1 Introduzione al Diritto Pubblico comparato ed europeo Studia i sistemi giuridici del mondo ed in particolare noi studieremo le democrazie occidentali secondo un metodo che metta in evidenza quali sono le analogie e le differenze. Verificheremo quali degli istituti, delle regole, delle norme, dei principi degli altri ordinamenti possono essere in qualche modo utilizzati o possono servire da modello di riferimento per accrescere ed evolvere il nostro Paese in determinati contesti che attengono all’organizzazione istituzionale. Il metodo ha come specificità di indagare il funzionamento degli ordinamenti ed di compararli tra loro ed in particolare con il nostro. Oggi quando si disciplina una certa materia si guarda a come la stessa è disciplinata in altri Paesi e ci si chiede quanto di quella disciplina può essere utilizzata anche nel nostro. Naturalmente è il confronto, la comparazione è la cosa importante. Per applicare la comparazione bisogna muoversi in un contesto comune cioè un contesto nel quale i principi fondanti siano tendenzialmente simili, abbiano una stessa radice, ecco perché ci occupiamo principalmente delle democrazie occidentali. Il comparatista non deve solo studiare le differenze e le analogie con un altro ordinamento e semmai tentare di importare un determinato istituto, deve ulteriormente verificare se il trapianto deve essere fatto in maniera totale o parziale in quanto bisogna tenere conto delle esigenze tipiche del Paese che verrebbe a recepire quel tipo di regolamentazione. Ecco perché si presuppone un’approfondita conoscenza del proprio ordinamento e di quello di riferimento. La finalità. La prima finalità è scientifico-culturale, la conoscenza degli altri ordinamenti e la comparazione con il nostro, oltre ad accrescere la propria cultura e la propria professionalità, consente di avere uno sguardo più ampio rispetto alle vicende nazionali e di ragionare in termini extraterritoriali. Ma abbiamo anche una finalità immediatamente operativa nelle professioni giuridiche perché non è più sufficiente fondare il proprio ragionamento giuridico esclusivamente su quello che succede all’interno senza tenere conto delle tendenze operative di altri sistemi. La finalità è anche quella di aiutare e di supportare il legislatore nel compiere le proprie scelte al fine di regolare un determinato settore. Anche l’Unione europea, nell’emanare direttive e regolamenti che incidono sugli ordinamenti degli Stati membri, decide di adottare un determinato atto normativo attraverso il diritto comparato cioè quella tecnica delle analogie e delle differenze volte ad individuare la sintesi tra le diversità giuridiche dei vari Paesi che aderiscono all’UE. Il processo di integrazione dell’UE è passato da un punto di vista giuridico attraverso la metodologia del diritto pubblico comparato che è servito per creare le fondamenta comuni della convivenza degli Stati nazionali all’interno di questo nuovo soggetto. Diritto comparato ed altre scienze. Il diritto comparato deve tenere conto delle altre scienze perché nel comparare non può non tenere conto di quelle che sono le tradizioni, le esigenze, l’adattabilità nel Paese che recepisce l’innovazione legislativa proveniente da un altro Paese. Al fine di fare questo bisogna tenere conto di altre scienze quale la politica che esiste in quel Paese in un dato momento storico. Non bisogna tenere conto solo del momento di natura giuridica ma anche di quello di natura storica, di natura politica, di natura economica, di natura sociale. Per esempio l’introduzione delle Autorità garanti è debitrice di esperienze effettuate altrove soprattutto negli USA, leggi che hanno tenuto conto di una serie di specificità e contesti entro il quale si andavano ad affermare, il contributo appunto di altre scienze quali quelle economiche per l’Antitrust, l’informatica per l’Autorità sulle telecomunicazioni, etc.. Macrocomparazioni, micro comparazioni, classificazioni. Vediamo con quali tecniche si può fare la comparazione. La macrocomparazione attiene sostanzialmente alle comparazioni su grandi fenomeni, siano essi le Costituzioni o sistemi giuridici, fondata sui principi e non nel dettaglio. Nell’ambito delle democrazie occidentali di stampo democratico-liberale abbiamo due grandi sistemi giuridici, quelli di common law e quelli di civil law, nei confronti dei quali procediamo con una macrocomparazione perché compariamo i criteri che stanno alla base dei due sistemi. Senza la macrocomparazione non possiamo poi fare la micro comparazione, è quindi il punto di partenza che consente poi di capire al meglio la comparazione tra istituti, tra organi, tra scelte legislative differenti. La macrocomparazione non impedisce che si possa utilizzare il funzionamento di un determinato istituto in un sistema giuridico differente da quello in cui è prelevato. La micro comparazione avviene invece su determinati settori, per verificare una certa legge, una certa disposizione, ma anche tra organi. Infine abbiamo l’esigenza di classificare, di mettere in maniera ordinata il panorama che siamo chiamati ad esaminare al fine di chiarire meglio il funzionamento di singoli sistemi. La troveremo soprattutto quando parleremo delle forme di Stato e di Governo. Modelli, circolazione e recezioni. All’interno delle classificazioni esistono dei modelli di riferimento, certe tipologie delle istituzioni. Mentre la classificazione è aperta e serve a razionalizzare meglio il discorso, il modello è rigido, impone la visione di una fattispecie secondo rigorosi schemi fissati al fine di definire il modello. Dobbiamo tenere presente che il soggetto che andiamo ad analizzare non è immobile ma dinamico, mutevole, che tiene conto delle dinamiche sociali e politiche, ed in questo troviamo il limite del modello. L’utilizzo del modello con riferimento all’organizzazione istituzionale ha il suo limite nel fatto che sfugge al principio di effettività dei soggetti che interpretano le Istituzioni. La circolazione si ha quando un certo tipo di sistema diventa di riferimento e quindi viene adottato da altri ordinamenti. Ad esempio il sistema semipresidenziale francese iniziò a circolare negli ordinamenti nascenti nell’Europa dell’Est (Ungheria, Romani, Polonia, etc.). La circolazione di un sistema ha il suo punto d’arrivo nella recezione. Ma la recezione non è mai priva di accorgimenti che sono frutto della specificità dell’ordinamento che recepisce. Diritto comparato e diritto pubblico europeo. L’ordinamento degli Stati membri oggi si è dovuto adeguare alle strutture dell’UE. Il diritto pubblico europeo non è più una parte del diritto pubblico comparato riferito all’Europa ma è da considerarsi un diritto pubblico a se stante. E’ frutto di quelle determinazioni che si sono venute a creare nello spazio giuridico europeo, della formazione di un soggetto in grado di produrre norme, rappresentanza, decisioni, etc.. Oggi il fenomeno europeo non è più riferibile ad un fenomeno esclusivamente di tipo economico ma giuridico in tutta la sua complessità. E’ un progetto di unione fra Stati raccolti intorno a dei Trattati, ma domani si spera una Costituzione europea, entro cui consentire una maggiore adesione e forza degli Stati che vi confluiscono ed impedire quindi nuovi conflitti all’interno dell’Europa. Il diritto pubblico europeo nasce sulla base della metodologia comparativa. L’Unione Europea e il diritto comparato. L’UE nasce come Comunità Europea, una coabitazione all’interno di uno spazio fisico comune di 6 Stati ma solo su alcuni specifici settori e che cominciano a produrre una unità d’intenti. Il passaggio da Comunità a UE non è solo letterale, mentre la Comunità presuppone comunque una certa autonomia degli Stati, vincolati solo a rispettare le regole che tra loro si danno, l’Unione determina un legame tra essi, la cessione di sovranità. E’ proprio questa cessione che determina il passaggio. La regolamentazione del fenomeno economico ha comportato la tutela dei diritti di libertà all’interno del territorio europeo. La sovranità, che è il pilastro su cui si sono sorretti per secoli gli Stati, è quella capacità di determinare le scelte fondamentali interne all’organizzazione dello Stato, fare le leggi è un esercizio di sovranità. Karl Smith, politologo e giurista tedesco, definì la sovranità dicendo che sovrano è colui che decide nello Stato di eccezione, cioè quando c’è da decidere. Esempio di questa cessione di sovranità sono: gli Stati non possono più battere moneta e l’immediata efficacia di nome europee negli ordinamenti interni. Un diritto giurisprudenziale. Si sta affermando un sistema giuridico europeo. Diritto giurisprudenziale vuol dire essenzialmente un diritto fatto dai giudici. A livello europeo ci sono 2 organi giurisdizionali, la Corte di Giustizia europea e la Corte europea dei diritti dell’uomo. Alla Corte di giustizia è stato affidato il compito di organo giudiziario cioè deve far rispettare il diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del Trattato CEE e poi dei Trattati successivi. La Corte nell’interpretare, applicare e far rispettare i Trattati ha emanato delle sentenze attraverso le quali si sono potuti affermare i diritti fondamentali dei cittadini all’interno dello spazio giuridico europeo. E’ vero che i diritti di libertà sono definiti in un documento ma alla loro affermazione ha concorso in maniera significativa la Corte di Giustizia. Non essendoci nel sistema europeo codici o leggi è un diritto che nasce essenzialmente come giurisprudenziale, nasce come un diritto di common law. E’ un diritto che nasce per la tutela di scelte economiche, la parte dei diritti si è venuta ad affermare per il tramite della Corte di Giustizia. Questi diritti fondamentali, una volta riconosciuti su base giurisprudenziale, hanno trovato formalizzazione nella carta Costituzionale europea che ancora non è stata ratificata da tutti gli Stati. Il “nuovo” sistema giuridico europeo. E’ un diritto che nasce su base giurisprudenziale ma che è sempre accompagnato anche su una base legislativa ma con delle specificità dovute al fatto che non è possibile riprodurre i meccanismi classici dell’organizzazione istituzionale degli Stati a livello europeo. L’UE è un soggetto particolare diverso dagli Stati nazionali che la compongono e quindi ha un suo sistema giuridico che non è di common law o di civil law come quello degli Stati ma un nuovo sistema giuridico europeo. E’ un sistema che combina meccanismi di diritto giurisprudenziale e meccanismi di diritto codificato ma con le sue originalità. I Trattati sono di esclusiva competenza degli Stati e non del Parlamento europeo, c’è quindi un soggetto che è assente dal processo di integrazione europea ed è il popolo. La costituzione europea. Si è sostenuto che anche se manca una costituzione scritta in Europa comunque una costituzione c’è nei termini in cui sono stati regolati tutta una serie di rapporti, come c’è un ordinamento c’è una costituzione. Ma a questo ragionamento si è contrapposto quello per cui ci deve essere una costituzione scritta perché solo essa chiarirebbe in maniera definitiva come i rapporti sono stati regolati, quali diritti sono stati individuati, come dovranno essere organizzate le istituzioni europee, quali sono le garanzie dei cittadini. Di questi due modi di pensare per il momento è prevalso il primo anche se il secondo sta cercando di affermarsi. Trattato e costituzione sono due cose differenti. Il Trattato è un accordo tra gli Stati mentre la costituzione è un contratto che il popolo fa con se stesso e si attribuisce le regole che costituiscono l’organizzazione di una società. Il Trattato non ha la legittimazione popolare ma è solo un accordo che mette insieme gli Stati sulla decisione da effettuare in un determinato settore. La costituzione nasce nella sua prima fase come un Trattato per poi avere una democratizzazione attraverso la ratifica o dei Parlamenti o popolare mediante il referendum. Con la costituzione europea si corre il rischio di un multilivello costituzionale. Le costituzioni degli Stati devono conformarsi alla costituzione europea così come gli statuti regionali si conformano alla costituzione nazionale. Se così fosse è veramente necessaria una costituzione europea che rischia di comprimere e di rattrappire le costituzioni nazionali? Il fatto che abbia trovato delle difficoltà nel suo percorso di ratifica sta a dimostrare che c’è una volontà contraria alla sua costituzione? Non c’è una risposta. Il Trattato che adotta la costituzione europea è un testo di oltre 400 articoli, si corre il rischio che non venga concepita ed ammessa dai soggetti destinatari come propria. Nella nostra costituzione non c’è un articolo che autorizza l’Italia a partecipare all’UE, il grimaldello è stato l’art. 11 che autorizza cessioni di sovranità per assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni. L’art. 11 da una parte ha evitato di procedere ad una revisione costituzionale mentre dall’altra ha messo in crisi il criterio della rigidità costituzionale perché lo si è derogato in maniera eccessiva. Si è in effetti proceduto ad una modificazione tacita della costituzione per altro attraverso un articolo che si trova nella parte dei principi fondamentali. Verso il diritto pubblico europeo. Oggi siamo in presenza di un diritto pubblico europeo fatto per il tramite dell’organizzazione dell’UE, per le fonti che regolano la produzione del diritto europeo, per la previsione di una costituzione europea, insomma tutti quei passaggi che manifestano la presenza di un diritto pubblico europeo. Un diritto che oggi non è più una mescolanza dei diritti degli Stati ma un diritto a se stante. 2 Costituzione e Costituzionalismo Nozione e storia di costituzione. Costituzione come documento e costituzionalismo come dottrina, filosofia, come metodo per governare, per individuare quelli che sono i criteri che meglio si adattano per l’organizzazione di una società. Dove non c’è costituzione scritta non è detto che non ci sia costituzionalismo, per esempio la Gran Bretagna non ha una costituzione scritta ma è considerata la patria del costituzionalismo insieme agli USA. Talvolta i principi che sorreggono l’istituzione di uno Stato si riflettono in un documento scritto detto Costituzione in altri casi no. Cosa è la costituzione? La Costituzione è quell’insieme di regole che disciplinano l’organizzazione di una società ma non necessariamente esaurisce tutte le regole. Il costituzionalismo attiene a una serie di principi che danno una indicazione ben precisa su come organizzare una società, su quali principi fondare l’organizzazione, su quali criteri ed indirizzi ideologici debbono essere indicate le strutture, i valori che prepongono alla struttura di una società. E’ l’insieme dei principi e dei valori che disciplinano l’organizzazione di una società. La costituzione nel suo percorso storico. Il costituzionalismo nasce a partire dalla fondazione degli USA e con la sua costituzione di fine 700. Quei principi allora individuati rimangono i principi sui quali si fondano società contemporanee. Gli opposti sentieri del costituzionalismo. Se è vero che nasce su opposti sentieri questi hanno finito però col convergere al punto che oggi si fondono in una unica cosa, la formula della democrazia liberale. Gli opposti sentieri sarebbero la rivoluzione americana, con la grande affermazione del federalismo e della sua costituzione, e la rivoluzione francese del 1789, che ha contribuito in maniera determinante ad un altro modo di concepire l’organizzazione della società. Per esempio con quest’ultima si affermano i diritti politici, il suddito diventa cittadino in quanto gli viene riconosciuto il diritto al voto, di eleggere un’assemblea, nasce il concetto di rappresentanza politica e quello di divieto di mandato imperativo che gli eletti. L’altro sentiero, quello americano, chiarisce un punto fermo, fondante del costituzionalismo, è il principio della separazione dei poteri. Laddove vi è separazione dei poteri è il costituzionalismo. E’ stato Montesquiè a teorizzare questo principio. E’ alla base del costituzionalismo perché consente che non vi sia un accentramento del potere, è un metodo che consente che non vi sia un unico soggetto che sia giudice, legislatore e governatore. All’epoca neanche si distinguevano questi tre poteri perché erano tutti nelle mani del monarca. Montesquiè li distingue affinché “un potere arresti il potere”, un potere impedisca che un altro potere abbia la meglio. I tre poteri sono il legislativo, il giudiziario e l’esecutivo e tra loro non vi deve essere incontro, confusione, commistione. Nella costituzione americana troviamo questa distinzione dei poteri. I poteri oggi sono più di tre, basti pensare al potere dell’economia, ma il principio rimane, indipendentemente da quanti sono devono essere separati. Tutti e tre i poteri nascono dal basso, su una scelta di tipo elettorale, in quanto coloro che siedono al Congresso sono eletti dai cittadini, il Presidente viene eletto a suffragio elettorale ed i giudici degli USA sono eletti dal corpo elettorale. Questi risponderanno del loro operato sempre verso il corpo elettorale. Altro principio americano è quello dell’organizzazione federale dello Stato ma non è un principio senza il quale non può esserci costituzionalismo. E’ solo un modo di organizzare lo Stato. Altro principio è quello delle garanzie costituzionali cioè debbono esserci degli strumenti in grado di garantire gli individui che non fanno parte della maggioranza ovvero le minoranze ed in generale l’azione oppositoria. Queste garanzie nascono sulla base del riconoscimento dei diritti di libertà e sulla loro concreta applicazione ed attuazione. A questo si aggiunge un altro principio fondamentale che è quello del controllo di costituzionalità che nasce negli USA con la Corte Suprema. Questo principio nasce nella decisione Marbury versus Madison con la quale la Corte Suprema disse che non sarebbe stata soltanto il vertice della magistratura ma si è auto attribuita il compito di sindacare la legittimità costituzionale degli atti legislativi. La Corte ha praticamente detto che la Costituzione è una legge superiore e quindi tutte le altre leggi devono conformarsi ad essa. Negli USA il sindacato di costituzionalità è diffuso, non spetta solo alla Corte suprema ma qualunque giudice può disapplicare una legge che ritiene in contrasto con la Costituzione. Come nasce una costituzione: il potere costituente. Non sempre la costituzione nasce dall’esistenza di un potere costituente. Il potere costituente è un potere eccezionale e nasce nel momento in cui vi è necessità di porre le basi per la costituzione di uno Stato. Prima del potere costituente di solito c’è uno stato di crisi, una rottura dell’assetto costituzionale tale da riscrivere questo assetto. In Italia infatti nasce dall’evento bellico della seconda guerra mondiale. E’ un potere libero, privo di limiti nella sua azione. All’Assemblea costituente italiana fu dato un potere senza limiti eccezion fatta per uno esplicitato contestualmente all’elezione dell’Assemblea, l’individuazione della forma di Stato. Il 2 giugno 1946 gli elettori italiani votarono contestualmente sia per il referendum istituzionale sulla forma di stato sia sulla formazione dell’Assemblea costituente. La forma di stato doveva essere Repubblicana e l’Assemblea non poteva mutarla perché era una decisione che derivava dal popolo. L’organo costituente non può che essere il più rappresentativo possibile, devono sedere esponenti di tutti i partiti ed i movimenti che rappresentano la società proprio perché è il luogo dove si fissano le regole comuni per tutti. Nell’esperienza italiana si cercò una scelta condivisa e non a maggioranza anche perché il testo non sarebbe poi passato attraverso il voto di approvazione del corpo elettorale, a differenza di ciò che avvenne in Francia con la quarta Repubblica dove il corpo elettorale chiamato a pronunciarsi bocciò il documento dell’Assemblea costituente. C’è una tecnica che garantisce la partecipazione di tutti all’Assemblea ed è quella della rappresentanza proporzionale ovvero il sistema elettorale proporzionale. Ma non tutte le Costituzioni nascono su base costituente cioè su una decisione compiuta da un organo al quale viene dato mandato costituente. In Germania infatti furono gli alleati a scrivere le nuove regole costituzionali del Paese. Nella Germania non vi era stato il fenomeno della resistenza, un fenomeno di opposizione al nazionalsocialismo quindi non si poteva lasciare la decisione ad un’Assemblea eletta dal popolo, vi erano condizioni diverse dal caso italiano. Sul piano costituzionale le Costituzioni scritte da altri rappresenta un problema perché la Costituzione cerca di interpretare il modo di essere di un Paese e quando è scritta da chi non ne fa parte si rischia di trovarsi delle norme che non siano perfettamente interpretabili dal popolo a cui sono destinate. Oggi con il riconoscimento di diritti universali la cui presenza è necessaria per l’esistenza di uno Stato democratico liberale, tali diritti possono essere trapiantati anche attraverso l’imposizione di costituzioni che sono il frutto di un intervento esterno. Classificazione delle costituzioni. Le si classifica per studiarle meglio. Costituzione formale e costituzione materiale. La prima è quel documento scritto che noi leggiamo ed al quale attingiamo per capire in quel Paese come sono stati regolati i diritti, i doveri, le istituzioni, le garanzie, l’assetto territoriale e quant’altro. Ma questo non è sufficiente perché dietro quella norma bisogna vedere come essa viene applicata, se esistono norme che danno attuazione a quanto in essa contenuto. La norma costituzionale si limita a stabilire un principio che poi deve essere attuato con le leggi ma anche interpretato dai soggetti con la prassi che pongono in essere. Ma non sono due costituzioni distinte, la materiale è in un certo senso la verificazione dell’altra, dà corpo e forma a quella formale. La materiale deve dare attuazione a quella formale. Ci sarà sempre un organo che vigila sul fatto che non vengano poste in essere norme legislative che siano in contrasto con le norme costituzionali. Oggi la Costituzione materiale è data in misura sempre crescente dall’ordinamento giuridico europeo cioè da tutta una serie di decisioni che vengono assunte in Europa che hanno una ricaduta fortissima negli ordinamenti statali al punto da dare una nuova interpretazione alle Costituzioni statali. C’è da sottolineare il ruolo che nel tempo ha assunto la giurisprudenza ai fini dell’interpretazione costituzionale. Una nuova costituzione materiale affidata alla giurisprudenza in misura maggiore che alle forze politiche e che viene detta costituzione “vivente”. Le Corti costituzionali sono diventate sempre più i veri interpreti della Costituzione perché spetta a loro il compito di verificare la legittimità costituzionale delle leggi. Per fare questo talvolta sono chiamati anche a riformulare il parametro costituzionale, a reinterpretarlo. A mano a mano hanno elaborato dei nuovi diritti fondati sull’interpretazione della Costituzione e sono diventate anche giudici dei diritti. E’ giusto affidare a dei giudici che non hanno legittimazione democratica, cioè non eletti dal popolo, di cambiare le Costituzione, anche se non quella formale ma quella materiale, senza alcuna responsabilità delle scelte davanti al corpo elettorale? A questa obiezione si è più volte risposto che la Corte non ha bisogno di una legittimazione di tipo elettorale in quanto trae la sua legittimazione dalla Costituzione stessa perché è essa che riconosce il ruolo della Corte. La Costituzione materiale passa attraverso una legge che è la sua norma fondamentale. Per quanto riguarda la forma di governo vi è una legge, quella elettorale, la cui modifica può cambiare le regole della Costituzione materiale, cambia l’assetto dei rapporti che si vengono a determinare fra le forze politiche perché determina il nascere di maggioranze coese. Costituzioni rigide e costituzioni flessibili. La rigidità fa si che la Costituzione sia legge superiore rispetto alle leggi mentre invece la flessibilità riduce la Costituzione al pari di una legge. Una differenza profonda e radicale. La si ritiene flessibile quando per cambiarla si ricorre allo stesso iter che regola il procedimento legislativo. E’ rigida invece quando le procedure per cambiarla sono determinate da una serie di passaggi complessi, aggravati. La rigidità della Costituzione attiene alla Costituzione formale in quanto in essa sono contenute le regole per cambiarla. La rigidità riguarda il momento della revisione della Costituzione ma da un punto di vista sostanziale la Costituzione è soggetta a continue trasformazioni e modificazioni che non passano attraverso le procedure di revisione e che quindi derogano al principio di rigidità. Per esempio il nostro art. 11 ha consentito che l’Italia partecipasse all’UE senza che nella Costituzione si parli da nessuna parte di Europa. Possiamo dire allora che le Costituzioni portano in sé una doppia anima, la rigidità e la flessibilità. Se le Costituzioni non sarebbero in grado di recepire i cambiamenti della società il rischio sarebbe quello di creare una forma di rigidità tale la cui interpretazione porterebbe alla rottura della norma stessa. Costituzioni scritte, consuetudinarie, brevi e lunghe. A non avere una Costituzione, quindi con una Costituzione consuetudinaria e non scritta, è rimasta in effetti solo la Gran Bretagna in quanto anche Paesi come Canada, Nuova Zelanda ed altri facenti parte del Commonwealth si sono dati una Costituzione scritta. La differenza tra brevi e lunghe non attiene alla dimensione ma è data piuttosto dalla analiticità degli articoli che compongono la Costituzione cioè di quanto gli articoli entrano nel dettaglio. La brevità quindi è data dall’essenzialità della norma, il fatto che enunci solo il principio, la lunghezza è data dal fatto che la norma entri nel dettaglio, nella specificità. La Costituzione lunga pretende di disciplinare con la propria forza di fonte primaria del diritto alcune fasi organizzative del paese, i diritti, i poteri, le garanzie, l’assetto territoriale, etc. mentre la Costituzione breve si fonda su principi e riserva un maggior potere di intervento al legislatore senza vincolare nel tempo le generazioni future. Fine prima parte Le dinamiche della costituzione. Le Costituzioni sono degli oggetti in movimento, la loro dinamicità è data dai soggetti che possono compiere certe azioni, che esercitando i poteri che la Costituzione stessa gli attribuisce danno alla stessa un certo movimento. Le dinamiche attengono a tutte quelle situazioni che consentono il movimento della Costituzione, sia quelle previste dalla Costituzione stessa per cambiarla, interpretarla, modificarla o emendarla sia quelle extracostituzionali che contribuiscono alla dinamicità stessa ovvero le prassi, le convenzioni, le consuetudini, i comportamenti concreti dei soggetti istituzionali. La revisione della costituzione: problemi e prospettive. Il potere di revisionare è una caratteristica ineliminabile delle Costituzioni, ognuna deve prevedere una procedura per modificarla. Un popolo deve avere la possibilità di cambiare le sue regole. Una generazione non può assoggettare alle sue regole le generazioni future. Ma le norme costituzionali sono soprattutto principi ed in quanto tali sono formule che hanno una portata generale e che ben si adattano ad essere di volta in volta integrati sulla base delle scelte legislative. Le Costituzioni si limitano a fissare dei principi che affondano la loro natura nel sistema democratico e liberale allora cambiare questi principi, anche solo al fine migliorativo, vorrebbe dire mettere in discussione la base stessa delle società contemporanee che è quella fondata su un sistema di tipo democratico-liberale. Proprio per questo la revisione della Costituzione è resa complessa perché potrebbe cambiare l’organizzazione stessa dello Stato. Una norma costituzionale fissa dei principi che possono accogliere una determinata legge in un certo periodo storico ed una diversa in un altro periodo storico. E’ possibile infatti cambiare radicalmente delle leggi a Costituzione invariata, per esempio si riteneva che l’impossibilità di divorziare fosse aderente a quanto previsto dalla Costituzione eppure fu possibile introdurlo senza modificarla. La revisione delle costituzioni flessibili. La flessibilità è data dal fatto che per modificarla si passa attraverso la legge ordinaria ovvero con la stessa procedura. Ciò significa che non si può ritenere la Costituzione una legge superiore. Era lo Statuto Albertino così come diverse Costituzioni francesi e spagnole che prevedevano la possibilità di modifica con legge ordinaria e quindi Costituzioni flessibili. In questo modo non si fissa nessun vincolo alle Assemblee legislative che sono così sovrane anche rispetto alla Costituzione. L’idea di procedere attraverso lo strumento ordinario per cambiare la Costituzione la qualifica come un soggetto sempre in movimento, desacralizza la Costituzione, ne fa un oggetto che si limita a regolare una serie di comportamenti, rapporti, relazioni, istituzioni, organizzazioni senza farle assurgere a momento fondativo di un’organizzazione statale. Abbiamo assistito ad un periodo di sacralità della Costituzione giustificato dal fatto che ciò ha contribuito alla ricostruzione di Stati che sono stati distrutti da regimi totalitari. La Costituzione Britannica, oggi l’unica non scritta, non è ne flessibile ne rigida ma super rigida in quanto non essendoci un documento scritto cambiare quelle convenzioni vuol dire cambiare i comportamenti del cittadino britannico. Cambiare la Costituzione significa cambiare la società, cambiare il modo di essere del cittadino britannico che per secoli è cresciuto in quel sistema. La revisione delle costituzioni rigide. Prevedono un meccanismo complesso per la modifica della Costituzione. Si basano sull’idea che la Costituzione è l’atto fondante di una società e se si vuole cambiarla ci sono delle procedure aggravate. Nelle Costituzioni rigide il potere costituente non c’è ma c’è solo il potere costituito. Per esserci il potere costituente è necessario creare una rottura con l’ordine costituzionale costituito e consentire la nascita di un organo speciale dotato di mandato costituente in grado di riscrivere per intero la Costituzione. Il potere costituito invece agisce entro il quadro costituzionale e può modificarlo a certe condizioni ed a certi limiti. I limiti alla revisione. Abbiamo due tipi di limiti, quelli procedurali e quelli sostanziali. Entrambi attengono alla revisione delle Costituzioni rigide. I limiti sostanziali possono distinguersi in limiti sostanziali di tempo, di circostanza e di contenuto. I limiti sostanziali di tempo sono quelli che prevedono che per un certo periodo di tempo non si può procedere a revisione della Costituzione. Sono scritti e previsti nella Costituzione, per esempio quella portoghese prevede che non si può procedere a revisione costituzionale per 5 anni a partire dall’ultima revisione. L’idea è che una Costituzione non può essere soggetta a continue modificazioni perché bisogna attendere che la revisione precedente abbia dispiegato nel tempo i suoi effetti, sia stata assorbita. I limiti sostanziali di circostanza vietano che si possa procedere a revisione in determinate situazioni per esempio quelle di emergenza e di tensione quali lo stato di guerra. Delle situazioni che potrebbero in qualche maniera comportare una emotività tale da condizionare il cambiamento della Costituzione. Per esempio le Costituzioni portoghese, spagnola, belga che prevedono il divieto di revisione durante emergenze o tensioni o periodi di grande disagio per il Paese. I limiti sostanziali di contenuto riguardano il divieto di modifica di alcune norme, alcune parti della Costituzione. Abbiamo una distinzione tra limiti espliciti ed impliciti. Gli espliciti sono quelli che la stessa Costituzione prevede, per esempio l’art. 139 della nostra Costituzione, la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale. Anche la Costituzione francese e quella greca contengono limiti espliciti simili. La Costituzione si preoccupa di sottrarre una sua parte al potere costituito in quanto se le modificasse sarebbe potere costituente. In questo modo però è come se si considerasse una parte della Costituzione sovra ordinata alle altre parti, ha un valore più forte delle altre regole costituzionali. Bisogna a questo punto capire quali sono le norme che attengono alla forma repubblicana e che quindi non si possono modificare. Quindi si intreccia il contenuto esplicito con quello implicito. In Costituzione ci sono delle norme che rappresentano i principi supremi che altro non sono quei principi sottratti a revisione costituzionale. Ma bisogna però capire quali sono i principi supremi, quali articoli sono sottratti alla revisione. Qualcuno sostiene che è un compito che spetta alla Corte Costituzionale. In una sentenza del 1988 la Corte chiamò in causa questi principi senza specificarli ma solo per dichiarare che esistono in Costituzione e che in quanto tali non sono soggetti a revisione costituzionale. Le procedure di revisione. Vediamo alcuni meccanismi di revisione che sono presenti negli ordinamenti contemporanei o lo sono stati nella storia costituzionale. Il primo è un meccanismo oggi desueto ed è quello che affida ad un’assemblea, un organo speciale, la revisione. Non si tratta di un’assemblea costituente in quanto è espressione di un potere costituito. L’assemblea dovrebbe modificare la Costituzione sulla base di un mandato circoscritto a determinate norme o fattispecie. Le commissioni bicamerali che abbiamo visto in Italia non avevano il compito di modificare la Costituzione ma solo quello di preparare un testo da sottoporre poi al Parlamento. Questo meccanismo dovrebbe essere previsto dalla Costituzione stessa o almeno da una legge costituzionale. Il secondo meccanismo è quello che affida il compito di revisione all’assemblea legislativa ordinaria. Questo è previsto in Italia, in Germania, in Portogallo e in Grecia. Il potere in capo all’assemblea legislativa ordinaria non si esercita per il tramite della procedura ordinaria ma è garantito da una serie di passaggi obbligati da fare per arrivare alla revisione. Per esempio servono maggioranze qualificate, sono previste due votazioni con un intervallo di tempo non inferiore a tre mesi, per la delicatezza della decisione si prevede un periodo di riflessione sulle modifiche che si stanno per apportare. Il terzo meccanismo è quello del potere di revisione affidato ad un organo formato da organi già esistenti, come per esempio in Francia. L’ipotesi è quella del Parlamento convocato in Congresso cioè l’assemblea legislativa ordinaria forma al suo interno un organo al quale affida il potere di revisione. Il vantaggio è che il Parlamento non verrebbe tutto assorbito dal procedimento di revisione ma solo una sua parte. La quarta ipotesi è quella riguardante l’iniziativa affidata all’assemblea legislativa ordinaria cui segue lo scioglimento della stessa ed il mandato alla nuova assemblea di approvare la riforma. E’ un iter abbastanza diffuso, la Svezia, la Danimarca, l’Islanda, il Lussemburgo. L’iniziativa spetta all’assemblea legislativa ordinaria che esamina un progetto di revisione ma non lo approva ma bensì si scioglie per consentire che sia la nuova assemblea ad approvare il progetto di revisione. La logica di questo meccanismo è che l’elezione della nuova assemblea avviene sulla base del mandato esplicito di approvazione della riforma costituzionale quindi l’elettorato è parte attiva dell’approvazione della riforma. L’elezione della precedente non aveva questo mandato quindi il popolo non era parte del procedimento mentre così partecipa all’approvazione votando le forze politiche in base alla loro posizione rispetto alla riforma. E’ una procedura che garantisce al massimo il momento della revisione costituzionale. Altro meccanismo è quello che richiede il coinvolgimento degli Stati membri, è tipico degli Stati federali, USA, Messico, Canada, Svizzera. Prevede la partecipazione degli Stati membri e l’approvazione di almeno una parte di essi. E’ un sistema che si fonda sulla divisione del Paese in Stati e l’unione del Paese stesso è rappresentata dalla Costituzione. C’è un istituto che viene spesso ad inserirsi nel procedimento di revisione che è quello del referendum. Abbiamo un referendum eventuale ed uno obbligatorio, cioè solo a determinate condizioni può essere richiesto. E’ legato alla partecipazione al procedimento di coloro che sono i destinatari naturali della Costituzione cioè i cittadini. Il referendum obbligatorio lo abbiamo in Austria, in Svizzera, in Giappone e in Spagna. E’ l’ultima tappa del percorso che prevede sia l’intervento parlamentare sia quello popolare. Si potrebbe creare anche un problema nel senso che l’assemblea legislativa potrebbe sentirsi sfiduciata nel momento in cui il corpo elettorale votasse contro la previsione di revisione. Ci sarebbe uno scollamento tra la volontà della maggioranza parlamentare e la volontà popolare. Mentre il referendum obbligatorio ha una funzione di ratifica finale da parte del corpo elettorale invece il referendum eventuale oltre a questa funzione è pensato per garantire le minoranze. E’ il caso di quello presente nel nostro ordinamento, l’art. 138 prevede che se non si raggiungono le maggioranze qualificate, ma solo quelle assolute, allora si può procedere alla revisione ma se richiesto da 1/5 dei membri di una Camera, 5 consigli regionali o 500.000 elettori si effettua il referendum. Il referendum costituzionale non ha quorum, l’esito è determinato dalla maggioranza che va a votare e che si esprime per il si o per il no. Se il referendum eventuale si basa per garantire le minoranze la vicenda del 2001 in Italia ha mostrato un altro volto del referendum in quanto è stato richiesto sia dall’opposizione che dalla maggioranza che aveva approvato la riforma. La maggioranza ha interpretato il referendum come una sorta di ulteriore ratifica popolare di ciò che era stato deciso a livello parlamentare. In linea di massima l’iniziativa della revisione spetta al Parlamento e quindi a ciascun parlamentare che può presentare una proposta di legge di revisione costituzionale ma in alcuni, come in Italia, può spettare anche al Governo ed al popolo, con l’iniziativa legislativa popolare. Possono essere tutti o solo alcuni di questi soggetti. Esistono infine vari gradi di rigidità nel senso che talune revisioni richiedono un aggravamento ancora più intenso. Per esempio l’art. 132 Cost. italiana prevede che la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove richiede, oltre alla legge costituzionale, l’iniziativa da parte di tanti Consigli comunali che rappresentino 1/3 della popolazione interessata. Inoltre tale proposta va approvata con referendum da parte della maggioranza delle popolazioni interessate. Le revisioni totali. Secondo alcuni le revisioni totali non possono essere compiute dal potere costituito in quanto la revisione o è parziale o non è, la totale invece sarebbe una nuova Costituzione. Nell’esperienza concreta invece si può procedere a revisione totale della Costituzione, così è in Svizzera, in Austria, in Olanda ed in Spagna. In questi Paesi il potere costituito non si trasformerebbe in potere costituente anche se fa un’operazione simile a quella del potere costituente cioè la modifica completa della Costituzione. La revisione totale compiuta dal potere costituito incontra dei limiti procedurali che rendono ultra aggravata la modifica stessa. In Spagna, per esempio, è necessario che la decisione di procedere a revisione totale abbia l’approvazione da parte della maggioranza dei 2/3 di ciascuna Camera. Se c’è questa maggioranza le Camere vengono sciolte, si procede a nuove elezioni e le nuove Camere ratificano la decisione e procedono alla modifica totale sempre con la maggioranza dei 2/3. Ultima tappa finale poi è il referendum obbligatorio. E’ un procedimento complesso e difficile che garantisce la revisione totale. C’è chi accosta la revisione totale al potere costituente e quindi sostiene che non dovrebbe incontrare dei limiti ma nel costituzionalismo di oggi molti autori sostengono che la revisione totale incontra i limiti dei principi fondamentali. Le revisioni tacite. Si tratta di quelle revisioni che avvengono senza riscrivere la norma ma attraverso una sua interpretazione di tipo evolutivo. Ci sono, nel campo dei diritti costituzionali, dei diritti che sono sorti soltanto dopo il varo della Costituzione, che sono sorti a seguito dell’evoluzione della società. In questi casi o si riscrive la Costituzione o si procede ad una revisione tacita facendo sorgere questi diritti attraverso una interpretazione delle norme costituzionali preesistenti. Ed è quello che si è fatto. Per esempio il diritto alla privacy è sorto con l’uso dei pc che hanno consentito di immagazzinare dati personali e di trasmetterli per via tecnologica. Basti pensare ai dati sanitari. Il rischio è che non ci sia abbastanza tutela di questi dati e che terzi possano venirne a conoscenza. Il diritto alla privacy è diventato un diritto costituzionale proprio grazie ad una revisione tacita da parte della Corte Costituzionale. I giudici della Corte sono passati da giudici delle leggi a giudici dei diritti proprio perché riescono attraverso una lettura interpretativa delle norme costituzionali ad attribuire e a far emergere dei nuovi diritti che possono godere lo stesso trattamento costituzionale sebbene non risultino espressamente scritti nella Costituzione. La revisione tacita vale per i diritti ma anche per i poteri ovvero per l’interpretazione delle norme costituzionali che concernono l’organizzazione dei poteri, lì valgono le convenzioni, le consuetudini, la prassi, per esempio tutto ciò che attiene alla formazione di un Governo, passaggi non presenti in Costituzione ma che sono ritenuti come facenti parte di essa. Le revisioni tacite oggi sono quelle che hanno contribuito maggiormente alla evoluzione della Costituzione. Il limite di queste revisioni è che si finisce per attribuire ad un organo, sia esso la Corte Costituzionale sia esso le forze politiche, un potere che è quasi para costituente cioè di intervenire nella Costituzione senza che la Costituzione espressamente glielo attribuisce. Insomma si da ai 15 giudici della Corte un potere che a loro non spetta ai sensi della Costituzione, non sono legittimati a farlo sulla base di un voto popolare che hanno ricevuto, non rispondono di fronte al corpo elettorale delle scelte che vanno a compiere. La revisione tacita ha il vantaggio di essere un’interpretazione che può valere per un certo periodo e per un altro no ovvero può valere un’altra interpretazione diversa dalla precedente mentre invece la revisione formale codifica e quindi inscrive nel testo quella certa scelta. Di modifiche tacite si può parlare anche con riferimento alla ratifica di trattati che incidono sulle competenze costituzionalmente stabilite. L’istituzione dell’ordinamento comunitario ha inciso sulla nostra costituzione modificando le norme in tema di esercizio della funzione legislativa e di monopolio statale della giurisdizione. Alcuni Stati europei hanno addirittura proceduto a revisioni costituzionali per dare affermare l’obiettivo della comunitarizzazione, dimostrando indirettamente l’impatto sulla costituzione dei Trattati europei. Deroga, rottura e sospensione della Costituzione. La deroga alla costituzione è un istituto in virtù del quale determinate disposizioni sono sottratte al regime costituente ordinario ed invece sottoposte ad una normativa ad hoc a carattere speciale e/o tendenzialmente limitata nel tempo. Si parla di solito di rottura della costituzione. Un esempio nel nostro ordinamento è la l. cost. 2/1989 che, in deroga all’art. 75 Cost., ha consentito lo svolgimento di un referendum di tipo consultivo sull’UE. In alcuni casi sono le stesse costituzioni che impongono o facoltizzano espressamente discipline derogatorie, si parla allora di rotture autorizzate mentre nel primo caso di autorotture. Si ha sospensione invece ogniqualvolta l’intera carta costituzionale o solo determinate disposizioni vengono in via temporanea rese inefficaci per fronteggiare situazioni di crisi interna o internazionale (stato di guerra, d’assedio, d’emergenza, ecc.) mediante l’instaurazione di un ordinamento o regime detto anch’esso di emergenza. Talvolta è difficile distinguerla dalla rottura in quanto gli elementi differenziatori sono la necessaria temporaneità (nella rottura è solo eventuale) e l’incidenza che può essere estesa a tutta la costituzione e non solo ad una parte di essa. Alcune costituzioni stabiliscono dei limiti alla sospensione, per esempio quella portoghese stabilisce i presupposti per la dichiarazione dello stato di polizia e di quello di emergenza mentre quella del Sud Africa, nel disciplinare lo stato di emergenza, elenca i diritti non derogabili. 3 Le fonti del diritto comparato Famiglie e sistemi di produzione del diritto. Per fonti del diritto intendiamo gli atti o fatti idonei a produrre diritto ma anche i soggetti che producono il diritto. L’organizzazione di questi meccanismi che stanno alla base della produzione del diritto viene ricondotta a sistema per vedere come le varie fonti si atteggiano l’una nei confronti dell’altra, se l’una è superiore o subordinata all’altra, se l’una è differente dall’altra. Troviamo sia atti formali che troviamo in testi, scritti e pubblicati, sia fatti, comportamenti la cui ripetizione nel tempo consente che abbiano una loro pregnanza giuridica e che quindi vengono qualificati come fonti. Anche le sentenze dei giudici sono atti che producono diritto, per esempio nei sistemi di common law. Ci sono dei Paesi dove il diritto è frutto della dialettica democratica e generato da soggetti a cui è demandata questa funzione mentre ne abbiamo altri dove la produzione del diritto è condizionata sia dalla religione che dalla politica, per esempio il diritto islamico dove le leggi altro non sono che la diretta applicazione dei dettami religiosi provenienti dal Corano. Laddove la legge è riferibile alla Costituzione viene dichiarata illegittima se contrasta con le norme costituzionali, in quei Paesi dove la religione è la fonte del diritto la legge deve essere parametrata ai dettami religiosi. Altro fenomeno che deroga al principio della legge quale espressione della volontà generale è quello dove è l’ideologia politica a condizionare la scelta legislativa cioè avviene la scelta ideologica è monotematica, non c’è possibilità di pluralità di scelta ideologico-politica, allora la fonte del diritto è proprio quella scelta ideologico-politica (ci troviamo alla presenza di un partito unico, per esempio Cuba). Le grandi famiglie a cui si fa riferimento nell’ambito delle fonti del diritto comparato sono due, quella di common law, che caratterizza i Paesi di matrice anglosassone, e quella di civil law cioè di diritto codificato, scritto, tipica dei Paesi romano-germanici. 26.05 La Consuetudine e le convenzioni. La consuetudine è composta da un elemento oggettivo, la ripetizione costante di un comportamento, al quale si associa via via nel corso del tempo la convinzione che sia obbligatorio conformarsi alla condotta dei predecessori. E’ una fonte del diritto che però in quello comparato ha subito una drastica riduzione. E’ presa in considerazione per lo più nei codici civili e non ha per oggetto la disciplina costituzionale. Abbiamo consuetudini praeter legem, quando opera solo negli spazi lasciati scoperti dalle altre fonti, e consuetudini secundum legem, quando opera per un espresso rinvio ad essa da parte del legislatore. Molto spesso si tratta di consuetudini interpretative. Le convenzioni costituzionali si affiancano a norme costituzionali per sostituirle in tutto o in parte e riguardano soprattutto le attività dei soggetti sovrani. Per esempio in Inghilterra la designazione a Primo Ministro da parte della Regina del leader del partito di maggioranza nella Camera dei Comuni è di origine convenzionale. Analogamente la nomina a Ministro dei soggetti indicati a lei dal Primo Ministro. Molto spesso normative sorte su base convenzionale si trasformano in regole consuetudinarie. Possono essere quindi considerate massime di comportamento costituzionale ma che tuttavia non vengono fatte valere dagli organi giudiziari. Ultimamente si è giunti anche ad ammettere la giustiziabilità delle stesse convenzioni (in Canada e Israele). I principi generali del diritto. Con questa espressione si intendono i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato. Sovente è il legislatore che qualifica una disposizione “di principio” ma più spesso sono la dottrina e soprattutto la giurisprudenza a qualificarla come tale. I principi assolvono a 3 funzioni: agevolano l’interpretazione della legge, integrano il diritto codificato (art. 12 preleggi del c.c. se una controversia non può essere decisa con una disposizione si ha riguardo a quelle che regolano casi simili o materie analoghe, se il caso rimane ancora dubbio si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato) e servono per limitare l’ambito di competenza di organi e enti. Non possono essere considerati come fonti del diritto. Common law e civil law. Si intende per famiglia quell’insieme di ordinamenti che presentano tra di loro significative somiglianze tra gli elementi fondamentali e stabilizzati delle loro fonti. Per civil law si intende il complesso di ordinamenti giuridici statali che ritrovano nel ceppo del diritto romano-germanico i principi fondamentali della propria struttura. Mentre per common law si denota il tipo di organizzazione giuridica propria dell’Inghilterra. La codificazione. La codificazione ottocentesca fu il momento culminante della contrapposizione delle due famiglie. Con i codici si affermò il modo francese di fare diritto mentre nel mondo inglese continuò ad affermarsi il primato delle regole create dai giudici. Anche se l’esperienza anglosassone si sviluppò sotto il segno dell’oralità non è giusto parlare di common law come diritto non scritto in quanto l’accertamento della giurisprudenza esige la raccolta dei casi decisi nelle corti. Il costituzionalismo. Le codificazioni di fine ‘700 hanno coinvolto soprattutto le fonti costituzionali ed il prototipo fu proprio la costituzione federale statunitense (1787). La differenza tra le due famiglie è attenuata da diversi elementi comuni quali la rigidità delle costituzioni, il sindacato delle leggi, i principi fondamentali che sono alla base della tutela dei diritti. Le fonti di civil law. La codificazione europea. Dall’800 in gran parte d’Europa la legge per antonomasia è il codice, un libro di regole giuridiche organizzate secondo un sistema, caratterizzate dall’unità di materia, vigente in tutto lo Stato, voluto e pubblicato dall’autorità politica statale, abrogante tutto il diritto precedente sulla materia da esso disciplinata. In particolare abbiamo la codificazione francese, principalmente i codici napoleonici, quella tedesca e quella svizzera. I codici francesi vennero esportati in ogni altra regione d’Europa e del mondo. La costituzione come fonte delle fonti. Le costituzioni enunciano la loro supremazia nei confronti delle altre fonti legali, o esplicitamente o indirettamente introducendo il controllo di legittimità. Disciplinano la legge ed il suo procedimento di formazione, gli atti aventi forza di legge, le fonti atipiche e quelle degli stati membri o delle Regioni ma mancano di una esauriente normativa delle fonti minori locali, e mai o quasi mai si occupano dell’interpretazione, dell’abrogazione, dell’efficacia delle norme nello spazio. Il compito di interpretare le leggi è attribuito più frequentemente alla suprema magistratura ordinaria. Numerosi testi sanciscono il principio dell’irretroattività della legge penale ma solo sporadicamente si rinviene un tale divieto per la legge ordinaria o fonti equiparate. Il sistema delle fonti tra gerarchia e competenza. Il sistema delle fonti si è arricchito di una molteplicità di atti che leggi non sono pur essendo muniti della forza di resistere all’abrogazione, inoltre il nome “legge” viene utilizzato per designare anche alcuni atti di enti autonomi (ad es. le leggi delle Regioni). Il criterio di gerarchia, che per le costituzioni flessibili era composto solo di 3 gradini (leggi, regolamenti, usi), si rivela inidoneo a comporre le antinomie tra le fonti. In suo luogo assume un rilievo via via crescente il criterio di competenza. I rapporti tra la legge ordinaria e la sterminata tipologia di fonti atipiche solo in qualche caso sono ispirati al criterio di gerarchia, per lo più la divisione corre sul filo della competenza. Il procedimento di formazione della legge. Viene scomposto in 3 fasi: l’iniziativa, l’approvazione e la pubblicazione. In tutti gli ordinamenti l’iniziativa spetta alle Camere e di solito può esercitarsi su tutte le materie. Esistono tuttavia un limite soggettivo, la proposta può essere depositata nella sola Camera di appartenenza, ed uno oggettivo, particolari riserve di iniziativa a favore del Governo riguardo a certe materie(schema di bilancio, rendiconto, ratifica dei trattati, etc.). Nei sistemi a bicameralismo imperfetto spesso le Camere basse hanno una posizione di preminenza su quelle alte riguardo alla fase dell’iniziativa, il alcune materie l’iniziativa spetta solo a loro. Mentre negli USA l’iniziativa compete solo ai membri della Camera e del Senato, nelle forme di governo parlamentari e semipresidenziali spetta pure al Governo e spesso ad altri soggetti. Quasi tutte le costituzioni riservano al Governo le leggi di bilancio e quelle finanziarie. In alcuni casi l’iniziativa è estesa anche al popolo (Italia, Spagna), agli enti territoriali o, più di rado, alle commissioni parlamentari, a formazioni sociali, sindacati, etc.. L’esame del testo si svolge generalmente con l’antico sistema inglese delle 3 letture. La prima avviene in aula in forma di annuncio del deposito, la seconda nella commissione competente, si vagliano e/o approvano eventuali emendamenti, e la terza avviene di nuovo in aula per l’esame finale del testo. In buona parte dei Parlamenti europei il testo viene immediatamente sottoposto all’attenzione delle commissioni, competenti ad esaminarlo (le commissioni deliberanti previste in Italia rappresentano un’eccezione). Per le modalità di voto, prevalentemente la regola è quella della maggioranza dei presenti (relativa) ma non è esente da eccezioni. Solitamente abbiamo una situazione di parità tra le due Camere, il testo deve essere approvato da entrambe, ma in alcuni casi si registra una prevalenza della Camera bassa. Quasi ovunque è ravvisabile un potere di veto o di rinvio da parte del Capo dello Stato che può essere superato con una nuova approvazione a maggioranza semplice del Parlamento, solo alcune costituzioni prevedono la maggioranza assoluta o maggioranze qualificate. In tutti gli ordinamenti l’efficacia della legge è subordinata alla sua pubblicazione su un giornale ufficiale decorso un termine variamente commisurato. Leggi delegate e decreti legge. Con le leggi delegate il Parlamento concede un’autorizzazione, una delega al Governo a regolare una determinata materia. Non sempre le costituzioni hanno reputato necessario disciplinare la legislazione delegata e spesso questa si è imposta in via di prassi. Alcune costituzioni lo disciplinano secondo uno schema trinario, autorizzazione-ordinanza-ratifica, altre tracciano un iter binario, legge di delegazione e legge delegata. Con i decreti legge è il Governo ad assumere un atto e poi lo sottopone al Parlamento. Gli schemi seguiti sono 3: raramente sono espressamente vietati, più di frequente la costituzione tace, talora sono espressamente ammessi ma è obbligatoria una ratifica parlamentare. Se ne fa uso soprattutto per due finalità: far fronte a situazioni di calamità naturali e introdurre misure fiscali senza dar luogo a speculazioni. L’esistenza del requisito dell’urgenza e/o della necessità viene valutata o dal Parlamento o dall’organo di giustizia costituzionale. Le fonti degli enti territoriali. Negli ordinamenti federali o regionali, oltre alle fonti dello Stato centrale operano anche quelle degli enti territoriali (Stati membri, Regioni, Lander, Province, Cantoni, Comunità autonome, ecc.). La validità delle leggi degli organi decentrati è subordinata al rispetto della norma base di ciascun ente periferico (oltre che alla costituzione complessiva) e ad altri limiti quali le leggi dello Stato. Negli ordinamenti federali europei (Germania, Austria, Svizzera, Belgio) l’autonomia legislativa degli ordinamenti decentrati si spiega nelle materie non di competenza dell’Assemblea nazionale ed in materie definite concorrenti. Negli ordinamenti regionali europei (Italia, Spagna) abbiamo una competenza esclusiva dello Stato in alcune materie, una concorrente con gli Enti territoriali ed una residuale degli stessi. Le fonti comunitarie. L’istituzione della Comunità Economica Europea, e dell’UE oggi, ha determinato l’ingresso negli ordinamenti dei Paesi membri di due nuove categorie di fonti: le direttive e i regolamenti. I regolamenti si impongono per forza propria, sono direttamente applicabili in tutti i loro elementi vincolando le autorità e i privati in virtù della forza a essi attribuita. Le direttive obbligano invece gli organi statali o decentrati ad assumere atti idonei ad assicurarne la trasposizione nell’ordinamento interno, salvo il caso in cui siano autoapplicative. Il diritto comunitario prevale sulle norme interne precedenti, precludendone l’applicazione, mentre resiste all’abrogazione ad opera della legge o di altri atti interni successivi. Il referendum come fonte del diritto. Tra le fonti va annoverato anche il referendum abrogativo, rarissimo nel diritto comparato e che conosce una continua applicazione solo in Italia. L’indole di fonte non va attribuita al risultato referendario ma all’atto con cui il Capo dello Stato recepisce la volontà del popolo di abrogare una legge. Tra le fonti del diritto debbono essere annoverate anche le sentenze dei tribunali costituzionali munite di efficacia erga omnes. Infine, a seconda dell’ordinamento, i regolamenti parlamentari possono essere considerati fonti legali del diritto oppure regole di natura meramente interna. Le forme di Stato. Forme di Stato nel rapporto centro-periferia. Con il termine forma di Stato si sta ad indicare l’insieme dei principi e delle regole fondamentali che caratterizzano un ordinamento statale e che disciplinano i rapporti fra lo Stato e la comunità dei cittadini, singoli o associati. Tuttavia spesso il termine è impiegato per intendere le regole che disciplinano i rapporti fra lo Stato centrale e gli enti autonomi territoriali operanti al suo interno. Molti autori in questo secondo caso usano il termine tipo di Stato. Stato unitario e Stato composto. Nello Stato unitario il potere è attribuito solo allo Stato centrale o a soggetti periferici da esso dipendenti (decentramento burocratico). Nello Stato composto il potere viene distribuito tra Stato centrale ed enti territoriali titolari di poteri propri, anche legislativi e di indirizzo politico, e dotati di organi rappresentativi delle popolazioni locali (decentramento politico o istituzionale, le istituzioni sono distinte e autonome rispetto a quelle statali). Lo Stato federale. Nasce storicamente per associazione o integrazione di Stati indipendenti ma in alcuni casi si costituisce per dissociazione di un precedente Stato unitario. I caratteri giuridici che lo contrassegnano sono: - l’esistenza di un ordinamento federale che riconosce l’autonomia di enti politici territoriali collocati fra lo Stato e gli enti locali, i quali hanno proprie costituzioni subordinate a quella federale; - la previsione nella costituzione federale della ripartizione delle competenze fra Stato centrale e Stati membri; - l’assetto bicamerale del Parlamento, costituito da una Camera espressione dell’intero corpo elettorale nazionale e da una seconda Camera rappresentativa degli Stati membri. Essa può essere composta in base ad un principio paritetico, che attribuisce ad ogni Stato lo stesso numero di rappresentanti, o differenziato in relazione alla popolazione degli Stati membri; - una composizione del Governo rappresentativa della natura composita dello Stato; - la partecipazione degli Stati membri al procedimento di revisione costituzionale, che può esercitarsi o indirettamente, tramite la seconda camera, o direttamente, attraverso l’approvazione dei Parlamenti statali, oppure con il voto diretto del corpo elettorale; - l’istituzione di un organo federale di tipo giurisdizionale, al quale è attribuito il potere di risolvere i conflitti tra Stato federale e Stati membri. L’evoluzione degli Stati federali. La distinzione principale è quella tra modello anglosassone (o statunitense) e modello europeo (o tedesco). Per quanto riguarda il riparto delle competenze legislative, nel primo modello vi è la tendenza a distinguere rigidamente le competenze esclusive del Governo centrale e di quelli periferici mediante l’elencazione delle materie di competenza del Parlamento federale e l’attribuzione dei poteri residui agli Stati membri. Anche negli Stati federali europei questa clausola è disposta a vantaggio degli Stati membri, ma in Svizzera e Germania è costituzionalmente prevista un’ampia fascia di competenze legislative concorrenti nella quale lo Stato fissa solo i principi ed in alcune materie può intervenire anche con normative di dettaglio. Questa differenza si riflette sul riparto delle funzioni amministrative, mentre nei Paesi anglosassoni gli Stati membri sono responsabili nelle stesse materie sia della legislazione che dell’esecuzione delle leggi, in Svizzera e Germania abbiamo un federalismo di esecuzione, al predominio federale nella legislazione corrisponde un intervento preponderante degli Stati membri nell’amministrazione e quindi nell’esecuzione delle scelte normative. Con l’affermarsi dello stato sociale gli Stati federali manifestano alcune linee di tendenza comuni. Innanzitutto si rafforza il ruolo dello Stato centrale, poi si afferma il federalismo cooperativo ovvero si fa strada l’idea che qualsiasi attività pubblica di rilievo, indipendentemente dalla relativa competenza, deve essere oggetto dell’intervento congiunto e coordinato dei diversi livelli di governo. Il federalismo cooperativo è caratterizzato dall’affermarsi di 3 principi fondamentali: il principio di sussidiarietà, il federalismo fiscale ed il principio di collaborazione. Il principio di sussidiarietà comporta che gli interventi del livello superiore di governo siano giustificati solo quando non possono essere efficacemente compiuti dal livello inferiore o allorché sia in gioco l’interesse nazionale o l’esigenza di un’uniforme disciplina della materia. Il federalismo fiscale comporta che ogni livello di governo si procuri autonomamente, mediante tributi propri, risorse adeguate all’esercizio delle proprie competenze e al volume delle spese, salvi restando gli interventi redistributivi e perequativi da parte dello Stato. In realtà in nessuno Stato federale le entità federate godono di un’autonomia esclusiva nella percezione delle entrate, lo Stato centrale non solo gestisce una quota non irrilevante delle risorse finanziarie, ma predetermina o condiziona l’assetto dei sistemi locali di prelievo fiscale ed incide sulla distribuzione effettiva delle risorse attraverso interventi finanziari di vario tipo. Il principio di collaborazione comporta che una gestione ottimale delle risorse renda indispensabili forme di accordo e di cooperazione fra i diversi livelli di governo, che possono essere orizzontali, quando riguardano le entità federate, e verticali, allorché intercorrono fra il governo centrale e quelli periferici. Inoltre la cooperazione può essere istituzionalizzata o spontanea, quella istituzionalizzata può essere obbligatoria o facoltativa. La cooperazione può avere ad oggetto l’attività normativa o, più frequentemente, quella amministrativa. Lo Stato regionale. Deriva dalla suddivisione in nuove entità territoriali autonome di Stati caratterizzati da una forte tradizione centralistica. I caratteri che distinguono lo Stato regionale da quello federale sono i seguenti: - il riconoscimento nella costituzione statale di enti territoriali autonomi dotati di propri statuti; - l’attribuzione costituzionale alle Regioni di competenze normative e amministrative; una partecipazione limitata all’esercizio di funzioni statali e in particolare a quella di revisione costituzionale; - l’attribuzione alla Corte costituzionale del potere di risolvere i conflitti fra lo Stato e le Regioni. Il termine Regione può assumere 3 significati diversi: - di semplice circoscrizione o ufficio di decentramento burocratico, non si da vita ad un livello intermedio di governo fra Stato ed enti locali; - di Regione amministrativa, ente territoriale dotato di autonomia amministrativa ma non legislativa; - di Regione politica, occorre che siano basate sull’elettività dei titolari degli organi di governo, che siano libere di determinare un autonomo indirizzo politico-amministrativo ed esercitino la potestà legislativa. Distinguiamo inoltre tra regionalizzazione omogenea, c’è una disciplina uniforme dell’ente regionale, e differenziata, prevede livelli di autonomia differenziati tra le diverse Regioni. Dal punto di vista del riparto delle competenze legislative, in passato era prevista un’elencazione di quelle regionali e la competenza residuale veniva attribuita allo Stato. Oggi questo criterio è stato ribaltato attribuendo alle Regioni la potestà legislativa nelle materie non espressamente riservate allo Stato. Si può quindi parlare di Stato regionale solo quando le Regioni sono previste nella costituzione, si caratterizzano come ente politico autonomo, ricoprono l’intero territorio nazionale e sono titolari di competenze legislative. L’evoluzione degli Stati regionali. Abbiamo due tendenze, la prima consiste nel rafforzamento delle condizioni di autonomia e dei poteri delle Regioni. La seconda consiste nello sviluppo del regionalismo cooperativo e si realizza o attraverso la partecipazione delle Regioni alla formazione dell’indirizzo politico statale o mediante un insieme di strutture e di procedure di raccordo, volte a garantire l’integrazione tra sfere di attività statali e regionali non più rigidamente separate. Lo Stato federale e quello regionale non costituiscono forme o tipi di Stato distinti e inconciliabili, ma sono due manifestazioni dei processi di decentramento politico che caratterizzano gran parte degli Stati democratici contemporanei. Nella forma di Stato democratico-pluralista distinguiamo tra due diversi tipi di Stato a seconda della diversa articolazione del potere sul territorio: quello unitario, basato su un decentramento di tipo burocratico o istituzionale prevalentemente amministrativo, e quello decentrato (o autonomistico), basato su un decentramento istituzionale di tipo politico. All’interno dello Stato decentrato la distinzione tra regionalismo e federalismo incide sull’assetto e sul funzionamento degli organi di governo dello Stato, ma anche sulla distribuzione di poteri fra Stato centrale e autonomie territoriali. La forma di Stato dell’UE. Gli organi: Il Consiglio europeo, composto dai Capi di Stato o di Governo dei Paesi membri, definisce gli orientamenti politici generali e dà gli impulsi necessari allo sviluppo dell’Unione. La Commissione europea, composta da 27 membri, con un Presidente scelto dai Governi e poi approvato dal Parlamento. Dura in carica 5 anni ed è titolare di poteri di iniziativa in materia normativa, di esecuzione delle politiche comunitarie e di controllo degli Stati membri. Il Consiglio dell’UE, composto dai Ministri dei Paesi membri competenti nella materia all’ordine del giorno, è titolare, da solo o con il Parlamento, del potere di adottare le norme comunitarie, il bilancio, gli atti comunitari non normativi. Il Parlamento europeo, composto da deputati eletti per 5 anni a suffragio universali e diretto dai popoli dei 27 Stati membri, svolge, oltre alle originarie funzioni consultive, anche funzioni decisionali: partecipa alla funzione legislativa con poteri di codecisione in alcune materie, adotta in via definitiva il bilancio, da il parere sull’adesione di nuovi Stati, può approvare a maggioranza dei 2/3 una mozione di censura nei confronti della Commissione. - La Corte di giustizia delle comunità europee, composta da 27 giudici e 8 avvocati generali, nominati dai Governi per 6 anni, decide sui conflitti riguardanti l’interpretazione e l’applicazione del diritto comunitario, su iniziativa degli Stati, delle istituzioni comunitarie e dei privati. Inoltre si pronuncia sui ricorsi dei giudici nazionali in materia di interpretazione e legittimità di una norma comunitaria. Nel 1988 è stato istituito anche un Tribunale di primo grado che ha competenze più limitate. Non è facile definire la natura giuridica dell’Unione. Alcuni aspetti sembrano assimilarla a una Confederazione di Stati in quanto nasce in base ad un trattato di diritto internazionale che può essere modificato solo con l’assenso di tutti gli Stati, questi mantengono il diritto di recesso. Mentre altri sono tipici di uno Stato federale, l’Unione ha come soggetti di diritto non solo gli Stati ma anche i cittadini, il principio del primato del diritto comunitario su quello interno nei settori di competenza dell’Unione comporta una limitazione di sovranità degli Stati membri, l’ordinamento comunitario è dotato di autonomi poteri normativi, amministrativi e giurisdizionali. Il Trattato di Lisbona del 2007, recependo alcune innovazioni contenute nel progetto di costituzione europea bocciato dagli Stati, conferisce all’UE personalità giuridica (potere di stipulare trattati internazionali), introduce il mandato di 2 anni e mezzo della Presidenza del Consiglio UE, prevede la figura dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ecc.. E’ stato ratificato da tutti gli Stati tranne l’Irlanda. L’UE è oggi difficilmente inquadrabile nelle categorie tradizionali di tipo di Stato, si può comunque affermare che oggi il suo ordinamento si configura come un ordinamento federativo. Forme di Stato e rapporto individuo-autorità. La prima classificazione è quella di Aristotele che distingue le forme di governo a seconda del numero dei soggetti titolari della sovranità: monarchia, aristocrazia e politèia (rispettivamente governo di uno, di pochi, di molti). Queste sono le forme buone di governo, alle quali corrispondono quelle degenerate: tirannia, oligarchia, democrazia. Poi c’è stata la distinzione fra Monarchia e Repubblica, superata durante il secolo scorso con l’affermarsi del principio repubblicano. Oggi abbiamo due grandi categorie: lo Stato democratico e lo Stato autocratico. Il primo si fonda sulla titolarità collettiva e su un esercizio ripartito del potere, su una modalità di formazione delle decisioni basata sul consenso popolare e sulle finalità proprie di un’ideologia liberaldemocratica. All’opposto lo Stato autocratico è caratterizzato dalla titolarità ristretta e dall’esercizio accentrato del potere, dall’assunzione e attuazione delle decisioni basata sull’imposizione. Democrazia e liberalismo. Lo Stato democratico è definito oggi come un sistema pluripartitico nel quale la maggioranza governa nel rispetto dei diritti delle minoranze ed un insieme di principi e di valori sancito a livello costituzionale e condiviso dalla società. Lo Stato autocratico comprende invece tutte le esperienze che non possono essere qualificate come democratiche (lo Stato socialista e quello fascista per esempio). Il termine autocrazia significa governo di uno e ricopre concetti come quello di dittatura, di regime autoritario e di regime totalitario. La dittatura è la concentrazione del potere nelle mani di un organo (di solito monocratico), non costituisce una forma di Stato a sé ma è una fase transitoria che si conclude o con il ritorno al funzionamento normale dell’ordinamento preesistente o con il suo definitivo superamento e la creazione di un nuovo ordinamento. Il regime autoritario si fonda su una forte concentrazione del potere, un basso livello di consenso e di mobilitazione popolare, l’uso della forza e la repressione dell’opposizione. Il regime totalitario ha l’aspirazione di occuparsi di ogni aspetto della vita sociale. Sono caratteristiche essenziali: un’ideologia ufficiale dello Stato, il partito unico, il capo carismatico che è alla testa del partito, una mobilitazione permanente delle masse attraverso la costante ricerca del consenso popolare tramite metodi di tipo plebiscitario ed una struttura di tipo poliziesco. E’ possibile esaminare le diverse forme di Stato, seguendone l’evoluzione storica, con i seguenti criteri: - la natura del rapporto tra Stato e società civile; l’individuazione del titolare del potere politico e del modo di esercizio dello stesso; la derivazione del potere e quindi l’individuazione della sua fonte di legittimazione; il riconoscimento o meno dei diritti di libertà e delle garanzie della loro effettività; l’esistenza o meno di una costituzione e il ruolo svolto da questa nella regolazione dei rapporti fra Stato e società e fra pubblici poteri. Applicando tali criteri si può operare la distinzione fra Stato assoluto, Stato liberale e, nell’ambito dello Stato contemporaneo, fra Stato democratico, Stato autoritario, Stato socialista. Di forma di stato si può parlare solo dopo la nascita degli Stati-nazione, che prende avvio dalla metà del XIV sec., quindi non è tale l’ordinamento feudale che si afferma dal IX al XII secolo. In esso vi è una totale identificazione fra la persona fisica del Signore (o del Re) e la proprietà privata della terra, non un unico ordinamento sovrano ma una pluralità di ordinamenti autonomi, non si può parlare di veri e propri diritti di libertà, non esiste una costituzione. Dallo Stato assoluto allo Stato democratico. Costituisce la prima forma di Stato. Con l’assolutismo nasce lo Stato-apparato che persegue per nome e per conto del Re fini di tipo pubblicistico. Gli elementi che lo costituiscono sono: un corpo amministrativo-burocratico di funzionari stipendiati, un esercito permanente ed un sistema di esazione dei tributi. Inoltre viene stabilita la distinzione fra patrimonio privato del Re e patrimonio pubblico che è inalienabile e indisponibile. Il potere del Re è di origine divina e si trasmette per via ereditaria. La rappresentanza nelle grandi Assemblee medievali si configura come un rapporto di diritto privato, nel quale il rappresentante agisce come mandatario legato a vincoli e direttive da parte dei rappresentati. Nello Stato assoluto non si hanno diritti ma solo pretese di natura privatistico-patrimoniale, di cui sono titolari coloro che possono vantare un titolo di proprietà. La fine dello Stato assoluto è dovuta a fattori finanziari, economico-sociali e politiche, e porta alla formazione dello Stato liberale caratterizzato dal modo di produzione capitalistico basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, sulla libera concorrenza, sulla ricerca del profitto e sulla centralità del mercato. Le caratteristiche dello Stato liberale: - la netta distinzione tra sfera pubblica, che ha per oggetto essenzialmente il mantenimento dell’ordine e l’uso legale della forza all’interno ed all’esterno, e sfera privata, nella quale si esplicano liberamente i rapporti economici e gli interessi privati; - un principio cardine è la separazione dei poteri. Montesquieu sottolineava come tra i 3 poteri dovessero esistere forme di reciproco controllo e condizionamento, al fine di evitarne la degenerazione, ma nell’applicazione pratica si verifica una combinazione fra il principio della separazione e quello della collaborazione fra di essi; - il principio della rappresentanza politica, viene sancito il divieto del mandato imperativo, gli eletti rappresentano l’intera nazione e quindi l’interesse generale. Lo Stato liberale però è monoclasse in quanto attraverso il suffragio ristretto, basato sul censo o sul reddito, esclude dal voto la maggioranza del popolo e i rappresentanti sono appartenenti alle classi più agiate; - il riconoscimento costituzionale dei diritti di libertà anche se riconosciuti con notevole diversità di ampiezza e di garanzie nei vari ordinamenti; - infine la costituzione quale atto fondamentale che assicura la garanzia dei diritti e stabilisce la separazione dei poteri. Si configura come legge superiore alla legge ordinaria solo laddove è il frutto di un processo rivoluzionario o dell’ottenimento dell’indipendenza nazionale, mentre è di fatto derogabile dalla legge quando deriva da una concessione del monarca o ha un’origine compromissoria. Lo Stato democratico fa propri principi e istituti di origine liberale ma li estende a ceti sociali che prima ne erano esclusi e introduce nuovi valori e istituzioni. Si attenua la separazione tra Stato e società e fra politica ed economia. La società non è più concepita come una sommatoria di individui ma anche come un insieme di gruppi organizzati che esprimono bisogni, interessi e volontà diversificati. L’economia diventa oggetto di decisioni politiche, l’intervento dello Stato è volto a garantire da un lato la libera concorrenza e dall’altro il soddisfacimento di primari interessi sociali e il rispetto della dignità della persona umana. Lo Stato democratico è qualificato infatti come Stato sociale in quanto opera una redistribuzione del reddito al fine di ridurre le disuguaglianze e favorire l’integrazione delle classi più deboli. Nascono i partiti politici che costituiscono il principale canale di collegamento fra comunità sociale e soggetti pubblici. La sovranità appartiene al popolo che la esercita attraverso la democrazia rappresentativa. E’ uno Stato rappresentativo ma, a differenza di quello liberale, è pluralistico o pluriclasse, infatti viene riconosciuto il suffragio universale. Il principio del pluralismo significa che l’ordinamento statale riconosce e garantisce l’esistenza e l’attività di una pluralità di gruppi economico-sociali, religiosi, etnici, culturali (pluralismo sociale), il pluripartitismo (pluralismo politico) e diversi livelli di governo territoriali (pluralismo territoriale). Accanto ai tradizionali diritti civili si affermano altri diritti che si configurano come libertà positive (si richiede un intervento dello Stato per la loro realizzazione), i diritti politici, tutti i cittadini possono partecipare attivamente alla vita pubblica sia individualmente che collettivamente, e i diritti sociali, diritti ad ottenere prestazioni dello Stato. Infine lo Stato democratico è uno Stato costituzionale, le costituzioni sono aperte, affermano principi basati su valori condivisi dal corpo sociale, sono lunghe, contengono le dichiarazioni dei diritti e disciplinano ampiamente i rapporti tra i poteri pubblici, e sono rigide, la superiorità sulle altre fonti è assicurata dalla previsione di un procedimento aggravato per la propria revisione. La diffusione del modello democratico liberale. La diffusione si è manifestata in 4 fasi successive: nell’immediato dopoguerra con la costruzione di sistemi democratici in Germania, Giappone e Italia; alla metà degli anni ’70 con la caduta di regimi autocratici e l’adozione di costituzioni democratiche in Grecia, Portogallo e Spagna; negli anni ’80 con il processo di democratizzazione di molti Paesi in via di sviluppo; infine negli anni ’90 ha coinvolto i Paesi ex socialisti e quelli facenti parte dell’ex Unione Sovietica. Attualmente possono essere considerati effettivamente democratici solo un terzo dei Paesi esistenti. La crisi del mondo bipolare ha spinto a individuare come scenario futuro quello dello scontro tra civiltà, derivante dalla incompatibilità fra le civiltà democratico-occidentale e le altre (a cominciare da quella islamica). L’unica alternativa è quella della ricerca di una convivenza. La crisi dello Stato democratico-sociale si manifesta su 3 terreni distinti ma fra loro connessi: economico-sociale, politico e giuridico-costituzionale. Sotto il primo profilo abbiamo la globalizzazione dell’economia, quel fenomeno per cui il mercato economico-finanziario è diventato mondiale, sfuggendo sempre più alle capacità di previsione e di controllo dei singoli Stati. Dalla globalizzazione e dallo sviluppo di organizzazioni sovranazionali come l’UE è derivato un ridimensionamento del ruolo degli Statinazione. Il problema è quello di garantire la coesistenza fra le scelte economico-sociali, che tendono a ridurre la garanzia dei diritti sociali, e un adeguato livello di coesione sociale. La crisi politica deriva in gran parte dalla crisi dei partiti i quali tendono sempre più a svolgere l’attività politica senza alcuna visione ideale o anche solo programmatica, riducendosi a strumenti di gestione del potere. Inoltre trovano difficoltà crescenti a svolgere la tradizionale funzione di collegamento fra società e Stato per il carattere complesso della società che utilizza nuovi canali di espressione e di comunicazione con il potere pubblico. La crisi giuridico-costituzionale si manifesta in varie forme. Innanzitutto il voto popolare è condizionato dall’uso dei mass media e dalla promessa di vantaggi e di contropartite, ciò ha determinato la crescita di voto di scambio rispetto a quello di opinione. L’uso dei moderni mezzi di comunicazione di massa inoltre ha comportato che l’elettore vota sulla base di suggestioni mediatiche superficiali. Poi vi è una crisi del Parlamento, non più in grado di fornire risposte rapide e soddisfacenti ad una società sempre più complessa e frammentata. Oggi le decisioni non sono più adottate prevalentemente attraverso la legge ma vengono prese dal potere esecutivo mediante atti di tipo regolamentare o amministrativo. In terzo luogo la crisi della politica e del principio di rappresentanza ha favorito l’ascesa a ruoli di governo dei detentori del potere economico dando vita ad una sovrapposizione di poteri. Lo Stato autoritario. Gli esempi più significativi sono quelli dell’Italia fascista e della Germania nazionalsocialista. Al pari dello Stato democratico, lo Stato autoritario nasce come risposta alla crisi dello Stato liberale ma anziché allargare la base di massa di quest’ultimo alle organizzazioni del movimento operaio, si propone di distruggerlo e di sopprimere ogni forma di conflitto e di dissenso. Vediamo alcune diversità tra i 2 regimi. Entrambi esaltano il concetto di nazione ma per il nazismo esso è inteso come unità di sangue e di razza del popolo tedesco assumendo caratteri razzisti soprattutto nei confronti degli ebrei. La seconda diversità riguarda i rapporti tra Stato e partito, in Italia si afferma il principio dell’integrazione del partito nello Stato mentre in Germania abbiamo la superiorità del partito e del suo leader sia sullo Stato che sul popolo. Terza diversità, solo il regime nazionalsocialista assume i caratteri del totalitarismo mentre quello fascista mescola tratti totalitari e tratti autoritari (per esempio fa salva la libertà di religione e quella economica, l’autonomia della magistratura ordinaria e permane al vertice la Corona). Veniamo alle caratteristiche comuni. Si attua una statalizzazione coattiva della società civile, lo Stato interviene anche nell’economia attraverso il proliferarsi di enti pubblici e di società a partecipazione statale o mista. La concentrazione del potere è fortissima, le autonomie territoriali o vengono soppresse o sono presiedute da organi monocratici non elettivi i cui titolari sono funzionari statali. Il potere legislativo è nettamente subordinato a quello esecutivo. Lo Stato autoritario sostituisce alla rappresentanza politica di tipo elettivo una rappresentanza monopartitica e corporativa. Tutti gli altri partiti sono messi fuorilegge e i loro esponenti arrestati e condannati al carcere o al confino. In Italia vengono create le corporazioni, organismi di diritto pubblico che comprendono per ogni categoria i rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori. Lo Stato autoritario è illiberale e repressivo, in quanto non solo nega i diritti politici, ma limita pesantemente gli stessi diritti civili. Lo Stato socialista e la sua crisi. Lo Stato socialista si è affermato in Russia in seguito alla rivoluzione del 1917 e si è esteso, dopo la seconda guerra mondiale, a vari Paesi dell’Europa centro-orientale, dell’Asia e a Cuba. Anch’esso nasce in contrapposizione allo Stato liberale, assumendo alcune caratteristiche istituzionali e politiche simili a quelle dello Stato autoritario (partito unico, concentrazione e personalizzazione del potere, negazione dei diritti civili e dei diritti politici). Tuttavia mentre lo Stato autoritario convive con il mercato capitalistico, nello Stato socialista si impone un modo di produzione collettivistico, basato sulla statalizzazione dei mezzi di produzione, ed il mercato è sostituito con un piano economico quinquennale centralizzato. Negli ultimi anni in Cina si è tentato di superare l’economia pianificata e di dare vita ad una economia di mercato socialista. L’ideologia dello Stato socialista concepisce lo Stato come strumento della dittatura del proletariato necessaria per il passaggio ad una società comunista senza classi. La statalizzazione determina una netta preponderanza della politica sull’economia e della sfera pubblica su quella privata. La società è organizzata in strutture associative collaterali al partito comunista e veicolo della sua ideologia e della sua linea politica. Il principio della separazione dei poteri viene apertamente rifiutato in nome dell’opposto principio dell’unità del potere statale espresso dall’organo parlamentare di origine elettiva. Ma il Parlamento ha un carattere pletorico e si riunisce raramente, di conseguenza l’organo preminente è la Presidenza collegiale del Parlamento di cui fanno parte i massimi esponenti del partito. Rispetto al modello democratico vi sono 2 differenze importanti. La prima è il principio del mandato imperativo e della revocabilità degli eletti da parte dei propri elettori. La seconda è il carattere monolitico e omogeneo della rappresentanza, chiamata ad esprimere gli interessi unitari del popolo. Il ruolo guida del partito comunista è espressamente riconosciuto dalla costituzione. Le costituzioni socialiste riconoscono i diritti civili e politici ma funzionalizzati alla tutela degli interessi dello Stato, della società e della collettività, ciò fa si che l’esercizio di tali diritti venga negato alle opposizioni e ai dissidenti. Uno stato di diritto è inesistente. La crisi dell’Unione sovietica e degli Stati socialisti europei ha origine dal tentativo di riforma del sistema di Gorbaciov che consisteva in una attenuazione del carattere collettivistico e pianificato dell’economia, nel riconoscimento del principio della separazione dei poteri, nella modificazione del sistema elettorale, nell’affermazione del pluralismo politico, dei diritti fondamentali della persona, dell’indipendenza della magistratura e nella creazione di un organo di giustizia costituzionale. In conseguenza del fallito colpo di stato del 19 agosto 1991 il partito comunista viene messo fuorilegge dagli organi parlamentari ed in rapida successione tutte le Repubbliche facenti parte dell’URSS dichiarano la propria indipendenza. La Conferenza di Minsk dà vita ad una Comunità di Stati indipendenti dalla quale rimangono fuori gli Stati baltici. Un analogo processo di caduta dei regimi socialisti avviene anche in tutti i Paesi dell’Europa centro-orientale ma con modalità diverse. Il Parlamento è protagonista del cambiamento in Bulgaria, Cecoslovacchia, Polonia e Ungheria mentre avviene attraverso un colpo di stato in Romania e con il rischio di una guerra civile in Albania. Tra il 1989 ed 1998 tutti gli ex Stati socialisti danno vita a nuove costituzioni che proclamano i principi della separazione dei poteri, del pluralismo, della rappresentanza politica, il riconoscimento e la garanzia dei diritti civili, politici e sociali, l’indipendenza della magistratura. In vari Paesi emergono seri problemi come il mancato o parziale riconoscimento dei diritti delle minoranze, l’arretratezza economica e politica, la limitazione dei diritti dell’opposizione, tutti elementi che tendono a configurarli come semi-democrazie. Gli Stati in via di sviluppo. Sono quegli Stati che cercano di superare una condizione di cronica arretratezza economica, sociale, politica e istituzionale. Elementi comuni sono: la colonizzazione, il sottosviluppo e la debolezza dell’identità nazionale. Quasi tutti i Paesi in via di sviluppo hanno conosciuto il dominio coloniale o comunque subito l’influenza economico-finanziaria e spesso politica degli Stati più avanzati. Tutti versano in uno stato di grave sottosviluppo soprattutto economico e sociale. Infine molti Stati nascono prima che si sviluppi un’effettiva identità nazionale, conoscono un grande pluralismo etnico o di tipo tribale o la divisione in caste. Nell’evoluzione costituzionale sono state individuati 4 cicli. Il primo è caratterizzato dall’adozione di costituzioni che si ispirano al modello liberal-democratico: quello dell’ex potenza coloniale o del Paese del quale subiscono l’influenza determinante. Il ciclo si conclude con un fallimento in quanto sono troppo diverse le condizioni economiche, sociali e culturali rispetto al Paese preso a modello. Le 2 esperienze più durature e significative sono quelle del Messico e dell’India. Il secondo ciclo si produce in seguito all’instaurazione, spesso mediante colpi di stato militari, di regimi autoritari i quali realizzano una forte concentrazione dei poteri, l’annullamento delle garanzie costituzionali, la persecuzione degli esponenti dell’opposizione. Il terzo ciclo riguarda i Paesi che si definiscono socialisti e sviluppano stretti rapporti con l’URSS. Il quarto ciclo, apertosi alla fine degli anni ’80, vede l’adozione di nuove costituzioni che prendono a modello quelle democratiche. Le cause sono la caduta negli anni ’70 degli ultimi regimi autoritari esistenti in Europa occidentale, la crisi del campo socialista, la nuova politica degli USA in Centro e Sud America, la crisi del partito unico in vari Paesi. L’esempio più significativo di passaggio da un regime autoritario ad uno democratico è quello della Repubblica sudafricana. Infine il fenomeno più importante in senso antidemocratico è l’estendersi si una forma si Stato che si basa su modalità arcaiche di organizzazione del potere o sulla riscoperta della religione come fondamento del potere, Stato teocratico, i cui esempi sono l’Iran e l’Afghanistan. LE FORME DI GOVERNO La classificazione delle forme di governo. Il termine forma di governo indica l’insieme delle regole che caratterizzano la distribuzione del potere fra gli organi collocati al vertice dell’apparato statale (organi costituzionali). I criteri di classificazione, ieri e oggi. In base al grado di separazione esistente fra i poteri si distinguono le forme di governo a separazione rigida (presidenziale) e quelle a separazione flessibile (parlamentare). In base all’individuazione dell’organo titolare dell’indirizzo politico si distinguono la forma di governo costituzionale pura (monarchica o presidenziale), quella costituzionale parlamentare (monarchica o repubblicana) e quella direttoriale (repubblicana), a seconda che l’indirizzo politico sia attribuito al Capo dello Stato, al raccordo GovernoParlamento o all’organo collegiale che svolge congiuntamente le funzioni di Governo e di Capo dello Stato. Una distinzione recente è quella tra forme di governo monistiche e dualistiche. Il criterio più corretto di distinzione fa riferimento alla legittimazione degli organi posti al vertice del potere esecutivo e di quello legislativo. Sotto questo aspetto sono monistiche quelle forme di governo nelle quali il solo Parlamento è legittimato dal corpo elettorale e da questo deriva il Governo. Sono dualiste quelle dove i due organi di vertice hanno una distinta legittimazione. Altro criterio attiene all’esistenza o meno di un rapporto di fiducia fra Parlamento e Governo, da esso deriva la classica bipartizione tra forma di governo parlamentare e quella presidenziale. Se si tiene conto di questo criterio e di quello rappresentato dalla derivazione e dal ruolo del Capo dello Stato, possiamo classificare le forme di governo in 5 categorie: - la monarchia costituzionale, rapporto di fiducia tra Parlamento e Governo, Capo dello Stato titolare del potere esecutivo e dell’indirizzo politico; - la forma di governo parlamentare, rapporto di fiducia tra Parlamento e Governo (anche senza voto di fiducia iniziale) e Capo dello Stato eletto da un organo parlamentare e senza funzioni di indirizzo politico; - la forma di governo presidenziale, no rapporto di fiducia, il Presidente è investito dal popolo ed è titolare dell’indirizzo politico; - la forma di governo direttoriale, il Governo è eletto dal Parlamento ma non può esse da questi sfiduciato e svolge collegialmente anche le funzioni di Capo dello Stato; - la forma di governo semipresidenziale, il Governo è nominato dal Presidente che è eletto a suffragio universale ed è titolare di poteri di indirizzo politico. La forma di governo parlamentare. Per una lunga fase si caratterizza in senso dualistico, nell’ambito del potere esecutivo oltre al Re vi è il Governo come organo collegiale presieduto da un primo Ministro che deve godere di una doppia fiducia, Capo dello Stato e Parlamento. Si caratterizza in senso monistico in Gran Bretagna nel corso del XIX secolo. Il Governo deriva dalla volontà del Parlamento ed entrambi gli organi sono titolari dell’indirizzo politico mentre il Monarca ne è sostanzialmente estraneo. Ciò avviene soprattutto grazie all’evoluzione dell’istituto della controfirma ministeriale che assume il valore di assunzione da parte dei Ministri della titolarità sostanziale degli atti. La maggior parte dei poteri del Capo dello Stato diventano meramente formali. Il monismo si realizza a tre livelli: istituzionale, con la supremazia del Parlamento sul Re, entro il potere esecutivo, al cui vertice si colloca il Governo, sociale, grazie all’affermarsi del dominio della borghesia. La forma di governo parlamentare britannica. Quella del regno Unito è considerata la forma di governo parlamentare monista classica. La mancanza di una costituzione scritta ha consentito una grande adattabilità della forma di governo al mutamento delle condizioni sociali e politiche. Grazie al sistema politico bipartitico e al sistema elettorale maggioritario a turno unico, il corpo elettorale, quando vota per la Camera dei Comuni, dà anche una indicazione di governo a favore del partito che risulterà vincente e del suo leader. Il Primo ministro, leader del partito che ha la maggioranza, svolge un ruolo fondamentale sia nella fase della formazione (con la proposta di nomina e di revoca dei Ministri) sia in quella di direzione del Governo. Inoltre decide lo scioglimento della Camera dei Comuni. L’esecutivo, una volta nominato, non ha bisogno di un vero e proprio voto di fiducia iniziale. L’approvazione di una mozione di sfiducia comporta di solito lo scioglimento della Camera. La Corona è stata nel tempo fortemente ridimensionata, i suoi poteri più significativi hanno acquistato carattere prevalentemente formale ma che in ogni caso costituiscono un limite obiettivo alla assoluta discrezionalità del Primo Ministro. Un secondo contrappeso allo strapotere del Premier è dato dal suo rapporto con il partito maggioritario. Diventa Primo Ministro non perché eletto direttamente dal corpo elettorale ma in quanto scelto come proprio leader dal partito maggioritario quindi sia nella formazione che nella gestione del Governo deve tener conto degli orientamenti manifestati dal proprio partito. Il terzo e più importante contrappeso è rappresentato dal ruolo dell’opposizione che è costituzionalizzata. Il leader del partito di opposizione è il Primo Ministro del Governo ombra, viene consultato o informato dal Primo Ministro su decisioni di importanza fondamentale per il Paese, come quelle riguardanti la politica estera e la difesa. All’opposizione sono garantiti spazi d’intervento, strumenti di controllo ed anche essere attribuite importanti cariche parlamentari (presidenza di commissioni ma anche quella di speaker della Camera dei Comuni). La forma di governo parlamentare tedesca o del Cancellierato. La Germania ha una forma di governo parlamentare razionalizzata che garantisce al Cancelliere una posizione importante. Il Cancelliere è eletto dalla Camera dei deputati. L’Assemblea può eleggere a maggioranza assoluta il candidato proposto dal Presidente federale o una persona diversa. In caso di esito negativo si procede a una terza votazione nella quale risulta eletto chi ottiene più voti: se si tratta di maggioranza assoluta il Presidente è tenuto a nominarlo Cancelliere, se è solo relativa può scegliere se nominarlo o sciogliere la Camera. Spetta al Cancelliere proporre la nomina, ed anche la revoca, dei Ministri al Presidente. La posizione del Cancelliere e la stabilità del Governo sono rafforzate da vari meccanismi di razionalizzazione. Il primo è la mozione di sfiducia costruttiva, la Camera può votare la sfiducia al Cancelliere solo se ne elegge contestualmente uno a maggioranza assoluta. Il secondo è la questione di fiducia, che viene posta dal Cancelliere e deve ottenere l’approvazione della maggioranza assoluta della Camera dei deputati. Qualora ciò non si verifichi, se la Camera non elegge a maggioranza assoluta un nuovo Cancelliere entro 21 giorni, il Presidente può procedere al suo scioglimento su proposta del Cancelliere oppure può dichiarare lo stato di emergenza legislativa. Questa è il terzo meccanismo di razionalizzazione e può essere dichiarata dal Presidente, oltre nel caso di mancata approvazione della questione di fiducia, su richiesta del Governo e con l’assenso del Senato quando la Camera respinge un progetto di legge del quale il Governo abbia dichiarato l’urgenza. La dichiarazione dello stato di emergenza legislativa fa si che per sei mesi ogni progetto di legge respinto dalla Camera diventa legge con l’assenso del solo Senato. In pratica questo istituto consente a un Cancelliere divenuto di minoranza di governare con l’appoggio del Presidente e del Senato per un periodo limitato di tempo. L’ultimo fattore di razionalizzazione riguarda le rigide condizioni di scioglimento della Camera da parte del Presidente. La costituzione prevede 2 ipotesi: l’elezione di un Cancelliere a maggioranza relativa e la mancata approvazione di una questione di fiducia. Si tratta quindi di una forma di governo monista in quanto si incentra sul rapporto di fiducia tra la Camera e il Cancelliere. Il Senato ne è estraneo in quanto composto da delegati designati dai governi dei Lander ed è in posizione paritaria con la Camera solo in materia di revisione costituzionale e per l’approvazione delle leggi dei Lander. Il Presidente è eletto dall’Assemblea federale e finché nella Camera si manifesta una chiara maggioranza politica non ha nessuna discrezionalità. Il sistema elettorale è un sistema proporzionale fortemente selettivo, il sistema dei partiti è a multipartitismo temperato con un peso determinante dei 2 maggiori partiti. Questi, non ottenendo di regola la maggioranza assoluta dei seggi, costituiscono governi di coalizione con partiti minori. In casi eccezionali, quando la forza dei due partiti maggiori è equivalente, questi danno vita a governi di grande coalizione (come accade oggi con la Merkel). Il ruolo determinante dei partiti nel funzionamento della forma di governo viene a controbilanciare quello personale del Cancelliere, si parla infatti di democrazia di coalizione. La forma di governo parlamentare italiana pre e post 1994. In Italia l’Assemblea costituente del 1946 ha deciso di dare vita ad una forma di governo parlamentare. Si tratta di una forma di governo monistica, razionalizzata e corretta. Monistica perché il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento ed inoltre il fatto che i suoi atti devono essere controfirmati porta ad escludere che egli possa partecipare alla determinazione dell’indirizzo politico. Anche se i suoi poteri diventano rilevanti in situazioni di crisi politico-istituzionale, accresce il suo ruolo di intermediazione politica e di intervento attivo nella polemica politica, comunque egli non diviene un leader politico né un decisore politico di ultima istanza (lo scioglimento delle Camere è condizionato dall’orientamento assunto dalle forze politico-parlamentari e la formazione di governi tecnici non gli permette di imporre un proprio indirizzo politico né di sostituire la propria fiducia a quella del Parlamento). La razionalizzazione risulta dalla disciplina del rapporto di fiducia, dall’attribuzione al Presidente del Consiglio di una funzione di direzione e di coordinamento dell’attività del Governo, dalla previsione di atti normativi primari di competenza dell’Esecutivo. La natura corretta consiste nella previsione di un sistema di limiti e di garanzie nei confronti del potere della maggioranza (quali il decentramento regionale, il controllo sulla legittimità costituzionale delle leggi, il referendum abrogativo). Il configurarsi di un sistema multipartitico estremo e polarizzato ha determinato per lungo tempo il carattere non maggioritario della forma di governo. Inoltre l’esistenza della regola non scritta che esclude dal Governo il maggior partito di opposizione ed il mancato realizzarsi dell’alternanza alla guida dell’Esecutivo determinano la tendenza dei partiti di governo a occupare le istituzioni e, a partire dagli anni ’70, la frequente confusione fra maggioranza e opposizione. All’inizio degli anni ’90 si produce una crisi del sistema politico, determinata da fattori sia internazionali (il crollo dell’URSS e del blocco comunista) sia interni (il sistema di finanziamento illegale e di corruzione e la crisi dei 3 maggiori partiti di massa, DC, PCI e PSI), con il conseguente affermarsi di nuovi partiti e nuovi schieramenti politici. Inizia una fase di transizione con la riforma del sistema elettorale del 1993 ed il passaggio ad un sistema maggioritario a turno unico per ¾ dei seggi e proporzionale per il restante. Il sistema dei partiti tende a una bi polarizzazione fra centrodestra e centro-sinistra. Nel 2005 si ritorna ad un sistema proporzionale con liste concorrenti bloccate, corretto da soglie di sbarramento e da un premio di maggioranza. E’ un bipolarismo imperfetto perché l’aggregazione è determinata non dalla condivisione di un programma ma da convenienze elettorali e dall’intento di sconfiggere la coalizione avversaria. Inoltre la mancanza di condivisione di comuni principi e valori di riferimento ostacola il pieno riconoscimento reciproco della legittimazione a governare. La forma di governo assume un funzionamento squilibrato a favore della maggioranza derivante sia dall’assenza di uno statuto dell’opposizione (mediante il riconoscimento di specifici diritti all’opposizione parlamentare), sia dal costante rafforzamento dei poteri del Governo, sia dalla concentrazione nel vertice del Governo di potere politico, economico e mediatico che non conosce paragoni con altri sistemi democratici. E’ significativo delle incertezze della fase di transizione che non vi sia stata nessuna revisione costituzionale relativa alla forma di governo. Le tendenze del parlamentarismo contemporaneo. Dalle costituzioni del primo dopoguerra emergono 3 tendenze di fondo della forma di governo parlamentare: al monismo, a una razionalizzazione forte dei rapporti Parlamento-Governo, alla prevalenza del Governo e del Primo Ministro. La tendenza monistica si manifesta nella centralità del rapporto fra maggioranza parlamentare e Governo, mentre il Capo dello Stato è collocato in posizione di imparzialità. Il monismo può essere di diritto o di fatto. La prima ipotesi si realizza nelle Repubbliche parlamentari dove il Presidente è eletto dal Parlamento (Grecia e Italia) o da un’Assemblea paritetica di deputati e di delegati degli Stati membri (Germania). Ciò avviene anche il alcune monarchie parlamentari come Giappone, Svezia e Spagna, dove il Re non ha poteri di Governo. Nelle altre monarchie parlamentari vi è un dualismo di diritto in quanto il Re è parte integrante del potere esecutivo ed è titolare di notevoli poteri (i Paesi anglosassoni e le altre monarchie scandinave) ma di fatto viene ad essere confinato ad un ruolo simbolico e formale. In merito alla seconda tendenza, la forma di governo classica non razionalizzata continua a sussistere nel Regno Unito, nei Paesi anglosassoni, in Lussemburgo e nei Paesi Bassi. Una razionalizzazione moderata vi è in Italia e Danimarca mentre in tutti gli altri ordinamenti abbiamo una razionalizzazione forte. La mozione di sfiducia è regolamentata in modo da rafforzare la stabilità del Governo e da evitare che questo sia messo in crisi da un qualsiasi voto negativo del Parlamento. Lo scioglimento del Parlamento spetta quasi sempre al Capo dello Stato (titolarità formale) ma nella sostanza appartiene al Governo e al primo Ministro in quanto avviene tramite la proposta e/o la controfirma di questi. La terza tendenza si manifesta in un processo di presidentalizzazione della forma di governo, consistente nell’adozione da parte dei Primi Ministri di comportamenti e di metodi di esercizio del potere analoghi a quelli della Presidenza statunitense. In base all’influenza esercitata dal sistema dei partiti, possiamo distinguere forme di governo a bipartitismo rigido, tipica del Regno Unito e caratterizzata dall’elezione popolare di fatto del Primo Ministro, a multipartitismo temperato, contrassegnata dall’assenza di investitura popolare del Primo Ministro e da forte instabilità governativa, e a multipartitismo estremo, caratterizzata da instabilità dei Governi e dalla debolezza del Primo Ministro. Oggi possiamo distinguere inoltre tra forme di governo parlamentare maggioritaria, si afferma in società democratiche omogenee senza fratture etniche o ideologiche ed è caratterizzata da sistemi politici bipartitici o bipolari, e non maggioritarie, dove abbiamo sistemi multipartitici e multipolari e sistemi elettorali non selettivi (fortemente proporzionali). La forma di governo neoparlamentare o del premierato. Costituisce una variante del parlamentarismo l’ipotesi in cui il Primo Ministro è eletto a suffragio universale da parte del corpo elettorale e contestualmente all’elezione del Parlamento. Il Parlamento può sfiduciare il Primo Ministro ed in tal caso è sciolto automaticamente; a sua volta il Primo Ministro può sciogliere il Parlamento ma ciò comporta le sue dimissioni, i due organi sono sempre eletti insieme. Il primo Ministro eletto dal popolo non può essere sostituito nel corso della legislatura mentre nel parlamentarismo maggioritario non è inamovibile e la sfiducia parlamentare non sfocia necessariamente nello scioglimento. Fino a oggi l’unico Stato che ha adottato un modello del genere è stato Israele nel 1992, ma l’ha abbandonato nel 2001. Si prevedeva che il Primo Ministro fosse eletto dal popolo con un sistema maggioritario a doppio turno. Se il Parlamento adottava una mozione di sfiducia a maggioranza assoluta o non approvava il bilancio entro tre mesi dall’inizio dell’anno finanziario, esso veniva sciolto automaticamente e si procedeva a nuove elezioni sia dell’Assemblea che del Primo Ministro. Si procedeva a elezioni speciali del solo Primo Ministro se questi non riusciva a costituire il Governo entro 45 giorni dall’elezione, nelle ipotesi di dimissioni volontarie, di morte o di impedimento permanente, se il Parlamento approvava con 2/3 una mozione di sfiducia nei suoi confronti o se condannato penalmente per un reato che implicava indegnità morale. Le forme di governo a investitura popolare. La forma di governo presidenziale. E’ caratterizzata da un potere esecutivo monocratico, affidato a un Presidente diretta espressione della volontà popolare, e da una separazione rigida fra i poteri, garantita dall’inesistenza del rapporto di fiducia e del potere di scioglimento del Parlamento. Gli USA rappresentano la realizzazione più fedele del modello teorico presidenziale. Il modello è stato imitato soprattutto nel Centro e nel Sud America, ma anche in Asia e in Africa. Nella maggioranza dei casi, a causa della diversità del contesto sociale e politico rispetto a quello originario, ha dato vita a un’attuazione degenerativa definita spesso “regime presidenzialista”, basata sulla netta preminenza del Presidente, sulla debolezza del Parlamento e del sistema dei partiti e su un rilevante ruolo politico dell’esercito. Una tendenza presidenzialistica si è verificata anche nella Federazione russa e negli Stati aderenti alla CSI. Si tratta di un modello dualistico che prevede al vertice un Presidente eletto dal popolo, il quale, oltre ad essere Capo dello Stato, determina la politica interna ed esterna del Paese ed è titolare di poteri forti non soggetti a controfirma: di iniziativa legislativa, di veto sulle leggi, di ricorso a decreti e ordinanze, di comando delle FF.AA., di dichiarazione dello stato di emergenza, di ricorso al referendum. Il Governo è responsabile sia verso il Presidente, che lo può revocare, che verso la Duma, che può votare la sfiducia a maggioranza assoluta, ma il Presidente può esprimere il suo dissenso e, qualora entro 3 mesi la Duma rivoti la sfiducia, può optare per l’accettazione delle dimissioni del Governo o lo scioglimento dell’Assemblea. Il Presidente del Governo è nominato dal Capo dello Stato con l’assenso della Duma, ma, se questa respinge per 3 volte la candidatura proposta, il Presidente procede al suo scioglimento. In definitiva vi è un netto squilibrio a vantaggio del Presidente che non trova eguali in alcuna forma di governo occidentale. Il rendimento della forma di governo presidenziale è stato piuttosto negativo nei Paesi in via di sviluppo mentre è soddisfacente negli USA. Il presidenzialismo statunitense. Si fonda sulla costituzione di Filadelfia del 1787, ha come punto di riferimento la monarchia costituzionale inglese e quindi ha adottato una forma di governo dualista. Il potere legislativo è attribuito al Congresso che è costituito da 2 Camere: quella dei rappresentanti, eletta per 2 anni dall’intero corpo elettorale con una ripartizione dei seggi proporzionale alla popolazione degli Stati membri, e il Senato, eletto ogni 6 anni, ma rinnovato per 1/3 ogni 2 anni, composto da 100 membri (2 per ogni Stato) eletti dai rispettivi corpi elettorali. Il potere esecutivo è affidato a un Presidente, che è anche Capo dello Stato, in carica per 4 anni e rinnovabile una sola volta. L’elezione si compone di 2 fasi. La prima sfocia nella designazione dei candidati alla Presidenza e alla Vice Presidenza nelle Convenzioni nazionali del Partito democratico e di quello repubblicano. La seconda prevede l’elezione in ogni Stato degli elettori presidenziali (detti anche grandi elettori), in numero pari al numero dei deputati e dei senatori attribuiti a ciascuno Stato, che poi votano a scrutinio segreto l’elezione del Presidente e del suo Vice. Il Presidente del Senato effettua lo spoglio a camere riunite, proclamando eletti i candidati che ottengono la maggioranza assoluta dei voti. Qualora nessun candidato la raggiunga, la Camera elegge il Presidente tra i 3 candidati più votati e con il voto favorevole della maggioranza degli Stati, mentre il Senato elegge il Vice tra i 2 candidati più votati. Intorno al Presidente vi è una struttura esecutiva che può essere descritta come un insieme di cerchi concentrici. Nel primo vi sono i suoi più stretti collaboratori,. Che costituiscono l’Executive Office, che si articola in varie strutture che svolgono funzioni consultive, di preparazione delle decisioni e di controllo interno sull’esecuzione di queste. Il secondo cerchio è costituito dai Dipartimenti, presieduti dai Segretari, nominati e revocabili dal Presidente, fra i quali svolge un ruolo molto importante il Segretario di Stato che presiede il Dipartimento degli affari esteri. La riunione del Presidente con i Segretari dà vita al Gabinetto, un organo collegiale non previsto dalla costituzione. Nel cerchio più lontano si collocano le Indipendent Executive Agencies e le Indipendent Regulatory Commissions, autorità indipendenti chiamate a svolgere rispettivamente attività amministrative e attività di carattere economico. Abbiamo una divisione rigida dei poteri derivante dall’inesistenza del rapporto di fiducia e del potere di scioglimento e dall’attribuzione a ciascuno di essi di una funzione esclusiva. Tuttavia questo principio va combinato con quello del bilanciamento dei poteri, in base al quale attraverso un sistema di checks and balances (freni e contrappesi) ogni potere ha la possibilità di controllare e di condizionare gli altri nell’esercizio delle rispettive funzioni. Il Parlamento ha innanzitutto il potere di borsa, attraverso l’approvazione del bilancio e delle più importanti leggi di spesa decide in quale misura stanziare i fondi che occorrono al Presidente per l’attuazione delle sue politiche. Il Congresso esercita un importante potere di controllo che esercita tramite le Commissioni permanenti, possono effettuare udienze conoscitive (hearings) al fine di conoscere tutti gli interessi coinvolti dalle politiche pubbliche, e le Commissioni di indagine, di fronte alle quali possono essere obbligati a deporre sia i funzionari pubblici sia i privati cittadini. Specifici poteri di controllo ha anche il Senato, che deve dare il consenso alle nomine presidenziali dei funzionari federali e, a maggioranza dei 2/3 dei presenti, ai trattati conclusi dal Presidente. Infine la Camera dei rappresentanti ha il potere di messa in stato d’accusa (impeachment) del Presidente e di ogni altro funzionario federale, imputandoli di tradimento, di corruzione o di altri gravi reati. Sono giudicati dal Senato e, in caso di condanna pronunciata a maggioranza dei 2/3 dei presenti, sono rimossi. Il Presidente può influenzare l’attività legislativa del Congresso. In base a una legge del 1921 è autorizzato a presentare ogni anno una proposta di bilancio federale. Può inviare dei messaggi e tramite l’annuale messaggio sullo Stato dell’Unione espone un vero e proprio programma legislativo che si traduce poi nella presentazione di progetti di legge da parte di parlamentari sostenitori della politica presidenziale. Inoltre ha il potere di veto sulle leggi approvate dal Congresso, che può rinviare alle Camere per ragioni sia di legittimità che di merito politico. Le camere possono superare il veto solo riapprovando la legge a maggioranza dei 2/3 dei membri. Infine il potere esecutivo ha il potere, non previsto dalla costituzione, di adottare atti aventi forza di legge su delega del Congresso o nelle situazioni di crisi. Negli ultimi decenni del secolo scorso si è verificato un importante fenomeno, si tratta del governo diviso ovvero il Presidente si trova a fare i conti con una maggioranza dell’altro partito in uno o in entrambi i rami del Congresso. Ciò indebolisce l’Esecutivo, costringendo il Presidente a negoziare le sue politiche con i singoli parlamentari e a fare tutta una serie di concessioni localistiche e clientelari. Dobbiamo sottolineare che un sistema politico bipartitico debole ed il ruolo importante dei gruppi di pressione, che è disciplinato dalla legge, producono a livello istituzionale un basso livello di partecipazione elettorale ed una crescente personalizzazione della politica. Il Presidente è alla ricerca di un rapporto sempre più diretto con l’opinione pubblica ed i parlamentari cercano l’appoggio finanziario di importanti lobbies. La forma di governo semipresidenziale. Si fonda sulla compresenza di 2 elementi: uno parlamentare (la responsabilità politica del Governo nei confronti del Parlamento) l’altro presidenziale (l’elezione popolare del Presidente, titolare di importanti poteri propri). Ne consegue un esecutivo dualistico, costituito dal Presidente e dal Primo Ministro, posto a capo di un Governo sostenuto dalla maggioranza parlamentare. L’esistenza di un Presidente eletto dal popolo e parte integrante del potere esecutivo mal si concilia con lo schema parlamentare monistico e si differenzia da quello dualistico perché il Capo dello Stato e il Parlamento sono entrambi di derivazione popolare e non rappresentano diverse classi sociali. D’altro lato l’esistenza del rapporto di fiducia e la previsione dello scioglimento dell’Assemblea non sono coerenti con la forma di governo presidenziale. La natura mista della forma di governo semipresidenziale può dare vita a esiti pratici molto differenti a seconda che prevalga l’elemento presidenziale o quello parlamentare. E’ possibile distinguere 3 sottotipi. Il primo può essere definito a preminenza del Primo Ministro mentre il Presidente svolge un ruolo simbolico e formale (Austria, Irlanda e Islanda). In questi casi il funzionamento del sistema è analogo a quello di una forma di governo parlamentare. Il secondo sottotipo è a esecutivo effettivamente diarchico, con una separazione di competenze fra il Primo Ministro-Governo e Presidente, al quale sono attribuiti importanti poteri propri. Nei periodi di normale funzionamento abbiamo la preminenza del Primo Ministro e del Governo, mentre, quando non vi è una maggioranza parlamentare, il Presidente svolge un ruolo politico importante e può dare vita a governi presidenziali. Il terzo sottotipo è a preminenza del Presidente che ha una posizione di superiorità gerarchica nell’Esecutivo grazie all’esistenza di una maggioranza parlamentare del suo stesso orientamento politico. E’ il caso della Francia, dove tuttavia si verificano periodi di coabitazione fra il Presidente ed una maggioranza parlamentare politicamente a lui contrapposta. Il semipresidenzialismo francese della V Repubblica. La nuova costituzione entra in vigore il 4 ottobre 1958 ed i costituenti pensavano di dar vita a un sistema parlamentare fortemente razionalizzato, nel quale al Parlamento facesse da contrappeso un potere esecutivo composto da un Governo e da un Presidente della Repubblica. L’evoluzione verso il predominio del potere esecutivo e del Capo dello Stato viene sancita nel 1962 con l’introduzione dell’elezione a suffragio universale del Presidente. De Gaulle revisionò la costituzione secondo il procedimento previsto dall’art. 11 della stessa che consente di far approvare la revisione dal corpo elettorale evitando il voto delle Camere. L’Assemblea nazionale reagì approvando una mozione di censura nei confronti del Governo che determinò il suo scioglimento da parte del Capo dello Stato. A partire dal 1965 il Capo dello Stato viene eletto dal popolo con un sistema maggioritario a doppio turno. Originariamente durava in carica 7 anni, dal 2000 dura 5 anni per evitare ipotesi di coabitazione. Allo stesso fine è stato invertito il calendario elettorale, si svolgono prima le presidenziali e poi le elezioni legislative. Fra i poteri propri del Presidente particolarmente significativi sono la nomina del Primo Ministro, il ricorso al referendum legislativo, lo scioglimento dell’Assemblea nazionale, l’assunzione dei poteri di crisi. Il potere esecutivo è dualistico in quanto accanto al Presidente c’è il Governo ed un Primo Ministro che dirige l’azione del Governo (è una specie di Comandante in seconda). Il Primo Ministro copre l’irresponsabilità del Presidente, costituzionalmente sancita dall’art. 67. Quando il Presidente deve coabitare nomina Primo Ministro un esponente della maggioranza parlamentare che è a lui avversa. Ma anche se ne esce ridimensionato continua a svolgere un ruolo politicamente attivo. Il Parlamento è composto da 2 Camere: l’Assemblea nazionale, eletta dal corpo elettorale per 5 anni, e il Senato, nel quale siedono i rappresentanti delle collettività territoriali. Entrambe sono titolari della funzione legislativa e di quella di revisione costituzionale, ma il rapporto di fiducia intercorre solo tra l’Assemblea ed il Governo. Il Parlamento ha vari fattori di debolezza. La costituzione elenca le materie di competenza della legge mentre tutte le altre hanno natura regolamentare e, qualora una proposta di legge o un emendamento riguardi queste ultime, il Governo può dichiararli irricevibili. Sulle materie legislative il Governo può intervenire mediante ordinanze con forza di legge in seguito a legge di autorizzazione del Parlamento. Il diritto di emendamento è limitato in quanto è dichiarato inammissibile quando comporti minori entrate o un aggravio di spesa. Vige la regola dell’incompatibilità fra carica ministeriale e mandato parlamentare. L’Assemblea nazionale può approvare una mozione di censura nei confronti del Governo, ma a maggioranza assoluta e vengono conteggiati solo i voti favorevoli. Il Primo Ministro può porre la questione di fiducia sulla votazione di un testo e questo è considerato approvato senza alcun voto dell’Assemblea, a meno che non venga presentata entro 24 ore e successivamente approvata una mozione di censura (praticamente spetta all’opposizione dimostrare che il Governo non ha più la fiducia dell’Assemblea). Sussiste quindi uno squilibrio fra potere esecutivo e potere legislativo. Nella fasi in cui il Presidente può contare su una maggioranza parlamentare la forma di governo funziona in senso ultrapresidenziale, mentre con le ultime riforme appare difficile il riformarsi di situazioni di coabitazione. La forma di governo a elezione diretta del Primo ministro. ?????????? La forma di governo direttoriale: la Confederazione svizzera. Tipica della sola Confederazione svizzera. L’organo esecutivo è il Consiglio federale e deriva dal Parlamento in quanto i suoi membri sono eletti individualmente dall’Assemblea federale (formata dalle 2 Camere, il Consiglio nazionale e il Consiglio degli Stati). Ma è una derivazione solo iniziale in quanto non è previsto un voto di sfiducia per i 4 anni della legislatura. Il Consiglio federale non ha il potere di scioglimento delle Camere, riveste una posizione di sicura preminenza infatti svolge importanti funzioni di tipo normativo mediante regolamenti o atti con forza di legge, emanati con o senza delegazione legislativa. Il sistema politico è a multipartitismo estremo ma, a causa della natura flessibile e poco ideologica dei partiti, consente di dare vita a stabili governi di coalizione. Il sistema elettorale è proporzionale. Forme di governo e sistemi elettorali. L’incidenza dei sistemi elettorali sulla forma di governo. Un fattore, avente natura non giuridica, che incide sulla forma di governo e sul sistema politico, è il sistema elettorale. E’ un elemento che non incide sulla classificazione delle forme di governo, ma va tenuto presente al fine di comprendere la dinamica del loro funzionamento. Infatti l’adozione di una formula maggioritaria o proporzionale, ma soprattutto il suo carattere più o meno selettivo, anche quando è di tipo proporzionale, incide sia sulla funzionalità del Parlamento sia sulla struttura del Governo e sulla sua stabilità. Sistemi elettorali. Si intende l’insieme delle regole che disciplinano tutte le operazioni che precedono, accompagnano e seguono lo svolgimento delle elezioni. Molto spesso si parla di sistemi elettorali con riferimento alla sola formula elettorale, il meccanismo matematico impiegato per trasformare i voti in seggi. La distinzione di fondo è tra formule maggioritarie e formule proporzionali. Le prime attribuiscono i seggi ai candidati che abbiano ottenuto la maggioranza, mentre le seconde li distribuiscono proporzionalmente ai voti conquistati dalle varie liste. Le prime vengono praticate in collegi uninominali e le seconde in collegi plurinominali, ma ci possono essere delle eccezioni. Non esiste un sistema elettorale migliore in assoluto, ma solo quello più adeguato al contesto politico-istituzionale di ogni Paese e al conseguimento dell’obiettivo che si intende conseguire. Il sistema proporzionale ha come punto di riferimento la rappresentatività mentre quello maggioritario la governabilità. Esistono altri fattori che incidono sul rendimento di un sistema elettorale. Il primo è il carattere categorico o ordinale del voto ovvero se l’elettore dispone di un voto di preferenza tra i candidati di una lista o addirittura anche a favore di candidati di una lista diversa da quella votata o se l’elettore può votare solo il candidato o la lista senza poter modificare l’ordine di precedenza tra i candidati, nel qual caso si parla di lista bloccata. Un secondo fattore riguarda la delimitazione dei collegi elettorali che può garantire una maggiore equità nella ripartizione dei seggi (quando tiene conto della popolazione, dell’omogeneità sociale, ecc.) o determinare palesi iniquità (distribuzione dei seggi sproporzionata rispetto alla popolazione dei collegi). Infine l’ampiezza dei collegi, più i collegi sono ampi e meno selettiva è la formula, in quanto occorre una minore percentuale di voti per essere ottenere un seggio, e viceversa. Le principali formule maggioritarie sono 2, a seconda che per essere eletti sia richiesta la maggioranza relativa (plurality system) o quella assoluta (majority system). La prima è più selettiva ed attribuisce il seggio di ogni collegio uninominale al candidato più votato in un unico turno elettorale. Favorisce di solito il bipartitismo. La seconda è detta a doppio turno, qualora nessun candidato ottenga la maggioranza assoluta dei voti si svolge un secondo turno (detto di ballottaggio) limitato solo ai 2 candidati più votati. Le formule proporzionali sono numerosissime. Un primo metodo è quello del quoziente automatico, è stabilito un numero fisso di voti per ottenere un seggio. Altro sistema è quello del quoziente naturale, che si ottiene dividendo prima il numero totale dei voti per il numero dei seggi e poi quello di ciascuna lista per il quoziente così ottenuto. In entrambe le formule si genera il fenomeno dei resti che o non viene affrontato o viene risolto mediante una ulteriore distribuzione a favore delle liste che hanno ottenuto più voti o di quelle con i resti più alti o applicando il metodo del quoziente in un collegio nazionale nel quale confluiscono tutti i voti residui e i seggi non attribuiti. Altra formula è il metodo d’Hondt, i voti ottenuti da ogni partito vengono divisi per 1, 2, 3…fino al numero pari a quello dei seggi assegnati al collegio, dopodiché i seggi vengono attribuiti ai quozienti più alti. La selettività può essere accentuata dal ricorso a correttivi che riducono la proporzionalità del sistema. I principali consistono nella clausola di sbarramento, cioè nella fissazione di una percentuale di voti al di sotto della quale non si ottiene alcun seggio, oppure nell’attribuzione di un premio di maggioranza alle coalizioni che superino una certa percentuale. Quando adotta meccanismi selettivi di questo tipo, il sistema proporzionale può avere effetti riduttivi sul numero dei partiti rappresentati e favorisce la stabilità delle maggioranze e del Governo, mentre, quando è poco selettivo, fotografa il sistema dei partiti e non pone argini al multipartitismo estremo. Vi sono poi formule miste, anche se di solito sono a dominante proporzionale o maggioritaria. Del primo tipi è il sistema elettorale della Germania che in ogni Land attribuisce all’elettore 2 voti: il primo per distribuire la metà dei seggi in collegi uninominali con sistema plurality, il secondo per assegnare l’altra metà a liste concorrenti. Ma l’effetto globale è di tipo proporzionale. Erano a dominante maggioritaria i sistemi misti adottati in Italia dal 1993 al 2005, infatti il 75% dei seggi venivano attribuiti con formula maggioritaria plurality, mentre il 25% erano riservati alla quota proporzionale. L’ORGANIZZAZIONE COSTITUZIONALE Il popolo. La sovranità popolare. Democrazia rappresentativa e democrazia diretta. Si parla di democrazia rappresentativa quando il popolo tramite il corpo elettorale è chiamato ad eleggere dei rappresentanti che adottano le principali decisioni. Il termine democrazia diretta fa riferimento alle votazioni con le quali il popolo in prima persona prende decisioni su questioni determinate. Rousseau afferma l’impossibilità di rappresentare la “volontà generale” del popolo, la quale deve esprimersi direttamente su tutte le leggi. Tuttavia l’autogoverno del popolo è impossibile per l’esercizio della funzione esecutiva ed è concretamente realizzabile per quella legislativa solo in uno Stato di ridotte dimensioni. Gli istituti di democrazia diretta nel diritto comparato. I principali istituti di democrazia diretta sono l’assemblea popolare, la revoca degli eletti, il diritto di petizione, l’iniziativa popolare ed il referendum. L’assemblea popolare è l’istituto più antico, ancora praticato solo in Svizzera ed in alcuni Stati membri nordamericani. Realizza più di ogni altro istituto l’autogoverno del popolo. Anche la revoca popolare è previsto solo in alcuni Cantoni svizzeri e Stati membri nordamericani. Consiste nel fatto che un certo numero di cittadini possono sottoporre al voto popolare la proposta di revoca del Parlamento e talvolta anche del Consiglio esecutivo del Cantone (Svizzera) oppure una certa percentuale di elettori può chiedere la rielezione di un singolo parlamentare, magistrato o funzionario elettivo (USA). L’istituto è di difficile attuazione e quasi caduto in disuso. La petizione può essere definita come la facoltà di adire un’autorità al fine di esporre determinate esigenze o di sollecitare l’adozione di particolari provvedimenti e può assumere forma individuale o collettiva. L’autorità adita può essere il Parlamento o qualsiasi autorità pubblica. Tuttavia è difficile che sfoci in una decisione. Non costituisce una autentica manifestazione di democrazia diretta in quanto il potere di prendere in considerazione la richiesta è nelle mani dell’autorità pubblica. L’iniziativa popolare si verifica quando la proposta avanzata ad un certo numero di elettori viene di regola sottoposta al voto popolare. E’ prevista solo in Svizzera, negli Stati membri nordamericani ed in Liechtestein e può intervenire in materia costituzionale o legislativa. Negli USA può essere diretta o indiretta, a seconda che il progetto popolare sia sottoposto senz’altro a referendum o solo nell’ipotesi in cui il Parlamento lo respinga o lo modifichi. Il referendum e le sue tipologie. Può essere classificato in base a vari criteri. In relazione all’oggetto del voto si distingue in costituzionale, legislativo, convenzionale (ha per oggetto un trattato), amministrativo e politico. All’interno del referendum costituzionale abbiamo varie ipotesi: - il referendum precostituente, ha per oggetto l’atto di fondazione di un nuovo Stato; - il referendum costituente, interviene sul testo della costituzione proposto da un’assemblea costituente o dal Parlamento o su un progetto di revisione totale della costituzione; - il referendum di revisione costituzionale, ha per oggetto la modificazione parziale o l’integrazione della costituzione; - il referendum su poteri sovrani, comprende le consultazioni popolari che, pur non intervenendo su un oggetto formalmente costituzionale, incidono sulla sovranità dello Stato. Vi rientrano 2 ipotesi: i referendum aventi ad oggetto trattati o accordi implicanti l’adesione a organismi sopranazionali o comunque limitazioni della sovranità statale, i referendum territoriali o di autodeterminazione. Il referendum legislativo può essere obbligatorio o facoltativo. Nel primo caso non c’è promotore e l’indizione della consultazione si configura come atto dovuto; nel secondo caso l’effettuazione del referendum è subordinata all’esercizio del diritto di iniziativa da parte di uno dei soggetti legittimati. Più frequentemente è obbligatorio, in questo caso il voto popolare costituisce una condizione di validità dell’atto. Un’ulteriore ipotesi è quella del referendum costituzionale eventuale che si verifica quando la consultazione popolare è esclusa nell’ipotesi in cui il progetto di revisione abbia ottenuto una maggioranza qualificata in Parlamento. Quando il referendum è facoltativo può essere passivo o attivo, quando l’iniziativa provenga rispettivamente da un organo dello Stato oppure sia attribuita ad una frazione del corpo elettorale o a enti autonomi territoriali. Il referendum passivo può avere come promotore una minoranza parlamentare, allora si configura come strumento di garanzia dell’opposizione contro decisioni adottate dalla maggioranza, o la maggioranza, allora si configura come strumento di legittimazione della decisione adottata o come forma di consultazione del corpo elettorale quando non c’è accordo nella maggioranza o si tratta di questioni trasversali rispetto ai partiti. Un’ulteriore distinzione è quella tra referendum preventivo e successivo, a seconda che il voto popolare intervenga prima o dopo l’entrata in vigore di un atto. La categoria dei referendum successivi è eccezionale e comprende 2 ipotesi: - il referendum operante come condizione risolutiva di una legge la cui entrata in vigore era giustificata dall’urgenza; - il referendum abrogativo di una legge in vigore (art. 75 cost. italiana). Il referendum abrogativo italiano risulta unico nel panorama dei referendum legislativi, oltre ad essere successivo e con effetto meramente negativo, può essere attivato da una frazione del corpo elettorale e può avere ad oggetto anche parte di una legge. Un’ultima distinzione intercorre tra referendum decisionale o deliberativo e referendum consultivo, a seconda che esso abbia o meno efficacia giuridicamente vincolante. Il referendum consultivo è frequentemente utilizzato per legittimare la partecipazione ad organismi sopranazionali, o le modificazioni dei trattati istitutivi. Il Parlamento. Origine e struttura. L’origine storica va rinvenuta nell’epoca feudale in Inghilterra, allorché il Monarca fu costretto a riunire prima i massimi esponenti della nobiltà e del clero poi anche i rappresentanti delle comunità libere al fine di ottenere il consenso all’imposizione di nuovi tributi. In Francia l’istituzione parlamentare trae origine nel 1789 dalla riunione degli “Stati generali”, rappresentanti la nobiltà, il clero e la borghesia, e dalla separazione del “terzo stato” che si trasformò in Assemblea nazionale, mentre il termine “parlamenti” stava in origine a designare gli organi che amministravano la giustizia. Nel mondo contemporaneo l’esistenza del Parlamento come organo elettivo caratterizza la quasi totalità degli Stati e costituisce una delle condizioni necessarie per qualificare un ordinamento costituzionale come democratico. Anche se occupa un ruolo centrale in tutte le esperienze liberaldemocratiche, il suo potere è assoggettato a varie limitazioni, contenute per lo più in costituzioni rigide: il controllo di legittimità costituzionale delle leggi, il riconoscimento di poteri legislativi ad enti territoriali autonomi, la previsione di istituti di democrazia diretta, i poteri di controllo sull’esercizio della funzione legislativa attribuiti al Capo dello Stato, il potere dei giudici di creare diritto (tipico dei Paesi di common law). Oggi assistiamo a un declino dell’istituzione parlamentare, dovuta da una parte dal passaggio dallo Stato legislativo allo Stato amministrativo, vale a dire le principali decisioni, prima adottate dal Parlamento nella forma della legge, vengono prese nell’ambito del potere esecutivo e mediante atti di tipo regolamentare o amministrativo, dall’altra dal ruolo dei partiti che assicurano la preminenza dell’Esecutivo e privano le Assemblee di ogni effettivo potere decisionale. I Parlamenti si distinguono in bicamerali, quando sono formati da due Camere, e monocamerali. Il bicameralismo nasce in Inghilterra nella prima metà del secolo XIV quando i rappresentanti dei Borghi e delle Contee cominciarono a riunirsi separatamente dai nobili, dando vita alla storica distinzione fra Camera dei Comuni e Camera dei Lords. Poi si afferma in Europa dove le carte costituzionali prevedono l’esistenza di una Camera dei deputati elettiva e di un Senato composto da membri nominati dal Re. Nel secondo dopoguerra si manifesta una crisi del bicameralismo ed una tendenza verso il monocameralismo dovuta al venir meno della sua causa giustificativa, vale a dire la necessità di rappresentare diverse classi sociali. Discorso diverso per gli Stati federali dove il bicameralismo trova la causa giustificativa nella natura stessa dello Stato, in quanto la seconda Camera ha il compito di rappresentare gli Stati membri. In vari Stati non federali si manifesta la tendenza a modificare la composizione del Senato, trasformandolo in una Camera eletta direttamente dal corpo elettorale (Giappone, Italia) o composta da membri designati dalle collettività territoriali (Francia, Paesi Bassi) o con una composizione mista (Spagna). Oggi il bicameralismo perfetto permane in alcuni Stati federali, mentre negli altri viene generalmente soppiantato dal bicameralismo imperfetto, nel quale sono attribuiti diversi poteri alle due Camere. In vari ordinamenti il Senato non può votare la fiducia al Governo, in altri vengono limitate le competenze legislative della seconda Camera o nel senso che in certe materie è riconosciuto un potere esclusivo o preminente della prima Camera oppure mediante l’attribuzione al Senato di un potere di veto sospensivo, che l’altra Camera può superare con una o più successive approvazioni del progetto di legge talvolta con una maggioranza speciale, o ancora riconoscendo al Governo il potere di far decidere in via definitiva la prima Camera in caso di disaccordo. Negli Stati nei quali la seconda Camera non è rappresentativa delle comunità territoriali il bicameralismo è giustificato dalla maggiore ponderazione dei progetti di legge, dalla migliore qualità delle leggi approvate, ecc.. Autonomia e organizzazione interna. Al Parlamento di solito sono riconosciute varie forme di autonomia: regolamentare, finanziaria e organizzativa. I regolamenti parlamentari sono gli atti con cui ogni Assemblea disciplina la propria organizzazione interna e l’esercizio delle proprie funzioni. In vari Paesi non sono soggetti al controlli di altri organi, in altri sono sottoposti al controllo di costituzionalità. L’autonomia finanziaria si concretizza nel potere di disporre e di decidere sull’impiego di adeguate risorse finanziarie. In vari ordinamenti al Parlamento è riconosciuta anche l’autonomia amministrativa cioè il potere di stabilire l’organizzazione dei servizi e degli uffici e la carriera giuridica ed economica dei propri dipendenti. In alcuni casi (come in Italia) il Parlamento esercita anche la giurisdizione interna (c.d. autodichia), l’ufficio di Presidenza di ciascuna Camera decide sui ricorsi dei propri dipendenti avverso provvedimenti relativi alla loro carriera. Il principio di continuità dell’organo parlamentare comporta che il Parlamento abbia una durata prestabilita, generalmente di 4 o 5 anni, e che alla scadenza sia previsto un termine entro il quale devono essere indette nuove elezioni e di solito anche un termine finale per la riunione delle Camere neoelette. In alcuni ordinamenti (anche in Italia) il Parlamento può riunirsi senza limitazioni per tutto il corso della legislatura mentre nella maggior parte dei casi opera per sessioni ordinarie, che possono essere una o più all’anno, e straordinarie, su iniziativa del Capo dello Stato, del Governo, del Presidente dell’Assemblea e spesso di una minoranza qualificata di parlamentari. La durata delle Assemblee parlamentari può essere abbreviata, per scioglimento, o, in casi eccezionali, prolungata oltre il termine, per esempio lo stato di guerra. La prorogatio invece è la proroga dei poteri parlamentari fino alla riunione delle nuove Camere. Di solito la fine della legislatura o la chiusura della sessione determinano la decadenza delle attività non portate a compimento, questo perché il Parlamento neoeletto non può essere condizionato dall’attività iniziata da quello precedente. Tuttavia in alcuni ordinamenti è consentito all’Assemblea neoeletta di recuperare i progetti di legge che abbiano ottenuto una prima approvazione (Regno Unito) o siano stati approvati da una Camera (Belgio, Italia) o siano di iniziativa popolare (Italia). I principali organi interni del Parlamento sono costituiti dalla presidenza, dai gruppi parlamentari e dalle commissioni. La presidenza può essere rappresentata da un organo individuale (lo Speaker dei Paesi anglosassoni) o da un presidente coadiuvato da un organo collegiale o infine da un organo collegiale. Circa il ruolo del Presidente, nel modello americano è un uomo di parte mentre in quello inglese è caratterizzato dall’imparzialità (non interviene nel merito delle questioni e non vota). I gruppi parlamentari danno impulso ai lavori del Parlamento e garantiscono la disciplina dei parlamentari. Le commissioni parlamentari si dividono in 2 grandi categorie: permanenti e speciali. Le prime sono costituite di solito per l’intera durata della legislatura o di una sessione, sono specializzate per materia e svolgono funzioni legislative e di controllo. Quelle speciali sono costituite ad hoc per la trattazione di affari determinati e durano in carica fino all’esaurimento dei lavori. Fra queste particolare rilievo hanno le commissioni d’inchiesta. Sui criteri di composizione il modello britannico garantisce preminenza della maggioranza mentre quello tipico di altri ordinamenti adotta il criterio della rappresentanza proporzionale alla consistenza dei gruppi parlamentari o comunque conforme alla composizione politica dell’Assemblea. Negli ordinamenti anglosassoni l’ordine del giorno è stabilito dal Governo ma all’opposizione è stabilito spetti in alcuni giorni, negli altri ordinamenti è di competenza dello stesso Parlamento tramite il Presidente o una commissione speciale. Per la validità delle sedute è richiesta, con qualche rara eccezione, la presenza di un certo numero di parlamentari (numero legale) di solito pari alla metà più uno dei componenti l’Assemblea. Per l’adozione delle deliberazioni la regola è quella della maggioranza semplice, tranne nei casi in cui la costituzione richieda la maggioranza assoluta o una qualificata. Circa le modalità di voto, si distingue tra voto palese e voto segreto. Il primo risponde a un’esigenza di pubblicità ed è sempre applicato alle votazioni relative alla fiducia, quello segreto garantisce il libero pronunciamento ed è di solito adottato per le votazioni su persone. Sui tempi dei lavori parlamentari può incidere l’ostruzionismo tecnico o tattico allora tutti gli ordinamenti prevedono varie tecniche antiostruzionistiche, si predetermina il giorno e l’ora della votazione finale, si selezionano gli emendamenti evitando il voto su gran parte di essi, si limita la durata degli interventi, ecc.. Status dei parlamentari. Per poter acquisire tale status e quindi essere eleggibili, sono richiesti requisiti positivi, che consistono di solito nell’età, nella nazionalità e nella residenza, e requisiti negativi, cioè condizioni di cui deve verificarsi l’inesistenza, quali l’incapacità civile e la condanna penale per certi reati. In alcuni ordinamenti esistono cause di ineleggibilità o di incompatibilità. Le prime riguardano i titolari di uffici pubblici o soggetti che hanno particolari rapporti economici o professionali con lo Stato e potrebbero avvalersi della loro posizione per pregiudicare la libertà di voto e la parità fra i candidati o perseguire interessi privati nell’espletamento del mandato. L’elezione in questi casi è nulla. Invece l’incompatibilità riguarda i titolari di importanti cariche e garantisce lo svolgimento indipendente del mandato. Non impedisce l’elezione ma obbliga l’eletto a compiere un’opzione entro un certo termine. Nella forma di governo presidenziale, in quella semipresidenziale francese ed in alcune forme di governo parlamentari vi è incompatibilità fra mandato parlamentare e funzione ministeriale. Di solito è il parlamento che verifica la regolarità delle elezioni e l’inesistenza di cause di impedimento mentre il contenzioso elettorale è di solito competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria o speciale o del giudice costituzionale, sono limitati i casi in cui spetta al Parlamento. Due sono le principali ipotesi di immunità parlamentare: l’insindacabilità e l’immunità penale. La prima si applica alle opinioni espresse ed ai voti dati dai parlamentari nell’esercizio delle loro funzioni. Invece l’immunità penale, detta anche inviolabilità, consente di non essere sottoposto ad una responsabilità penale speciale ed ha natura temporanea. Distinguiamo tra modello anglosassone e modello europeo. Nel primo l’insindacabilità vale solo per le opinioni espresse in Parlamento e l’inviolabilità tutela la libertà personale del parlamentare. In Europa continentale l’insindacabilità non si riferisce al luogo, ma alle funzioni esercitate, quindi possiamo avere un’interpretazione estensiva, coprendo qualsiasi dichiarazione politica del parlamentare, o restrittiva, tutelando solo le opinioni espresse in sede parlamentare o comunque legate all’attività parlamentare. Circa l’immunità penale è prevista generalmente una autorizzazione parlamentare per le misure limitative della libertà personale, salvo l’ipotesi di flagranza e di sentenza definitiva di condanna. Per l’avvio dell’azione penale nella maggioranza degli ordinamenti è richiesta l’autorizzazione a procedere. Quest’ultima è stata abolita in Francia e in Italia. Funzioni. Tradizionalmente al Parlamento sono attribuite due funzioni principali: quella legislativa e quella di controllo. Esistono funzioni però che non rientrano in queste, molti Parlamenti infatti sono titolari, o quanto meno contitolari, della funzione di revisione costituzionale ed anche contitolari della funzione di indirizzo politico insieme al Governo. Gli atti di indirizzo politico del Parlamento possono essere sia legislativi che di natura non legislativa (mozioni, risoluzioni, ecc.). Nell’ambito della funzione di controllo si distingue il controllo in senso stretto da quell’insieme di atti volti all’acquisizione di informazioni necessarie per il buon esercizio delle sue funzioni tradizionali. Tale funzione può essere qualificata come conoscitiva, quando la ricerca di informazioni non ha carattere autoritativo, e come ispettiva, quando comporta vincoli e obblighi nei confronti di coloro che vi sono sottoposti. Del tutto eccezionale è la gestione di settori dell’amministrazione che normalmente è affidata al Governo. Frequente è l’attribuzione di funzioni di tipo giurisdizionale, la più importante concerne alcuni reati commessi dai Ministri e dal Presidente della Repubblica. Abbastanza frequenti sono anche le funzioni di tipo elettorale, nelle forme di governo parlamentari il Parlamento è chiamato ad eleggere il Presidente della Repubblica. In vari Paesi nomina in tutto o in parte i titolari di organi chiamati a svolgere funzioni di garanzia o di tipo giurisdizionale. E’ consigliabile quindi operare una distinzione non per funzioni ma per atti, distinguendo quelli relativi al rapporto di fiducia, gli atti di indirizzo e di controllo, gli atti conoscitivi e ispettivi. Il rapporto di fiducia. E’ il canale fondamentale attraverso il quale il Parlamento ed il Governo concordano l’indirizzo politico, tuttavia solo in alcuni ordinamenti è richiesto un voto di fiducia iniziale mentre il altri la fiducia è solo presunta. Nei Paesi che non richiedono voto di fiducia iniziale è quindi possibile la formazione di governi di minoranza. Con la mozione di sfiducia o di censura il Parlamento può sanzionare il Governo e costringerlo alle dimissioni, tuttavia di solito il Capo dello Stato può respingerle e procedere allo scioglimento anticipato del Parlamento. In alcuni ordinamenti la presentazione e la votazione della mozione di sfiducia sono sottoposte a un insieme di condizioni volte a garantire la stabilità del Governo: numero minimo di parlamentari firmatari, termine minimo di decorrenza tra la presentazione e la votazione per garantire la presenza ed evitare colpi di mano dell’opposizione, impossibilità in caso di mancata approvazione di ripresentarla per un certo periodo di tempo, votazione palese. In alcuni ordinamenti vi è la natura costruttiva della mozione, la quale deve indicare obbligatoriamente il nuovo Primo Ministro. In alcuni ordinamenti la sfiducia può riguardare anche il singolo Ministro. Atti di indirizzo e di controllo. Attraverso la funzione legislativa il Parlamento compie costantemente scelte che incidono sull’indirizzo politico. Sono leggi di indirizzo quelle che contengono decisioni politiche essenziali, soprattutto in materia finanziaria, di politica estera, di ricorso agli stati di crisi. In materia finanziaria la regola dominante è quella che prevede l’approvazione parlamentare del bilancio di previsione, di periodo quasi sempre annuale, ma talvolta è previsto anche un bilancio pluriennale. La competenza a predisporre il bilancio spetta al Governo o, nella forma di governo presidenziale, al Presidente della Repubblica. L’Assemblea può nella maggior parte dei casi emendare il progetto, in taluni casi si incontrano dei limiti quali l’impossibilità di accrescere le spese (Canada) o anche di aumentare le entrate proposte dal Governo (Regno Unito) o l’obbligo di garantire il pareggio fra entrate e uscite. In caso di mancata approvazione del bilancio alcuni Parlamenti adottano un bilancio provvisorio o autorizzano mese per mese le spese necessarie a esperire gli affari correnti. Per quel che riguarda i trattati internazionali in alcuni ordinamenti o non è previsto l’intervento del Parlamento o il Governo ha l’obbligo di presentare il testo al Parlamento prima della ratifica, ma non abbisogna di una autorizzazione dell’Assemblea (Regno Unito). Invece nella maggioranza degli Stati è richiesta l’approvazione preventiva o l’autorizzazione alla ratifica dei trattati da parte del Parlamento. Gli stati di crisi comportano generalmente la sospensione dell’efficacia delle norme costituzionali, una limitazione dei diritti di libertà ed il conferimento di poteri speciali all’Esecutivo fino al protrarsi della situazione eccezionale. Nella maggioranza dei casi l’organo competente a dichiarare lo stato di crisi è il Governo, ma su deliberazione o autorizzazione o con un successivo voto di ratifica del Parlamento. Talvolta è il Capo dello Stato ad essere titolare del potere di crisi senza alcun intervento del Parlamento. Oltre alle leggi di indirizzo il Parlamento può fare ricorso ad atti non legislativi che contengono direttive politiche al Governo o giudizi sulla sua azione. Tali atti possono assumere varie denominazioni (mozioni, risoluzioni, ordini del giorno), possono essere monocamerali o bicamerali. Atti conoscitivi e ispettivi. Il più importante esempio di atti conoscitivi sono le udienze, tramite le quali le commissioni del Congresso USA possono interpellare persone esterne al Parlamento per ricevere informazioni e suggerimenti o per acquisire dati. In Italia natura simile hanno le indagini conoscitive svolte dalle commissioni nelle materie di loro competenza mentre le indagini legislative hanno l’obiettivo di rendere possibile il confronto in materia dei diversi interessi organizzati. Nell’ambito della funzione ispettiva gli atti principali sono costituiti dalle forme di audizione del Governo, dalle interrogazioni, dalle interpellanze e dalle inchieste. Nella maggioranza degli Stati il Governo è tenuto a rendere conto periodicamente della propria gestione. La costituzione prevede che il Parlamento o le sue commissioni possano richiedere la presenza dei Ministri, cui corrisponde il diritto di questi di assistere alle sedute e di intervenire quando lo ritengono opportuno. Con l’interrogazione ogni parlamentare può chiedere al Governo o al singolo Ministro spiegazioni o notizie su un fatto specifico. Possono essere scritte o orali e di solito è previsto un termine entro il quale il Governo deve rispondere. Con le interpellanze il singolo parlamentare avanza una richiesta scritta riguardante non un fatto specifico, ma l’orientamento assunto dal Governo o da un Ministro su una determinata questione. Di solito è seguita da un dibattito che in alcuni casi si conclude con un voto. Nel Regno Unito è invece utilizzata la mozione di aggiornamento che consente di porre domande al Governo su un argomento specifico, di solito non sfocia in un voto. Nella maggior parte degli ordinamenti il Parlamento può dare vita a commissioni d’inchiesta su specifiche questioni e quindi sottoporre a controllo l’amministrazione che è alle dirette dipendenze del Governo. L’efficacia dell’inchiesta parlamentare varia a seconda che abbia poteri limitati o analoghi a quelli dell’autorità giudiziaria. Il Governo. Origine e struttura. Per Governo si intende di solito l’organo posto al vertice del potere esecutivo, che presiede alla formazione e all’attuazione dell’indirizzo politico e dirige l’attività della pubblica amministrazione, talvolta è designato con il termine Esecutivo (negli USA Executive, in Gran Bretagna Cabinet). In alcuni ordinamenti la funzione di governo viene attribuita a due organi entrambi facenti parte del potere esecutivo (Esecutivo dualistico), è tipico della forma di governo semipresidenziale dove accanto al Governo vi è il Capo dello Stato. In altri ordinamenti la funzione è svolta da un solo organo (Esecutivo monista), che può essere monocratico o collegiale. La prima situazione si verifica nella forma di governo presidenziale mentre in quella direttoriale vi è un organo collegiale che è anche Capo dello Stato. Nelle forme di governo parlamentari moniste spesso il Capo dello Stato continua ad essere considerato parte del potere esecutivo, ma nella sostanza egli non partecipa più alla determinazione dell’indirizzo politico che spetta al Governo. Di solito il Governo è un organo complesso nel senso che è formato da più organi individuali o collegiali, alcuni di questi sono direttamente previsti dalla costituzione e quindi definiti necessari, ma si ammette l’esistenza di organi eventuali, disciplinati da leggi ordinarie o affermatisi per via consuetudinaria o convenzionale. La direzione del Governo è generalmente affidata ad un organo monocratico, il Presidente della Repubblica (governo presidenziale) o il Primo Ministro (qualificato anche come Cancelliere o Presidente del Consiglio). Talvolta è prevista anche la figura del Vice Presidente. Per quanto riguarda la struttura organizzativa, negli USA il Presidente è coadiuvato da un numero considerevole di collaboratori riuniti nella White House Office e nell’Executive Office. Nel Regno Unito il Primo Ministro è coadiuvato dal Cabinet Office e dal Private Office. In Italia abbiamo un segretariato generale che si articola in un ufficio di segreteria e in uffici e dipartimenti. Il Consiglio dei Ministri ha una consistenza numerica abbastanza variabile, si va dai 7 della Svizzera a non più di 15 del Belgio fino a 35. Nel Regno Unito ed in Australia l’organo collegiale di governo è il Gabinetto, del quale fa parte un numero ristretto di Ministri scelti dal Primo Ministro, e vi è un Consiglio dei Ministri pletorico. Status dei membri del Governo. In vari ordinamenti esiste una normativa volta ad evitare il cosiddetto “conflitto d’interessi” ovvero quella situazione in cui il titolare di una carica elettiva o pubblica ha o gestisce un interesse economico privato tale da poter influenzare l’esercizio dei suoi doveri pubblici. L’ordinamento degli USA è quello che più di ogni altro ha disciplinato tale materia, le misure più significative sono: - il recusal, l’obbligo di astenersi su qualsiasi questione sulla quale il pubblico ufficiale abbia un interesse finanziario; - dichiarazioni pubbliche sullo stato patrimoniale e sui redditi esterni del titolare di una carica pubblica; - divieto di assumere incarichi o utilizzare notizie nei settori in cui il pubblico ufficiale ha operato; - trasferimento della gestione del patrimonio di proprietà ad un amministratore esterno e indipendente; - obbligo di alienare alcuni beni quando le altre misure non risultino efficaci. Nel Regno Unito troviamo misure in parte analoghe ma che non sono oggetto di disciplina legislativa bensì di codici regolamentari e deontologici. In Germania il Ministro non può assumere uffici remunerativi, mestieri o professioni senza approvazione del Parlamento mentre in Spagna i membri del Governo non possono esercitare altre funzioni pubbliche né attività professionali o commerciali. In vari ordinamenti non è previsto alcun trattamento differenziato per i reati commessi dai Ministri, i quali godono solo delle prerogative stabilite per i parlamentari se sono tali. Alcuni però prevedono una responsabilità penale speciale dei Ministri che riguarda i reati compiuti nell’esercizio della funzioni. Il soggetto competente a sollevare l’accusa è quasi sempre il Parlamento o un organo parlamentare, il giudice competente può essere quello ordinario, la Corte Suprema, la Corte costituzionale, un giudice speciale a composizione sia giurisdizionale e sia politica, il Parlamento. In Italia e Francia con 2 leggi costituzionali si è stabilito che i membri del Governo siano sottoposti alla magistratura ordinaria ma su autorizzazione della Camera di appartenenza. In controtendenza in Italia la L. n. 124/2008 ha stabilito che i titolari di alte cariche non siano perseguibili nel corso del mandato ma solo alla fine dello stesso (improcedibilità). Formazione del governo. E’ utile distinguere 3 fasi: preparatoria, costitutiva e integrativa dell’efficacia. Circa la derivazione giuridica si possono distinguere 3 ipotesi a seconda che l’organo competente a provvedere alla scelta del capo dell’Esecutivo sia il corpo elettorale, il Parlamento o il Capo dello Stato. L’elezione da parte del corpo elettorale ricorre nella forma di governo presidenziale ed in quella semipresidenziale, mentre in quella parlamentare è stata prevista solo per un periodo in Israele. L’elezione parlamentare del Primo Ministro avviene o su iniziativa dello stesso Parlamento o su designazione o proposta del Capo dello Stato. Più complessa è l’ipotesi della nomina del Primo Ministro da parte del Capo dello Stato. Nelle forma di governo semipresidenziali (tranne l’Irlanda) e nella maggioranza delle monarchie parlamentari il Capo dello Stato procede alla nomina senza che questa sia seguita da un voto di fiducia obbligatorio del Parlamento. Invece in alcune forme di governo parlamentari (Belgio, Grecia, Italia) alla nomina da parte del Capo dello Stato deve seguire entro un certo termine il voto di fiducia del Parlamento e, in caso di esito negativo, il Governo è tenuto a dimettersi. Nelle forme di governo maggioritarie l’indicazione del primo Ministro viene compiuta dal corpo elettorale assegnando la maggioranza dei seggi ad un partito o ad una coalizione omogenea. Quindi il Parlamento o il Capo dello Stato sono vincolati dalla regola, molto spesso di origine convenzionale, che impone di nominare il leader del partito o della coalizione che abbia ottenuto la maggioranza dei seggi. In questa ipotesi il Primo Ministro non è inamovibile ma può essere sostituito nel corso del mandato qualora perda la leadership del proprio partito. Nelle forme di governo non maggioritarie la scelta del Primo Ministro è di solito il frutto di un accordo postelettorale fra i partiti. La prima fase della formazione del Governo è quella preparatoria, l’insieme degli atti che precedono l’elezione o la nomina, e nella quale prevalgono regole non scritte. La scelta del leader può spettare al gruppo parlamentare o ad un organo di partito. In vari ordinamenti il Capo dello Stato, prima di procedere alla nomina o alla proposta del Primo Ministro, fa ricorso ad apposite consultazioni che possono essere di origine consuetudinaria o convenzionale. Infine provvede o a conferire l’incarico di formare il Governo ad una personalità politica o a designare il candidato alla carica di Primo Ministro da sottoporre all’approvazione del Parlamento. La fase costitutiva sfocia nella formazione del Governo ed è più frequentemente disciplinata nei testi costituzionali. Per quel che riguarda la nomina dei Ministri, nella forma di governo presidenziale spetta al Presidente tanto la nomina quanto la revoca degli stessi, tuttavia negli USA occorre il parere ed in consenso del Senato. Nelle altre forme di governo svolge un ruolo decisivo il Primo Ministro, in Francia la nomina è attribuita al Capo dello Stato su proposta del Primo Ministro, nelle monarchie parlamentari formalmente spetta al Re ma nella sostanza è il Primo Ministro a compiere la scelta. In tutti gli altri ordinamenti la scelta è attribuita al Capo dello Stato ma su proposta del Primo Ministro. La fase finale, quella integrativa dell’efficacia, comprende di solito il giuramento che può avvenire o di fronte al Capo dello Stato o del Parlamento. In alcuni ordinamenti il Governo deve presentarsi entro un certo numero di giorni di fronte al Parlamento per ottenere il voto di fiducia. Non si può escludere la formazione di governi di minoranza, che è giuridicamente possibile quando non è previsto un voto di fiducia iniziale o allorché l’investitura parlamentare può avvenire anche a maggioranza semplice. Crisi di governo. La dottrina parlamentare suole distinguere fra crisi parlamentari, che sono determinate da un espresso voto di fiducia del Parlamento, e crisi extraparlamentari, che derivano da ragioni esterne alla volontà del Parlamento. La distinzione ovviamente ha senso solo con riferimento alle forme di governo caratterizzate dall’esistenza del rapporto di fiducia. Anche in questo caso l’eventualità di approvazione di una mozione di sfiducia è abbastanza remota. Le crisi extraparlamentari possono essere suddivise in 4 ipotesi: - quelle determinate da ragioni non politiche, quali morte, impedimento permanente o dimissioni del Primo Ministro; - quelle derivanti da nuove elezioni parlamentari, di solito quando si rinnova il Parlamento il Governo, legato da un rapporto di fiducia con l’Assemblea precedente, presenta le proprie dimissioni a quello nuovo, ciò non esclude che esso possa essere riconfermato; - quelle dovute al Presidente della Repubblica, generalmente in occasione delle elezioni presidenziali il Governo in carica presenta le proprie dimissioni al nuovo Presidente, il quale le rifiuta; - quelle derivanti da questioni di partito, che si verificano allorché nel partito di maggioranza viene messa in discussione la leadership del Primo Ministro o quando si manifesta un conflitto insanabile fra i partiti di una coalizione di governo. I rapporti infragovernativi. La coesistenza al vertice del potere esecutivo di un organo monocratico e di uno collegiale pone il problema dei rapporti reciproci e di quale dei due abbia la prevalenza. Negli Stati autocratici vi è una netta prevalenza del principio monocratico a vantaggio del Capo dello Stato o del Primo Ministro. Nelle forme di governo che hanno un funzionamento di tipo maggioritario vi è nell’ambito del Governo una netta preminenza del Primo Ministro che si esercita attraverso vari strumenti: - il potere sostanziale di scelta e di revoca dei Ministri; - il potere di direzione generale della politica governativa e di coordinamento dell’azione dei vari Ministri; - il potere di direttiva nei confronti dei Ministri anche per gli affari rientranti nella loro competenza; - la titolarità di alcuni importanti dicasteri. Nelle forme di governo che hanno un funzionamento di tipo non maggioritario la formazione di governi di coalizione fra partiti anche eterogenei riduce il Primo Ministro a fungere da mediatore fra le diverse componenti politiche del Governo. Il Capo dello Stato. Natura e ruolo. Di solito si tratta di un organo monocratico ma non mancano casi nei quali ha carattere collegiale (Svizzera). Anche laddove non esiste formalmente un Capo dello Stato vi è sempre un soggetto che è incaricato di rappresentare lo Stato nei rapporti internazionali. Abbiamo diverse teorie circa il ruolo del Capo dello Stato. Una prima lo considera capo del potere esecutivo, ciò avviene sicuramente nella forma di governo presidenziale mentre in quella semipresidenziale dipende dal rapporto che si instaura con la maggioranza parlamentare. Una seconda concezione individua in esso il garante della legittimità e della permanenza dell’unità statale, ciò comporta che nelle situazioni di crisi è legittimato ad intervenire con misure eccezionali assumendo in prima persona la direzione politica del Paese. Una terza concezione lo considera un potere neutro distinto dai 3 tradizionali e posto al di sopra delle parti politiche con il compito di moderarne i rapporti e di risolvere gli eventuali conflitti. Sono state date diverse letture della neutralità del Capo dello Stato, come istanza simbolica o con poteri neutrali, con il compito di consigliare, incoraggiare e ammonire, come garante del rispetto della costituzione e delle regole del gioco e come potere di intermediazione che garantisce un costante processo di integrazione dell’unità statale. Derivazione e durata della carica. Circa la derivazione si possono distinguere 3 ipotesi: - la successione ereditaria, avviene nei sistemi monarchici; l’elezione popolare, nelle forme di governo presidenziali e semipresidenziali, in modo diretto o mediante elezione di secondo grado da parte di un collegio di elettori presidenziali. Solo in Islanda e Slovenia viene adottato un sistema maggioritario a turno unico e a maggioranza relativa, mentre nella maggioranza degli ordinamenti avviene con sistema maggioritario a doppio turno (se al primo nessuno ottiene la maggioranza assoluta si effettua un ballottaggio tra i due candidati più votati); - l’elezione parlamentare, nelle Repubbliche parlamentari viene eletto dal parlamento o da un’apposita assemblea federale. Nelle prime 2 votazioni è richiesta la maggioranza dei 2/3 o quella assoluta mentre dalla terza o si riduce il numero dei candidati o è sufficiente una maggioranza inferiore. Mentre la carica dei Capi di Stato monarchici è vitalizia, quella dei Presidenti della Repubblica ha una durata determinata, in alcuni 4 anni (presidenziale e semipresidenziale), in coincidenza con la durata della legislatura, ma più frequentemente la durata superiore a quella del Parlamento. Generalmente non può essere rieletto per più di una volta ma in alcuni ordinamenti è un divieto assoluto in altri invece riguarda solo il mandato immediatamente successivo ai 2 già espletati. Per quel che riguarda la cessazione dalla carica, nelle Monarchie questa si verifica in principio solo per la morte del Re anche se questi può anche abdicare. Nelle Repubbliche cessa dalla carica al momento della scadenza del mandato o per effetto di cause sopravvenute: la morte, le dimissioni, le destituzione, l’impedimento permanente. La destituzione può derivare dalla sua messa in stato d’accusa o dalla sua condanna. Nel caso di impedimento alcune costituzioni individuano l’organo competente a dichiararlo. Per quel che riguarda la supplenza, l’organo è diverso nei vari ordinamenti, il Vice Presidente nelle forme di governo presidenziale, il Presidente del Parlamento monocamerale o quello di una delle due Camere, più raramente il Primo Ministro. I poteri del supplente sono limitati, di sicuro non può sciogliere il Parlamento o indire un referendum o nominare il Primo Ministro o rinviare una legge. Poteri. Dalla lettura delle costituzioni vigenti il Capo dello stato è titolare di poteri numerosi e importanti tranne in quella svedese e quella giapponese. Nella forma di governo presidenziale il Presidente, oltre ad essere titolare dei poteri tipici di un Capo dello Stato (rappresentanza dello Stato nelle relazioni internazionali, comando delle FF.AA., nomina di funzionari e di titolari di organi di garanzia, ecc.), è anche titolare del potere esecutivo. In Francia, quando è sostenuto dalla maggioranza parlamentare, concentra nelle sue mani i poteri sia del Presidente USA che del Primo Ministro inglese mentre in Russia ha poteri analoghi a quelli del Presidente USA ma ha anche l’iniziativa legislativa, il potere di indire referendum e di sciogliere la Duma. Nella maggioranza degli ordinamenti al capo dello Stato vengono attribuiti poteri di rappresentanza dello Stato e dell’unità nazionale, di garanzia del rispetto della costituzione, di iniziativa e di controllo degli altri organi costituzionali. Gli atti del Capo dello Stato possono assumere natura sostanziale, in quanto sono da lui effettivamente decisi, o meramente formale, limitandosi a sancire la volontà espressa da un altro organo. L’istituto della controfirma, negli ordinamenti monarchici è necessaria per tutti gli atti del Re mentre in quelli repubblicani o è prevista per tutti gli atti del Presidente o è esclusa. Fra i suoi poteri hanno un particolare rilievo la nomina del Governo e lo scioglimento anticipato del Parlamento. Quest’ultimo non è previsto negli USA, nella Confederazione svizzera e in Norvegia ma di solito rientra fra i poteri del Presidente. Occorre però chiedersi a chi spetti la titolarità sostanziale della decisione, allora bisogna considerare due aspetti: se sia richiesta oppure no la controfirma o la proposta del Governo, se lo scioglimento sia vincolato alla sussistenza di determinati presupposti o sia discrezionale. In alcuni ordinamenti semipresidenziali (Francia, Austria) e nella maggioranza degli Stati europei ex socialisti lo esercita senza controfirma. Ma anche laddove non è prevista il potere non è discrezionale in quanto può essere esercitato solo in presenza delle condizioni stabilite nella - costituzione (attinenti per lo più all’impossibilità di formare un governo o al verificarsi di ripetute crisi). In Germania e Grecia la controfirma non è richiesta solo quando lo scioglimento deriva dall’incapacità di formare un governo stabile mentre quando viene proposto dal primo Ministro deve essere controfirmato da questi. Nelle altre forme di governo parlamentari la titolarità sostanziale del potere è generalmente del Governo su iniziativa del primo Ministro sottoposta alla deliberazione dell’organo collegiale. In alcuni casi lo scioglimento è il frutto della concorde volontà del Capo dello Stato e del Primo Ministro (Italia). Nelle costituzioni più recenti vi è la tendenza a indicare in modo rigoroso i presupposti giustificativi dello scioglimento nonché i limiti di tempo che possono consistere: - un termine iniziale fino al quale non è consentito ricorrere allo scioglimento o uno finale dopo il quale lo scioglimento non è ammesso (ultimi 6 mesi in Austria, 3 in Svezia); - un lasso di tempo che deve decorrere dopo un precedente scioglimento prima di poter procedere ad uno nuovo; - nel divieto di scioglimento nell’ultima fase del mandato presidenziale (Italia). Numerose costituzioni vietano esplicitamente o implicitamente lo scioglimento durante lo stato di guerra o gli stati di crisi. Infine in vari ordinamenti il titolare del potere deve chiedere il parere preventivo non vincolante di vari soggetti. E’ possibile distinguere 5 tipi di scioglimento: - lo scioglimento maggioritario, che è deciso dal Governo o dalla maggioranza parlamentare al fine di scegliere il momento più favorevole per andare a nuove elezioni; - lo scioglimento funzionale, che è previsto di solito quando il parlamento non è in grado di garantire la formazione del Governo o si sono verificate ripetute crisi in breve tempo; - lo scioglimento arbitrario, deriva dal conflitto fra il parlamento ed un altro organo costituzionale, può essere il Presidente o il Governo colpito da una mozione di sfiducia; - lo scioglimento di consultazione, che comprende due ipotesi: lo scioglimento automatico, che consegue in alcuni ordinamenti all’approvazione di un progetto di revisione costituzionale sul quale è chiamato a pronunciarsi il corpo elettorale, e lo scioglimento libero, che è originato dalla volontà di sottoporre al giudizio del corpo elettorale un’importante questione nazionale; - lo scioglimento tecnico, che deriva da una revisione costituzionale o da un’importante legge ordinaria che incidano sulla struttura o sulla formazione del Parlamento. Responsabilità. Molte costituzioni continuano a proclamare il tradizionale principio monarchico della irresponsabilità del Capo dello stato. Occorre distinguere tra Capi di stato monarchici e repubblicani. Per i primi vige una irresponsabilità personale, assoluta e permanente. Per i presidenti della Repubblica dobbiamo distinguere fra responsabilità giuridica e responsabilità politica. La prima si ha quando il comportamento di un soggetto è valutabile in base a criteri giuridici e può comportare sanzioni di tipo giuridico. La seconda ricorre quando il comportamento viene valutato in base a criteri di opportunità e può sfociare in una sanzione di tipo politico. Nell’ambito della responsabilità politica occorre distinguere fra quella istituzionale, a cui sono soggetti solo i Presidenti e che può essere fatta valere dal titolare del potere di elezione mediante la non elezione, e quella diffusa, che consiste nella libera critica. In alcuni ordinamenti nei quali il presidente è eletto a suffragio universale è prevista la rimozione dalla carica del presidente nel corso del mandato. Questa può essere decisa dal corpo elettorale sui iniziativa del Parlamento e la mancata destituzione determina la rielezione del Presidente e lo scioglimento automatico del Parlamento. A metà tra responsabilità giuridica e politica si colloca l’impeachment degli USA, è una responsabilità penale per i delitti di tradimento, di concussione o altri gravi reati. Il Presidente è giudicato da un organo politico, il Senato, e la sanzione è di natura politica, la rimozione. Tale procedura non comporta la sospensione dei processi nel corso del mandato e non esclude che il Presidente sia sottoposto per gli stessi reati al giudizio del giudice penale o civile. Per quel che riguarda la responsabilità giuridica dei Presidenti dobbiamo distinguere fra gli atti compiuti nell’esercizio delle funzioni e gli atti extrafunzionali. Per i primi viene generalmente proclamato il principio di irresponsabilità, che non vale però per alcuni reati tipici quali attentato o violazione della costituzione, violazione di leggi, alto tradimento, condotta incompatibile con la carica. La messa in stato d’accusa viene deliberata a maggioranza assoluta o qualificata da un organo parlamentare. Il soggetto competente a giudicare può essere un organo parlamentare, l’organo supremo della magistratura ordinaria, un giudice speciale o spesso la Corte costituzionale. La sanzione può essere di tipo penale e a questa può aggiungersi la rimozione. Per gli atti extrafunzionali nella maggioranza degli ordinamenti democratici non è prevista alcuna immunità. In alcuni è richiesta l’autorizzazione a procedere da parte del Parlamento mentre in altri è stabilita l’improcedibilità fino al termine del mandato. GIUSTIZIA COSTITUZIONALE COMPARATA Alle origini del controllo di costituzionalità. Le parole giustizia costituzionale (ma anche “controllo” o “sindacato di costituzionalità”), si riferiscono al riscontro, da parte di un organo giurisdizionale, tra costituzione e norme ad essa subordinate. Un riscontro assistito dal potere di espellere le norme contrastanti dall’ordinamento giuridico, dichiarandone la nullità o rendendole comunque inefficaci. In senso più largo, si allude a ogni verifica tra norme costituzionali (o considerate tali) e altre norme. Con giustizia costituzionale giurisdizionale indichiamo quella svolta da organi neutrali o terzi, non coinvolti nel processo formativo della legge e che non sono portatori di interessi politici. Con giustizia politica ogni forma residua di controllo esercitato in assenza di tali requisiti. Il più immediato precedente del moderno controllo di costituzionalità risale al famoso caso Bonham del 1610, in esso il magistrato inglese Coke sostenne la sottoposizione del Monarca alla lex terrae. Il diritto comune, cioè la common law, rappresentava secondo Coke sia la legge fondamentale del Regno che l’incarnazione della ragione. Tuttavia il conflitto tra il potere giudiziario e quello legislativo si risolse con la piena vittoria di quest’ultimo, cosicché la dottrina di Coke venne ben presto abbandonata e con essa il principio che la volontà delle Assemblee rappresentative potesse essere sottoposta alle decisioni dei giudici. Il judicial review nacque dunque in Inghilterra ma non vi attecchì viceversa ottenne uno straordinario successo in America. Anche la Francia manifestò una tenace renitenza a introdurre il controllo di costituzionalità ma poiché un controllo doveva ben esserci, veniva esercitato dallo stesso potere legislativo. Il judicial review negli Usa e la sentenza Marbury v. Madison. Il sindacato di costituzionalità a opera dei giudici acquistò importanza, negli USA, agli inizi dell’800, per l’affermarsi del concetto di costituzione rigida, idonea come tale a essere assunta dai giudici stessi quale parametro di legittimità delle leggi ordinarie. Anche se non è previsto dalla costituzione, essa lo riconosce implicitamente, stabilendo una gerarchia delle fonti normative al cui vertice è posta la costituzione stessa come suprema legge del Paese e, soprattutto, attribuendo la funzione giudiziaria federale alla Corte Suprema e alle altre Corti. Il controllo di costituzionalità si afferma in giurisprudenza già nei primi anni di applicazione della Carta federale: ciò avviene nel noto caso Marbury v. Madison, deciso nel 1803 dalla Corte Suprema. Questa afferma che la costituzione è una legge e, pertanto, essendo compito del giudice interpretare le leggi per decidere le controversie ad esso sottoposte, anche la Corte Suprema ha il diritto-dovere di interpretare la costituzione al fine di risolvere ogni eventuale antinomia o conflitto tra le norme. Poiché il testo costituzionale pone la costituzione medesima su un piano superiore a quello delle altre leggi, compete alla Corte Suprema (come ad ogni altro giudice) verificare se la legge è conforme a essa prima di considerarla applicabile al caso di specie. Se non sussiste questa conformità, il giudice non può fare altro che dichiararla nulla e inefficace. Il controllo praticato negli USA ha un carattere diffuso cioè ciascun giudice è abilitato a sindacare la conformità delle leggi alla costituzione nell’esercizio della sua ordinaria attività giudicante. La Corte Suprema lo esercita quale organo di vertice del sistema giudiziario degli USA. La procedura origina dal writ of certiorari con la quale una delle parti del processo principale chiede alla Corte Suprema di riesaminare il caso. La Corte fa una selezione del tutto discrezionale dei casi da esaminare. La Corte Suprema si è data anche una cospicua serie di limitazioni tradottesi in altrettante regole procedurali, soprattutto i giudici costituzionali americani hanno sempre rifiutato l’esame delle cc.dd. political questions, problematiche collegate alle competenze di indirizzo politico spettanti al potere legislativo o all’esecutivo. L’efficacia delle sentenze della Corte Suprema è, in linea di principio, limitata alle parti in causa, tuttavia, il sistema del precedente determina che le Corti inferiori debbano ritenersi vincolate alle pronunzie dei giudici superiori, sicché l’atto legislativo dichiarato incostituzionale perde del tutto la propria efficacia. Kelsen e la giustizia costituzionale. Il secondo prototipo di giustizia costituzionale fu merito di Hans Kelsen e fu messo in pratica nella costituzione austriaca del 1920. Per Kelsen il custode della costituzione deve essere un organo organizzato in tribunale, la cui indipendenza sia garantita dall’inamovibilità. Egli esclude un controllo preventivo ma ammette solo un controllo repressivo che può essere attivato da tutte le pubbliche autorità che, chiamate ad applicare una legge che presumono essere incostituzionale, possono sospendere il procedimento ed investire della questione il Tribunale costituzionale. Oggetto del giudizio dovrebbero essere, oltre alle leggi, i regolamenti, gli atti normativi generali e i trattati internazionali. Qualora il Tribunale costituzionale riscontri un vizio di forma, cioè relativo al procedimento di formazione dell’atto, o di sostanza, per contrasto con la costituzione, procede all’annullamento della legge o di sue singole disposizioni, con efficacia pro futuro, salvo un limitato effetto retroattivo. Le tesi di Kelsen trovarono il loro primo terreno di sperimentazione nella costituzione austriaca del 1920. Nell’ordinamento federale austriaco venne istituito un Tribunale costituzionale federale, i cui membri erano eletti a vita per metà dal Consiglio nazionale (rappresentativo della popolazione) e per l’altra metà dal Consiglio federale (rappresentativo delle autonomie). Legittimati al ricorso erano rispettivamente il Governo federale e ciascun Governo dei Lander ma lo stesso Tribunale poteva sollevare d’ufficio un incidente di costituzionalità. Al riscontro di un vizio seguiva l’annullamento,con effetto pro futuro, salvo che per i regolamenti. Evoluzione del controllori costituzionalità in Francia. Solo con la costituzione della IV Repubblica venne introdotto in Francia il controllo di costituzionalità. Nel 1946 esso venne affidato al Comitato costituzionale, ma non solo era circoscritto quanto all’oggetto e alle modalità d’accesso, veniva esercitato preventivamente e soprattutto veniva esercitato da un organo le cui garanzie di terzietà erano assai labili. Il Comitato era costituito dal Presidente della Repubblica, che era al vertice, i Presidenti dei due rami del Parlamento, da 7 membri eletti dall’Assemblea nazionale e 3 dal Consiglio della Repubblica (la Camera alta). Gli competeva verificare, su richiesta congiunta del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio della Repubblica e previa delibera a maggioranza assoluta del Consiglio della Repubblica, se le leggi votate dall’Assemblea nazionale comportassero una revisione costituzionale. Ma naturalmente nessuno dei soggetti abilitati aveva un reale interesse a sottoporre all’organo di giustizia costituzionale una legge assunta in violazione, deroga, modifica della costituzione. La costituzione della V Repubblica mantenne il controllo preventivo ma con delle differenze rispetto al modello precedente. L’organo chiamato a giudicare le leggi, il Consiglio costituzionale, comprende 9 membri con un mandato di 9 anni non rinnovabile,3 sono nominati dal Presidente della Repubblica, 3 dal Presidente dell’Assemblea nazionale e 3 dal Presidente del Senato. A essi si aggiungono gli ex Presidenti della Repubblica. Il Consiglio svolge il controllo preventivo obbligatorio sulle leggi organiche e i regolamenti parlamentari, e quello facoltativo sulle leggi e sui trattati. Inizialmente il Consiglio poteva essere adito solo dal Presidente della Repubblica, dal Primo Ministro e dai Presidenti dei due rami del Parlamento. Dagli anni ’70 si ha un radicale cambio di rotta, dapprima con l’incorporazione nel giudizio del preambolo della costituzione (ricco di enunciazioni sui diritti sociali) il Consiglio si trasforma in giudice pieno della costituzionalità delle leggi, anche con riferimento alla violazione dei diritti e delle libertà. Con una legge costituzionale del 1974 il potere di adire il Consiglio viene assegnato anche a 60 deputati o 60 senatori e, dal 2008, anche alla Corte di Cassazione e al Consiglio di Stato. Modelli ibridi: il controllo incidentale. Dal secondo dopoguerra, ai due modelli, statunitense e austriaco, viene associato un terzo modello nel quale si riscontrano elementi di entrambi. L’organo chiamato a rendere giustizia costituzionale è unico e specializzato, come in Austria, ma, al pari degli USA, ciascun giudice è interessato all’esercizio del controllo di costituzionalità (effettua un giudizio preliminare di conformità ed in caso di dubbio o ragionevole certezza che vi sia contrasto investe della questione la Corte costituzionale). L’introduzione del controllo incidentale in Italia, Germania e Spagna non ha comportato il ripudio del sistema basato sul ricorso diretto. L’esigenza di comporre i conflitti tra centro e periferia, quanto alle rispettive competenze legislative, ha suggerito di introdurre il ricorso diretto da parte delle autorità governative o, di volta in volta, di Regioni, Lander, Comunità autonome. Nonché, in Germania, Spagna ed Europa centro-orientale, quello di cittadini lesi in un loro diritto o libertà fondamentale da atti amministrativi, legislativi, giurisdizionali emanati dai pubblici poteri, o persino da atti dei privati. In Italia il sistema è misto, non solo fonde diffusione e accentramento ma altresì contempla ipotesi di accesso diretto. Nel giudizio in via incidentale l’efficacia delle sentenze è diversa: quelle di incostituzionalità operano erga omnes mentre quelle di rigetto operano inter partes ovvero qualsiasi giudice le può riprospettare. In Germania il controllo è di due tipi. Il controllo concreto si genera ogni qualvolta un tribunale reputi incostituzionale una legge, dalla cui validità dipende la decisione, il processo deve essere sospeso e la questione deferita al Tribunale costituzionale del Land, se si tratta di violazione della costituzione del Land, o al Tribunale costituzionale federale, se si tratta di violazione della costituzione federale. Il c.d. controllo astratto si realizza su ricorso del Governo federale o di quello di un Land o di 1/3 dei componenti del Bundestag, quando ritengono una norma dello Stato centrale o del Land incostituzionale. La Spagna ha privilegiato l’accesso diretto rispetto a quello ancorato a un’eccezione processuale. Il Tribunale costituzionale giudica sull’incostituzionalità di leggi e di disposizioni con forza di legge sottopostegli con tre diverse modalità. La prima è l’accesso in via incidentale, la seconda è l’accesso diretto presentato dal Presidente del Governo, dal Difensore del Popolo, da 50 deputati o 50 senatori, dagli organi collegiali ed esecutivi delle Comunità autonome. Infine il Tribunale piò essere adito con ricorso di amparo mediante il quale ciascuna persona fisica o giuridica, nonché il Difensore del Popolo e il Pubblico Ministero, possono denunciare la violazione di gran parte dei diritti o libertà fondamentali disciplinati dalla costituzione. Il controllo è successivo ed il termine stabilito è di 3 mesi dalla pubblicazione. Anche la Francia si è iscritta al club sei sistemi ibridi in quanto accanto al classico controllo preventivo opera anche quello successivo incidentale. Sindacato diffuso e concentrazione del controllo in alcuni ordinamenti europei e latinoamericani. Esistono altre ibridazioni tra tipo americano e modello austriaco, in alcuni ordinamenti, accanto al controllo diffuso da parte delle Corti, vengono assegnate competenze speciali ad appositi organi centralizzati, chiamati a esercitare in qualche forma il sindacato di costituzionalità. L’anomalia di tale situazione consiste nel fatto che trova realizzazione in sistemi di civil law, dove le pronunce dei giudici ordinari non sono efficaci erga omnes, e solo in casi sporadici il precedente giudiziario vincola le Corti inferiori. Un controllo parzialmente diffuso si ha in Portogallo, in Grecia, in Estonia e in alcuni ordinamenti dell’America latina. Diffusione del controllo preventivo. Il controllo preventivo non ha incontrato molta fortuna, tranne negli ordinamenti che subirono dalla Francia la dominazione coloniale o influssi di altra natura. Raramente il controllo preventivo esaurisce, nell’ambito di ciascun ordinamento, le tipologie del controllo di costituzionalità. Un controllo preventivo sulla falsariga di quello francese sopravvive con forme di sindacato successivo in Portogallo come in Romania, Irlanda, Venezuela, Ungheria, Colombia, ecc. Perché il controllo preventivo non ha incontrato il favore dei costituenti? Perché si preferisce colpire la legge dopo che ha prodotto i suoi guasti? Una principale ragione si connette all’esigenza di sottoporre le disposizioni legislative alla prova dell’interpretazione. Valutando un legge quindi non solo nel significato letterale ma anche nella sua capacità di vivere nella realtà dei casi concreti e di adattarsi alla norma superiore. Il controllo successivo è più vantaggioso perché consente ai giudici di salvare la vigenza di disposizioni che potrebbero in via preventiva essere considerate incostituzionali. Circolazione del controllo diffuso. Anche in Canada, come negli USA, la Corte Suprema non esercita in posizione di monopolio il controllo di costituzionalità, il quale compete a ciascun giudice. In Australia il controllo di costituzionalità,, che pure qualsiasi giudice può esercitare nei confronti delle leggi federali o statali, appare maggiormente accentrato. In Irlanda il controllo, rispettivamente in primo e secondo grado, compete alla High Court e alla Corte Suprema. In tutti questi ordinamenti ciascun giudice può disapplicare la legge incostituzionale ed è la Corte collocata al vertice dell’apparato giudiziario, sovente denominata “suprema”, a esprimere l’ultima parola in tema di judicial review, non diversamente da quanto accade negli USA. Il dogma dell’inesportabilità del modello americano nei sistemi di civil law è più un retaggio culturale dei giuristi visto il progressivo avvicinamento delle famiglie di common law e di civil law testimoniato sia dall’attenuazione dell’efficacia vincolante del precedente negli USA e sia dall’acquisizione dell’efficacia erga omnes dei precedenti elaborati da alcune Corti supreme negli ordinamenti di civil law. La circolazione dei modelli di controllo accentrato. Nel corso degli ultimi anni sono diventati più numerosi gli ordinamenti che hanno affidato ad un tribunale costituzionale ad hoc i compiti di controllo sulle leggi e/o altri atti degli organi costituzionali o di enti centrali o periferici. Anche in Nord America come altrove le Corti supreme tendono a monopolizzare l’esercizio della giustizia costituzionale. E’ tuttavia nel continente europeo che il modello di controllo accentrato, specializzato e successivo ha conosciuto la maggiore fortuna. L’organo è ad hoc nel senso che gli compete solo il controllo di costituzionalità oltre a svariate funzioni tipiche delle Corti costituzionali. Non esiste però un modello accentrato unitario ma molteplici variabili rappresentate dalle modalità di accesso alla Corte costituzionale. Il sistema incidentale non ha incontrato molta fortuna nei Paesi appartenenti all’ex Unione sovietica ed in America latina. Nella Confederazione elvetica, il Tribunale federale è composto da 30 a 40 membri eletti per 6 anni e costantemente rieletti sino alle dimissioni rassegnate per prassi al raggiungimento dei 75 anni d’età. La costituzione non prevede che possa esercitare il sindacato sulle leggi e i decreti generali della Confederazione e quindi possono essere vagliati solo i decreti non soggetti a referendum, alcune ordinanze del Consiglio federale e qualche altro. Al Tribunale competono anche le decisioni sui conflitti di competenza (legislativa, amministrativa e giudiziaria) tra Confederazione e Cantoni e fra Cantoni. In Belgio la Corte costituzionale oltre a giudicare sui conflitti tra leggi, decreti, norme relative alle competenze regionali, dal 1988 giudica anche sulle violazioni del principio d’eguaglianza, dei diritti delle minoranze, della libertà d’insegnamento e, dal 2003, sulla violazione di ogni diritto o libertà enunciato nella costituzione. Il ricorso può essere presentato dalle autorità indicate dalla legge, da chiunque abbia interesse o, a titolo pregiudiziale, da qualsivoglia organo giurisdizionale. Il Capo dello Stato quale custode della costituzione e il controllo di costituzionalità interno. Quasi tutti gli ordinamenti liberaldemocratici affidano al Capo dello Stato funzioni relative al controllo di costituzionalità, ma non in via esclusiva, egli concorre a tale funzione. In tutti o quasi gli ordinamenti concorre a tale funzione: non solo dove è legittimato a ricorrere alla Corte costituzionale o a richiedere una sua decisione o un suo parere, ma, più in generale, in connessione all’esercizio del potere di messaggio, e soprattutto in sede di promulgazione-sanzione dove può opporre la sua volontà a quella del Parlamento per ragioni di costituzionalità. L’esistenza un po’ dovunque di Corti costituzionali non preclude che, accanto ad esse, altri organi siano chiamati a collaborare alla funzione all’interno del procedimento per l’adozione degli atti normativi. Ad es. il Governo francese può opporre l’irricevibilità di proposte di legge o di emendamenti incostituzionali o in quanto rivolti a produrre aumento delle spese o diminuzione delle entrate o perché contrari a una delegazione in vigore. Oggi la costituzione ha esteso anche ai presidenti dell’Assemblea interessata il potere di eccepire l’invasione della competenza regolamentare o della violazione di delega. Una seconda ipotesi è rappresentata dal controllo sulla sussistenza dei requisiti di necessità ed urgenza dei decreti legge, che i regolamenti delle Camere italiane affidano alle commissioni affari costituzionali e/o all’Aula. Le Corti europee. Anche per le Corti europee, la Corte di giustizia delle Comunità europee con sede a Lussemburgo e la Corte europea dei diritti dell’uomo con sede a Strasburgo, si pone il problema se sono vere corti costituzionali. La Corte di giustizia delle Comunità europee si compone di 27 giudici, uno per ogni Stato, e di 8 avvocati generali nominati dagli Stati membri di comune accordo. Il mandato dura 6 anni ed è rinnovabile. La Corte ha assunto un ruolo di primo piano nell’edificazione dell’ordinamento costituzionale europeo affermandoli principio dell’applicabilità diretta del diritto comunitario negli Stati membri e la prevalenza sul diritto interno, imponendo tanto agli Stati membri quanto alle istituzioni comunitarie il controllo della conformità dei loro atti al Trattato. La Corte europea dei diritti umani è stata istituita dall’art. 19 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. La Convenzione funge da costituzione del Consiglio d’Europa, la fuoriuscita da questo comporta de iure anche la fuoriuscita dal regime convenzionale. La Corte può essere investita di un ricorso interstatale, quando uno Stato membro imputi ad un altro l’inosservanza di una qualunque disposizione della Convenzione o di uno dei protocolli, o di un ricorso individuale, allorché una persona fisica, un’organizzazione non governativa o un gruppo di privati sostenga di essere vittima di una violazione da parte di una delle parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli. La Corte può essere adita solo dopo che sono stati esauriti i rimedi giurisdizionali interni ed entro un periodo di 6 mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva. Per quanto riguarda la Corte di giustizia delle Comunità europee, anche sa da una parte la sua funzione può definirsi costituzionale, la mancanza di specializzazione, in quanto il giudice comunitario si pronuncia su questioni che attengono ad ogni branca del diritto comunitario e non solo su questioni di rilevanza costituzionale, suscita notevoli perplessità. Così come il parametro delle sue decisioni, rappresentato dai Trattati istitutivi, ed i destinatari, gli Stati membri. L’ostacolo maggiore all’assimilazione della Corte europea dei diritti umani a una Corte costituzionale discende dal fatto che si colloca in una posizione sussidiaria rispetto ai rimedi giurisdizionali interni degli Stati membri, inoltre le sue sentenze hanno carattere dichiarativo ed effetto inter partes, gode sì di una competenza obbligatoria ma sulla base della sottoscrizione e della ratifica della Convenzione da parte degli Stati. I destinatari delle sue decisioni sono gli Stati e, solo indirettamente in quanto beneficiari, i privati. Modalità organizzative: la selezione dei giudici delle Corti Supreme. Dove il controllo viene esercitato in via diffusa, come negli USA, le garanzie di autonomia e indipendenza vengono a coincidere con quelle proprie della magistratura. Qui i giudici, sia della Corte Suprema che delle Corti federali,sono nominati a vita dal Presidente, tenendo conto della qualificazione professionale. L’indipendenza viene garantita in primis dalla mancanza di aspettative dei giudici nei confronti del potere politico, in secondo luogo la Corte o la sua maggioranza può essere o meno dello stesso orientamento del Presidente e/o della maggioranza parlamentare. In altri ordinamenti ove il sindacato di costituzionalità è esercitato da un Tribunale ordinario, come Canada, Australia, Irlanda, ecc., l’indipendenza della Corte Suprema viene assicurata mediante svariati strumenti: la nomina dei giudici fino all’età pensionabile, il divieto di rimozione da parte del Parlamento salvo casi eccezionali e con procedure complesse, il divieto di diminuire il trattamento economico nel corso del mandato. Alcuni ordinamenti centro e sud-americani hanno previsto una durata temporanea del mandato ma con possibilità di rielezione. Criteri di nomina o d’elezione nelle Corti costituzionali ad hoc. Generalmente le costituzioni richiedono che i candidati abbiano un’adeguata preparazione giuridica. Un’eccezione è rappresentata dal Belgio, i 12 giudici, nominati a vita dal Re, sono per metà politici e solo per metà giuristi. In Italia, l’Assemblea costituente si orientò per un organo apposito i cui membri sono eletti per 1/3 dal Presidente della Repubblica, 1/3 dal Parlamento in seduta comune (con maggioranza dei 2/3 nei primi 3 scrutini e di 3/5 nei successivi) e 1/3 dalle Supreme magistrature ordinaria e amministrativa (Consiglio di Stato e Corte dei Conti). La durata del mandato di 9 anni e il divieto di rielezione concorrono ad assicurarne l’autonomia. I giudici devono avere specifici requisiti tecnicoprofessionali. In Spagna 12 componenti, tutti nominati formalmente dal Re, 4 su proposta della Camera bassa (Congresso), 4 su proposta del Senato (in entrambi i casi con maggioranza dei 3/5), 2 sono indicati dal Governo e 2 dal Consiglio generale del potere giudiziario. Abbiamo quindi uno sbilanciamento a favore della maggioranza-esecutivo. Vengono scelti tra i magistrati, i professori universitari, i funzionari pubblici e gli avvocati con almeno 15 anni di servizio. Anche qui la lunga durata del mandato ed il divieto di rielezione garantiscono l’indipendenza dal potere politico. In alcune nuove democrazie dell’Europa centro-orientale il bilanciamento dei poteri lascia fuori il giudiziario, ad es. la Repubblica slovacca, la Romania., l’Ungheria, in Russia sono nominati dal Consiglio federale su proposta del Presidente della Federazione. In qualche caso i criteri di nomina sono condizionati dall’esigenza di rappresentare paritariamente il centro e la periferia. Il Tribunale costituzionale tedesco si compone di 16 giudici, 8 eletti dal Bundestag e 8 dal Bundesrat. La separazione dal potere politico è assicurata dalla lunga durata del mandato, 12 anni,dal divieto di rielezione e dalle incompatibilità con cariche parlamentari e governative. Generalmente la durata del mandato non è vitalizia ma è più lunga di quella di qualsiasi altro organo costituzionale proprio per favorire una sfasatura temporale tra il giudice e l’organo che lo ha eletto. In questo modo si eliminano vincoli di sudditanza. Qualche ordinamento inoltre prevede il rinnovo parziale della Corte a scadenze determinate. In Italia la nomina si rende necessaria ogni volta che si rende vacante un posto per una delle ragioni previste (decesso, pensionamento, scadenza del mandato, ecc.). Il Presidente del Tribunale viene scelto secondo due schemi antitetici: può essere eletto dalla Corte stessa oppure dall’esterno, per lo più dal Presidente della Repubblica. L’acceso alle Corti costituzionali, il ricorso diretto. Negli ordinamenti decentrati, federali o regionali, il ricorso da parte degli enti periferici avverso leggi o altri atti della Federazione (o dello Stato centrale), e viceversa, è contemplato quasi ovunque. Meno frequente il conferimento di analogo diritto ai minori enti territoriali. Il Presidente della Repubblica è l’organo più frequentemente abilitato a bloccare preventivamente una legge o a impugnarla successivamente. Talvolta è conferita al Governo o al Primo Ministro o ai Ministri (Francia, Spagna, Russia). In qualche ordinamento anche le Assemblee parlamentari o i loro presidenti o organi interni sono autorizzati a impugnare delibere legislative prima della promulgazione o dopo l’entrata in vigore (Francia, Romania, Russia). Ormai dilagante è l’attribuzione alle minoranze parlamentari del potere di ricorrere alla Corte sia in via preventiva (Francia, Romania) sia successiva (Spagna, Portogallo, Polonia, Russia) sia con ambo tali modalità. Vi sono poi ipotesi di ricorsi da parte di organi o soggetti vari: il Difensore del popolo o organi corrispondenti (Spagna, Polonia) o un numero determinato di cittadini. Ma compaiono anche partiti rappresentati in Parlamento, sindacati, procuratore generale. In Polonia hanno accesso alla Corte una miriade di soggetti tra cui gli organi rappresentativi delle categorie economiche e le organizzazioni religiose. La stessa Corte può qualche volta procedere al controllo d’ufficio. La tutela delle libertà e dei diritti dei cittadini. L’idea che un cittadino possa rivolgersi a un giudice lamentando la lesione di diritti costituzionalmente protetti da parte di atti o comportamenti di autorità amministrative, giurisdizionali e legislative venne elaborata per la prima volta in America latina (Yucatan 1841) e in Germania (Baden e Baviera 1818). Le varianti più significative sono rappresentate dalla tipologia degli atti impugnabili. Nell’amparo disciplinato dalla costituzione spagnola sono impugnabili gli atti amministrativi e giurisdizionali ed è ammesso anche contro atti di soggetti privati. Data la gran mole di ricorsi, una legge del 2007 ha introdotto l’obbligo per ricorrenti di dimostrare lo straordinario rilievo costituzionale che assume il ricorso. Il Tribunale può decidere quali amparos esaminare e quali escludere, senza dover motivare il diniego. In Germania il ricorso può avere ad oggetto atti amministrativi, giurisdizionali e legislativi, e va presentato solo dopo l’esaurimento delle vie giudiziarie. Dovendo fronteggiare decine di migliaia di ricorsi individuali, il Tribunale ha elaborato una giurisprudenza restrittiva in base alla quale l’azione diretta è esperibile solo se non esistono altri rimedi giurisdizionali e se è considerata indispensabile per eliminare o prevenire una violazione dei diritti. Tipologia e forza delle decisioni di costituzionalità; le sentenze costituzionali quali fonti del diritto. Nei sistemi dove il controllo è accentrato, il Tribunale riscontrato un vizio di costituzionalità annulla la legge espungendola dall’ordinamento giuridico. Dove invece il sindacato è diffuso, il giudice disapplica la legge nella causa sottoposta al suo esame ed il precedente vincola, più o meno intensamente, tutti i giudici di grado inferiore. Allorché la pronuncia è emessa dal giudice di grado più elevato (ad es. la Corte Suprema negli USA),tutti i giudici inferiori sono tenuti a disapplicare la legge dichiarata incostituzionale. Quando il controllo di costituzionalità è preventivo l’effetto è quello di precluderne l’entrata in vigore. In tal caso il legislatore o modifica l’atto secondo i desiderata del Tribunale o modifica la costituzione, adottando semmai la disciplina con legge costituzionale. Solo di rado la preclusione spiega effetti diversi: ad es. in Portogallo e Romania il Parlamento può superare la dichiarazione di incostituzionalità di un trattato o di una delibera legislativa approvandoli a maggioranza qualificata. Una sentenza è composta dalla motivazione, nella quale sono spiegate le ragioni della decisione, e da un dispositivo, dove la Corte decide la vertenza. Nei sistemi a controllo accentrato è il dispositivo che provoca l’annullamento della legge mentre nei modelli a sindacato diffuso il valore del precedente abbraccia l’intera ratio decidenti della motivazione. Appare fondata la tesi che anche nei sistemi di civil law tra le fonti del diritto debbono essere annoverate le sentenze dei Tribunali costituzionali munite di efficacia erga omnes. L’effetto prodotto dalla decisione è quello di espungere norme dall’ordinamento giuridico ma anche di introdurne di nuove. Ci si interroga se sempre in questi sistemi (dove non opera il principio del precedente) possano essere annoverate tra le fonti le motivazioni delle decisioni e in particolare la ratio decidenti delle medesime: il dubbio s’è prospettato specialmente per la Germania e la Spagna. Sentenze di accoglimento, di rigetto e altri tipi di pronunce. Prima la giurisprudenza ma poi anche le costituzioni e le leggi, hanno elaborato modelli intermedi e ulteriori di pronunce oltre a quelle di accoglimento-rigetto. Abbiamo le sentenze cc.dd. parziali con le quali le Corti eliminano solo una parte di una legge. Poiché una disposizione può esprimere più significati, dei quali l’uno appare conforme alla costituzione mentre l’altro o gli altri no, i giudici costituzionali dichiarano la costituzionalità o incostituzionalità non di frammenti testuali ma di un loro significato (sentenze interpretative). Anche una pura e semplice decisione di annullamento contiene un quid di innovatività. Può accadere che il giudice dichiari l’incostituzionalità di una disposizione nella parte in cui non prevede qualcosa che dovrebbe contenere (sentenze additive) o addirittura nella parte in cui prevede una cosa anziché un’altra (sentenze manipolative) oppure, soprattutto nei sistemi di common law, la Corte stabilisce essa stessa le regole di una determinata materia, vincolando di conseguenza tutti i pubblici poteri e i privati. Nella loro attività creativa i Tribunali costituzionali trovano dei limiti: in particolare è sempre precluso, in modo espresso o implicito, lo svolgimento di attività politiche. Un mezzo utilizzato da svariati Tribunali consiste nel far salva una legge, invitando il Parlamento a modificarla. Tali sentenze, che la dottrina denomina ottative, monitorie, di indirizzo,sono frequenti nella giurisprudenza delle Corti tedesca, italiana,spagnola, portoghese, e il dialogo con il legislatore si rinviene altresì nelle pronunce delle Corti di common law. Giudici e Parlamento di fronte al vincolo delle sentenze. Nei sistemi accentrati, la pronuncia che espunge una norma spiega effetti generali mentre quella che dichiara la non incostituzionalità vincola solo le parti, possono quindi essere sottoposti al giudice casi analoghi o persino identici e può essergli richiesto di ri-decidere sulla costituzionalità di atti già esaminati. L’ordinamento cambia quotidianamente e ciò comporta che un atto che oggi è costituzionale non lo sia in seguito. In altri Paesi pure le sentenze di rigetto spiegano efficacia erga omnes, come in Belgio. A parte gli ordinamenti di common law, gran parte delle costituzioni o la legislazione attuativa dettano disposizioni mirate a disciplinare l’efficacia delle sentenze, in relazione ai soggetti vincolati ed all’effetto delle pronunce. In Germania, la legge sul Tribunale costituzionale assegna forza di legge ad alcune decisioni (quelle che dichiarano la nullità) ed essendo i giudici soggetti alla legge se ne desume che essi sono vincolati anche alle interpretazioni rese nella pronuncia. In Spagna la legge ha esplicitamente riconosciuto il valore giuridico della ratio decidendi. In altri ordinamenti a controllo accentrato a conseguire analoghi risultati ha provveduto la giurisprudenza, come in Italia dove la Corte ha dichiarato che le proprie sentenze hanno forza di legge. In che misura il legislatore è vincolato dalle sentenze costituzionali? Che accade se il potere legislativo approva una legge identica o sostanzialmente analoga ad altra, già dichiarata incostituzionale? Avendo al sentenza forza di legge il legislatore può abrogarla con una norma successiva, in virtù del principio di inesauribilità del potere legislativo. Se si conferisse alle pronunce forza di legge costituzionale, equivarrebbe a cristallizzarle per sempre o almeno sino a revisione della costituzione (alcune costituzioni optano per questa formula o quanto meno stabiliscono il divieto per il legislatore di riprodurre le disposizioni dichiarate incostituzionali. L’efficacia temporale delle pronunce. Dove opera il sindacato successivo la disciplina degli effetti temporali non è univoca: l’efficacia può essere pro futuro o rivolta anche al passato e le Corti possono sospendere per un periodo di tempo determinato l’efficacia della pronuncia. Per lo più le sentenze di incostituzionalità operano dalla data di pubblicazione oppure dopo una breve vacatio o dal giorno stesso della decisione. Una certa retroattività però è ineluttabile. Nei sistemi a sindacato diffuso la decisione del giudice retroagisce rispetto alle parti. Gli altri giudici, di grado inferiore o uguale, che stiano istruendo un processo nel quale sia coinvolta la medesima disciplina, sono vincolati al precedente e quindi non possono più darvi applicazione se essa è sfavorevole. Parimenti nei sistemi accentrati la retroazione si registra solitamente non solo nei confronti dei contendenti ma travolge anche i rapporti giuridici non ancora esauriti. Lo stesso accade dove l’accesso alla Corte costituzionale sia di tipo incidentale. La retroattività delle sentenze si arresta per lo più di fronte alle sentenze passate in giudicato, qualche volta davanti alle norme processuali e in pochi altri casi. Oggi gli interventi dei giudici provocano profonde ripercussioni non solo nell’ordinamento giuridico ma anche nella politica, nell’economia, nella società. I vuoti cagionati non possono essere tempestivamente colmati allora è stato via via introdotto, dalle costituzioni, dalla legislazione attuativa o dalla giurisprudenza, la differenziazione dell’efficacia della sentenza che dà al legislatore il tempo di apprestare le adeguate misure. I Tribunali costituzionali possono dilazionare l’efficacia senza limiti di tempo, in Belgio e Repubblica ceca, o entro un anno, come in Austria, in Slovenia e Turchia, oppure la vacatio opera de iure, come nella Repubblica slovacca dove le disposizioni cessano sei mesi dopo la dichiarazione di incostituzionalità. La sospensione dell’efficacia o l’anticipazione degli effetti della pronuncia è disciplinata anche dalla legge sul Tribunale federale tedesco. Il discorso delle Corti e il loro uditorio; processi di decisione e processi di giustificazione. La motivazione assolve allo scopo principale di esibire al giudice superiore la base tecnica su cui poggia la decisione, o, nel caso del giudice superiore, la base tecnica che serve a convalidare o a riformare la decisione del giudice inferiore. Sono le stesse Corti che individuano i valori e gli attribuiscono, in un dato momento storico, una posizione privilegiata rispetto ad altri, secondo un’interpretazione della realtà che non sempre è in sintonia con quella che ne hanno altri organi o soggetti politici. La dottrina politologia nordamericana si serve del vocabolo “constituency” per designare l’insieme dei soggetti alla cui verifica è sottoposta una decisione. Sono un’ampia gamma di soggetti: l’artefice della nomina (verso il quale il singolo giudice nutre riconoscenza), i colleghi giudici (al cui vaglio è costretto ad esibire le proprie argomentazioni), la comunità dei giuristi (sempre pronta ad analizzare e vivisezionare le sentenze sottoponendole a critica), il sempre più vasto uditorio rappresentato dall’opinione pubblica. Le Corti cercano di convincere un uditorio più vasto possibile della bontà delle scelte operate, sottoponendosi al confronto con il pubblico onde ricavarne una sorta di legittimazione. Nelle sentenze le Corti non si limitano a descrivere i nessi del percorso logico, ma si avvalgono di tutti gli strumenti della retorica, fanno riferimento ai precedenti, si richiamano al diritto comparato e alla giurisprudenza di altre Corti, operano excursus storici di istituti e discipline, esprimono valutazioni e bilanciamenti dei valori, criticano, suggeriscono, consigliano, ammoniscono i poteri dello Stato. Limiti all’attività delle Corti. I limiti sono di varia natura: linguistica, giuridico-istituzionale, politica. Innanzi tutto, le Corti debbono confrontarsi con i condizionamenti dei testi e dei contesti linguistici ed extralinguistici. Nessuna Corte può stravolgere il significato delle parole, può attraverso interpretazioni sistematiche o d’altra natura estendere o circoscrivere una libertà. Le Corti sono soggette, quanto alla loro composizione e alle modalità di funzionamento, alle disposizioni della costituzione e della legislazione implementativi. Le “altre funzioni” delle Corti costituzionali. Le Corti per la loro autorevolezza e soprattutto per la loro terzietà sono chiamate frequentemente a svolgere altre funzioni. In Germania tra le sue competenze compaiono: la dichiarazione della perdita di diritti fondamentali di singoli che abusano degli stessi per combattere l’ordinamento democratico e liberale; la dichiarazione di incostituzionalità di partiti politici che, per le finalità perseguite o per il comportamento dei propri aderenti, si prefiggono di danneggiare o sopprimere l’ordinamento; decisioni su controversie tra organi; controversie tra Bund e Lander; la verifica delle elezioni. In Italia spetta alla Corte giudicare: sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato; quelli tra Stato e Regioni e tra le Regioni; le accuse promosse contro il Presidente della Repubblica; il giudizio sull’ammissibilità del referendum abrogativo ex art. 75 cost. Anche in Spagna si registrano i giudizi sui conflitti di competenza tra Stato e Comunità autonome e tra queste, nonché sui conflitti tra organi supremi dello Stato. Svariati ordinamenti hanno caricato il proprio Tribunale costituzionale di altre funzioni, che possono essere raggruppate a seconda che afferiscono alla forma di Stato oppure alla forma di governo o a entrambe. Tra le prime compaiono quelle contro l’attività di partiti o associazioni anticostituzionali. In qualche caso le Corti controllano anche i bilanci dei partiti. Tra le funzioni connesse alla forma di governo, la prima riguarda i conflitti tra organi o poteri dello Stato,poi le procedure di impeachment nei confronti del Presidente della Repubblica e/o di Ministri, di parlamentari, giudici o altri funzionari. In qualche ordinamento, spetta alle Corti pure il compito di accertare l’impedimento temporaneo o definitivo del Capo dello Stato e vagliare i presupposti per procedere all’interim. Attengono sia alla forma di Stato che a quella di governo altre funzioni quali la vigilanza sulle operazioni elettorali, sovrintendere alla regolarità delle procedure referendarie o giudicare sull’ammissibilità della relativa richiesta. Modelli e ordinamenti attuali. In relazione al contesto strutturale, le Corti possono occupare una posizione monopolista (sistemi unitari) oppure in concorrenza con altri soggetti (sistemi plurali). Questa classificazione fa leva sulla classica dicotomia tra controllo diffuso e controllo accentrato. L’indole monopolista o concorrenziale si può apprezzare anche dalla presenza, all’interno di uno stesso ordinamento, di più livelli di giustizia costituzionale. Si possono allora distinguere sistemi unitari integralmente accentrati (vi è un’unica Corte o Tribunale); sistemi plurali parzialmente accentrati, nei quali ciascun livello territoriale ha un solo organo abilitato a fare giustizia costituzionale ma all’interno dell’ordinamento complessivo convivono con competenze diverse più Tribunali costituzionali; sistemi plurali parzialmente decentrati, là dove la funzione è distribuita tra i vari giudici e una Corte Suprema ma non c’è sovrapposizione di livelli; sistemi plurali integralmente decentrati. In base alle funzioni svolte si possono distinguere sistemi monofunzionali da quelli plurifunzionali. Alla prima categoria appartengono le Corti degli ordinamenti di common law, le cui competenze sono restate sostanzialmente quelle tradizionali; alla seconda quelle europee classiche e quelle dell’Est del vecchio continente. In base all’ampiezza del parametro di costituzionalità, i sistemi possono dividersi in limitati ed estesi. Nei primi le Corti prendono a parametro la sola costituzione o addirittura parte di essa, nei secondi, oltre alla costituzione, vengono parametrizzati anche i trattati internazionali o convenzioni in materia di diritti o, in Europa, i documenti internazionali che disciplinano le strutture e l’attività dell’Unione. In riferimento all’oggetto distinguiamo sistemi più o meno integrali, quando le Corti possono sindacare non solo le leggi ma anche atti amministrativi, atti politici, trattati e persino leggi di revisione, oppure parziali, con sindacato solo su leggi e, con riti diversi, su atti amministrativi. In base alle modalità di accesso possiamo operare una duplice distinzione. Da una parte ordinamenti che utilizzano di fatto un unico sistema: quello incidentale negli USA, quello preventivo in Francia (fino al 2008). Dall’altra tutti i numerosi ordinamenti misti che impiegano congiuntamente più modalità: controllo preventivo e successivo, su incidente e su ricorso, ecc.. Circa la qualità dei soggetti coinvolti, agli ordinamenti chiusi che li circoscrivono tassativamente a enti o organi dello Stato (Francia, Austria) si contrappongono i sistemi aperti dove il controllo ha per protagonisti i soggetti più diversi e soprattutto, attraverso l’amparo o altri istituti simili, è assicurato pure a tutte le persone fisiche (e talora giuridiche).