambito. Anche altri elementi concorrono alla programmazione del sistema integrato di interventi programmati e i servizi sociali disponibili. Interventi programmati sono resi possibili all'utenza mediante la predisposizione della carta dei servizi sociali. 143. Le prestazioni: a) in progetti individuali per le persone disabili e di sostegno domiciliare per le persone non autosufficienti. La varietà degli interventi corrisponde all'esigenza di tener conto della pluralità di ragioni che determinano fenomeni di povertà e di esclusione sociale. Esigenza della quale già si era tenuto conto con i provvedimenti legislativi emanati negli ultimi anni. Tali prestazioni sono erogate sulla base di progetti pilota e individuano come destinatari: i cittadini stranieri presenti sul territorio italiano per motivi di lavoro e i loro congiunti, le persone esposte al rischio della marginalità sociale. In particolare: per i soggetti che si trovano in situazione di marginalità era previsto un reddito minimo di inserimento, per i propri familiari con almeno tre figli minori era previsto l'assegno ai nuclei familiari numerosi, per le madri cittadini italiani residenti in Italia era previsto un assegno di maternità. La legge 328 del 2000 non solo ha confermato le prestazioni ma ha proceduto anche ad apportarne delle altre con il dichiarato fine di completare la riforma dell'assistenza sociale. In particolare meritano attenzione la previsione di progetti individuali per le persone disabili con menomazioni fisiche e psichiche o sensoriali per favorirne la integrazione sociale e lavorativa. 144 segue: B. le misure a sostegno delle responsabilità familiari. Con la previsione dell'assegno al nucleo familiare numerosi il legislatore ha compiuto un'ulteriore passo verso l'estensione della tutela per il carico di famiglia, superdando l’ambito soggettivo proprio dell'assegno per il nucleo familiare. Ed infatti le misure a sostegno delle responsabilità familiari prescindono dall'esistenza di quei presupposti ed hanno riguardo unitamente al accertata situazione di bisogno. Pertanto è da ritenere che questo assegno abbia natura assistenziale e si inserisca nella politica legislativa volta contrastare fenomeni di povertà e di esclusione sociale. Il diritto all'assegno è attribuito ai cittadini italiani residenti in Italia, nel cui nucleo familiare siano comprese almeno tre figli minori e le cui condizioni di reddito rientrino in quelle previste dall'indicatore della situazione economica. Quest'ultimo era determinato dell'importo di Lit 36.000 per il nucleo familiare di più di cinque persone e riparametrato nel caso di nuclei familiari con più di cinque componenti. Per l’anno 2007 l'indicatore stato determinato in euro 22.000 annui. Competenti ad attribuire l'assegno sono i comuni, ai quali deve essere presentata la domanda, mentre la relativa erogazione provvede l’Inps. La razionalizzazione degli interventi a sostegno della responsabilità familiare è stata attuata anche mediante la riforma della disciplina dell'assegno di maternità. si tratta dell'assegno attribuito alle madri cittadine italiane residenti in Italia relativamente ai figli nati successivamente al 1 luglio 1999, il quale intervento è previsto dal sistema integrato di interventi e servizi sociali. Il trattamento spetta a condizione che non esista diritto a qualsivoglia trattamento previdenziale per maternità e concorrano determinati requisiti di reddito relativi al nucleo familiare di riferimento L'assegno è posto a carico dell’ Inps che lo eroga sulla base dei dati forniti dai comuni, ai quali spetta di accertare l'esistenza dei requisiti richiesti della sua erogazione. A partire dal 1 luglio 2000 l'assegno spetta anche alle donne extracomunitarie presenti sul territorio italiano purché in possesso del permesso di soggiorno. Infine la legge anche previsto l'erogazione di un ulteriore assegno pari a € 1000 per ogni figlio nato o adottato nel 2005 e per un secondo ulteriore figlio nato o adottato nel 2006. 145 segue: c) il reddito minimo di inserimento e le reddito di ultima istanza Un’ulteriore provvidenza denominata reddito minimo di inserimento era stata prevista in favore dei soggetti che si trovano in situazioni di marginalità sociale e di impossibilità a provvedere al mantenimento proprio e dei propri figli Tale previdenza è stata confermata dalla legge 328 del 2000 ed inserita tra gli interventi affidati al sistema integrato di interventi e dei servizi sociali. All'assegno destinato a garantire il reddito minimo di inserimento deve essere attribuita natura mista; esso infatti assolve ad una funzione assistenziale, ma viene erogato solo a condizione che sussistano determinati requisiti soggettivi ed oggettivi in capo al richiedente e a condizione che questi partecipi effettivamente a programmi di socializzazione volti a rimuovere le cause di emarginazione sociale In particolare coloro che intendono ottenere l'assegno devono essere residenti da almeno un anno nel comune erogatore, essere sprovvisti di reddito, essa iscritto all’ufficio collocamento. L'assegno è posto per la quasi totalità a carico del fondo nazionale per le politiche sociali e a carico dei comuni interessati all'iniziativa. La legge ha poi introdotto il reddito di ultima istanza quale misura di accompagnamento economico ai programmi di reinserimento sociale Tale nuova provvidenza è istituita dalle regioni e finanziata da queste con il concorso dello Stato attraverso le risorse del fondo nazionale per le politiche sociali La corte costituzionale ha ritenuto costituzionalmente illegittima per violazione degli articoli 117 e 119 la previsione di un cofinanziamento statale alle regioni vincolato alla specifica finalità di istituire il reddito di ultima istanza, trattandosi di misura assistenziale di competenza legislativa regionale. 146 segue: gli interventi urgenti per le situazioni di povertà estrema Nel nuovo sistema assistenziale è stato previsto anche il potenziamento degli interventi in favore delle accertate situazioni di povertà estrema, anche con riguardo alle persone senza fissa dimora. A tal fine le organizzazioni non lucrative possono presentare alle regioni progetti riguardanti la realizzazione di centri di pronta accoglienza, nonché servizi socio sanitari, servizi per l'accompagnamento e il reinserimento sociale, con il finanziamento del fondo nazionale per le politiche sociali. 147 il finanziamento del sistema riformato dell'assistenza Al finanziamento del sistema integrato di interventi e servizi sociali provvede il fondo nazionale per le politiche sociali istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. La legge prevede che le risorse siano ripartite mediante la predisposizione di un apposito regolamento. La legge determina i principi e i criteri direttivi in base ai quali deve essere ispirato il regolamento. La selezione dei soggetti ammessi a godere delle prestazioni è realizzata mediante il meccanismo valutativi approntati dall'indicatore della situazione. Al fondo nazionale per le politiche sociali possono affluire anche le somme derivate da eventuali privati, enti, fondazioni, organizzazioni nazionali o internazionali nonché organismi dell’U.E. Capitolo 10 -previdenza complementare 148 previdenza pubblica e previdenza privata: integrativa o complementare. La funzione previdenziale affidata dalla legge alle strutture pubbliche trova necessariamente un limite per quanto attiene al livello delle prestazioni. Il livello delle prestazioni previdenziali infatti tiene anche conto che la loro funzione è quella di realizzare: la soddisfazione dell'interesse pubblico alla liberazione dalle situazioni di bisogno,determinata tenendo conto delle risorse disponibili. Ne consegue che le prestazioni erogate dai regimi di previdenziali pubblici non sono commisurate solo a quei bisogni che il legislatore considera tipici della generalità degli assistiti. E' per questo che è stata sempre avvertita l'esigenza di provvedere alla soddisfazione del interesse privato a più elevati livelli di protezione. Ed infatti i lavoratori hanno avvertito l'interesse a mantenere il tenore di vita consentito dalle retribuzioni percepite mentre lavorano. Interessi che molto probabilmente sarà sempre meno soddisfatto dei regimi previdenziali pubblici. Ciò perché il livello delle pensioni pubbliche non coincide mai con l'ultima retribuzione o con l'ultimo reddito. Al tempo stesso, i meccanismi di perequazione delle pensioni non sono idonei a garantire una dinamica corrispondente a quella del costo della vita o delle retribuzioni. Da tempo l'interesse dei lavoratori a vedersi garantiti trattamenti pensionistici idonei a mantenere immodificato il tenore di vita è sempre più frequente. I regimi istituiti della contrattazione collettiva erogano prestazioni previdenziali integrative rispetto a quelle dei regimi pubblici, erogano anche prestazioni sostitutive, in situazioni per le quali non vi è diritto a pensione a carico del regime pubblico. È per questo che sembra corretto parlare di previdenza complementare anziché solo di previdenza integrativa. 149 i regimi previdenziali sostitutivi e la loro trasformazione in regimi integrativi di quelli pubblici. In passato la legge aveva consentito l'istituzione di regimi previdenziali aziendali esonerativi di quello generale gestito dall'Inps. Tali regimi, da un lato realizzavano una tutela limitata ai dipendenti di aziende ché garantivano una notevole stabilità dei rapporti di lavoro e retribuzioni superiori alla media, dall'altro non erano tenuti a realizzare una solidarietà ridotta nei confronti di tutti gli altri collaboratori Di conseguenza, potevano erogare trattamenti pensionistici più elevati di quelli dei regimi pubblici e garantire una dinamica uguale a quella delle retribuzioni dei dipendenti in servizio. Peraltro quei regimi sono stati ora soppressi e trasformati nei regimi integrativi di quelli pubblici, destinati ad erogare prestazioni pensionistiche, che avrebbero dovuto garantire, il livello di tutela originaria. L'operazione dunque ha avuto un doppio significato: da un lato ha ricondotto alla solidarietà generale aree che ad essa erano state sottratte, dall'altro ha costituito l'inizio di una nuova considerazione da parte del legislatore della previdenza complementare. 150 previdenza complementare e retribuzione. Poiché intero l'onere del finanziamento dei regimi integrativi o complementari è a carico dei datori di lavoro, le prestazioni di quei regimi devono essere considerate come retribuzione differita in funzione previdenziale. Ed infatti, i contratti collettivi aziendali dispongono che una quota della retribuzione venga accantonata per essere erogata al termine di quel rapporto ,per far fronte ai bisogni determinati dalla vecchiaia o dalla invalidità che non sono soddisfatti delle pensioni pubbliche. Di conseguenza, i regimi previdenziali complementari sono da considerare, attuazione di quella previdenza privata, garantendo una forma di risparmio. Per contro,quei regimi non possono essere ricondotti: né all'idea della sicurezza sociale, né essere considerati come complementari dei regimi previdenziali, in quanto ne è diversa la funzione. Ma è anche vero che quei regimi, proprio perché istituiti e regolati da atti di autonomia privata realizzano esclusivamente la soddisfazione di interessi privati, mediante la destinazione a fini previdenziali di una quota della retribuzione. Così sono complementari le prestazioni e non le funzioni Di diverso avviso è però la corte costituzionale che ha ritenuto l'esistenza di un collegamento funzionale tra previdenza pubblica e previdenza complementa 151 previdenza complementare e trattamento di fine rapporto. Se dal punto di vista strutturale le prestazioni previdenziali erogate nei regimi di previdenza devono essere considerate retribuzioni, dal punto di vista funzionale devono essere ricondotti al trattamento di fine rapporto. Del resto, la legge prevede che quel trattamento possa essere erogato anche sotto forma di pensioni e con prestazioni periodiche, mentre la legge ha ormai instaurato un collegamento tra le prestazioni della previdenza complementare e il trattamento di fine rapporto. Collegamento rafforzato dalle previsioni contenute nell'articolo 71 della legge 144/ 99 e nel decreto legislativo 299 /99,e che avevano avviato la cosiddetta cartolarizzazione del trattamento di fine rapporto. Il collegamento tra le prestazioni erogate dai regimi di previdenza complementare ed il trattamento di fine rapporto trova ora definitiva conferma nella disciplina dettata dalla legge 243/ 2004 ed alle decreto legislativo 25 / 2005 Questa disciplina prevede che i futuri accantonamenti annuali del trattamento di fine rapporto siano conferiti alle forme pensionistiche complementari. 152 previdenza complementare e il principio di solidarietà Una giurisprudenza costante, confermando la esclusiva destinazione al soddisfacimento di interessi privati dei regimi pensionistici complementari, aveva ritenuto che le somme accantonate o versate dai datori di lavoro per il loro finanziamento fossero assoggettabili a contribuzione previdenziale ordinaria. Quella giurisprudenza tra l'altro escludeva la rilevanza della funzione previdenziale, che la retribuzione,anche se differita, assolve. Conseguentemente alterava gli equilibri tra previdenza privata e previdenza pubblica, sia perché imponeva alla prima di finanziare la seconda, sia perché dilatava ulteriormente le funzioni di quest'ultima. Ora legge interpretativa aveva risolto la questione escludendo che le somme destinate alla finanziamento della previdenza privata dovessero essere assoggettate a contribuzione previdenziale. Aveva anche previsto l'assoggettamento di quei finanziamenti ad un contributo di solidarietà a favore dei regimi previdenziali pubblici. Ma la corte costituzionale ha ritenuto illegittima quella legge in quanto prevedeva l'esonero delle somme erogate dal datore di lavoro per il finanziamento della previdenza complementare dalla contribuzione previdenziale ordinaria. Venne cioè confermata la natura retributiva di quei finanziamenti e la irrilevanza della loro funzione previdenziale Tuttavia i giudici costituzionali hanno condiviso l'esigenza di favorire il ricorso alla previdenza privata e di conseguenza hanno giustificato l'esonero del suo finanziamento dalla contribuzione previdenziale ordinaria Accogliendo l'indicazione della corte costituzionale l'art 1 della L. 23 dicembre 96 num.662 ha introdotto una più elevato contributo di solidarietà per il le quinquennio precedente all'entrata in vigore della legge del 1991. La corte costituzionale con le sentenze 178 del 2000 e 121 del 2002 ha ritenuto legittima tale imposizione. 153 l'evoluzione della disciplina legislativa della previdenza complementare Nonostante la sempre maggiore diffusione del fenomeno della previdenza integrativa o complementare e la sua importanza,la disciplina legislativa dei regimi previdenziali integrativi è rimasta a lungo inadeguata, poiché non teneva conto della fondamentale esigenza di garantire la effettiva soddisfazione dei diritti dei pensionati e dei lavoratori iscritti. Tale esigenza era stata soddisfatta solo in parte con l'accollo al Fondo di garanzia delle prestazioni pensionistiche , quando queste non potessero essere e erogate a seguito di inadempimenti contributivi dei datori di lavoro. Una completa soddisfazione è stata attuata con la scelta di attenuare gli effetti della riduzione della tutela pensionistica pubblica conseguenti alla sua inevitabile razionalizzazione. È stata realizzata con il D.Lgs 124 /93 che ha dettato una disciplina completa delle forme pensionistiche complementari. Disciplina che per le sue numerose perplessità e di incertezze è stata successivamente modificata dalla L. 335/ 95 e poi anche da leggi successive In particolare, le agevolazioni fiscali sono state regolate dalla D.Lgs 47/2000 Più di recente, la disciplina delle forme pensionistiche complementari è stata modificata dal D.Lgs 252/2005 Il legislatore aveva inizialmente previsto che la nuova disciplina dettata dalla decreto legislativo del 2005 entrasse in vigore dal primo gennaio 2008 ma oggi è stata anticipata al primo gennaio del 2007. 154 le forme di previdenza complementare e la libertà dei fiori individuale. Forme di previdenza destinate ad erogare prestazioni complementari a quelle dei regimi previdenziali pubblici possono essere realizzate mediante la costituzione di autonomi fondi pensione. Questi provvedono a garantire più elevati livelli di tutela previdenziale. L'iniziativa per l'istituzione dei fondi pensione è affidata alla contrattazione collettiva o ad accordi sindacali, anche aziendali. In questo caso, si parla di fondi pensione chiusi, perché limitati ai lavoratori ai quali si applica la disciplina sindacale che li istituisce di forma previdenziale sindacale. I contatti accordi collettivi sono considerati fonti istitutive alle quali è demandata la definizione dell'ambito soggettivo di applicazione e delle modalità di adesione degli interessati. Le fonti istitutiva devono però prevedere che le modalità di partecipazione garantiscano in ogni caso, la libertà di adesione individuale. Infatti la legge prevede espressamente che l'adesione alle forme di previdenza complementare sia libera e volontaria. In assenza di contratti o dì accordi sindacali l'iniziativa dell'istituzione di fondi pensione è demandata ad accordi tra lavoratori e al regolamento aziendale. L'istituzione di fondi pensione puo anche avvenire con accordi tra lavoratori autonomi, purché su iniziativa dei loro sindacati o delle loro associazioni. Inoltre la tradizionale funzione della previdenza complementare può essere realizzata anche mediante l'adesione ai fondi pensione aperti e il ricorso alle forme pensionistiche individuali. Infine, forme pensionistiche complementari possono essere istituite, con l'obbligo della gestione separata, anche dagli enti previdenziali privatizzati e, dal 1 gennaio 2007, possono essere istituite con della legge regionale anche dalle regioni. I fondi pensione possono assumere la forma di associazioni non riconosciute, ma possono anche ottenere la personalità giuridica. In ogni caso, l'esercizio della previdenza integrativa, è subordinata a preventiva autorizzazione del ministero del lavoro e delle politiche sociali. Sono anche previste sanzioni penali e amministrative per chi esercita l'attività di previdenza complementare senza essere in possesso delle prescritte autorizzazioni o approvazioni. 155 forme di previdenza complementare sindacali e forme di previdenza complementare commerciali. La disciplina è contenuta nel decreto legislativo 124 / 93 che considera la previdenza complementare prevalentemente come espressione di iniziative sindacali. Ciò spiega le ragioni delle perplessità manifestate dalla dottrina con riguardo al riconoscimento della libertà di adesione individuale. Quella libertà infatti costituisce una deroga all'efficacia soggettiva del contratto collettivo. È libertà di adesione individuale ha poi assunto particolare rilevanza da quando sono state previste: - da un lato forme di previdenza complementare commerciali, gestite cioè da banche o da imprese di assicurazione - dall'altro, per effetto della previsione delle forme pensionistiche individuali che si realizzano mediante la stipulazione dei contratti di assicurazione sulla vita puntata ed infatti, le società di intermediazione mobiliare possono istituire fondi pensione aperti. A questi fondi potevano aderire solo quei lavoratori per i quali analoghe forme di previdenza non fossero stati istituite da contratti o accordi collettivi. Dal primo gennaio 2007 però l'adesione dei lavoratori ai fondi pensione aperti non è più subordinata alla condizione della mancata istituzione di forme di previdenza complementare sindacali Da previdenza complementare è stata considerata un elemento del mercato finanziario al quale sono prevalentemente destinati i capitali costituiti dagli investimenti individuali ai fondi pensione aperti, e dalla massa delle contribuzioni versate da di lavoratori a favore dei fondi pensione sindacali. In questa situazione, la competizione tra questi ultimi e forme di previdenza complementare commerciali dovrebbe avvenire soprattutto sul piano della migliore redditività degli investimenti. Al tempo stesso, la tendenza del legislatore è stata quella di equiparare la previdenza commerciale a quella sindacale finendo così per favorire la Equiparazione che e sarà completata con il decreto legislativo 47 / 2000, poi la legge 243 / 2004 e il decreto legislativo 252 /2005 ,che hanno definitivamente completato l'equiparazione tra forme sindacali e forme commerciali non solo confermando la libertà di adesione, ma anche prevedendo la libertà di circolazione dei lavoratori all'interno del sistema della previdenza complementare. 156 la governance delle forme di previdenza complementare gli organi di amministrazione e controllo dei fondi pensione hanno composizione paritetica e devono consentire la partecipazione delle categorie e raggruppamenti interessati. La legge prevede che il consiglio di amministrazione di ciascuna forma pensionistica complementare nomini un responsabile, che ha il compito di: - verificare che la gestione della forma pensionistica sia svolta nell'esclusivo interesse degli aderenti e nel rispetto della normativa vigente; - inviare agli ordini di controllo e di sorveglianza dati e notizie sull'attività complessiva svolta dal fondo; - vigilare sul rispetto dei limiti d'investimento, l'operazione di conflitto d'interesse. Inoltre, la legge prevede anche l'istituzione di un organismo di sorveglianza, composto da due membri designati dai soggetti che hanno istituito il fondo pensione e scelti tra gli amministratori indipendenti iscritti nell'apposito albo istituito dalla consob, e da una rappresentante ciascuno, per i lavoratori e per il datore di lavoro, nel caso di iscrizione al fondo pensione di almeno 500 lavoratori appartenenti ad una stessa impresa o gruppo di imprese I fondi pensione non possono assumere direttamente funzioni assicurative e devono gestire le loro risorse affidandole a società di intermediazione mobiliare, ad imprese assicurative, a società di gestione delle risparmio, agli enti previdenziali. 157 il regime delle prestazioni La previdenza complementare regolata dalla disciplina legislativa è quella che si realizza con l'erogazione di prestazioni per vecchiaia o per anzianità ed eventualmente per è l'invalidità e la morte. Le prestazioni erogate dalle forme di previdenza complementare sono determinate nell'atto costitutivo o nello statuto, ma devono essere condizionate all'esistenza dei requisiti minimi di età e di contribuzione fissata dalla legge. I livelli delle prestazioni sono determinati in base alla tecnica della capitalizzazione essendo necessario adottare il regime della contribuzione definita. L'adozione di questo regime comporta che i contributi a carico del datore di lavoro e del lavoratore sono accreditati su conti individuali unitamente alla rendimento prodotto. Il livello delle pensioni è quindi determinato dal totale dei contributi accreditati su ogni conto individuale e dalla somma dei relativi rendimenti. La legge consente che le prestazioni pensionistiche possano essere erogate sia sotto forma di rendita sia sotto forma di capitale. Fa eccezione il caso in cui la rendita derivante dalla conservazione almeno il 70% del montante finale se inferiore al 50% dell'assegno sociale. Il decreto legislativo del 2005 prevede poi che le pensioni possono essere erogate con un anticipo massimo di 5 anni rispetto ai requisiti previsti per l’accesso alle prestazioni nel regime previdenziale obbligatorio di appartenenza. Le prestazioni pensionistiche erogate dalle forme di previdenza complementare sono sottopose allo stesso regime di cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità del sistema di previdenza obbligatorio. Dal 1° gen 01 la legge 388 /2000 ha revocato anche per le pensioni erogate dalla previdenza complementare,il divieto di cumulo con redditi di lavoro dipendente. 158 il finanziamento della previdenza complementare. Anche le modalità ed i criteri del finanziamento devono essere determinati nell'atto costitutivo Per le forme di previdenza complementare il finanziamento avviene con l'imposizione al datore di lavoro di un obbligo di contribuzione. Analogo obbligo è posto a carico dei lavoratori iscritti alle forme di previdenza complementare, in quanto vi hanno aderito. Per effetto della connessione strutturale non si ritiene più che le somme versate dal datore di lavoro per il finanziamento della previdenza complementare abbiano natura retributiva. Ed infatti è attribuita natura di contribuzione previdenziale. Le fonti e sostitutive possono prevedere che la contribuzione a carico dei lavoratori sia costituita anche dalla destinazione al fondo di alcune voci della retribuzione o nell'accantonamento annuale di una quota di esso. Per i lavoratori assunti in dopo il 28 aprile 1993 è obbligatoria la integrale destinazione al fondo pensione dei suddetti accantonamenti. A partire dal 1° gen 2007 il finanziamento delle forme di previdenza complementare può avvenire si a tramite 'versamento di contributi a carico del lavoratore e del datore, sia tramite conferimento del trattamento di fine rapporto maturato. I lavoratori assunti dopo il 1 gennaio 2007, entro sei mesi dall'assunzione possono scegliere la forma di previdenza complementare alla quale destinare l'interno trattamento di fine rapporto; scelta che può essere poi successivamente anche revocata . Il conferimento del trattamento di fine rapporto è tacito quando il lavoratore non esprime alcun tipo di volontà, ed è destinato alla forma pensionistica. In presenza di più fondi pensioni sindacali, il trattamento di fine rapporto è trasferito nel fondo nel quale sono iscritti il maggior numero di lavoratori dell' azienda. Altrimenti li destinerà alla speciale forma pensionistica complementare a contribuzione definita presso l'INPS e deominata FONDINPS. Per i lavoratori già assunti alla data di entrare in vigore del decreto legislativo 152 e 2005, e alla primo gennaio del 2007 il termine di sei mesi decorre dal stesso primo gennaio 07. La legge prevede anche che nel caso in cui lavoratori decidano di mantenere il trattamento di fine rapporto presso il datore di lavoro, quest'ultimo quando occupa più di 50 lavoratori, deve conferire l'intero accantonamento annuale per il trattamento di fine rapporto al fondo per l'erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all'articolo 2120 del codice civile. In questo modo non solo ha il compito di sostituirsi al datore di lavoro nella erogazione del trattamento di che rapporto, ma deve anche utilizzare le sue risorse per finalità di carattere pubblico, specie per sostenere investimenti infrastrutturali. Pe garantire ai lavoratori di scegliere con consapevolezza, il datore di lavoro deve preventivamente fornire loro,adeguate informazioni sulle diverse scelte disponibili. E se il lavoratore non ha manifestato alcuna volontà, deve anche fornirgli le necessarie informazioni sulla forma pensionistica complementare alla quale sarà destinato il trattamento di fine rapporto. In ogni caso il conferimento del trattamento comporta l'automatica adesione del lavoratore alla forma di previdenza complementare alla quale è destinato. Inoltre, nuova disciplina prevede che: in caso di conferimento del trattamento di fine rapporto secondo modalità tacite, gli statuti e regolamenti devono prevedere l'investimento delle somme conferite nella linea a contenuto più potenziale; l'adesione una forma di previdenza complementare tramite il conferimento del trattamento non comporta che quella forma abbia diritto alla contribuzione a carico del lavoratore e del datore,i quali possono decidere, anche in assenza di accordi collettivi, di erogare contributi stabilendo l'importo la contribuzione volontaria le forme di previdenza complementare può proseguire anche olte raggiungimento dell'età pensionabile prevista la legge obbligatoria. Si consideri infine che per far fronte alla perdita di liquidità derivato dal conferimento del trattamento alle forme di previdenza complementare, il legislatore ha introdotto speciali misure compensative per il datore di lavoro. 159 la tutela degli iscritti alle forme di previdenza complementare: ha il sistema della capitalizzazione e la commissione di vigilanza sui fondi pensione La legge tutela in vario modo la posizione di iscritti ai fondi pensione. Prima di tutto la legge impone l'adozione del sistema della capitalizzazione che offre garanzie di conservazione degli importi accreditati sui conti individuali Allo stesso modo non offre però di garanzie sull'entità dei rendimenti e sull'accumulazione di un capitale sufficiente ad erogare prestazioni adeguate. Inoltre, le gestione dei fondi pensioni sono asspgettate alla vigilanza della commissione di vigilanza sui fondi pensione istituita presso il ministero del lavoro e delle politiche sociali. Il legislatore del 2005 ha ulteriormente rafforzato i poteri di controllo di vigilanza della COVIP, e estendendoli a tutte le forme di previdenza complementare Sono anche previste forme di responsabilità aggravata degli amministratori. 160 il riscatto della posizione previdenziale individuale La legge tende ad evitare che le vicende della rapporto di lavoro del datore di lavoro e degli stessi fondi pensione impediscano la soddisfazione dei diritti dei pensionati e delle aspettative dei lavoratori iscritti. Così il lavoratore può chiedere: il trasferimento della posizione al fondo pensione inerente la sua nuova attività, o può chiedere il riscatto della sua posizione individuale. riscatto che può essere parziale o totale. Il riscatto parziale è consentito nei casi di cessazione dell'attività lavorativa che comporta la disoccupazione per oltre 12 mesi ,e di ricorso da parte datore di lavoro a procedure di mobilità, cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria. Il riscatto totale è invece consentito nei casi di invalidità permanente che comporti la riduzione della capacità di lavoro a meno di un terzo e di cessazione dell'attività lavorativa che comporti la disoccupazione per oltre 48 mesi. Il riscatto totale non è invece consentito quando mancano meno di cinque anni alla maturazione della prestazione pensionistica complementare, ciò perché il lavoratore può chiedere l'anticipazione di questa prestazione sulla base del decreto legislativo 252. Per contro sei già è stato maturato il diritto a pensione, legge dispone l'intestazione della copertura assicurativa direttamente ai pensionati. Nel caso in invece di scioglimento del fondo pensione per vicende riguardanti soggetti tenuti a contribuzione viene applicata la disciplina prevista per il caso che vengano meno i requisiti di contribuzione; se invece il datore di lavoro cessa la sua attività si proceda lo scioglimento del fondo. 161 C. la portabilità della posizione previdenziale individuale. Già la legge 335 del 1995 aveva consentito il trasferimento ai fondi pensione aperti della posizione individuale maturata presso le forme di previdenza sindacali, dopo cinque anni iscrizione. La nuova disciplina contenuta nel c.6 dell'articolo 14 del decreto legislativo 252 attenua quei limiti in quanto attribuisce al lavoratore la facoltà di trasferire l'intera posizione individuale maturata ,ad un'altra forma pensionistica anche commerciale. Si aggiunga che la legge prevede che il datore abbia diritto al versamento non sono del trattamento di fine rapporto maturando, ma anche delle contribuzioni che la contrattazione collettiva avesse posto carico del datore di lavoro a favore delle forme di previdenza sociale. Problemi ci sono per la portabilità delle contribuzioni della contrattazione collettiva a posta carico del datore di lavoro per il finanziamento dei fondi mensili sindacali .Ciò perché il contratto collettivo che istituisce un fondo di previdenza complementare, quando prevede che sia finanziato anche con una contribuzione posta carico del datore di lavoro, esercita la sua fondamentale funzione, ossia dispone in ordine alla distribuzione del monte salari differenziandone il godimento di una quota che destina a realizzare più elevati livelli di copertura previdenziale rispetto quelli garantiti dalla previdenza pubblica. Peraltro, anche in questo caso, il contratto collettivo tende alla soddisfazione dell'intero interesse collettivo dei suoi destinatari. Interesse collettivo che presiede sia alle forme di previdenza complementare preesistenti, sia alle forme di previdenza complementare gestite con il sistema della capitalizzazione; ciò perché investimenti necessari alle istituzioni e alla gestione del fondo realizzano un interesse indiviso e indivisibile e tale è anche l'interesse a massima redditività degli investimenti. Del resto nel momento in cui ogni singolo lavoratore decidesse la portabilità della contribuzione al fondo pensione posta carico del datore, deciderebbe di una quota del monte salari. Ma non è ammesso che le scelte e le valutazioni individuali possano sovrapporsi alle scelte e alle valutazioni dell'autonomia sindacale impedendo così la realizzazione dell'interesse collettivo da queste individuato. Sono queste le ragioni per cui non può essere alterata la logica in base alla quale l'autonomia collettiva presiede alla gestione del monte salari destinandone una quota alla previdenza complementare. Pertanto una volta che il lavoratore abbia liberamente aderito alla forma di previdenza sindacale, ha definitivamente sotto ordinato il suo interesse a quello del gruppo, con la conseguenza che la previsione della portabilità non solo altera la funzione della contrattazione collettiva, ma è anche contraddittoria rispetto alla riconoscimento della libertà adesione. E in questa prospettiva d'essere considerato l'articolo 14 del decreto legislativo 252 che demanda alla contrattazione collettiva l'individuazione dei limiti e delle modalità per il trasferimento dell'obbligo contributivo posto da quella contrattazione a carico del datore di lavoro. Peraltro l'attribuzione alla contrattazione collettiva della facoltà di prevedere i limiti alla portabilità della contribuzione a carico del dolore di lavoro, dev'essere intesa anche come facoltà di escludere tale portabilità. In questo caso però la contrattazione dovrebbe evitare che il trasferimento del lavoratore all'altra forma di previdenza complementare si risolva in una estinzione del datore di lavoro dall'obbligo di contribuzione. Quindi sarebbe ragionevole che il contratto collettivo prevedesse che la contribuzione del datore continui ad essere versata al fondo pensione sindacale. 162 la disciplina delle forme di previdenza complementare preesistenti. Un particolare regime ed un regime transitorio sono previsti per le forme di previdenza integrativa, istituite prima delle 15 novembre 1992 dette forme preesistenti Varie sono le strutture dei regimi previdenziali aziendali preesistenti e cioè istituiti prima dell'entrata in vigore della legge ,che ha demandato al governo la disciplina di quei regimi. A volte, essi sono gestiti direttamente dal datore di lavoro e si parla quindi di fondi interni, mentre altre volte la gestione è affidata a strutture con soggettività autonoma, gestite da rappresentanti del datore e dei prestatori di lavoro. Altre volte ancora quei regimi realizzano la loro funzione attraverso la stipulazione di polizze di assicurazione. Le forme di previdenza complementare preesistenti conservano le strutture che ad esse erano state date nonché il regime del finanziamento e delle prestazioni. Inoltre possono continuare a essere gestite con il sistema della ripartizione, sistema che realizza una vera e propria solidarietà tra generazioni e che consente l'erogazione di pensioni con misura dell'ultima retribuzione e il loro costante adeguamento alla dinamica retributiva dei dipendenti in servizio. Tuttavia, l'esperienza insegna che il sistema ripartizione da scarse garanzie di realizzazione dei diritti dei pensionati e delle aspettative dei lavoratori iscritti, in quanto quei diritti e aspettative sono condizionate all'ammontare delle contribuzioni versate da lavoratori in servizio. Pertanto la legge ha disposto che il diritto alle prestazioni sia condizionata alla maturazione del diritto a pensione nel regime pubblico al quale il lavoratore iscritto. La corte ha ritenuto infondate i dubbi di legittimità costituzionale sollevate nei confronti di queste disposizioni, negando l'esistenza di un intollerabile lesione dell'autonomia collettiva e ritenendo legittima la compressione di quell' autonomia a ragione di superiori interessi generali, in quanto finalizzata ad assicurare la funzionalità e l'equilibrio dell'intero sistema pensionistico e così riaffermando il principio della necessaria funzionalizzazione e complementarietà della previdenza privata a quella pubblica. Inoltre, la legge ha anche disposto che l'adeguamento delle pensioni sia regolato dalla disciplina della perequazione automatica vigente nella previdenza complementare preesistenti. Infine ha previsto che le fonti istitutive delle forme di previdenza complementare preesistenti gestite a ripartizione possano rideterminare la disciplina delle prestazioni del finanziamento. La legge prevede anche la possibilità che i fondi preesistenti gestite a ripartizione possano adottare sistema della capitalizzazione. E ciò a volte è stata spesso realizzato mediante l'istituzione di un fondo pensione chiuso a favore dei lavoratori iscritti Infine per garantire una disciplina uniforme per tutti i fondi pensione, la legge ha disposto che le forme di previdenza preesistenti siano tenute definitivamente ad adeguarsi; alle nuove disposizioni dettate e alle forme di previdenza complementare di nuova istituzione, secondo i criteri e le modalità e nei tempi stabiliti dal decreto ministeriale.