Visita al Santuario Etrusco di Perugia. Perugia è una delle città etrusche che presenta una concezione cosmica più precisa ed evidente, ideata secondo rapporti precisi e ben definiti con il cielo. Unendo infatti la parte più rientrante a nord con la parte più preminente a sud, essa ci presenta il suo cardo massimo, perfettamente in posizione nordsud; unendo la parte più rientrante ad ovest con la parte più rientrante ad est ci mostra il decumano dividente, perpendicolare al cardo, che divide la parte postica a nord dalla parte antica a sud della città. Nel punto più largo in direzione est-ovest situato nella parte postica, si trova il decumano massimo della parte postica che è diviso in due parti perfettamente identiche dal cardo massimo; nel punto più largo, sempre in direzione est-ovest della parte antica, si trova il decumano massimo della parte antica, anch’esso perpendicolare al cardo. Il cardo e i decumani definiscono le vie ideali che hanno condizionato la progettazione della realtà. Il decumano massimo s’incontra con il cardo in un punto particolare che si trova nell’angolo nord-ovest del santuario etrusco della città, il punto più importante nella fondazione della città stessa, che si trova nell’angolo nordovest del chiostro superiore della cattedrale di san Lorenzo dal quale parte la nostra visita al percorso archeologico. Il primo punto di sosta è il punto (A) nel quale si prende in mano una bussola, la si appoggia a terra e si verifica che il chiostro superiore della cattedrale non è stato costruito, a differenza della città di Perugia, secondo gli assi cardinali ma è in posizione sghemba rispetto ad essi. Questo aspetto progettuale è molto importante; esso ha consentito di comprendere che la progettazione cosmica della città non si limita a ricercare gli orientamenti dei punti cardinali e ha consentito d’intuire il “principio di corrispondenza” del popolo etrusco: il cielo, la terra e ogni organismo ad essi appartenenti sono caratterizzati da un rapporto di similitudine, o meglio di corrispondenza; sulla base di questo principio gli aruspici etruschi ritenevano che gli organismi della terra, orientati nella stessa direzione del cielo, fossero corrispondenti al cielo stesso in ogni loro parte e di conseguenza anche corrispondenti tra di loro. Come il cielo è dotato di una parte postica (dove si trova il polo celeste e le costellazioni circumpolari) e di una parte antica (dove sostano il sole, la luna, i pianeti e le costellazioni dello zodiaco), così è per gli animali, le piante, gli uomini. Negli uomini, la linea dividente tra la parte postica e quella antica è la linea più stretta della vita al di sotto dell’ombelico: nelle spalle passa il decumano massimo della parte postica e nelle anche quello della parte antica. Poichè il cielo è in continuo movimento, gli Etruschi hanno determinato una sua posizione particolare di riferimento, quella del cielo quando la Via Lattea si trova in direzione est-ovest: è quello il decumano di riferimento del cielo, mentre il cardo è la linea passante per il polo perpendicolare ad esso. Per verificare i punti di corrispondenza fra il macrocosmo celeste e i vari microcosmi, come ad esempio il fegato di un animale appena sacrificato che è particolarmente sensibile ad azioni esterne (aria, sole, stelle), avevano costruito uno strumento in bronzo che rappresenta appunto il fegato di un agnello sul quale avevano riportato tutte le parti del cielo visibili in quel momento particolare in cui la Via Lattea è in direzione est-ovest. Questo fegato in bronzo rinvenuto a Piacenza è dunque la pianta del cielo. Gli Etruschi avevano la convinzione che pur essendo tutti i microcosmi corrispondenti al cielo, il cielo rappresentava la perfezione alla quale ognuno di essi doveva rapportarsi così come venivano rapportate al cielo le costruzioni che essi eseguivano: era il caso dei Templi, dei territori come l’intera area dell’Etruria o delle città come Perugia. Se dunque il fegato di Piacenza rappresenta la pianta del cielo, e se la città è costruita copiando il cielo, il fegato aruspicino è anche la pianta della città. Ecco il motivo della cosmologia della pianta di Perugia che essendo una delle ultime città etrusche ad essere fondata dopo l’ampliamento dell’Etruria ad est, dal Chiana al Tevere, essa ha una concezione cosmica più perfetta di tutte le altre. Nel 1986, l’Ing. Vagni ha iniziato il consolidamento delle fondazioni di alcuni edifici della Cattedrale di San Lorenzo, eseguendo gli scavi che hanno riportato alla luce la Perugia medievale, la romana e quella etrusca. Gli scavi sono poi proseguiti grazie ad un finanziamento per consolidare gli edifici dopo il terremoto e poi grazie ad un finanziamento ottenuto dai fondi del gioco del Lotto. È così venuta alla luce buona parte dell’acropoli etrusca della città, caratterizzata da un santuario etrusco pressochè rettangolare e da quattro punti fondamentali: 1) Il pozzo sacro che è situato nell’angolo nord-ovest del santuario e si trova al centro della parte postica sia della città che del fegato aruspicino, nel punto d’incontro tra il decumano massimo e il cardo. 2) Il Tempio situato nell’angolo sud-est del santuario, orientato a sud est e situato sotto l’altare maggiore dell’attuale cattedrale 3) L’Altare sacro posto a sud ovest del santuario. 4) La strada della città situata all’interno delle mura, che segue in tutto il loro perimetro, definendo un’urbanistica circolare della città e non ortogonale come quella delle città romane. Si scende dall’atrio del museo e si giunge alla prima sala (B) dove l’accompagnatore si dispone da ovest verso est e gli altri in direzione opposta. A destra dell’accompagnatore si notano le arcate a tutto sesto (cerchio perfetto) che rappresentano le fondazioni del foro romano; a sinistra si vede che le stesse arcate proseguono verso nord dentro al santuario. Due elementi circolari in travertino, eseguiti con conci a semicerchio, sono invece le fondazioni di pilastri probabilmente in legno che sostenevano una pensilina. I conci rotondi sono stati posti in opera scavando dei pozzi circolari di raggio di cm 60 circa, nei quali sono stati posizionati i conci a semicerchio, addossati alla pareti con cunei in legno: si tratta pertanto di fondazioni che trasmettono i carichi al terreno per attrito, le antesignane delle nostre palificazioni. Esse erano i sostegni della pensilina che proteggeva dalle intemperie gli offerenti che portavano gli animali da sacrificare al santuario. Infatti entrando nell’arco di sinistra, una passerella in legno ci consente di passare sopra le fondazioni dell’altare sacro. Scendendo nella postazione (C) l’accompagnatore si dispone in direzione estovest e gli altri in direzione opposta; si nota che in quel sito si trova un campionario di tutte le modalità costruttive dagli etruschi al medioevo; alla sua sinistra mostra le fondazioni dell’altare sacro eseguite con conci di travertino murati a secco; in alto sempre a sinistra si vede l’arcata della fondazione del foro romano eseguita con conci di travertino murati con malta, mentre a destra lo stesso arco, eseguito con conci di pietra calcarea, indica che esso è stato ricostruito in epoca romanica, cioè dopo la caduta dell’impero. La copertura è una volta gotica, eseguita con conci di pietra arenaria e attesta il successivo intervento medievale. Le fondazioni etrusche situate a sinistra sono molto probabilmente quelle dell’altare sacro per i seguenti motivi: -la grande dimensione del muro (larghezza di mt 3,30 pari ad 11 piedi etruschi) non è motivata da esigenze statiche perchè siamo a monte del santuario dove il muro ha la minima altezza, e può essere giustificata solo da esigenze pratiche, quale quella di dovervi appoggiare grandi animali vivi da sacrificare. -il muro ha la parete perfettamente verticale, a differenza delle altre pareti esterne del santuario che pendono verso monte per esigenze statiche. -l’utilizzo del muro come altare giustifica la palificata circolare situata a monte, che reggeva probabilmente la pensilina a protezione degli offerenti. Dalle quote della palificata di fondazione in travertino, si comprende che il piano di calpestio (sia degli offerenti disposti verso nord al di fuori del santuario, sia quello dei sacerdoti che raccoglievano le offerte dentro il santuario disposti verso sud), fosse approssimativamente lo stesso di quello attuale della chiesa e del chiostro superiore. Proseguendo verso nord ci poniamo in postazione (D) vicino all’ascensore e l’accompagnatore con l’ascensore alle spalle, mostra ai convenuti i due muri in travertino che delimitano una rampa: è la rampa che sale verso il tempio da ovest ad est (incontro alle stelle che avanzano) e poi ruota di 90 gradi orientandosi verso sud parallelamente ai muri del tempio (che si vedono sullo sfondo) per raggiungere la quota più alta, la stessa del tempio: è una rampa che collega il piano intermedio del santuario al tempio. Questa rampa ci fa comprendere che il santuario veniva visitato salendo verso il tempio molto probabilmente di notte con processioni che raggiungevano la parte più alta del tempio per vedere le costellazioni zodiacali che solo a sud si possono vedere, ed in particolare la stella protettrice di Perugia. È la stella che corrispondeva a Culsan, essendo Culsan la divinità protettrice di Perugia poichè Perugia si trova a nord est dell’Etruria come Culsan si trova a nord est del fegato aruspicino: è l’applicazione del principio di corrispondenza etrusco. Per comprendere a quale stella corrisponda Culsan va osservato il cielo: a nord est di esso, nel momento sacro in cui la Via Lattea è in direzione est ovest si trova la costellazione del Leone, nella quale il sole di giorno si trova nel mese di agosto, e che si può vedere a sud di notte alla fine di gennaio e agli inizi di febbraio. Se consideriamo che Perugia festeggia i suoi due santi protettori Lorenzo il 10 d’agosto e Costanzo il 29 di gennaio, è lecito ritenere che probabilmente le due feste attuali derivino da un’unica festività etrusca, quella di Culsan, festeggiata di giorno ad agosto e di notte a fine gennaio; se poi pensiamo che Costanzo è festeggiato il 29 gennaio con la tradizionale fiaccolata, è logico concludere che esista una continuità nelle festività, rimaste tradizionalmente negli stessi giorni dai tempi etruschi pur essendo dedicate ad altri soggetti. Culsan etrusco è probabilmente Regolo, la stella più brillante della costellazione del Leone. Proseguendo l’itinerario, andiamo di fronte alle fondazioni del tempio etrusco (E) e siamo indotti alle seguenti riflessioni: -il tempio era semplicissimo, con fondazioni essenziali ma sicure: più in basso ciottoli di fiume, poi i travertini per evitare la risalita dell’acqua per capillarità. Questo conferma che i templi, pur fondati su solide fondazioni che raggiungevano il terreno resistente, erano modeste capanne in legno, con ampie falde del tetto poggiate su capriate. Tutto materiale biodegradabile ad eccezione delle fondazioni, delle tegole e coppi di copertura, e delle terracotte architettoniche delle decorazioni del frontone, degli acroteri e delle antefisse. Dalla loro colorazione comprendiamo che l’uso dei colori era essenziale per gli etruschi e caratterizzava le loro opere. Le antefisse del tempio ritrovate risalgono al sesto sec. a.c. . Proseguendo l’itinerario ed evitando di visitare le urne cinerarie del secondo e terzo sec.a.c. , per non alimentare il dubbio che potessero essere state rinvenute negli scavi (è noto che gli Etruschi seppellivano i loro morti nelle necropoli al di fuori delle città), giungiamo nel punto (F) dove vediamo in sezione il muro a lato nord del santuario. Comprendiamo che: -in quella parte del santuario il muro prosegue fino alla quota del pavimento dell’attuale cattedrale, a conferma del fatto che il tempio si trovava allo stesso livello di essa. -i conci murari erano collegati da un filare all’altro, con pietre poste a cavallo tra i due filari, inserite in delle nicchie praticate nei conci murari per impedire lo scorrimento dei conci di un livello rispetto a quello sottostante. -i Romani, quando nel Colosseo vollero copiare l’architettura etrusca inserendo massi ciclopici in travertino, per evitare lo scorrimento posizionarono perni in bronzo: evidentemente non avevano appreso appieno l’arte muraria etrusca. Proseguendo ancora raggiungiamo la postazione (G). Siamo all’ esterno del santuario di fronte all’ imponente muraglia in travertino del lato nord di esso. E’ un muro costruito con conci disposti a filari, con filari di altezze diverse per ovvi motivi di contenimento degli sprechi; ogni concio è due/tre centimetri più arretrato di quello sottostante realizzando così una muratura pendente verso monte per precisi motivi statici. Parallele al muro, a valle, si notano le fondazioni di un altro muro: sono le fondazioni della rampa che salendo da ovest verso est raggiungeva il livello intermedio del santuario. E’ così possibile comprendere a pieno il funzionamento del santuario, con le due rampe che si estendono fino al tempio, partendo dal punto più basso dove si trova la fontana, i cui resti sono visibili all’ inizio del lato ovest; essa serviva per la purificazione dei fedeli prima della salita ovvero per il lavaggio dei piedi prima di salire in processione al santuario. Si prosegue scendendo dalla rampa in legno e si notano nel muro le scritte Aɔ, cioè CA che si riferiscono alla divinità a cui è dedicato il santuario che è Culsan Alpan ( trd. “Omaggio a Culsan” ) che troviamo a nord-est del fegato aruspicino così come Perugia è nord-est dell’ Etruria. Proseguendo ancora, il gruppo si ferma prima di entrare a percorrere la strada etrusca e vengono fornite spiegazioni riguardo questa splendida strada etrusca (H): la strada situata circa a venti metri di distanza dalle mura le costeggia delimitando la zona sacra ( Pomerium cioè post murum, ossia dietro le mura). La strada prosegue in pendenza verso l’ arco Etrusco mentre in quel punto le mura della città salgono, come vedremo nella visita alle mura etrusche. Ciò significa che la strada è stata eseguita dopo l’occupazione romana, cioè dopo l’ampliamento effettuato per costruire l’arco Etrusco, la quarta porta che si è resa necessaria per dividere la città con una viabilià pressochè ortogonale costituita dal carco ( corso Vannucci) e dal decumano ( via dei Priori); in tale periodo la strada perimetrale all’ interno della città è stata trasformata per collegarsi all’ altra porta, sostituendo un’ altra strada (quella precedente di cui si notano tracce) che era pressochè in piano in quella parte della città, in cui collegava verso nord-ovest la zona di via del Verzaro, e verso nord-est quella di porta Sole. La strada è eseguita senza substrato cementizio di ciottoli e malta (statumen) quindi con modalità etrusche e non quelle romane. La strada ha una larghezza di metri 3,90 (13 piedi etruschi) dato che ci fornisce l’indicazione per comprendere quali porte della città siano etrusche e quali invece di epoca successiva; le uniche tre porte compatibili con la strada sono la porta Marzia, la porta Trasimena e l’arco Etrusco, tutte della larghezza di metri 4,20, e cioè un piede in più della strada (per evitare che qualche carico sbordante si incastrasse nelle porte). La strada senza sottofondo cementizio era permeabile per cui poteva essere tranquillamente utilizzata anche in caso di forti acquazzoni La strada presenta profondi solchi scavati dalle ruote e molto probabilmente era a doppia carreggiata, per traffico veloce (leggero) e per traffico lento (pesante), ed era a senso unico. Percorrendo la strada etrusca si giunge ad un pozzo (I) che permette di comprendere che un pozzo in un terreno alluvionale (e pertanto drenato) come quello di Perugia (ghiaie e sabbie cementate) non consentirebbe di trovare acqua, in quanto sotto alle ghiaie si trovano le argille disposte a schiena d’ asino e non a conca ( seguendo l’orografia del terreno collinare) e quindi non in grado di trattenere l’acqua piovana che le raggiunge per poi scorrere alla base della collina ( fonte di Veggio = Fontivegge ). Gli etruschi con i loro pozzi profondi hanno forato anche le argille in modo che l’acqua piovana attraversando il terreno breccioso raggiunga i fori e li riempia; pertanto quelli che impropriamente sono chiamati pozzi dovrebbero essere chiamati cisterne. Il fatto che la cisterna si trovi ai limiti della strada significa che l’acqua era gratuita ed alla portata di tutti, a temperatura costante d’ inverno e d’ estate (pari a 14° centigradi circa data la profondità) ricca di sali minerali grazie al terreno attraversato. Per mantenere le caratteristiche organolettiche di tale acqua era necessario non inquinarla; ecco perchè le fognature etrusche erano a perfetta tenuta stagna, murate con malta, con forti pendenze e di dimensioni tali da consentirne l’ ispezione e la manutenzione Proseguendo lungo la strada giungiamo alla postazione (L) sotto piazza Cavallotti. Qui vediamo che la strada prosegue a destra verso via del Verzaro e che pertanto segue le mura, smentendo chi asserisce che essa sia il decumano che collega la porta del Giglio alla porta Trasimena. Qui è possibile entrare in una fogna e constatarne la perfetta impermeabilità ed ispezionabilità. Proseguendo il percorso si attraversa una Domus, una casa formata da una parte antica (zona giorno) al centro della quale si trova un impluvium (M) che consente agli ospiti di lavarsi i piedi, ed una parte postica (zona notte) nella quale si vedono due camere completamente immerse nella cenere e nel materiale crollato , nel quale si notano intonaci decorati e perfettamente conservati. Sono le tracce dell’incendio del 40 a.c. quando Perugia fu data al fuoco in occasione del “bellum perusinum”finito tragicamente con la resa di Perugia assediata da Ottaviano. L’incendio ha probabilmente conservato gran parte delle suppellettili della domus, non avendo dato tempo ai proprietari di svuotarla, per questo motivo sarà di enorme interesse culturale eseguire lo scavo archeologico di questa parte della Domus che potrebbe riportare alla luce utensili di personaggi importanti probabilmente addetti al funzionamento del santuario adiacente. Proseguendo ancora nel percorso si raggiunge il punto più importante del complesso, il pozzo sacro (N) posto all’incrocio del cardo e del decumano della città, il punto corrispondente al polo celeste. La sacralità di questo luogo è confermata dalle scritte CA situato in quasi tutti i conci del muro lato ovest del santuario, nella parte interna controterra, non visibile ai visitatori etruschi ma evidentemente diretta alla divinità Culsan per informarla che il santuario era a lei dedicato (Culsan Alpan=omaggio a Culsan). Il pozzo sacro è in realtà una piccola cisterna, alimentata dal drenaggio che vediamo sopra l’ingresso che porta all’ascensore adiacente che raccoglieva l’acqua piovana che giungeva da sud. Un altro drenaggio, disposto ortogonalmente ad esso proveniva da est, cioè da Porta Sole e di esso sono state conservate tracce all’interno della zona archeologica. Entrambi i drenaggi erano in grado di alimentare il pozzo, data la loro lunghezza, anche per periodi di siccità che raggiungevano i tre mesi, garantendo quindi una portata continua in tutto l’arco dell’anno. Il pozzo sacro aveva uno sfioro che alimentava una fontana situata nel lato ovest del santuario di cui esistono tracce evidenti; la fontana era utilizzata dai pellegrini che giungevano dalle altre parti dell’Etruria per purificarsi prima d’iniziare la salita al santuario, purificazione che costituiva un’ottima norma igienica per evitare la trasmissione di batteri e malattie; se ci riflettiamo l’uso dell’acqua santa all’ingresso della chiesa conserva, seppur simbolicamente, tale ritualità. Sotto lo sfioro, circa 2mt più in basso, il pozzo aveva una seconda uscita nella quale l’acqua aveva portata costante essendo garantita la costanza della pressione dallo sfioro superiore. Questa seconda uscita dell’acqua si spiega solo se pensiamo che potesse servire per alimentare un orologio ad acqua, in quanto il flusso costante consentiva di riempire vasi graduati che segnavano il passare delle ore. Tenendo presente che le ore etrusche, così come le loro costellazioni, i cui nomi sono riportati nella parte periferica del fegato aruspicino, erano di lunghezze diverse, dobbiamo ritenere che l’addetto alle ore aveva un bel da fare a riempire sedici recipienti diversi che ogni mese cambiavano l’ordine scalando di un’ora. Dunque il punto più importante della città, corrispondente al polo celeste, al centro dei due decumani massimi, individuato collimando il polo con il lituo da parte dell’aruspice fondatore situato nella parte antica della città, è anche il centro di produzione dell’acqua sacra per consentire la purificazione dei fedeli che si accingono alla visita del santuario; è anche preposto a scandire il passare delle ore che consentiva alla popolazione di essere avvertita su quale fosse la costellazione che in quel momento si trovava a sud, in attesa che giungesse l’ora più sacra, l’ora di Tin, l’ora nella quale la Via Lattea si trovava sopra la loro testa. IL POZZO SACRO