1 Lucio Gentilini SUL SENSO DELLA STORIA Per comprendere

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Lucio Gentilini
SUL SENSO DELLA STORIA
Per comprendere qual è per me il senso della storia, cioè qual è il metodo di ricerca
storica da me adottato, è innanzitutto necessario chiarire tre punti:
1) cosa intendo per ‘senso della storia’;
2) se questo senso esiste;
3) e, se esiste, qual è.
I
Per senso della storia intendo che gli eventi sono connessi fra loro e che tali
connessioni (o, almeno, le principali) sono conoscibili.
II
I filosofi che per semplicità chiamerò irrazionalisti (come per es. Shopenhauer,
Kierkegaard, ecc.) negano che questo senso esista, o che comunque valga qualcosa,
ed alla loro posizione si adatta benissimo la proposizione 6.341 del ‘Tractatus’ di
Wittgenstein (che comunque qui stava parlando d’altro):
“… Pensiamo una superficie bianca, con sopra macchie nere irregolari. Noi diciamo
ora: Qualunque immagine ne nasca, sempre posso avvicinarmi quanto io voglia alla
descrizione dell’immagine, coprendo la superficie con un reticolato di quadrati
rispondente al fine e dicendo d’ogni quadrato che è bianco, o nero. A questo modo
avrò ridotto la descrizione della superficie in forma unitaria. Questa forma è
arbitraria, poiché avrei potuto impiegare con uguale successo una rete di maglie
triangolari o esagonali. … Alle diverse reti corrispondono diversi sistemi di
descrizione del mondo. …”.
Il significato di tutto ciò è chiaro: i fatti sono quelli che sono e non hanno alcuna
connessione fra loro; le varie filosofie (della storia) vengono calate su di essi per
permetterci di organizzarli in un disegno che li renda comprensibili, ma esse non
fanno parte della storia stessa (sono invece nostri artifici intellettuali), quindi il
disegno tracciato in base ad esse è una creazione arbitraria: ogni filosofia sarebbe
insomma in grado di ricostruire e di spiegare la storia a sua immagine e somiglianza
ed ognuna di queste ricostruzioni e spiegazioni della storia sarebbe diversa da quelle
offerte da ognuna delle altre filosofie.
La storia, insomma, non avrebbe un suo senso proprio, ma dargliene uno sarebbe
sempre possibile, seppur arbitrario.
Questa concezione della storia che la considera un caotico guazzabuglio di eventi
senza alcun ordine non è tuttavia accettabile perché cozza contro l’evidenza di tutta
la serie di praticamente infiniti nessi causali che li connettono invece fra loro - e che
possono oltretutto essere compresi e spiegati. Il senso della storia esiste.
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III
Il vero problema comincia però adesso, quando – stabilito che c’è - si deve chiarire
però di che senso si tratti. Su questo punto le posizioni dei vari filosofi della storia
sono ancora una volta numerose e diverse, ma, dovendo semplificare, esse possono
venir divise in due aree a seconda della risposta che danno alla domanda ‘chi è
l’artefice della storia?’: a tale domanda si può infatti rispondere che:
a) la storia non è fatta dagli uomini;
b) la storia è fatta dagli uomini.
a) A partire almeno dagli Stoici (III a.C.) per finire con Vico (XVIII), Hegel (XIX) ed
il neoidealismo italiano (Croce e Gentile), molti filosofi hanno sostenuto che la storia
ha un suo ordine interno, una sua logica di sviluppo, una sua forza intima (il Logos, la
Ragione, lo Spirito, ecc. o, per alcuni cristiani, Dio) che muove gli uomini come
passeggeri su un vagone; Hegel arrivò a parlare di ‘astuzia della Ragione’ per far
comprendere come questo soggetto universale usava i grandi protagonisti della storia
(lui aveva in mente Napoleone) che, credendo di perseguire i loro obiettivi, in realtà
realizzavano fini di cui non erano nemmeno consapevoli.
Versioni meno ‘intellettuali’ di queste filosofie parlano di destino, fatalità, ecc., ma il
principio è sempre lo stesso: noi non siamo padroni (né responsabili!) di quel che
accade e che ci accade.
Ritengo che le motivazioni che portano a queste filosofie siano fondamentalmente
due, ma entrambe rispondono allo stesso principio di economia psichica, cioè al
tentativo di trovare spiegazioni (al senso del corso degli eventi) col minor sforzo
intellettuale possibile.
La prima è che è confortante credere che gli eventi accadono come accadono perché
qualcuno o qualcosa li vuole così e che questo qualcuno o qualcosa è talmente grande
che possiamo solo accettarlo (e metterci l’animo in pace): ‘Perché è successo
questo?’ ‘Perché era destino, perché l’ha voluto Dio’, ecc.: tutto è chiaro e non ci si
pensi più.
La seconda motivazione dei sostenitori di questo tipo di filosofia è che essi partono
anche (e, spero, soprattutto) da un’osservazione senz’altro giusta, e cioè che troppe
cose accadono senza che nessuno le abbia previste e volute e che continuamente si
verificano esiti imprevisti (ed imprevedibili): per esempio da almeno un millennio
possiamo parlare di ‘progresso’ senza che nessun piano umano sia stato concepito (né
fosse umanamente concepibile, né tantomeno attuabile) in questo senso.
Come non concludere allora che ci dev’essere una regia universale ben al di sopra
degli uomini e che di conseguenza questi sono solo pedine inconsapevoli (o,
comunque, ben poco consapevoli)?
L’osservazione di cui sopra è sicuramente fondata e merita una spiegazione, ma
quella che sostiene l’esistenza di un soggetto autore universale (comunque lo si
chiami) è a dir poco infantile (cioè mitologica) e non vale niente: alla domanda
‘perché è accaduto questo?’ rispondere ‘perché Dio ha voluto così’ o ‘perché la legge
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del progresso ha richiesto questo passaggio’, ecc., significa ‘questo è accaduto così
perché doveva accadere così’ … ma questo è un semplice giro di parole!
b) Chi dunque sostiene – come me - che sono gli uomini a fare la storia si trova
anche a dover spiegare perché allora essa li sorprende così spesso e come è possibile
che sia tanto imprevedibile.
Io credo che i piani, i progetti, le azioni di ogni uomo e di ogni gruppo si
incrociano continuamente con quelli di altri e che da ognuno di questi incontri le
motivazioni degli uni e quelle degli altri escono modificate e cambiano così la
direzione dell’intero corso degli eventi.
Ecco perché la storia è imprevedibile, ecco come si risolve l’apparente paradosso
dell’ ‘eterogenesi dei fini’ di Max Weber e perché i futurologi sbagliano sempre: essi
tengono conto solo della direzione di una sola serie di fatti, non anche del suo
incrociarsi con quelli di altre serie e quindi delle conseguenti continue modifiche
dell’intero corso degli eventi.
Faccio un esempio: un minuto prima che i miei genitori si incontrassero per la prima
volta nessuno dei due conosceva nemmeno l’esistenza dell’altro e si trovarono
dunque nello stesso luogo nello stesso momento per cause (o serie causali) diverse ed
indipendenti l’una dall’altra, ma quell’incontro - che evidentemente non potè
assolutamente essere voluto da nessuno dei due - nondimeno cambiò le loro vite
perché da quel momento essi agirono in un modo nuovo e (ripetiamolo) prima
imprevedibile (e fece sì che io venissi al mondo).
Insomma: è ovvio che furono i miei genitori a scegliere di sposarsi, ma non di
incontrarsi e, dunque, agirono anche in seguito ad un evento del tutto fortuito.
Ecco allora che solo ricostruendo a posteriori quel che è avvenuto lo storico può
scoprire quel mix di caso e di necessità (uso queste due parole di proposito per
ricordare ‘Il caso e la necessità’ di Jacques Monod, anche se scritto
sull’evoluzionismo) che rendono gli eventi comprensibili e razionali nel loro
accadere, ma, appunto, solo a posteriori, solo dopo che sono accaduti perché, mentre
accadevano (o, addirittura, prima che accadessero), il loro incrociarsi, e dunque la
nascita di altri eventi e comportamenti, non era in alcun modo prevedibile: le nostre
previsioni sono insomma sempre un azzardo perché non tengono (né possono tenere)
conto del possibile (e probabile) incrocio con altre serie causali - indipendenti
appunto da quelle su cui si erano fondate le previsioni stesse.
Intendiamoci: così come Newton disse che se avesse conosciuto precisamente lo stato
di quiete e di moto di ogni particella dell’Universo avrebbe potuto prevederne la
storia (fisica) dei secoli seguenti, allo stesso modo ci sarà sempre qualcuno che potrà
dire che Dio o lo Spirito o la Ragione ecc. ha predisposto in partenza tutto questo
intrico ed incrociarsi di serie causali che modificano l’intero divenire per muovere
l’intera storia secondo i suoi disegni superiori, ma questo pensiero non dice nulla
(quindi non è nemmeno un pensiero) perché noi siamo uomini, solo uomini, e non
possiamo né pensare né agire al di sopra dei nostri limiti: oltretutto immaginare che
siamo nelle mani di forze onnipotenti ed imperscrutabili lascia le cose esattamente
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come sono e non può modificare in alcun modo i nostri comportamenti - a meno che
una casta sacerdotale non pretenda di esercitare il potere in nome di una sua supposta
conoscenza di questo mistero, ma questa è un’altra faccenda.
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