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CITTA’ DI BOLZANO
SYNERGIA FORMAZIONE
26 – 27 NOVEMBRE 2009
“AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE, SOCIETA’ PARTECIPATE
E RIFORMA DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI”
dott. Paolo NOVELLI
Consigliere della Corte dei conti
Vice Procuratore Generale
LA TUTELA DEL PATRIMONIO DELLE SPA PUBBLICHE
E LA GIURISDIZIONE CONTABILE
SOMMARIO: 1. L’APPLICAZIONE DELLA GIURISDIZIONE DI RESPONSABILITÀ NEI CONFRONTI DELLE
SOCIETÀ PUBBLICHE. LA COMPATIBILITÀ DELL’AZIONE DI RESPONSABILITÀ ‘ERARIALE’ CON LE
AZIONI
DI
RESPONSABILITÀ
PREVISTE
DAL
CODICE
CIVILE.
2. IL PROBLEMA
DELL’INDIVIDUAZIONE DEL SOGGETTO LESO. 3. SEGUE: LA CONFIGURAZIONE DEL RAPPORTO DI
SERVIZIO DI AMMINISTRATORI E DIPENDENTI DI SOCIETÀ PRIVATA NELLA RECENTISSIMA
PRONUNCIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, SS.UU. 27 OTTOBRE 2009 N. 23332. 4. AZIONE
ERARIALE ESCLUSIVA O CONCORRENTE DELLE AZIONI DI RESPONSABILITÀ PREVISTE DAL C.C.? 5.
IL DANNO ERARIALE RISARCIBILE IN CASO DI SOCIETÀ MISTE. 6. LE RESPONSABILITÀ DEI SOCI
PUBBLICI. 7. RECENTI ORIENTAMENTI DOTTRINALI. I TENTATIVI DI INDIVIDUARE DEI CRITERI DI
DISTINZIONE AI FINI DEL RADICAMENTO DELLA GIURISDIZIONE IN RAGIONE DELLE VARIE
TIPOLOGIE DI SOCIETÀ PUBBLICHE.
1. L’applicazione della giurisdizione di responsabilità nei confronti delle società pubbliche. La
compatibilità dell’azione di responsabilità ‘erariale’ con le azioni di responsabilità previste
dal codice civile.
Il mutamento dell’orientamento della Corte di Cassazione in merito alla giurisdizione di
responsabilità verso gli amministratori di enti pubblici economici e società pubbliche è stato
sollecitato (anche) dalla necessità di colmare una lacuna nella tutela degli interessi pubblici sottesi
all’impiego dei modelli privatistici.
La dottrina che ha criticato tale nuovo orientamento da un canto ha evidenziato l’eccentricità di un
intervento pubblico da parte del p.m. contabile nell’ambito di un sistema di controlli e di azioni che
viene già tratteggiato come chiuso o comunque completo e, dall’altro, comunque sia, ha opposto la
1
difficoltà di armonizzare il cumulo delle responsabilità oppure, al contrario, di configurare l’azione
erariale come sostitutiva di (tutte o solo parte di) quelle sociali.
Ulteriormente, si è anche messo in dubbio che sussista una vera necessità di riempire una lacuna
dell’ordinamento, in quanto piuttosto il cumulo delle responsabilità sarebbe ispirato ad una – seppur
non del tutto infondata – sfiducia nel socio pubblico e nella sua capacità di far valere sino in fondo i
propri diritti ed interessi all’interno dello schema societario1.
Ma tale ‘sfiducia’, così come il riscontro della necessità di colmare una ‘lacuna’, trovano i loro
presupposti nella stessa caratteristica fondamentale dell’intervento della giurisdizione contabile, che
non si riduce nel mero trasferimento della cognizione dal giudice ordinario a quello speciale, ma
appunto è caratterizzato dalla presenza presso di questi di un organo avente natura magistratuale
titolare di un’azione pubblica ed officiosa, secondo una ben precisa scelta rinvenibile nella stessa
Costituzione.
Si ripropongono anche per le ‘nuove figure giuridiche’ frutto delle recenti trasformazioni dell’agere
amministrativo, le medesime preoccupazioni che già furono risolte a suo tempo dalla Corte
Costituzionale con una serie di decisioni che misero in evidenza il ruolo peculiare del P.M.
contabile. Il richiamo ovviamente è diretto alla decisione del 5 marzo 1971 n.68, dove si riconobbe
che il P.M. contabile agisce come organo di giustizia imparziale e non invece come organo
amministrativo, né tanto meno quale mero sostituto processuale dell’Amministrazione, ma a tutela
dell’interesse generale oggettivo della regolarità della gestione finanziaria e patrimoniale dell’ente,
evitando tra l’altro il sospetto di compiacenti omissioni o l’affermarsi di pratiche lassiste ed in
ottemperanza anche al duplice principio dell’imparzialità e del buon andamento
dell’amministrazione, di cui all’art. 97 della Costituzione2..
Secondo l’opinione prevalente difatti, il P.M. contabile ripete la sua legittimazione ad agire
direttamente dalla legge, a tutela degli interessi collettivi, trascendendo quindi quelli particolari
dell’amministrazione danneggiata3. Per tali ragioni il P.M. non è vincolato dalle determinazioni
1
L. TORCHIA, Responsabilità civile e responsabilità amministrativa per le società in partecipazione pubblica: una
pericolosa sovrapposizione, in Serv.pubbl. e app. 2006, 223 e segg. spec. 234 e seg.. Tale argomento, obietta l’Autrice,
“…comporta un’assunzione pregiudiziale e indimostrata: ove sussista un interesse pubblico, quale che sia la sua
concreta configurazione giuridica gli strumenti di tutela di quell’interesse devono a loro volta essere pubblici. Gli
strumenti e i modelli di diritto privato, dei quali pure si invoca la neutralità rispetto ai fini perseguiti, sono ritenuti
invece a priori inidonei ad assicurare la tutela dell’azionista pubblico, del capitale sociale pubblico, del patrimonio
pubblico. Ma è davvero così? Se si seguisse un approccio sostanzialista meno unilaterale, la “sostanza” delle cose
potrebbe trovarsi nella qualità di azionista, nella funzione del capitale sociale rispetto alla società, nelle azioni a difesa
del patrimonio, indipendentemente dalla qualifica pubblica privata. Si potrebbe allora misurare l’idoneità delle azioni
e dei rimedi disponibili in base agli effetti che sono in grado di produrre, utilizzando il diritto pubblico e il diritto
privato non come universi di credenza, ma come insiemi di strumenti e rimedi, ai quali si può ricorrere in alternativa, o
che possono essere coordinati in relazione alla medesima fattispecie, ma non sovrapposti e cumulati, pena la
distorsione degli istituti e la produzione di effetti indesiderati. E indesiderata dovrebbe essere la mortificazione
dell’attività di impresa (pubblica o privata) da parte della giurisdizione contabile”.
2
In F.amm. 1971, I, 2, 89, affermava la Corte Costituzionale: <…Se si guarda poi ai motivi di fondo che giustificano la
pari sottoposizione alle medesime regole dei giudizi di conto e degli altri giudizi di responsabilità nei confronti dei
pubblici dipendenti, chiaro appare come debba disattendersi l'argomento addotto dalla difesa della Regione, laddove
afferma che la responsabilità del dipendente che abbia commesso un illecito nulla avrebbe in comune con la contabilità
pubblica, configurandosi come una qualsiasi responsabilità in cui potrebbe incorrere, per fatti analoghi, qualunque
altro soggetto. Giacché quel che viene in considerazione ai fini che qui interessano è il rapporto interno di servizio tra
l'agente e l'amministrazione, e non l'eventuale rapporto tra il primo e il terzo danneggiato.
Sta qui il punto di raccordo tra la finanza e la contabilità pubblica e la responsabilità dei pubblici dipendenti per i
danni da essi recati - direttamente o, come nel caso, indirettamente - all'amministrazione di appartenenza; e sta qui il
punto di raccordo tra la giurisdizione contabile in senso stretto e la giurisdizione della Corte dei conti sulle
responsabilità in genere dei pubblici dipendenti, per illecito di gestione, nelle sue varie possibili forme. L'una e l'altra
giurisdizione tendono a garantire l'interesse generale oggettivo alla regolarità della gestione finanziaria e patrimoniale
dell'ente, evitando tra l'altro il sospetto di compiacenti omissioni o l'affermarsi di pratiche lassiste: in ottemperanza
anche al duplice principio della " imparzialità" e del "buon andamento "dell'amministrazione, di cui all'art. 97 della
Costituzione.>.
3
A.M.SANDULLI, Funzioni pubbliche neutrali e giurisdizione, in Riv.Dir.Proc. 1964, 207; P.MADDALENA, Azione
pubblica civile del P.M. presso la Corte dei conti, in La giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica, Roma 1994,
2
dell’Amministrazione, da rinunce a procedere verso l’autore del danno, né tanto meno da accordi
transattivi o da quantificazioni dei danni diverse da quelle che devono essere accertate in piena
autonomia dal giudice contabile4.
Diversamente, sul piano del sistema delle azioni di responsabilità e dei controlli previsti per le
società, i dubbi circa la loro idoneità a garantire l’effettività degli interessi sociali è stata già
frequentemente posta in luce dalla dottrina e, d’altro canto, lo stesso sistema di controlli
amministrativi e giudiziari che affiancano quelli azionabili per iniziativa degli organi sociali,
dei terzi o dei creditori, dimostra già, pur nelle innegabili diversità di presupposti, il
riconoscimento giuridico della necessità di interventi eteronomi e pubblici di supplenza.
In merito deve rammentarsi che con una recente modifica, disposta con la legge 28 dicembre 2005
n.262 (art.3, comma 1°, lett.a, numero 1), è stato introdotto all’art. 2393 terzo comma c.c., l’ipotesi
di promozione dell’azione di responsabilità da parte del collegio sindacale, con decisione assunta a
maggioranza dei due terzi dei componenti. In proposito è stato osservato che tale previsione assume
un valore particolare per le società in mano pubblica, venendo a sottrarre l’esclusiva titolarità
dell’esercizio dell’azione all’assemblea, che in concreto si identifica con un Ministero od un ente
98. L.SCHIAVELLO, Processo contabile, E.d.D. XXXVI 713 ss. ID. Responsabilità contabile Ibid. XXXVIII 1381 ss.;
ID. Il nucleo storico del processo contabile, in Riv.Trim.Dir.Pubbl. 1981, 1193 ss..
4
Ulteriori riconoscimenti della valenza costituzionale dell’attribuzione della legittimazione ad agire al P.M. presso la
Corte dei conti con sottrazione contestuale alle amministrazioni lese si rinvengono anche in Co. Cost. 26 giugno 1970,
n. 110 (in F.amm. 1971, I, 1, 163), in Co. Cost. 30 dicembre 1972 n. 211 (in F.amm. 1973, i, 1, 245). Il ruolo particolare
del P.M. contabile è descritto poi nella sentenza Co. Cost. 9 marzo 1989 n.104 (in F.It. 1989, III, 1346): <…Il
Procuratore Generale della Corte dei conti, nella promozione dei giudizi, agisce nell'esercizio di una funzione obiettiva
e neutrale. Egli rappresenta l'interesse generale al corretto esercizio, da parte dei pubblici dipendenti, delle funzioni
amministrative e contabili, e cioè un interesse direttamente riconducibile al rispetto dell'ordinamento giuridico nei suoi
aspetti generali ed indifferenziati; non l'interesse particolare e concreto dello Stato in ciascuno dei settori in cui si
articola o degli altri enti pubblici in relazione agli scopi specifici che ciascuno di essi persegue, siano pure essi
convergenti con il primo.>. Una recentissima conferma si rinviene a contrario nella sentenza della Corte Costituzionale
19 gennaio 2007 n.1, dove è stata riconosciuta l’incostituzionalità delle norme del regolamento di procedura che non
prevedevano la presenza nel processo dell’amministrazione finanziaria nel giudizio promosso dal concessionario della
riscossione per il denegato discarico di quote inesigibili: <…il giudizio de quo per rifiutato rimborso di quote di
imposta inesigibili fuoriesce dallo schema generale dei giudizi contabili, nei quali il pubblico ministero, intervenendo a
tutela dell'ordinamento e degli interessi generali ed indifferenziati della collettività (sentenza n. 104 del 1989), agisce,
per questa via, anche a tutela degli interessi concreti e particolari dei singoli e delle amministrazioni pubbliche. Infatti
tale giudizio è ad istanza di parte e l'azione è esercitata nel suo esclusivo interesse dall'esattore, il quale è solo uno dei
soggetti del rapporto contabile in discussione, mentre l'amministrazione finanziaria, che è l'altro soggetto del
medesimo rapporto, resta fuori dal processo.>.
Recentemente, in merito alla posizione del p.m. ed all’interesse di cui sarebbe portatore nel processo: A.CORPACI: Il
principio cardine del giudizio di responsabilità amministrativa: l’attribuzione del potere d’azione al P.M. presso la
Corte dei conti,, in atti del Convegno di Varenna 15 – 17 settembre, Responsabilità amministrativa…op. cit. 265 e
segg.. ed anche A.PAJNO, Il rapporto con le altre giurisdizioni: concorso o esclusività della giurisdizione di
responsabilità amministrativa, ivi, 139 e segg., spec. 174 – 175; di tali autori si darà ulteriore conto in seguito nel testo.
Il principio dell’esclusività della legittimazione ad agire del P.M. contabile nel giudizio di responsabilità
amministrativa non viene messo in discussione da altri casi previsti dal T.U. delle norme sulla C.d.c. e dal regolamento
di procedura (R.D. 1038/1933) che prevedono l’ipotesi di giudizi di accertamento (negativo) della responsabilità ad
istanza del (presunto) responsabile, oppure comunque iniziative di natura cautelare da parte della stessa
amministrazione (quale ad esempio il caso della ritenuta cautelare ex art. 73 del R.D. 18 novembre 1923 n°2440, art.1
R.D.L. 19 gennaio 1939 n°295 e art. 58 del T.U. 1214/34), poiché in tutti questi casi è previsto comunque non solo
l’intervento del P.M. nel giudizio, ma altresì, anche ipotizzando una valorizzazione giurisprudenziale del ruolo
dell’amministrazione, non potrebbero ammettersi iniziative trasmodanti l’ambito ristretto dei giudizi ad istanza di parte
(e di quelli relativi ai rapporti correnti con i concessionari della riscossione), dove comunque resta indefettibile il ruolo
regolatore del P.M. e, solo per l’iniziativa autonoma di questi, l’accertamento potrebbe tramutarsi in una sentenza di
condanna del responsabile; sull’eventualità di un’azione di ‘accertamento’ ‘positivo’ della responsabilità, si v.
P.NOVELLI, L’accertamento della responsabilità amministrativa promossa davanti alla Corte dei conti da soggetti
diversi dal PM contabile. Questioni vecchie e nuove sui giudizi ad istanza di parte e sulla giurisprudenza contabile alla
luce della recente giurisprudenza della Corte dei conti e della Corte di Cassazione, in Riv. C. d. c., 2001, 3, 177 e ss..
Sul ruolo del P.M. nei giudizi di responsabilità, sia consentito infine il rinvio a P. NOVELLI, I provvedimenti cautelari
nei giudizi contabili, Milano, 2009, spec. Cap. III.
3
pubblico, sottraendola in sostanza ad un organo politico ed affidandola ad un organo tecnico, il
quale a sua volta sarebbe certamente sindacabile dal giudice contabile, nella nuova ampliata sfera di
giurisdizione, per il mancato esercizio dell’azione di responsabilità qualora ve ne fossero stati i
presupposti e la necessità dell’iniziativa5.
Da tempo la dottrina ha messo in evidenza che la pratica giudiziaria mostra come il ricorso alle
azioni di responsabilità trovi il suo principale teatro processuale in ipotesi di società fallite o
comunque assoggettate ad altra procedura concorsuale, con evidente modificazione degli stessi
criteri di quantificazione ed imputazione del danno, tanto che di frequente viene imputata alla
condotta degli amministratori la produzione dell’intero stato di decozione, identificato in pratica
con lo stesso danno risarcibile6.
Più in particolare, da tempo si è posto in evidenza7 che solo assai raramente si vede il ricorso ad
azioni di responsabilità mentre le società sono in bonis, stante il rapporto fiduciario che lega gli
amministratori alla maggioranza, e che per lo più tali casi si sono verificati in occasioni particolari,
come mutamenti nella maggioranza assembleare, in seguito a cessioni dei pacchetti azionari di
controllo8. Le rare ipotesi di azioni promosse dalla minoranza sono state possibili dalla circostanza
che la maggioranza delle azioni era in possesso degli amministratori, ai quali era precluso il voto
stante il conflitto di interessi (art. 2373 terzo comma c.c.) o comunque dalla presenza di altri
conflitti di interessi in capo ai detentori della maggioranza9.
Nella società in bonis peraltro, la dottrina ritiene che l’azione di responsabilità abbia prevalente
natura sanzionatoria delle condotte degli amministratori, mentre nell’azione esercitata dal curatore
nel fallimento essa assumerebbe più evidenti finalità recuperatorie. In entrambi i casi comunque è
evidente che la sproporzione tra i patrimoni degli amministratori ed i danni arrecati ha fatto
assumere alla responsabilità degli amministratori altresì sempre più funzioni di deterrenza10. Tali
5
così: E. CARDI, Le società di proprietà pubblica, riflessione sulle problematiche emergenti in Serv. pubbl. ed app.
2006, 237 e segg., 243.
6
In merito all’orientamento, ancora prevalente che quantifica i danni nella differenza tra l’ammontare del passivo e
dell’attivo derivato dall’esito della procedura fallimentare, si v. i richiami di dottrina e giurisprudenza di F.BONELLI,
Gli amministratori di s.p.a. dopo la riforma delle società, Milano 2004, a p. 166 in nota 225 ed a pag.174 in nota 238.
7
F.BONELLI La responsabilità degli amministratori di società per azioni MILANO, 1992; ID., Gli amministratori di
s.p.a. dopo la riforma delle società, Milano, 2004; TISCINI I presupposti delle azioni di responsabilità contro gli
amministratori di società di capitali, in Il dir. fall. e soc. comm. 1998, I, 9 e segg..
8
La riserva della competenza all’assemblea di promuovere l’azione di responsabilità comporta la riserva dell’azione
alla stessa maggioranza che ha nominato gli amministratori ed alla quale è legata da rapporto fiduciario con gli
amministratori. Il risultato è che fino a quando perdura tale rapporto fiduciario l’azione non verrà esercitata ed i danni
arrecati dagli amministratori all’impresa saranno scaricati sull’intera compagine sociale (R.WEIGMANN
Responsabilità e potere legittimo degli amministratori Torino, 1974, 112).
9
F. BONELLI, la responsabilità, op.cit. 160 – 164. Il medesimo autore peraltro rileva (195), che tale divieto è
facilmente aggirabile conferendo le azioni a società finanziarie, a prestanomi, a riporto o pegno a terzi: v. Trib. Reggio
Emilia 20 dicembre 2002 in Giur. It. 2003, 953.
L’art. 2391 c.c. non impone un obbligo generale di astensione ma un obbligo di adeguata motivazione da parte del
Consiglio per dare corso all’operazione per la quale l’amministratore abbia segnalato la presenza di un proprio
interesse. Tali interessi non devono essere necessariamente configgenti con quelli societari, cioè incompatibili con
l’interesse sociale, ma possono concorrere anche solo con l’interesse sociale od anche essere compatibili.
Si ritiene in dottrina che l’art. 2391 c.c. sia espressione del principio di dover agire con correttezza (L.NAZZICONE, in
L.NAZZICONE –S. PROVIDENTI, Commento artt.2380 – 2409 noviesdecies c.c. in (a cura di) LO CASCIO, La
riforma del diritto societario, Milano, 2004, 148), rinvenibile anche negli artt. 2403 c.c. e 2497 c.c.. La medesima
autrice osserva che sono mancate peraltro nella riforma le regolamentazioni di alcune situazioni di conflitto di interessi,
quali il caso dell’amministratore unico, od il conflitto che involga l’intero consiglio, nel presupposto che l’interesse
coinvolga un singolo componente. In questi casi nulla impedisce che la deliberazione sia comunque presa, rimanendo
solo in capo al collegio sindacale la possibilità di impugnare la delibera. Osserva L.NAZZICONE che tale situazione si
può verificare di sovente nel caso di fusione di società, dove una sia partecipata dell’altra, in caso di incongrua
determinazione del rapporto di cambio delle azioni, anche se, precisa l’autrice, danneggiati sarebbero i soci di
minoranza e non la società controllata, cosicché si tratterebbe non di conflitto di interesse ma di abuso di potere (cfr.:
Cass. 11 dicembre 2000 n. 15599, in F.It. 2001, I, 1932).
10
F.BONELLI, La responsabilità, op. cit. 133.
4
finalità poi si riflettono sulle concrete valutazioni di convenienza delle azioni da parte dei soggetti
portatori degli interessi e quindi sulla decisione, in ultima analisi, di dare corso o meno alle stesse.
Se dunque ordinariamente le azioni di responsabilità sono proposte nell’ambito della procedura
fallimentare, in quella sede la scelta di promuovere l’azione trova ordinariamente giustificazione
nel tentativo di conseguire il migliore esito positivo della procedura, stante anche l’impossibilità di
pervenire a esiti transattivi o conciliativi, i quali invece possono ben sopravvenire in seguito alla
proponibilità delle azioni esercitate in bonis, così come invero è dato riscontrare di sovente nella
pratica11.
L’officiosità della procedura concorsuale fa venir meno in sostanza la stessa disponibilità
dell’azione di responsabilità, così come poteva intendersi nel caso delle azioni promosse quando la
società era in bonis. Difatti, in tale ambito subentra il controllo del giudice delegato anche
sull’eventuale transigibilità delle azioni esercitate dal fallimento verso gli amministratori (nel
fallimento l’azione del singolo socio o del terzo concorrono con quelle esercitate dal curatore: art.
146 l.f. che richiama gli artt. 2393 e 2394 c.c., da esercitarsi comunque nell’ambito del fallimento).
Ed invero, nel contesto sopra accennato di controlli che affianca il sistema ordinario delle azioni di
responsabilità, si deve rammentare che vi sono altri soggetti, oltre gli organi sociali, i terzi ed i
creditori, legittimati a promuovere l’azione di responsabilità, essi sono:
l’amministratore giudiziario nominato ex art. 2409 c.c.;
il curatore del fallimento autorizzato dal giudice delegato e sentito il comitato dei creditori (art. 146
secondo comma L.F. ed art. 2394bis c.c.);
il commissario liquidatore nelle procedure di liquidazione coatta amministrativa, sentita l’autorità
preposta alla liquidazione (art. 206 primo comma L.F.);
il commissario delle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi art. 3
legge 3 aprile 1979 n.95);
il collegio sindacale ex art. 2393 terzo comma c.c.;
Deve inoltre ricordarsi l’azione di responsabilità che possono esercitare i commissari liquidatori
(previa autorizzazione della Banca d’Italia) nei confronti dei membri degli organi amministrativi e
di controllo delle società di gestione dei fondi comuni d’investimento mobiliare (art. 3 quinto
comma legge 23 marzo 1983 n.77); ed è significativo che in questo caso l’azione mira a far
profittare dell’esito non già la società di gestione ma il fondo comune danneggiato dall’attività
illecita degli amministratori (<<nell’interesse comune dei partecipanti>>)12.
Prima dunque di considerare ulteriormente in quale rapporto si pongano le azioni ordinarie di
responsabilità rispetto l’azione erariale promossa dal P.M., pare opportuno approfondire
ulteriormente le rispettive caratteristiche, per trarne spunti in merito ai punti di divergenza o
convergenza.
Procedendo per ordine di rilevanza, è noto che le azioni di responsabilità sono innanzi tutto quelle
sociali (art. 2393 e 2393bis c.c.), nel senso che esse sono dirette a vantaggio della società; tali
azioni, per opinione invalsa, hanno natura contrattuale in quanto il loro presupposto è costituito
La società può difatti rinunziare e transigere l’azione di responsabilità con espressa deliberazione dell’assemblea
(art. 2393 sesto comma c.c.), salvo che esprima voto contrario una minoranza di soci che rappresenti almeno il quinto
del capitale sociale (o quella diversa prevista dallo statuto per le iniziative dei soci di minoranza ex art. 2393bis c.c. 1° e
2° comma, comunque non superiore ad un terzo), o di un quarantesimo, per società che fanno ricorso al mercato del
capitale di rischio (società quotate e società ‘aperte’), così ridotta la percentuale dal 5%(un ventesimo) al 2,5% per tali
società dall’art. 3 della legge 28 dicembre 2005 n.262.
La rinuncia o la transazione può aver per oggetto anche l’azione di responsabilità promossa dall’amministratore
giudiziario, ex art. 2409 c.c., una volta che, terminata la procedura e nominati i nuovi amministratori, essa sia deliberata
favorevolmente dall’assemblea. Non vi è difatti coincidenza nel codice civile tra la quota di capitale sociale prevista per
opporsi alla delibera di approvazione della decisione di rinuncia all’azione sociale (20% del capitale per le non quotate),
e quella stabilita per legittimare la denuncia del socio al tribunale ex art. 2409 c.c. (10% per le non quotate).
Vedi invece l’art. 2409decies c.c.,che stabilisce la salvezza dell’azione della minoranza e delle azioni spettanti ai
creditori sociali anche in caso di rinuncia da parte dell’assemblea o del consiglio di sorveglianza.
12
Si veda: F.BONELLI La responsabilità degli amministratori.. op. cit.; ID., Gli amministratori di s.p.a... op. cit.;
TISCINI I presupposti.., op. cit..
11
5
dalla violazione da parte degli amministratori dei doveri derivanti dalla legge e dallo statuto
nell’esercizio di atti che siano espressione delle loro attribuzioni13.
Quanto invece all’azione dei creditori sociali ex art. 2394 c.c., è discusso se essa abbia natura extra
contrattuale oppure natura contrattuale14. Secondo un’opinione15 essa è da ritenersi contrattuale
poiché anche se estranei dal rapporto obbligatorio corrente tra i creditori e la società, gli
amministratori agiscono sempre per conto della società e la riferibilità dei loro atti è imputabile alla
società per il principio della immedesimazione organica16.
In via assolutamente prevalente pare invece assestata l’opinione che individua l’azione del singolo
socio o del terzo ex art. 2395 c.c., come avente natura extra contrattuale.
La natura contrattuale dell’azione di responsabilità degli amministratori svolge conseguenze sul
piano della distribuzione dell’onere della prova, dovendo la società solamente provare il fatto posto
in essere dagli amministratori ed il danno come conseguenza immediata e diretta. A mente dell’art.
1218 c.c. la colpa difatti si presume e la prova liberatoria spetta agli amministratori convenuti17.
La natura contrattuale dell’azione dei creditori sociali è anche sostenuta per assimilazione a quella
sociale: si è obiettato18 difatti che in caso contrario dovrebbe ritenersi che una medesima condotta
possa ricevere un trattamento processuale, sotto il profilo della ripartizione dell’onere probatorio,
diverso a seconda che l’azione sia promossa dalla società o piuttosto dai creditori sociali. Le
differenze effettive peraltro si scolorano nella misura in cui si ammetta – pur ritenendo cioè la
natura extra contrattuale dell’azione dei creditori – l’invocabilità della presunzione di colpa (Trib.
Milano, 19 gennaio 1974, in Giur. Comm. 1974, II, 174).
Sotto questo punto di vista, diversamente, l’azione erariale di responsabilità promossa dal P.M.
contabile, seppur non si voglia ritenere che abbia propriamente natura extra contrattuale, come
ritenuto da Cass. 19667/03, nondimeno presuppone la sussistenza dell’onere della prova in capo al
soggetto pubblico agente.
13
La natura contrattuale è pacificamente affermata in dottrina (FERRI Diritto commerciale, Torino, 1987; DI
SABATO, Le società, Torino, 1996; CAMPOBASSO, Diritto commerciale, Torino, 1992; BONELLI, la responsabilità
degli amministratori di società per azioni, Milano 1992; MINERVINI, Gli amministratori di società per azioni, Milano
1956; SALAFIA, Profili di responsabilità di amministratori e sindaci in Società, 1988, 1005), ed in giurisprudenza
(Cass. 16 gennaio 1982, n.280; SS.UU. 6 ottobre 1981 n.5241 in Giur. Comm. 1982, II, 768, con nota di BONELLI
Natura giuridica delle azioni di responsabilità).
14
Si veda in merito, per le varie opinioni: DI SABATO op. cit. 504; Cass. 22 novembre 1971 n.3371; BONELLI, op.
cit. 208; GALGANO op. cit. 286; Trib. Milano 6 febbraio 1989, in Giur. It. 1989, I, 2, 758; Trib. Roma 5 dicembre
1986, in Fallimento, 1987, 854.
15
TISCINI, op.cit..
16
Si ritiene che le azioni di responsabilità sociale e del terzo o del socio possano cumularsi, ogni qual volta le condotte
illecite abbiano arrecato danno sia al patrimonio sociale sia direttamente a quello del socio o del terzo (Cass. 3
novembre 1983 n.6469. In dottrina, FERRI, Società, in VASSALLI (diretto da) Trattato di dir. civ. it., Torino, 1987,
ipotizza il caso di un bilancio redatto senza l’osservanza delle norme che debbono presiedere alla sua formazione, sulla
base del quale siano distribuiti utili fittizi, e sia deliberato un contemporaneo aumento del capitale sociale, sottoscritto in
parte dai soci ed in parte dai terzi: vi sarebbe un danno alla società, e un danno dei soci e dei terzi che versano somme
che sono già assorbite dalle precedenti perdite). L’azione del socio è esercitabile anche in pendenza di fallimento, stante
che il curatore subentra solo nelle azioni sociali, ma non in quelle che erano stabilite dall’art. 2395 ed anche ex. 2449
primo comma c.c. (nella numerazione ante riforma: divieto di intraprendere nuove operazioni dopo lo scioglimento).
Dopo la riforma del 2003, peraltro, l’art. 2449 primo comma è stato eliminato, e conseguentemente al creditore della
società non resta che l’esperimento dell’azione prevista dagli artt. 2485 primo comma (accertamento di una causa di
scioglimento) e 2395 c.c.. Ne deriva quindi che in caso di fallimento il creditore perde quella possibilità di concorrere
con le azioni di responsabilità del curatore nei confronti degli amministratori, salvo appunto le ipotesi di cui all’art.
2395 c.c.. Ora l’art. 2394bis c.c. stabilisce espressamente che le azioni sociali spettano dopo l’apertura delle procedure
concorsuali, agli organi delle rispettive procedure.
17
F.BONELLI, La responsabilità.. op. cit. 159; Cass. 9 luglio 1979 n.3925; DI SABATO, op. cit. 501; GALGANO,
Diritto commerciale, p. 285.
18
TISCINI, op.cit..
6
E’ discusso nell’ambito della dottrina quale sia il rapporto che lega l’azione dei creditori sociali a
quella sociale. Per un orientamento, le due azioni sono autonome19, mentre per altra opinione quella
dei creditori sociali avrebbe natura surrogatoria di quella sociale20.
L’opinione che ritiene preferibile l’autonomia delle due azioni21si fonda anche sulla considerazione
che in ragione della diversità degli interessi che sottendono le due azioni e dell’eventuale diversità
degli effetti dannosi che il medesimo comportamento potrebbe produrre, potrebbe darsi che non
sussista – quanto meno non sempre e necessariamente – una totale coincidenza tra ciò che può dirsi
inadempimento per la società o per i creditori sociali od ancora per i singoli soci, sebbene
indiscutibilmente per tutte le azioni l’interesse primario è quello della conservazione dell’integrità
del patrimonio sociale.
Nondimeno, mentre per l’azione sociale il richiamo ai ‘doveri posti dalla legge o dall’atto
costitutivo’ ha tradizionalmente configurato l’azione sociale come avente contenuto atipico, nel
senso che ogni violazione di quegli obblighi può astrattamente configurare una responsabilità verso
la società, non potrebbe dirsi parimenti anche per i creditori sociali o per i terzi nell’eventualità che
qualsiasi atto di mala gestio possa ridurre a tal punto la consistenza patrimoniale da non rendere la
società più in grado di fronte alle obbligazioni assunte (in altre parole, secondo quanto affermato
dalla stessa relazione al c.c. del 1942, l’ingerenza dei creditori nella vita della società può
ammettersi solo quando essi non trovino più nel patrimonio della società la soddisfazione del
proprio credito)22.
Si tratta peraltro di argomentazioni aventi più che altro natura meramente teorica, poiché nella
pratica l’azione dei creditori sociali ha visto applicazione quasi esclusivamente in sede di procedura
concorsuale, promossa dal curatore in via cumulativa (ex art. 146 secondo comma L.F.) con quella
sociale. La ragione si rinviene nel fatto che la condizione posta dall’art. 2394 secondo comma c.c.
(insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti sociali) viene a sostanzialmente
coincidere con quella posta dalla stessa legge fallimentare per dichiarare il fallimento della società
lo stato di insolvenza (si veda ora l’art. 2394bis c.c.) 23.
Ulteriore particolarità è data dalla modifica del termine di prescrizione posto dalla novella (cinque
anni dalla cessazione della carica dell’amministratore), che potrà porre probabilmente rilevanti
problemi di delimitazione con condotte penalmente rilevanti o comunque riconducibili ad illeciti
extracontrattuali (per le quali rispettivamente decorrerebbe il più lungo termine di prescrizione
stabilito per il reato ed il termine quinquennale dalla commissione del fatto dannoso) ed ancor più
con i diversi criteri di decorrenza dei termini posti dalla disciplina speciale per l’azione erariale24.
19
DI SABATO, op. cit. 505; F.GALGANO, op. cit. 287; in giurisprudenza: Trib. Roma 7 marzo 1991 in NGCC 1992,
I, 283.
20
MINERVINI, op. cit. 229; FERRI, op. cit. 529; in giurisprudenza: Cass. 27 novembre 1982 n.6431; Cass. 14
dicembre 1991 n.13498; Trib. Milano 4 ottobre 1984 in Soc., 1985, 177; App. Bologna, 8 luglio 1978 in Giur. Merito
1979, 864
21
TISCINI, op.cit. 16; DI SABATO, op. cit. 505
22
così: TISCINI, op.cit. 17: l’esempio può essere dato dall’irregolare tenuta della contabilità, sempre poi che tali
irregolarità abbiano prodotto od agevolato una qualche forma di danno per la stessa società. In proposito si vedano:
Cass. 25 luglio 1979 n. 4415; 19 dicembre 1985 n.6493; 22 giugno 1990 n.6278.
23
Sebbene in dottrina (F.GALGANO) si sia osservato che potrebbe anche darsi il caso che la società possieda ancora un
patrimonio integro ma sia incapace di assolvere alle sue obbligazioni. Si trova ricorrentemente affermato che nel
fallimento le azioni di responsabilità sociale e dei creditori sociali confluiscono in un’unica azione, prevista dall’art. 146
L.F.; tale azione non costituisce un tertium genus ma si configura come unitaria, cumulando i presupposti qualificanti
delle due forme di tutela ed altresì inscindibili, nel senso che devono necessariamente ritenersi proposte entrambe,
fermo restando però che ciascuna di esse mantiene gli stessi presupposti sostanziali e processuali che aveva in
precedenza (Trib. Torino 23 novembre 1990 in Il Fallimento,1991, 631; Trib. Napoli 12 maggio 2004, in Società 2005,
8, 1013 e segg; Trib. Milano 14 novembre 2006, in Le Società 2007, 7, 864, con commento di T.LEONE)
24
In via ordinaria il termine di prescrizione decorre dal momento in cui si è prodotto il danno alla società (non dunque
da quello della condotta illecita: Cass. 25 luglio 1979 n.4415; Cass. 9 luglio 1979 n. 3925). Peraltro, a mente dell’art.
2941 n.7 c.c., la decorrenza della prescrizione sarebbe comunque sospesa finchè gli amministratori restano in carica,
cosicché rileva in sostanza solo il termine di cessazione della carica. Tale principio è ora espressamente trasfuso nel
nuovo art. 2393 terzo comma c.c.
7
Il rilievo preminente che la pratica giudiziaria ha dato alle azioni di responsabilità nell’ambito
(assolutamente prevalente) delle procedure concorsuali, ha influenzato grandemente gli stessi criteri
invalsi per la determinazione e quantificazione del danno.
Con riferimento all’azione sociale, si è affermato che il danno non è solo quello produttivo di una
diminuzione patrimoniale causato da un singolo atto di mala gestio, ma anche la perdita derivante
dal mancato perseguimento di uno scopo di lucro (BONELLI). Di contro, non ogni diminuzione
patrimoniale od un’esposizione debitoria può essere assiomaticamente parificata a responsabilità
poiché essa dovrebbe essere conseguenza immediata e diretta degli inadempimenti degli
amministratori.
Per l’azione dei creditori sociali l’area del danno risarcibile è invece delimitata dalla diminuzione
patrimoniale prodotta dall’operazione di gestione dannosa .
Nella stessa quantificazione del danno, nella giurisprudenza civile si rinveniva frequentemente il
ricorso a tali criteri presuntivi e ciò comportava che al riconoscimento delle condotte illecite non
seguisse l’accertamento del danno nei limiti delle conseguenze immediate e dirette che esse
avessero prodotto, ma piuttosto che lo si individuasse direttamente nella differenza tra quanto fosse
risultato dalla liquidazione dell’attivo per effetto della procedura concorsuale ed il passivo del
fallimento.
Tale orientamento – sebbene variamente criticato in dottrina25 - era teoricamente giustificato sulla
considerazione che gli amministratori avrebbero continuato l’attività sociale anche in presenza di
una causa di scioglimento della società, arrecando quindi il pregiudizio alla garanzia patrimoniale26.
Il problema dell’individuazione e quantificazione del danno assume poi particolare rilievo nei casi
di irregolarità commesse nella tenuta della contabilità (mancanze od irregolarità) o quando si
Peraltro, si è osservato in dottrina che la previsione di un termine quinquennale decorrente in ogni caso dalla data di
cessazione della carica degli amministratori, fa sorgere notevoli problemi quando la produzione del danno non sia
contestuale alla condotta, ma esso segua anche a notevole distanza di tempo (l’esempio maggiormente ricorrente
potrebbe essere dato dalla violazione degli obblighi tributari o contributivi, o dalla realizzazione di un rapporto
contrattuale con un soggetto che già si sapeva insolvente o non affidabile ma che ha prodotto le conseguenze dannose
per la società a notevole distanza di tempo). In tali casi, quando cioè il danno emerga o sorga successivamente al
compimento del quinquennio dalla cessazione della carica degli amministratori, poiché l’esperibilità dell’azione di
responsabilità presuppone altresì la produzione del danno per la società, in disparte i casi in cui la conoscenza o la
conoscibilità del fatto dannoso sia impedita al soggetto leso per effetto del comportamento doloso del responsabile, e
quindi ricorra il caso della sospensione del termine ex art. 2941 n.8 c.c., potrebbe darsi che la possibilità giuridica di
tutela in giudizio del diritto di credito leso sorga quando tale diritto si è già prescritto.
Al fine di ovviare ad un patente dubbio di contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., si è proposta (NAZZICONE, op.cit. 198),
come interpretazione secundum Costitutionem, che la prescrizione così congegnata operi purchè entro quel termine il
danno si sia già verificato (con conclusioni non dissimili, seppur richiamando l’applicazione del principio generale actio
nondum nata non praescribitur, : S.AMBROSINI, Il termine per l’esercizio dell’azione di responsabilità, in (a cura di)
S.AMBROSINI, La responsabilità di amministratori, sindaci e revisori contabili, Milano 2007)..
Si tratta di un aspetto che differenzia l’azione del pubblico ministero contabile, poiché egli non potrebbe ritenersi
soggetto ai limiti suddetti, in quanto la promuovibilità dell’azione non è vincolata all’espressione favorevole del voto
assembleare.
25
A. JORIO, Perdita del capitale sociale, responsabilità degli amministratori e par conditio creditorum, in Giur.comm.
1986, I, 175 e segg.; R.RORDORF, Il risarcimento del danno nell’azione di responsabilità contro gli amministratori, in
Società, 1993, pagg.617 e segg.; di recente: RONDINONE, La responsabilità per l’incauta gestione dell’impresa in
crisi tra vecchio e nuovo diritto societario, in Fallimento, 2005.
26
TISCINI, op.cit. 40. Sulle questioni relative alla quantificazione del danno, anche alla luce della riforma del diritto
societario, si v. M.VITIELLO, La responsabilità degli organi sociali nel fallimento, in S. AMBROSINI (a cura di) La
responsabilità di amministratori, sindaci e revisori contabili, Milano, 2007. Con riferimento alla prova del nesso
causale nella produzione del danno: S.PATTI, la responsabilità degli amministratori: il nesso causale, in Resp.civ.e
prev. 2002, 3, 601 e segg., il quale rileva che frequentemente in dottrina e giurisprudenza, oltre al ricorso a
‘presunzioni’ si confonde il problema della prova del nesso causale nella produzione del danno con quello della
imputabilità e quindi le motivazioni si soffermano solo sugli aspetti dell’imputabilità dell’inadempimento e della colpa,
senza però affrontare l’ulteriore aspetto diretto ad accertare se i danni patiti dalla società fossero effettivamente
conseguenze immediate e dirette di quegli inadempimenti. E parimenti è trascurato il rilievo degli apporti casuali dei
singoli responsabili con l’uso invalso della responsabilità solidale, ed altresì nella quantificazione del danno,
frequentemente rimessa a presunzioni.
8
contesti di aver dato attraverso la redazione dei bilanci una rappresentazione infedele od
inattendibile della situazione finanziaria e patrimoniale della società e dei risultati complessivi
conseguiti. Si è trovato spesso affermato che l’impossibilità di ricostruire fedelmente la contabilità
in ragione delle omissioni o delle irregolarità, conduce all’impiego di criteri presuntivi della
determinazione del danno.
In tali casi la giurisprudenza e la dottrina più recenti hanno avvertito che il riscontro di tali eventi,
seppur certamente possano integrare ampiamente il grave inadempimento degli amministratori,
nondimeno non possono condurre tout-court ad affermare l’esistenza di danni risarcibili, che
devono quindi essere autonomamente accertati, prescindendo da qualsiasi automatismo27.
Comunque, la difficoltà di provare quali sarebbero state le conseguenze dannose evitate in caso di
comportamento doveroso diligente (ad esempio nel caso in cui il mancato rilievo delle perdite
dovute alle alterazioni contabili abbia impedito la tempestiva convocazione dell’assemblea per i
provvedimenti prescritti dagli artt. 2446 e 2447c.c.), o quando non siano censurati solo specifici atti
degli amministratori, ma venga in rilievo una mala gestio protrattasi per vari esercizi, hanno
condotto la giurisprudenza a formulare vari criteri, tesi a rifuggire comunque dalla semplicistica
equivalenza tra danno e sbilancio fallimentare, riservando le stime equitative nei casi di
impossibilità di precise determinazioni e comunque riconoscendo che sia pur sempre possibile
equiparare il danno all’intero passivo fallimentare nei casi in cui l’impossibilità di ricostruire le
operazioni che specificamente hanno aggravato il dissesto sia dovuta alla mancanza o sostanziale
infedeltà delle scritture contabile od al generale disordine amministrativo, imputabile agli
amministratori28.
In merito al rilievo del contesto processuale nel quale (di regola) si riscontrano le iniziative di
responsabilità, sono sorte diverse questioni relativamente al rapporto tra le azioni sociali e dei
creditori sociali.
E’ discusso difatti in dottrina se le azioni siano le medesime (tale è l’orientamento prevalente in
dottrina e giurisprudenza) o se l’azione del curatore, che cumula le facoltà di entrambe, debba
ritenersi un’azione nuova, che sorge con la dichiarazione di fallimento29.
Per quanto concerne l’azione sociale, lo spossessamento del debitore e la sua sostituzione con il
curatore, comporta necessariamente la scelta di attribuire a quest’ultimo parimenti la legittimazione
dell’azione di responsabilità in precedenza deputata all’assemblea.
Se si accoglie la tesi che ritiene che le azioni esercitate dal curatore siano le medesime già esercitate
dai creditori sociali o dall’assemblea, resterebbe di conseguenza precluso ai creditori l’esercizio di
tale azione nel fallimento, anche in caso di inerzia del curatore (Cass. 6 ottobre 1981 n.5241),
mentre, se queste fossero pendenti, esse dovrebbero divenire improcedibili dalla dichiarazione di
fallimento (Cass. 29 aprile 1954 n.1327).
In proposito, si osserva che nel caso si verifichi il concorso dell’azione di responsabilità del
Procuratore Regionale, si potrebbe porre il problema, sia pure forse pressoché teorico, se
permanga la legittimazione di questi a fronte della sopravvenuta dichiarazione di fallimento.
La risposta potrebbe dipendere dalla soluzione del rapporto tra tale azione e quella sociale con la
società in bonis: non parrebbero esservi ostacoli se si ritenesse appunto che l’azione del curatore sia
27
Si vedano tra le decisioni recenti: Cass. civ. sez. I, 23 febbraio 2005 n.3774; Trib. Milano 13 febbraio 2004, in
Società 2004, 1530 e segg..
28
su tali aspetti, e su richiami di dottrina e giurisprudenza, v. T.LEONE, commento a Trib. Milano 14 novembre 2006,
in Le Società 2007,7, 871 – 873.
29
Contra: PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, IV, Milano, 1974, p. 1852.
Il cumulo delle azioni di responsabilità previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. in capo al curatore, ‘fuse’ nell’azione ex art.
146 L.F., con la conseguente possibilità per il medesimo di promuovere alternativamente od in via cumulativa le
richieste risarcitorie che sarebbero state di spettanza delle singole azioni, hanno indotto la dottrina ad evidenziare la
posizione ‘privilegiata’ del curatore rispetto quelle degli originali titolari, tanto che, cumulando le richieste per i danni
derivanti da perdite patrimoniali, che concernono sia i soci che i creditori sociali, che i danni per il mancato
perseguimento dello scopo sociale, sarebbe in via teorica possibile chiedere un risarcimento superiore all’ammontare
del passivo (DI AMATO, L’azione di responsabilità ex art. 146 l.f. alle soglie della riforma del diritto societario, in
Dir.fall.2003, I, 20).
9
la medesima azione prevista dall’art. 2393 c.c.. Diverso sarebbe il caso invece, qualora, per
qualsiasi motivo, la dichiarazione di fallimento fosse estesa o comunque coinvolgesse anche gli
stessi amministratori, poiché in tale ipotesi sorgerebbe il diverso problema della sopravvivenza
dell’azione di responsabilità nell’ambito della procedura concorsuale.
2. Il problema dell’individuazione del soggetto leso.
Una delle questioni che ha suscitato maggior diversità di opinioni, all’indomani del riconoscimento
del ruolo del giudice contabile nell’ambito delle società pubbliche e delle responsabilità in capo ai
rispettivi amministratori e dipendenti è stata appunto quella della configurazione dell’azione
erariale come esclusiva o piuttosto concorrente con quelle previste dal c.c..30
Sulla scorta di quanto considerato, pare potersi condividere l’osservazione svolta in dottrina31 che
innanzi tutto procede distinguendo interessi e beni tutelati dalle azioni: in questa ottica si
potrebbe quindi ritenere che le azioni di responsabilità, previste dal codice civile, nei confronti degli
amministratori di società siano espressione, in ultima analisi, della tutela offerta dall’ordinamento
al diritto di ‘proprietà’ o al diritto di ‘credito’ che spetta ai soci o ai creditori.
Detta situazione – si obietta - non sarebbe invece rinvenibile per i soci pubblici, in quanto i
rappresentanti dei soci presso l’ assemblea non sono né proprietari (né creditori) delle sostanze che
amministrano, o almeno non lo sono nello stesso senso in cui lo sono i soci o i creditori privati (che
possono transigere e rinunciare e comunque gestire in libertà). Essi utilizzano gli stessi strumenti e
sono (come ribadisce l’ art. 2458, co.3 c.c. e lo art. 2263 c.c.) sullo stesso piano sotto il profilo
formale, ma non lo sono sotto il profilo sostanziale, giacchè gli strumenti utilizzati nel secondo caso
non sono in ultima analisi regolativi del diritto di proprietà o di quello di credito.
Non sarebbe indifferente, dunque, in tale ambito, il rapporto che si crea tra i beni pubblici (tra
cui deve farsi rientrare a pieno titolo anche il denaro pubblico) e gli enti pubblici che lo
gestiscono, che non sarebbe di proprietà, o quanto meno, non lo sarebbe nel senso inteso come
dominio assoluto della volontà o del potere privato, a seconda delle costruzioni adottate. Lo statuto
della proprietà pubblica sarebbe più ampio e complesso di quello rinvenibile nel solo codice civile.
La difficoltà prospettata da parte della dottrina nell’ammettere una conciliazione tra l’azione di
responsabilità erariale e le ordinarie azioni previste dalla disciplina comune, spesso sconta il
presupposto che la ‘nuova’ giurisdizione contabile in materia debba necessariamente individuare
quale ‘soggetto leso’ l’ente pubblico socio32.
Tanto sarebbe dovuto in ragione della ricostruzione dell’istituto contenuta nell’ordinanza n.
19667/2003 della Cassazione, che avrebbe fondato la propria apertura sul fatto che la giurisdizione
contabile può giudicare della responsabilità per danno ad ente diverso da quello di appartenenza,
30
Per un approfondimento complessivo delle questioni suscitate dal nuovo orientamento inaugurato dalla nota decisione
delle SS.UU. n. 19667/2003, si v. NOVELLI, in NOVELLI, VENTURINI, op. cit. Cap. VI, La giurisdizione della
Corte dei conti sugli enti pubblici e sulle società partecipate da soggetti pubblici in seguito al nuovo orientamento della
Corte di Cassazione.
31
P. CREA, Organizzazione in forma privata di funzioni e servizi pubblici e responsabilità erariale, in
www.amcorteconti.it/articoli/crea/funzioni/htm..
32
Osservava M.CONDEMI, , Prospettive evolutive della giurisprudenza della Corte dei conti, relazione all’incontro di
formazione L’evoluzione in senso soggettivo ed oggettivo della giurisdizione della Corte dei conti alla luce delle recenti
pronunce della Suprema Corte di Cassazione, Roma 2004, ined., che tra gli aspetti ancora da approfondire assumevano
particolare rilievo quelli relativi all’individuazione del danno e del soggetto danneggiato. Difatti, anche se si ritenga che
la questione non assuma rilievo al fine di determinare la giurisdizione, ovvero costituisca solo un elemento di
legittimazione nell’ambito dell’esercizio della giurisdizione medesima, l’individuazione del soggetto danneggiato resta
un elemento sul quale il giudice si pronuncia in relazione alla specifica domanda attorea, in quanto la statuizione viene
fatta in favore di un soggetto determinato che abbia subito il danno e non in favore, genericamente, dell’Erario.
L’individuazione specifica del soggetto danneggiato rileva poi ulteriormente in sede esecutiva, poiché a questi spettano
le azioni destinate al recupero effettivo del risarcimento accordato dalla sentenza del giudice contabile.
10
secondo lo schema della responsabilità extracontrattuale, tanto essendo desumibile
dall’introduzione della c.d. ‘responsabilità obliqua’ in seguito alle riforme del 1994.
Si è infatti osservato in proposito che l’art. 1 u.c. della legge 20/1994 sembrerebbe difatti riferirsi al
danno subito (non dalla società ma) dal socio pubblico, in quanto soggetto pubblico ‘diverso da
quello di appartenenza’. Forse per questo in alcune ricostruzioni emerge il tentativo di considerare
la lesione al patrimonio sociale non in sé ma quale diminuzione del valore della partecipazione del
socio, in modo da giustificare il reintegro, mediante l’azione di responsabilità amministrativa, del
patrimonio del socio pubblico. Ma così configurata, la responsabilità amministrativa si porrebbe in
aperto contrasto con la responsabilità societaria nell’ambito della quale il risarcimento non può che
avvenire a beneficio della società. Identificando il socio pubblico come beneficiario del
risarcimento, comporterebbe un pregiudizio verso i soci privati di minoranza od i creditori sociali
che resterebbero privati della possibilità di soddisfazione o comunque si vedrebbero posposti per la
preferenza accordata al socio pubblico.
Nel caso di società miste, se poi si ipotizzasse la esclusività della giurisdizione contabile, il
risarcimento sarebbe accordato, in rapporto al danno arrecato alla società, per la corrispondente
quota di partecipazione del socio pubblico ed il risarcimento andrebbe a reintegrare non il
patrimonio sociale, bensì l’erario.33
In senso non dissimile stanno anche altre opinioni pur favorevoli al nuovo ruolo del giudice
contabile34.
Si è difatti osservato che35, diversamente da quanto opinato dalla Corte di Cassazione, che ha
ritenuto la natura extra contrattuale della responsabilità amministrativa36, dovrebbe darsi piuttosto
rilievo al rapporto di influenza tra socio pubblico – che in pratica governa la società – e gli
amministratori o dipendenti di questa (nomina degli amministratori da parte dell’Amministrazione,
direttive sull’attività, supervisione di atti discrezionali degli amministratori). Secondo tale
ricostruzione, il soggetto passivo del danno dovrebbe essere individuato non nella società
amministrata ma nel socio pubblico, cioè nell’ente pubblico titolare della partecipazione.
Tale rapporto, peraltro, muterebbe solo apparentemente: alle direttive impartite a suo tempo dal
Governo alle Partecipazioni Statali si è sostituito l’esercizio del potere dell’azionista in assemblea o
fuori di essa: la direttiva si deformalizza, ma in concreto l’attività della s.p.a. è guidata ancor più
direttamente dall’apparato governativo37 .
33
C.IBBA, Azione ordinaria di responsabilità e azione di responsabilità amministrativa in materia di società in mano
pubblica. Il rilievo della disciplina privatistica, in Atti del Convegno “Responsabilità amministrativa e giurisdizione
contabile (ad un decennio dalle riforme)” Varenna, 15 – 17 settembre 2005, Milano 2006.. 318.
34
U.MONTELLA, La giurisdizione della Corte dei conti sugli enti pubblici economici dopo l’ordinanza n.19667 del
2003 delle Sezioni Unite della Cassazione, in www.giurisprudenza.it., M.RISTUCCIA, La responsabilità “sociale”
erariale nelle società pubbliche, relazione al convegno “Le società pubbliche”, Venezia, 25 – 27 novembre 2004, in
Riv. C.d.c. 2005, I, 425 e segg..; V.CAPUTI JAMBRENGHI, op.cit.
35
V. CAPUTI JAMBRENGHI, Azione ordinaria di responsabilità ed azione di responsabilità amministrativa in
materia di società in mano pubblica, l’esigenza di tutela degli interessi pubblici, relazione al convegno Responsabilità
amministrativa e giurisdizione contabile (ad un decennio delle riforme), Varenna, 15 – 17 settembre 2005, Milano
2006.
36
In senso critico: M. RISTUCCIA, La responsabilità ‘sociale’ erariale nelle società pubbliche, relazione al convegno
Le società pubbliche, Venezia, 25 – 27 novembre 2004, in Riv. C.d.c. 2005, 325 e segg..il quale ritiene che il richiamo
alla responsabilità extracontrattuale non comporti conseguenze rilevanti per l’applicazione dell’azione del p.m.; stante
che, comunque sia, il nucleo della responsabilità verso amministrazioni od enti diversi da quello di appartenenza non
può non collocarsi in quella relazione funzionale fonte del rapporto di servizio. Il criterio della relazione funzionale tra
il soggetto pubblico proprietario e la società per azioni e i suoi amministratori, ha soprattutto il pregio di riportare la
questione della responsabilità perseguibile nel tradizionale schema della responsabilità amministrativa. V.CAPUTI
JAMBRENGHI, op.ult.cit., evidenzia la difficoltà, a fronte di un supposto obbligo di neminem laedere, di dare
contemporaneamente rilievo pratico alla relazione funzionale tra soggetto danneggiante e amministrazione danneggiata,
in quanto in tal caso sarebbero tagliati fuori gli obblighi comportamentali canonizzati implicitamente all’atto di
costituzione della società, nell’enunciazione dello specifico scopo sociale, od addirittura nel suo statuto od atto
costitutivo.
37
L’autore da ultimo citato nel testo si richiama anche alle opinioni di M.G.DELLA SCALA - le società legali
pubbliche – in Dir. Amm. 2005 pag. 391 e segg. e RENNA M. le società per azioni in mano pubblica – Torino 1997: la
11
Nella medesima direzione, si è ritenuto che l’aver posto a fondamento dell’estensione della
giurisdizione della Corte dei conti alla materia delle responsabilità negli enti pubblici economici il
duplice elemento dell’art. 1, ultimo comma, legge n. 20/94, che ha stabilito la giurisdizione della
Corte dei conti anche per i danni arrecati ad amministrazioni od enti diversi da quello di
appartenenza, e dell’affermazione che il presupposto della giurisdizione contabile sia costituito
unicamente dalla natura pubblica delle risorse di cui il soggetto si avvale per il perseguimento di
interessi pubblici generali senza che abbia rilevanza la circostanza che la condotta posta in essere
violi norme di diritto pubblico o di diritto privato, porterebbe necessariamente ad individuare come
soggetto leso dall’attività posta in essere dagli amministratori della società partecipata
l’amministrazione o l’ente pubblico che ne abbia il controllo operativo e dal quale provengano le
provviste finanziarie.
In altre parole, il danno pubblico e la giurisdizione contabile sulla correlata azione di responsabilità
amministrativa fatta valere dal procuratore contabile sarebbero configurabili soltanto in presenza di
un danno subito dall’ente pubblico proprietario38.
Quindi – nella prospettiva sin qui riportata - la responsabilità fatta valere dal pubblico ministero
contabile in termini di azione per il danno subito dal socio pubblico dovrebbe essere intesa come
responsabilità amministrativa propria del settore pubblico, pur dotata di una propria disciplina non
pienamente coincidente, sia sotto l’aspetto sostanziale che sotto l’aspetto processuale, con la
manifestazione di volontà del rappresentante socio pubblico nella società mista sarebbe sempre proceduta da un
“momento pubblicistico interno al socio” così da funzionalizzare il momento privatistico alla finalità pubblica mediante
la predeterminazione della volontà pubblicistica.
38
M.RISTUCCIA, op.cit. ”…Ed è abbastanza evidente come una prospettazione quale quella ora accennata che fa
derivare dalla iniziale impostazione di Cass. n. 19667/03 l’inerenza della responsabilità amministrativa perseguibile in
sede di giurisdizione contabile al rapporto tra ente pubblico proprietario ed amministratori della società per azioni
operativa conduca inevitabilmente alla collocazione su di un piano di rilevanza <esterna> del rapporto tra ente
pubblico <controllante> ed amministratori della società per azioni partecipata. Sia perché costituisce una logica
premessa al problema dell’influenza del socio pubblico proprietario sulla vita e la gestione della società lucrativa,
della quale il rapporto esistente tra il socio pubblico e l’amministratore appare appunto lo strumento ordinario di
attuazione.
Sia perché la configurazione di un rapporto del genere può considerarsi in sintonia con il quadro evolutivo della
Pubblica amministrazione e del rilievo di figure e strumenti propri del diritto pubblico pur nel ricorso ormai
sistematico a modelli organizzativi di diritto comune.
Sia perché il centrare l’oggetto della giurisdizione contabile sul rapporto tra l’ente pubblico proprietario, al quale
sicuramente compete il potere di nomina, e l»amministratore della società operativa realizza in pieno la finalità stessa
di tale giurisdizione che è la garanzia di un controllo giudiziale globale sul buon uso delle pubbliche risorse, in piena
sintonia con il principio del buon andamento di cui all’art. 97 Cost. Ciò non significherebbe tuttavia necessariamente
di valicare la qualificazione data dalla Corte di Cassazione alla responsabilità amministrativa come responsabilità di
tipo extra-contrattuale. Il concetto di <appartenenza>, utilizzato nell’art. 1, ult. co. legge. n. 20/94 come elemento la
cui mancanza segna la distinzione tra due diversi tipi di enti, dovrebbe pertanto intendersi come sinonimo di
esistenza di un rapporto di servizio organico o particolarmente strutturato, ma non anche nel senso che, in difetto di
un rapporto del genere, debba negarsi rilievo ad ogni situazione anche di semplice “relazione funzionale”, con la
prima conseguenza che la relativa responsabilità per danno dovrebbe necessariamente qualificarsi come estranea ad
ogni precedente rapporto e quindi come extracontrattuale. Perché il problema non è tanto stabilire la natura, se
aquiliana o contrattuale in senso stretto, della responsabilità connessa al rapporto tra amministratore e socio
pubblico, quanto piuttosto quale sia l’oggetto delle prestazioni alle quali è tenuto, per effetto della detta “relazione
funzionale”, il soggetto che agisce.
Ma se detta relazione è caratterizzata proprio dalla finalità del conseguimento di determinati fini di interesse pubblico,
non si può non arrivare a ritenere aldilà dei meri profili applicativi dell’ultimo comma dell’art. 1 legge n. 20/94, quale
espressione del fondamento normativo (interpositio legislatoris) per l’estensione della giurisdizione della Corte dei
conti che l’esistenza della stessa non soltanto costituisca il presupposto per comprendere nella giurisdizione della
Corte dei conti, insieme alle situazioni particolarmente qualificate di rapporto di servizio, anche quelle che comunque
comportano un’attività di diretta partecipazione al raggiungimento dei fini perseguiti dal soggetto pubblico sul quale si
producono gli effetti dell’attività posta in essere, ma comporti anche che il danno subito da detto soggetto pubblico
possa essere costituito, oltre che da una diminuzione patrimoniale, anche dal mancato conseguimento ove
ovviamente imputabile ad un comportamento doloso o gravemente colposo e comunque sempre nel rispetto della
dovuta autonomia gestionale di quel fine pubblico che costituisce la stessa ragion d’essere del rapporto di
preposizione fiduciaria alla gestione della società.”
12
disciplina dell’ordinaria responsabilità patrimoniale e non, al contrario, che l’azione esercitabile dal
procuratore contabile non sia altro che l’ordinaria azione di danno prevista dall’art. 2395 c.c., o la
stessa azione ex art. 2393 c.c. nell’ipotesi in cui il socio pubblico sia proprietario della totalità o di
oltre l’80% del capitale azionario, con l’unica differenza che ad esercitare l’azione è l’organo del
Pubblico ministero contabile e non il soggetto pubblico danneggiato39.
La soluzione poi del concorso alternativo tra questa azione e quelle ordinarie sociali previste dagli
artt. 2393 e 2395 c.c., ovvero la scelta in favore della sua esclusività, dovrebbe essere risolta – si
afferma - alla luce del riconoscimento della natura esclusiva della giurisdizione erariale40.
Non vi è dubbio invero che il danno arrecato alla società dalle condotte degli amministratori, nella
normalità dei casi, costituisce sempre un danno al socio pubblico, anche solo per la diminuzione del
valore che subirebbe la propria partecipazione sociale. Ma tale osservazione peraltro pare avere un
preminente rilievo economico e certo trascende il meccanismo di responsabilità previsto dal diritto
societario, che pone al centro delle azioni sociali di responsabilità la tutela (ed il reintegro) del
patrimonio sociale e distingue le diverse ipotesi di danni arrecati dalle condotte degli amministratori
direttamente al patrimonio del socio o del terzo.
Inoltre, pare che per un certo verso la configurazione della responsabilità con l’individuazione del
danno in capo all’ente pubblico sia dovuta all’importanza preminente attribuita al rapporto
pubblicistico corrente tra ente socio ed amministratore, ed alla sua capacità di veicolare e governare
quegli interessi pubblici che devono comunque costituire la giustificazione permanente
dell’esercizio sociale dell’impresa con fondi derivanti dalle pubbliche finanze.
Ma se tale dunque fosse la conclusione accoglibile (o necessitata) della responsabilità
amministrativa in materia di società pubbliche, si porrebbero peraltro seriamente quelle questioni
prospettate dalla dottrina in precedenza richiamata41 (IBBA), né tanto meno gli inconvenienti
sarebbero ovviati, ma anzi forse aggravati, dalla prospettazione della tendenziale esclusività della
giurisdizione contabile in materia, in ragione dell’inevitabile pretermissione o comunque
posposizione delle ragioni degli ‘altri soggetti’ pur portatori di interessi rilevanti per il diritto
societario.
Questi ‘altri soggetti’ nelle società miste pubblico-private, potrebbero essere i soci privati, i terzi od
i creditori ma, nelle società interamente pubbliche, però caratterizzate dalla presenza di una pluralità
di soci pubblici, potrebbero anche essere quegli altri soci pubblici che, per i più svariati motivi, non
avessero subito un pregiudizio sensibile dalle condotte degli amministratori, o si trovassero
portatori di interessi antagonisti, e che quindi non verrebbero comunque a trovarsi nella posizione di
‘soggetti pubblici lesi’.
Inoltre, non sembra invero che la stessa Suprema Corte sia pervenuta al nuovo orientamento in
ragione dell’introduzione normativa della ‘responsabilità obliqua’, ricostruita come responsabilità
39
V. CAPUTI JAMBRENGHI, op.cit.. La recente produzione normativa in materia di società pubbliche è stata vista in
dottrina anche come rafforzamento di quell’interesse pubblico che diversamente restava solo sullo ‘sfondo’
dell’autonomia societaria, intesa come espressione della libertà contrattuale (così: E. CARDI, La ‘società di proprietà
pubblica’, riflessione sulle problematiche emergenti in Serv. pubbl. ed appalti, 2006, 244 che legge i recenti richiami
della dottrina alla responsabilità sociale dell’impresa privata e del suo management ed i recenti orientamenti concernenti
la responsabilità penale e contabile-societaria degli amministratori, come esempio di quella convergenza della
normativa pubblico/privata, frutto di un processo di contaminazione reciproco. In questo ambito peraltro, secondo
l’autore, emergerebbe come statuto esclusivo della società a controllo pubblico la nuova responsabilità amministrativa
riconosciuta dalla Corte di cassazione ed attribuita alla cognizione del giudice contabile).
40
Si vedano invece le differenti soluzioni in merito proposte da V.CAPUTI JAMBRENGHI esposte in seguito nel testo.
41
C.IBBA, Azione ordinaria di responsabilità..op. cit.. Osserva l’Autore che anche per chi ammettesse la natura
pubblica delle società si imporrebbe la necessità di conciliare la responsabilità amministrativa con il sistema delle
responsabilità previste dal c.c., l’identificazione e comparazione dei soggetti e degli interessi tutelati o tutelabili
attraverso le diverse forme di responsabilità. Il diritto delle società di capitali - osserva IBBA - è fondato su meccanismi
di responsabilità civile di tipo compensativo, collegati a seconda dei casi a un inadempimento od un atto illecito,
finalizzati alla reintegrazione del patrimonio leso e articolati in un triplice ordine di responsabilità verso la società,
verso i creditori sociali, verso i singoli soci o terzi, mentre nella responsabilità amministrativa non è agevole individuare
gli interessi: se cioè essa tenda al risarcimento del danno alla società od all’ente pubblico leso.
13
avente natura extra contrattuale. Si è difatti osservato che tale argomento pare cedere per
importanza di fronte a quello preminente del riscontro del complessivo mutamento della pubblica
amministrazione e della ricostruzione del rapporto di servizio in senso ‘funzionale’.
Ma l’attribuzione della veste di soggetto danneggiato immancabilmente all’ente pubblico
socio in quanto titolare di tutte o parte delle quote azionarie, non pare condivisibile.
In realtà, potrebbe obiettarsi che la specifica introduzione della ‘responsabilità obliqua’ dovrebbe
essere intesa come il completamento di un processo di interpositio legislatoris che però procedeva
progressivamente sin dal 1990, con la generalizzazione ed omogeneizzazione della responsabilità
amministrativa anche ad ipotesi e categorie di soggetti in precedenza esclusi, ed in tale ambito, le
riforme del 1994 costituirebbero dunque l’occasione per riscontrare obiettivamente e pianamente –
in quegli atti normativi - l’intervento consapevole del legislatore di attuazione dell’art.103 secondo
comma Cost.. La stessa Ord. n.19667/03, difatti, pur riconoscendo ‘particolare’ peso alla
innovazione introdotta con l’art. 1 della legge 20/94, ha premesso che il riconoscimento poggia
sulla ‘complessiva’ considerazione dei mutamenti avvenuti nella legislazione, e, tra le altre, della
introduzione della legge 27 marzo 2001 n. 97, che ha stabilito art. 7) che la sentenza penale di
condanna nei confronti dei dipendenti indicati nel precedente art. 3 (di amministrazioni o di enti
pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica).
In sostanza, la ‘traslazione’ immediata e necessitata del danno in capo all’ente pubblico socio
non sembrerebbe essere dunque una conseguenza obbligata dalla ricostruzione della nuova
responsabilità da parte della Corte di Cassazione con il richiamo alla nuova disciplina posta
dall’art. 1 della legge 20/1994.
Ma nemmeno pare essere indotta dall’attribuzione dell’importanza riconoscibile alla relazione
funzionale che deve correre tra ente pubblico socio ed amministratore della società, poiché, se
invero essa concorre a qualificare indubbiamente la posizione di questi nel senso dell’esercizio di
una ‘funzione pubblica’, vi è che, prima ancora dell’esercizio delle prerogative date dal rapporto
fiduciario, per l’ente pubblico sta il doveroso esercizio delle prerogative riconosciutegli dal diritto
comune, nella sua qualità di socio, ed ancor prima, nella fase di soggetto fondatore o promotore,
con la necessaria attività di conformazione dello statuto e dell’atto costitutivo alle finalità
pubbliche42.
In sostanza, la garanzia di soddisfazione degli interessi pubblici sottesi all’esercizio dell’attività
sociale non postula necessariamente di passare per una relazione funzionale che ponga nel nulla il
diverso rapporto di servizio, o la semplice relazione funzionale, che potrebbe correre primariamente
con la stessa società, tanto più che, evidentemente, nella misura in cui si venga ad affermare
immancabilmente che tale azione individua il soggetto pubblico leso nell’ente pubblico socio di
comando, ciò conduce inevitabilmente a pronunciare in suo favore la condanna al risarcimento, con
la conseguenza che in tal caso non se ne profitterebbe la società e le conseguenze già segnalate per
la lesione delle prerogative degli altri soci o dei terzi. Ma per di più, non dando rilievo, nella fase
dell’individuazione del soggetto leso, alla diversa soggettività giuridica, si verrebbe in sostanza
nello stesso tempo a sconfessare ed ad alterare un particolare assetto delle risorse pubbliche
(risoltosi nell’averle vincolate quale capitale di rischio per l’esercizio di una determinata attività)
frutto di scelte amministrative legittime (e non censurabili, se non per altri vizi propri).
Potrebbe quindi affermarsi – riportando le osservazioni di P. CREA - che la questione della
individuazione del soggetto danneggiato non rilevi come limite esterno attributivo della
giurisdizione, ma piuttosto come questione di merito43, da valutarsi nell’ambito del giudizio
promosso davanti al giudice contabile (come pareva rinviare la stessa Corte di Cassazione, con la
P. CREA, L’individuazione del danno erariale nelle società costituite, partecipate o finanziate da enti pubblici, in
Studi in memoria di Francesco RAPISARDA, ora pubblicati su: www.amcorteconti.it.
43
Ad esempio, non si rinvengono motivi per i quali debba essere trattata diversamente il caso di un danno arrecato ad
una società pubblica da parte dei suoi amministratori, che in seguito sia poi –eventualmente - completamente eliso da
interventi di ripiano da parte dei soci, con procedure di ricapitalizzazione, con il risultato di far ‘traslare’
definitivamente il pregiudizio su tali soggetti, restati ‘incisi’ dall’attività illecita e quindi, ma solo in quel caso, titolari
del diritto al risarcimento.
42
14
decisione n. 3899/200444), e comunque secondo una ricostruzione dell’azione erariale che (come si
esporrà in seguito) pare non trovare sul punto un inevitabile motivo di conflitto con le regole della
disciplina comune45.
3. Segue: la configurazione del rapporto di servizio di amministratori e dipendenti di società
privata nella recentissima pronuncia della Corte di Cassazione, SS.UU. 27 ottobre 2009 n.
23332.
Le osservazioni svolte a valle delle questioni suscitate dalla predetta SS.UU.. n.3899/2004 hanno
trovato in effetti riscontro e parziale composizione nella recentissima pronuncia della S.C. n. 23332
del 27 ottobre 200946.
In occasione della precedente decisione delle SS.UU. 26 febbraio 2004 n.3899, in dottrina si era
evidenziato che la Corte di Cassazione aveva sì affermato la giurisdizione contabile con riguardo ad
alcuni amministratori (responsabili della percezione di tangenti) di una società per azioni
partecipata dal Comune di Milano e deputata alla gestione del servizio relativo agli impianti e
all'esercizio dei mercati annonari all'ingrosso di Milano, ma sebbene la decisione avesse escluso la
rilevanza di quelli affermati nella sentenza della Suprema Corte n. 19667 del 2003, essa
nondimeno in realtà conteneva un significativo aspetto di novità, ben evidenziato in dottrina47
(IBBA): difatti non si è mai dubitata la sussistenza di un rapporto di servizio tra la P.A. e persone
giuridiche private, anche costituite in società lucrative (il caso classico è quello del rapporto di
concessione). Ma, in quei casi, l’eventuale responsabilità erariale si configurava in capo alla
persona giuridica, in quanto tale (Cass. Ord. 22 gennaio 2002, n.715, richiamata nel testo della
sentenza). Nella sentenza in questione, diversamente, per effetto della ‘relazione non organica ma
funzionale’ individuata tra la società ed il Comune di Milano, e dell’inserimento del soggetto
privato nell’organizzazione pubblica, era stata riconosciuta la diretta legittimazione passiva degli
amministratori della società pubblica.
Era stato inoltre osservato48 che la Corte non aveva posto l’accento tanto sulla partecipazione
maggioritaria pubblica o sulla forma organizzativa assunta e sulla natura privata del modulo
utilizzato, quanto piuttosto sulla finalità perseguita dall’attività imprenditoriale nel caso specifico,
riconducendo l’attività svolta dalla SO.GE.MI. nell’ambito delle caratteristiche oggettive del
servizio pubblico, stante che le ragioni che giustificano l’intervento pubblico sono di interesse
generale. Per effetto di tale riconoscimento, le Sezioni Unite riconoscevano nell’instaurazione tra la
società ed il Comune di Milano, non tanto un rapporto di compenetrazione organica, ma invece
<<la problematica svolta nell’impugnata sentenza in tema di danno subito in via diretta ed immediata dalla
SO.GE.MI. e in via mediata e indiretta dal Comune solo in sede di ripartizione degli utili, trattandosi di questione non
di giurisdizione ma di merito, estranea al presente giudizio, volto esclusivamente a determinare, nel caso di specie, i
limiti esterni della giurisdizione contabile (e non l’esercizio di tale giurisdizione, cui appartiene l’accertamento in
concreto dell’esistenza o meno di un danno risarcibile)>>.
45
Non viene qui affrontato, per motivi di spazio, il confronto tra il giudizio di responsabilità caratterizzato dal
necessario riscontro della sussistenza del dolo o della colpa grave, da effettuarsi con valutazione ex ante e
preferibilmente secondo i principi della ‘colpa normativa’ ed il divieto di sindacabilità del merito delle scelte
discrezionali, con il principio del business judjement rule di derivazione statunitense, che governa anche
nell’applicazione del diritto nazionale il principio di insindacabilità delle scelte imprenditoriali, nell’ambito delle
azioni di responsabilità promosse in sede ordinaria contro amministratori di società di capitali. Per tali aspetti sia
consentito il rinvio a: P. NOVELLI, in NOVELLI, VENTURINI, La responsabilità amministrativa..op. cit…Cap. VI,
§§ 8-9.
46
La prima fino ad oggi depositata di una lunga serie di giudizi per conflitti di giurisdizione trattati dalla S.C. in
quell’udienza.
47
C.IBBA, Azione ordinaria di responsabilità e azione di responsabilità amministrativa in materia di società in mano
pubblica. Il rilievo della disciplina privatistica, in Atti del Convegno “Responsabilità amministrativa e giurisdizione
contabile (ad un decennio dalle riforme)” Varenna, 15 – 17 settembre 2005, Milano 2006.
48
F.GUALANDI, F. MINOTTI, Le recenti tendenze nel campo della responsabilità della P.A. con particolare
riferimento alle società pubbliche, 2006, in www.dirittodeiservizipubblici.it.
44
15
certamente un rapporto di servizio, peraltro sotto il profilo della relazione (non organica ma)
funzionale.
Con la recentissima decisione, la Corte di Cassazione ha affermato la giurisdizione della Corte dei
conti nei confronti di alcuni amministratori e dirigenti di una società privata concessionaria
dell’INPDAP per la gestione di immobili di proprietà dell’istituto, società a sua volta mandataria in
ATI con altre società comunque affidatarie dei compiti di gestione e manutenzione dei predetti
immobili.
In tale decisione la S.C. affronta espressamente la questione sottopostale e cioè se il rapporto di
servizio si debba ritenere instaurato con la società concessionaria, in quanto persona giuridica,
ovvero con le persone fisiche che avevano agito in suo nome e per suo conto. La S.C., richiamando
il precedente di SS.UU. 22513/2006, con la quale era stata affermata la giurisdizione nei confronti
del presidente e del direttore generale di una Confcooperative per aver distratto finanziamenti
pubblici per fini diversi da quelli previsti, afferma ora che alla medesima conclusione si deve
pervenire in quanto i convenuti debbono ritenersi sostanziali compartecipi del procedimento
deliberativo ed esecutivo della spesa, arrecando un danno ingiusto all’INPDAP con il quale si
doveva ritenere instaurata una relazione funzionale.
La S.C. nega che il rapporto di concessione tra l’INPDAP e la società (e quindi il rapporto di
servizio tra questi due soggetti giuridici) possa condurre a negare la sussistenza di un ulteriore
rapporto di servizio instauratosi direttamente tra l’Ente pubblico e gli amministratori o dipendenti
della società medesima, trattandosi di una forzatura inaccettabile perché volta ad estremizzare una
situazione giuridica al fine di sovrapporla alla realtà fattuale. Quello che rileva, secondo la
giurisprudenza consolidata è l’essere investiti del compito di porre in essere un’attività
dell’amministrazione, senza che a tal fine rilevi né la natura (pubblica o privata, ovvero fisica o
giuridica) del soggetto stesso, né la fonte della sua investitura (atto, contratto, o mero fatto)49.
Di rilievo appare poi la ulteriore considerazione finale che ricorda come la normativa di settore
mira a garantire il risarcimento del danno erariale, che intaccando il patrimonio di soggetti
pubblici e nuocendo, di conseguenza, all’intera comunità, deve trovare necessariamente ristoro nel
superiore interesse della collettività; che questo essendo stato l’obiettivo del legislatore, ne deriva
che fra due possibili interpretazioni è certamente più aderente al sistema quella che aumenta il
numero degli obbligati e non quella che li diminuisce, ‘salvando’ per di più proprio coloro che
avendo cagionato materialmente il danno per scopi addirittura criminosi, dovrebbero essere i primi
a rispondere (in ogni sede) delle conseguenze negative del loro operato.
4. Azione erariale esclusiva o concorrente delle azioni di responsabilità previste dal c.c.?
Ci si deve ora avviare ad affrontare la questione se l’azione del P.M. contabile possa dirsi sostitutiva
di quella sociale di responsabilità, oppure affiancarsi ad essa, perseguendo tuttavia le medesime
finalità di tutela dell’integrità del patrimonio sociale od al contrario anche finalità distinte.
Tale azione sarebbe da ritenere sostitutiva (quanto meno di quelle azioni ordinarie sociali) se si
propende per la teoria che vorrebbe la giurisdizione contabile esclusiva e quindi anche a scapito di
quella concorrente davanti al giudice ordinario50.
49
La giurisdizione contabile nei confronti di soggetti privati per la distrazione di fondi pubblici, specialmente derivanti
da risorse comunitarie, pare in effetti consolidata dopo la primigenia SS.UU. n. 4511/2006: si vedano anche la già citata
22513/2006 e le più recenti 15559/2009 e 17347/2009. Da ultimo, per un caso di condanna di un soggetto quale
presidente di una società consortile destinataria di fondi comunitari: Corte conti, sez. I appello, 15 ottobre 2009 n. 581.
50
La tesi dell’’esclusività’ della giurisdizione contabile, affermata in passato dalla Corte di Cassazione (SS.UU.
n°933/1999), ha trovato nuova occasione nella recente ordinanza della Cass., SS.UU. 22057/2007 ove viene affermato
che il giudice contabile deve ritenersi giudice naturale ed esclusivo della responsabilità amministrativa; nondimeno
deve rilevarsi che essa di contro viene allo stesso tempo e costantemente negata dalla medesima Corte di Cassazione
quando si tratta di affermare la concorrenza dell’azione erariale con quella civile dedotta nel processo penale ai sensi
dell’art. 75 c.p.p..: SS.UU. 22277/2004; 2283/2008 e da ultimo anche: 23332/2009, ove si afferma appunto che le due
16
In caso contrario, come già anticipato, la concorrenza delle iniziative giudiziarie presuppone
comunque la soluzione delle questioni relative alla individuazione del soggetto danneggiato, del
danno risarcibile e quindi la questione se l’azione sia diretta a reintegrare il patrimonio sociale e
dunque avvantaggi direttamente la società, oppure tenda a risarcire il danno mediato derivante dal
minore valore della partecipazione e dalla compromessa ripartizione degli utili che avrebbe patito
l’ente pubblico titolare della partecipazione azionaria (aspetto che invece la S.C., ritiene questione
non rilevante per la giurisdizione ma solo per il merito); con il corollario del conseguente possibile
conflitto con le azioni promosse dalla maggioranza o dalla minoranza qualificata davanti al giudice
civile51 e che potrebbero investire i medesimi amministratori, con effetto tanto più singolare quando
comunque il cumulo non sarebbe evitabile nel caso di partecipazioni non totalitarie con iniziative
dei singoli soci ex art. 2395 c.c., od in caso di iniziative di minoranze private qualificate legittimate
a promuovere l’azione ex art. 2393bisc.c..
Parte della dottrina (IBBA), esprimendo il “punto di vista del privatista”, ha dubitato della
compatibilità dell’azione erariale con il sistema delle azioni di responsabilità previsto dal codice
civile. Difatti, si sostiene che anche se si ammettesse che la presenza del socio pubblico possa
rideterminare la qualificazione della società in senso pubblicistico, resta il fatto che tale società
continua ad operare su un mercato e nell’ambito di una disciplina che tiene conto e tutela soggetti
ed interessi diversi rispetto quelli del socio pubblico. Interessi pubblici che poi dovrebbero
distinguersi a seconda che si intenda il danno erariale come cagionato alla società, oppure al
patrimonio dell’ente pubblico socio.
Il medesimo Autore, sul versante delle azioni di responsabilità ritiene che l’azione di responsabilità
del P.M. sia compatibile con quella dell’art. 2935 c.c. (azione del socio per danni subiti al proprio
patrimonio), mentre maggiori difficoltà si troverebbero per ammettere una coesistenza di tale azione
con quelle previste dagli artt. 2393 e segg. .c.c., dove comunque anche l’azione erariale dovrebbe
necessariamente tendere a reintegrare il patrimonio sociale e non quindi il patrimonio dell’ente
socio.
Con specifico riguardo al concorso della giurisdizione di responsabilità con altre giurisdizioni ed al
ruolo del p.m. erariale sono state svolte di recente considerazioni in dottrina che pare di interesse
riferire con ampiezza.
E’ stato così osservato52 che indubbiamente la Corte di Cassazione si è espressa sulla giurisdizione
della Corte dei conti senza occuparsi specificamente della questione relativa all’esistenza di ipotesi
di concorrente giurisdizione del giudice ordinario.
In alcuni casi, la giurisdizione della Corte dei conti ha trovato il suo antecedente storico e
presupposto logico nel mancato esercizio di un’azione civile di responsabilità. Una situazione del
genere sembra pertanto configurare una relazione tra l’esercizio dell’azione di responsabilità da
parte del Procuratore regionale ed il mancato esercizio dell’azione civile di responsabilità e quindi
un rapporto nel quale l’azione pubblica di responsabilità amministrativa non è alternativa a quella
civile, ma supplisce e pone riparo al mancato esercizio di quest’ultima53.
azioni sono del tutto indipendenti e non si può porre una questione di limiti di giurisdizione ma solo di accoglimento
della domanda, sotto il profilo della sussistenza dell’interesse.
51
Nella sostanza derivanti innanzi tutto dal particolare <statuto> della responsabilità amministrativa, quali la riduzione
dell’addebito, la parziarietà, la intrasmissibilità agli eredi, la procedibilità d’ufficio, la irrinunciabilità e non
transigibilità dell’azione promossa dal P.M. contabile.
52
A.PAJNO, Il rapporto con le altre giurisdizioni: concorso o esclusività della giurisdizione di responsabilità
amministrativa, relazione al convegno ‘responsabilità amministrativa e giurisdizione contabile (ad un decennio dalle
riforme)’ Varenna, 15 – 17 settembre 2005, Milano 2006.
53
Osserva l’autore citato (PAJNO) che un criterio di riparto della giurisdizione fondato sulla materia, normalmente
dovrebbe condurre in linea di principio, ad una identificazione di un solo ambito di tutela per la medesima materia; è
infatti un criterio di riparto diverso – come quello per situazioni soggettive – che può condurre all’identificazione, per lo
stesso ambito materiale, di competenze giurisdizionali diverse. Alla nozione di giurisdizione per materia sembrerebbe
quindi legata l’affermazione di un certo suo carattere esclusivo, di una sua attitudine ad identificare compiutamente, per
un certo ambito materiale, un certo tipo di tutela giurisdizionale.
17
L’elemento di rilievo peraltro è il modo stesso in cui tale giurisdizione è strutturata…acquista un
rilievo specifico la circostanza che la giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità
pubblica incorpora “strutturalmente” l’azione pubblica di responsabilità, e cioè il fatto che la sua
organizzazione prevede necessariamente l’esercizio dell’azione da parte di un organo pubblico, qual
è appunto il pubblico ministero contabile…azione pubblica ed obbligatoria, esito questo che non
appare tanto dovuto ad una contingente scelta del legislatore ordinario, quanto piuttosto connotato
strutturale di tale giurisdizione, anzi alla sua stessa giustificazione costituzionale.
La giurisdizione della Corte dei conti trova, infatti, il proprio fondamento nella peculiarità
dell’interesse pubblico ad una corretta gestione delle risorse, da parte dei dipendenti pubblici in
mancanza del quale perde ogni giustificazione la stessa configurazione di una tutela diversa da
quella ordinaria. Tale esito, che sembra direttamente discendere dalla connotazione costituzionale
come giurisdizione per materia a tutela dell’interesse pubblico, e non di situazioni soggettive, che fa
di essa una giurisdizione di tipo oggettivo, appare, d’altra parte, pienamente coerente con quella
tradizionale ricostruzione, nell’ambito della teoria generale del processo, che fa del pubblico
ministero un organo giurisdizionale, e delle giurisdizione una funzione che si esercita anche in via
d’azione ( PAJNO, op.cit pag.174).
In questa prospettiva, il carattere strutturale di tale giurisdizione, connotato dall’azione pubblica del
p.m. contabile costituisce anche un limite naturale alla sua attitudine espansiva e della sua attitudine
a porsi come esclusiva: la giurisdizione della Corte dei conti è, in quanto fondata sulla materia, di
carattere tendenzialmente esclusivo, ma è, in quanto strutturalmente legata al necessario esercizio di
un’azione pubblica, da questa oggettivamente segnata e limitata. Tale limite può operare un effetto
di concentrazione nei limiti di tale tutela…nulla invece sembra poter dire nei riguardi di altre azioni
(e quindi di altre tutele) esperibili dinanzi a giudici diversi, dal momento che la sua configurazione
strutturale sembra impedire di concentrare presso di sé una tutela che non potrebbe che essere
esperita dal soggetto che ne è titolare. L’ampliamento della giurisdizione della Corte dei conti in
tema di responsabilità pubblica – con il correlativo incremento della legittimazione ad agire del
pubblico ministero presso la Corte dei conti, non sembra pertanto comportare proprio per la
configurazione strutturale di tale giurisdizione, una “esclusione” delle possibilità di tutela
riconosciute dall’ordinamento, nelle sedi giudiziarie indicate dalla legge.
Poichè l’attrazione alla giurisdizione contabile degli amministratori degli enti pubblici economici e
delle società pubbliche è stata invocata e giustificata anche al fine di evitare le negative
conseguenze per le risorse pubbliche derivanti dall’inerzia nell’esercizio delle iniziative da parte dei
soggetti legittimati dinanzi al giudice ordinario54, tale esigenza risulta pertanto significativamente
soddisfatta da una relazione tra la giurisdizione della Corte dei conti e quella dell’A.G.O. in termini
di concorrenza e non di esclusività: una relazione che investe anche, probabilmente, il regime delle
responsabilità, e che deve essere anche disciplinata e precisata, sia attraverso l’intervento della
giurisprudenza, e la precisazione di profili quali quelli attinenti all’interesse tutelato, al carattere
diretto od indiretto della responsabilità…(PAJNO, op.cit. 176).
Secondo l’Autore testè riportato, questa sembrerebbe d’altro canto la soluzione più ragionevole,
posto che l’esclusione dell’azione diversa da quella pubblica dinnanzi alla Corte dei conti (ad
esempio quella civile di responsabilità nei confronti di amministratori di una società a prevalente
capitale pubblico da parte del sindaco del comune titolare del pacchetto di maggioranza)
sembrerebbe comportare problemi non indifferenti di costituzionalità, sia sotto il profilo dell’acceso
dei singoli soggetti all’ordinamento alla tutela costituzionale (art.24 cost.), sia sotto il profilo
dell’ingiustificata limitazione delle opportunità di tutela offerte all’azionista della società.
54
C. PINOTTI, La responsabilità degli amministratori di società, tra riforma del diritto societario ed evoluzione della
giurisprudenza, con particolare riferimento alle società a partecipazione pubblica, in Rass.giur.en.el. 2004, 574-575.
18
Con conclusioni non dissimili, è stato ulteriormente precisato55che nell’azione pubblica, l’interesse
generale alla piena attuazione dell’ordinamento giuridico si specifica e concretizza nella scelta di
attribuire la legittimazione ad agire ad un organo pubblico, diverso dal titolare di quel particolare
diritto, talchè la sua realizzazione non dipenda dalla domanda del medesimo (né possa essere elusa
dalla sua inerzia). Di contro, l’azione resta ancorata alla realizzazione di quel particolare diritto
dedotto del quale l’amministrazione danneggiata è titolare; la piena autonomia dell’azione pubblica
e la sua doverosità sono quindi coerenti con le ragioni sottostanti la scelta di intestare l’azione
all’organo pubblico.
Diversamente, alla riserva di legittimazione al p.m. contabile non corrisponde una presunzione di
incapacità delle amministrazioni ad esercitare l’azione risarcitoria nei confronti dei propri agenti.
Mentre l’esclusione della legittimazione ad agire delle amministrazioni comporterebbe dubbi di
compatibilità costituzionale, non deriverebbero problemi dal riconoscere alle medesime la potestà
concorrente all’azione del p.m.. La strada della concorrenza delle azioni potrebbe soddisfare da un
canto l’esigenza prospettata dalla Corte Costituzione di evitare lassismi e omissioni da parte delle
amministrazioni danneggiate, e quindi le esigenze e le finalità sottese al riconoscimento del ruolo
del p.m.. mentre, le stesse ragioni che individuano la copertura costituzionale nell’azione del p.m.
(finalità di interesse generale all’integrità delle risorse pubbliche o dell’interesse oggettivo della
regolarità della gestione finanziaria, o del buon andamento della p.a., ai sensi degli artt.103, comma
2°, 97 ed 81 cost.), nel caso si pervenisse ad una deminutio della capacità e delle prerogative delle
amministrazioni, per decisioni assunte nel processo contabile che peraltro sono destinate ad incidere
sulla loro sfera giuridica, non giustificherebbero la sottrazione della legittimazione ad agire delle
pubbliche amministrazioni, o comunque quei richiami costituzionali non bilancerebbero il rischio di
lesione degli artt. 24 e 111 Cost..
Nel medesimo senso56, è stata manifestata l’opinione favorevole a rinvenire in certi limiti la
conciliabilità dei principi e degli interessi pubblicistici con la normativa del codice civile sulla
scorta di quanto esposto in precedenza (vedi supra) e della relazione funzionale che deve ritenersi
instaurata tra l’operato dei managers e dei dipendenti della società e l’ente pubblico socio.
Secondo questa prospettiva, la situazione soggettiva prevista dall’art. 2393 c.c. (doveri di adempiere
ai precetti di legge e statuto, diligenza nell’incarico…) e la misura della responsabilità,
sembrerebbero del tutto compatibili con i criteri generali dell’azione di responsabilità
amministrativa ed il grado della colpa grave. Quanto all’azione sociale dei soci di minoranza
(2393bisc.c.), il problema non si configurerà se la partecipazione privata è mantenuta sotto il quinto
del capitale sociale.
In caso contrario, la sua ammissibilità dovrebbe essere valutata in ragione del ‘concorso’ con quella
del p.m. contabile. Ciò significa che potrebbe darsi il caso che la proposizione di tale azione
soddisfi anche l’interesse pubblico, precludendone l’esercizio per difetto di interesse. Nondimeno,
secondo l’autore da ultimo citato, se in concreto il P.M. eserciti la sua azione, tale l’azione del P.M.
contabile oscurerebbe le azioni di responsabilità previste dagli artt. 2393 e 2393bis c.c., in quanto in
tali casi il socio pubblico dovrebbe fare rapporto al Procuratore regionale.
Nella sostanza, tale obbligo – di fare denuncia dei fatti dannosi al Procuratore regionale57 –
verrebbe dunque a sostituire per il socio pubblico il dovere di agire con le azioni di responsabilità.
A. CORPACI, Il principio cardine del giudizio di responsabilità amministrativa: l’attribuzione del potere di azione
al p.m. presso la Corte dei conti, relazione al convegno ‘responsabilità amministrativa e giurisdizione contabile (ad un
decennio dalle riforme)’ Varenna, 15 – 17 settembre 2005, Milano 2006.
56
V. CAPUTI JAMBRENGHI, op.cit..
57
Sull’obbligo di denuncia al Procuratore Regionale, CAPUTI JAMBRENGHI, op.cit., precisa che dovrebbe ritenersi
individuabile in ragione di una interpretazione evolutiva dell’art. 83 del R.D. 2440/1923, che ne individua l’obbligo in
capo ai direttori generali e capi di servizio e che individui attualmente i rappresentanti dello Stato o dell’Ente pubblico
nominati dal Sindaco, dal Presidente della Provincia o dalla Giunta Regionale. L’autore lamenta attualmente la
mancanza un analogo obbligo per i revisori dei conti, il cui obbligo potrebbe configurarsi nell’ambito del concetto
evolutivo dell’obbligo di servizio con la P.A..
55
19
A questo punto, è dubbio se possa dirsi sopravvivere la stessa azione dei soci privati di minoranza,
nel senso se essa possa concorrere con quella erariale, per la parte non soddisfatta (in questo senso
propende anche Sez, Giur. Lombardia, ord. n°32/2005). L’autore testè riportato ritiene difatti che la
sua ragione d’essere venga meno. Si osserva che nelle società lucrative l’azione della minoranza è
diretta a sopperire in via surrogatoria l’azione di responsabilità del socio di maggioranza verso gli
amministratori (e quindi per evitare che il mancato esercizio sia appunto dipeso da una facile
collusione tra tali soggetti, quando cioè le azioni poste in essere dagli amministratori siano frutto di
intese o direttive o comunque di accordi assunti con il socio di maggioranza).
Nel caso della società pubblica tale funzione dovrebbe ritenersi venire meno perché in tale caso alla
scelta discrezionale del socio maggioritario di procedere o meno verso gli amministratori, deve
ritenersi sostituito il dovere di fare denuncia al Procuratore, il quale procederà secondo i canoni
consueti dell’azione pubblica e dell’impulso ufficioso.
Da tali considerazioni il medesimo autore evidenzia che non rileva che il danno erariale sia
configurato come danno alla società oppure all’ente pubblico socio.
Difatti, deve ritenersi che il socio pubblico, dopo aver appreso i fatti di mala gestio della società
debba doverosamente porsi il problema se procedere ulteriormente con la gestione sociale,
ricapitalizzare la società, oppure, ritenutane la non economicità, disporne lo scioglimento e la
liquidazione.
In sostanza, la scelta del socio di governo (che in questo caso sarebbe socio pubblico) di continuare
con la gestione sociale, oppure di liquidare anticipatamente la società, lascerebbe comunque il socio
di minoranza nella medesima posizione di quella di dovere in ogni caso subire gli effetti di tale
decisione, come avviene per il diritto comune.
Il bene giuridico dedotto nell’azione erariale sarebbe comunque l’ordine economico della società
che è stato alterato in senso negativo.
Il peculiare status dell’amministratore di nomina pubblica potrebbe quindi giustificare il particolare
regime di responsabilità58.
Quanto invece alla tutela degli interessi dei creditori, si ritiene che l’azione specifica non possa
ritenersi assorbita dall’azione erariale, poiché l’interesse dei creditori riceve una distinta
considerazione nel diritto comune che in nessun caso subisce gli effetti ed i condizionamenti delle
azioni di responsabilità dei soci (il creditore può impugnare le transazioni conseguenti a tali azioni),
tanto che si afferma che il creditore in tal modo si vede assegnata la funzione del controllo
dell’adeguatezza del patrimonio sociale. In tale caso la cumulabilità delle azioni, tanto più in
ragione della plurioffensività delle condotte lesive degli amministratori, non parrebbe porre
particolari problemi.
In merito alle opinioni sin qui riportate, si può osservare che il rapporto tra azione erariale ed azioni
sociali ordinarie previste dal codice civile, seppur senza disconoscerne le indubbie peculiarità, non
assume una veste sostanzialmente difforme dalla questione generale relativa al concorso dell’azione
di responsabilità con l’azione che ciascun ente pubblico può astrattamente promuovere davanti al
giudice civile, di propria iniziativa, nei confronti dei presunti responsabili per il danno subito59.
58
Della possibile obiezione che, in tal modo, gli amministratori delle società definibili «in mano pubblica» possano
trovarsi assoggettati ad obblighi più gravosi di quelli incombenti nell'ipotesi di amministrazione di comuni società di
capitali, si veda di seguito nel testo il problema del concorso o meno di azioni risarcitorie e di giurisdizioni. Devesi
comunque osservare che nel vigente ordinamento sono evidenziabili significative differenze di trattamento giuridico in
ragione di caratteristiche obiettive delle società stesse, quali - ad esempio – il tipo di attività economica svolta o
l'ammissione alla quotazione di borsa, che comportano l'assoggettamento ad una particolare forma di vigilanza esterna
da parte di organismi pubblici, quali CONSOB, Banca d'Italia e ISVAP.
59
A.PAJNO, op.cit., 171, rileva che problema relativo alla sovrapposizione tra l’azione di responsabilità amministrativa
esperibile dal procuratore regionale e le azioni ordinarie di responsabilità sociale previste dal diritto societario pone un
problema di carattere generale relativamente alla natura della tutela giurisdizionale assicurata dalla Corte dei conti
rispetto a quella invece dell’A.G.O.. Tale soluzione è poi connessa ai profili sostanziali connessi con la natura della
responsabilità amministrativa (sanzionatoria o risarcitoria, generale o speciale), e sulla sua portata.
Diversamente per C. IBBA, op.cit., 317, l’azione amministrativa è da ritenersi incompatibile con le azioni ordinarie di
responsabilità, salvo che abbia ad oggetto danni diversi da quelli sociali. La conciliazione potrebbe essere tentata se il
20
La vera peculiarità, nel nostro caso, è data dal fatto che il presupposto delle azioni ordinarie di
responsabilità è l’esistenza di una compagine sociale finalizzata all’esercizio di attività
imprenditoriali e del sotteso interesse che promana da tale legame associativo e che ha richiesto la
previsione di strumenti particolari di tutela.
Riteniamo che, peraltro, il riconoscimento positivo del ruolo del p.m. contabile debba comunque
poggiare su quei presupposti che da molto tempo ne hanno dato una giustificazione secundum
Costitutionem e che, come già visto, si fondano principalmente sulla necessità di attribuirgli una
sorta di ius sequelae degli interessi pubblici, al fine di ovviare a quelle inevitabili inerzie, lassismi e
complicità che frustrebbero l’effettivo perseguimento di quelle finalità.
Ma, al di fuori della necessità di garantire tale effettività di tutela, non deriva immancabilmente che
il p.m. debba assumere altri ruoli di supplenza nella tutela di interessi altrui, né tanto meno che la
sua azione debba porsi in inevitabile contrasto con il sistema complessivo delle responsabilità di
previsione codicistica.
Senza dire che non sono le azioni sociali previste dagli artt. 2393 e 2395 c.c. gli unici strumenti a
disposizione del socio nel codice civile. Basti rammentare a titolo di esempio alla possibilità di
richiedere al tribunale i provvedimenti di cui all’art. 2409 c.c. (o di denunziarli al collegio sindacale
ex art. 2408 c.c., circostanza che assume maggior rilievo dopo l’introduzione del terzo comma
dell’art. 2393 c.c., che individua tale organo tra i soggetti legittimati a promuovere l’azione di
responsabilità), od alla possibilità di impugnare le delibere assunte con il voto determinante di soci
che abbiano, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società ai sensi
degli artt. 2373 e 2377 c.c.60.
I timori paventati da parte della dottrina di arrecare un ingiustificato aggravio al regime delle
responsabilità degli amministratori pubblici (e dei soci pubblici) sono in realtà confutabili anche
solo precisando che l’intervento del p.m. contabile non può che avere innanzi tutto riguardo alla
condotta dell’amministratore diligente, così come egli deve essere inteso nel ruolo di gestore di una
società di capitali.
L’intervento pubblico è finalizzato dunque a porre in essere una supplenza all’inerzia, alla
parziarietà, od alla collusione tra rappresentanti del socio pubblico ed amministratori. Esso
viene ad ovviare dunque, da un canto al rischio – assai probabile, se non scontato – del difetto di
iniziative da parte degli stessi soci pubblici verso i responsabili del danno, e, dall’altro, con la
presenza di un intervento giudiziario pubblico, officioso ed imparziale, impersonato dal p.m.
contabile, apporta la correzione ad un sistema di tutela imperniato sulla disponibilità degli interessi
in un’ottica prevalentemente privatistica, e che si pone in regime di incompatibilità con la necessità
costituzionale di tutela degli interessi pubblici.
L’azione pubblica, a prescindere dalla sua qualificazione come autonoma o surrogatoria di quella
(mancata) del socio pubblico, non può però che apprestarsi avendo riguardo alle prerogative che
sarebbero spettate al socio diligente, e quindi, gli interessi deducibili (e tutelabili) dall’azione
erariale sono innanzi tutto quegli stessi (e con gli stessi limiti) che sarebbero deducibili e tutelabili
(in sede ordinaria) dal socio pubblico, come garante del corretto impiego delle risorse pubbliche.
E’ per tali motivi che non si rinvengono ragioni per ritenere che l’azione erariale debba discostarsi
dal modellarsi, a seconda dei casi, sulla falsariga dell’azione sociale o dell’azione diretta del socio,
e quindi del risarcimento debba approfittare la società o l’ente pubblico socio nella stessa misura in
riferimento fosse da intendere ai soli “enti pubblici travestiti da società”, ma non per qualunque società a partecipazione
pubblica prevalente.
60
In merito si v. F.GUERRERA, Abuso del voto e controllo di “correttezza” sul procedimento deliberativo
assembleare, in Riv.soc. 2002, 1, 181 e segg.. In proposito tale Autore osserva che la concezione ‘pluralistica’
dell’interesse sociale esige che sia dato adeguato risalto e protezione a tutte le istanze sottese al contratto di società, ivi
inclusa quella ‘individuale’ alla distribuzione periodica dell’utile. Il problema che si pone è, piuttosto, quello di
verificare che il contemperamento degli interessi in contrasto, all’interno di quella cornice programmatica, venga
attuato bensì alla stregua della “formula organizzativa” del principio maggioritario, ma nel segno della correttezza e
senza danno, né per la collettività dei soci, né per le minoranze.
21
cui le condotte oggetto di censura ed il danno arrecato avrebbero legittimato in via ordinaria
l’esperimento di un’azione piuttosto che dell’altra.
Il che non significa che esse siano la medesima cosa, poiché l’azione erariale resta pur sempre
un’azione pubblica e trova la sua conformazione nell’ambito della giurisdizione speciale dove è
esercitata.
Non pare dunque in questa prospettiva nemmeno paventabile il rischio di una ‘doppia condanna’
in capo agli amministratori, una prima volta per risarcire l’ente pubblico ed una seconda per
risarcire la società. Né tanto meno se l’interesse perseguito dalle azioni davanti al giudice contabile
e davanti al giudice ordinario ed il danno da risarcire fosse i medesimi, poiché già attualmente, pur
in difetto di previsioni specifiche, si tiene conto di quanto il danno sia stato eliso, parzialmente o
totalmente, per effetto di altre iniziative, anche giudiziarie61.
L’unico vero aggravio, per gli amministratori di società pubbliche, sarebbe piuttosto dato dalla
presenza di un soggetto ulteriore titolare di legittimazione ad agire, svicolato completamente dalle
amministrazioni pubbliche socie. Ma, come si è già visto, tale aggravio pare del tutto giustificato
dalla presenza immanente degli interessi pubblici.
Non ci si nascondono peraltro le numerose difficoltà ancora da superare. Come già accennato, il
concorso delle azioni davanti a due diversi giudici sconta la differenza di regime processuale e
quindi il rischio di un diverso trattamento per fatti che possono parzialmente od anche totalmente
sovrapporsi62. Si tratta peraltro di una questione che involge più in generale lo stesso profilo della
responsabilità amministrativa e la sua ‘concorrenza’ o meno con la giurisdizione ordinaria.
5. Il danno erariale risarcibile in caso di società miste.
Questioni di non poco conto paiono poi porsi con riferimento alle società miste, dove si riscontri la
presenza di soci privati, od anche la compresenza di amministratori che siano espressione delle due
compagini (in ragione di accordi o previsioni statutarie che introducano voti di lista limitati ecc.).
61
Osserva in proposito A.PAJNO, op.cit. che fra le diverse tutele e le diverse forme di responsabilità esiste comunque
una relazione e l’avvenuto esercizio dell’azione di responsabilità costituisce un fatto che il giudice successivamente
adito deve necessariamente tenere presente.
62
Oltre quanto già evidenziato, deve ulteriormente ricordarsi che davanti al giudice contabile la responsabilità è
personale, salvo i casi di dolo e di illecito arricchimento, mentre in sede civile la responsabilità degli amministratori è
ritenuta solidale. Inoltre, si ammette pacificamente che con essi rispondano anche gli altri soggetti estranei, se sia
ravvisabile il loro concorso nella condotta produttiva di danno (L.NAZZICONE, in L.NAZZICONE –
S.PROVIDENTI, Commento artt.2380 – 2409 noviesdecies c.c. in La riforma del diritto societario a cura di LO
CASCIO, Milano, 2004, 184, che riporta il caso trattato da Cass. sez. V penale, 21 ottobre 1998, Minieri, concernente la
responsabilità del commercialista che abbia suggerito espedienti di bilancio).
Peraltro, anche in sede civile lo stesso principio della solidarietà deve essere stemperato alla luce della ripartizione dei
compiti tra deleganti e delegati (e quindi per i deleganti solo per le materie non delegate o non delegabili, o per la
violazione degli specifici obblighi posti dall’art. 2381 3° e 6° comma c.c., richiamati dall’art. 2392 c.c., o per le materie
che gli amministratori delegati abbiano portato in consiglio: si veda per altri riferimenti e richiami: F.BONELLI, Gli
amministratori di s.p.a. cit. 188 – 190) o quando la violazione degli obblighi riguardi solo alcuni e non altri.
In proposito è stato anche obiettato che il riconoscimento della giurisdizione contabile sugli amministratori di s.p.a.
pubbliche non dovrebbe far venir meno la concorrente responsabilità secondo le regole ordinarie, non foss’altro per il
rapporto di solidarietà passiva che li lega agli altri, mentre la responsabilità amministrativa non presenta tale carattere
R.RORDORF, Le <<società pubbliche>> nel codice civile, in Le società, 2005, 4, 423 e segg.,428.
Sul ruolo degli organi nelle gestioni privatistiche ai fini della individuazione delle condotte antidoverose:
U.MONTELLA, Analisi del ruolo degli organi nelle gestioni privatistiche svolte dagli enti economici e dalle società
pubbliche, ai fini dell’individuazione della condotta antidoverosa e della imputabilità del danno erariale, relazione al
corso di aggiornamento del C.d.P. della Corte dei conti, Lo stato della giurisprudenza in materia di responsabilità
amministrativa e contabile nei confronti di amministratori, dipendenti ed agenti degli enti economici e delle società
pubbliche, nonché in materia di controllo della Corte dei conti su i medesimi enti e società, Roma, 13 – 15 dicembre
2006, in www.corteconti.it.
22
Ci si è domandati difatti se un’eventuale azione erariale dovesse essere contenuta a risarcire la
società per la (sola) parte percentualmente corrispondente alla quota detenuta in mano pubblica,
lasciando ai soci privati la facoltà di agire per il residuo63.
Nel presupposto tuttavia che la ragione della presenza del p.m. è quella di supplire ad un’inerzia del
socio pubblico, ci sembrerebbe piuttosto preferibile ritenere che l’azione erariale sia diretta a
conseguire l’integrale risarcimento del danno in favore della società, nella stessa in misura in cui i
soci pubblici avrebbero dovuto e potuto conseguirla dal giudice civile64.
Il vincolo sociale e la scelta di perseguire determinate finalità pubbliche attraverso lo strumento
della società di capitali, inoltre, quando il presupposto sia l’esistenza di un danno arrecato alla
società, non sembra consentano di ‘atomizzare’ l’interesse pubblico limitandolo alla corrispondenza
della sola quota di capitale sociale posseduta, poiché in quel caso il pregiudizio prodotto dalle
condotte contestate non arreca semplicemente un danno al valore economico della partecipazione
posseduta e quindi all’investimento finanziario effettuato con risorse pubbliche, ma si riflette
negativamente anche sulla complessiva capacità della società di conseguire gli scopi prefissati,
nell’ambito dei quali, per quanto esposto in precedenza, dovrebbero essere compenetrati anche gli
interessi pubblici.
Questi orientamenti, anche con riguardo ai rapporti tra azione sociale ed azione erariale ed
all’individuazione del soggetto leso sono riscontrabili nella più recente giurisprudenza della Corte
dei conti, in particolare nella sentenza n. 980 del 29 dicembre 2008 della Sez. Giur. Lombardia e
nella Sez. I Centrale appello n. 532 del 3 dicembre 2008.
In particolare, la sez. giur. Lombardia, confermando un precedente orientamento espresso con le
sentenze 22 febbraio 2006 n. 114 e 17 luglio 2007 n. 414 (si vedano invece le sentenze n. 135 del 4
marzo 2008 e n.288 del 15 maggio 2008), ha ritenuto che la titolarità del risarcimento debba
essere individuata in capo alla società partecipata e non all’ente pubblico azionista, e l’entità
debba essere accordata con riguardo all’intero danno arrecato alla società e non commisurato
all’entità della partecipazione pubblica posseduta.
I giudici contabili, nelle predette decisioni, escludono che così configurate l’azione sociale di
responsabilità e l’azione erariale si pongano in conflitto tra loro, poiché esse, nel loro concorso
prefigurano una forma di tutela aggiuntiva, giustificata dall’esigenza di salvaguardia delle funzioni
e dei servizi pubblici ai quali la società stessa è preordinata. Né dovrebbe paventarsi il rischio
appunto di una duplice condanna, poiché l’esito di una delle due azioni, che già avesse fatto
conseguire la piena soddisfazione degli azionisti, comporterebbe non una questione di giurisdizione,
ma si limiti di proponibilità della domanda avanti al giudice adito per secondo, o sotto il profilo
della violazione del divieto del ne-bis in idem, o piuttosto sotto quello della carenza attuale
dell’interesse ad agire.
6. Le responsabilità dei soci pubblici.
Le specifiche norme del codice civile sulla responsabilità degli amministratori sono applicabili agli
amministratori in senso stretto (di fatto o di diritto) ma non, ad esempio, ai “soci” e alle
responsabilità discendenti dalla partecipazione all’organo assembleare societario (si pensi appunto a
tutte quelle decisioni prese in sede assembleare che comportano una ricaduta sulle finanze degli enti
63
Così M. ATELLI, op.cit. secondo il quale nel caso di società miste, il p.m. erariale non potrebbe agire verso gli
amministratori per l’intero danno subito dalla società, poiché in tal caso farebbe valere le pretese risarcitorie anche per
quella parte di danno che sarebbe destinata a gravare su i soci privati (la determinazione della ‘parte di danno’
azionabile dal p.m. erariale non è di difficile individuazione nel caso delle società quotate, dove il valore della società è
incorporato nella stima di mercato del titolo azionario, mentre in quelle non quotate sussistono comunque reports delle
agenzie di rating ed altri indicatori di mercato.
Quanto agli amministratori che risultassero, in base a circostanze univoche, espressi dal socio privato, cionondimeno
essi sarebbero convenibili davanti al giudice contabile qualora sia dimostrato che avevano condiviso le scelte compiute
dalla maggioranza o dalla totalità degli altri amministratori.
64
In questo ordine di idee anche: M.CONDEMI, op.cit..
23
di riferimento, come nel caso del ripiano di bilanci, di aumenti di capitale, di delibere che decidano
la destinazione di fondi di vario titolo e genere).
Di conseguenza, per i possibili danni erariali scaturenti dalle decisioni dell’assemblea nel suo
complesso o dei singoli soci, le norme sulla responsabilità civile in precedenza richiamate (come
detto rivolte agli amministratori), non possono trovare applicazione (in disparte i casi in cui i soci
possano eventualmente concorrere con gli amministratori nella commissione di illeciti gestori od
anche reati).
Per i suddetti danni erariali, - sul presupposto che i soci pubblici e i loro rappresentanti possono
ritenersi “pubblici ufficiali” od “incaricati di pubblico servizio”, e il danno è causato al patrimonio
pubblico (per ora non importa stabilire se esso appartenga all’ente pubblico di riferimento o alla
società quale autonomo soggetto di diritto) - appaiono sussistere invece le condizioni per
l’applicazione dell’ art. 52 del RD n. 1214 del 1934.
Accanto alle responsabilità degli amministratori, debbono poi essere sempre tenute presenti quelle
dei soggetti incaricati dal socio pubblico a partecipare alle assemblee, ad esercitare le prerogative
del socio, esprimere – se previste – le direttive, od anche ad esercitare la sorveglianza sulla società.
Si tratta, per tali aspetti, di una responsabilità di tipo ‘tradizionale’, che non dipende direttamente
dal nuovo orientamento della Cassazione, e per la quale può appunto farsi riferimento al leading
case del Comune di Tivoli e di una società costituita per un servizio sociale (Acque Albulae), ove
era stato omesso l’esercizio dell’azione sociale seppur a fronte dell’evidente mala gestio da parte
degli amministratori (C.d.c. sez. II, n. 96 del 26 marzo 2002); decisione confermata in esito al
ricorso per regolamento successivo di giurisdizione da Cass. Sez. Unite n.13702 del 22 luglio 2004:
in tale occasione la Cassazione ha affermato che per i sindaci del comune sussiste l’obbligo di
esercitare le azioni di responsabilità verso gli amministratori, a tutela del patrimonio
comunale. L’esercizio di tali azioni, ricorrendone i presupposti, costituisce quindi un obbligo
giuridico e non rientra tra le attività discrezionali rimesse a valutazioni di merito.
Una simile affermazione conferma quanto sostenuto in precedenza in merito alla diversità del
rapporto che lega gli enti pubblici verso i beni azionari, rispetto quello del privato azionista.
Rapporto ove la disponibilità del diritto viene meno ed assume preminente rilievo quello l’aspetto
della funzione, con in conseguente corredo di doveri connessi alla diligente tutela delle risorse
pubbliche.
Ulteriore ipotesi di responsabilità, che egualmente non discende dalle novità introdotte con il
revirement della Suprema Corte del 2003, è quella ascrivibile ai componenti degli organi
rappresentativi dell’ente pubblico in occasione delle formulazione delle decisioni relative alle cc.dd.
fasi genetiche e funzionali della società, cioè riferite alle scelte di destinare risorse pubbliche per
determinati fini di pubblico interesse facendo ricorso ad un determinato modello organizzativo
(società di capitali), così come alle altre che spettano appunto al socio chiamato in quanto tale ad
incidere sulla vita della società e sulla sua capacità di (continuare a) perseguire (o meno) lo scopo
sociale (dotazione di risorse, aumenti di capitale, ripianamento di perdite e delibere f.b., ecc.).
In tali ipotesi, che non possono essere indagate in profondità in questa sede, l’aspetto di preminente
rilievo è assunto dall’individuazione e ripartizione delle competenze e delle responsabilità tra
gli organi dell’ente (Giunta e Consiglio) ed i soggetti delegati a rappresentare l’ente in
assemblea ed a pronunciarsi in quella sede, aspetti che richiedono la previa chiara definizione delle
competenze in rapporto alle decisioni da adottare, della relazione corrente tra l’ente socio e la
società partecipata, degli ambiti di discrezionalità individuabili in capo al rappresentante in
assemblea piuttosto che in capo agli organi dell’ente, anche in ragione della natura stessa di tale
rappresentanza, da ritenersi di tipo formale o piuttosto di tipo sostanziale.
Per un caso di riconosciuta responsabilità di sindaco, vice sindaco, vice segretario generale,
assessori e componenti del collegio dei revisori di un Comune per il danno arrecato all’ente
derivante dalla vendita ad un prezzo inferiore rispetto al valore di mercato della quota di
partecipazione di una società mista partecipata dall’ente medesimo, si veda Corte dei conti, Sez.
24
Giur. Veneto, 31 ottobre 2005 n. 1375, confermata da Corte conti, sez. I appello 2 settembre 2009 n.
518.
7. Recenti orientamenti dottrinali. I tentativi di individuare dei criteri di distinzione ai fini del
radicamento della giurisdizione in ragione delle varie tipologie di società pubbliche.
Di recente, il dibattito in merito all’estensione della giurisdizione contabile sulle società pubbliche
ha dovuto fronteggiare la sopravvenienza dell’art. 16 bis introdotto dalla legge 28 febbraio 2008,
n.31, di conversione del d.l. 31 dicembre 2007, n.248 (c.d. decreto “ Mille proroghe”).
In proposito, la dottrina ha variamente accolto la nuova disposizione, ponendosi le questioni in
merito alla sua effettiva portata innovativa, alla valenza o meno di norma contenente un precetto
generale, all’insoddisfazione per i criteri discretivi legati alla entità della partecipazione pubblica65.
Ma ancor precedentemente, è noto che, con approcci e risultati non sempre coincidenti, la questione
della giurisdizione si è in varia misura alimentata delle elaborazioni offerte da tempo dalla dottrina
e dalla giurisprudenza negli infiniti tentativi di individuare dei criteri per classificare le varie
tipologie di società pubbliche, al fine di ricostruire il regime normativo rispettivamente applicabile
e gli stessi confini del concetto di ‘ente pubblico’66.
Tralasciando in questa sede l’approfondimento delle complesse questioni sottese, limitiamo
l’attenzione per riservare qualche cenno al fenomeno assai diffuso delle società ‘miste’, specie di
quello nate in ambito locale.
Il problema suscitato dal rilievo della lesione al ‘patrimonio pubblico’ emerge difatti in particolare
nel caso delle società miste pubblico-private.
Il limite del rilievo della ‘pubblicità’ è spesso ripreso dalle conclusioni a suo tempo assunte dalla
Corte Costituzionale con la nota sentenza n.466/1993 con la quale il Giudice delle leggi aveva
ritenuto giustificata la permanenza del controllo della Corte dei conti sulle società frutto del
processo di ‘privatizzazione’. Ora, peraltro, occorre domandarsi piuttosto se l’entità della
partecipazione pubblica, in sostanza declinabile da un ipotetico ‘zero-virgola’ ad un ‘oltre 99%’, sia
in grado di suscitare conseguenze differenti nell’ambito della giurisdizione di responsabilità, o se
piuttosto possa valere il discrimine tra società con partecipazione pubblica maggioritaria o
minoritaria, od ancora se la giurisdizione sia configurabile solo quando la partecipazione pubblica
superi l’80% e quindi precluda l’esercizio dell’azione di minoranza prevista dall’art. 2393bis c.c.,
ovvero, ancora, tali criteri non assumano rilievo.
A fronte di società interamente partecipate da enti pubblici, possono ipotizzarsi i casi di società
dove la partecipazione pubblica si attesti sopra l’80%, e sino al 50,1%, oppure ancora scenda sotto
percentuali inferiori.
In quest’ultima ipotesi peraltro, non è detto che si tratti di partecipazioni che privino di rilievo la
presenza pubblica, poiché, specie con riguardo all’esistente, potrebbe darsi la presenza di diritti
speciali (ex artt. 2458 e 2459 c.c.) o comunque ricollegabili alla c.d. golden share (ex legge
474/1994, seppure sia evidente il sostanziale declino di tali strumenti, tanto più in seguito alla
recente decisione della Corte di Giustizia in merito al processo di privatizzazione dell’AEM s.p.a. di
Milano ed alla modifica normativa che ne è conseguita con riguardo all’art.2449 c.c.).
65
In proposito, si vedano: M. PERIN, S.p.A. pubbliche: controllo o impunità? Soluzioni del decreto mille proroghe e
novità giurisprudenziali (note a margine dell’art. 16 bis della legge 28 febbraio 2008 n.31 che ha convertito il c.d.
decreto milleproroghe, in www.lexitalia.it; M. A. SANDULLI, L’art. 16 bis del decreto milleproroghe sulla
responsabilità di amministratori e dipendenti delle società pubbliche: restrizione o ampliamento della giurisdizione
della Corte dei conti? (Ovvero: l’effetto perverso delle norme last minute), in www.federalismi.it.;P.NOVELLI,
L.VENTURINI, Art.16bis legge 28 febbraio 2008 n.31: mercati regolamentati, capitale pubblico minoritario e
giurisdizione della Corte dei conti, in NOVELLI, VENTURINI, La responsabilità amministrativa…op. cit. Cap. VII;
66
Su tale argomento, sia consentito il rinvio per riferimenti di dottrina e giurisprudenza a P.NOVELLI, Le società
pubbliche, in NOVELLI, VENTURINI, La responsabilità amministrativa….op.cit..Di recente: M. CAMMELLI, M.
DUGATO (a cura di), Studi in tema di società a partecipazione pubblica, Torino, 2008.
25
In merito alle società miste, si è affermato che non tutte le società pubbliche sarebbero da ritenersi
assoggettabili alla giurisdizione contabile. Difatti, laddove l’attività della società partecipata non
consista nello svolgimento di un servizio pubblico, non sia cioè caratterizzata anche da un elemento
funzionale, quale il soddisfacimento diretto dei bisogni di interesse generale, bensì si atteggi ad
attività puramente imprenditoriale, caratterizzata unicamente dal perseguimento di fini di lucro,
amministratori e dirigenti si situeranno al di fuori della giurisdizione del giudice contabile.
Diverso, in questo ultimo caso, sarebbe però il destino dei legali rappresentanti del socio pubblico
cui potrebbe eventualmente contestarsi il cattivo esercizio, commesso con dolo o colpa grave, dei
poteri tipici del socio (anche ai fini dell’azione di responsabilità degli amministratori), in quanto
anche in questo caso sussisterebbe sempre l’interesse pubblico alla integrale preservazione delle
risorse investite67.
Tale aspetto è stato anche evidenziato in particolare dalla dottrina che ha manifestato il proprio
dissenso verso il nuovo orientamento della Corte di Cassazione: si è osservato che <…applicando il
criterio del danno alle risorse pubbliche dovrebbero per coerenza assoggettarsi alla giurisdizione
contabile tutte le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di qualunque società
nella quale vi sia una partecipazione pubblica , anche se infinitesimale, e così, ad esempio, di una
società con capitale privato al 99% e pubblico solo all’1%. Ad evitare tale conclusione – che pare
eccessiva ed incongrua – si dice che le partecipazioni pubbliche minoritarie sono da considerarsi
quali puri investimenti economici, rispetto ai quali non si pone alcun problema di danno erariale.
Non mi sembra, tuttavia, che la spiegazione regga, dal momento che il valore di una partecipazione
del 5% in una determinata società, come è intuitivo, può essere cento volte superiore a quello di
una partecipazione del 90% in un’altra società, sicchè il danno alle risorse pubbliche può essere
enormemente maggiore nel primo caso rispetto al secondo>. 68
Si è però obiettato69 che escludere la giurisdizione contabile per la parte di capitale pubblico di
minoranza equivarrebbe a dire che quest’ultimo debba perdere la propria specifica tutela dettata
dalle norme sulla responsabilità erariale; significherebbe, in altre parole, che per il fatto stesso di
partecipare ad una compagine societaria in cui è maggiore la presenza dei privati per ciò solo
diventerebbero irrilevanti le norme dello statuto pubblico che in ogni caso si applicano al
patrimonio pubblico e che devono essere osservate dagli amministratori pubblici nella loro
gestione (e che, entro certi limiti, possono far assumere alla condotta degli amministratori dei
medesimi beni connotati di grave rilievo penale).
In realtà, si replica che le regole che devono applicare i soci pubblici in quanto tali (e non solo
quelli di maggioranza) e quelle che devono applicare gli amministratori di nomina pubblica sono le
medesime, se riferite alla parte pubblica di patrimonio (e perciò è indifferente per l’ applicazione di
dette regole se il capitale pubblico è maggioritario o minoritario) .
Se questo è vero, si obietta che riconoscere la giurisdizione contabile sulla società con capitale
pubblico di maggioranza e non su quella con capitale pubblico di minoranza, sarebbe come
riconoscere una tutela giurisdizionale a metà, e fondarla su di un dato non richiesto dalla
Costituzione e dalle norme che fissano le regole della responsabilità erariale. Il fatto pertanto che
nella legge si faccia molto spesso riferimento alle sole società con capitale pubblico di maggioranza
al fine di avvicinarle alla pubblica amministrazione sconterebbe l’errore prospettico di ritenere
assoggettati alla giurisdizione solo gli enti con evidenti requisiti di pubblicità e, perciò, solo la
pubblica amministrazione e i soggetti alla stessa assimilati.
Al contrario, potrebbe sostenersi che la soggettività (pubblica o privata) sembri neutra di fronte alla
Corte dei conti, così come potrebbe anche ricavarsi da altre disposizioni di legge che pongono in
ATELLI La giurisdizione della Corte dei conti sulle società a partecipazione pubblica nell’età della fuga verso il
diritto privato, in ATELLI (a cura di) Giurisdizione della Corte dei conti e responsabilità amministrativa, Napoli, 2005;
M. RISTUCCIA, op.cit..
68
C.IBBA, Azione ordinaria di responsabilità e azione di responsabilità amministrativa in materia di società in mano
pubblica. Il rilievo della disciplina privatistica, in Atti del Convegno “Responsabilità amministrativa e giurisdizione
contabile (ad un decennio dalle riforme)” Varenna, 15 – 17 settembre 2005, Milano 2006. 317.
69
P.CREA, op.cit.
67
26
primo piano ‘i beni’ e le ‘funzioni’ anziché il ‘soggetto’ destinatario di essi, e tanto meno la sua
natura pubblica o privata70.
Egualmente, a fronte dell’irrilevanza della veste giuridica assunta dall’ente, l’accentuazione
contenuta nell’ ordinanza delle SS.UU. della Corte di Cassazione n.19667/03 sull’elemento
finalistico, cioè sulla partecipazione pubblica all’attività amministrativa e ai fini di una pubblica
autorità (analogamente alla posizione già assunta con il concessionario), consentirebbe di pervenire
a conclusioni positive anche verso quelle società miste con partecipazioni pubbliche non
maggioritarie, poiché la giurisdizione della Corte dei conti si ‘àncora’ a beni o patrimoni pubblici e
non si ‘stempera’ se essi confluiscono nel patrimonio di una società (anche con capitale pubblico di
minoranza)71.
Il problema della giurisdizione si potrebbe porre con particolare riguardo al caso della
partecipazione minoritaria senza poteri di controllo o d’influenza sull’amministrazione72,
Sono citati ad esempio da P.CREA l’ art. 3, commi 6 e 7, del d.lgvo n. 419 del 1999 (concernente il riordino del
sistema degli enti pubblici nazionali ), ove si prevede (comma 1) che gli enti privatizzati assumano la personalità di
diritto privato; tuttavia nei menzionati commi precisa che : 1) < il patrimonio degli enti di diritto privato di cui al
comma 1 è costituito dal patrimonio dei corrispondenti enti pubblici > 2) l’organo di revisione cura che l’inventario
preveda una <..distinta evidenziazione ai beni la cui gestione o conservazione costituiva lo scopo istituzionale dell’ ente
pubblico>; 3) < i beni la cui gestione o conservazione costituiva lo scopo istituzionale dell’ ente pubblico permangono
destinati a tali finalità…e non possono essere alienati o gravati da alcun diritto se non in base a specifica ed espressa
autorizzazione del Ministero vigilante…secondo la vigente normativa, da rilasciarsi in casi eccezionali. …Le
limitazioni di cui al presente articolo devono, in ogni caso, risultare negli statuti degli enti di diritto privato derivanti
dalla trasformazione e sono iscritte nel registro di cui all’ art. 33 del codice civile > .
Osserva P.CREA che sembra in sostanza che i beni pubblici non siano soggetti a confusione se immessi nel patrimonio
privato e restino in ogni caso soggetti a un particolare regime formale e sostanziale.
Il medesimo testo di legge prevede che il controllo degli enti così trasformati sia rimesso alla Corte dei conti
limitatamente all’esercizio di pubbliche funzioni e pubblici servizi, a riprova che all’interno del fenomeno unitario
della persona giuridica privata possa farsi distinzione comunque tra fatti di rilevo pubblico e fatti di rilievo privato, ed
evidenziando che sia i beni pubblici che le attività pubbliche, in ogni caso, sono soggetti a regole di controllo, di
circolazione e di gestione diverse da quelle imprenditoriali caratterizzate da un’innegabile maggiore grado di
autonomia. In tal senso vedasi anche l’ art. 4, co.1 lett. b) e c ) del d.lgvo n. 104 del 1996 (in materia di dismissione del
patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici), secondo cui i contratti di gestione (ossia quelli che creano il
rapporto di servizio con l’ente pubblico) devono conformarsi ai seguenti principi ispiratori: lett. b): responsabilità
contabile della gestione; lett. c) responsabilità civile e amministrativa della gestione dei beni conferiti.
Se per la responsabilità contabile in senso stretto il passo dell’assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti
si sarebbe potuto ipotizzare in virtù delle norme che considerano contabile chiunque si ingerisca nel maneggio di beni
pubblici (artt 178 e ss RD 23 maggio 1924,n.827), il riferimento alla responsabilità “amministrativa” accanto a quella
civile, non potrebbe che essere riferita alla responsabilità per fatti di gestione di cui conosce la Corte dei conti.
Depone in tal senso anche il fatto che all’epoca di introduzione della norma non poteva ritenersi che con l’espressione
responsabilità amministrativa si facesse riferimento a quella forma di responsabilità delle società introdotta
successivamente con D.lvo n. 231 del 2001 (recante appunto la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche
e delle società); ne’ sembra che la norma si riferisca alle sanzioni amministrative introdotte con le leggi di
depenalizzazione, poichè la responsabilità amministrativa è riferita, dalla norma in questione, alla <gestione dei beni
conferiti>, e pertanto ad una forma di responsabilità per fatti di gestione e non ad ipotesi tassative di legge come
dovrebbe essere nel caso di sanzioni amministrative ( cfr. art. 1, legge 24 novembre 1981, n. 689 ).
In sostanza, all’epoca in cui fu introdotto l’art. 4 del D.Lvo n. 104 citato la responsabilità amministrativa cui poteva
farsi riferimento era solo quella erariale di cui giudica la Corte dei conti, a ulteriore riprova che per il legislatore era
necessario tutelare il patrimonio pubblico, anche se formalmente intestato ad una società di capitali.
71
F. GUALANDI – F. MINOTTI, op.cit., i quali peraltro osservano che una simile conclusione non parrebbe conciliarsi
con il diverso riferimento contenuto nell’art. 7 della legge 97/2001 che prevede la comunicazione al Procuratore della
Corte dei conti della sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti di dipendenti di amministrazioni o di
enti pubblici ovvero a prevalente partecipazione pubblica.
72
Nell’ambito della recente giurisprudenza contabile, si deve segnalare la sentenza Sez. Giur. Lombardia, sent. 5
settembre 2007 n.448. In tale decisione, l’affermazione della giurisdizione verso gli amministratori di una società
(ENIPOWER s.p.a.) controllata al 100% da una società (ENI s.p.a.) partecipata al 30% dal Ministero dell’Economia e
delle Finanze, è stata fondata sul concetto di ‘impresa pubblica’ rinvenibile nel d. lgs.163/2006, ed in particolare nel
riscontro dell’ influenza dominante esercitata, anche solo indirettamente, sulla società interamente partecipata da ENI
s.p.a.. Nei confronti di quest’ultima l’influenza dominante sarebbe riscontrabile nella partecipazione pubblica del 30%
del capitale azionario a fronte di una partecipazione azionaria fortemente diffusa, percentuale che assume rilievo
70
27
sebbene in tal caso dovrebbe forse ricorrere l’ulteriore requisito dell’assenza di svolgimento di un
servizio pubblico o di funzionalizzazione a soddisfacimento diretto di bisogni di interesse
generale73.
In questi casi, la partecipazione azionaria assumerebbe rilievo unicamente quale ‘investimento
finanziario’, o comunque quale partecipazione pubblica ad una attività imprenditoriale, e la
considerazione del giudice contabile dovrebbe avere riguardo principalmente ai danni indiretti
cagionati all’integrità di tale partecipazione, sotto il profilo della malagestio della medesima,
condotta dall’azionista pubblico74.
Ma anche solo procedendo dal riscontro, desumibile come dato di fatto, dell’esistenza di numerose
partecipazioni azionarie detenute da enti pubblici e prive dei connotati del ‘controllo’, resta
piuttosto il dubbio che possa ritenersi tout-court ammissibile una partecipazione con risorse
pubbliche ad un capitale di rischio, inteso come mero ‘investimento’, in difetto della necessaria
normativo in ragione del richiamo posto dall’art. 2359 c.c. che considera società controllata la società in cui un’altra
società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria. Né comunque le
società partecipate al 30% potrebbero essere assimilate a comuni società di capitali, in ragione dell’applicabilità anche
alle società non solo ‘controllate’, ma anche solo ‘partecipate’ dallo Stato della disciplina dello spoil system, previsto
dall’art. 6 comma 1°, legge 145/2002; tale normativa difatti, rifuggirebbe da una logica di partecipazione meramente
finanziaria, evidenziando, di contro, l’intenzione di mantenere lo schema delle società ‘controllate’ come strumenti di
politica industriale, dove la sostituzione degli amministratori sarebbe manifestazione del loro ruolo di interpreti delle
posizioni governative in materia. Parimenti dicasi per l’ulteriore richiamo posto dal d. lgs. n.58/1998 (c.d. T.U.F.), dove
l’acquisizione a titolo oneroso di una partecipazione nel capitale ordinario superiore al 30% fa scattare l’obbligo di
offerta pubblica di acquisito, ovvero l’obbligo dell’acquirente di lanciare un’OPA sull’intera quantità delle azioni
residue.
Ne deriva che tali società miste sono tenute ad osservare nell’ambito delle procedure di approvvigionamento di beni e
servizi le medesime procedure ad evidenza pubblica delle ‘amministrazioni tradizionali’ e tali regole di aggiudicazione
di matrice pubblicistica valgono – come precisato anche nel Libro Verde degli appalti pubblici nell’UE, di cui alla
Comunicazione della Commissione in data 27 novembre 1996 – a garantire la finalità di <pervenire ad una utilizzazione
razionale del pubblico denaro attraverso la scelta dell’offerta migliore>. Osserva in proposito il Collegio lombardo nella
decisione qui riportata, che, l’imposizione comunitaria di seguire le procedure di evidenza pubblica anche alle società
miste, dove cioè solo parte delle risorse siano di provenienza pubblica, mentre le altre sono fornite dai soci privati,
starebbe a significare che si verifica un fenomeno di <attrazione> o di <trascinamento> per cui anche l’accesso alla
quota parte di corrispettivo della commessa, pur non proveniente dalle finanze pubbliche, finisce per essere interamente
governato da una procedura di impronta pubblicistica. La quota parte di provenienza pubblica avrebbe quindi una
‘capacità contaminante’ nell’economia della vicenda contrattuale, anche nel caso in cui il committente sia una società
mista pubblico-privata.
Nell’ambito di tale quadro giuridico di riferimento, il giudice contabile lombardo ha ritenuto che costituissero violazioni
giuridicamente rilevanti le condotte poste in essere dai convenuti, consistenti nella fornitura di informazioni (solo ad
alcuni concorrenti) in grado di alterare e predeterminare il gioco delle offerte.
73
Il principio, della funzionalizzazione, esprime complessivamente l'obbligo di indirizzare tutta l’attività degli enti
pubblici al perseguimento degli scopi di pubblica utilità attribuiti dall'ordinamento Su tali aspetti e sulle diverse
concezioni, tra i tanti: S.CASSESE, Il sistema amministrativo italiano, Bologna, 1983, pag.79; M.S. GIANNINI,
Diritto amministrativo, II, Milano, 1993, pag.343; A. ROMANO, Introduzione, in Diritto amministrativo, I, (a cura di)
MAZZAROLLI, G.PERICU, A. ROMANO, F.ROVERSI-MONACO, F.G.SCOCA, Bologna, 1993, pag.57 ss.; S.A.
ROMANO, voce Attività di diritto privato della p.a., in Dig. Disc. pubbl. 4, I, Torino, 1987, 531 ss.. Di recente: A.
PAJNO, Gli enti locali e gli strumenti di diritto privato, relazione tenuta al 55° Convegno di Studi Amministrativi di
Varenna (Como), settembre 2009, e destinata alla pubblicazione su Diritto Amministrativo.
74
In questo senso anche M.ATELLI, La giurisdizione della Corte dei conti sulle società a partecipazione pubblica
nell’età della fuga verso il diritto privato, in M.ATELLI (a cura di) Giurisdizione della Corte dei conti e responsabilità
amministrativa, Napoli, 2005, secondo il quale non tutte le società pubbliche sono da ritenersi assoggettabile alla
giurisdizione contabile. Laddove l’attività della società partecipata non consista nello svolgimento di un servizio
pubblico, non sia cioè caratterizzata anche da un elemento funzionale, quale il soddisfacimento diretto dei bisogni di
interesse generale, bensì si atteggi ad attività puramente imprenditoriale, caratterizzata unicamente dal perseguimento di
fini di lucro, amministratori e dirigenti si situeranno al di fuori della giurisdizione del giudice contabile. Diverso, in
questo ultimo caso, sarebbe però il destino dei legali rappresentanti del socio pubblico cui potrebbe eventualmente
contestarsi il cattivo esercizio, commesso con dolo o colpa grave, dei poteri tipici del socio (anche ai fini dell’azione di
responsabilità degli amministratori), in quanto anche in questo caso sussisterebbe sempre l’interesse pubblico alla
integrale preservazione delle risorse investite.
28
funzionalizzazione al perseguimento di scopi di interesse generale, o comunque non necessitata dal
(miglior) perseguimento delle funzioni istituzionali75.
Tali dubbi peraltro, parrebbero trovare un ulteriore appiglio nell’art. 3 commi 27 - 29 della legge
finanziaria per l’anno 2008 che ha posto il divieto di costituire società aventi per oggetto attività
di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie
finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente [o indirettamente] partecipazioni, anche
di minoranza, in tali società; mentre l'assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento delle
attuali devono essere autorizzati dall'organo competente con delibera motivata in ordine alla
sussistenza dei presupposti di cui al comma 27, e tale delibera deve essere inviata alla Sezione
competente della Corte dei conti.
Sembrerebbe quindi che per effetto di tale disposizione l’impiego del modello societario sia
ammesso solo subordinatamente ad un vaglio che ne attesti la stretta necessità per il perseguimento
delle rispettive finalità istituzionali, oltre all’ipotesi distinta dei servizi di interesse generale.
In proposito, si è posto in evidenza76 quanto afferma la medesima relazione al disegno di legge, e
cioè che “la creazione di enti e società per lo svolgimento di compiti di rilevanza pubblica è e
rimane uno strumento utilissimo per perseguire maggiore efficienza a vantaggio della collettività;
scopo della norma è quello di evitare forme di abuso (la cui esistenza è verosimile, tenuto conto che
sono circa tremila, ad esempio, le società partecipate dalle pubbliche amministrazioni) che
sottraggono l’agire amministrativo ai canoni della trasparenza e del controllo da parte degli enti
pubblici e della stessa opinione pubblica”. Tali finalità difatti sono state poi riprese e condivise dalla
Corte Costituzionale con la sentenza 18 maggio 2009 n. 148.
In quella sede, il Giudice delle Leggi ha confermato che le norme censurate, in considerazione del
loro contenuto, “sono appunto dirette ad evitare che soggetti dotati di privilegi svolgano attività
economica al di fuori dei casi nei quali ciò è imprescindibile per il perseguimento delle proprie
finalità istituzionali”. L’utilizzo del termine “imprescindibile”, osserva in proposito l’Autore testè
citato (P.PRINCIPATO), rafforza il concetto sopra esposto secondo cui l’esercizio di attività
imprenditoriale da parte della pubblica amministrazione dovrebbe caratterizzarsi ex ante come
modalità di per sé dotata di evidenti e peculiari vantaggi rispetto a strumenti diversi, non dotati,
sempre secondo una valutazione prognostica, di altrettanta efficacia.
E’ difficile dire ora se l’innovazione produrrà qualche effetto concreto, e condurrà realmente ad una
riduzione del fenomeno che un illustre Autore aveva bollato, specie in ambito locale, come una
sorta di ‘neo socialismo municipale’77, o si risolverà semplicemente nell’imporre uno sforzo
aggiuntivo per irrobustire il corredo motivazionale delle delibere che saranno assunte da parte degli
‘organi competenti’.
Peraltro, è noto che altre e numerose disposizioni sono di recente intervenute, tutte nella sostanza
dirette a costituire, quanto meno, come ‘riscontro di fatto’, una sorta di ‘statuto’ delle società
pubbliche.
Il riferimento è ovviamente innanzi tutto riferito all’art. 13 del D.L. 4 luglio 2006 n. 223,
convertito in L. 4 agosto 2006 n. 248, che ha introdotto tra l’altro una categoria di società ad
75
In materia di pubblici servizi il dubbio si era già proposto anche con riguardo alla legittimità della strutturazione delle
partecipazioni azionarie secondo modelli che riproducevano quello delle partecipazioni statali, con al culmine una
società holding non operativa. In proposito, si era obiettato che l’art. 112 1° comma TUEL prevede che le attività
oggetto di assunzione da parte degli enti locali devono essere dirette alla produzione di beni o di servizi; ne deriverebbe
(così: MARTELLI, Servizi pubblici locali e società per azioni, Milano 1997) che dovrebbe escludersi la società
costituita per la gestione del patrimonio pubblico comunale o la società holding in quanto l’oggetto della loro attività si
esaurirebbe nel godimento dei beni immobili o delle partecipazioni azionarie e mancherebbe il requisito della
produttività.
E’ stato posto in dubbio comunque che si possano ritenere lecite partecipazioni meramente finanziare risolventesi in
sole attività speculative (A. PERICU, op.cit., p. 29).
76
P. PRINCIPATO, I controlli sulle società partecipate dagli enti locali, relazione aggiornata ed integrata resa al
Convegno di Assisi 28 – 29 maggio 2009: “I controlli amministrativi: bilancio di una riforma”
77
S.CASSESE, Il Corriere della sera, 29 ottobre 2003.
29
oggetto sociale esclusivo78, ma altresì alle altre disposizioni che hanno posto vincoli comuni agli
enti proprietari in materia di assunzione di personale e conferimento degli incarichi, all’inserimento
nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto
nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004,
n. 311, alle limitazioni in materia di composizione degli organi ed ai compensi loro spettanti, ecc.79.
Non vi è dubbio che ritornano di attualità le questioni già da tempo affrontate in merito
all’estensione della capacità giuridica degli enti pubblici, con particolare riferimento alla
capacità di diritto privato, al riferimento all’utilizzo dei moduli societari, nonché ai limiti
derivanti dal recente assetto normativo80.
Sembrerebbero riproporsi le argomentazioni oramai assai risalenti nel tempo che avevano dubitato
dell’estensione della capacità di diritto privato degli enti pubblici, e degli enti territoriali in
particolare, poiché le nuove disposizioni limitative, per quello che potrebbe apparire, mostrano
somiglianze con la disciplina generale concernente i servizi pubblici, nella parte in cui la legge
(artt. 113, 113bis¸ 114, 116, ecc. TUEL) aveva inteso predeterminare e tipizzare gli strumenti di
intervento; sebbene dunque paludati sotto altre forme e giustificati dalla tutela della concorrenza e
del mercato, essi potrebbero essere intesi come esempi di limitazioni legislative di diritto pubblico
poste alla capacità generale di diritto privato degli enti territoriali81.
E’ noto peraltro che la dottrina aveva superato la concezione che riduceva la gamma delle funzioni
della p.a. alla sola dicotomia funzioni pubbliche – servizio pubblico, in ragione del riconoscimento
agli enti di una generale capacita negoziale di diritto privato82: in proposito si era difatti precisato
che la necessaria funzionalizzazione dell’attività degli enti pubblici all’attuazioni di scopi di
interesse collettivo non vale a limitarne la capacità generale, stante che il diritto pubblico ed il
diritto privato devono essere correttamente intesi come gruppi di norme, di istituti e come tecniche
giuridiche alternative, per il perseguimento di scopi pubblici di contenuto differente.
Non si dovrebbe quindi più porre un problema d’ incapacità speciale, cioè relativa a certi atti.
Nondimeno, come si è visto, le recenti norme reitroducono pesantemente la questione della
limitazione della capacità degli enti pubblici nella scelta di certi moduli organizzativi (società di
capitali), ponendovi notevoli limitazioni, divieti e comminando ‘sanzioni’ per l’inosservanza.
Di recente83 si è osservato che un problema di capacità generale dell’ente locale può porsi non per
le funzioni proprie ex art. 118 Cost., ma per quelle fondamentali che devono essere identificate da
legge statale (e quindi non sono frutto di autonoma determinazione dell’ente, ma di una tipizzazione
legislativa), nonché per i servizi pubblici locali a rilevanza economica che sono disciplinati da legge
78
In proposito, FLORENZANO, Le società delle amministrazioni regionali e locali, Padova, 2008, ha osservato che per
effetto di tali norme viene prefigurata per tutti i servizi cc. dd. strumentali alle pubbliche amministrazioni una categoria
di società profondamente deroganti alle norme del c.c. imponendo e restringendo una unica attività di impresa. Ex
lege è imposta una compenetrazione tra scopo-mezzo e finalità istituzionali dell’ente, che svolge i suoi riflessi anche
sulla stessa capacità di agire dell’ente pubblico, tanto più che il divieto è esteso alle partecipazioni di minoranza. Così:
S. ROSTAGNO Finalità istituzionali e oggetto sociale delle società a partecipazione pubblica: i riflessi sistematici
dell’art. 3 commi 27° e ss. della legge 24 dicembre 2007 n. 244 in materia di attività di impresa e di gruppo,
partecipazione sociale e responsabilità degli amministratori, in Giust. Amm. 2007, 1197 ss..
79
oltre all’art. 13 della l. ‘Bersani’, si possono ricordare: l’art. 1 comma 460 e commi 725-730 della legge 296/2006;
l’art. 3 commi 12, 12bis, 13, 27, 28, 29 della legge 244/2007; l’art. 18 e l’art. 23bis del D.L. . 25 giugno 2008 n.112,
convertito in L. 6 agosto 2008 n. 133; l’art. 17 del D.L. 1 luglio 2009, n. 78, convertito in legge, con modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, L. 3 agosto 2009, n. 102; si deve inoltre tenere conto delle prescrizioni concernenti la
“governance” delle società in house (termine entrato ufficialmente nella nostra legislazione con le recenti modifiche
all’art. 23bis succitato) così come ricostruita dalla Corte di Giustizia, suscettibile di conseguire applicazione diretta sul
piano interno dal giudice nazionale ‘disapplicando’ le prescrizioni difformi del c.c..
80
Su tali aspetti, con riguardo agli enti locali, procedendo da una distinzione tra funzioni proprie, funzioni fondamentali
attribuite per legge o derivanti dal principio di sussidiarietà, si v. PAJNO, Gli enti locali e gli strumenti di diritto
privato, relazione tenuta al 55° Convegno di Studi Amministrativi di Varenna (Como), settembre 2009, e destinata alla
pubblicazione su Diritto Amministrativo.
81
A.PERICU, op.cit. 499.
82
A.ROMANO, L’attività privata degli enti pubblici, Milano, 1979.
83
A. PAJNO, Gli enti locali e gli strumenti di diritto privato…op. cit.
30
statale per quanto concerne la tutela della concorrenza. In tali casi la legge statale deve indicare gli
strumenti organizzativi ai quali poter ricorrere (s.p.a.) ed i limiti all’attività di tali moduli
organizzativi, i momenti di rilevanza pubblicistica per l’affidamento dei servizi (procedure
competitive), l’individuazione dei bacini di gara, l’esercizio di potere regolamentare del Governo.
Infine – prosegue l’Autore - vi sono le funzioni conferite od attribuite agli enti locali dallo Stato e
dalle Regioni secondo il principio di sussidiarietà.
Ne deriva, specie per il regime giuridico dei ss.pp.ll., che questo non trae la sua fonte soltanto dalla
capacità generale di diritto privato ma in una apposita disciplina posta dalla fonte statale o regionale
che stabilisce di volta in volta i limiti e le modalità del ricorso allo strumento di diritto comune
(moduli privatistici o pubblicistici): tuttavia è la fonte che la regola e non la natura dell’attività a
determinare il regime giuridico in concreto applicato.
E’ per tali categorie di funzioni e prestazioni di servizi, che, in ragione del ruolo riconosciuto alla
legge, riemerge, secondo tale Autore, un fondamentale regime pubblicistico.
Si deve difatti riscontrare l’espansione di un regime non di diritto comune ma caratterizzato dalla
contemporanea presenza di strumenti di organizzazione e di attività di diritto pubblico o di diritto
comune. Un regime unitario prevalentemente pubblicistico come frutto della rilevanza attribuita
alle funzioni fondamentali, intese come funzioni pubbliche destinate ad essere integralmente
finanziate con le risorse derivanti dalle fonti di cui ai primi tre commi dell’art. 119 Cost..
E’ in questo ambito che deve essere verificata la capacità degli enti locali ed in particolare l’utilizzo
del modulo societario.
Ma – prosegue l’Autore citato - se pure si può escludere una capacità di diritto speciale non vi è
però dubbio che le limitazioni connesse al perseguimento delle finalità di interesse pubblico vanno
ad incidere sulla capacità di agire ( nel senso che l’assunzione degli impegni può avvenire solo
seguendo le norme e nei limiti previsti ed in quanto attività di diritto privato suscettibile di essere
sottoposta al vaglio di meritevolezza ex art. 1322 c.c. per i contratti atipici).
Il riscontro di questa impostazione sarebbe dunque ricavabile anche dalle recenti decisioni della
Corte Costituzionale, n. 439/2008 (con il chiarimento sul riparto delle competenze legislative in
materia di ss.pp.ll.) e n.148/2009 E specialmente quest’ultima che, pur riconoscendo che un’attività
amministrativa di natura finale o strumentale può essere svolta da società di capitali che operano
per conto dell’amministrazione, come già ricordato, l’ha nondimeno subordinata al rispetto
dell’imprenscindibilità di tale strumento per il perseguimento delle finalità istituzionali.
In proposito si può osservare che la riemersione del profilo della legittimità viene a saldarsi
significativamente con i principi di buon andamento della P.A., come già sottolineato dalla
dottrina, richiamando l’evoluzione normativa e giurisprudenziale che ha identificato il principio del
buon andamento di cui all’art. 97 Cost. nei criteri di efficacia, efficienza ed economicità.84
Devesi inoltre considerare che in ragione del comma 2 bis dell’art. 18 del D.L. 25 giugno 2008
n.112, convertito in L. 6 agosto 2008 n. 133, tutte le società a partecipazione pubblica locale totale
o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che
svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale
né commerciale, ovvero che svolgano attività nei confronti della pubblica amministrazione a
supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica, sono destinate – tra l’altro - ad essere
ricomprese nel Patto di Stabilità interno.
In proposito si deve difatti rammentare che le recenti disposizioni limitative già richiamate in
precedenza sono state adottate dal Legislatore per le espresse finalità di:
 contenere i costi nella P.A., favorire e garantire l’efficienza della P.A.;
84
G. FARNETI, Le società partecipate nelle linee guida della Corte dei conti, in Azienditalia 2009, 6, 429 ss.. In
proposito si veda anche Co. Cost. 15 luglio 2005 n. 275 : <<…tali principi vincolano anche le leggi regionali anche
nella scelta di avvalersi di una società di servizi come modalità organizzativa che va considerata legittima soltanto se
conforme ai principi di economicità e buona amministrazione; insomma la decisione di ricorrere all’esternalizzazione
non è libera ma vincolata all’esigenza di rispettare il principio di buon andamento>>; nonché: Corte conti, sez, giur.
Lombardia 10 luglio 2009 n. 476.
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 rispettare gli obblighi comunitari in materia di concorrenza ed apertura al mercato;
 garantire la partecipazione di tutte le Amministrazioni pubbliche, anche quando perseguono le
proprie finalità istituzionali utilizzando gli strumenti societari, al rispetto dei Patto di Stabilità,
al coordinamento della finanza pubblica ed al consolidamento dei conti pubblici; tanto che esse
sono state configurate come norme fondamentali in grado di imporsi altresì agli Enti Territoriali.
Tenendo quindi conto infine che, come osservato (ASTEGIANO), anche il Reg. CE 2223/1996 del
25 giugno 1996 (sistema comunitario dei conti nazionali e regionali SEC 95) nell’ambito del
Sistema Statistico Europeo definizione della finanza pubblica, al punto 2.68 individua i produttori
di beni e servizi non destinati alla vendita e finanziati in prevalenza da risorse pubbliche, ci si
potrebbe in sostanza domandare se la stessa materia de qua non sia in effetti divenuta materia di
‘contabilità pubblica’ e quindi trovi il suo riscontro diretto nella previsione costituzionale di cui
all’art. 103 Cost..
Tornando alla questione in precedenza adombrata, resterebbe dunque maggiormente avvalorato il
dubbio accennato in precedenza, e cioè se sia ammissibile che un ente pubblico costituisca o
partecipi ad una società, pur in assenza del perseguimento di finalità istituzionali, dunque non
funzionalizzata, ma intesa come mero investimento economico.
La questione dunque dovrebbe porsi piuttosto, con valutazione da effettuarsi in concreto, con
riferimento all’attitudine, all’idoneità a soddisfare l’interesse pubblico specifico con l’impiego di
quello strumento.
Ma bisognerebbe pur sempre chiedersi, là dove non vi sia un servizio pubblico da erogare od una
pubblica funzione da esercitare, se l’interesse pubblico generale dell’ente, oppure anche uno
specifico correlato (ma solo indirettamente) al perseguimento dei propri fini istituzionali, possa dirsi
comunque soddisfatto dalla mera presenza dell’ente in un determinato settore economico.
Oppure se, ancor meno, la scelta del ricorso alla società possa dirsi validamente sostenuta da un
mero interesse economico-patrimoniale, quando cioè il fine per l’ente consista, in sostanza,
unicamente nel reperimento di utili, così come direttamente ricavabili dalle attività
imprenditoriali85.
In proposito, si può osservare che l’ostacolo non sarebbe costituito tanto dal fatto in sé
dell’eventuale compressione della libertà economica privata, sempre che, ovviamente, l’impresa
pubblica agisca sul mercato in posizione di perfetta parità con le imprese private, quanto piuttosto
dal dubbio se, (anche) alla luce del principio di sussidiarietà orizzontale, introdotto nell’art.
118 u.c. Cost. dalla legge cost. n.3/2001, sia ammissibile l’impiego di fondi pubblici derivanti
dalla fiscalità per investirli in imprese che sono finanziate normalmente da capitale di
rischio86.
In tale ipotesi difatti, non verrebbero in rilievo principalmente le questioni che solitamente si
pongono dei rapporti tra intervento pubblico, iniziativa privata e mercato, e quindi nemmeno
rileverebbero le soluzioni che prefigurano un necessario arretramento dell’intervento pubblico,
legittimandolo solamente nei casi di fallimento del mercato, poiché nella nostra ipotesi la scelta
dell’amministrazione di agire come imprenditore non sarebbe motivata da ragioni di politica
economica o collegata alle politiche di erogazione dei servizi pubblici, ma piuttosto sarebbe animata
da una finalità – se si può così dire – ‘egoistica’, di ricavare risorse finanziarie dal mercato dello
scambio e della produzione di beni e servizi.
Il dubbio che in proposito potrebbe sorgere consisterebbe quindi nel rilievo, scontato, che i fondi
per l’alimentazione di quell’impresa sarebbero inevitabilmente di provenienza dalla fiscalità
e, di conseguenza, nella considerazione che il principio di scarsità delle risorse condurrebbe
inevitabilmente a ritenere che la scelta di destinare una determinata quantità di fondi pubblici per
85
in senso positivo: V.BUONOCORE, Autonomia degli enti locali e autonomia privata: il caso delle società di capitali
a partecipazione comunale, in Giur. comm. 1994, I, 7 e segg.; E.FERRARI, Servizio pubblico e attività economica
dell’amministrazione ; contra: V.MARTELLI, Servizi pubblici locali e società per azioni, Milano 1997,176.
86
Sulle questioni indotte dal principio della sussidiarietà ‘orizzontale’, si v. P.DE CARLI, Sussidiarietà e governo
economico, Milano, 2002, spec. 221 e segg..
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quell’impresa, li potrebbe avere in un modo o nell’altro sottratti, in ragione della scelta fatta, ad
altre destinazioni, suscettibili di soddisfare finalità più prossime agli interessi della comunità
amministrata, e meno soggette all’alea propria delle iniziative imprenditoriali.
Qualora dunque si ritengano ammissibili partecipazioni azionarie (di minoranza, prive dei connotati
dei controllo), esse dovranno essere sorvegliate dall’Ente con particolare rigore per quanto
concerne la conservazione dell’investimento effettuato e la tutela del capitale investito.
In dottrina87, alla luce della recente produzione normativa, e tenendo conto anche dell’art. 16 bis
della legge 28 febbraio 2008 n. 31, si è tentato di ricostruire i confini della giurisdizione del giudice
contabile considerando le varie tipologie di società pubbliche che si offrono all’esperienza concreta.
Così, secondo CAIA, si potrebbero ricomprendere nella giurisdizione contabile le società
interamente partecipate da enti pubblici, in considerazione che la stessa Corte costituzionale, con la
sentenza 1 febbraio 2006 n. 26 ha affermato che <<…una società, per essere a capitale interamente
pubblico, ancorchè formalmente privata, può essere assimilata, in relazione al regime giuridico, ad
enti pubblici>>. Affermazione che, nota l’Autore, pare rivestire carattere generale, non dipendente
cioè dal tipo di attività che la società svolge, cosicchè tali società interamente partecipate da enti
pubblici, potrebbero essere viste come <<moduli organizzativi pubblici>>. Ed indipendentemente
dal fatto che esse svolgano attività di impresa od attività funzionali o strumentali, come ad esempio
per quelle considerate da recenti disposizioni legislative (art. 13 d.l. 4 luglio 2006 n.223, conv. in
legge 4 agosto 2006 n.248). In tali casi difatti, secondo CAIA, offrendo l’ordinamento la possibilità
di costituire enti pubblici associativi o consortili, non potrebbe vedersi l’alternativa societaria come
una via per sfuggire o derogare a regimi altrimenti doverosamente applicabili.
In ogni caso, si aggiungerebbero quelle società ‘strumentali’ o ‘funzionali’ proprio perché
‘tipizzate’ in senso pubblicistico dalle recente disciplina.
Diversamente, dubbi vi potrebbero essere per quelle società che non essendo a capitale interamente
pubblico non siano altresì oggetto di nessun trattamento differenziato sotto il profilo degli
affidamenti di appalti ed incarichi pubblici e sotto il regime tributario, della contabilità, della
concessione delle contribuzioni od agevolazioni ed in genere dell’attività di impresa.
Peraltro, si deve osservare che, se da un canto, come già ricordato, indubbiamente la normativa
recente sta abbozzando uno ‘statuto’ delle società pubbliche assai lontano dalle previsioni del C.C.,
parte di tali disposizioni si applica, anche se gradatamente, alle società a partecipazione anche solo
maggioritaria di enti pubblici, ed in altri casi prescindendo dall’indicare l’entità della
partecipazione azionaria in mano pubblica.
Inoltre, volendo ancorare la ‘funzionalizzazione’ alla tipologia dell’attività esercitata, resterebbe
sempre insoddisfatto il rilievo della tutela delle sostanze pubbliche in sé considerate. In proposito,
difatti, si è osservato in dottrina che maggior facilità di discernimento potrebbe conseguirsi se la
funzionalizzazione fosse il predicato dell’attività amministrativa, ma assai più arduo sarebbe
distinguere se essa fosse da ritenersi invece il predicato delle sostanze pubbliche.
87
CAIA, La giurisdizione della Corte dei conti nel sistema amministrativo e nella contabilità pubblica, in
www.giustamm.it .
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