1 Introduzione al Diritto Pubblico comparato ed europeo

1 Introduzione al Diritto Pubblico comparato ed europeo
Studia i sistemi giuridici del mondo ed in particolare noi studieremo le democrazie occidentali
secondo un metodo che metta in evidenza quali sono le analogie e le differenze. Verificheremo
quali degli istituti, delle regole, delle norme, dei principi degli altri ordinamenti possono essere in
qualche modo utilizzati o possono servire da modello di riferimento per accrescere ed evolvere il
nostro Paese in determinati contesti che attengono all’organizzazione istituzionale. Il metodo ha
come specificità di indagare il funzionamento degli ordinamenti ed di compararli tra loro ed in
particolare con il nostro. Oggi quando si disciplina una certa materia si guarda a come la stessa è
disciplinata in altri Paesi e ci si chiede quanto di quella disciplina può essere utilizzata anche nel
nostro. Naturalmente è il confronto, la comparazione è la cosa importante. Per applicare la
comparazione bisogna muoversi in un contesto comune cioè un contesto nel quale i principi
fondanti siano tendenzialmente simili, abbiano una stessa radice, ecco perché ci occupiamo
principalmente delle democrazie occidentali. Il comparatista non deve solo studiare le differenze e
le analogie con un altro ordinamento e semmai tentare di importare un determinato istituto, deve
ulteriormente verificare se il trapianto deve essere fatto in maniera totale o parziale in quanto
bisogna tenere conto delle esigenze tipiche del Paese che verrebbe a recepire quel tipo di
regolamentazione. Ecco perché si presuppone un’approfondita conoscenza del proprio ordinamento
e di quello di riferimento.
La finalità. La prima finalità è scientifico-culturale, la conoscenza degli altri ordinamenti e la
comparazione con il nostro, oltre ad accrescere la propria cultura e la propria professionalità,
consente di avere uno sguardo più ampio rispetto alle vicende nazionali e di ragionare in termini
extraterritoriali. Ma abbiamo anche una finalità immediatamente operativa nelle professioni
giuridiche perché non è più sufficiente fondare il proprio ragionamento giuridico esclusivamente su
quello che succede all’interno senza tenere conto delle tendenze operative di altri sistemi. La
finalità è anche quella di aiutare e di supportare il legislatore nel compiere le proprie scelte al fine di
regolare un determinato settore. Anche l’Unione europea, nell’emanare direttive e regolamenti che
incidono sugli ordinamenti degli Stati membri, decide di adottare un determinato atto normativo
attraverso il diritto comparato cioè quella tecnica delle analogie e delle differenze volte ad
individuare la sintesi tra le diversità giuridiche dei vari Paesi che aderiscono all’UE. Il processo di
integrazione dell’UE è passato da un punto di vista giuridico attraverso la metodologia del diritto
pubblico comparato che è servito per creare le fondamenta comuni della convivenza degli Stati
nazionali all’interno di questo nuovo soggetto.
Diritto comparato ed altre scienze. Il diritto comparato deve tenere conto delle altre scienze
perché nel comparare non può non tenere conto di quelle che sono le tradizioni, le esigenze,
l’adattabilità nel Paese che recepisce l’innovazione legislativa proveniente da un altro Paese. Al fine
di fare questo bisogna tenere conto di altre scienze quale la politica che esiste in quel Paese in un
dato momento storico. Non bisogna tenere conto solo del momento di natura giuridica ma anche di
quello di natura storica, di natura politica, di natura economica, di natura sociale. Per esempio
l’introduzione delle Autorità garanti è debitrice di esperienze effettuate altrove soprattutto negli
USA, leggi che hanno tenuto conto di una serie di specificità e contesti entro il quale si andavano ad
affermare, il contributo appunto di altre scienze quali quelle economiche per l’Antitrust,
l’informatica per l’Autorità sulle telecomunicazioni, etc..
Macrocomparazioni, micro comparazioni, classificazioni. Vediamo con quali tecniche si può
fare la comparazione. La macrocomparazione attiene sostanzialmente alle comparazioni su grandi
fenomeni, siano essi le Costituzioni o sistemi giuridici, fondata sui principi e non nel dettaglio.
Nell’ambito delle democrazie occidentali di stampo democratico-liberale abbiamo due grandi
sistemi giuridici, quelli di common law e quelli di civil law, nei confronti dei quali procediamo con
una macrocomparazione perché compariamo i criteri che stanno alla base dei due sistemi. Senza la
macrocomparazione non possiamo poi fare la micro comparazione, è quindi il punto di partenza che
consente poi di capire al meglio la comparazione tra istituti, tra organi, tra scelte legislative
differenti. La macrocomparazione non impedisce che si possa utilizzare il funzionamento di un
determinato istituto in un sistema giuridico differente da quello in cui è prelevato. La micro
comparazione avviene invece su determinati settori, per verificare una certa legge, una certa
disposizione, ma anche tra organi. Infine abbiamo l’esigenza di classificare, di mettere in maniera
ordinata il panorama che siamo chiamati ad esaminare al fine di chiarire meglio il funzionamento di
singoli sistemi. La troveremo soprattutto quando parleremo delle forme di Stato e di Governo.
Modelli, circolazione e recezioni. All’interno delle classificazioni esistono dei modelli di
riferimento, certe tipologie delle istituzioni. Mentre la classificazione è aperta e serve a
razionalizzare meglio il discorso, il modello è rigido, impone la visione di una fattispecie secondo
rigorosi schemi fissati al fine di definire il modello. Dobbiamo tenere presente che il soggetto che
andiamo ad analizzare non è immobile ma dinamico, mutevole, che tiene conto delle dinamiche
sociali e politiche, ed in questo troviamo il limite del modello. L’utilizzo del modello con
riferimento all’organizzazione istituzionale ha il suo limite nel fatto che sfugge al principio di
effettività dei soggetti che interpretano le Istituzioni. La circolazione si ha quando un certo tipo di
sistema diventa di riferimento e quindi viene adottato da altri ordinamenti. Ad esempio il sistema
semipresidenziale francese iniziò a circolare negli ordinamenti nascenti nell’Europa dell’Est
(Ungheria, Romani, Polonia, etc.). La circolazione di un sistema ha il suo punto d’arrivo nella
recezione. Ma la recezione non è mai priva di accorgimenti che sono frutto della specificità
dell’ordinamento che recepisce.
Diritto comparato e diritto pubblico europeo. L’ordinamento degli Stati membri oggi si è dovuto
adeguare alle strutture dell’UE. Il diritto pubblico europeo non è più una parte del diritto pubblico
comparato riferito all’Europa ma è da considerarsi un diritto pubblico a se stante. E’ frutto di quelle
determinazioni che si sono venute a creare nello spazio giuridico europeo, della formazione di un
soggetto in grado di produrre norme, rappresentanza, decisioni, etc.. Oggi il fenomeno europeo non
è più riferibile ad un fenomeno esclusivamente di tipo economico ma giuridico in tutta la sua
complessità. E’ un progetto di unione fra Stati raccolti intorno a dei Trattati, ma domani si spera una
Costituzione europea, entro cui consentire una maggiore adesione e forza degli Stati che vi
confluiscono ed impedire quindi nuovi conflitti all’interno dell’Europa. Il diritto pubblico europeo
nasce sulla base della metodologia comparativa.
L’Unione Europea e il diritto comparato. L’UE nasce come Comunità Europea, una coabitazione
all’interno di uno spazio fisico comune di 6 Stati ma solo su alcuni specifici settori e che
cominciano a produrre una unità d’intenti. Il passaggio da Comunità a UE non è solo letterale,
mentre la Comunità presuppone comunque una certa autonomia degli Stati, vincolati solo a
rispettare le regole che tra loro si danno, l’Unione determina un legame tra essi, la cessione di
sovranità. E’ proprio questa cessione che determina il passaggio. La regolamentazione del
fenomeno economico ha comportato la tutela dei diritti di libertà all’interno del territorio europeo.
La sovranità, che è il pilastro su cui si sono sorretti per secoli gli Stati, è quella capacità di
determinare le scelte fondamentali interne all’organizzazione dello Stato, fare le leggi è un esercizio
di sovranità. Karl Smith, politologo e giurista tedesco, definì la sovranità dicendo che sovrano è
colui che decide nello Stato di eccezione, cioè quando c’è da decidere. Esempio di questa cessione
di sovranità sono: gli Stati non possono più battere moneta e l’immediata efficacia di nome europee
negli ordinamenti interni.
Un diritto giurisprudenziale. Si sta affermando un sistema giuridico europeo. Diritto
giurisprudenziale vuol dire essenzialmente un diritto fatto dai giudici. A livello europeo ci sono 2
organi giurisdizionali, la Corte di Giustizia europea e la Corte europea dei diritti dell’uomo. Alla
Corte di giustizia è stato affidato il compito di organo giudiziario cioè deve far rispettare il diritto
nell’interpretazione e nell’applicazione del Trattato CEE e poi dei Trattati successivi. La Corte
nell’interpretare, applicare e far rispettare i Trattati ha emanato delle sentenze attraverso le quali si
sono potuti affermare i diritti fondamentali dei cittadini all’interno dello spazio giuridico europeo.
E’ vero che i diritti di libertà sono definiti in un documento ma alla loro affermazione ha concorso
in maniera significativa la Corte di Giustizia. Non essendoci nel sistema europeo codici o leggi è un
diritto che nasce essenzialmente come giurisprudenziale, nasce come un diritto di common law. E’
un diritto che nasce per la tutela di scelte economiche, la parte dei diritti si è venuta ad affermare
per il tramite della Corte di Giustizia. Questi diritti fondamentali, una volta riconosciuti su base
giurisprudenziale, hanno trovato formalizzazione nella carta Costituzionale europea che ancora non
è stata ratificata da tutti gli Stati.
Il “nuovo” sistema giuridico europeo. E’ un diritto che nasce su base giurisprudenziale ma che è
sempre accompagnato anche su una base legislativa ma con delle specificità dovute al fatto che non
è possibile riprodurre i meccanismi classici dell’organizzazione istituzionale degli Stati a livello
europeo. L’UE è un soggetto particolare diverso dagli Stati nazionali che la compongono e quindi
ha un suo sistema giuridico che non è di common law o di civil law come quello degli Stati ma un
nuovo sistema giuridico europeo. E’ un sistema che combina meccanismi di diritto
giurisprudenziale e meccanismi di diritto codificato ma con le sue originalità. I Trattati sono di
esclusiva competenza degli Stati e non del Parlamento europeo, c’è quindi un soggetto che è assente
dal processo di integrazione europea ed è il popolo.
La costituzione europea. Si è sostenuto che anche se manca una costituzione scritta in Europa
comunque una costituzione c’è nei termini in cui sono stati regolati tutta una serie di rapporti, come
c’è un ordinamento c’è una costituzione. Ma a questo ragionamento si è contrapposto quello per cui
ci deve essere una costituzione scritta perché solo essa chiarirebbe in maniera definitiva come i
rapporti sono stati regolati, quali diritti sono stati individuati, come dovranno essere organizzate le
istituzioni europee, quali sono le garanzie dei cittadini. Di questi due modi di pensare per il
momento è prevalso il primo anche se il secondo sta cercando di affermarsi. Trattato e costituzione
sono due cose differenti. Il Trattato è un accordo tra gli Stati mentre la costituzione è un contratto
che il popolo fa con se stesso e si attribuisce le regole che costituiscono l’organizzazione di una
società. Il Trattato non ha la legittimazione popolare ma è solo un accordo che mette insieme gli
Stati sulla decisione da effettuare in un determinato settore. La costituzione nasce nella sua prima
fase come un Trattato per poi avere una democratizzazione attraverso la ratifica o dei Parlamenti o
popolare mediante il referendum. Con la costituzione europea si corre il rischio di un multilivello
costituzionale. Le costituzioni degli Stati devono conformarsi alla costituzione europea così come
gli statuti regionali si conformano alla costituzione nazionale. Se così fosse è veramente necessaria
una costituzione europea che rischia di comprimere e di rattrappire le costituzioni nazionali? Il fatto
che abbia trovato delle difficoltà nel suo percorso di ratifica sta a dimostrare che c’è una volontà
contraria alla sua costituzione? Non c’è una risposta. Il Trattato che adotta la costituzione europea è
un testo di oltre 400 articoli, si corre il rischio che non venga concepita ed ammessa dai soggetti
destinatari come propria. Nella nostra costituzione non c’è un articolo che autorizza l’Italia a
partecipare all’UE, il grimaldello è stato l’art. 11 che autorizza cessioni di sovranità per assicurare
la pace e la giustizia fra le Nazioni. L’art. 11 da una parte ha evitato di procedere ad una revisione
costituzionale mentre dall’altra ha messo in crisi il criterio della rigidità costituzionale perché lo si è
derogato in maniera eccessiva. Si è in effetti proceduto ad una modificazione tacita della
costituzione per altro attraverso un articolo che si trova nella parte dei principi fondamentali.
Verso il diritto pubblico europeo. Oggi siamo in presenza di un diritto pubblico europeo fatto per
il tramite dell’organizzazione dell’UE, per le fonti che regolano la produzione del diritto europeo,
per la previsione di una costituzione europea, insomma tutti quei passaggi che manifestano la
presenza di un diritto pubblico europeo. Un diritto che oggi non è più una mescolanza dei diritti
degli Stati ma un diritto a se stante.
2 Costituzione e Costituzionalismo
Nozione e storia di costituzione. Costituzione come documento e costituzionalismo come dottrina,
filosofia, come metodo per governare, per individuare quelli che sono i criteri che meglio si
adattano per l’organizzazione di una società. Dove non c’è costituzione scritta non è detto che non
ci sia costituzionalismo, per esempio la Gran Bretagna non ha una costituzione scritta ma è
considerata la patria del costituzionalismo insieme agli USA. Talvolta i principi che sorreggono
l’istituzione di uno Stato si riflettono in un documento scritto detto Costituzione in altri casi no.
Cosa è la costituzione? La Costituzione è quell’insieme di regole che disciplinano l’organizzazione
di una società ma non necessariamente esaurisce tutte le regole. Il costituzionalismo attiene a una
serie di principi che danno una indicazione ben precisa su come organizzare una società, su quali
principi fondare l’organizzazione, su quali criteri ed indirizzi ideologici debbono essere indicate le
strutture, i valori che prepongono alla struttura di una società. E’ l’insieme dei principi e dei valori
che disciplinano l’organizzazione di una società.
La costituzione nel suo percorso storico. Il costituzionalismo nasce a partire dalla fondazione
degli USA e con la sua costituzione di fine 700. Quei principi allora individuati rimangono i
principi sui quali si fondano società contemporanee.
Gli opposti sentieri del costituzionalismo. Se è vero che nasce su opposti sentieri questi hanno
finito però col convergere al punto che oggi si fondono in una unica cosa, la formula della
democrazia liberale. Gli opposti sentieri sarebbero la rivoluzione americana, con la grande
affermazione del federalismo e della sua costituzione, e la rivoluzione francese del 1789, che ha
contribuito in maniera determinante ad un altro modo di concepire l’organizzazione della società.
Per esempio con quest’ultima si affermano i diritti politici, il suddito diventa cittadino in quanto gli
viene riconosciuto il diritto al voto, di eleggere un’assemblea, nasce il concetto di rappresentanza
politica e quello di divieto di mandato imperativo che gli eletti. L’altro sentiero, quello americano,
chiarisce un punto fermo, fondante del costituzionalismo, è il principio della separazione dei poteri.
Laddove vi è separazione dei poteri è il costituzionalismo. E’ stato Montesquiè a teorizzare questo
principio. E’ alla base del costituzionalismo perché consente che non vi sia un accentramento del
potere, è un metodo che consente che non vi sia un unico soggetto che sia giudice, legislatore e
governatore. All’epoca neanche si distinguevano questi tre poteri perché erano tutti nelle mani del
monarca. Montesquiè li distingue affinché “un potere arresti il potere”, un potere impedisca che un
altro potere abbia la meglio. I tre poteri sono il legislativo, il giudiziario e l’esecutivo e tra loro non
vi deve essere incontro, confusione, commistione. Nella costituzione americana troviamo questa
distinzione dei poteri. I poteri oggi sono più di tre, basti pensare al potere dell’economia, ma il
principio rimane, indipendentemente da quanti sono devono essere separati. Tutti e tre i poteri
nascono dal basso, su una scelta di tipo elettorale, in quanto coloro che siedono al Congresso sono
eletti dai cittadini, il Presidente viene eletto a suffragio elettorale ed i giudici degli USA sono eletti
dal corpo elettorale. Questi risponderanno del loro operato sempre verso il corpo elettorale. Altro
principio americano è quello dell’organizzazione federale dello Stato ma non è un principio senza il
quale non può esserci costituzionalismo. E’ solo un modo di organizzare lo Stato. Altro principio è
quello delle garanzie costituzionali cioè debbono esserci degli strumenti in grado di garantire gli
individui che non fanno parte della maggioranza ovvero le minoranze ed in generale l’azione
oppositoria. Queste garanzie nascono sulla base del riconoscimento dei diritti di libertà e sulla loro
concreta applicazione ed attuazione. A questo si aggiunge un altro principio fondamentale che è
quello del controllo di costituzionalità che nasce negli USA con la Corte Suprema. Questo principio
nasce nella decisione Marbury versus Madison con la quale la Corte Suprema disse che non sarebbe
stata soltanto il vertice della magistratura ma si è auto attribuita il compito di sindacare la legittimità
costituzionale degli atti legislativi. La Corte ha praticamente detto che la Costituzione è una legge
superiore e quindi tutte le altre leggi devono conformarsi ad essa. Negli USA il sindacato di
costituzionalità è diffuso, non spetta solo alla Corte suprema ma qualunque giudice può disapplicare
una legge che ritiene in contrasto con la Costituzione.
Come nasce una costituzione: il potere costituente. Non sempre la costituzione nasce
dall’esistenza di un potere costituente. Il potere costituente è un potere eccezionale e nasce nel
momento in cui vi è necessità di porre le basi per la costituzione di uno Stato. Prima del potere
costituente di solito c’è uno stato di crisi, una rottura dell’assetto costituzionale tale da riscrivere
questo assetto. In Italia infatti nasce dall’evento bellico della seconda guerra mondiale. E’ un potere
libero, privo di limiti nella sua azione. All’Assemblea costituente italiana fu dato un potere senza
limiti eccezion fatta per uno esplicitato contestualmente all’elezione dell’Assemblea,
l’individuazione della forma di Stato. Il 2 giugno 1946 gli elettori italiani votarono contestualmente
sia per il referendum istituzionale sulla forma di stato sia sulla formazione dell’Assemblea
costituente. La forma di stato doveva essere Repubblicana e l’Assemblea non poteva mutarla perché
era una decisione che derivava dal popolo. L’organo costituente non può che essere il più
rappresentativo possibile, devono sedere esponenti di tutti i partiti ed i movimenti che rappresentano
la società proprio perché è il luogo dove si fissano le regole comuni per tutti. Nell’esperienza
italiana si cercò una scelta condivisa e non a maggioranza anche perché il testo non sarebbe poi
passato attraverso il voto di approvazione del corpo elettorale, a differenza di ciò che avvenne in
Francia con la quarta Repubblica dove il corpo elettorale chiamato a pronunciarsi bocciò il
documento dell’Assemblea costituente. C’è una tecnica che garantisce la partecipazione di tutti
all’Assemblea ed è quella della rappresentanza proporzionale ovvero il sistema elettorale
proporzionale.
Ma non tutte le Costituzioni nascono su base costituente cioè su una decisione compiuta da un
organo al quale viene dato mandato costituente. In Germania infatti furono gli alleati a scrivere le
nuove regole costituzionali del Paese. Nella Germania non vi era stato il fenomeno della resistenza,
un fenomeno di opposizione al nazionalsocialismo quindi non si poteva lasciare la decisione ad
un’Assemblea eletta dal popolo, vi erano condizioni diverse dal caso italiano. Sul piano
costituzionale le Costituzioni scritte da altri rappresenta un problema perché la Costituzione cerca di
interpretare il modo di essere di un Paese e quando è scritta da chi non ne fa parte si rischia di
trovarsi delle norme che non siano perfettamente interpretabili dal popolo a cui sono destinate.
Oggi con il riconoscimento di diritti universali la cui presenza è necessaria per l’esistenza di uno
Stato democratico liberale, tali diritti possono essere trapiantati anche attraverso l’imposizione di
costituzioni che sono il frutto di un intervento esterno.
Classificazione delle costituzioni. Le si classifica per studiarle meglio.
Costituzione formale e costituzione materiale. La prima è quel documento scritto che noi
leggiamo ed al quale attingiamo per capire in quel Paese come sono stati regolati i diritti, i doveri, le
istituzioni, le garanzie, l’assetto territoriale e quant’altro. Ma questo non è sufficiente perché dietro
quella norma bisogna vedere come essa viene applicata, se esistono norme che danno attuazione a
quanto in essa contenuto. La norma costituzionale si limita a stabilire un principio che poi deve
essere attuato con le leggi ma anche interpretato dai soggetti con la prassi che pongono in essere.
Ma non sono due costituzioni distinte, la materiale è in un certo senso la verificazione dell’altra, dà
corpo e forma a quella formale. La materiale deve dare attuazione a quella formale. Ci sarà sempre
un organo che vigila sul fatto che non vengano poste in essere norme legislative che siano in
contrasto con le norme costituzionali. Oggi la Costituzione materiale è data in misura sempre
crescente dall’ordinamento giuridico europeo cioè da tutta una serie di decisioni che vengono
assunte in Europa che hanno una ricaduta fortissima negli ordinamenti statali al punto da dare una
nuova interpretazione alle Costituzioni statali.
C’è da sottolineare il ruolo che nel tempo ha assunto la giurisprudenza ai fini dell’interpretazione
costituzionale. Una nuova costituzione materiale affidata alla giurisprudenza in misura maggiore
che alle forze politiche e che viene detta costituzione “vivente”. Le Corti costituzionali sono
diventate sempre più i veri interpreti della Costituzione perché spetta a loro il compito di verificare
la legittimità costituzionale delle leggi. Per fare questo talvolta sono chiamati anche a riformulare il
parametro costituzionale, a reinterpretarlo. A mano a mano hanno elaborato dei nuovi diritti fondati
sull’interpretazione della Costituzione e sono diventate anche giudici dei diritti. E’ giusto affidare a
dei giudici che non hanno legittimazione democratica, cioè non eletti dal popolo, di cambiare le
Costituzione, anche se non quella formale ma quella materiale, senza alcuna responsabilità delle
scelte davanti al corpo elettorale? A questa obiezione si è più volte risposto che la Corte non ha
bisogno di una legittimazione di tipo elettorale in quanto trae la sua legittimazione dalla
Costituzione stessa perché è essa che riconosce il ruolo della Corte.
La Costituzione materiale passa attraverso una legge che è la sua norma fondamentale. Per quanto
riguarda la forma di governo vi è una legge, quella elettorale, la cui modifica può cambiare le regole
della Costituzione materiale, cambia l’assetto dei rapporti che si vengono a determinare fra le forze
politiche perché determina il nascere di maggioranze coese.
Costituzioni rigide e costituzioni flessibili. La rigidità fa si che la Costituzione sia legge superiore
rispetto alle leggi mentre invece la flessibilità riduce la Costituzione al pari di una legge. Una
differenza profonda e radicale. La si ritiene flessibile quando per cambiarla si ricorre allo stesso iter
che regola il procedimento legislativo. E’ rigida invece quando le procedure per cambiarla sono
determinate da una serie di passaggi complessi, aggravati. La rigidità della Costituzione attiene alla
Costituzione formale in quanto in essa sono contenute le regole per cambiarla. La rigidità riguarda il
momento della revisione della Costituzione ma da un punto di vista sostanziale la Costituzione è
soggetta a continue trasformazioni e modificazioni che non passano attraverso le procedure di
revisione e che quindi derogano al principio di rigidità. Per esempio il nostro art. 11 ha consentito
che l’Italia partecipasse all’UE senza che nella Costituzione si parli da nessuna parte di Europa.
Possiamo dire allora che le Costituzioni portano in sé una doppia anima, la rigidità e la flessibilità.
Se le Costituzioni non sarebbero in grado di recepire i cambiamenti della società il rischio sarebbe
quello di creare una forma di rigidità tale la cui interpretazione porterebbe alla rottura della norma
stessa.
Costituzioni scritte, consuetudinarie, brevi e lunghe. A non avere una Costituzione, quindi con
una Costituzione consuetudinaria e non scritta, è rimasta in effetti solo la Gran Bretagna in quanto
anche Paesi come Canada, Nuova Zelanda ed altri facenti parte del Commonwealth si sono dati una
Costituzione scritta. La differenza tra brevi e lunghe non attiene alla dimensione ma è data piuttosto
dalla analiticità degli articoli che compongono la Costituzione cioè di quanto gli articoli entrano nel
dettaglio. La brevità quindi è data dall’essenzialità della norma, il fatto che enunci solo il principio,
la lunghezza è data dal fatto che la norma entri nel dettaglio, nella specificità. La Costituzione lunga
pretende di disciplinare con la propria forza di fonte primaria del diritto alcune fasi organizzative
del paese, i diritti, i poteri, le garanzie, l’assetto territoriale, etc. mentre la Costituzione breve si
fonda su principi e riserva un maggior potere di intervento al legislatore senza vincolare nel tempo
le generazioni future. Fine prima parte
Le dinamiche della costituzione. Le Costituzioni sono degli oggetti in movimento, la loro
dinamicità è data dai soggetti che possono compiere certe azioni, che esercitando i poteri che la
Costituzione stessa gli attribuisce danno alla stessa un certo movimento. Le dinamiche attengono a
tutte quelle situazioni che consentono il movimento della Costituzione, sia quelle previste dalla
Costituzione stessa per cambiarla, interpretarla, modificarla o emendarla sia quelle extracostituzionali che contribuiscono alla dinamicità stessa ovvero le prassi, le convenzioni, le
consuetudini, i comportamenti concreti dei soggetti istituzionali.
La revisione della costituzione: problemi e prospettive. Il potere di revisionare è una
caratteristica ineliminabile delle Costituzioni, ognuna deve prevedere una procedura per
modificarla. Un popolo deve avere la possibilità di cambiare le sue regole. Una generazione non
può assoggettare alle sue regole le generazioni future. Ma le norme costituzionali sono soprattutto
principi ed in quanto tali sono formule che hanno una portata generale e che ben si adattano ad
essere di volta in volta integrati sulla base delle scelte legislative.
Le Costituzioni si limitano a fissare dei principi che affondano la loro natura nel sistema
democratico e liberale allora cambiare questi principi, anche solo al fine migliorativo, vorrebbe dire
mettere in discussione la base stessa delle società contemporanee che è quella fondata su un sistema
di tipo democratico-liberale. Proprio per questo la revisione della Costituzione è resa complessa
perché potrebbe cambiare l’organizzazione stessa dello Stato.
Una norma costituzionale fissa dei principi che possono accogliere una determinata legge in un
certo periodo storico ed una diversa in un altro periodo storico. E’ possibile infatti cambiare
radicalmente delle leggi a Costituzione invariata, per esempio si riteneva che l’impossibilità di
divorziare fosse aderente a quanto previsto dalla Costituzione eppure fu possibile introdurlo senza
modificarla.
La revisione delle costituzioni flessibili. La flessibilità è data dal fatto che per modificarla si passa
attraverso la legge ordinaria ovvero con la stessa procedura. Ciò significa che non si può ritenere la
Costituzione una legge superiore. Era lo Statuto Albertino così come diverse Costituzioni francesi e
spagnole che prevedevano la possibilità di modifica con legge ordinaria e quindi Costituzioni
flessibili.
In questo modo non si fissa nessun vincolo alle Assemblee legislative che sono così sovrane anche
rispetto alla Costituzione. L’idea di procedere attraverso lo strumento ordinario per cambiare la
Costituzione la qualifica come un soggetto sempre in movimento, desacralizza la Costituzione, ne
fa un oggetto che si limita a regolare una serie di comportamenti, rapporti, relazioni, istituzioni,
organizzazioni senza farle assurgere a momento fondativo di un’organizzazione statale. Abbiamo
assistito ad un periodo di sacralità della Costituzione giustificato dal fatto che ciò ha contribuito alla
ricostruzione di Stati che sono stati distrutti da regimi totalitari.
La Costituzione Britannica, oggi l’unica non scritta, non è ne flessibile ne rigida ma super rigida in
quanto non essendoci un documento scritto cambiare quelle convenzioni vuol dire cambiare i
comportamenti del cittadino britannico. Cambiare la Costituzione significa cambiare la società,
cambiare il modo di essere del cittadino britannico che per secoli è cresciuto in quel sistema.
La revisione delle costituzioni rigide. Prevedono un meccanismo complesso per la modifica della
Costituzione. Si basano sull’idea che la Costituzione è l’atto fondante di una società e se si vuole
cambiarla ci sono delle procedure aggravate.
Nelle Costituzioni rigide il potere costituente non c’è ma c’è solo il potere costituito. Per esserci il
potere costituente è necessario creare una rottura con l’ordine costituzionale costituito e consentire
la nascita di un organo speciale dotato di mandato costituente in grado di riscrivere per intero la
Costituzione. Il potere costituito invece agisce entro il quadro costituzionale e può modificarlo a
certe condizioni ed a certi limiti.
I limiti alla revisione. Abbiamo due tipi di limiti, quelli procedurali e quelli sostanziali. Entrambi
attengono alla revisione delle Costituzioni rigide. I limiti sostanziali possono distinguersi in limiti
sostanziali di tempo, di circostanza e di contenuto. I limiti sostanziali di tempo sono quelli che
prevedono che per un certo periodo di tempo non si può procedere a revisione della Costituzione.
Sono scritti e previsti nella Costituzione, per esempio quella portoghese prevede che non si può
procedere a revisione costituzionale per 5 anni a partire dall’ultima revisione. L’idea è che una
Costituzione non può essere soggetta a continue modificazioni perché bisogna attendere che la
revisione precedente abbia dispiegato nel tempo i suoi effetti, sia stata assorbita.
I limiti sostanziali di circostanza vietano che si possa procedere a revisione in determinate situazioni
per esempio quelle di emergenza e di tensione quali lo stato di guerra. Delle situazioni che
potrebbero in qualche maniera comportare una emotività tale da condizionare il cambiamento della
Costituzione. Per esempio le Costituzioni portoghese, spagnola, belga che prevedono il divieto di
revisione durante emergenze o tensioni o periodi di grande disagio per il Paese.
I limiti sostanziali di contenuto riguardano il divieto di modifica di alcune norme, alcune parti della
Costituzione. Abbiamo una distinzione tra limiti espliciti ed impliciti. Gli espliciti sono quelli che la
stessa Costituzione prevede, per esempio l’art. 139 della nostra Costituzione, la forma repubblicana
non può essere oggetto di revisione costituzionale. Anche la Costituzione francese e quella greca
contengono limiti espliciti simili. La Costituzione si preoccupa di sottrarre una sua parte al potere
costituito in quanto se le modificasse sarebbe potere costituente. In questo modo però è come se si
considerasse una parte della Costituzione sovra ordinata alle altre parti, ha un valore più forte delle
altre regole costituzionali.
Bisogna a questo punto capire quali sono le norme che attengono alla forma repubblicana e che
quindi non si possono modificare. Quindi si intreccia il contenuto esplicito con quello implicito.
In Costituzione ci sono delle norme che rappresentano i principi supremi che altro non sono quei
principi sottratti a revisione costituzionale. Ma bisogna però capire quali sono i principi supremi,
quali articoli sono sottratti alla revisione. Qualcuno sostiene che è un compito che spetta alla Corte
Costituzionale. In una sentenza del 1988 la Corte chiamò in causa questi principi senza specificarli
ma solo per dichiarare che esistono in Costituzione e che in quanto tali non sono soggetti a
revisione costituzionale.
Le procedure di revisione. Vediamo alcuni meccanismi di revisione che sono presenti negli
ordinamenti contemporanei o lo sono stati nella storia costituzionale.
Il primo è un meccanismo oggi desueto ed è quello che affida ad un’assemblea, un organo speciale,
la revisione. Non si tratta di un’assemblea costituente in quanto è espressione di un potere
costituito. L’assemblea dovrebbe modificare la Costituzione sulla base di un mandato circoscritto a
determinate norme o fattispecie. Le commissioni bicamerali che abbiamo visto in Italia non
avevano il compito di modificare la Costituzione ma solo quello di preparare un testo da sottoporre
poi al Parlamento. Questo meccanismo dovrebbe essere previsto dalla Costituzione stessa o almeno
da una legge costituzionale.
Il secondo meccanismo è quello che affida il compito di revisione all’assemblea legislativa
ordinaria. Questo è previsto in Italia, in Germania, in Portogallo e in Grecia. Il potere in capo
all’assemblea legislativa ordinaria non si esercita per il tramite della procedura ordinaria ma è
garantito da una serie di passaggi obbligati da fare per arrivare alla revisione. Per esempio servono
maggioranze qualificate, sono previste due votazioni con un intervallo di tempo non inferiore a tre
mesi, per la delicatezza della decisione si prevede un periodo di riflessione sulle modifiche che si
stanno per apportare.
Il terzo meccanismo è quello del potere di revisione affidato ad un organo formato da organi già
esistenti, come per esempio in Francia. L’ipotesi è quella del Parlamento convocato in Congresso
cioè l’assemblea legislativa ordinaria forma al suo interno un organo al quale affida il potere di
revisione. Il vantaggio è che il Parlamento non verrebbe tutto assorbito dal procedimento di
revisione ma solo una sua parte.
La quarta ipotesi è quella riguardante l’iniziativa affidata all’assemblea legislativa ordinaria cui
segue lo scioglimento della stessa ed il mandato alla nuova assemblea di approvare la riforma. E’ un
iter abbastanza diffuso, la Svezia, la Danimarca, l’Islanda, il Lussemburgo. L’iniziativa spetta
all’assemblea legislativa ordinaria che esamina un progetto di revisione ma non lo approva ma bensì
si scioglie per consentire che sia la nuova assemblea ad approvare il progetto di revisione. La logica
di questo meccanismo è che l’elezione della nuova assemblea avviene sulla base del mandato
esplicito di approvazione della riforma costituzionale quindi l’elettorato è parte attiva
dell’approvazione della riforma. L’elezione della precedente non aveva questo mandato quindi il
popolo non era parte del procedimento mentre così partecipa all’approvazione votando le forze
politiche in base alla loro posizione rispetto alla riforma. E’ una procedura che garantisce al
massimo il momento della revisione costituzionale.
Altro meccanismo è quello che richiede il coinvolgimento degli Stati membri, è tipico degli Stati
federali, USA, Messico, Canada, Svizzera. Prevede la partecipazione degli Stati membri e
l’approvazione di almeno una parte di essi. E’ un sistema che si fonda sulla divisione del Paese in
Stati e l’unione del Paese stesso è rappresentata dalla Costituzione.
C’è un istituto che viene spesso ad inserirsi nel procedimento di revisione che è quello del
referendum. Abbiamo un referendum eventuale ed uno obbligatorio, cioè solo a determinate
condizioni può essere richiesto. E’ legato alla partecipazione al procedimento di coloro che sono i
destinatari naturali della Costituzione cioè i cittadini.
Il referendum obbligatorio lo abbiamo in Austria, in Svizzera, in Giappone e in Spagna. E’ l’ultima
tappa del percorso che prevede sia l’intervento parlamentare sia quello popolare. Si potrebbe creare
anche un problema nel senso che l’assemblea legislativa potrebbe sentirsi sfiduciata nel momento in
cui il corpo elettorale votasse contro la previsione di revisione. Ci sarebbe uno scollamento tra la
volontà della maggioranza parlamentare e la volontà popolare.
Mentre il referendum obbligatorio ha una funzione di ratifica finale da parte del corpo elettorale
invece il referendum eventuale oltre a questa funzione è pensato per garantire le minoranze. E’ il
caso di quello presente nel nostro ordinamento, l’art. 138 prevede che se non si raggiungono le
maggioranze qualificate, ma solo quelle assolute, allora si può procedere alla revisione ma se
richiesto da 1/5 dei membri di una Camera, 5 consigli regionali o 500.000 elettori si effettua il
referendum. Il referendum costituzionale non ha quorum, l’esito è determinato dalla maggioranza
che va a votare e che si esprime per il si o per il no.
Se il referendum eventuale si basa per garantire le minoranze la vicenda del 2001 in Italia ha
mostrato un altro volto del referendum in quanto è stato richiesto sia dall’opposizione che dalla
maggioranza che aveva approvato la riforma. La maggioranza ha interpretato il referendum come
una sorta di ulteriore ratifica popolare di ciò che era stato deciso a livello parlamentare.
In linea di massima l’iniziativa della revisione spetta al Parlamento e quindi a ciascun parlamentare
che può presentare una proposta di legge di revisione costituzionale ma in alcuni, come in Italia,
può spettare anche al Governo ed al popolo, con l’iniziativa legislativa popolare. Possono essere
tutti o solo alcuni di questi soggetti.
Esistono infine vari gradi di rigidità nel senso che talune revisioni richiedono un aggravamento
ancora più intenso. Per esempio l’art. 132 Cost. italiana prevede che la fusione di Regioni esistenti o
la creazione di nuove richiede, oltre alla legge costituzionale, l’iniziativa da parte di tanti Consigli
comunali che rappresentino 1/3 della popolazione interessata. Inoltre tale proposta va approvata con
referendum da parte della maggioranza delle popolazioni interessate.
Le revisioni totali. Secondo alcuni le revisioni totali non possono essere compiute dal potere
costituito in quanto la revisione o è parziale o non è, la totale invece sarebbe una nuova
Costituzione. Nell’esperienza concreta invece si può procedere a revisione totale della Costituzione,
così è in Svizzera, in Austria, in Olanda ed in Spagna. In questi Paesi il potere costituito non si
trasformerebbe in potere costituente anche se fa un’operazione simile a quella del potere costituente
cioè la modifica completa della Costituzione. La revisione totale compiuta dal potere costituito
incontra dei limiti procedurali che rendono ultra aggravata la modifica stessa. In Spagna, per
esempio, è necessario che la decisione di procedere a revisione totale abbia l’approvazione da parte
della maggioranza dei 2/3 di ciascuna Camera. Se c’è questa maggioranza le Camere vengono
sciolte, si procede a nuove elezioni e le nuove Camere ratificano la decisione e procedono alla
modifica totale sempre con la maggioranza dei 2/3. Ultima tappa finale poi è il referendum
obbligatorio. E’ un procedimento complesso e difficile che garantisce la revisione totale.
C’è chi accosta la revisione totale al potere costituente e quindi sostiene che non dovrebbe
incontrare dei limiti ma nel costituzionalismo di oggi molti autori sostengono che la revisione totale
incontra i limiti dei principi fondamentali.
Le revisioni tacite. Si tratta di quelle revisioni che avvengono senza riscrivere la norma ma
attraverso una sua interpretazione di tipo evolutivo. Ci sono, nel campo dei diritti costituzionali, dei
diritti che sono sorti soltanto dopo il varo della Costituzione, che sono sorti a seguito
dell’evoluzione della società. In questi casi o si riscrive la Costituzione o si procede ad una
revisione tacita facendo sorgere questi diritti attraverso una interpretazione delle norme
costituzionali preesistenti. Ed è quello che si è fatto. Per esempio il diritto alla privacy è sorto con
l’uso dei pc che hanno consentito di immagazzinare dati personali e di trasmetterli per via
tecnologica. Basti pensare ai dati sanitari. Il rischio è che non ci sia abbastanza tutela di questi dati e
che terzi possano venirne a conoscenza. Il diritto alla privacy è diventato un diritto costituzionale
proprio grazie ad una revisione tacita da parte della Corte Costituzionale. I giudici della Corte sono
passati da giudici delle leggi a giudici dei diritti proprio perché riescono attraverso una lettura
interpretativa delle norme costituzionali ad attribuire e a far emergere dei nuovi diritti che possono
godere lo stesso trattamento costituzionale sebbene non risultino espressamente scritti nella
Costituzione.
La revisione tacita vale per i diritti ma anche per i poteri ovvero per l’interpretazione delle norme
costituzionali che concernono l’organizzazione dei poteri, lì valgono le convenzioni, le
consuetudini, la prassi, per esempio tutto ciò che attiene alla formazione di un Governo, passaggi
non presenti in Costituzione ma che sono ritenuti come facenti parte di essa.
Le revisioni tacite oggi sono quelle che hanno contribuito maggiormente alla evoluzione della
Costituzione. Il limite di queste revisioni è che si finisce per attribuire ad un organo, sia esso la
Corte Costituzionale sia esso le forze politiche, un potere che è quasi para costituente cioè di
intervenire nella Costituzione senza che la Costituzione espressamente glielo attribuisce. Insomma
si da ai 15 giudici della Corte un potere che a loro non spetta ai sensi della Costituzione, non sono
legittimati a farlo sulla base di un voto popolare che hanno ricevuto, non rispondono di fronte al
corpo elettorale delle scelte che vanno a compiere.
La revisione tacita ha il vantaggio di essere un’interpretazione che può valere per un certo periodo e
per un altro no ovvero può valere un’altra interpretazione diversa dalla precedente mentre invece la
revisione formale codifica e quindi inscrive nel testo quella certa scelta.
Di modifiche tacite si può parlare anche con riferimento alla ratifica di trattati che incidono sulle
competenze costituzionalmente stabilite. L’istituzione dell’ordinamento comunitario ha inciso sulla
nostra costituzione modificando le norme in tema di esercizio della funzione legislativa e di
monopolio statale della giurisdizione. Alcuni Stati europei hanno addirittura proceduto a revisioni
costituzionali per dare affermare l’obiettivo della comunitarizzazione, dimostrando indirettamente
l’impatto sulla costituzione dei Trattati europei.
Deroga, rottura e sospensione della Costituzione. La deroga alla costituzione è un istituto in virtù
del quale determinate disposizioni sono sottratte al regime costituente ordinario ed invece sottoposte
ad una normativa ad hoc a carattere speciale e/o tendenzialmente limitata nel tempo. Si parla di
solito di rottura della costituzione. Un esempio nel nostro ordinamento è la l. cost. 2/1989 che, in
deroga all’art. 75 Cost., ha consentito lo svolgimento di un referendum di tipo consultivo sull’UE.
In alcuni casi sono le stesse costituzioni che impongono o facoltizzano espressamente discipline
derogatorie, si parla allora di rotture autorizzate mentre nel primo caso di autorotture.
Si ha sospensione invece ogniqualvolta l’intera carta costituzionale o solo determinate disposizioni
vengono in via temporanea rese inefficaci per fronteggiare situazioni di crisi interna o
internazionale (stato di guerra, d’assedio, d’emergenza, ecc.) mediante l’instaurazione di un
ordinamento o regime detto anch’esso di emergenza. Talvolta è difficile distinguerla dalla rottura in
quanto gli elementi differenziatori sono la necessaria temporaneità (nella rottura è solo eventuale) e
l’incidenza che può essere estesa a tutta la costituzione e non solo ad una parte di essa.
Alcune costituzioni stabiliscono dei limiti alla sospensione, per esempio quella portoghese stabilisce
i presupposti per la dichiarazione dello stato di polizia e di quello di emergenza mentre quella del
Sud Africa, nel disciplinare lo stato di emergenza, elenca i diritti non derogabili.
3 Le fonti del diritto comparato
Famiglie e sistemi di produzione del diritto. Per fonti del diritto intendiamo gli atti o fatti idonei a
produrre diritto ma anche i soggetti che producono il diritto. L’organizzazione di questi meccanismi
che stanno alla base della produzione del diritto viene ricondotta a sistema per vedere come le varie
fonti si atteggiano l’una nei confronti dell’altra, se l’una è superiore o subordinata all’altra, se l’una
è differente dall’altra. Troviamo sia atti formali che troviamo in testi, scritti e pubblicati, sia fatti,
comportamenti la cui ripetizione nel tempo consente che abbiano una loro pregnanza giuridica e che
quindi vengono qualificati come fonti. Anche le sentenze dei giudici sono atti che producono diritto,
per esempio nei sistemi di common law. Ci sono dei Paesi dove il diritto è frutto della dialettica
democratica e generato da soggetti a cui è demandata questa funzione mentre ne abbiamo altri dove
la produzione del diritto è condizionata sia dalla religione che dalla politica, per esempio il diritto
islamico dove le leggi altro non sono che la diretta applicazione dei dettami religiosi provenienti dal
Corano. Laddove la legge è riferibile alla Costituzione viene dichiarata illegittima se contrasta con
le norme costituzionali, in quei Paesi dove la religione è la fonte del diritto la legge deve essere
parametrata ai dettami religiosi. Altro fenomeno che deroga al principio della legge quale
espressione della volontà generale è quello dove è l’ideologia politica a condizionare la scelta
legislativa cioè avviene la scelta ideologica è monotematica, non c’è possibilità di pluralità di scelta
ideologico-politica, allora la fonte del diritto è proprio quella scelta ideologico-politica (ci troviamo
alla presenza di un partito unico, per esempio Cuba).
Le grandi famiglie a cui si fa riferimento nell’ambito delle fonti del diritto comparato sono due,
quella di common law, che caratterizza i Paesi di matrice anglosassone, e quella di civil law cioè di
diritto codificato, scritto, tipica dei Paesi romano-germanici. 26.05
La Consuetudine e le convenzioni. La consuetudine è composta da un elemento oggettivo, la
ripetizione costante di un comportamento, al quale si associa via via nel corso del tempo la
convinzione che sia obbligatorio conformarsi alla condotta dei predecessori. E’ una fonte del diritto
che però in quello comparato ha subito una drastica riduzione. E’ presa in considerazione per lo più
nei codici civili e non ha per oggetto la disciplina costituzionale. Abbiamo consuetudini praeter
legem, quando opera solo negli spazi lasciati scoperti dalle altre fonti, e consuetudini secundum
legem, quando opera per un espresso rinvio ad essa da parte del legislatore. Molto spesso si tratta di
consuetudini interpretative.
Le convenzioni costituzionali si affiancano a norme costituzionali per sostituirle in tutto o in parte e
riguardano soprattutto le attività dei soggetti sovrani. Per esempio in Inghilterra la designazione a
Primo Ministro da parte della Regina del leader del partito di maggioranza nella Camera dei
Comuni è di origine convenzionale. Analogamente la nomina a Ministro dei soggetti indicati a lei
dal Primo Ministro. Molto spesso normative sorte su base convenzionale si trasformano in regole
consuetudinarie. Possono essere quindi considerate massime di comportamento costituzionale ma
che tuttavia non vengono fatte valere dagli organi giudiziari. Ultimamente si è giunti anche ad
ammettere la giustiziabilità delle stesse convenzioni (in Canada e Israele).
I principi generali del diritto. Con questa espressione si intendono i principi generali
dell’ordinamento giuridico dello Stato. Sovente è il legislatore che qualifica una disposizione “di
principio” ma più spesso sono la dottrina e soprattutto la giurisprudenza a qualificarla come tale. I
principi assolvono a 3 funzioni: agevolano l’interpretazione della legge, integrano il diritto
codificato (art. 12 preleggi del c.c. se una controversia non può essere decisa con una disposizione
si ha riguardo a quelle che regolano casi simili o materie analoghe, se il caso rimane ancora dubbio
si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato) e servono per limitare
l’ambito di competenza di organi e enti. Non possono essere considerati come fonti del diritto.
Common law e civil law. Si intende per famiglia quell’insieme di ordinamenti che presentano tra di
loro significative somiglianze tra gli elementi fondamentali e stabilizzati delle loro fonti. Per civil
law si intende il complesso di ordinamenti giuridici statali che ritrovano nel ceppo del diritto
romano-germanico i principi fondamentali della propria struttura. Mentre per common law si denota
il tipo di organizzazione giuridica propria dell’Inghilterra.
La codificazione. La codificazione ottocentesca fu il momento culminante della contrapposizione
delle due famiglie. Con i codici si affermò il modo francese di fare diritto mentre nel mondo inglese
continuò ad affermarsi il primato delle regole create dai giudici. Anche se l’esperienza anglosassone
si sviluppò sotto il segno dell’oralità non è giusto parlare di common law come diritto non scritto in
quanto l’accertamento della giurisprudenza esige la raccolta dei casi decisi nelle corti.
Il costituzionalismo. Le codificazioni di fine ‘700 hanno coinvolto soprattutto le fonti
costituzionali ed il prototipo fu proprio la costituzione federale statunitense (1787). La differenza tra
le due famiglie è attenuata da diversi elementi comuni quali la rigidità delle costituzioni, il
sindacato delle leggi, i principi fondamentali che sono alla base della tutela dei diritti.
Le fonti di civil law. La codificazione europea. Dall’800 in gran parte d’Europa la legge per
antonomasia è il codice, un libro di regole giuridiche organizzate secondo un sistema, caratterizzate
dall’unità di materia, vigente in tutto lo Stato, voluto e pubblicato dall’autorità politica statale,
abrogante tutto il diritto precedente sulla materia da esso disciplinata. In particolare abbiamo la
codificazione francese, principalmente i codici napoleonici, quella tedesca e quella svizzera. I
codici francesi vennero esportati in ogni altra regione d’Europa e del mondo.
La costituzione come fonte delle fonti. Le costituzioni enunciano la loro supremazia nei confronti
delle altre fonti legali, o esplicitamente o indirettamente introducendo il controllo di legittimità.
Disciplinano la legge ed il suo procedimento di formazione, gli atti aventi forza di legge, le fonti
atipiche e quelle degli stati membri o delle Regioni ma mancano di una esauriente normativa delle
fonti minori locali, e mai o quasi mai si occupano dell’interpretazione, dell’abrogazione,
dell’efficacia delle norme nello spazio. Il compito di interpretare le leggi è attribuito più
frequentemente alla suprema magistratura ordinaria. Numerosi testi sanciscono il principio
dell’irretroattività della legge penale ma solo sporadicamente si rinviene un tale divieto per la legge
ordinaria o fonti equiparate.
Il sistema delle fonti tra gerarchia e competenza. Il sistema delle fonti si è arricchito di una
molteplicità di atti che leggi non sono pur essendo muniti della forza di resistere all’abrogazione,
inoltre il nome “legge” viene utilizzato per designare anche alcuni atti di enti autonomi (ad es. le
leggi delle Regioni). Il criterio di gerarchia, che per le costituzioni flessibili era composto solo di 3
gradini (leggi, regolamenti, usi), si rivela inidoneo a comporre le antinomie tra le fonti. In suo luogo
assume un rilievo via via crescente il criterio di competenza. I rapporti tra la legge ordinaria e la
sterminata tipologia di fonti atipiche solo in qualche caso sono ispirati al criterio di gerarchia, per lo
più la divisione corre sul filo della competenza.
Il procedimento di formazione della legge. Viene scomposto in 3 fasi: l’iniziativa, l’approvazione
e la pubblicazione. In tutti gli ordinamenti l’iniziativa spetta alle Camere e di solito può esercitarsi
su tutte le materie. Esistono tuttavia un limite soggettivo, la proposta può essere depositata nella
sola Camera di appartenenza, ed uno oggettivo, particolari riserve di iniziativa a favore del Governo
riguardo a certe materie(schema di bilancio, rendiconto, ratifica dei trattati, etc.). Nei sistemi a
bicameralismo imperfetto spesso le Camere basse hanno una posizione di preminenza su quelle alte
riguardo alla fase dell’iniziativa, il alcune materie l’iniziativa spetta solo a loro. Mentre negli USA
l’iniziativa compete solo ai membri della Camera e del Senato, nelle forme di governo parlamentari
e semipresidenziali spetta pure al Governo e spesso ad altri soggetti. Quasi tutte le costituzioni
riservano al Governo le leggi di bilancio e quelle finanziarie. In alcuni casi l’iniziativa è estesa
anche al popolo (Italia, Spagna), agli enti territoriali o, più di rado, alle commissioni parlamentari, a
formazioni sociali, sindacati, etc..
L’esame del testo si svolge generalmente con l’antico sistema inglese delle 3 letture. La prima
avviene in aula in forma di annuncio del deposito, la seconda nella commissione competente, si
vagliano e/o approvano eventuali emendamenti, e la terza avviene di nuovo in aula per l’esame
finale del testo. In buona parte dei Parlamenti europei il testo viene immediatamente sottoposto
all’attenzione delle commissioni, competenti ad esaminarlo (le commissioni deliberanti previste in
Italia rappresentano un’eccezione). Per le modalità di voto, prevalentemente la regola è quella della
maggioranza dei presenti (relativa) ma non è esente da eccezioni. Solitamente abbiamo una
situazione di parità tra le due Camere, il testo deve essere approvato da entrambe, ma in alcuni casi
si registra una prevalenza della Camera bassa.
Quasi ovunque è ravvisabile un potere di veto o di rinvio da parte del Capo dello Stato che può
essere superato con una nuova approvazione a maggioranza semplice del Parlamento, solo alcune
costituzioni prevedono la maggioranza assoluta o maggioranze qualificate.
In tutti gli ordinamenti l’efficacia della legge è subordinata alla sua pubblicazione su un giornale
ufficiale decorso un termine variamente commisurato.
Leggi delegate e decreti legge. Con le leggi delegate il Parlamento concede un’autorizzazione, una
delega al Governo a regolare una determinata materia. Non sempre le costituzioni hanno reputato
necessario disciplinare la legislazione delegata e spesso questa si è imposta in via di prassi. Alcune
costituzioni lo disciplinano secondo uno schema trinario, autorizzazione-ordinanza-ratifica, altre
tracciano un iter binario, legge di delegazione e legge delegata.
Con i decreti legge è il Governo ad assumere un atto e poi lo sottopone al Parlamento. Gli schemi
seguiti sono 3: raramente sono espressamente vietati, più di frequente la costituzione tace, talora
sono espressamente ammessi ma è obbligatoria una ratifica parlamentare. Se ne fa uso soprattutto
per due finalità: far fronte a situazioni di calamità naturali e introdurre misure fiscali senza dar
luogo a speculazioni. L’esistenza del requisito dell’urgenza e/o della necessità viene valutata o dal
Parlamento o dall’organo di giustizia costituzionale.
Le fonti degli enti territoriali. Negli ordinamenti federali o regionali, oltre alle fonti dello Stato
centrale operano anche quelle degli enti territoriali (Stati membri, Regioni, Lander, Province,
Cantoni, Comunità autonome, ecc.). La validità delle leggi degli organi decentrati è subordinata al
rispetto della norma base di ciascun ente periferico (oltre che alla costituzione complessiva) e ad
altri limiti quali le leggi dello Stato. Negli ordinamenti federali europei (Germania, Austria,
Svizzera, Belgio) l’autonomia legislativa degli ordinamenti decentrati si spiega nelle materie non di
competenza dell’Assemblea nazionale ed in materie definite concorrenti. Negli ordinamenti
regionali europei (Italia, Spagna) abbiamo una competenza esclusiva dello Stato in alcune materie,
una concorrente con gli Enti territoriali ed una residuale degli stessi.
Le fonti comunitarie. L’istituzione della Comunità Economica Europea, e dell’UE oggi, ha
determinato l’ingresso negli ordinamenti dei Paesi membri di due nuove categorie di fonti: le
direttive e i regolamenti. I regolamenti si impongono per forza propria, sono direttamente
applicabili in tutti i loro elementi vincolando le autorità e i privati in virtù della forza a essi
attribuita. Le direttive obbligano invece gli organi statali o decentrati ad assumere atti idonei ad
assicurarne la trasposizione nell’ordinamento interno, salvo il caso in cui siano autoapplicative. Il
diritto comunitario prevale sulle norme interne precedenti, precludendone l’applicazione, mentre
resiste all’abrogazione ad opera della legge o di altri atti interni successivi.
Il referendum come fonte del diritto. Tra le fonti va annoverato anche il referendum abrogativo,
rarissimo nel diritto comparato e che conosce una continua applicazione solo in Italia. L’indole di
fonte non va attribuita al risultato referendario ma all’atto con cui il Capo dello Stato recepisce la
volontà del popolo di abrogare una legge. Tra le fonti del diritto debbono essere annoverate anche le
sentenze dei tribunali costituzionali munite di efficacia erga omnes. Infine, a seconda
dell’ordinamento, i regolamenti parlamentari possono essere considerati fonti legali del diritto
oppure regole di natura meramente interna.
Le forme di Stato.
Forme di Stato nel rapporto centro-periferia. Con il termine forma di Stato si sta ad indicare
l’insieme dei principi e delle regole fondamentali che caratterizzano un ordinamento statale e che
disciplinano i rapporti fra lo Stato e la comunità dei cittadini, singoli o associati. Tuttavia spesso il
termine è impiegato per intendere le regole che disciplinano i rapporti fra lo Stato centrale e gli enti
autonomi territoriali operanti al suo interno. Molti autori in questo secondo caso usano il termine
tipo di Stato.
Stato unitario e Stato composto. Nello Stato unitario il potere è attribuito solo allo Stato centrale o
a soggetti periferici da esso dipendenti (decentramento burocratico). Nello Stato composto il potere
viene distribuito tra Stato centrale ed enti territoriali titolari di poteri propri, anche legislativi e di
indirizzo politico, e dotati di organi rappresentativi delle popolazioni locali (decentramento politico
o istituzionale, le istituzioni sono distinte e autonome rispetto a quelle statali).
Lo Stato federale. Nasce storicamente per associazione o integrazione di Stati indipendenti ma in
alcuni casi si costituisce per dissociazione di un precedente Stato unitario. I caratteri giuridici che lo
contrassegnano sono:
- l’esistenza di un ordinamento federale che riconosce l’autonomia di enti politici territoriali
collocati fra lo Stato e gli enti locali, i quali hanno proprie costituzioni subordinate a quella
federale;
- la previsione nella costituzione federale della ripartizione delle competenze fra Stato
centrale e Stati membri;
- l’assetto bicamerale del Parlamento, costituito da una Camera espressione dell’intero corpo
elettorale nazionale e da una seconda Camera rappresentativa degli Stati membri. Essa può
essere composta in base ad un principio paritetico, che attribuisce ad ogni Stato lo stesso
numero di rappresentanti, o differenziato in relazione alla popolazione degli Stati membri;
- una composizione del Governo rappresentativa della natura composita dello Stato;
- la partecipazione degli Stati membri al procedimento di revisione costituzionale, che può
esercitarsi o indirettamente, tramite la seconda camera, o direttamente, attraverso
l’approvazione dei Parlamenti statali, oppure con il voto diretto del corpo elettorale;
- l’istituzione di un organo federale di tipo giurisdizionale, al quale è attribuito il potere di
risolvere i conflitti tra Stato federale e Stati membri.
L’evoluzione degli Stati federali. La distinzione principale è quella tra modello anglosassone
(o statunitense) e modello europeo (o tedesco). Per quanto riguarda il riparto delle competenze
legislative, nel primo modello vi è la tendenza a distinguere rigidamente le competenze
esclusive del Governo centrale e di quelli periferici mediante l’elencazione delle materie di
competenza del Parlamento federale e l’attribuzione dei poteri residui agli Stati membri. Anche
negli Stati federali europei questa clausola è disposta a vantaggio degli Stati membri, ma in
Svizzera e Germania è costituzionalmente prevista un’ampia fascia di competenze legislative
concorrenti nella quale lo Stato fissa solo i principi ed in alcune materie può intervenire anche
con normative di dettaglio.
Questa differenza si riflette sul riparto delle funzioni amministrative, mentre nei Paesi
anglosassoni gli Stati membri sono responsabili nelle stesse materie sia della legislazione che
dell’esecuzione delle leggi, in Svizzera e Germania abbiamo un federalismo di esecuzione, al
predominio federale nella legislazione corrisponde un intervento preponderante degli Stati
membri nell’amministrazione e quindi nell’esecuzione delle scelte normative.
Con l’affermarsi dello stato sociale gli Stati federali manifestano alcune linee di tendenza
comuni. Innanzitutto si rafforza il ruolo dello Stato centrale, poi si afferma il federalismo
cooperativo ovvero si fa strada l’idea che qualsiasi attività pubblica di rilievo,
indipendentemente dalla relativa competenza, deve essere oggetto dell’intervento congiunto e
coordinato dei diversi livelli di governo. Il federalismo cooperativo è caratterizzato
dall’affermarsi di 3 principi fondamentali: il principio di sussidiarietà, il federalismo fiscale ed il
principio di collaborazione.
Il principio di sussidiarietà comporta che gli interventi del livello superiore di governo siano
giustificati solo quando non possono essere efficacemente compiuti dal livello inferiore o
allorché sia in gioco l’interesse nazionale o l’esigenza di un’uniforme disciplina della materia.
Il federalismo fiscale comporta che ogni livello di governo si procuri autonomamente, mediante
tributi propri, risorse adeguate all’esercizio delle proprie competenze e al volume delle spese,
salvi restando gli interventi redistributivi e perequativi da parte dello Stato. In realtà in nessuno
Stato federale le entità federate godono di un’autonomia esclusiva nella percezione delle entrate,
lo Stato centrale non solo gestisce una quota non irrilevante delle risorse finanziarie, ma
predetermina o condiziona l’assetto dei sistemi locali di prelievo fiscale ed incide sulla
distribuzione effettiva delle risorse attraverso interventi finanziari di vario tipo.
Il principio di collaborazione comporta che una gestione ottimale delle risorse renda
indispensabili forme di accordo e di cooperazione fra i diversi livelli di governo, che possono
essere orizzontali, quando riguardano le entità federate, e verticali, allorché intercorrono fra il
governo centrale e quelli periferici. Inoltre la cooperazione può essere istituzionalizzata o
spontanea, quella istituzionalizzata può essere obbligatoria o facoltativa. La cooperazione può
avere ad oggetto l’attività normativa o, più frequentemente, quella amministrativa.
Lo Stato regionale. Deriva dalla suddivisione in nuove entità territoriali autonome di Stati
caratterizzati da una forte tradizione centralistica. I caratteri che distinguono lo Stato regionale
da quello federale sono i seguenti:
- il riconoscimento nella costituzione statale di enti territoriali autonomi dotati di propri
statuti;
- l’attribuzione costituzionale alle Regioni di competenze normative e amministrative;
una partecipazione limitata all’esercizio di funzioni statali e in particolare a quella di
revisione costituzionale;
- l’attribuzione alla Corte costituzionale del potere di risolvere i conflitti fra lo Stato e le
Regioni.
Il termine Regione può assumere 3 significati diversi:
- di semplice circoscrizione o ufficio di decentramento burocratico, non si da vita ad un
livello intermedio di governo fra Stato ed enti locali;
- di Regione amministrativa, ente territoriale dotato di autonomia amministrativa ma non
legislativa;
- di Regione politica, occorre che siano basate sull’elettività dei titolari degli organi di
governo, che siano libere di determinare un autonomo indirizzo politico-amministrativo ed
esercitino la potestà legislativa.
Distinguiamo inoltre tra regionalizzazione omogenea, c’è una disciplina uniforme dell’ente
regionale, e differenziata, prevede livelli di autonomia differenziati tra le diverse Regioni.
Dal punto di vista del riparto delle competenze legislative, in passato era prevista
un’elencazione di quelle regionali e la competenza residuale veniva attribuita allo Stato. Oggi
questo criterio è stato ribaltato attribuendo alle Regioni la potestà legislativa nelle materie non
espressamente riservate allo Stato.
Si può quindi parlare di Stato regionale solo quando le Regioni sono previste nella costituzione,
si caratterizzano come ente politico autonomo, ricoprono l’intero territorio nazionale e sono
titolari di competenze legislative.
L’evoluzione degli Stati regionali. Abbiamo due tendenze, la prima consiste nel rafforzamento
delle condizioni di autonomia e dei poteri delle Regioni. La seconda consiste nello sviluppo del
regionalismo cooperativo e si realizza o attraverso la partecipazione delle Regioni alla
formazione dell’indirizzo politico statale o mediante un insieme di strutture e di procedure di
raccordo, volte a garantire l’integrazione tra sfere di attività statali e regionali non più
rigidamente separate.
Lo Stato federale e quello regionale non costituiscono forme o tipi di Stato distinti e
inconciliabili, ma sono due manifestazioni dei processi di decentramento politico che
caratterizzano gran parte degli Stati democratici contemporanei. Nella forma di Stato
democratico-pluralista distinguiamo tra due diversi tipi di Stato a seconda della diversa
articolazione del potere sul territorio: quello unitario, basato su un decentramento di tipo
burocratico o istituzionale prevalentemente amministrativo, e quello decentrato (o
autonomistico), basato su un decentramento istituzionale di tipo politico. All’interno dello Stato
decentrato la distinzione tra regionalismo e federalismo incide sull’assetto e sul funzionamento
degli organi di governo dello Stato, ma anche sulla distribuzione di poteri fra Stato centrale e
autonomie territoriali.
La forma di Stato dell’UE. Gli organi:
Il Consiglio europeo, composto dai Capi di Stato o di Governo dei Paesi membri, definisce gli
orientamenti politici generali e dà gli impulsi necessari allo sviluppo dell’Unione.
La Commissione europea, composta da 27 membri, con un Presidente scelto dai Governi e poi
approvato dal Parlamento. Dura in carica 5 anni ed è titolare di poteri di iniziativa in materia
normativa, di esecuzione delle politiche comunitarie e di controllo degli Stati membri.
Il Consiglio dell’UE, composto dai Ministri dei Paesi membri competenti nella materia
all’ordine del giorno, è titolare, da solo o con il Parlamento, del potere di adottare le norme
comunitarie, il bilancio, gli atti comunitari non normativi.
Il Parlamento europeo, composto da deputati eletti per 5 anni a suffragio universali e diretto dai
popoli dei 27 Stati membri, svolge, oltre alle originarie funzioni consultive, anche funzioni
decisionali: partecipa alla funzione legislativa con poteri di codecisione in alcune materie,
adotta in via definitiva il bilancio, da il parere sull’adesione di nuovi Stati, può approvare a
maggioranza dei 2/3 una mozione di censura nei confronti della Commissione.
-
La Corte di giustizia delle comunità europee, composta da 27 giudici e 8 avvocati generali,
nominati dai Governi per 6 anni, decide sui conflitti riguardanti l’interpretazione e
l’applicazione del diritto comunitario, su iniziativa degli Stati, delle istituzioni comunitarie e dei
privati. Inoltre si pronuncia sui ricorsi dei giudici nazionali in materia di interpretazione e
legittimità di una norma comunitaria. Nel 1988 è stato istituito anche un Tribunale di primo
grado che ha competenze più limitate.
Non è facile definire la natura giuridica dell’Unione. Alcuni aspetti sembrano assimilarla a una
Confederazione di Stati in quanto nasce in base ad un trattato di diritto internazionale che può
essere modificato solo con l’assenso di tutti gli Stati, questi mantengono il diritto di recesso.
Mentre altri sono tipici di uno Stato federale, l’Unione ha come soggetti di diritto non solo gli
Stati ma anche i cittadini, il principio del primato del diritto comunitario su quello interno nei
settori di competenza dell’Unione comporta una limitazione di sovranità degli Stati membri,
l’ordinamento comunitario è dotato di autonomi poteri normativi, amministrativi e
giurisdizionali.
Il Trattato di Lisbona del 2007, recependo alcune innovazioni contenute nel progetto di
costituzione europea bocciato dagli Stati, conferisce all’UE personalità giuridica (potere di
stipulare trattati internazionali), introduce il mandato di 2 anni e mezzo della Presidenza del
Consiglio UE, prevede la figura dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di
sicurezza, ecc.. E’ stato ratificato da tutti gli Stati tranne l’Irlanda.
L’UE è oggi difficilmente inquadrabile nelle categorie tradizionali di tipo di Stato, si può
comunque affermare che oggi il suo ordinamento si configura come un ordinamento federativo.
Forme di Stato e rapporto individuo-autorità. La prima classificazione è quella di Aristotele
che distingue le forme di governo a seconda del numero dei soggetti titolari della sovranità:
monarchia, aristocrazia e politèia (rispettivamente governo di uno, di pochi, di molti). Queste
sono le forme buone di governo, alle quali corrispondono quelle degenerate: tirannia, oligarchia,
democrazia. Poi c’è stata la distinzione fra Monarchia e Repubblica, superata durante il secolo
scorso con l’affermarsi del principio repubblicano. Oggi abbiamo due grandi categorie: lo Stato
democratico e lo Stato autocratico. Il primo si fonda sulla titolarità collettiva e su un esercizio
ripartito del potere, su una modalità di formazione delle decisioni basata sul consenso popolare
e sulle finalità proprie di un’ideologia liberaldemocratica. All’opposto lo Stato autocratico è
caratterizzato dalla titolarità ristretta e dall’esercizio accentrato del potere, dall’assunzione e
attuazione delle decisioni basata sull’imposizione.
Democrazia e liberalismo. Lo Stato democratico è definito oggi come un sistema pluripartitico
nel quale la maggioranza governa nel rispetto dei diritti delle minoranze ed un insieme di
principi e di valori sancito a livello costituzionale e condiviso dalla società. Lo Stato autocratico
comprende invece tutte le esperienze che non possono essere qualificate come democratiche (lo
Stato socialista e quello fascista per esempio). Il termine autocrazia significa governo di uno e
ricopre concetti come quello di dittatura, di regime autoritario e di regime totalitario.
La dittatura è la concentrazione del potere nelle mani di un organo (di solito monocratico), non
costituisce una forma di Stato a sé ma è una fase transitoria che si conclude o con il ritorno al
funzionamento normale dell’ordinamento preesistente o con il suo definitivo superamento e la
creazione di un nuovo ordinamento.
Il regime autoritario si fonda su una forte concentrazione del potere, un basso livello di
consenso e di mobilitazione popolare, l’uso della forza e la repressione dell’opposizione.
Il regime totalitario ha l’aspirazione di occuparsi di ogni aspetto della vita sociale. Sono
caratteristiche essenziali: un’ideologia ufficiale dello Stato, il partito unico, il capo carismatico
che è alla testa del partito, una mobilitazione permanente delle masse attraverso la costante
ricerca del consenso popolare tramite metodi di tipo plebiscitario ed una struttura di tipo
poliziesco.
E’ possibile esaminare le diverse forme di Stato, seguendone l’evoluzione storica, con i seguenti
criteri:
-
la natura del rapporto tra Stato e società civile;
l’individuazione del titolare del potere politico e del modo di esercizio dello stesso;
la derivazione del potere e quindi l’individuazione della sua fonte di legittimazione;
il riconoscimento o meno dei diritti di libertà e delle garanzie della loro effettività;
l’esistenza o meno di una costituzione e il ruolo svolto da questa nella regolazione dei
rapporti fra Stato e società e fra pubblici poteri.
Applicando tali criteri si può operare la distinzione fra Stato assoluto, Stato liberale e,
nell’ambito dello Stato contemporaneo, fra Stato democratico, Stato autoritario, Stato socialista.
Di forma di stato si può parlare solo dopo la nascita degli Stati-nazione, che prende avvio dalla
metà del XIV sec., quindi non è tale l’ordinamento feudale che si afferma dal IX al XII secolo.
In esso vi è una totale identificazione fra la persona fisica del Signore (o del Re) e la proprietà
privata della terra, non un unico ordinamento sovrano ma una pluralità di ordinamenti autonomi,
non si può parlare di veri e propri diritti di libertà, non esiste una costituzione.
Dallo Stato assoluto allo Stato democratico. Costituisce la prima forma di Stato. Con
l’assolutismo nasce lo Stato-apparato che persegue per nome e per conto del Re fini di tipo
pubblicistico. Gli elementi che lo costituiscono sono: un corpo amministrativo-burocratico di
funzionari stipendiati, un esercito permanente ed un sistema di esazione dei tributi. Inoltre viene
stabilita la distinzione fra patrimonio privato del Re e patrimonio pubblico che è inalienabile e
indisponibile. Il potere del Re è di origine divina e si trasmette per via ereditaria. La
rappresentanza nelle grandi Assemblee medievali si configura come un rapporto di diritto
privato, nel quale il rappresentante agisce come mandatario legato a vincoli e direttive da parte
dei rappresentati.
Nello Stato assoluto non si hanno diritti ma solo pretese di natura privatistico-patrimoniale, di
cui sono titolari coloro che possono vantare un titolo di proprietà.
La fine dello Stato assoluto è dovuta a fattori finanziari, economico-sociali e politiche, e porta
alla formazione dello Stato liberale caratterizzato dal modo di produzione capitalistico basato
sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, sulla libera concorrenza, sulla ricerca del
profitto e sulla centralità del mercato. Le caratteristiche dello Stato liberale:
- la netta distinzione tra sfera pubblica, che ha per oggetto essenzialmente il mantenimento
dell’ordine e l’uso legale della forza all’interno ed all’esterno, e sfera privata, nella quale si
esplicano liberamente i rapporti economici e gli interessi privati;
- un principio cardine è la separazione dei poteri. Montesquieu sottolineava come tra i 3 poteri
dovessero esistere forme di reciproco controllo e condizionamento, al fine di evitarne la
degenerazione, ma nell’applicazione pratica si verifica una combinazione fra il principio
della separazione e quello della collaborazione fra di essi;
- il principio della rappresentanza politica, viene sancito il divieto del mandato imperativo, gli
eletti rappresentano l’intera nazione e quindi l’interesse generale. Lo Stato liberale però è
monoclasse in quanto attraverso il suffragio ristretto, basato sul censo o sul reddito, esclude
dal voto la maggioranza del popolo e i rappresentanti sono appartenenti alle classi più
agiate;
- il riconoscimento costituzionale dei diritti di libertà anche se riconosciuti con notevole
diversità di ampiezza e di garanzie nei vari ordinamenti;
- infine la costituzione quale atto fondamentale che assicura la garanzia dei diritti e stabilisce
la separazione dei poteri. Si configura come legge superiore alla legge ordinaria solo
laddove è il frutto di un processo rivoluzionario o dell’ottenimento dell’indipendenza
nazionale, mentre è di fatto derogabile dalla legge quando deriva da una concessione del
monarca o ha un’origine compromissoria.
Lo Stato democratico fa propri principi e istituti di origine liberale ma li estende a ceti sociali
che prima ne erano esclusi e introduce nuovi valori e istituzioni. Si attenua la separazione tra
Stato e società e fra politica ed economia. La società non è più concepita come una sommatoria
di individui ma anche come un insieme di gruppi organizzati che esprimono bisogni, interessi e
volontà diversificati. L’economia diventa oggetto di decisioni politiche, l’intervento dello Stato
è volto a garantire da un lato la libera concorrenza e dall’altro il soddisfacimento di primari
interessi sociali e il rispetto della dignità della persona umana. Lo Stato democratico è
qualificato infatti come Stato sociale in quanto opera una redistribuzione del reddito al fine di
ridurre le disuguaglianze e favorire l’integrazione delle classi più deboli.
Nascono i partiti politici che costituiscono il principale canale di collegamento fra comunità
sociale e soggetti pubblici. La sovranità appartiene al popolo che la esercita attraverso la
democrazia rappresentativa. E’ uno Stato rappresentativo ma, a differenza di quello liberale, è
pluralistico o pluriclasse, infatti viene riconosciuto il suffragio universale.
Il principio del pluralismo significa che l’ordinamento statale riconosce e garantisce l’esistenza
e l’attività di una pluralità di gruppi economico-sociali, religiosi, etnici, culturali (pluralismo
sociale), il pluripartitismo (pluralismo politico) e diversi livelli di governo territoriali
(pluralismo territoriale).
Accanto ai tradizionali diritti civili si affermano altri diritti che si configurano come libertà
positive (si richiede un intervento dello Stato per la loro realizzazione), i diritti politici, tutti i
cittadini possono partecipare attivamente alla vita pubblica sia individualmente che
collettivamente, e i diritti sociali, diritti ad ottenere prestazioni dello Stato.
Infine lo Stato democratico è uno Stato costituzionale, le costituzioni sono aperte, affermano
principi basati su valori condivisi dal corpo sociale, sono lunghe, contengono le dichiarazioni
dei diritti e disciplinano ampiamente i rapporti tra i poteri pubblici, e sono rigide, la superiorità
sulle altre fonti è assicurata dalla previsione di un procedimento aggravato per la propria
revisione.
La diffusione del modello democratico liberale. La diffusione si è manifestata in 4 fasi
successive: nell’immediato dopoguerra con la costruzione di sistemi democratici in Germania,
Giappone e Italia; alla metà degli anni ’70 con la caduta di regimi autocratici e l’adozione di
costituzioni democratiche in Grecia, Portogallo e Spagna; negli anni ’80 con il processo di
democratizzazione di molti Paesi in via di sviluppo; infine negli anni ’90 ha coinvolto i Paesi ex
socialisti e quelli facenti parte dell’ex Unione Sovietica.
Attualmente possono essere considerati effettivamente democratici solo un terzo dei Paesi
esistenti. La crisi del mondo bipolare ha spinto a individuare come scenario futuro quello dello
scontro tra civiltà, derivante dalla incompatibilità fra le civiltà democratico-occidentale e le altre
(a cominciare da quella islamica). L’unica alternativa è quella della ricerca di una convivenza.
La crisi dello Stato democratico-sociale si manifesta su 3 terreni distinti ma fra loro connessi:
economico-sociale, politico e giuridico-costituzionale.
Sotto il primo profilo abbiamo la globalizzazione dell’economia, quel fenomeno per cui il
mercato economico-finanziario è diventato mondiale, sfuggendo sempre più alle capacità di
previsione e di controllo dei singoli Stati. Dalla globalizzazione e dallo sviluppo di
organizzazioni sovranazionali come l’UE è derivato un ridimensionamento del ruolo degli Statinazione. Il problema è quello di garantire la coesistenza fra le scelte economico-sociali, che
tendono a ridurre la garanzia dei diritti sociali, e un adeguato livello di coesione sociale.
La crisi politica deriva in gran parte dalla crisi dei partiti i quali tendono sempre più a svolgere
l’attività politica senza alcuna visione ideale o anche solo programmatica, riducendosi a
strumenti di gestione del potere. Inoltre trovano difficoltà crescenti a svolgere la tradizionale
funzione di collegamento fra società e Stato per il carattere complesso della società che utilizza
nuovi canali di espressione e di comunicazione con il potere pubblico.
La crisi giuridico-costituzionale si manifesta in varie forme. Innanzitutto il voto popolare è
condizionato dall’uso dei mass media e dalla promessa di vantaggi e di contropartite, ciò ha
determinato la crescita di voto di scambio rispetto a quello di opinione. L’uso dei moderni
mezzi di comunicazione di massa inoltre ha comportato che l’elettore vota sulla base di
suggestioni mediatiche superficiali. Poi vi è una crisi del Parlamento, non più in grado di fornire
risposte rapide e soddisfacenti ad una società sempre più complessa e frammentata. Oggi le
decisioni non sono più adottate prevalentemente attraverso la legge ma vengono prese dal potere
esecutivo mediante atti di tipo regolamentare o amministrativo.
In terzo luogo la crisi della politica e del principio di rappresentanza ha favorito l’ascesa a ruoli
di governo dei detentori del potere economico dando vita ad una sovrapposizione di poteri.
Lo Stato autoritario. Gli esempi più significativi sono quelli dell’Italia fascista e della
Germania nazionalsocialista. Al pari dello Stato democratico, lo Stato autoritario nasce come
risposta alla crisi dello Stato liberale ma anziché allargare la base di massa di quest’ultimo alle
organizzazioni del movimento operaio, si propone di distruggerlo e di sopprimere ogni forma di
conflitto e di dissenso. Vediamo alcune diversità tra i 2 regimi.
Entrambi esaltano il concetto di nazione ma per il nazismo esso è inteso come unità di sangue e
di razza del popolo tedesco assumendo caratteri razzisti soprattutto nei confronti degli ebrei. La
seconda diversità riguarda i rapporti tra Stato e partito, in Italia si afferma il principio
dell’integrazione del partito nello Stato mentre in Germania abbiamo la superiorità del partito e
del suo leader sia sullo Stato che sul popolo. Terza diversità, solo il regime nazionalsocialista
assume i caratteri del totalitarismo mentre quello fascista mescola tratti totalitari e tratti
autoritari (per esempio fa salva la libertà di religione e quella economica, l’autonomia della
magistratura ordinaria e permane al vertice la Corona).
Veniamo alle caratteristiche comuni. Si attua una statalizzazione coattiva della società civile, lo
Stato interviene anche nell’economia attraverso il proliferarsi di enti pubblici e di società a
partecipazione statale o mista. La concentrazione del potere è fortissima, le autonomie
territoriali o vengono soppresse o sono presiedute da organi monocratici non elettivi i cui titolari
sono funzionari statali. Il potere legislativo è nettamente subordinato a quello esecutivo.
Lo Stato autoritario sostituisce alla rappresentanza politica di tipo elettivo una rappresentanza
monopartitica e corporativa. Tutti gli altri partiti sono messi fuorilegge e i loro esponenti
arrestati e condannati al carcere o al confino. In Italia vengono create le corporazioni, organismi
di diritto pubblico che comprendono per ogni categoria i rappresentanti dei datori di lavoro e dei
lavoratori.
Lo Stato autoritario è illiberale e repressivo, in quanto non solo nega i diritti politici, ma limita
pesantemente gli stessi diritti civili.
Lo Stato socialista e la sua crisi. Lo Stato socialista si è affermato in Russia in seguito alla
rivoluzione del 1917 e si è esteso, dopo la seconda guerra mondiale, a vari Paesi dell’Europa
centro-orientale, dell’Asia e a Cuba. Anch’esso nasce in contrapposizione allo Stato liberale,
assumendo alcune caratteristiche istituzionali e politiche simili a quelle dello Stato autoritario
(partito unico, concentrazione e personalizzazione del potere, negazione dei diritti civili e dei
diritti politici). Tuttavia mentre lo Stato autoritario convive con il mercato capitalistico, nello
Stato socialista si impone un modo di produzione collettivistico, basato sulla statalizzazione dei
mezzi di produzione, ed il mercato è sostituito con un piano economico quinquennale
centralizzato. Negli ultimi anni in Cina si è tentato di superare l’economia pianificata e di dare
vita ad una economia di mercato socialista. L’ideologia dello Stato socialista concepisce lo Stato
come strumento della dittatura del proletariato necessaria per il passaggio ad una società
comunista senza classi.
La statalizzazione determina una netta preponderanza della politica sull’economia e della sfera
pubblica su quella privata. La società è organizzata in strutture associative collaterali al partito
comunista e veicolo della sua ideologia e della sua linea politica.
Il principio della separazione dei poteri viene apertamente rifiutato in nome dell’opposto
principio dell’unità del potere statale espresso dall’organo parlamentare di origine elettiva. Ma il
Parlamento ha un carattere pletorico e si riunisce raramente, di conseguenza l’organo
preminente è la Presidenza collegiale del Parlamento di cui fanno parte i massimi esponenti del
partito.
Rispetto al modello democratico vi sono 2 differenze importanti. La prima è il principio del
mandato imperativo e della revocabilità degli eletti da parte dei propri elettori. La seconda è il
carattere monolitico e omogeneo della rappresentanza, chiamata ad esprimere gli interessi
unitari del popolo.
Il ruolo guida del partito comunista è espressamente riconosciuto dalla costituzione. Le
costituzioni socialiste riconoscono i diritti civili e politici ma funzionalizzati alla tutela degli
interessi dello Stato, della società e della collettività, ciò fa si che l’esercizio di tali diritti venga
negato alle opposizioni e ai dissidenti. Uno stato di diritto è inesistente.
La crisi dell’Unione sovietica e degli Stati socialisti europei ha origine dal tentativo di riforma
del sistema di Gorbaciov che consisteva in una attenuazione del carattere collettivistico e
pianificato dell’economia, nel riconoscimento del principio della separazione dei poteri, nella
modificazione del sistema elettorale, nell’affermazione del pluralismo politico, dei diritti
fondamentali della persona, dell’indipendenza della magistratura e nella creazione di un organo
di giustizia costituzionale. In conseguenza del fallito colpo di stato del 19 agosto 1991 il partito
comunista viene messo fuorilegge dagli organi parlamentari ed in rapida successione tutte le
Repubbliche facenti parte dell’URSS dichiarano la propria indipendenza. La Conferenza di
Minsk dà vita ad una Comunità di Stati indipendenti dalla quale rimangono fuori gli Stati
baltici. Un analogo processo di caduta dei regimi socialisti avviene anche in tutti i Paesi
dell’Europa centro-orientale ma con modalità diverse. Il Parlamento è protagonista del
cambiamento in Bulgaria, Cecoslovacchia, Polonia e Ungheria mentre avviene attraverso un
colpo di stato in Romania e con il rischio di una guerra civile in Albania. Tra il 1989 ed 1998
tutti gli ex Stati socialisti danno vita a nuove costituzioni che proclamano i principi della
separazione dei poteri, del pluralismo, della rappresentanza politica, il riconoscimento e la
garanzia dei diritti civili, politici e sociali, l’indipendenza della magistratura. In vari Paesi
emergono seri problemi come il mancato o parziale riconoscimento dei diritti delle minoranze,
l’arretratezza economica e politica, la limitazione dei diritti dell’opposizione, tutti elementi che
tendono a configurarli come semi-democrazie.
Gli Stati in via di sviluppo. Sono quegli Stati che cercano di superare una condizione di
cronica arretratezza economica, sociale, politica e istituzionale. Elementi comuni sono: la
colonizzazione, il sottosviluppo e la debolezza dell’identità nazionale.
Quasi tutti i Paesi in via di sviluppo hanno conosciuto il dominio coloniale o comunque subito
l’influenza economico-finanziaria e spesso politica degli Stati più avanzati. Tutti versano in uno
stato di grave sottosviluppo soprattutto economico e sociale. Infine molti Stati nascono prima
che si sviluppi un’effettiva identità nazionale, conoscono un grande pluralismo etnico o di tipo
tribale o la divisione in caste.
Nell’evoluzione costituzionale sono state individuati 4 cicli. Il primo è caratterizzato
dall’adozione di costituzioni che si ispirano al modello liberal-democratico: quello dell’ex
potenza coloniale o del Paese del quale subiscono l’influenza determinante. Il ciclo si conclude
con un fallimento in quanto sono troppo diverse le condizioni economiche, sociali e culturali
rispetto al Paese preso a modello. Le 2 esperienze più durature e significative sono quelle del
Messico e dell’India. Il secondo ciclo si produce in seguito all’instaurazione, spesso mediante
colpi di stato militari, di regimi autoritari i quali realizzano una forte concentrazione dei poteri,
l’annullamento delle garanzie costituzionali, la persecuzione degli esponenti dell’opposizione. Il
terzo ciclo riguarda i Paesi che si definiscono socialisti e sviluppano stretti rapporti con l’URSS.
Il quarto ciclo, apertosi alla fine degli anni ’80, vede l’adozione di nuove costituzioni che
prendono a modello quelle democratiche. Le cause sono la caduta negli anni ’70 degli ultimi
regimi autoritari esistenti in Europa occidentale, la crisi del campo socialista, la nuova politica
degli USA in Centro e Sud America, la crisi del partito unico in vari Paesi. L’esempio più
significativo di passaggio da un regime autoritario ad uno democratico è quello della
Repubblica sudafricana.
Infine il fenomeno più importante in senso antidemocratico è l’estendersi si una forma si Stato
che si basa su modalità arcaiche di organizzazione del potere o sulla riscoperta della religione
come fondamento del potere, Stato teocratico, i cui esempi sono l’Iran e l’Afghanistan.
LE FORME DI GOVERNO
La classificazione delle forme di governo. Il termine forma di governo indica l’insieme delle
regole che caratterizzano la distribuzione del potere fra gli organi collocati al vertice
dell’apparato statale (organi costituzionali).
I criteri di classificazione, ieri e oggi. In base al grado di separazione esistente fra i poteri si
distinguono le forme di governo a separazione rigida (presidenziale) e quelle a separazione
flessibile (parlamentare). In base all’individuazione dell’organo titolare dell’indirizzo politico si
distinguono la forma di governo costituzionale pura (monarchica o presidenziale), quella
costituzionale parlamentare (monarchica o repubblicana) e quella direttoriale (repubblicana), a
seconda che l’indirizzo politico sia attribuito al Capo dello Stato, al raccordo GovernoParlamento o all’organo collegiale che svolge congiuntamente le funzioni di Governo e di Capo
dello Stato.
Una distinzione recente è quella tra forme di governo monistiche e dualistiche. Il criterio più
corretto di distinzione fa riferimento alla legittimazione degli organi posti al vertice del potere
esecutivo e di quello legislativo. Sotto questo aspetto sono monistiche quelle forme di governo
nelle quali il solo Parlamento è legittimato dal corpo elettorale e da questo deriva il Governo.
Sono dualiste quelle dove i due organi di vertice hanno una distinta legittimazione.
Altro criterio attiene all’esistenza o meno di un rapporto di fiducia fra Parlamento e Governo, da
esso deriva la classica bipartizione tra forma di governo parlamentare e quella presidenziale.
Se si tiene conto di questo criterio e di quello rappresentato dalla derivazione e dal ruolo del
Capo dello Stato, possiamo classificare le forme di governo in 5 categorie:
- la monarchia costituzionale, rapporto di fiducia tra Parlamento e Governo, Capo dello Stato
titolare del potere esecutivo e dell’indirizzo politico;
- la forma di governo parlamentare, rapporto di fiducia tra Parlamento e Governo (anche
senza voto di fiducia iniziale) e Capo dello Stato eletto da un organo parlamentare e senza
funzioni di indirizzo politico;
- la forma di governo presidenziale, no rapporto di fiducia, il Presidente è investito dal popolo
ed è titolare dell’indirizzo politico;
- la forma di governo direttoriale, il Governo è eletto dal Parlamento ma non può esse da
questi sfiduciato e svolge collegialmente anche le funzioni di Capo dello Stato;
- la forma di governo semipresidenziale, il Governo è nominato dal Presidente che è eletto a
suffragio universale ed è titolare di poteri di indirizzo politico.
La forma di governo parlamentare. Per una lunga fase si caratterizza in senso dualistico,
nell’ambito del potere esecutivo oltre al Re vi è il Governo come organo collegiale presieduto da un
primo Ministro che deve godere di una doppia fiducia, Capo dello Stato e Parlamento. Si
caratterizza in senso monistico in Gran Bretagna nel corso del XIX secolo. Il Governo deriva dalla
volontà del Parlamento ed entrambi gli organi sono titolari dell’indirizzo politico mentre il Monarca
ne è sostanzialmente estraneo. Ciò avviene soprattutto grazie all’evoluzione dell’istituto della
controfirma ministeriale che assume il valore di assunzione da parte dei Ministri della titolarità
sostanziale degli atti. La maggior parte dei poteri del Capo dello Stato diventano meramente
formali. Il monismo si realizza a tre livelli: istituzionale, con la supremazia del Parlamento sul Re,
entro il potere esecutivo, al cui vertice si colloca il Governo, sociale, grazie all’affermarsi del
dominio della borghesia.
La forma di governo parlamentare britannica. Quella del regno Unito è considerata la forma di
governo parlamentare monista classica. La mancanza di una costituzione scritta ha consentito una
grande adattabilità della forma di governo al mutamento delle condizioni sociali e politiche.
Grazie al sistema politico bipartitico e al sistema elettorale maggioritario a turno unico, il corpo
elettorale, quando vota per la Camera dei Comuni, dà anche una indicazione di governo a favore del
partito che risulterà vincente e del suo leader. Il Primo ministro, leader del partito che ha la
maggioranza, svolge un ruolo fondamentale sia nella fase della formazione (con la proposta di
nomina e di revoca dei Ministri) sia in quella di direzione del Governo. Inoltre decide lo
scioglimento della Camera dei Comuni.
L’esecutivo, una volta nominato, non ha bisogno di un vero e proprio voto di fiducia iniziale.
L’approvazione di una mozione di sfiducia comporta di solito lo scioglimento della Camera.
La Corona è stata nel tempo fortemente ridimensionata, i suoi poteri più significativi hanno
acquistato carattere prevalentemente formale ma che in ogni caso costituiscono un limite obiettivo
alla assoluta discrezionalità del Primo Ministro. Un secondo contrappeso allo strapotere del Premier
è dato dal suo rapporto con il partito maggioritario. Diventa Primo Ministro non perché eletto
direttamente dal corpo elettorale ma in quanto scelto come proprio leader dal partito maggioritario
quindi sia nella formazione che nella gestione del Governo deve tener conto degli orientamenti
manifestati dal proprio partito. Il terzo e più importante contrappeso è rappresentato dal ruolo
dell’opposizione che è costituzionalizzata. Il leader del partito di opposizione è il Primo Ministro
del Governo ombra, viene consultato o informato dal Primo Ministro su decisioni di importanza
fondamentale per il Paese, come quelle riguardanti la politica estera e la difesa. All’opposizione
sono garantiti spazi d’intervento, strumenti di controllo ed anche essere attribuite importanti cariche
parlamentari (presidenza di commissioni ma anche quella di speaker della Camera dei Comuni).
La forma di governo parlamentare tedesca o del Cancellierato. La Germania ha una forma di
governo parlamentare razionalizzata che garantisce al Cancelliere una posizione importante. Il
Cancelliere è eletto dalla Camera dei deputati. L’Assemblea può eleggere a maggioranza assoluta il
candidato proposto dal Presidente federale o una persona diversa. In caso di esito negativo si
procede a una terza votazione nella quale risulta eletto chi ottiene più voti: se si tratta di
maggioranza assoluta il Presidente è tenuto a nominarlo Cancelliere, se è solo relativa può scegliere
se nominarlo o sciogliere la Camera. Spetta al Cancelliere proporre la nomina, ed anche la revoca,
dei Ministri al Presidente.
La posizione del Cancelliere e la stabilità del Governo sono rafforzate da vari meccanismi di
razionalizzazione. Il primo è la mozione di sfiducia costruttiva, la Camera può votare la sfiducia al
Cancelliere solo se ne elegge contestualmente uno a maggioranza assoluta.
Il secondo è la questione di fiducia, che viene posta dal Cancelliere e deve ottenere l’approvazione
della maggioranza assoluta della Camera dei deputati. Qualora ciò non si verifichi, se la Camera
non elegge a maggioranza assoluta un nuovo Cancelliere entro 21 giorni, il Presidente può
procedere al suo scioglimento su proposta del Cancelliere oppure può dichiarare lo stato di
emergenza legislativa.
Questa è il terzo meccanismo di razionalizzazione e può essere dichiarata dal Presidente, oltre nel
caso di mancata approvazione della questione di fiducia, su richiesta del Governo e con l’assenso
del Senato quando la Camera respinge un progetto di legge del quale il Governo abbia dichiarato
l’urgenza. La dichiarazione dello stato di emergenza legislativa fa si che per sei mesi ogni progetto
di legge respinto dalla Camera diventa legge con l’assenso del solo Senato. In pratica questo istituto
consente a un Cancelliere divenuto di minoranza di governare con l’appoggio del Presidente e del
Senato per un periodo limitato di tempo.
L’ultimo fattore di razionalizzazione riguarda le rigide condizioni di scioglimento della Camera da
parte del Presidente. La costituzione prevede 2 ipotesi: l’elezione di un Cancelliere a maggioranza
relativa e la mancata approvazione di una questione di fiducia.
Si tratta quindi di una forma di governo monista in quanto si incentra sul rapporto di fiducia tra la
Camera e il Cancelliere. Il Senato ne è estraneo in quanto composto da delegati designati dai
governi dei Lander ed è in posizione paritaria con la Camera solo in materia di revisione
costituzionale e per l’approvazione delle leggi dei Lander.
Il Presidente è eletto dall’Assemblea federale e finché nella Camera si manifesta una chiara
maggioranza politica non ha nessuna discrezionalità.
Il sistema elettorale è un sistema proporzionale fortemente selettivo, il sistema dei partiti è a
multipartitismo temperato con un peso determinante dei 2 maggiori partiti. Questi, non ottenendo di
regola la maggioranza assoluta dei seggi, costituiscono governi di coalizione con partiti minori. In
casi eccezionali, quando la forza dei due partiti maggiori è equivalente, questi danno vita a governi
di grande coalizione (come accade oggi con la Merkel).
Il ruolo determinante dei partiti nel funzionamento della forma di governo viene a controbilanciare
quello personale del Cancelliere, si parla infatti di democrazia di coalizione.
La forma di governo parlamentare italiana pre e post 1994. In Italia l’Assemblea costituente del
1946 ha deciso di dare vita ad una forma di governo parlamentare. Si tratta di una forma di governo
monistica, razionalizzata e corretta. Monistica perché il Presidente della Repubblica è eletto dal
Parlamento ed inoltre il fatto che i suoi atti devono essere controfirmati porta ad escludere che egli
possa partecipare alla determinazione dell’indirizzo politico. Anche se i suoi poteri diventano
rilevanti in situazioni di crisi politico-istituzionale, accresce il suo ruolo di intermediazione politica
e di intervento attivo nella polemica politica, comunque egli non diviene un leader politico né un
decisore politico di ultima istanza (lo scioglimento delle Camere è condizionato dall’orientamento
assunto dalle forze politico-parlamentari e la formazione di governi tecnici non gli permette di
imporre un proprio indirizzo politico né di sostituire la propria fiducia a quella del Parlamento).
La razionalizzazione risulta dalla disciplina del rapporto di fiducia, dall’attribuzione al Presidente
del Consiglio di una funzione di direzione e di coordinamento dell’attività del Governo, dalla
previsione di atti normativi primari di competenza dell’Esecutivo.
La natura corretta consiste nella previsione di un sistema di limiti e di garanzie nei confronti del
potere della maggioranza (quali il decentramento regionale, il controllo sulla legittimità
costituzionale delle leggi, il referendum abrogativo).
Il configurarsi di un sistema multipartitico estremo e polarizzato ha determinato per lungo tempo il
carattere non maggioritario della forma di governo. Inoltre l’esistenza della regola non scritta che
esclude dal Governo il maggior partito di opposizione ed il mancato realizzarsi dell’alternanza alla
guida dell’Esecutivo determinano la tendenza dei partiti di governo a occupare le istituzioni e, a
partire dagli anni ’70, la frequente confusione fra maggioranza e opposizione.
All’inizio degli anni ’90 si produce una crisi del sistema politico, determinata da fattori sia
internazionali (il crollo dell’URSS e del blocco comunista) sia interni (il sistema di finanziamento
illegale e di corruzione e la crisi dei 3 maggiori partiti di massa, DC, PCI e PSI), con il conseguente
affermarsi di nuovi partiti e nuovi schieramenti politici. Inizia una fase di transizione con la riforma
del sistema elettorale del 1993 ed il passaggio ad un sistema maggioritario a turno unico per ¾ dei
seggi e proporzionale per il restante. Il sistema dei partiti tende a una bi polarizzazione fra centrodestra e centro-sinistra. Nel 2005 si ritorna ad un sistema proporzionale con liste concorrenti
bloccate, corretto da soglie di sbarramento e da un premio di maggioranza. E’ un bipolarismo
imperfetto perché l’aggregazione è determinata non dalla condivisione di un programma ma da
convenienze elettorali e dall’intento di sconfiggere la coalizione avversaria. Inoltre la mancanza di
condivisione di comuni principi e valori di riferimento ostacola il pieno riconoscimento reciproco
della legittimazione a governare.
La forma di governo assume un funzionamento squilibrato a favore della maggioranza derivante sia
dall’assenza di uno statuto dell’opposizione (mediante il riconoscimento di specifici diritti
all’opposizione parlamentare), sia dal costante rafforzamento dei poteri del Governo, sia dalla
concentrazione nel vertice del Governo di potere politico, economico e mediatico che non conosce
paragoni con altri sistemi democratici.
E’ significativo delle incertezze della fase di transizione che non vi sia stata nessuna revisione
costituzionale relativa alla forma di governo.
Le tendenze del parlamentarismo contemporaneo. Dalle costituzioni del primo dopoguerra
emergono 3 tendenze di fondo della forma di governo parlamentare: al monismo, a una
razionalizzazione forte dei rapporti Parlamento-Governo, alla prevalenza del Governo e del Primo
Ministro. La tendenza monistica si manifesta nella centralità del rapporto fra maggioranza
parlamentare e Governo, mentre il Capo dello Stato è collocato in posizione di imparzialità. Il
monismo può essere di diritto o di fatto. La prima ipotesi si realizza nelle Repubbliche parlamentari
dove il Presidente è eletto dal Parlamento (Grecia e Italia) o da un’Assemblea paritetica di deputati
e di delegati degli Stati membri (Germania). Ciò avviene anche il alcune monarchie parlamentari
come Giappone, Svezia e Spagna, dove il Re non ha poteri di Governo. Nelle altre monarchie
parlamentari vi è un dualismo di diritto in quanto il Re è parte integrante del potere esecutivo ed è
titolare di notevoli poteri (i Paesi anglosassoni e le altre monarchie scandinave) ma di fatto viene ad
essere confinato ad un ruolo simbolico e formale.
In merito alla seconda tendenza, la forma di governo classica non razionalizzata continua a
sussistere nel Regno Unito, nei Paesi anglosassoni, in Lussemburgo e nei Paesi Bassi. Una
razionalizzazione moderata vi è in Italia e Danimarca mentre in tutti gli altri ordinamenti abbiamo
una razionalizzazione forte. La mozione di sfiducia è regolamentata in modo da rafforzare la
stabilità del Governo e da evitare che questo sia messo in crisi da un qualsiasi voto negativo del
Parlamento. Lo scioglimento del Parlamento spetta quasi sempre al Capo dello Stato (titolarità
formale) ma nella sostanza appartiene al Governo e al primo Ministro in quanto avviene tramite la
proposta e/o la controfirma di questi.
La terza tendenza si manifesta in un processo di presidentalizzazione della forma di governo,
consistente nell’adozione da parte dei Primi Ministri di comportamenti e di metodi di esercizio del
potere analoghi a quelli della Presidenza statunitense.
In base all’influenza esercitata dal sistema dei partiti, possiamo distinguere forme di governo a
bipartitismo rigido, tipica del Regno Unito e caratterizzata dall’elezione popolare di fatto del Primo
Ministro, a multipartitismo temperato, contrassegnata dall’assenza di investitura popolare del Primo
Ministro e da forte instabilità governativa, e a multipartitismo estremo, caratterizzata da instabilità
dei Governi e dalla debolezza del Primo Ministro.
Oggi possiamo distinguere inoltre tra forme di governo parlamentare maggioritaria, si afferma in
società democratiche omogenee senza fratture etniche o ideologiche ed è caratterizzata da sistemi
politici bipartitici o bipolari, e non maggioritarie, dove abbiamo sistemi multipartitici e multipolari
e sistemi elettorali non selettivi (fortemente proporzionali).
La forma di governo neoparlamentare o del premierato. Costituisce una variante del
parlamentarismo l’ipotesi in cui il Primo Ministro è eletto a suffragio universale da parte del corpo
elettorale e contestualmente all’elezione del Parlamento. Il Parlamento può sfiduciare il Primo
Ministro ed in tal caso è sciolto automaticamente; a sua volta il Primo Ministro può sciogliere il
Parlamento ma ciò comporta le sue dimissioni, i due organi sono sempre eletti insieme. Il primo
Ministro eletto dal popolo non può essere sostituito nel corso della legislatura mentre nel
parlamentarismo maggioritario non è inamovibile e la sfiducia parlamentare non sfocia
necessariamente nello scioglimento.
Fino a oggi l’unico Stato che ha adottato un modello del genere è stato Israele nel 1992, ma l’ha
abbandonato nel 2001. Si prevedeva che il Primo Ministro fosse eletto dal popolo con un sistema
maggioritario a doppio turno. Se il Parlamento adottava una mozione di sfiducia a maggioranza
assoluta o non approvava il bilancio entro tre mesi dall’inizio dell’anno finanziario, esso veniva
sciolto automaticamente e si procedeva a nuove elezioni sia dell’Assemblea che del Primo Ministro.
Si procedeva a elezioni speciali del solo Primo Ministro se questi non riusciva a costituire il
Governo entro 45 giorni dall’elezione, nelle ipotesi di dimissioni volontarie, di morte o di
impedimento permanente, se il Parlamento approvava con 2/3 una mozione di sfiducia nei suoi
confronti o se condannato penalmente per un reato che implicava indegnità morale.
Le forme di governo a investitura popolare.
La forma di governo presidenziale. E’ caratterizzata da un potere esecutivo monocratico, affidato
a un Presidente diretta espressione della volontà popolare, e da una separazione rigida fra i poteri,
garantita dall’inesistenza del rapporto di fiducia e del potere di scioglimento del Parlamento.
Gli USA rappresentano la realizzazione più fedele del modello teorico presidenziale. Il modello è
stato imitato soprattutto nel Centro e nel Sud America, ma anche in Asia e in Africa. Nella
maggioranza dei casi, a causa della diversità del contesto sociale e politico rispetto a quello
originario, ha dato vita a un’attuazione degenerativa definita spesso “regime presidenzialista”,
basata sulla netta preminenza del Presidente, sulla debolezza del Parlamento e del sistema dei partiti
e su un rilevante ruolo politico dell’esercito.
Una tendenza presidenzialistica si è verificata anche nella Federazione russa e negli Stati aderenti
alla CSI. Si tratta di un modello dualistico che prevede al vertice un Presidente eletto dal popolo, il
quale, oltre ad essere Capo dello Stato, determina la politica interna ed esterna del Paese ed è
titolare di poteri forti non soggetti a controfirma: di iniziativa legislativa, di veto sulle leggi, di
ricorso a decreti e ordinanze, di comando delle FF.AA., di dichiarazione dello stato di emergenza,
di ricorso al referendum.
Il Governo è responsabile sia verso il Presidente, che lo può revocare, che verso la Duma, che può
votare la sfiducia a maggioranza assoluta, ma il Presidente può esprimere il suo dissenso e, qualora
entro 3 mesi la Duma rivoti la sfiducia, può optare per l’accettazione delle dimissioni del Governo o
lo scioglimento dell’Assemblea. Il Presidente del Governo è nominato dal Capo dello Stato con
l’assenso della Duma, ma, se questa respinge per 3 volte la candidatura proposta, il Presidente
procede al suo scioglimento. In definitiva vi è un netto squilibrio a vantaggio del Presidente che non
trova eguali in alcuna forma di governo occidentale.
Il rendimento della forma di governo presidenziale è stato piuttosto negativo nei Paesi in via di
sviluppo mentre è soddisfacente negli USA.
Il presidenzialismo statunitense. Si fonda sulla costituzione di Filadelfia del 1787, ha come punto
di riferimento la monarchia costituzionale inglese e quindi ha adottato una forma di governo
dualista. Il potere legislativo è attribuito al Congresso che è costituito da 2 Camere: quella dei
rappresentanti, eletta per 2 anni dall’intero corpo elettorale con una ripartizione dei seggi
proporzionale alla popolazione degli Stati membri, e il Senato, eletto ogni 6 anni, ma rinnovato per
1/3 ogni 2 anni, composto da 100 membri (2 per ogni Stato) eletti dai rispettivi corpi elettorali.
Il potere esecutivo è affidato a un Presidente, che è anche Capo dello Stato, in carica per 4 anni e
rinnovabile una sola volta. L’elezione si compone di 2 fasi. La prima sfocia nella designazione dei
candidati alla Presidenza e alla Vice Presidenza nelle Convenzioni nazionali del Partito democratico
e di quello repubblicano. La seconda prevede l’elezione in ogni Stato degli elettori presidenziali
(detti anche grandi elettori), in numero pari al numero dei deputati e dei senatori attribuiti a
ciascuno Stato, che poi votano a scrutinio segreto l’elezione del Presidente e del suo Vice. Il
Presidente del Senato effettua lo spoglio a camere riunite, proclamando eletti i candidati che
ottengono la maggioranza assoluta dei voti. Qualora nessun candidato la raggiunga, la Camera
elegge il Presidente tra i 3 candidati più votati e con il voto favorevole della maggioranza degli
Stati, mentre il Senato elegge il Vice tra i 2 candidati più votati.
Intorno al Presidente vi è una struttura esecutiva che può essere descritta come un insieme di cerchi
concentrici. Nel primo vi sono i suoi più stretti collaboratori,. Che costituiscono l’Executive Office,
che si articola in varie strutture che svolgono funzioni consultive, di preparazione delle decisioni e
di controllo interno sull’esecuzione di queste. Il secondo cerchio è costituito dai Dipartimenti,
presieduti dai Segretari, nominati e revocabili dal Presidente, fra i quali svolge un ruolo molto
importante il Segretario di Stato che presiede il Dipartimento degli affari esteri. La riunione del
Presidente con i Segretari dà vita al Gabinetto, un organo collegiale non previsto dalla costituzione.
Nel cerchio più lontano si collocano le Indipendent Executive Agencies e le Indipendent Regulatory
Commissions, autorità indipendenti chiamate a svolgere rispettivamente attività amministrative e
attività di carattere economico.
Abbiamo una divisione rigida dei poteri derivante dall’inesistenza del rapporto di fiducia e del
potere di scioglimento e dall’attribuzione a ciascuno di essi di una funzione esclusiva. Tuttavia
questo principio va combinato con quello del bilanciamento dei poteri, in base al quale attraverso un
sistema di checks and balances (freni e contrappesi) ogni potere ha la possibilità di controllare e di
condizionare gli altri nell’esercizio delle rispettive funzioni. Il Parlamento ha innanzitutto il potere
di borsa, attraverso l’approvazione del bilancio e delle più importanti leggi di spesa decide in quale
misura stanziare i fondi che occorrono al Presidente per l’attuazione delle sue politiche. Il
Congresso esercita un importante potere di controllo che esercita tramite le Commissioni
permanenti, possono effettuare udienze conoscitive (hearings) al fine di conoscere tutti gli interessi
coinvolti dalle politiche pubbliche, e le Commissioni di indagine, di fronte alle quali possono essere
obbligati a deporre sia i funzionari pubblici sia i privati cittadini. Specifici poteri di controllo ha
anche il Senato, che deve dare il consenso alle nomine presidenziali dei funzionari federali e, a
maggioranza dei 2/3 dei presenti, ai trattati conclusi dal Presidente. Infine la Camera dei
rappresentanti ha il potere di messa in stato d’accusa (impeachment) del Presidente e di ogni altro
funzionario federale, imputandoli di tradimento, di corruzione o di altri gravi reati. Sono giudicati
dal Senato e, in caso di condanna pronunciata a maggioranza dei 2/3 dei presenti, sono rimossi.
Il Presidente può influenzare l’attività legislativa del Congresso. In base a una legge del 1921 è
autorizzato a presentare ogni anno una proposta di bilancio federale. Può inviare dei messaggi e
tramite l’annuale messaggio sullo Stato dell’Unione espone un vero e proprio programma
legislativo che si traduce poi nella presentazione di progetti di legge da parte di parlamentari
sostenitori della politica presidenziale. Inoltre ha il potere di veto sulle leggi approvate dal
Congresso, che può rinviare alle Camere per ragioni sia di legittimità che di merito politico. Le
camere possono superare il veto solo riapprovando la legge a maggioranza dei 2/3 dei membri.
Infine il potere esecutivo ha il potere, non previsto dalla costituzione, di adottare atti aventi forza di
legge su delega del Congresso o nelle situazioni di crisi.
Negli ultimi decenni del secolo scorso si è verificato un importante fenomeno, si tratta del governo
diviso ovvero il Presidente si trova a fare i conti con una maggioranza dell’altro partito in uno o in
entrambi i rami del Congresso. Ciò indebolisce l’Esecutivo, costringendo il Presidente a negoziare
le sue politiche con i singoli parlamentari e a fare tutta una serie di concessioni localistiche e
clientelari.
Dobbiamo sottolineare che un sistema politico bipartitico debole ed il ruolo importante dei gruppi di
pressione, che è disciplinato dalla legge, producono a livello istituzionale un basso livello di
partecipazione elettorale ed una crescente personalizzazione della politica. Il Presidente è alla
ricerca di un rapporto sempre più diretto con l’opinione pubblica ed i parlamentari cercano
l’appoggio finanziario di importanti lobbies.
La forma di governo semipresidenziale. Si fonda sulla compresenza di 2 elementi: uno
parlamentare (la responsabilità politica del Governo nei confronti del Parlamento) l’altro
presidenziale (l’elezione popolare del Presidente, titolare di importanti poteri propri). Ne consegue
un esecutivo dualistico, costituito dal Presidente e dal Primo Ministro, posto a capo di un Governo
sostenuto dalla maggioranza parlamentare.
L’esistenza di un Presidente eletto dal popolo e parte integrante del potere esecutivo mal si concilia
con lo schema parlamentare monistico e si differenzia da quello dualistico perché il Capo dello
Stato e il Parlamento sono entrambi di derivazione popolare e non rappresentano diverse classi
sociali. D’altro lato l’esistenza del rapporto di fiducia e la previsione dello scioglimento
dell’Assemblea non sono coerenti con la forma di governo presidenziale.
La natura mista della forma di governo semipresidenziale può dare vita a esiti pratici molto
differenti a seconda che prevalga l’elemento presidenziale o quello parlamentare. E’ possibile
distinguere 3 sottotipi. Il primo può essere definito a preminenza del Primo Ministro mentre il
Presidente svolge un ruolo simbolico e formale (Austria, Irlanda e Islanda). In questi casi il
funzionamento del sistema è analogo a quello di una forma di governo parlamentare.
Il secondo sottotipo è a esecutivo effettivamente diarchico, con una separazione di competenze fra il
Primo Ministro-Governo e Presidente, al quale sono attribuiti importanti poteri propri. Nei periodi
di normale funzionamento abbiamo la preminenza del Primo Ministro e del Governo, mentre,
quando non vi è una maggioranza parlamentare, il Presidente svolge un ruolo politico importante e
può dare vita a governi presidenziali.
Il terzo sottotipo è a preminenza del Presidente che ha una posizione di superiorità gerarchica
nell’Esecutivo grazie all’esistenza di una maggioranza parlamentare del suo stesso orientamento
politico. E’ il caso della Francia, dove tuttavia si verificano periodi di coabitazione fra il Presidente
ed una maggioranza parlamentare politicamente a lui contrapposta.
Il semipresidenzialismo francese della V Repubblica. La nuova costituzione entra in vigore il 4
ottobre 1958 ed i costituenti pensavano di dar vita a un sistema parlamentare fortemente
razionalizzato, nel quale al Parlamento facesse da contrappeso un potere esecutivo composto da un
Governo e da un Presidente della Repubblica. L’evoluzione verso il predominio del potere
esecutivo e del Capo dello Stato viene sancita nel 1962 con l’introduzione dell’elezione a suffragio
universale del Presidente. De Gaulle revisionò la costituzione secondo il procedimento previsto
dall’art. 11 della stessa che consente di far approvare la revisione dal corpo elettorale evitando il
voto delle Camere. L’Assemblea nazionale reagì approvando una mozione di censura nei confronti
del Governo che determinò il suo scioglimento da parte del Capo dello Stato.
A partire dal 1965 il Capo dello Stato viene eletto dal popolo con un sistema maggioritario a doppio
turno. Originariamente durava in carica 7 anni, dal 2000 dura 5 anni per evitare ipotesi di
coabitazione. Allo stesso fine è stato invertito il calendario elettorale, si svolgono prima le
presidenziali e poi le elezioni legislative.
Fra i poteri propri del Presidente particolarmente significativi sono la nomina del Primo Ministro, il
ricorso al referendum legislativo, lo scioglimento dell’Assemblea nazionale, l’assunzione dei poteri
di crisi.
Il potere esecutivo è dualistico in quanto accanto al Presidente c’è il Governo ed un Primo Ministro
che dirige l’azione del Governo (è una specie di Comandante in seconda). Il Primo Ministro copre
l’irresponsabilità del Presidente, costituzionalmente sancita dall’art. 67.
Quando il Presidente deve coabitare nomina Primo Ministro un esponente della maggioranza
parlamentare che è a lui avversa. Ma anche se ne esce ridimensionato continua a svolgere un ruolo
politicamente attivo.
Il Parlamento è composto da 2 Camere: l’Assemblea nazionale, eletta dal corpo elettorale per 5
anni, e il Senato, nel quale siedono i rappresentanti delle collettività territoriali. Entrambe sono
titolari della funzione legislativa e di quella di revisione costituzionale, ma il rapporto di fiducia
intercorre solo tra l’Assemblea ed il Governo. Il Parlamento ha vari fattori di debolezza. La
costituzione elenca le materie di competenza della legge mentre tutte le altre hanno natura
regolamentare e, qualora una proposta di legge o un emendamento riguardi queste ultime, il
Governo può dichiararli irricevibili. Sulle materie legislative il Governo può intervenire mediante
ordinanze con forza di legge in seguito a legge di autorizzazione del Parlamento. Il diritto di
emendamento è limitato in quanto è dichiarato inammissibile quando comporti minori entrate o un
aggravio di spesa.
Vige la regola dell’incompatibilità fra carica ministeriale e mandato parlamentare. L’Assemblea
nazionale può approvare una mozione di censura nei confronti del Governo, ma a maggioranza
assoluta e vengono conteggiati solo i voti favorevoli. Il Primo Ministro può porre la questione di
fiducia sulla votazione di un testo e questo è considerato approvato senza alcun voto
dell’Assemblea, a meno che non venga presentata entro 24 ore e successivamente approvata una
mozione di censura (praticamente spetta all’opposizione dimostrare che il Governo non ha più la
fiducia dell’Assemblea).
Sussiste quindi uno squilibrio fra potere esecutivo e potere legislativo. Nella fasi in cui il Presidente
può contare su una maggioranza parlamentare la forma di governo funziona in senso ultrapresidenziale, mentre con le ultime riforme appare difficile il riformarsi di situazioni di
coabitazione.
La forma di governo a elezione diretta del Primo ministro. ??????????
La forma di governo direttoriale: la Confederazione svizzera. Tipica della sola Confederazione
svizzera. L’organo esecutivo è il Consiglio federale e deriva dal Parlamento in quanto i suoi membri
sono eletti individualmente dall’Assemblea federale (formata dalle 2 Camere, il Consiglio nazionale
e il Consiglio degli Stati). Ma è una derivazione solo iniziale in quanto non è previsto un voto di
sfiducia per i 4 anni della legislatura. Il Consiglio federale non ha il potere di scioglimento delle
Camere, riveste una posizione di sicura preminenza infatti svolge importanti funzioni di tipo
normativo mediante regolamenti o atti con forza di legge, emanati con o senza delegazione
legislativa.
Il sistema politico è a multipartitismo estremo ma, a causa della natura flessibile e poco ideologica
dei partiti, consente di dare vita a stabili governi di coalizione. Il sistema elettorale è proporzionale.
Forme di governo e sistemi elettorali.
L’incidenza dei sistemi elettorali sulla forma di governo. Un fattore, avente natura non giuridica,
che incide sulla forma di governo e sul sistema politico, è il sistema elettorale. E’ un elemento che
non incide sulla classificazione delle forme di governo, ma va tenuto presente al fine di
comprendere la dinamica del loro funzionamento. Infatti l’adozione di una formula maggioritaria o
proporzionale, ma soprattutto il suo carattere più o meno selettivo, anche quando è di tipo
proporzionale, incide sia sulla funzionalità del Parlamento sia sulla struttura del Governo e sulla sua
stabilità.
Sistemi elettorali. Si intende l’insieme delle regole che disciplinano tutte le operazioni che
precedono, accompagnano e seguono lo svolgimento delle elezioni. Molto spesso si parla di sistemi
elettorali con riferimento alla sola formula elettorale, il meccanismo matematico impiegato per
trasformare i voti in seggi.
La distinzione di fondo è tra formule maggioritarie e formule proporzionali. Le prime attribuiscono
i seggi ai candidati che abbiano ottenuto la maggioranza, mentre le seconde li distribuiscono
proporzionalmente ai voti conquistati dalle varie liste. Le prime vengono praticate in collegi
uninominali e le seconde in collegi plurinominali, ma ci possono essere delle eccezioni.
Non esiste un sistema elettorale migliore in assoluto, ma solo quello più adeguato al contesto
politico-istituzionale di ogni Paese e al conseguimento dell’obiettivo che si intende conseguire. Il
sistema proporzionale ha come punto di riferimento la rappresentatività mentre quello maggioritario
la governabilità.
Esistono altri fattori che incidono sul rendimento di un sistema elettorale. Il primo è il carattere
categorico o ordinale del voto ovvero se l’elettore dispone di un voto di preferenza tra i candidati di
una lista o addirittura anche a favore di candidati di una lista diversa da quella votata o se l’elettore
può votare solo il candidato o la lista senza poter modificare l’ordine di precedenza tra i candidati,
nel qual caso si parla di lista bloccata. Un secondo fattore riguarda la delimitazione dei collegi
elettorali che può garantire una maggiore equità nella ripartizione dei seggi (quando tiene conto
della popolazione, dell’omogeneità sociale, ecc.) o determinare palesi iniquità (distribuzione dei
seggi sproporzionata rispetto alla popolazione dei collegi). Infine l’ampiezza dei collegi, più i
collegi sono ampi e meno selettiva è la formula, in quanto occorre una minore percentuale di voti
per essere ottenere un seggio, e viceversa.
Le principali formule maggioritarie sono 2, a seconda che per essere eletti sia richiesta la
maggioranza relativa (plurality system) o quella assoluta (majority system). La prima è più selettiva
ed attribuisce il seggio di ogni collegio uninominale al candidato più votato in un unico turno
elettorale. Favorisce di solito il bipartitismo. La seconda è detta a doppio turno, qualora nessun
candidato ottenga la maggioranza assoluta dei voti si svolge un secondo turno (detto di ballottaggio)
limitato solo ai 2 candidati più votati.
Le formule proporzionali sono numerosissime. Un primo metodo è quello del quoziente automatico,
è stabilito un numero fisso di voti per ottenere un seggio. Altro sistema è quello del quoziente
naturale, che si ottiene dividendo prima il numero totale dei voti per il numero dei seggi e poi quello
di ciascuna lista per il quoziente così ottenuto. In entrambe le formule si genera il fenomeno dei
resti che o non viene affrontato o viene risolto mediante una ulteriore distribuzione a favore delle
liste che hanno ottenuto più voti o di quelle con i resti più alti o applicando il metodo del quoziente
in un collegio nazionale nel quale confluiscono tutti i voti residui e i seggi non attribuiti.
Altra formula è il metodo d’Hondt, i voti ottenuti da ogni partito vengono divisi per 1, 2, 3…fino al
numero pari a quello dei seggi assegnati al collegio, dopodiché i seggi vengono attribuiti ai
quozienti più alti.
La selettività può essere accentuata dal ricorso a correttivi che riducono la proporzionalità del
sistema. I principali consistono nella clausola di sbarramento, cioè nella fissazione di una
percentuale di voti al di sotto della quale non si ottiene alcun seggio, oppure nell’attribuzione di un
premio di maggioranza alle coalizioni che superino una certa percentuale.
Quando adotta meccanismi selettivi di questo tipo, il sistema proporzionale può avere effetti
riduttivi sul numero dei partiti rappresentati e favorisce la stabilità delle maggioranze e del
Governo, mentre, quando è poco selettivo, fotografa il sistema dei partiti e non pone argini al
multipartitismo estremo.
Vi sono poi formule miste, anche se di solito sono a dominante proporzionale o maggioritaria. Del
primo tipi è il sistema elettorale della Germania che in ogni Land attribuisce all’elettore 2 voti: il
primo per distribuire la metà dei seggi in collegi uninominali con sistema plurality, il secondo per
assegnare l’altra metà a liste concorrenti. Ma l’effetto globale è di tipo proporzionale.
Erano a dominante maggioritaria i sistemi misti adottati in Italia dal 1993 al 2005, infatti il 75% dei
seggi venivano attribuiti con formula maggioritaria plurality, mentre il 25% erano riservati alla
quota proporzionale.
L’ORGANIZZAZIONE COSTITUZIONALE
Il popolo.
La sovranità popolare.
Democrazia rappresentativa e democrazia diretta. Si parla di democrazia rappresentativa
quando il popolo tramite il corpo elettorale è chiamato ad eleggere dei rappresentanti che adottano
le principali decisioni. Il termine democrazia diretta fa riferimento alle votazioni con le quali il
popolo in prima persona prende decisioni su questioni determinate.
Rousseau afferma l’impossibilità di rappresentare la “volontà generale” del popolo, la quale deve
esprimersi direttamente su tutte le leggi. Tuttavia l’autogoverno del popolo è impossibile per
l’esercizio della funzione esecutiva ed è concretamente realizzabile per quella legislativa solo in
uno Stato di ridotte dimensioni.
Gli istituti di democrazia diretta nel diritto comparato. I principali istituti di democrazia diretta
sono l’assemblea popolare, la revoca degli eletti, il diritto di petizione, l’iniziativa popolare ed il
referendum.
L’assemblea popolare è l’istituto più antico, ancora praticato solo in Svizzera ed in alcuni Stati
membri nordamericani. Realizza più di ogni altro istituto l’autogoverno del popolo.
Anche la revoca popolare è previsto solo in alcuni Cantoni svizzeri e Stati membri nordamericani.
Consiste nel fatto che un certo numero di cittadini possono sottoporre al voto popolare la proposta
di revoca del Parlamento e talvolta anche del Consiglio esecutivo del Cantone (Svizzera) oppure
una certa percentuale di elettori può chiedere la rielezione di un singolo parlamentare, magistrato o
funzionario elettivo (USA). L’istituto è di difficile attuazione e quasi caduto in disuso.
La petizione può essere definita come la facoltà di adire un’autorità al fine di esporre determinate
esigenze o di sollecitare l’adozione di particolari provvedimenti e può assumere forma individuale o
collettiva. L’autorità adita può essere il Parlamento o qualsiasi autorità pubblica. Tuttavia è difficile
che sfoci in una decisione. Non costituisce una autentica manifestazione di democrazia diretta in
quanto il potere di prendere in considerazione la richiesta è nelle mani dell’autorità pubblica.
L’iniziativa popolare si verifica quando la proposta avanzata ad un certo numero di elettori viene
di regola sottoposta al voto popolare. E’ prevista solo in Svizzera, negli Stati membri nordamericani
ed in Liechtestein e può intervenire in materia costituzionale o legislativa. Negli USA può essere
diretta o indiretta, a seconda che il progetto popolare sia sottoposto senz’altro a referendum o solo
nell’ipotesi in cui il Parlamento lo respinga o lo modifichi.
Il referendum e le sue tipologie. Può essere classificato in base a vari criteri. In relazione
all’oggetto del voto si distingue in costituzionale, legislativo, convenzionale (ha per oggetto un
trattato), amministrativo e politico.
All’interno del referendum costituzionale abbiamo varie ipotesi:
- il referendum precostituente, ha per oggetto l’atto di fondazione di un nuovo Stato;
- il referendum costituente, interviene sul testo della costituzione proposto da un’assemblea
costituente o dal Parlamento o su un progetto di revisione totale della costituzione;
- il referendum di revisione costituzionale, ha per oggetto la modificazione parziale o
l’integrazione della costituzione;
- il referendum su poteri sovrani, comprende le consultazioni popolari che, pur non
intervenendo su un oggetto formalmente costituzionale, incidono sulla sovranità dello Stato.
Vi rientrano 2 ipotesi: i referendum aventi ad oggetto trattati o accordi implicanti l’adesione
a organismi sopranazionali o comunque limitazioni della sovranità statale, i referendum
territoriali o di autodeterminazione.
Il referendum legislativo può essere obbligatorio o facoltativo. Nel primo caso non c’è promotore
e l’indizione della consultazione si configura come atto dovuto; nel secondo caso l’effettuazione del
referendum è subordinata all’esercizio del diritto di iniziativa da parte di uno dei soggetti
legittimati. Più frequentemente è obbligatorio, in questo caso il voto popolare costituisce una
condizione di validità dell’atto. Un’ulteriore ipotesi è quella del referendum costituzionale
eventuale che si verifica quando la consultazione popolare è esclusa nell’ipotesi in cui il progetto di
revisione abbia ottenuto una maggioranza qualificata in Parlamento.
Quando il referendum è facoltativo può essere passivo o attivo, quando l’iniziativa provenga
rispettivamente da un organo dello Stato oppure sia attribuita ad una frazione del corpo elettorale o
a enti autonomi territoriali. Il referendum passivo può avere come promotore una minoranza
parlamentare, allora si configura come strumento di garanzia dell’opposizione contro decisioni
adottate dalla maggioranza, o la maggioranza, allora si configura come strumento di legittimazione
della decisione adottata o come forma di consultazione del corpo elettorale quando non c’è accordo
nella maggioranza o si tratta di questioni trasversali rispetto ai partiti.
Un’ulteriore distinzione è quella tra referendum preventivo e successivo, a seconda che il voto
popolare intervenga prima o dopo l’entrata in vigore di un atto. La categoria dei referendum
successivi è eccezionale e comprende 2 ipotesi:
- il referendum operante come condizione risolutiva di una legge la cui entrata in vigore era
giustificata dall’urgenza;
- il referendum abrogativo di una legge in vigore (art. 75 cost. italiana).
Il referendum abrogativo italiano risulta unico nel panorama dei referendum legislativi, oltre ad
essere successivo e con effetto meramente negativo, può essere attivato da una frazione del corpo
elettorale e può avere ad oggetto anche parte di una legge.
Un’ultima distinzione intercorre tra referendum decisionale o deliberativo e referendum consultivo,
a seconda che esso abbia o meno efficacia giuridicamente vincolante. Il referendum consultivo è
frequentemente utilizzato per legittimare la partecipazione ad organismi sopranazionali, o le
modificazioni dei trattati istitutivi.
Il Parlamento.
Origine e struttura. L’origine storica va rinvenuta nell’epoca feudale in Inghilterra, allorché il
Monarca fu costretto a riunire prima i massimi esponenti della nobiltà e del clero poi anche i
rappresentanti delle comunità libere al fine di ottenere il consenso all’imposizione di nuovi tributi.
In Francia l’istituzione parlamentare trae origine nel 1789 dalla riunione degli “Stati generali”,
rappresentanti la nobiltà, il clero e la borghesia, e dalla separazione del “terzo stato” che si
trasformò in Assemblea nazionale, mentre il termine “parlamenti” stava in origine a designare gli
organi che amministravano la giustizia. Nel mondo contemporaneo l’esistenza del Parlamento come
organo elettivo caratterizza la quasi totalità degli Stati e costituisce una delle condizioni necessarie
per qualificare un ordinamento costituzionale come democratico.
Anche se occupa un ruolo centrale in tutte le esperienze liberaldemocratiche, il suo potere è
assoggettato a varie limitazioni, contenute per lo più in costituzioni rigide: il controllo di legittimità
costituzionale delle leggi, il riconoscimento di poteri legislativi ad enti territoriali autonomi, la
previsione di istituti di democrazia diretta, i poteri di controllo sull’esercizio della funzione
legislativa attribuiti al Capo dello Stato, il potere dei giudici di creare diritto (tipico dei Paesi di
common law).
Oggi assistiamo a un declino dell’istituzione parlamentare, dovuta da una parte dal passaggio dallo
Stato legislativo allo Stato amministrativo, vale a dire le principali decisioni, prima adottate dal
Parlamento nella forma della legge, vengono prese nell’ambito del potere esecutivo e mediante atti
di tipo regolamentare o amministrativo, dall’altra dal ruolo dei partiti che assicurano la preminenza
dell’Esecutivo e privano le Assemblee di ogni effettivo potere decisionale.
I Parlamenti si distinguono in bicamerali, quando sono formati da due Camere, e monocamerali. Il
bicameralismo nasce in Inghilterra nella prima metà del secolo XIV quando i rappresentanti dei
Borghi e delle Contee cominciarono a riunirsi separatamente dai nobili, dando vita alla storica
distinzione fra Camera dei Comuni e Camera dei Lords. Poi si afferma in Europa dove le carte
costituzionali prevedono l’esistenza di una Camera dei deputati elettiva e di un Senato composto da
membri nominati dal Re. Nel secondo dopoguerra si manifesta una crisi del bicameralismo ed una
tendenza verso il monocameralismo dovuta al venir meno della sua causa giustificativa, vale a dire
la necessità di rappresentare diverse classi sociali.
Discorso diverso per gli Stati federali dove il bicameralismo trova la causa giustificativa nella
natura stessa dello Stato, in quanto la seconda Camera ha il compito di rappresentare gli Stati
membri.
In vari Stati non federali si manifesta la tendenza a modificare la composizione del Senato,
trasformandolo in una Camera eletta direttamente dal corpo elettorale (Giappone, Italia) o composta
da membri designati dalle collettività territoriali (Francia, Paesi Bassi) o con una composizione
mista (Spagna).
Oggi il bicameralismo perfetto permane in alcuni Stati federali, mentre negli altri viene
generalmente soppiantato dal bicameralismo imperfetto, nel quale sono attribuiti diversi poteri alle
due Camere. In vari ordinamenti il Senato non può votare la fiducia al Governo, in altri vengono
limitate le competenze legislative della seconda Camera o nel senso che in certe materie è
riconosciuto un potere esclusivo o preminente della prima Camera oppure mediante l’attribuzione al
Senato di un potere di veto sospensivo, che l’altra Camera può superare con una o più successive
approvazioni del progetto di legge talvolta con una maggioranza speciale, o ancora riconoscendo al
Governo il potere di far decidere in via definitiva la prima Camera in caso di disaccordo.
Negli Stati nei quali la seconda Camera non è rappresentativa delle comunità territoriali il
bicameralismo è giustificato dalla maggiore ponderazione dei progetti di legge, dalla migliore
qualità delle leggi approvate, ecc..
Autonomia e organizzazione interna. Al Parlamento di solito sono riconosciute varie forme di
autonomia: regolamentare, finanziaria e organizzativa.
I regolamenti parlamentari sono gli atti con cui ogni Assemblea disciplina la propria organizzazione
interna e l’esercizio delle proprie funzioni. In vari Paesi non sono soggetti al controlli di altri organi,
in altri sono sottoposti al controllo di costituzionalità. L’autonomia finanziaria si concretizza nel
potere di disporre e di decidere sull’impiego di adeguate risorse finanziarie. In vari ordinamenti al
Parlamento è riconosciuta anche l’autonomia amministrativa cioè il potere di stabilire
l’organizzazione dei servizi e degli uffici e la carriera giuridica ed economica dei propri dipendenti.
In alcuni casi (come in Italia) il Parlamento esercita anche la giurisdizione interna (c.d. autodichia),
l’ufficio di Presidenza di ciascuna Camera decide sui ricorsi dei propri dipendenti avverso
provvedimenti relativi alla loro carriera.
Il principio di continuità dell’organo parlamentare comporta che il Parlamento abbia una durata
prestabilita, generalmente di 4 o 5 anni, e che alla scadenza sia previsto un termine entro il quale
devono essere indette nuove elezioni e di solito anche un termine finale per la riunione delle
Camere neoelette.
In alcuni ordinamenti (anche in Italia) il Parlamento può riunirsi senza limitazioni per tutto il corso
della legislatura mentre nella maggior parte dei casi opera per sessioni ordinarie, che possono essere
una o più all’anno, e straordinarie, su iniziativa del Capo dello Stato, del Governo, del Presidente
dell’Assemblea e spesso di una minoranza qualificata di parlamentari.
La durata delle Assemblee parlamentari può essere abbreviata, per scioglimento, o, in casi
eccezionali, prolungata oltre il termine, per esempio lo stato di guerra. La prorogatio invece è la
proroga dei poteri parlamentari fino alla riunione delle nuove Camere.
Di solito la fine della legislatura o la chiusura della sessione determinano la decadenza delle attività
non portate a compimento, questo perché il Parlamento neoeletto non può essere condizionato
dall’attività iniziata da quello precedente. Tuttavia in alcuni ordinamenti è consentito all’Assemblea
neoeletta di recuperare i progetti di legge che abbiano ottenuto una prima approvazione (Regno
Unito) o siano stati approvati da una Camera (Belgio, Italia) o siano di iniziativa popolare (Italia).
I principali organi interni del Parlamento sono costituiti dalla presidenza, dai gruppi parlamentari e
dalle commissioni. La presidenza può essere rappresentata da un organo individuale (lo Speaker dei
Paesi anglosassoni) o da un presidente coadiuvato da un organo collegiale o infine da un organo
collegiale. Circa il ruolo del Presidente, nel modello americano è un uomo di parte mentre in quello
inglese è caratterizzato dall’imparzialità (non interviene nel merito delle questioni e non vota).
I gruppi parlamentari danno impulso ai lavori del Parlamento e garantiscono la disciplina dei
parlamentari. Le commissioni parlamentari si dividono in 2 grandi categorie: permanenti e speciali.
Le prime sono costituite di solito per l’intera durata della legislatura o di una sessione, sono
specializzate per materia e svolgono funzioni legislative e di controllo. Quelle speciali sono
costituite ad hoc per la trattazione di affari determinati e durano in carica fino all’esaurimento dei
lavori. Fra queste particolare rilievo hanno le commissioni d’inchiesta. Sui criteri di composizione il
modello britannico garantisce preminenza della maggioranza mentre quello tipico di altri
ordinamenti adotta il criterio della rappresentanza proporzionale alla consistenza dei gruppi
parlamentari o comunque conforme alla composizione politica dell’Assemblea.
Negli ordinamenti anglosassoni l’ordine del giorno è stabilito dal Governo ma all’opposizione è
stabilito spetti in alcuni giorni, negli altri ordinamenti è di competenza dello stesso Parlamento
tramite il Presidente o una commissione speciale.
Per la validità delle sedute è richiesta, con qualche rara eccezione, la presenza di un certo numero di
parlamentari (numero legale) di solito pari alla metà più uno dei componenti l’Assemblea. Per
l’adozione delle deliberazioni la regola è quella della maggioranza semplice, tranne nei casi in cui la
costituzione richieda la maggioranza assoluta o una qualificata.
Circa le modalità di voto, si distingue tra voto palese e voto segreto. Il primo risponde a un’esigenza
di pubblicità ed è sempre applicato alle votazioni relative alla fiducia, quello segreto garantisce il
libero pronunciamento ed è di solito adottato per le votazioni su persone.
Sui tempi dei lavori parlamentari può incidere l’ostruzionismo tecnico o tattico allora tutti gli
ordinamenti prevedono varie tecniche antiostruzionistiche, si predetermina il giorno e l’ora della
votazione finale, si selezionano gli emendamenti evitando il voto su gran parte di essi, si limita la
durata degli interventi, ecc..
Status dei parlamentari. Per poter acquisire tale status e quindi essere eleggibili, sono richiesti
requisiti positivi, che consistono di solito nell’età, nella nazionalità e nella residenza, e requisiti
negativi, cioè condizioni di cui deve verificarsi l’inesistenza, quali l’incapacità civile e la condanna
penale per certi reati. In alcuni ordinamenti esistono cause di ineleggibilità o di incompatibilità. Le
prime riguardano i titolari di uffici pubblici o soggetti che hanno particolari rapporti economici o
professionali con lo Stato e potrebbero avvalersi della loro posizione per pregiudicare la libertà di
voto e la parità fra i candidati o perseguire interessi privati nell’espletamento del mandato.
L’elezione in questi casi è nulla. Invece l’incompatibilità riguarda i titolari di importanti cariche e
garantisce lo svolgimento indipendente del mandato. Non impedisce l’elezione ma obbliga l’eletto a
compiere un’opzione entro un certo termine. Nella forma di governo presidenziale, in quella
semipresidenziale francese ed in alcune forme di governo parlamentari vi è incompatibilità fra
mandato parlamentare e funzione ministeriale.
Di solito è il parlamento che verifica la regolarità delle elezioni e l’inesistenza di cause di
impedimento mentre il contenzioso elettorale è di solito competenza dell’autorità giudiziaria
ordinaria o speciale o del giudice costituzionale, sono limitati i casi in cui spetta al Parlamento.
Due sono le principali ipotesi di immunità parlamentare: l’insindacabilità e l’immunità penale. La
prima si applica alle opinioni espresse ed ai voti dati dai parlamentari nell’esercizio delle loro
funzioni. Invece l’immunità penale, detta anche inviolabilità, consente di non essere sottoposto ad
una responsabilità penale speciale ed ha natura temporanea.
Distinguiamo tra modello anglosassone e modello europeo. Nel primo l’insindacabilità vale solo per
le opinioni espresse in Parlamento e l’inviolabilità tutela la libertà personale del parlamentare. In
Europa continentale l’insindacabilità non si riferisce al luogo, ma alle funzioni esercitate, quindi
possiamo avere un’interpretazione estensiva, coprendo qualsiasi dichiarazione politica del
parlamentare, o restrittiva, tutelando solo le opinioni espresse in sede parlamentare o comunque
legate all’attività parlamentare. Circa l’immunità penale è prevista generalmente una autorizzazione
parlamentare per le misure limitative della libertà personale, salvo l’ipotesi di flagranza e di
sentenza definitiva di condanna. Per l’avvio dell’azione penale nella maggioranza degli ordinamenti
è richiesta l’autorizzazione a procedere. Quest’ultima è stata abolita in Francia e in Italia.
Funzioni. Tradizionalmente al Parlamento sono attribuite due funzioni principali: quella legislativa
e quella di controllo. Esistono funzioni però che non rientrano in queste, molti Parlamenti infatti
sono titolari, o quanto meno contitolari, della funzione di revisione costituzionale ed anche
contitolari della funzione di indirizzo politico insieme al Governo. Gli atti di indirizzo politico del
Parlamento possono essere sia legislativi che di natura non legislativa (mozioni, risoluzioni, ecc.).
Nell’ambito della funzione di controllo si distingue il controllo in senso stretto da quell’insieme di
atti volti all’acquisizione di informazioni necessarie per il buon esercizio delle sue funzioni
tradizionali. Tale funzione può essere qualificata come conoscitiva, quando la ricerca di
informazioni non ha carattere autoritativo, e come ispettiva, quando comporta vincoli e obblighi nei
confronti di coloro che vi sono sottoposti.
Del tutto eccezionale è la gestione di settori dell’amministrazione che normalmente è affidata al
Governo. Frequente è l’attribuzione di funzioni di tipo giurisdizionale, la più importante concerne
alcuni reati commessi dai Ministri e dal Presidente della Repubblica. Abbastanza frequenti sono
anche le funzioni di tipo elettorale, nelle forme di governo parlamentari il Parlamento è chiamato ad
eleggere il Presidente della Repubblica. In vari Paesi nomina in tutto o in parte i titolari di organi
chiamati a svolgere funzioni di garanzia o di tipo giurisdizionale.
E’ consigliabile quindi operare una distinzione non per funzioni ma per atti, distinguendo quelli
relativi al rapporto di fiducia, gli atti di indirizzo e di controllo, gli atti conoscitivi e ispettivi.
Il rapporto di fiducia. E’ il canale fondamentale attraverso il quale il Parlamento ed il Governo
concordano l’indirizzo politico, tuttavia solo in alcuni ordinamenti è richiesto un voto di fiducia
iniziale mentre il altri la fiducia è solo presunta. Nei Paesi che non richiedono voto di fiducia
iniziale è quindi possibile la formazione di governi di minoranza.
Con la mozione di sfiducia o di censura il Parlamento può sanzionare il Governo e costringerlo alle
dimissioni, tuttavia di solito il Capo dello Stato può respingerle e procedere allo scioglimento
anticipato del Parlamento.
In alcuni ordinamenti la presentazione e la votazione della mozione di sfiducia sono sottoposte a un
insieme di condizioni volte a garantire la stabilità del Governo: numero minimo di parlamentari
firmatari, termine minimo di decorrenza tra la presentazione e la votazione per garantire la presenza
ed evitare colpi di mano dell’opposizione, impossibilità in caso di mancata approvazione di
ripresentarla per un certo periodo di tempo, votazione palese. In alcuni ordinamenti vi è la natura
costruttiva della mozione, la quale deve indicare obbligatoriamente il nuovo Primo Ministro. In
alcuni ordinamenti la sfiducia può riguardare anche il singolo Ministro.
Atti di indirizzo e di controllo. Attraverso la funzione legislativa il Parlamento compie
costantemente scelte che incidono sull’indirizzo politico. Sono leggi di indirizzo quelle che
contengono decisioni politiche essenziali, soprattutto in materia finanziaria, di politica estera, di
ricorso agli stati di crisi.
In materia finanziaria la regola dominante è quella che prevede l’approvazione parlamentare del
bilancio di previsione, di periodo quasi sempre annuale, ma talvolta è previsto anche un bilancio
pluriennale. La competenza a predisporre il bilancio spetta al Governo o, nella forma di governo
presidenziale, al Presidente della Repubblica. L’Assemblea può nella maggior parte dei casi
emendare il progetto, in taluni casi si incontrano dei limiti quali l’impossibilità di accrescere le
spese (Canada) o anche di aumentare le entrate proposte dal Governo (Regno Unito) o l’obbligo di
garantire il pareggio fra entrate e uscite. In caso di mancata approvazione del bilancio alcuni
Parlamenti adottano un bilancio provvisorio o autorizzano mese per mese le spese necessarie a
esperire gli affari correnti.
Per quel che riguarda i trattati internazionali in alcuni ordinamenti o non è previsto l’intervento del
Parlamento o il Governo ha l’obbligo di presentare il testo al Parlamento prima della ratifica, ma
non abbisogna di una autorizzazione dell’Assemblea (Regno Unito). Invece nella maggioranza degli
Stati è richiesta l’approvazione preventiva o l’autorizzazione alla ratifica dei trattati da parte del
Parlamento.
Gli stati di crisi comportano generalmente la sospensione dell’efficacia delle norme costituzionali,
una limitazione dei diritti di libertà ed il conferimento di poteri speciali all’Esecutivo fino al
protrarsi della situazione eccezionale. Nella maggioranza dei casi l’organo competente a dichiarare
lo stato di crisi è il Governo, ma su deliberazione o autorizzazione o con un successivo voto di
ratifica del Parlamento. Talvolta è il Capo dello Stato ad essere titolare del potere di crisi senza
alcun intervento del Parlamento.
Oltre alle leggi di indirizzo il Parlamento può fare ricorso ad atti non legislativi che contengono
direttive politiche al Governo o giudizi sulla sua azione. Tali atti possono assumere varie
denominazioni (mozioni, risoluzioni, ordini del giorno), possono essere monocamerali o bicamerali.
Atti conoscitivi e ispettivi. Il più importante esempio di atti conoscitivi sono le udienze, tramite le
quali le commissioni del Congresso USA possono interpellare persone esterne al Parlamento per
ricevere informazioni e suggerimenti o per acquisire dati. In Italia natura simile hanno le indagini
conoscitive svolte dalle commissioni nelle materie di loro competenza mentre le indagini legislative
hanno l’obiettivo di rendere possibile il confronto in materia dei diversi interessi organizzati.
Nell’ambito della funzione ispettiva gli atti principali sono costituiti dalle forme di audizione del
Governo, dalle interrogazioni, dalle interpellanze e dalle inchieste.
Nella maggioranza degli Stati il Governo è tenuto a rendere conto periodicamente della propria
gestione. La costituzione prevede che il Parlamento o le sue commissioni possano richiedere la
presenza dei Ministri, cui corrisponde il diritto di questi di assistere alle sedute e di intervenire
quando lo ritengono opportuno.
Con l’interrogazione ogni parlamentare può chiedere al Governo o al singolo Ministro spiegazioni o
notizie su un fatto specifico. Possono essere scritte o orali e di solito è previsto un termine entro il
quale il Governo deve rispondere.
Con le interpellanze il singolo parlamentare avanza una richiesta scritta riguardante non un fatto
specifico, ma l’orientamento assunto dal Governo o da un Ministro su una determinata questione.
Di solito è seguita da un dibattito che in alcuni casi si conclude con un voto. Nel Regno Unito è
invece utilizzata la mozione di aggiornamento che consente di porre domande al Governo su un
argomento specifico, di solito non sfocia in un voto.
Nella maggior parte degli ordinamenti il Parlamento può dare vita a commissioni d’inchiesta su
specifiche questioni e quindi sottoporre a controllo l’amministrazione che è alle dirette dipendenze
del Governo. L’efficacia dell’inchiesta parlamentare varia a seconda che abbia poteri limitati o
analoghi a quelli dell’autorità giudiziaria.
Il Governo.
Origine e struttura. Per Governo si intende di solito l’organo posto al vertice del potere esecutivo,
che presiede alla formazione e all’attuazione dell’indirizzo politico e dirige l’attività della pubblica
amministrazione, talvolta è designato con il termine Esecutivo (negli USA Executive, in Gran
Bretagna Cabinet).
In alcuni ordinamenti la funzione di governo viene attribuita a due organi entrambi facenti parte del
potere esecutivo (Esecutivo dualistico), è tipico della forma di governo semipresidenziale dove
accanto al Governo vi è il Capo dello Stato. In altri ordinamenti la funzione è svolta da un solo
organo (Esecutivo monista), che può essere monocratico o collegiale. La prima situazione si
verifica nella forma di governo presidenziale mentre in quella direttoriale vi è un organo collegiale
che è anche Capo dello Stato. Nelle forme di governo parlamentari moniste spesso il Capo dello
Stato continua ad essere considerato parte del potere esecutivo, ma nella sostanza egli non partecipa
più alla determinazione dell’indirizzo politico che spetta al Governo.
Di solito il Governo è un organo complesso nel senso che è formato da più organi individuali o
collegiali, alcuni di questi sono direttamente previsti dalla costituzione e quindi definiti necessari,
ma si ammette l’esistenza di organi eventuali, disciplinati da leggi ordinarie o affermatisi per via
consuetudinaria o convenzionale.
La direzione del Governo è generalmente affidata ad un organo monocratico, il Presidente della
Repubblica (governo presidenziale) o il Primo Ministro (qualificato anche come Cancelliere o
Presidente del Consiglio). Talvolta è prevista anche la figura del Vice Presidente.
Per quanto riguarda la struttura organizzativa, negli USA il Presidente è coadiuvato da un numero
considerevole di collaboratori riuniti nella White House Office e nell’Executive Office. Nel Regno
Unito il Primo Ministro è coadiuvato dal Cabinet Office e dal Private Office. In Italia abbiamo un
segretariato generale che si articola in un ufficio di segreteria e in uffici e dipartimenti.
Il Consiglio dei Ministri ha una consistenza numerica abbastanza variabile, si va dai 7 della
Svizzera a non più di 15 del Belgio fino a 35. Nel Regno Unito ed in Australia l’organo collegiale di
governo è il Gabinetto, del quale fa parte un numero ristretto di Ministri scelti dal Primo Ministro, e
vi è un Consiglio dei Ministri pletorico.
Status dei membri del Governo. In vari ordinamenti esiste una normativa volta ad evitare il
cosiddetto “conflitto d’interessi” ovvero quella situazione in cui il titolare di una carica elettiva o
pubblica ha o gestisce un interesse economico privato tale da poter influenzare l’esercizio dei suoi
doveri pubblici. L’ordinamento degli USA è quello che più di ogni altro ha disciplinato tale materia,
le misure più significative sono:
- il recusal, l’obbligo di astenersi su qualsiasi questione sulla quale il pubblico ufficiale abbia
un interesse finanziario;
- dichiarazioni pubbliche sullo stato patrimoniale e sui redditi esterni del titolare di una carica
pubblica;
- divieto di assumere incarichi o utilizzare notizie nei settori in cui il pubblico ufficiale ha
operato;
- trasferimento della gestione del patrimonio di proprietà ad un amministratore esterno e
indipendente;
- obbligo di alienare alcuni beni quando le altre misure non risultino efficaci.
Nel Regno Unito troviamo misure in parte analoghe ma che non sono oggetto di disciplina
legislativa bensì di codici regolamentari e deontologici. In Germania il Ministro non può assumere
uffici remunerativi, mestieri o professioni senza approvazione del Parlamento mentre in Spagna i
membri del Governo non possono esercitare altre funzioni pubbliche né attività professionali o
commerciali.
In vari ordinamenti non è previsto alcun trattamento differenziato per i reati commessi dai Ministri,
i quali godono solo delle prerogative stabilite per i parlamentari se sono tali. Alcuni però prevedono
una responsabilità penale speciale dei Ministri che riguarda i reati compiuti nell’esercizio della
funzioni. Il soggetto competente a sollevare l’accusa è quasi sempre il Parlamento o un organo
parlamentare, il giudice competente può essere quello ordinario, la Corte Suprema, la Corte
costituzionale, un giudice speciale a composizione sia giurisdizionale e sia politica, il Parlamento.
In Italia e Francia con 2 leggi costituzionali si è stabilito che i membri del Governo siano sottoposti
alla magistratura ordinaria ma su autorizzazione della Camera di appartenenza. In controtendenza in
Italia la L. n. 124/2008 ha stabilito che i titolari di alte cariche non siano perseguibili nel corso del
mandato ma solo alla fine dello stesso (improcedibilità).
Formazione del governo. E’ utile distinguere 3 fasi: preparatoria, costitutiva e integrativa
dell’efficacia. Circa la derivazione giuridica si possono distinguere 3 ipotesi a seconda che l’organo
competente a provvedere alla scelta del capo dell’Esecutivo sia il corpo elettorale, il Parlamento o il
Capo dello Stato.
L’elezione da parte del corpo elettorale ricorre nella forma di governo presidenziale ed in quella
semipresidenziale, mentre in quella parlamentare è stata prevista solo per un periodo in Israele.
L’elezione parlamentare del Primo Ministro avviene o su iniziativa dello stesso Parlamento o su
designazione o proposta del Capo dello Stato.
Più complessa è l’ipotesi della nomina del Primo Ministro da parte del Capo dello Stato. Nelle
forma di governo semipresidenziali (tranne l’Irlanda) e nella maggioranza delle monarchie
parlamentari il Capo dello Stato procede alla nomina senza che questa sia seguita da un voto di
fiducia obbligatorio del Parlamento. Invece in alcune forme di governo parlamentari (Belgio,
Grecia, Italia) alla nomina da parte del Capo dello Stato deve seguire entro un certo termine il voto
di fiducia del Parlamento e, in caso di esito negativo, il Governo è tenuto a dimettersi.
Nelle forme di governo maggioritarie l’indicazione del primo Ministro viene compiuta dal corpo
elettorale assegnando la maggioranza dei seggi ad un partito o ad una coalizione omogenea. Quindi
il Parlamento o il Capo dello Stato sono vincolati dalla regola, molto spesso di origine
convenzionale, che impone di nominare il leader del partito o della coalizione che abbia ottenuto la
maggioranza dei seggi. In questa ipotesi il Primo Ministro non è inamovibile ma può essere
sostituito nel corso del mandato qualora perda la leadership del proprio partito.
Nelle forme di governo non maggioritarie la scelta del Primo Ministro è di solito il frutto di un
accordo postelettorale fra i partiti.
La prima fase della formazione del Governo è quella preparatoria, l’insieme degli atti che
precedono l’elezione o la nomina, e nella quale prevalgono regole non scritte.
La scelta del leader può spettare al gruppo parlamentare o ad un organo di partito. In vari
ordinamenti il Capo dello Stato, prima di procedere alla nomina o alla proposta del Primo Ministro,
fa ricorso ad apposite consultazioni che possono essere di origine consuetudinaria o convenzionale.
Infine provvede o a conferire l’incarico di formare il Governo ad una personalità politica o a
designare il candidato alla carica di Primo Ministro da sottoporre all’approvazione del Parlamento.
La fase costitutiva sfocia nella formazione del Governo ed è più frequentemente disciplinata nei
testi costituzionali.
Per quel che riguarda la nomina dei Ministri, nella forma di governo presidenziale spetta al
Presidente tanto la nomina quanto la revoca degli stessi, tuttavia negli USA occorre il parere ed in
consenso del Senato. Nelle altre forme di governo svolge un ruolo decisivo il Primo Ministro, in
Francia la nomina è attribuita al Capo dello Stato su proposta del Primo Ministro, nelle monarchie
parlamentari formalmente spetta al Re ma nella sostanza è il Primo Ministro a compiere la scelta. In
tutti gli altri ordinamenti la scelta è attribuita al Capo dello Stato ma su proposta del Primo
Ministro.
La fase finale, quella integrativa dell’efficacia, comprende di solito il giuramento che può avvenire
o di fronte al Capo dello Stato o del Parlamento. In alcuni ordinamenti il Governo deve presentarsi
entro un certo numero di giorni di fronte al Parlamento per ottenere il voto di fiducia.
Non si può escludere la formazione di governi di minoranza, che è giuridicamente possibile quando
non è previsto un voto di fiducia iniziale o allorché l’investitura parlamentare può avvenire anche a
maggioranza semplice.
Crisi di governo. La dottrina parlamentare suole distinguere fra crisi parlamentari, che sono
determinate da un espresso voto di fiducia del Parlamento, e crisi extraparlamentari, che derivano
da ragioni esterne alla volontà del Parlamento. La distinzione ovviamente ha senso solo con
riferimento alle forme di governo caratterizzate dall’esistenza del rapporto di fiducia. Anche in
questo caso l’eventualità di approvazione di una mozione di sfiducia è abbastanza remota.
Le crisi extraparlamentari possono essere suddivise in 4 ipotesi:
- quelle determinate da ragioni non politiche, quali morte, impedimento permanente o
dimissioni del Primo Ministro;
- quelle derivanti da nuove elezioni parlamentari, di solito quando si rinnova il Parlamento il
Governo, legato da un rapporto di fiducia con l’Assemblea precedente, presenta le proprie
dimissioni a quello nuovo, ciò non esclude che esso possa essere riconfermato;
- quelle dovute al Presidente della Repubblica, generalmente in occasione delle elezioni
presidenziali il Governo in carica presenta le proprie dimissioni al nuovo Presidente, il quale
le rifiuta;
- quelle derivanti da questioni di partito, che si verificano allorché nel partito di maggioranza
viene messa in discussione la leadership del Primo Ministro o quando si manifesta un
conflitto insanabile fra i partiti di una coalizione di governo.
I rapporti infragovernativi. La coesistenza al vertice del potere esecutivo di un organo
monocratico e di uno collegiale pone il problema dei rapporti reciproci e di quale dei due abbia la
prevalenza. Negli Stati autocratici vi è una netta prevalenza del principio monocratico a vantaggio
del Capo dello Stato o del Primo Ministro. Nelle forme di governo che hanno un funzionamento di
tipo maggioritario vi è nell’ambito del Governo una netta preminenza del Primo Ministro che si
esercita attraverso vari strumenti:
- il potere sostanziale di scelta e di revoca dei Ministri;
- il potere di direzione generale della politica governativa e di coordinamento dell’azione dei
vari Ministri;
- il potere di direttiva nei confronti dei Ministri anche per gli affari rientranti nella loro
competenza;
- la titolarità di alcuni importanti dicasteri.
Nelle forme di governo che hanno un funzionamento di tipo non maggioritario la formazione di
governi di coalizione fra partiti anche eterogenei riduce il Primo Ministro a fungere da mediatore
fra le diverse componenti politiche del Governo.
Il Capo dello Stato.
Natura e ruolo. Di solito si tratta di un organo monocratico ma non mancano casi nei quali ha
carattere collegiale (Svizzera). Anche laddove non esiste formalmente un Capo dello Stato vi è
sempre un soggetto che è incaricato di rappresentare lo Stato nei rapporti internazionali.
Abbiamo diverse teorie circa il ruolo del Capo dello Stato. Una prima lo considera capo del potere
esecutivo, ciò avviene sicuramente nella forma di governo presidenziale mentre in quella
semipresidenziale dipende dal rapporto che si instaura con la maggioranza parlamentare.
Una seconda concezione individua in esso il garante della legittimità e della permanenza dell’unità
statale, ciò comporta che nelle situazioni di crisi è legittimato ad intervenire con misure eccezionali
assumendo in prima persona la direzione politica del Paese.
Una terza concezione lo considera un potere neutro distinto dai 3 tradizionali e posto al di sopra
delle parti politiche con il compito di moderarne i rapporti e di risolvere gli eventuali conflitti.
Sono state date diverse letture della neutralità del Capo dello Stato, come istanza simbolica o con
poteri neutrali, con il compito di consigliare, incoraggiare e ammonire, come garante del rispetto
della costituzione e delle regole del gioco e come potere di intermediazione che garantisce un
costante processo di integrazione dell’unità statale.
Derivazione e durata della carica. Circa la derivazione si possono distinguere 3 ipotesi:
- la successione ereditaria, avviene nei sistemi monarchici;
l’elezione popolare, nelle forme di governo presidenziali e semipresidenziali, in modo
diretto o mediante elezione di secondo grado da parte di un collegio di elettori presidenziali.
Solo in Islanda e Slovenia viene adottato un sistema maggioritario a turno unico e a
maggioranza relativa, mentre nella maggioranza degli ordinamenti avviene con sistema
maggioritario a doppio turno (se al primo nessuno ottiene la maggioranza assoluta si effettua
un ballottaggio tra i due candidati più votati);
- l’elezione parlamentare, nelle Repubbliche parlamentari viene eletto dal parlamento o da
un’apposita assemblea federale. Nelle prime 2 votazioni è richiesta la maggioranza dei 2/3 o
quella assoluta mentre dalla terza o si riduce il numero dei candidati o è sufficiente una
maggioranza inferiore.
Mentre la carica dei Capi di Stato monarchici è vitalizia, quella dei Presidenti della Repubblica ha
una durata determinata, in alcuni 4 anni (presidenziale e semipresidenziale), in coincidenza con la
durata della legislatura, ma più frequentemente la durata superiore a quella del Parlamento.
Generalmente non può essere rieletto per più di una volta ma in alcuni ordinamenti è un divieto
assoluto in altri invece riguarda solo il mandato immediatamente successivo ai 2 già espletati.
Per quel che riguarda la cessazione dalla carica, nelle Monarchie questa si verifica in principio solo
per la morte del Re anche se questi può anche abdicare. Nelle Repubbliche cessa dalla carica al
momento della scadenza del mandato o per effetto di cause sopravvenute: la morte, le dimissioni, le
destituzione, l’impedimento permanente. La destituzione può derivare dalla sua messa in stato
d’accusa o dalla sua condanna. Nel caso di impedimento alcune costituzioni individuano l’organo
competente a dichiararlo.
Per quel che riguarda la supplenza, l’organo è diverso nei vari ordinamenti, il Vice Presidente nelle
forme di governo presidenziale, il Presidente del Parlamento monocamerale o quello di una delle
due Camere, più raramente il Primo Ministro. I poteri del supplente sono limitati, di sicuro non può
sciogliere il Parlamento o indire un referendum o nominare il Primo Ministro o rinviare una legge.
Poteri. Dalla lettura delle costituzioni vigenti il Capo dello stato è titolare di poteri numerosi e
importanti tranne in quella svedese e quella giapponese.
Nella forma di governo presidenziale il Presidente, oltre ad essere titolare dei poteri tipici di un
Capo dello Stato (rappresentanza dello Stato nelle relazioni internazionali, comando delle FF.AA.,
nomina di funzionari e di titolari di organi di garanzia, ecc.), è anche titolare del potere esecutivo. In
Francia, quando è sostenuto dalla maggioranza parlamentare, concentra nelle sue mani i poteri sia
del Presidente USA che del Primo Ministro inglese mentre in Russia ha poteri analoghi a quelli del
Presidente USA ma ha anche l’iniziativa legislativa, il potere di indire referendum e di sciogliere la
Duma.
Nella maggioranza degli ordinamenti al capo dello Stato vengono attribuiti poteri di rappresentanza
dello Stato e dell’unità nazionale, di garanzia del rispetto della costituzione, di iniziativa e di
controllo degli altri organi costituzionali.
Gli atti del Capo dello Stato possono assumere natura sostanziale, in quanto sono da lui
effettivamente decisi, o meramente formale, limitandosi a sancire la volontà espressa da un altro
organo.
L’istituto della controfirma, negli ordinamenti monarchici è necessaria per tutti gli atti del Re
mentre in quelli repubblicani o è prevista per tutti gli atti del Presidente o è esclusa.
Fra i suoi poteri hanno un particolare rilievo la nomina del Governo e lo scioglimento anticipato del
Parlamento. Quest’ultimo non è previsto negli USA, nella Confederazione svizzera e in Norvegia
ma di solito rientra fra i poteri del Presidente. Occorre però chiedersi a chi spetti la titolarità
sostanziale della decisione, allora bisogna considerare due aspetti: se sia richiesta oppure no la
controfirma o la proposta del Governo, se lo scioglimento sia vincolato alla sussistenza di
determinati presupposti o sia discrezionale.
In alcuni ordinamenti semipresidenziali (Francia, Austria) e nella maggioranza degli Stati europei
ex socialisti lo esercita senza controfirma. Ma anche laddove non è prevista il potere non è
discrezionale in quanto può essere esercitato solo in presenza delle condizioni stabilite nella
-
costituzione (attinenti per lo più all’impossibilità di formare un governo o al verificarsi di ripetute
crisi). In Germania e Grecia la controfirma non è richiesta solo quando lo scioglimento deriva
dall’incapacità di formare un governo stabile mentre quando viene proposto dal primo Ministro
deve essere controfirmato da questi.
Nelle altre forme di governo parlamentari la titolarità sostanziale del potere è generalmente del
Governo su iniziativa del primo Ministro sottoposta alla deliberazione dell’organo collegiale. In
alcuni casi lo scioglimento è il frutto della concorde volontà del Capo dello Stato e del Primo
Ministro (Italia).
Nelle costituzioni più recenti vi è la tendenza a indicare in modo rigoroso i presupposti giustificativi
dello scioglimento nonché i limiti di tempo che possono consistere:
- un termine iniziale fino al quale non è consentito ricorrere allo scioglimento o uno finale
dopo il quale lo scioglimento non è ammesso (ultimi 6 mesi in Austria, 3 in Svezia);
- un lasso di tempo che deve decorrere dopo un precedente scioglimento prima di poter
procedere ad uno nuovo;
- nel divieto di scioglimento nell’ultima fase del mandato presidenziale (Italia).
Numerose costituzioni vietano esplicitamente o implicitamente lo scioglimento durante lo stato di
guerra o gli stati di crisi. Infine in vari ordinamenti il titolare del potere deve chiedere il parere
preventivo non vincolante di vari soggetti.
E’ possibile distinguere 5 tipi di scioglimento:
- lo scioglimento maggioritario, che è deciso dal Governo o dalla maggioranza parlamentare
al fine di scegliere il momento più favorevole per andare a nuove elezioni;
- lo scioglimento funzionale, che è previsto di solito quando il parlamento non è in grado di
garantire la formazione del Governo o si sono verificate ripetute crisi in breve tempo;
- lo scioglimento arbitrario, deriva dal conflitto fra il parlamento ed un altro organo
costituzionale, può essere il Presidente o il Governo colpito da una mozione di sfiducia;
- lo scioglimento di consultazione, che comprende due ipotesi: lo scioglimento automatico,
che consegue in alcuni ordinamenti all’approvazione di un progetto di revisione
costituzionale sul quale è chiamato a pronunciarsi il corpo elettorale, e lo scioglimento
libero, che è originato dalla volontà di sottoporre al giudizio del corpo elettorale
un’importante questione nazionale;
- lo scioglimento tecnico, che deriva da una revisione costituzionale o da un’importante legge
ordinaria che incidano sulla struttura o sulla formazione del Parlamento.
Responsabilità. Molte costituzioni continuano a proclamare il tradizionale principio monarchico
della irresponsabilità del Capo dello stato. Occorre distinguere tra Capi di stato monarchici e
repubblicani. Per i primi vige una irresponsabilità personale, assoluta e permanente. Per i presidenti
della Repubblica dobbiamo distinguere fra responsabilità giuridica e responsabilità politica. La
prima si ha quando il comportamento di un soggetto è valutabile in base a criteri giuridici e può
comportare sanzioni di tipo giuridico. La seconda ricorre quando il comportamento viene valutato
in base a criteri di opportunità e può sfociare in una sanzione di tipo politico. Nell’ambito della
responsabilità politica occorre distinguere fra quella istituzionale, a cui sono soggetti solo i
Presidenti e che può essere fatta valere dal titolare del potere di elezione mediante la non elezione, e
quella diffusa, che consiste nella libera critica.
In alcuni ordinamenti nei quali il presidente è eletto a suffragio universale è prevista la rimozione
dalla carica del presidente nel corso del mandato. Questa può essere decisa dal corpo elettorale sui
iniziativa del Parlamento e la mancata destituzione determina la rielezione del Presidente e lo
scioglimento automatico del Parlamento.
A metà tra responsabilità giuridica e politica si colloca l’impeachment degli USA, è una
responsabilità penale per i delitti di tradimento, di concussione o altri gravi reati. Il Presidente è
giudicato da un organo politico, il Senato, e la sanzione è di natura politica, la rimozione. Tale
procedura non comporta la sospensione dei processi nel corso del mandato e non esclude che il
Presidente sia sottoposto per gli stessi reati al giudizio del giudice penale o civile.
Per quel che riguarda la responsabilità giuridica dei Presidenti dobbiamo distinguere fra gli atti
compiuti nell’esercizio delle funzioni e gli atti extrafunzionali. Per i primi viene generalmente
proclamato il principio di irresponsabilità, che non vale però per alcuni reati tipici quali attentato o
violazione della costituzione, violazione di leggi, alto tradimento, condotta incompatibile con la
carica. La messa in stato d’accusa viene deliberata a maggioranza assoluta o qualificata da un
organo parlamentare. Il soggetto competente a giudicare può essere un organo parlamentare,
l’organo supremo della magistratura ordinaria, un giudice speciale o spesso la Corte costituzionale.
La sanzione può essere di tipo penale e a questa può aggiungersi la rimozione.
Per gli atti extrafunzionali nella maggioranza degli ordinamenti democratici non è prevista alcuna
immunità. In alcuni è richiesta l’autorizzazione a procedere da parte del Parlamento mentre in altri è
stabilita l’improcedibilità fino al termine del mandato.
GIUSTIZIA COSTITUZIONALE COMPARATA
Alle origini del controllo di costituzionalità. Le parole giustizia costituzionale (ma anche
“controllo” o “sindacato di costituzionalità”), si riferiscono al riscontro, da parte di un organo
giurisdizionale, tra costituzione e norme ad essa subordinate. Un riscontro assistito dal potere di
espellere le norme contrastanti dall’ordinamento giuridico, dichiarandone la nullità o rendendole
comunque inefficaci. In senso più largo, si allude a ogni verifica tra norme costituzionali (o
considerate tali) e altre norme. Con giustizia costituzionale giurisdizionale indichiamo quella
svolta da organi neutrali o terzi, non coinvolti nel processo formativo della legge e che non sono
portatori di interessi politici. Con giustizia politica ogni forma residua di controllo esercitato in
assenza di tali requisiti.
Il più immediato precedente del moderno controllo di costituzionalità risale al famoso caso Bonham
del 1610, in esso il magistrato inglese Coke sostenne la sottoposizione del Monarca alla lex terrae.
Il diritto comune, cioè la common law, rappresentava secondo Coke sia la legge fondamentale del
Regno che l’incarnazione della ragione. Tuttavia il conflitto tra il potere giudiziario e quello
legislativo si risolse con la piena vittoria di quest’ultimo, cosicché la dottrina di Coke venne ben
presto abbandonata e con essa il principio che la volontà delle Assemblee rappresentative potesse
essere sottoposta alle decisioni dei giudici.
Il judicial review nacque dunque in Inghilterra ma non vi attecchì viceversa ottenne uno
straordinario successo in America. Anche la Francia manifestò una tenace renitenza a introdurre il
controllo di costituzionalità ma poiché un controllo doveva ben esserci, veniva esercitato dallo
stesso potere legislativo.
Il judicial review negli Usa e la sentenza Marbury v. Madison. Il sindacato di costituzionalità a
opera dei giudici acquistò importanza, negli USA, agli inizi dell’800, per l’affermarsi del concetto
di costituzione rigida, idonea come tale a essere assunta dai giudici stessi quale parametro di
legittimità delle leggi ordinarie. Anche se non è previsto dalla costituzione, essa lo riconosce
implicitamente, stabilendo una gerarchia delle fonti normative al cui vertice è posta la costituzione
stessa come suprema legge del Paese e, soprattutto, attribuendo la funzione giudiziaria federale alla
Corte Suprema e alle altre Corti.
Il controllo di costituzionalità si afferma in giurisprudenza già nei primi anni di applicazione della
Carta federale: ciò avviene nel noto caso Marbury v. Madison, deciso nel 1803 dalla Corte
Suprema. Questa afferma che la costituzione è una legge e, pertanto, essendo compito del giudice
interpretare le leggi per decidere le controversie ad esso sottoposte, anche la Corte Suprema ha il
diritto-dovere di interpretare la costituzione al fine di risolvere ogni eventuale antinomia o conflitto
tra le norme. Poiché il testo costituzionale pone la costituzione medesima su un piano superiore a
quello delle altre leggi, compete alla Corte Suprema (come ad ogni altro giudice) verificare se la
legge è conforme a essa prima di considerarla applicabile al caso di specie. Se non sussiste questa
conformità, il giudice non può fare altro che dichiararla nulla e inefficace.
Il controllo praticato negli USA ha un carattere diffuso cioè ciascun giudice è abilitato a sindacare
la conformità delle leggi alla costituzione nell’esercizio della sua ordinaria attività giudicante. La
Corte Suprema lo esercita quale organo di vertice del sistema giudiziario degli USA. La procedura
origina dal writ of certiorari con la quale una delle parti del processo principale chiede alla Corte
Suprema di riesaminare il caso. La Corte fa una selezione del tutto discrezionale dei casi da
esaminare.
La Corte Suprema si è data anche una cospicua serie di limitazioni tradottesi in altrettante regole
procedurali, soprattutto i giudici costituzionali americani hanno sempre rifiutato l’esame delle
cc.dd. political questions, problematiche collegate alle competenze di indirizzo politico spettanti al
potere legislativo o all’esecutivo.
L’efficacia delle sentenze della Corte Suprema è, in linea di principio, limitata alle parti in causa,
tuttavia, il sistema del precedente determina che le Corti inferiori debbano ritenersi vincolate alle
pronunzie dei giudici superiori, sicché l’atto legislativo dichiarato incostituzionale perde del tutto la
propria efficacia.
Kelsen e la giustizia costituzionale. Il secondo prototipo di giustizia costituzionale fu merito di
Hans Kelsen e fu messo in pratica nella costituzione austriaca del 1920. Per Kelsen il custode della
costituzione deve essere un organo organizzato in tribunale, la cui indipendenza sia garantita
dall’inamovibilità. Egli esclude un controllo preventivo ma ammette solo un controllo repressivo
che può essere attivato da tutte le pubbliche autorità che, chiamate ad applicare una legge che
presumono essere incostituzionale, possono sospendere il procedimento ed investire della questione
il Tribunale costituzionale. Oggetto del giudizio dovrebbero essere, oltre alle leggi, i regolamenti,
gli atti normativi generali e i trattati internazionali. Qualora il Tribunale costituzionale riscontri un
vizio di forma, cioè relativo al procedimento di formazione dell’atto, o di sostanza, per contrasto
con la costituzione, procede all’annullamento della legge o di sue singole disposizioni, con efficacia
pro futuro, salvo un limitato effetto retroattivo.
Le tesi di Kelsen trovarono il loro primo terreno di sperimentazione nella costituzione austriaca del
1920. Nell’ordinamento federale austriaco venne istituito un Tribunale costituzionale federale, i cui
membri erano eletti a vita per metà dal Consiglio nazionale (rappresentativo della popolazione) e
per l’altra metà dal Consiglio federale (rappresentativo delle autonomie). Legittimati al ricorso
erano rispettivamente il Governo federale e ciascun Governo dei Lander ma lo stesso Tribunale
poteva sollevare d’ufficio un incidente di costituzionalità. Al riscontro di un vizio seguiva
l’annullamento,con effetto pro futuro, salvo che per i regolamenti.
Evoluzione del controllori costituzionalità in Francia. Solo con la costituzione della IV
Repubblica venne introdotto in Francia il controllo di costituzionalità. Nel 1946 esso venne affidato
al Comitato costituzionale, ma non solo era circoscritto quanto all’oggetto e alle modalità
d’accesso, veniva esercitato preventivamente e soprattutto veniva esercitato da un organo le cui
garanzie di terzietà erano assai labili. Il Comitato era costituito dal Presidente della Repubblica, che
era al vertice, i Presidenti dei due rami del Parlamento, da 7 membri eletti dall’Assemblea nazionale
e 3 dal Consiglio della Repubblica (la Camera alta). Gli competeva verificare, su richiesta congiunta
del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio della Repubblica e previa delibera a
maggioranza assoluta del Consiglio della Repubblica, se le leggi votate dall’Assemblea nazionale
comportassero una revisione costituzionale. Ma naturalmente nessuno dei soggetti abilitati aveva un
reale interesse a sottoporre all’organo di giustizia costituzionale una legge assunta in violazione,
deroga, modifica della costituzione.
La costituzione della V Repubblica mantenne il controllo preventivo ma con delle differenze
rispetto al modello precedente. L’organo chiamato a giudicare le leggi, il Consiglio costituzionale,
comprende 9 membri con un mandato di 9 anni non rinnovabile,3 sono nominati dal Presidente
della Repubblica, 3 dal Presidente dell’Assemblea nazionale e 3 dal Presidente del Senato. A essi si
aggiungono gli ex Presidenti della Repubblica. Il Consiglio svolge il controllo preventivo
obbligatorio sulle leggi organiche e i regolamenti parlamentari, e quello facoltativo sulle leggi e sui
trattati. Inizialmente il Consiglio poteva essere adito solo dal Presidente della Repubblica, dal Primo
Ministro e dai Presidenti dei due rami del Parlamento. Dagli anni ’70 si ha un radicale cambio di
rotta, dapprima con l’incorporazione nel giudizio del preambolo della costituzione (ricco di
enunciazioni sui diritti sociali) il Consiglio si trasforma in giudice pieno della costituzionalità delle
leggi, anche con riferimento alla violazione dei diritti e delle libertà. Con una legge costituzionale
del 1974 il potere di adire il Consiglio viene assegnato anche a 60 deputati o 60 senatori e, dal 2008,
anche alla Corte di Cassazione e al Consiglio di Stato.
Modelli ibridi: il controllo incidentale. Dal secondo dopoguerra, ai due modelli, statunitense e
austriaco, viene associato un terzo modello nel quale si riscontrano elementi di entrambi. L’organo
chiamato a rendere giustizia costituzionale è unico e specializzato, come in Austria, ma, al pari
degli USA, ciascun giudice è interessato all’esercizio del controllo di costituzionalità (effettua un
giudizio preliminare di conformità ed in caso di dubbio o ragionevole certezza che vi sia contrasto
investe della questione la Corte costituzionale).
L’introduzione del controllo incidentale in Italia, Germania e Spagna non ha comportato il ripudio
del sistema basato sul ricorso diretto. L’esigenza di comporre i conflitti tra centro e periferia, quanto
alle rispettive competenze legislative, ha suggerito di introdurre il ricorso diretto da parte delle
autorità governative o, di volta in volta, di Regioni, Lander, Comunità autonome. Nonché, in
Germania, Spagna ed Europa centro-orientale, quello di cittadini lesi in un loro diritto o libertà
fondamentale da atti amministrativi, legislativi, giurisdizionali emanati dai pubblici poteri, o persino
da atti dei privati.
In Italia il sistema è misto, non solo fonde diffusione e accentramento ma altresì contempla ipotesi
di accesso diretto. Nel giudizio in via incidentale l’efficacia delle sentenze è diversa: quelle di
incostituzionalità operano erga omnes mentre quelle di rigetto operano inter partes ovvero qualsiasi
giudice le può riprospettare.
In Germania il controllo è di due tipi. Il controllo concreto si genera ogni qualvolta un tribunale
reputi incostituzionale una legge, dalla cui validità dipende la decisione, il processo deve essere
sospeso e la questione deferita al Tribunale costituzionale del Land, se si tratta di violazione della
costituzione del Land, o al Tribunale costituzionale federale, se si tratta di violazione della
costituzione federale. Il c.d. controllo astratto si realizza su ricorso del Governo federale o di
quello di un Land o di 1/3 dei componenti del Bundestag, quando ritengono una norma dello Stato
centrale o del Land incostituzionale.
La Spagna ha privilegiato l’accesso diretto rispetto a quello ancorato a un’eccezione processuale. Il
Tribunale costituzionale giudica sull’incostituzionalità di leggi e di disposizioni con forza di legge
sottopostegli con tre diverse modalità. La prima è l’accesso in via incidentale, la seconda è
l’accesso diretto presentato dal Presidente del Governo, dal Difensore del Popolo, da 50 deputati o
50 senatori, dagli organi collegiali ed esecutivi delle Comunità autonome. Infine il Tribunale piò
essere adito con ricorso di amparo mediante il quale ciascuna persona fisica o giuridica, nonché il
Difensore del Popolo e il Pubblico Ministero, possono denunciare la violazione di gran parte dei
diritti o libertà fondamentali disciplinati dalla costituzione.
Il controllo è successivo ed il termine stabilito è di 3 mesi dalla pubblicazione.
Anche la Francia si è iscritta al club sei sistemi ibridi in quanto accanto al classico controllo
preventivo opera anche quello successivo incidentale.
Sindacato diffuso e concentrazione del controllo in alcuni ordinamenti europei e latinoamericani. Esistono altre ibridazioni tra tipo americano e modello austriaco, in alcuni ordinamenti,
accanto al controllo diffuso da parte delle Corti, vengono assegnate competenze speciali ad appositi
organi centralizzati, chiamati a esercitare in qualche forma il sindacato di costituzionalità.
L’anomalia di tale situazione consiste nel fatto che trova realizzazione in sistemi di civil law, dove
le pronunce dei giudici ordinari non sono efficaci erga omnes, e solo in casi sporadici il precedente
giudiziario vincola le Corti inferiori. Un controllo parzialmente diffuso si ha in Portogallo, in
Grecia, in Estonia e in alcuni ordinamenti dell’America latina.
Diffusione del controllo preventivo. Il controllo preventivo non ha incontrato molta fortuna,
tranne negli ordinamenti che subirono dalla Francia la dominazione coloniale o influssi di altra
natura. Raramente il controllo preventivo esaurisce, nell’ambito di ciascun ordinamento, le tipologie
del controllo di costituzionalità. Un controllo preventivo sulla falsariga di quello francese
sopravvive con forme di sindacato successivo in Portogallo come in Romania, Irlanda, Venezuela,
Ungheria, Colombia, ecc.
Perché il controllo preventivo non ha incontrato il favore dei costituenti? Perché si preferisce
colpire la legge dopo che ha prodotto i suoi guasti? Una principale ragione si connette all’esigenza
di sottoporre le disposizioni legislative alla prova dell’interpretazione. Valutando un legge quindi
non solo nel significato letterale ma anche nella sua capacità di vivere nella realtà dei casi concreti e
di adattarsi alla norma superiore. Il controllo successivo è più vantaggioso perché consente ai
giudici di salvare la vigenza di disposizioni che potrebbero in via preventiva essere considerate
incostituzionali.
Circolazione del controllo diffuso. Anche in Canada, come negli USA, la Corte Suprema non
esercita in posizione di monopolio il controllo di costituzionalità, il quale compete a ciascun
giudice. In Australia il controllo di costituzionalità,, che pure qualsiasi giudice può esercitare nei
confronti delle leggi federali o statali, appare maggiormente accentrato. In Irlanda il controllo,
rispettivamente in primo e secondo grado, compete alla High Court e alla Corte Suprema.
In tutti questi ordinamenti ciascun giudice può disapplicare la legge incostituzionale ed è la Corte
collocata al vertice dell’apparato giudiziario, sovente denominata “suprema”, a esprimere l’ultima
parola in tema di judicial review, non diversamente da quanto accade negli USA. Il dogma
dell’inesportabilità del modello americano nei sistemi di civil law è più un retaggio culturale dei
giuristi visto il progressivo avvicinamento delle famiglie di common law e di civil law testimoniato
sia dall’attenuazione dell’efficacia vincolante del precedente negli USA e sia dall’acquisizione
dell’efficacia erga omnes dei precedenti elaborati da alcune Corti supreme negli ordinamenti di civil
law.
La circolazione dei modelli di controllo accentrato. Nel corso degli ultimi anni sono diventati più
numerosi gli ordinamenti che hanno affidato ad un tribunale costituzionale ad hoc i compiti di
controllo sulle leggi e/o altri atti degli organi costituzionali o di enti centrali o periferici. Anche in
Nord America come altrove le Corti supreme tendono a monopolizzare l’esercizio della giustizia
costituzionale. E’ tuttavia nel continente europeo che il modello di controllo accentrato,
specializzato e successivo ha conosciuto la maggiore fortuna. L’organo è ad hoc nel senso che gli
compete solo il controllo di costituzionalità oltre a svariate funzioni tipiche delle Corti
costituzionali. Non esiste però un modello accentrato unitario ma molteplici variabili rappresentate
dalle modalità di accesso alla Corte costituzionale. Il sistema incidentale non ha incontrato molta
fortuna nei Paesi appartenenti all’ex Unione sovietica ed in America latina.
Nella Confederazione elvetica, il Tribunale federale è composto da 30 a 40 membri eletti per 6 anni
e costantemente rieletti sino alle dimissioni rassegnate per prassi al raggiungimento dei 75 anni
d’età. La costituzione non prevede che possa esercitare il sindacato sulle leggi e i decreti generali
della Confederazione e quindi possono essere vagliati solo i decreti non soggetti a referendum,
alcune ordinanze del Consiglio federale e qualche altro. Al Tribunale competono anche le decisioni
sui conflitti di competenza (legislativa, amministrativa e giudiziaria) tra Confederazione e Cantoni e
fra Cantoni.
In Belgio la Corte costituzionale oltre a giudicare sui conflitti tra leggi, decreti, norme relative alle
competenze regionali, dal 1988 giudica anche sulle violazioni del principio d’eguaglianza, dei diritti
delle minoranze, della libertà d’insegnamento e, dal 2003, sulla violazione di ogni diritto o libertà
enunciato nella costituzione. Il ricorso può essere presentato dalle autorità indicate dalla legge, da
chiunque abbia interesse o, a titolo pregiudiziale, da qualsivoglia organo giurisdizionale.
Il Capo dello Stato quale custode della costituzione e il controllo di costituzionalità interno.
Quasi tutti gli ordinamenti liberaldemocratici affidano al Capo dello Stato funzioni relative al
controllo di costituzionalità, ma non in via esclusiva, egli concorre a tale funzione. In tutti o quasi
gli ordinamenti concorre a tale funzione: non solo dove è legittimato a ricorrere alla Corte
costituzionale o a richiedere una sua decisione o un suo parere, ma, più in generale, in connessione
all’esercizio del potere di messaggio, e soprattutto in sede di promulgazione-sanzione dove può
opporre la sua volontà a quella del Parlamento per ragioni di costituzionalità.
L’esistenza un po’ dovunque di Corti costituzionali non preclude che, accanto ad esse, altri organi
siano chiamati a collaborare alla funzione all’interno del procedimento per l’adozione degli atti
normativi. Ad es. il Governo francese può opporre l’irricevibilità di proposte di legge o di
emendamenti incostituzionali o in quanto rivolti a produrre aumento delle spese o diminuzione delle
entrate o perché contrari a una delegazione in vigore. Oggi la costituzione ha esteso anche ai
presidenti dell’Assemblea interessata il potere di eccepire l’invasione della competenza
regolamentare o della violazione di delega.
Una seconda ipotesi è rappresentata dal controllo sulla sussistenza dei requisiti di necessità ed
urgenza dei decreti legge, che i regolamenti delle Camere italiane affidano alle commissioni affari
costituzionali e/o all’Aula.
Le Corti europee. Anche per le Corti europee, la Corte di giustizia delle Comunità europee con
sede a Lussemburgo e la Corte europea dei diritti dell’uomo con sede a Strasburgo, si pone il
problema se sono vere corti costituzionali.
La Corte di giustizia delle Comunità europee si compone di 27 giudici, uno per ogni Stato, e di 8
avvocati generali nominati dagli Stati membri di comune accordo. Il mandato dura 6 anni ed è
rinnovabile. La Corte ha assunto un ruolo di primo piano nell’edificazione dell’ordinamento
costituzionale europeo affermandoli principio dell’applicabilità diretta del diritto comunitario negli
Stati membri e la prevalenza sul diritto interno, imponendo tanto agli Stati membri quanto alle
istituzioni comunitarie il controllo della conformità dei loro atti al Trattato.
La Corte europea dei diritti umani è stata istituita dall’art. 19 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. La Convenzione funge da
costituzione del Consiglio d’Europa, la fuoriuscita da questo comporta de iure anche la fuoriuscita
dal regime convenzionale. La Corte può essere investita di un ricorso interstatale, quando uno Stato
membro imputi ad un altro l’inosservanza di una qualunque disposizione della Convenzione o di
uno dei protocolli, o di un ricorso individuale, allorché una persona fisica, un’organizzazione non
governativa o un gruppo di privati sostenga di essere vittima di una violazione da parte di una delle
parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli. La Corte può essere
adita solo dopo che sono stati esauriti i rimedi giurisdizionali interni ed entro un periodo di 6 mesi a
partire dalla data della decisione interna definitiva.
Per quanto riguarda la Corte di giustizia delle Comunità europee, anche sa da una parte la sua
funzione può definirsi costituzionale, la mancanza di specializzazione, in quanto il giudice
comunitario si pronuncia su questioni che attengono ad ogni branca del diritto comunitario e non
solo su questioni di rilevanza costituzionale, suscita notevoli perplessità. Così come il parametro
delle sue decisioni, rappresentato dai Trattati istitutivi, ed i destinatari, gli Stati membri.
L’ostacolo maggiore all’assimilazione della Corte europea dei diritti umani a una Corte
costituzionale discende dal fatto che si colloca in una posizione sussidiaria rispetto ai rimedi
giurisdizionali interni degli Stati membri, inoltre le sue sentenze hanno carattere dichiarativo ed
effetto inter partes, gode sì di una competenza obbligatoria ma sulla base della sottoscrizione e della
ratifica della Convenzione da parte degli Stati. I destinatari delle sue decisioni sono gli Stati e, solo
indirettamente in quanto beneficiari, i privati.
Modalità organizzative: la selezione dei giudici delle Corti Supreme. Dove il controllo viene
esercitato in via diffusa, come negli USA, le garanzie di autonomia e indipendenza vengono a
coincidere con quelle proprie della magistratura. Qui i giudici, sia della Corte Suprema che delle
Corti federali,sono nominati a vita dal Presidente, tenendo conto della qualificazione professionale.
L’indipendenza viene garantita in primis dalla mancanza di aspettative dei giudici nei confronti del
potere politico, in secondo luogo la Corte o la sua maggioranza può essere o meno dello stesso
orientamento del Presidente e/o della maggioranza parlamentare.
In altri ordinamenti ove il sindacato di costituzionalità è esercitato da un Tribunale ordinario, come
Canada, Australia, Irlanda, ecc., l’indipendenza della Corte Suprema viene assicurata mediante
svariati strumenti: la nomina dei giudici fino all’età pensionabile, il divieto di rimozione da parte
del Parlamento salvo casi eccezionali e con procedure complesse, il divieto di diminuire il
trattamento economico nel corso del mandato. Alcuni ordinamenti centro e sud-americani hanno
previsto una durata temporanea del mandato ma con possibilità di rielezione.
Criteri di nomina o d’elezione nelle Corti costituzionali ad hoc. Generalmente le costituzioni
richiedono che i candidati abbiano un’adeguata preparazione giuridica. Un’eccezione è
rappresentata dal Belgio, i 12 giudici, nominati a vita dal Re, sono per metà politici e solo per metà
giuristi.
In Italia, l’Assemblea costituente si orientò per un organo apposito i cui membri sono eletti per 1/3
dal Presidente della Repubblica, 1/3 dal Parlamento in seduta comune (con maggioranza dei 2/3 nei
primi 3 scrutini e di 3/5 nei successivi) e 1/3 dalle Supreme magistrature ordinaria e amministrativa
(Consiglio di Stato e Corte dei Conti). La durata del mandato di 9 anni e il divieto di rielezione
concorrono ad assicurarne l’autonomia. I giudici devono avere specifici requisiti tecnicoprofessionali.
In Spagna 12 componenti, tutti nominati formalmente dal Re, 4 su proposta della Camera bassa
(Congresso), 4 su proposta del Senato (in entrambi i casi con maggioranza dei 3/5), 2 sono indicati
dal Governo e 2 dal Consiglio generale del potere giudiziario. Abbiamo quindi uno sbilanciamento
a favore della maggioranza-esecutivo. Vengono scelti tra i magistrati, i professori universitari, i
funzionari pubblici e gli avvocati con almeno 15 anni di servizio. Anche qui la lunga durata del
mandato ed il divieto di rielezione garantiscono l’indipendenza dal potere politico.
In alcune nuove democrazie dell’Europa centro-orientale il bilanciamento dei poteri lascia fuori il
giudiziario, ad es. la Repubblica slovacca, la Romania., l’Ungheria, in Russia sono nominati dal
Consiglio federale su proposta del Presidente della Federazione.
In qualche caso i criteri di nomina sono condizionati dall’esigenza di rappresentare paritariamente il
centro e la periferia. Il Tribunale costituzionale tedesco si compone di 16 giudici, 8 eletti dal
Bundestag e 8 dal Bundesrat. La separazione dal potere politico è assicurata dalla lunga durata del
mandato, 12 anni,dal divieto di rielezione e dalle incompatibilità con cariche parlamentari e
governative.
Generalmente la durata del mandato non è vitalizia ma è più lunga di quella di qualsiasi altro
organo costituzionale proprio per favorire una sfasatura temporale tra il giudice e l’organo che lo ha
eletto. In questo modo si eliminano vincoli di sudditanza. Qualche ordinamento inoltre prevede il
rinnovo parziale della Corte a scadenze determinate. In Italia la nomina si rende necessaria ogni
volta che si rende vacante un posto per una delle ragioni previste (decesso, pensionamento,
scadenza del mandato, ecc.).
Il Presidente del Tribunale viene scelto secondo due schemi antitetici: può essere eletto dalla Corte
stessa oppure dall’esterno, per lo più dal Presidente della Repubblica.
L’acceso alle Corti costituzionali, il ricorso diretto. Negli ordinamenti decentrati, federali o
regionali, il ricorso da parte degli enti periferici avverso leggi o altri atti della Federazione (o dello
Stato centrale), e viceversa, è contemplato quasi ovunque. Meno frequente il conferimento di
analogo diritto ai minori enti territoriali.
Il Presidente della Repubblica è l’organo più frequentemente abilitato a bloccare preventivamente
una legge o a impugnarla successivamente. Talvolta è conferita al Governo o al Primo Ministro o ai
Ministri (Francia, Spagna, Russia). In qualche ordinamento anche le Assemblee parlamentari o i
loro presidenti o organi interni sono autorizzati a impugnare delibere legislative prima della
promulgazione o dopo l’entrata in vigore (Francia, Romania, Russia). Ormai dilagante è
l’attribuzione alle minoranze parlamentari del potere di ricorrere alla Corte sia in via preventiva
(Francia, Romania) sia successiva (Spagna, Portogallo, Polonia, Russia) sia con ambo tali modalità.
Vi sono poi ipotesi di ricorsi da parte di organi o soggetti vari: il Difensore del popolo o organi
corrispondenti (Spagna, Polonia) o un numero determinato di cittadini. Ma compaiono anche partiti
rappresentati in Parlamento, sindacati, procuratore generale. In Polonia hanno accesso alla Corte
una miriade di soggetti tra cui gli organi rappresentativi delle categorie economiche e le
organizzazioni religiose. La stessa Corte può qualche volta procedere al controllo d’ufficio.
La tutela delle libertà e dei diritti dei cittadini. L’idea che un cittadino possa rivolgersi a un
giudice lamentando la lesione di diritti costituzionalmente protetti da parte di atti o comportamenti
di autorità amministrative, giurisdizionali e legislative venne elaborata per la prima volta in
America latina (Yucatan 1841) e in Germania (Baden e Baviera 1818).
Le varianti più significative sono rappresentate dalla tipologia degli atti impugnabili. Nell’amparo
disciplinato dalla costituzione spagnola sono impugnabili gli atti amministrativi e giurisdizionali ed
è ammesso anche contro atti di soggetti privati. Data la gran mole di ricorsi, una legge del 2007 ha
introdotto l’obbligo per ricorrenti di dimostrare lo straordinario rilievo costituzionale che assume il
ricorso. Il Tribunale può decidere quali amparos esaminare e quali escludere, senza dover motivare
il diniego. In Germania il ricorso può avere ad oggetto atti amministrativi, giurisdizionali e
legislativi, e va presentato solo dopo l’esaurimento delle vie giudiziarie. Dovendo fronteggiare
decine di migliaia di ricorsi individuali, il Tribunale ha elaborato una giurisprudenza restrittiva in
base alla quale l’azione diretta è esperibile solo se non esistono altri rimedi giurisdizionali e se è
considerata indispensabile per eliminare o prevenire una violazione dei diritti.
Tipologia e forza delle decisioni di costituzionalità; le sentenze costituzionali quali fonti del
diritto. Nei sistemi dove il controllo è accentrato, il Tribunale riscontrato un vizio di
costituzionalità annulla la legge espungendola dall’ordinamento giuridico. Dove invece il sindacato
è diffuso, il giudice disapplica la legge nella causa sottoposta al suo esame ed il precedente vincola,
più o meno intensamente, tutti i giudici di grado inferiore. Allorché la pronuncia è emessa dal
giudice di grado più elevato (ad es. la Corte Suprema negli USA),tutti i giudici inferiori sono tenuti
a disapplicare la legge dichiarata incostituzionale.
Quando il controllo di costituzionalità è preventivo l’effetto è quello di precluderne l’entrata in
vigore. In tal caso il legislatore o modifica l’atto secondo i desiderata del Tribunale o modifica la
costituzione, adottando semmai la disciplina con legge costituzionale. Solo di rado la preclusione
spiega effetti diversi: ad es. in Portogallo e Romania il Parlamento può superare la dichiarazione di
incostituzionalità di un trattato o di una delibera legislativa approvandoli a maggioranza qualificata.
Una sentenza è composta dalla motivazione, nella quale sono spiegate le ragioni della decisione, e
da un dispositivo, dove la Corte decide la vertenza. Nei sistemi a controllo accentrato è il
dispositivo che provoca l’annullamento della legge mentre nei modelli a sindacato diffuso il valore
del precedente abbraccia l’intera ratio decidenti della motivazione.
Appare fondata la tesi che anche nei sistemi di civil law tra le fonti del diritto debbono essere
annoverate le sentenze dei Tribunali costituzionali munite di efficacia erga omnes. L’effetto
prodotto dalla decisione è quello di espungere norme dall’ordinamento giuridico ma anche di
introdurne di nuove. Ci si interroga se sempre in questi sistemi (dove non opera il principio del
precedente) possano essere annoverate tra le fonti le motivazioni delle decisioni e in particolare la
ratio decidenti delle medesime: il dubbio s’è prospettato specialmente per la Germania e la Spagna.
Sentenze di accoglimento, di rigetto e altri tipi di pronunce. Prima la giurisprudenza ma poi
anche le costituzioni e le leggi, hanno elaborato modelli intermedi e ulteriori di pronunce oltre a
quelle di accoglimento-rigetto. Abbiamo le sentenze cc.dd. parziali con le quali le Corti eliminano
solo una parte di una legge. Poiché una disposizione può esprimere più significati, dei quali l’uno
appare conforme alla costituzione mentre l’altro o gli altri no, i giudici costituzionali dichiarano la
costituzionalità o incostituzionalità non di frammenti testuali ma di un loro significato (sentenze
interpretative). Anche una pura e semplice decisione di annullamento contiene un quid di
innovatività. Può accadere che il giudice dichiari l’incostituzionalità di una disposizione nella parte
in cui non prevede qualcosa che dovrebbe contenere (sentenze additive) o addirittura nella parte in
cui prevede una cosa anziché un’altra (sentenze manipolative) oppure, soprattutto nei sistemi di
common law, la Corte stabilisce essa stessa le regole di una determinata materia, vincolando di
conseguenza tutti i pubblici poteri e i privati.
Nella loro attività creativa i Tribunali costituzionali trovano dei limiti: in particolare è sempre
precluso, in modo espresso o implicito, lo svolgimento di attività politiche. Un mezzo utilizzato da
svariati Tribunali consiste nel far salva una legge, invitando il Parlamento a modificarla. Tali
sentenze, che la dottrina denomina ottative, monitorie, di indirizzo,sono frequenti nella
giurisprudenza delle Corti tedesca, italiana,spagnola, portoghese, e il dialogo con il legislatore si
rinviene altresì nelle pronunce delle Corti di common law.
Giudici e Parlamento di fronte al vincolo delle sentenze. Nei sistemi accentrati, la pronuncia che
espunge una norma spiega effetti generali mentre quella che dichiara la non incostituzionalità
vincola solo le parti, possono quindi essere sottoposti al giudice casi analoghi o persino identici e
può essergli richiesto di ri-decidere sulla costituzionalità di atti già esaminati. L’ordinamento
cambia quotidianamente e ciò comporta che un atto che oggi è costituzionale non lo sia in seguito.
In altri Paesi pure le sentenze di rigetto spiegano efficacia erga omnes, come in Belgio.
A parte gli ordinamenti di common law, gran parte delle costituzioni o la legislazione attuativa
dettano disposizioni mirate a disciplinare l’efficacia delle sentenze, in relazione ai soggetti vincolati
ed all’effetto delle pronunce. In Germania, la legge sul Tribunale costituzionale assegna forza di
legge ad alcune decisioni (quelle che dichiarano la nullità) ed essendo i giudici soggetti alla legge se
ne desume che essi sono vincolati anche alle interpretazioni rese nella pronuncia. In Spagna la legge
ha esplicitamente riconosciuto il valore giuridico della ratio decidendi. In altri ordinamenti a
controllo accentrato a conseguire analoghi risultati ha provveduto la giurisprudenza, come in Italia
dove la Corte ha dichiarato che le proprie sentenze hanno forza di legge.
In che misura il legislatore è vincolato dalle sentenze costituzionali? Che accade se il potere
legislativo approva una legge identica o sostanzialmente analoga ad altra, già dichiarata
incostituzionale? Avendo al sentenza forza di legge il legislatore può abrogarla con una norma
successiva, in virtù del principio di inesauribilità del potere legislativo. Se si conferisse alle
pronunce forza di legge costituzionale, equivarrebbe a cristallizzarle per sempre o almeno sino a
revisione della costituzione (alcune costituzioni optano per questa formula o quanto meno
stabiliscono il divieto per il legislatore di riprodurre le disposizioni dichiarate incostituzionali.
L’efficacia temporale delle pronunce. Dove opera il sindacato successivo la disciplina degli
effetti temporali non è univoca: l’efficacia può essere pro futuro o rivolta anche al passato e le Corti
possono sospendere per un periodo di tempo determinato l’efficacia della pronuncia.
Per lo più le sentenze di incostituzionalità operano dalla data di pubblicazione oppure dopo una
breve vacatio o dal giorno stesso della decisione. Una certa retroattività però è ineluttabile.
Nei sistemi a sindacato diffuso la decisione del giudice retroagisce rispetto alle parti. Gli altri
giudici, di grado inferiore o uguale, che stiano istruendo un processo nel quale sia coinvolta la
medesima disciplina, sono vincolati al precedente e quindi non possono più darvi applicazione se
essa è sfavorevole. Parimenti nei sistemi accentrati la retroazione si registra solitamente non solo
nei confronti dei contendenti ma travolge anche i rapporti giuridici non ancora esauriti. Lo stesso
accade dove l’accesso alla Corte costituzionale sia di tipo incidentale.
La retroattività delle sentenze si arresta per lo più di fronte alle sentenze passate in giudicato,
qualche volta davanti alle norme processuali e in pochi altri casi.
Oggi gli interventi dei giudici provocano profonde ripercussioni non solo nell’ordinamento
giuridico ma anche nella politica, nell’economia, nella società. I vuoti cagionati non possono essere
tempestivamente colmati allora è stato via via introdotto, dalle costituzioni, dalla legislazione
attuativa o dalla giurisprudenza, la differenziazione dell’efficacia della sentenza che dà al
legislatore il tempo di apprestare le adeguate misure. I Tribunali costituzionali possono dilazionare
l’efficacia senza limiti di tempo, in Belgio e Repubblica ceca, o entro un anno, come in Austria, in
Slovenia e Turchia, oppure la vacatio opera de iure, come nella Repubblica slovacca dove le
disposizioni cessano sei mesi dopo la dichiarazione di incostituzionalità. La sospensione
dell’efficacia o l’anticipazione degli effetti della pronuncia è disciplinata anche dalla legge sul
Tribunale federale tedesco.
Il discorso delle Corti e il loro uditorio; processi di decisione e processi di giustificazione. La
motivazione assolve allo scopo principale di esibire al giudice superiore la base tecnica su cui
poggia la decisione, o, nel caso del giudice superiore, la base tecnica che serve a convalidare o a
riformare la decisione del giudice inferiore. Sono le stesse Corti che individuano i valori e gli
attribuiscono, in un dato momento storico, una posizione privilegiata rispetto ad altri, secondo
un’interpretazione della realtà che non sempre è in sintonia con quella che ne hanno altri organi o
soggetti politici.
La dottrina politologia nordamericana si serve del vocabolo “constituency” per designare l’insieme
dei soggetti alla cui verifica è sottoposta una decisione. Sono un’ampia gamma di soggetti:
l’artefice della nomina (verso il quale il singolo giudice nutre riconoscenza), i colleghi giudici (al
cui vaglio è costretto ad esibire le proprie argomentazioni), la comunità dei giuristi (sempre pronta
ad analizzare e vivisezionare le sentenze sottoponendole a critica), il sempre più vasto uditorio
rappresentato dall’opinione pubblica. Le Corti cercano di convincere un uditorio più vasto possibile
della bontà delle scelte operate, sottoponendosi al confronto con il pubblico onde ricavarne una
sorta di legittimazione.
Nelle sentenze le Corti non si limitano a descrivere i nessi del percorso logico, ma si avvalgono di
tutti gli strumenti della retorica, fanno riferimento ai precedenti, si richiamano al diritto comparato e
alla giurisprudenza di altre Corti, operano excursus storici di istituti e discipline, esprimono
valutazioni e bilanciamenti dei valori, criticano, suggeriscono, consigliano, ammoniscono i poteri
dello Stato.
Limiti all’attività delle Corti. I limiti sono di varia natura: linguistica, giuridico-istituzionale,
politica. Innanzi tutto, le Corti debbono confrontarsi con i condizionamenti dei testi e dei contesti
linguistici ed extralinguistici. Nessuna Corte può stravolgere il significato delle parole, può
attraverso interpretazioni sistematiche o d’altra natura estendere o circoscrivere una libertà.
Le Corti sono soggette, quanto alla loro composizione e alle modalità di funzionamento, alle
disposizioni della costituzione e della legislazione implementativi.
Le “altre funzioni” delle Corti costituzionali. Le Corti per la loro autorevolezza e soprattutto per
la loro terzietà sono chiamate frequentemente a svolgere altre funzioni. In Germania tra le sue
competenze compaiono: la dichiarazione della perdita di diritti fondamentali di singoli che abusano
degli stessi per combattere l’ordinamento democratico e liberale; la dichiarazione di
incostituzionalità di partiti politici che, per le finalità perseguite o per il comportamento dei propri
aderenti, si prefiggono di danneggiare o sopprimere l’ordinamento; decisioni su controversie tra
organi; controversie tra Bund e Lander; la verifica delle elezioni.
In Italia spetta alla Corte giudicare: sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato; quelli tra
Stato e Regioni e tra le Regioni; le accuse promosse contro il Presidente della Repubblica; il
giudizio sull’ammissibilità del referendum abrogativo ex art. 75 cost.
Anche in Spagna si registrano i giudizi sui conflitti di competenza tra Stato e Comunità autonome e
tra queste, nonché sui conflitti tra organi supremi dello Stato.
Svariati ordinamenti hanno caricato il proprio Tribunale costituzionale di altre funzioni, che
possono essere raggruppate a seconda che afferiscono alla forma di Stato oppure alla forma di
governo o a entrambe. Tra le prime compaiono quelle contro l’attività di partiti o associazioni
anticostituzionali. In qualche caso le Corti controllano anche i bilanci dei partiti.
Tra le funzioni connesse alla forma di governo, la prima riguarda i conflitti tra organi o poteri dello
Stato,poi le procedure di impeachment nei confronti del Presidente della Repubblica e/o di Ministri,
di parlamentari, giudici o altri funzionari. In qualche ordinamento, spetta alle Corti pure il compito
di accertare l’impedimento temporaneo o definitivo del Capo dello Stato e vagliare i presupposti per
procedere all’interim.
Attengono sia alla forma di Stato che a quella di governo altre funzioni quali la vigilanza sulle
operazioni elettorali, sovrintendere alla regolarità delle procedure referendarie o giudicare
sull’ammissibilità della relativa richiesta.
Modelli e ordinamenti attuali. In relazione al contesto strutturale, le Corti possono occupare una
posizione monopolista (sistemi unitari) oppure in concorrenza con altri soggetti (sistemi plurali).
Questa classificazione fa leva sulla classica dicotomia tra controllo diffuso e controllo accentrato.
L’indole monopolista o concorrenziale si può apprezzare anche dalla presenza, all’interno di uno
stesso ordinamento, di più livelli di giustizia costituzionale. Si possono allora distinguere sistemi
unitari integralmente accentrati (vi è un’unica Corte o Tribunale); sistemi plurali parzialmente
accentrati, nei quali ciascun livello territoriale ha un solo organo abilitato a fare giustizia
costituzionale ma all’interno dell’ordinamento complessivo convivono con competenze diverse più
Tribunali costituzionali; sistemi plurali parzialmente decentrati, là dove la funzione è distribuita
tra i vari giudici e una Corte Suprema ma non c’è sovrapposizione di livelli; sistemi plurali
integralmente decentrati.
In base alle funzioni svolte si possono distinguere sistemi monofunzionali da quelli
plurifunzionali. Alla prima categoria appartengono le Corti degli ordinamenti di common law, le
cui competenze sono restate sostanzialmente quelle tradizionali; alla seconda quelle europee
classiche e quelle dell’Est del vecchio continente.
In base all’ampiezza del parametro di costituzionalità, i sistemi possono dividersi in limitati ed
estesi. Nei primi le Corti prendono a parametro la sola costituzione o addirittura parte di essa, nei
secondi, oltre alla costituzione, vengono parametrizzati anche i trattati internazionali o convenzioni
in materia di diritti o, in Europa, i documenti internazionali che disciplinano le strutture e l’attività
dell’Unione.
In riferimento all’oggetto distinguiamo sistemi più o meno integrali, quando le Corti possono
sindacare non solo le leggi ma anche atti amministrativi, atti politici, trattati e persino leggi di
revisione, oppure parziali, con sindacato solo su leggi e, con riti diversi, su atti amministrativi.
In base alle modalità di accesso possiamo operare una duplice distinzione. Da una parte ordinamenti
che utilizzano di fatto un unico sistema: quello incidentale negli USA, quello preventivo in Francia
(fino al 2008). Dall’altra tutti i numerosi ordinamenti misti che impiegano congiuntamente più
modalità: controllo preventivo e successivo, su incidente e su ricorso, ecc..
Circa la qualità dei soggetti coinvolti, agli ordinamenti chiusi che li circoscrivono tassativamente a
enti o organi dello Stato (Francia, Austria) si contrappongono i sistemi aperti dove il controllo ha
per protagonisti i soggetti più diversi e soprattutto, attraverso l’amparo o altri istituti simili, è
assicurato pure a tutte le persone fisiche (e talora giuridiche).