VENTI DI GUERRA Il periodo che va dal 1890 al 1914 fu caratterizzato da un’atmosfera di frivolezza ed euforia: fu la cosiddetta Belle époque. L’Europa era in pace da 30 anni (dalla Guerra franco-prussiana), nel 1896 ebbero luogo le prime Olimpiadi moderne e nel 1900 a Parigi si svolse l’Esposizione Universale, in cui un’enorme folla poté ammirare le meraviglie tecnologiche della seconda rivoluzione industriale e i prodotti esotici provenienti da ogni continente (segno che il commercio ormai era divenuto davvero mondiale). Ma in realtà quest’epoca fu veramente bella solo per pochi (i ricchi alto-borghesi di una decina di nazioni sviluppate), mentre per la classe operaia fu l’epoca di nuove durissime lotte contro un capitalismo sempre più aggressivo, e della formazione dei partiti dei lavoratori (come il Psi) che si affiancarono ai sindacati: nel 1875 nacque il primo partito d’ispirazione marxista, il Partito socialdemocratico tedesco. Nel 1889 nacque anche la Seconda (associazione) Internazionale (dei lavoratori), che coordinava tutti i partiti marxisti del mondo: essa era contro il nazionalismo (= la dottrina politica della superiorità della propria nazione sulle altre) perché i lavoratori si considervano tutti fratelli, a prescindere dalla nazionalità; era pacifista, perché considerava la guerra uno strumento dei capitalisti per imporre i loro interessi; aveva un programma minimo che ogni partito socialista doveva adottare (giornata lavorativa di 8 ore, suffragio universale maschile, giornata mondiale di lotta il 1° maggio). Nel frattempo il problema sociale delle donne emerse con forza: le donne erano discriminate, non avevano diritto di voto e, a volte, nemmeno il diritto di accedere all’università o a certe professioni. Nacquero così i primi movimenti femminili per l’emancipazione della donna, guidati da piccoli gruppi di donne intellettuali, borghesi ed operaie. Negli Usa e nel Regno Unito esistevano già dal 1848: qui le donne che chiedevano il diritto di voto venivano chiamate sarcasticamente “suffragette” (perché volevano il “suffragio”, cioè il voto). Dal 1911 in Ighilterra le donne protestarono e manifestarono, e molte furono ferite negli scontri con la polizia, oppure arrestate. Una donna addirittura si uccise davanti al re. Il voto alle donne inglese fu concesso nel 1918. Negli Usa il voto femminile arrivò nel 1920. In Italia le lotte per il voto e la parità del salario furono portate avanti anche da donne del Psi, ma il suffragio universale maschile e femminile venne ottenuto solo nel 1946. In Germania, che in pochi anni era diventata la seconda nazione più industrializzata del mondo dopo gli Stati Uniti (grazie alla produzione di carbone e acciaio), la classe operaia era tra le più agguerrite. Bismarck, per combattere lo “spettro rosso” (cioè il pericolo di una rivoluzione marxista), da una parte concesse un’avanzatissima legislazione sociale (assicurazione contro malattie ed infortuni, pensione per la vecchiaia), dall’altra attuò una repressione durissima (per es. chiusura delle associazioni operaie, carcere per i dirigenti socialisti). Nonostante questo, il Partito socialista crebbe prodigiosamente (27% dei voti alle elezioni del 1912). Alla massa operaia si contrapponevano due gruppi di potere: da una parte gli Junker (i grandi proprietari terrieri) e gli industriali (che, grazie ai trust, detenevano l’intero patrimonio industriale e minerario tedesco: per es. la famiglia Krupp); dall’altra il potentissimo esercito (autonomo rispetto al Parlamento, con caste chiuse di ufficiali provenienti dalla nobiltà, considerato scuola di disciplina, obbedienza e amore per la patria) che era praticamente uno “Stato dentro lo Stato”, e che fece del militarismo una caratteristica tipica della Germania. Entrambi i gruppi erano per il colonialismo, la corsa agi armamenti e il razzismo (superiorità dell’uomo bianco su Africani e Asiatici e del popolo tedesco rispetto ad altri popoli, antisemitismo). Guglielmo II, nuovo Kaiser dal 1890, licenziò Bismarck (che era per la pace e contro il colonialismo) e avviò una aggressiva politica di potenza che avrebbe presto portato alla rovina dell’intera Europa. L’Impero Asburgico era lo stato più esteso d’Europa dopo la Russia, ma anche il più debole: si trattava in realtà di un “mosaico” di nazioni (9 etnie, 9 lingue principali, 4 religioni tra cattolica, protestante, ortodossa, musulmana). L’imperatore Francesco Giuseppe (in carica dal 1848) aveva enormi difficoltà a far funzionare la macchina dello stato, a causa di questa situazione, di una burocrazia troppo lenta e della mancanza del senso di identità in una patria comune da parte dei cittadini. L’impero era vicino al collasso: nonostante l’illusione da parte della classe dirigente di un’Austria felix (Austria felice), negli anni erano andati perduti vari territori (Lombardo-Veneto, Confederazione germanica diventata Germania insieme alla Prussia). Nel 1867, inoltre, il popolo magiaro (gli Ungheresi) ottenne una larga autonomia (restando legato all’Austria solo nella politica estera, cioè alleanze e guerre), tanto che l’Impero cambio nome in Impero Austro-Ungarico. Il più grave problema era però la “questione balcanica”, espressione che serviva ad indicare la situazione dei territori lungo le pendici dei Balcani, spezzettati in tanti staterelli (Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Bulgaria, Serbia, Romania, Albania, Macedonia, Slovenia, Transilvania), in cui vi erano fortissime tensioni. La Serbia, infatti, molto vicina alla Russia, odiava l’Austria e aveva il progetto di unificare tutti i paesi balcanici, proprio con l’aiuto dei Russi; per ottenere il suo scopo utilizzava il terrorismo, soprattutto contro le più importanti personalità austriache. Dunque l’Impero Austro-Ungarico era “malato” e i Balcani erano considerati una vera e propria “polveriera” pronta ad esplodere. La situazione internazionale, poi, era particolarmente tesa per una serie di motivi: 1) fortissima rivalità commerciale: ovunque (tranne in Inghilterra) il protezionismo aveva sostituito il liberismo ( guerre doganali); 2) rivendicazioni territoriali nei confronti dei paesi limitrofi (l’Italia pretendeva Trento e Trieste dall’Austria, la Francia la restituzione dell’Alsazia-Lorena dalla Germania); 3) stato di guerra permanente nelle colonie e assuefazione alla guerra (l’uso dello strumento militare sembrava sempre più naturale, e l’opinione pubblica seguiva le guerre coloniali come si segue oggi il campionato di calcio). Si crearono così due schieramenti: la Triplice Alleanza (Germania, Austria, Italia) e la Triplice Intesa (Regno Unito, Francia, Russia). In un clima di ansia, paura e sospetto reciproco crescente, tutte le nazioni preparavano piani di guerra, in previsione di una “guerra lampo”: questi piani dimostravano però l’impressionante impreparazione e il grave ritardo culturale dei quadri militari (= gli alti ufficiali degli eserciti), perché non prevedevano l’uso della moderna tecnologia (sommergibili, siluri, aereoplani, carri armati) e fissavano regolamenti rigidi e insensati per i soldati (per es. correre a testa alta verso il nemico che spara senza fermarsi o buttarsi a terra, cosa considerata da “vigliacchi”). Questi errori erano tali da far sì che un eventuale conflitto sarebbe durato anni, risolvendosi in un enorme massacro. E così fu, durante la Prima Guerra Mondiale.