L’INIZIO DELLA MONDIALIZZAZIONE:
L’ESPANSIONE DELL’ ECONOMIA-MONDO
EUROPEA E IL PRIMATO OLANDESE NEL ‘600
Nel 2^modulo abbiamo esaminato i fattori interni
che favorirono la nascita e l’evoluzione dello stato
moderno (approfondendo il caso francese); e, a
grandi linee, le tendenze di fondo nei rapporti tra
gli stati europei, soprattutto tra il ‘500 e la fine del
‘600. Gli aspetti in primo piano sono stati quelli
politico-militari, mentre l’economia è rimasta sullo
sfondo (se non per quanto concerne l’importanza,
per gli stati, di drenare risorse indispensabili per
finanziare le guerre, sempre più costose).
Ora, in questo 3^ e ultimo modulo, assumeremo
due nuove prospettive d’indagine:
- le relazioni tra politica ed economia;
- i rapporti tra l’Europa e il resto del mondo.
Per fare ciò, utilizzeremo i modelli storiografici
elaborati da due storici contemporanei, Fernand
Braudel (Einaudi, 1982) e Giovanni Arrighi
(B.Mondadori, 2003). Nell’interpretazione di
Braudel, la vita economica nelle società
preindustriali si articolava su tre diversi livelli:
1) Alla base, la vita materiale, caratterizzata
dall’inerzia, dalla resistenza al mutamento, dalla
tendenza alla continuità di lungo periodo [aspetti
che abbiamo visto nel 1^modulo, soprattutto con
l’esempio del villaggio di Sennely]. Vita materiale
significa: il rapporto con l’ambiente, la fisionomia
del paesaggio agrario (plasmato dal primato del
riso in Estremo oriente, del mais nel CentroAmerica, del grano in Europa, e dalla triade grano–
vite–ulivo nel paesaggio mediterraneo); quella
grande parte dell’attività agricola che era
finalizzata all’autoconsumo (e perciò estranea
agli scambi), con i suoi metodi di conduzione
tradizionali (ad es. il sistema del maggese e della
rotazione triennale); le usanze, i comportamenti
(ad esempio quelli coniugali e riproduttivi) e le
credenze collettive delle popolazioni, che vivevano
in gran parte nei villaggi rurali. Nella vita materiale
gli scambi monetari avevano un ruolo minimo, ed
erano in gran parte sostituiti da altre forme:
ricordiamo ad esempio che gli oneri dei contadini
verso i proprietari consistevano soprattutto in
versamenti di prodotti e in lavoro coatto (corvées);
e che la dimensione prevalentemente familiare
delle attività economiche (con la doppia
equazione: adulto sposato = datore di lavoro;
giovane = lavoratore dipendente), faceva sì che il
salario in denaro fosse l’eccezione, non la regola.
Tipici della vita materiale erano anche l’isolamento,
il localismo, la tendenza all’ autosufficienza.
Al di sopra della vita materiale si collocava
l’economia di scambio, che secondo Braudel era
articolata in due livelli diversi: 2) l’economia di
mercato; 3) il capitalismo. Entrambi questi livelli
rimasero minoritari fino al sec.XIX, rispetto alle
dimensioni sconfinate della vita materiale. Di solito
si tende a confonderli, mentre secondo Braudel
essi vanno considerati distintamente:
2) L’economia di mercato era il secondo livello
della vita economica e sociale, costituito dagli
scambi che venivano effettuati attraverso le
botteghe, le fiere, i mercati locali, l’artigianato e il
commercio itinerante; essa aveva come soggetti i
mercanti, gli artigiani con le loro manifatture
domestiche e le loro corporazioni. L’ampiezza di
questi scambi era di solito locale o regionale, cioè
su una scala di decine o al massimo di (poche)
centinaia di km, per cui potremmo anche definire
questo livello come quello degli scambi locali.
3) Al terzo livello, il capitalismo riguardava scambi
che si svolgevano in un ambito più alto e ristretto:
quello dei prodotti di lusso (seta, pepe e altre
spezie) e della grande finanza (cioè la gestione del
credito, sia verso privati sia, soprattutto, verso gli
stati). Questi scambi erano gestiti dai grandi
mercanti-banchieri non specializzati (cioè che
operavano su svariati settori di merci) ed erano
scambi a lunga distanza e basati sul monopolio.
Infatti il capitalismo, secondo Braudel, si muove su
scala mondiale e si appoggia su monopoli che
tendono, in ogni epoca, ad aggirare il mercato,
senza assorbire mai l’intera vita economica (cioè
gli altri due livelli ad esso sottostanti), e si
riservano le “attività di alta quota”, cioè le zone di
alto profitto.
“Esistono dunque due tipi di scambio: uno rasente
al suolo, concorrenziale, quasi trasparente; l’altro,
di più alto livello, sofisticato, dominante. Questi
due tipi di attività non sono regolati né dagli stessi
meccanismi, né dagli stessi agenti, e non è al
primo ma al secondo livello che si situa la sfera del
capitalismo. E’ al di sopra della massa inerte della
vita materiale che l’economia di mercato ha
lanciato le sue reti, ed è al di sopra della stessa
economia di mercato che prospera il capitalismo.
Sotto questo profilo l’economia può essere
considerata come una successione di diversi livelli
di altitudine che disegnano una mappa in rilievo ”.
Braudel precisa inoltre che la forza e la vitalità del
1
capitalismo era tanto maggiore quanto più erano
vitali, sviluppati i due livelli sottostanti.
Un altro concetto-chiave del modello interpretativo
di Braudel è quello di economia-mondo [concetto
ripreso anche da un altro storico, I. Wallerstein,
1982], da non confondersi con quello di economia
mondiale. Per millenni, infatti, il mondo è stato
diviso in aree separate, ciascuna delle quali
definibile come un’economia-mondo: “Un mondo a
se stante, una parte, un insieme economicamente
autonomo del pianeta, capace per l’essenziale di
autosufficienza, e al quale legami e scambi interni
conferiscono una certa unità organica”.
Per quanto riguarda la vita materiale e gli
scambi locali, ciascuna di queste economiemondo era chiusa in se stessa, isolata dalle
altre, e anche al proprio interno frammentata in
sistemi locali e regionali ben poco (o per nulla)
comunicanti tra loro. Al contrario, per quanto
riguarda gli scambi a lunga distanza dei beni di
lusso, c’erano contatti tra queste diverse
economie-mondo. Fin dall’età antica, quando i
romani unificarono in un’unica economia-mondo il
Mediterraneo (Europa centro-meridionale, Africa
settentrionale e Vicino Oriente), c’erano flussi
commerciali che dall’Africa arrivavano fino in Cina,
spesso passando per l’India. Infatti i prodotti di
lusso cinesi (seta e porcellane), così come il pepe
e le spezie dell’India e dell’Oceano Indiano, erano
molto richiesti dalle élites occidentali, ma queste
ultime non disponevano di merci altrettanto
apprezzate in Oriente, se non l’oro e l’avorio che i
mercanti ottenevano in Africa, lungo i bacini dei
fiumi Nilo e Niger. C’era quindi un flusso di merci di
lusso dall’Oriente al Mediterraneo, e un flusso
inverso di oro dall’Africa al Mediterraneo
all’Oriente, attraverso l’Oceano Indiano. Si può
parlare dunque, per l’Eurasia nell’antichità, di tre
grandi economie-mondo: quella del mediterraneo
romano-ellenistico, quella indiana, quella cinese.
Dall’VIII al XV secolo, con la formazione
dell’Islam,
le
grandi
economie-mondo
dell’Eurasia divennero quattro: da ovest a est,
l’economia-mondo europea, quella islamica, quella
indiana, quella cinese, che approssimativamente
coincidevano con altrettante aree di civiltà. In quei
secoli, l’inferiorità dell’Europa negli scambi con
l’Oriente si accentuò, per almeno due motivi:
a) perdurava l’asimmetria tra l’Oriente (che non
aveva bisogno di merci europee) e l’Europa (che al
contrario richiedeva le merci di lusso dell’Oriente);
b) l’economia-mondo islamica, per la sua grande
estensione e per la sua posizione geografica (tra il
Mediterraneo e l’Asia), divenne l’intermediario
obbligato negli scambi commerciali tra l’Europa e
le altre due economie-mondo asiatiche, l’India e la
Cina: perciò erano i mercanti arabi a controllare il
flusso di merci di lusso dalla Cina e dall’Oceano
Indiano all’Europa, e a trarne lauti profitti. Venezia,
che per secoli, fino alla fine del ‘400, ebbe un ruolo
di primo piano nell’importazione dei beni di lusso
dall’Oriente, faceva buoni affari con i mercanti
arabi, accettando la loro intermediazione.
Evitare questa intermediazione, cioè raggiungere
direttamente le merci di lusso dell’Oriente, fu
l’obiettivo dei portoghesi, che li spinse a
circumnavigare l’Africa, con Vasco de Gama nel
1498; e allo stesso scopo i sovrani spagnoli, nel
1492, finanziarono l’impresa di Cristoforo Colombo
di “buscar el Levante par el ponente”, cioè di
raggiungere l’Asia dalla direzione opposta (per cui
la “scoperta dell’America”, nel 1492, fu un caso
fortuito e fortunato, che salvò Colombo dai suoi
gravi errori nel calcolare le distanze...).
Tra la metà del ‘400 e la metà del ‘500, in
Europa si verificò una svolta importante,
determinata dal concorso dei seguenti fattori:
- finì la lunga crisi demografica ed economica
iniziata nel ‘300 e proseguita fino alla metà del
‘400, per cui la popolazione, la produzione e gli
scambi ricominciarono a crescere;
- si diffusero le armi da fuoco, in primo luogo i
cannoni, utilizzabili sia a terra sia sui mari;
- numerose invenzioni e innovazioni nella
tecnologia nautica resero possibile la
costruzione di navi adatte alla navigazione
oceanica (ben diversa da quella costiera del
Mediterraneo);
- i tre fenomeni precedenti consentirono la
scoperta di nuove rotte per l’Asia e la scoperta
e la conquista dell’America: una rivoluzione
geografica di enormi conseguenze;
- si diffuse la stampa a caratteri mobili, evento
paragonabile all’invenzione della scrittura;
- si accentuò la tendenza alla concentrazione
del potere, delle risorse e della forza militare,
che provocò la nascita dello stato moderno;
- prima in Italia, poi nel resto d’Europa, si attuò
la rivoluzione culturale chiamata Rinascimento;
- la Riforma protestante, e i conflitti politicoreligiosi che ad essa seguirono, ridisegnarono
le relazioni e i rapporti di forza tra gli stati.
2
L’insieme di questi 8 fattori produsse due fenomeni
di grandissima portata:
a) nei rapporti politici interni all’Europa, un forte
aumento della competizione tra gli stati,
impegnati in guerre sempre più numerose e
sempre più costose, come abbiamo già visto;
b) nei rapporti economici – e talora politici – tra
l’Europa e il resto del mondo, una forte
tendenza dell’economia-mondo europea ad
espandersi, incuneandosi all’interno di
altre economie-mondo, e gradualmente a
disarticolarle e a sottometterle.
Considerando congiuntamente questi due
fenomeni, vedremo ora come la competizione tra
gli stati europei portò all’affermazione di egemonie
estese non solo all’Europa ma anche al resto del
mondo. Per capire questo, dovremo però utilizzare
anche altri concetti di Braudel. A suo avviso,
ciascuna economia-mondo ha un centro, costituito
da uno stato e da un capitalismo già dominante; ha
un suo spazio, con confini definiti, e tale spazio è
ordinato in modo gerarchico, come insieme di
economie particolari, alcune delle quali povere,
una sola (quella al centro) relativamente ricca.
Proprio tali “differenze di potenziale” alimentano il
funzionamento dell’insieme, come… in un circuito
elettrico. Nell’economia-mondo, si possono
perciò distinguere:
a. il centro dominante (“capitale”); b. le aree
intermedie (“provincia”); 3. la periferia (“colonie”).
Tale gerarchia si ripropone, oltre che sul piano
economico, anche nelle differenze di tenore di vita,
cultura, rapporti sociali. “Splendore, ricchezza e
gioia di vivere si sommano al centro dell’economiamondo, esprimono il pulsare della vita nel suo
cuore. Qui i prezzi e i salari sono alti; la banca, le
merci di lusso, le industrie ad alto profitto,
l’agricoltura capitalistica trovano il loro terreno
naturale; qui si trovano il punto di partenza e di
arrivo dei traffici a lunga distanza, l’afflusso dei
metalli preziosi, della valuta pregiata e dei titoli di
credito. Vi si respira un clima di modernità
economica in anticipo sui tempi…”. “Il tenore di
vita si abbassa di un tono quando passiamo ai
territori intermedi, vicini, concorrenti spesso riottosi
ed emuli del centro. Qui troviamo pochi contadini
liberi, scambi imperfetti, organizzazioni bancarie e
finanziarie incomplete, spesso controllate e dirette
dall’esterno, industrie relativamente tradizionali”.
Confrontando l’Inghilterra del sec.XVIII, allora
centro dell’economia-mondo, con la Francia coeva,
Braudel osserva che: “John Bull [il tipico contadino
inglese] ben nutrito consumatore di carne, calza un
paio di scarpe, mentre Jacques Bonhomme
[nomignolo che indicava il contadino tipico in Francia],
magro consumatore di pane, smunto, invecchiato
anzitempo, si accontenta di un paio di zoccoli ”.
Se poi passiamo ai vasti territori della periferia
dell’economia-mondo, la vita degli uomini “richiama
il purgatorio e, spesso, l’inferno”: ad esempio a
metà del ‘600 quasi tutte le Americhe erano
dominate dalla schiavitù, qui reintrodotta dagli
europei, così come nell’altra periferia, l’Europa
orientale (Russia, Polonia, Prussia), venne
reintrodotto il servaggio (legame alla terra) dei
contadini. Il capitalismo, scrive Braudel, è una
creazione dell’ineguaglianza, dalla quale trae la
possibilità di esistere e di prosperare.
Considerando poi l’economia-mondo europea nel
lungo periodo, Braudel vede una alternanza tra
centramento – decentramento – ricentramento :
in altri termini, il cuore del sistema, la capitale o
centro dominante, si spostò più volte. Dopo avere
oscillato, tra il XII e il XIII secolo, tra due centri
(uno al nord, tra le città delle Fiandre e del Baltico;
l’altro a sud, nelle città italiane), il centro si spostò
verso il secondo, in Italia, durante la grave crisi del
sec.XIV (che colpì più pesantemente l’Europa del
nord), e nella lotta economica tra le quattro
maggiori città mercantili italiane del tempo (Milano,
Firenze, Genova, Venezia) l’egemonia toccò a
Venezia, dalla fine del XIV alla fine del XV [vedi
carte allegate]. Nella prima metà del ‘500, poi, il
centro dell’economia-mondo europea si spostò ad
Anversa, la città delle Fiandre legata alle sorti
delle economie portoghese e spagnola [idem..].
Sempre per motivi sia economici che politici fu poi
Genova (che ancora più di Anversa era legata
finanziariamente all’impero spagnolo, con i prestiti
dei banchieri genovesi a Filippo II) ad assumere
questo ruolo alla fine del ‘500. All’inizio del ‘600, la
crisi della Spagna, e perciò anche di Genova, aprì
lo spazio al primato di Amsterdam [carte…], che a
sua volta venne scalzata da Londra nel corso del
‘700 [carte…], e quest’ultima da New York nel ‘900,
tra le due guerre mondiali.
A questo punto utilizziamo l’interpretazione
storiografica di G. Arrighi, che rielabora il concetto
di economia-mondo di Braudel, applicandolo
all’analisi dei casi olandese, inglese e americano,
ovvero dal ‘600 ai nostri giorni [ma quest’anno ci
limiteremo al caso olandese, ovvero al secolo XVII].
3
Secondo Arrighi, l’Olanda nel ‘600 divenne il
centro dominante dell’economia-mondo europea,
ed estese questa egemonia su scala mondiale,
secondo una sequenza in tre fasi: ascesa –
affermazione – declino. Quest’ultima fase, il
declino, coincise con l’ascesa di un altro centro
dominante, quello britannico, che scalzò il primato
olandese nel corso del ‘700. Vedremo ora i fattori:
a) che contribuirono all’affermazione del primato
olandese;
b) quelli che poi, gradualmente, segnarono il suo
declino.
a) L’affermazione del primato olandese nel ‘600
L’Olanda, o meglio la repubblica delle Province
Unite, alla fine del ‘500 era una città-stato, o una
federazione di città, con capitale Amsterdam;
combatteva da decenni un conflitto (iniziato con la
rivolta del 1567) per l’indipendenza dall’impero
spagnolo di Filippo II, al quale apparteneva come
provincia delle Fiandre. Però a quel tempo le
piccole dimensioni (circa 2 milioni di abitanti) e la
struttura di città-stato (o di federazione di città,
con un debole livello di centralizzazione del potere)
non le impedirono di affermare il suo primato
economico: del resto, abbiamo appena visto che
anche i precedenti primati economici erano
detenuti da città-stato, quali Venezia, Anversa
(nelle Fiandre meridionali), Genova. I fattori di
superiorità dell’Olanda, che emersero all’inizio del
‘600 e ne fecero il centro dominante, “la capitale”
dell’economia-mondo europea, erano numerosi:
- sul piano politico-sociale, questa piccola
repubblica si era sbarazzata delle fastose e
dispendiose corti rinascimentali, che tante risorse
assorbivano nelle monarchie europee; essa era
infatti governata da un’oligarchia di austeri
mercanti calvinisti, che favorivano con ogni mezzo
le attività produttive, e governavano lo stato con il
rigore con cui amministravano le loro aziende;
- sul piano militare, all’inizio del ‘600 gli olandesi
erano all’avanguardia: ricordiamo i nuovi sistemi di
addestramento introdotti da Maurizio d’Orange; e
sui mari, essi avevano la flotta commerciale e
militare più potente d’Europa;
- sul piano produttivo, la qualità delle loro
manifatture tessili era tale da invadere i mercati di
tutti i paesi vicini: infatti l’insieme delle misure
protezionistiche adottate nel ‘600 dagli altri stati
europei (il cosiddetto mercantilismo) può essere
interpretato come una risposta difensiva al primato
produttivo e commerciale olandese;
- sul piano commerciale e finanziario, l’Olanda
deteneva il monopolio del commercio (soprattutto
di grano e legname) del Mar Baltico, che le
assicurava abbondante liquidità (cioè denaro).
Inoltre, dopo il declino di Anversa, Amsterdam era
diventato il porto commerciale e il centro
finanziario ove confluivano le ricchezze dell’Europa
e delle colonie americane della Spagna. In che
modo? Tutti i sovrani europei, e tra questi
soprattutto i re di Spagna, avevano grande
bisogno di denaro per finanziare le loro costose
guerre, e di grano e legname per sfamare gli
eserciti e costruire flotte militari: ed erano
soprattutto i mercanti e i banchieri olandesi a offrire
questi beni. Ovviamente i sovrani dovevano poi
impegnare le entrate fiscali (e, nel caso spagnolo,
l’argento delle miniere americane) per pagare i
debiti e i relativi interessi. In tal modo, sia la pace,
che sviluppava i commerci, sia la guerra, che
rendeva più necessari – e quindi più cari – il
denaro e le merci olandesi, favorivano la potenza
di Amsterdam;
- sul piano dell’organizzazione delle imprese, la
grande novità introdotta dall’Olanda, forse il fattore
decisivo della sua superiorità, fu il sistema delle
società per azioni privilegiate, dette Compagnie
delle Indie. Si trattava di grandi organizzazioni, per
metà governative e per metà private, autorizzate
dal governo ad agire a suo nome nel mondo non
europeo: la più importante, la VOC (sigla che sta
per: Compagnia olandese delle Indie Orientali),
fondata nel 1602, aveva il monopolio di tutto il
commercio olandese negli Oceani Indiano e
Pacifico (a est del capo di Buona Speranza e a
ovest dello stretto di Magellano!), il diritto di armare
una flotta, allestire un esercito e fortificazioni, fare
guerre, concludere trattati, annettere territori e
amministrare colonie: in pratica, aveva “l’appalto”
della politica coloniale olandese in Asia!
La VOC riuscì in tal modo a:
a) eliminare la concorrenza dei mercati arabi e
portoghesi, che in precedenza gestivano i
traffici tra Oriente ed Europa;
b) impadronirsi di Ceylon e del vastissimo
arcipelago indonesiano, che erano i centri più
importanti della produzione di pepe e spezie;
c) ridurre pressoché in schiavitù la popolazione
indigena, costringendola a produrre le spezie,
che poi la VOC rivendeva in Europa ad alti
prezzi, perché era senza concorrenza.
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Anche l’Inghilterra e la Francia di Colbert
allestirono analoghe Compagnie delle Indie, ma
nel ‘600 nessuna riuscì a strappare il monopolio
del commercio del pepe agli olandesi.
Analoga alla VOC, la WIC (Compagnia olandese
delle Indie Occidentali), fondata nel 1621,
organizzò per prima il famoso “commercio
triangolare” tra Africa America ed Europa: i
mercanti olandesi, in cambio di armi e manufatti di
scarso valore, acquistavano dai mercanti africani
della Costa d’Avorio schiavi razziati all’interno e
destinati – quelli che sopravvivevano alle terribili
condizioni del viaggio nelle stive delle navi! – a
lavorare nelle piantagioni americane di zucchero,
caffè, tabacco e poi soprattutto di cotone; queste
materie prime, a loro volta, venivano poi vendute
dagli olandesi sui mercati europei. In questo caso,
però, la WIC non riuscì a conservare il monopolio
del lucrosissimo mercato degli schiavi (e del
commercio triangolare ad esso legato), perché di
questo si impadronirono ben presto le navi inglesi.
La carta riferita al ‘600 [vedi…] evidenzia i rapporti
gerarchici tra le diverse aree, e soprattutto la
tendenza dell’economia-mondo europea, sotto il
primato olandese, a inglobare vaste aree del resto
del mondo:
- il centro, o polo dominante, era Amsterdam;
- l’area intermedia (provincia) comprendeva la
parte allora più progredita del resto d’Europa:
l’area baltica, l’Inghilterra, la Francia, la Germania,
la penisola iberica, l’Italia a nord di Roma.
- la periferia si estendeva dall’Europa centrale e
orientale (a est della linea Amburgo-Venezia), alla
Scandinavia, a Scozia e Irlanda e, oltre Atlantico, a
tutta l’America europeizzata, che ne costituiva la
periferia per eccellenza; e si incuneava
profondamente in Asia, con il controllo sull’
arcipelago indonesiano (la “Batavia” olandese),
senza peraltro toccare direttamente le due più
importanti economie-mondo asiatiche: quella
indiana e quella cinese. Quest’ultimo è un aspetto
importante, che va tenuto presente: fino all’inizio
del ‘700, la penetrazione europea nelle economiemondo asiatiche fu limitata. Ossia, tale
penetrazione garantiva forti vantaggi alla potenza
europea che riusciva a controllare quei traffici
verso l’Europa; ma rispetto all’insieme dei traffici
che avvenivano sui mari orientali (tra l’India e la
Cina), quella presenza era pressoché
insignificante. I portoghesi, che controllavano
l’afflusso delle spezie in Europa nel ‘500, nel corso
di quel secolo inviavano mediamente solo 9 navi
all’anno nell’Oceano Indiano; nel ‘600, la VOC
arrivò ad avere nei mari orientali ben 140 navi:
molte, ma poca cosa rispetto alle migliaia di navi
di paesi asiatici che solcavano le acque dal Golfo
Persico al Mar del Giappone!
L’apogeo della potenza olandese fu toccato al
tempo del trattato di Westfalia (1648), che
concludeva la guerra dei 30 anni e sanciva:
a) il riconoscimento dell’Olanda come stato
indipendente e sovrano; b) l’irreversibile declino
del grande nemico dell’Olanda: la potenza
imperiale degli Asburgo di Spagna e d’Austria;
c) soprattutto, l’avvento di un nuovo sistema di
relazioni tra gli stati europei, con norme a tutela
della libertà dei commerci, molto favorevoli
all’Olanda, allora padrona degli oceani del mondo.
Non è certo un caso che il ‘600 sia stato anche
l’età d’oro dell’arte e della cultura fiamminga: dei
pittori Rubens, Van Dyck, Rembrandt e Vermeer,
degli scienziati e filosofi Huygens, Comenio,
Grozio e Spinoza.
b) Il declino del primato olandese
Pochi decenni dopo essere giunta alla sua piena
affermazione, l’egemonia olandese cominciò però
a declinare, per il convergere contro di essa di due
grandi forze militari: quella marittima inglese, e
quella terrestre della Francia del Re Sole.
Perché ciò si verificò solo nel secondo ‘600?
Perché fino al 1648 (e la Francia fino alla pace dei
Pirenei del 1658), questi due stati erano impegnati
a contrastare l’egemonia imperiale degli Asburgo.
Ma con il definitivo tramonto di quell’egemonia
sovra-nazionale, nel 1648, iniziava l’epoca dei
grandi stati territoriali (nazionali, diremmo oggi): la
Francia, impegnata ad espandersi in Europa, e
l’Inghilterra lanciata nelle conquiste marittime. Non
c’era più spazio per l’egemonia di piccoli stati di
dimensione regionale, come l’Olanda. Essa
dovette combattere ben tre guerre contro
l’Inghilterra, che le strapparono il primato marittimo
e commerciale (e anche importanti colonie, come
quella del Capo, cioè l’attuale Sudafrica, e quella
americana di Nuova Amsterdam, che divenne New
York). Poi, minacciata di invasione dalla Francia
del re Sole, dovette allearsi alla stessa Inghilterra,
ma in posizione subalterna, e perciò si indebolì
ulteriormente. Poi, nel ‘700, i commerci olandesi
furono danneggiati dal mercantilismo praticato
dall’Inghilterra, dalla Francia e, sulla loro scia, da
quasi tutti gli stati europei.
Dal 1750 circa, il primato olandese era ormai
circoscritto all’alta finanza (cioè ai prestiti
internazionali), ambito in cui durò per altri
quarant’anni: come scrive Braudel, fu un “dorato
5
autunno”, finché anche quello le fu strappato dalla
nuova “capitale” emergente dell’economia-mondo
europea, l’Inghilterra.
Il ciclo del primato olandese può essere dunque
periodizzato in tre fasi: ascesa, all’inizio del ‘600;
piena affermazione, durante la guerra dei 30 anni
(1618-48) e nei due-tre decenni successivi; e un
lunghissimo, “dorato” declino (che inizialmente non
fu percepito come tale), a partire dagli anni ’70 –
’80 del ‘600 (ma l’importanza commerciale
dell’Olanda, soprattutto nell’Oceano Indiano, durò
molto più a lungo, e ancor di più quella finanziaria).
E’ importante osservare che questo primato si
esercitò prima a livello produttivo, poi commerciale,
poi finanziario (quest’ultimo, quando già l’Olanda
era declinata come potenza commerciale).
Secondo Arrighi, dunque, con l’Olanda del ‘600
l’economia-mondo europea diventò mondiale.
E, come vedremo gli anni prossimi, egli individua
le stesse sequenze (dal primato nella produzione,
a quello commerciale, a quello finanziario) nelle
due egemonie mondiali che seguirono a quella
olandese: quella britannica tra Settecento e
Ottocento, e quella americana nel Novecento.
E’ quindi evidente che questi concetti vi servono
non solo ora a capire i rapporti mondiali nel ‘600,
ma anche e soprattutto in 4^ e 5^ per capire la
storia del passato più prossimo e del presente!
Vedi, sul libro di testo (Palazzo, 2A): carte a pagg.12-13
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