Fu l’Imperatore Augusto nel 22 a.C. ad introdurre a Roma un vero e proprio corpo di vigili del fuoco. Inizialmente era formato da cinquecento schiavi, posti agli ordini di un magistrato edile. L’organizzazione dei "vigiles", che ben presto crebbe a sette mila elementi, era paramilitare e prevedeva una suddivisione in coorti per far sì che ogni caserma fosse responsabile di una regione, il sistema in cui era suddivisa la città. Presso viale Trastevere, di fronte alla Chiesa di San Crisogono, è ancora visitabile (su prenotazione) la caserma della VII coorte dei vigili del fuoco di Roma, a circa otto metri di profondità rispetto all’attuale piano stradale. Il comando del Corpo era affidato all’autorità del Praefectus vigilum. Tra le loro competenze, oltre a sedare i numerosi incendi che divampavano quasi naturalmente nelle strade, c’era quella di pattugliare di notte le vie dell’Urbe. Prima di Augusto lo spegnimento degli incendi era affidato a squadre di operai, finanziate da facoltosi cittadini privati che intervenendo a favore della popolazione acquisivano una crescente e solida popolarità. Quali erano gli strumenti adoperati dai vigiles nell’antica Roma? Dalle fonti sappiamo che erano muniti di secchi e pompe, ma per soffocare le fiamme si servivano di stuoie intrise di aceto. Tra i loro arnesi c’erano anche asce e picconi. I vigiles aquarii erano specializzati nella staffetta con i secchi, ai siphonarii spettava il compito di azionare le pompe. Augusto, che aveva suddiviso la città di Roma in quattordici regioni, pose le stesse sotto il controllo di sette cohortes, composte da circa 1000 uomini ciascuna che alloggiavano in caserme, chiamate statio, e posti di guardia o distaccamenti, noti come excubitorium. Ogni Cohortes, responsabile del servizio antincendi e dell'ordine pubblico di due regioni, era divisa in sette centurie, a capo di ognuna delle quali era posto un centurione. L’intera Militia Vigilum era invece capitanata dal Praefectus Vigilum. I Vigiles, il cui numero complessivo si aggirava attorno alle 7000 unità, venivano reclutati principalmente tra gli schiavi e i liberti (schiavi liberati). I vigiles aquarii erano specializzati nella staffetta con i secchi, ai siphonarii spettava invece il compito di azionare le pompe. I Vigiles erano muniti di secchi, asce, picconi, corde, ramponi e scale. Per soffocare le fiamme si servivano di coperte intrise d’acqua e aceto, chiamate Centones. Disponevano inoltre di una pompa, nota come siphones, che era l’ evoluzione dell’Antlia Ctesibiana, la prima pompa inventata dal greco Ctesibio nel III sec. a.C. L’acqua per lo spegnimento degli incendi veniva convogliata o all’interno di tronchi d’albero appositamente svuotati all’interno, ma più spesso all’interno di vere e proprie tubazioni in cuoio. Roma era la città che più di ogni altra disponeva di un enorme quantità d’acqua, grazie ai monumentali acquedotti che da luoghi lontani portavano il prezioso elemento necessario per il consumo e per l’alimentazione delle numerose fontane e terme cittadine. C’era quindi una diffusa disponibilità d’acqua, e spesso i Vigiles rifornivano le loro botti direttamente nelle terme o nelle varie cisterne presenti in città. Il problema principale era però rappresentato dal fatto che l’acqua, soprattutto nelle insulae delle zone plebee, non veniva portata ai piani superiori a quello di terra, per la mancanza di una colonna montante, pertanto un incendio che avveniva già ad un primo piano o ai piani superiori era difficile da estinguere con il solo ausilio dei secchi. Ecco perché gli incendi restarono numerosi nell’arco dei secoli nonostante la presenza della Militia Vigilum. La pompa in uso ai Vigiles romani era chiamata siphones. Questa macchina, costituita da due cilindri con quattro valvole ed una cassetta di compensazione, azionata da stantuffi a movimento alternativo, serviva principalmente per l’adduzione dell’acqua ma anche per mandarla in pressione e spingerla verso l’alto. La pompa era azionata dai Vigiles siphonarii. Come mezzi di trasporto venivano utilizzati dei carri, trainati dai cavalli, sui quali erano montate delle botti che trasportavano l’acqua. Altri carri erano invece adibiti al trasporto del materiale, quali scale, corde, picconi, tubazioni in cuoio, pompe. Nel 1866 alcuni scavi hanno riportato alla luce, nel rione romano di Trastevere, l’antica caserma dei Vigiles della VII Coorte. L’opinione condivisa dagli studiosi è che i resti della costruzione, tutt’oggi visitabile e ubicata tra via Montefiore, via Giggi Zanazzo e via della VII Coorte (vicino Piazza Sonnino), non siano da attribuire alla caserma (statio), ma all’excubitorium (distaccamento), ovvero ad uno di quei posti di guardia della regione limitrofa alla sede della caserma, secondo quanto testimoniato dai graffiti rinvenuti sui muri dell’edificio. La costruzione, che risale al III secolo, era inizialmente un abitazione privata, poi adattata a stazione dei vigili. Immediatamente dopo gli scavi furono rivenuti preziosi documenti, soprattutto graffiti e iscrizioni, grazie ai quali s’è gettata nuova luce sul servizio prestato dalla Militia Vigilum negli anni dell’Impero. Affiorarono anche alcuni nomi dei vigili in servizio, i ringraziamenti agli dèi e il numero d’ordine della coorte d’appartenenza. La VII Coorte ebbe in carico la vigilanza dell’XI regione (Circus Maximus) e della XIV (Trans Tiberim). Centurione della Militia Vigiles (Vigili del Fuoco-Museo di Roma)