LA STAMPA E I « KANA-ZOSHI » La propagazione e la democratizzazione della cultura, furono notevolmente agevolate dall'introduzione della-stampa, mezzo pratico, e a buon mercato "che permetteva una diffusione, diremo, capillare del pensiero. A sua volta, il bisogno di letture, sentito sempre più vivo dal popolo, doveva incoraggiare, oltre che la stessa stampa, l'industria editoriale e il commercio librario. Anche la stampa era venuta in Giappone dal continente, dove aveva già una lunga storia. Era stata inventata in Cina, negli ultimi anni della dinastia T'ang, da Féng Tao (881-954), secondo la tradizione, sebbene alcuni ritengano che vi siano motivi per farla risalire anche alla dinastia Sui (581-618). Si tratta di stampa non con caratteri. mobili, che pare rimontino in Cina all'XI secolo, ma di stampa in xilografia su clichés, per cui ogni pagina di libro veniva incisa in rilievo su una tavoletta di legno, sulla quale era poi passato l'inchiostro e quindi premuta la carta. Questo sistema divenne subito di uso comune in Cina, ma non in Giappone, perché qui, fino al 1500, la cultura era limitata a un ambiente ristretto e si preferiva fare o far fare copie manoscritte delle opere che interessavano. Facevano eccezione i conventi buddhisti che avevano adottato il processo dapprima per le immagini sacre, poi anche per i testi. Il primo libro profano, o uno dei primi, ad essere stampato, nel 1590, con questo sistema pare sia stato il Setsuyo-shu (Raccolta per risparmiare), una specie di vocabolario di parole dell'uso quotidiano, compilato da uno o più. monaci del Kenninji, tempio buddhista di Kyoto, fra il 1444 e il 1474. Poi, all'epoca della campagna di Hideyoshi in Corea (1592-98), furono portati da quella penisola i caratteri mobili di rame e le macchine tipografiche per usarli, e di essi Hideyoshi fece dono all'imperatore Go Yozei (1586-1611). Questi, e il suo successore Go Mizunoo (1611-29), li utilizzarono anche per alcune pubblicazioni concernenti la corte. Salito leyasu al potere, con l'incoraggiamento da lui dato agli studi e ancor più con la partecipazione sempre più viva e più estesa del popolo alla cultura, s'apri per la stampa un periodo di grande, e anche glorioso, sviluppo. leyasu stesso fece stampare molte opere con caratteri mobili di rame e di legno e ciò continuò fino ai primi anni del 1600, quando a Saga, sobborgo ad ovest di Kyoto, sorse il primo, o uno dei primi, centri editoriali che doveva divenire famoso. Era stato fondato da Suminokura Soan (1570-1632), figlio di Suminokura Ryói (1554-1614), un uomo che si era enormemente arricchito coi commerci col continente. Soan stesso, del resto, controllava una rete di traffici interni, ma, essendo anche un uomo intellettualmente dotato, buon poeta e letterato, aveva concepito l'idea di stampare i classici della letteratura indigena. Per l'attuazione di questo progetto, egli si uni a Honami Kòetsu (1558 1637), e mai collaborazione avrebbe potuto essere più felice, perché Kòetsu era un ingegno multiforme e raro, che possedeva in sommo grado un prodigioso talento per tutte le arti, incluse quel li-minori, come la calligrafia, la ceramica, le lacche ecc. E a Saga nacquero, cosi, i famosi « Saga-bon » (libri di Saga), veri capolavori dell'antica tipografia giapponese. Dapprima si usarono i caratteri mobili, poi piccoli blocchi di legno intagliati e contenenti 3, 4 o 5 caratteri, finché si passò alla intera pagina incisa a rilievo, come si è detto, sistema molto più economico e rapido, che perciò si diffuse subito, mentre i caratteri molali finirono per scomparire durante l'era Kwan-ei (1624-44). Fra le prime opere a stampa della letteratura popolare sono i cosiddetti «kana-zoshi» o fascicoli scritti in « kana », cioè coi soli sillabari « hiragana » e « katakana », senza caratteri cinesi, sebbene di questi compaia ogni tanto qua e là qualcuno, ma sempre con la lettura a fianco in « kana ». In genere sono racconti contenuti in uno o più (in genere non oltredodici) I fascicoli (« sòshi »), di 20-23 pagine ciascuno e quasi sempre illustrati. I kana-zoshi sono i diretti discendenti degli « otoghi zoshi », di cui si è già discorso. Quanto agli autori, solo di pochi si conosce il nome, ma è chiaro ch'essi dovevano appartenere alle classi colte della società del tempo, come bushi, studiosi, preti e simili, che si sono serviti dei kanazoshii come di un mezzo comodo e diffuso per trasmettere alle nuove leve di samurai e ai chònin della nuova generazione il patrimonio morale e culturale ch'essi avevano ricevuto. In base all'argomento, i kana-zòshi possono ripartirsi in nove categorie che qui passeremo in rapida rassegna. 1 - Storie d'amore. Fra le tante, ricorderemo Urami-no-suke (2 libri, circa il 1620), che è la storia di Urami-no-suke, un giovane di Kyòto che ama senza speranza, ma alla follia, la orfanella Yuki-no-Mae. I due riescono a vedersi una sola volta, poi Urami, consunto d'amore, manda una lettera alla ragazza per il tramite di amici e muore, seguito subito da lei che non regge al dolore, fiduciosa di unirsi a lui nell'oltretomba. È una storia che, pur nella sua psicologia ancora medioevale e nel tono melanconico e romantico, presenta aspetti della realtà contemporanea. Sta, dunque alle soglie di un mondo nuovo, quello dei Tokugawa, ma riflette ancora quello scomparso. Un altro, l'Usuki monogatari (Storia di Usuki, 2 libri, scritto nei primi anni dei 1600, ma stampato nel 1632) è, invece, un romanzo epistolare. Infatti si svolge tutto attraverso lettere che si scambiano i due protagonisti, Sonobe Saemon, un giovane samurai, e Usuyuki, una giovane della nobiltà, i quali sono perdutamente innamorati l'uno dell'altra. A un certo punto Usuyuki muore e allora Saemon, pazzo di dolore, si fa monaco, erige alla memoria di lei una tomba e muore in giovane età. Per tutta la prima metà del 1600, i protagonisti di queste storie d'amore sono samurai, cortigiani o fanciulle nobili e la trama riecheggia più o meno i racconti del passato. Con la seconda metà dello stesso secolo, invece, cominciano a comparire al loro posto rappresentanti della borghesia e allora la trama s'ispira ai fatti e alla vita contemporanei. Per esempio in Zeraku monogatari (Storia di Zeraku, 3 libri, stampato intorno al 1658), si ha un tipo di pezzente, Zeraku, che è amico di Tomona, un ricco commerciante, il quale invano ricerca dovunque una bella fanciulla ch'egli ha visto in sogno e che non riesce a dimenticare. Zeraku allora gli propone di fare un viaggio per cercare di trovarla altrove. I due si mettono in cammino, visitano luoghi famosi e alla fine trovano la fanciulla, che Zeraku riesce a convincere di cedere a Tomona. Alla fine la situazione sbocca in una crisi provocata dalla gelosia della moglie del ricco commerciante, in seguito alla quale la fanciulla si suicida gettandosi dal ponte di Seta. Tomona fa dir delle messe per la sua anima e in ultimo la sogna in cielo: da questo momento i suoi affari vanno a gonfie vele. Altro curioso racconto è il Negoto-gusa (Sogni, 3 libri, 1662), pieno di colorite descrizioni della vita del tempo, che si chiude con la rivelazione che tutto è stato un sogno del protagonista. 2 - Racconti guerreschi. Si rifanno quasi tutti alla storia più recente. Ricordiamo qui il Juraku monogatari (Storia del Juraku, 3 libri, stampato fra il 1624 e il 1643) che è imperniato sul famoso1 palazzo1 (il « Juraku-tei » o Palazzo dove sono riuniti i piaceri) fatto erigere da_Hideyoshi nel 1586 a Kyoto; l'Osaka monogatari (Storia di Osaka, 1 libro, fra il 1624 e il 1643); il Kirishitan taiji monogatari (Storia dell'estirpazione del cristianesimo, 3 libri, 1665), che rifa la storia della tragica rivolta di Shimabara, la quale nel 1638 chiuse nel sangue la prima fase della storia del Cristianesimo in Giappone. Tutti questi attingono alla storia e trattano 1 episodi di cui spesso gli autori furono testimoni. Diverso è il caso del Suichóki (Storie di uccelli acquatici, 2 libri, 1662), di Ibara Shunsaku (1614-71), il quale, pur imitando in tutto 1 lo stile delle opere di questa categoria, ha compiuto, invece, un lavoro umoristico, narrando la storia di due forti bevitori di sake (l'acquavite di riso cosi cara ai giapponesi) i quali sono continuamente in gara fra loro a chi beve di più. Il titolo, in effetti, significa: Storie di sake. 3 - Racconti di elevazione morale. Sono opere scritte allo scopo di educare il popolo alla vita pratica o alla morale. Se ne hanno di quelle basate su aforismi, sul tipo dello Tsurezaregusa, come il Kashóki (Cronaca ridicola, 5 libri, 1642), di Joraishi, forse uno pseudonimo di Asai Ryoi (1610-91), o come il Ta ga minone (La vita degli altri, 6 libri, 1657), di Yamaoka Genrin (1631-72). Altre s'ispirano all'Ò-kagami e, mediante il dialogo di due personaggi immaginari, spiegano i principi del Buddhismo e del Confucianesimo, come il Kiyomizii monogatari (Storia di Kiyomizu, 2 libri, 1638), attribuito ad Asayama Irin-an (o Soshin, 1589-1664); come il Daibutsti monogatari (II Grande Buddha, 1 libro, 1642), di anonimo, o come lo Hyaku hatchò-ki (Descrizione dei tre sentieri della ragione, 5 libri, 1664), di Joraishi, in cui si tenta una specie-di sintesi del Buddhismo, del Confucianesimo e del Taoismo (i tre sentieri). Altre ancora sono storie autentiche, oppure parabole o anche spiegano fatti storici o tradizioni cinesi e indigene, come il Ko-sakazuki (La tazzina per il sake, 5 libri, 1672), di Yamaoka Genrin, o come Iguchi monogatari (Racconto deformato, 8 libri, 1662), di Soga Kyuji, o come il Kannin-ki (Cronaca di tolleranza, 8 libri, 1652?). Ma altre si servono della forma di romanzo o qualcosa di simile per raggiungere intenti didattici od edificanti, e fra tutte sono quelle che, dal punto di vista letterario meritino qualche rilievo. Fra queste ricordiamo il Ninin bikuni (Le due monache, 2 libri, stampato nel 1663), di Suzuki Shòsan (15791655), che tratta la storia di due vedove che vivono insieme, pregando per l'anima dei rispettivi mariti morti in guerra. A un certo punto una di esse muore e allora l'altra incarica un uomo perché la seppellisca, ma questi abbandona la salma fra i boschi, cosicché quando la vedova ancora vivente va un giorno a visitarne la tomba, trova il corpo della sua defunta compagna in sfacelo. Ciò le richiama, in modo violento e inaspettato, alla mente la caducità delle umane cose, ed ella si fa monaca. A questa categoria appartiene pure l'Ukiyo monogatari (Racconti di questo mondo fugace, 5 libri, 1661), di Asai Ryoi, ma è un lavoro che rappresenta qualcosa di nuovo, soprattutto perché, con la sua trama, offre una descrizione dello spirito godereccio e spensierato del chònin del tempo, spirito che la penna di un uomo dotato come Ryoi ci presenta con straordinaria vivezza. L'eroe, Hyótaro, è appunto un giovane di Kyoto, figlio del suo secolo: vitaiuolo esuberante e inquieto, oltre che buono a nulla e spendaccione, che ha più spirito che entrate. Perduti tutti i suoi averi nel gioco e nei bordelli, egli riesce a trovare un posto di samurai di basso rango, ma litiga col suo padrone e diventa rònin. Erra per qualche tempo qua e là senza meta, finché si fa bonzo col nome di « Ukiyobò » (il bonzo di questo mondo fugace). Ma poi se ne va ancora e riesce a farsi assumere da un daimyò in qualità di giullare: suo compito è quello di far ridere con lazzi e con allusioni scanzonate a cose e uomini del tempo, se non che egli prende troppo sul serio la sua parte, tanto da mettere in ridicolo il suo stesso padrone, motivo per cui ritiene più salutare scomparire dalla circolazione ricorrendo alle arti magiche del Taoismo. Qua e là nel testo sono inserite considerazioni dello autore che mettono in luce il suo pensiero su varie cose e aspetti della società contemporanea. La trama è poco unita e risente, per l'impostazione, l'influenza delle Favole di Esopo. 4 - Traduzioni. Il rappresentante più tipico è l'Isobo (o Isopo) monogatari (Le favole di Esopo, 3 libri, stampato più volte fra il 1610 e il 1650). È una parafrasi del favolista greco e non ha nulla a che vedere con la famosa versione letterale di esso, fatta dal latino in giapponese dai gesuiti e stampata ad Amakusa nel 1593. Comunque sia, questa deve esser servita da modello all'autore, sconosciuto, dell'Isobo mo-nogatari che per altro fu praticamente la sola opera delle letterature occidentali nota agl'isolani durante il periodo To-kugawa. Quanto alle traduzioni dal cinese, a parte i racconti di spettri di cui si parla appresso, va qui ricordato soprattutto il Tóin hiji (Casi confrontati all'ombra dei peri selvatici, 5 libri, 1649), traduzione, per opera di autore ignoto, del Tang Yin Pi Shih (giapp. appunto Tóin hiji), scritto nel 1211 da Kuei Wan-jung, vissuto sotto i Sung in Cina, che pure in 5 libri narra centoquarantaquattro casi giudiziari famosi verificatisi fra la fine della dinastia Chou (1050-256 a. C.) e la dinastia T'ang. Il titolo allude a Chao Kung, fratello del fondatore della dinastia Chou, il quale soleva amministrare la giustizia, mettendosi sotto un albero di pero selvatico, riscuotendo l'unanime elogio per la sua salomonica saggezza; d'altra parte, Kuei Wan-jung nello scrivere la sua opera, ne consultò altre precedenti sulle quali confrontò gli stessi casi esaminati, da qui l'espressione « casi confrontati » che è nel titolo. Questa opera ebbe un successo enorme e creò il gusto per quella che potremmo chiamare « letteratura gialla ». Fu ristampata più volte, ma soprattutto ispirò e stimolò alla produzione' indigena di opere consimili, fra cui la più nota è l'Ooka seidan, di cui parleremo. 5 - Storie di spettri. Sono lavori attuati col proposito di stimolare alla virtù o di mostrare gli effetti del karma attraverso una lettura che, per essere avvincente, ricorre all’uso del meraviglioso come elemento essenziale. Il capostipite di tutti è l'Otogi-boko (La bambola-talismano, 16 libri, 166<>), di Asai Ryoi, in cui troviamo anche ventiquattro tacconi i 11.1 dotti da due opere cinesi dello stesso genere, il Chicli '/'V'//.i: Hsin Hua (Nuovi racconti da leggersi smoccolando la lamiui1.1, 4 libri) di Ch u Yu (13471433), e il Chien Téng Yu lìti,: ( Al tri racconti da leggersi smoccolando la lampada, 7 libri), di Li Ch'ang-ch'i, ambedue vissuti sotto i Ming (1368-1643). In iarda età Ry5i scrisse anche un altro lavoro simile, l'I//// barìko ( I I talismano a forma di cane, 7 libri, 1962), che contiene quaran-tacinque storie, di cui alcune non traduzioni, ma adattamenti di altre contenute nelle stesse due opere cinesi. Le quali erano state introdotte in Giappone nello scorcio dell'epoca Muro-machi e ristampate poco dopo con caratteri mobili, indi tradotte parzialmente. Ma i racconti di spettri cominciarono a divenir popolari solo con l'Otogi-bòko, al quale presto seguirono altri, come il Kaidan zensho (Raccolta completa di racconti meravigliosi, 5 libri, 1698), di Hayashi Razan, o come lo Shokokubanashi (Racconti di tutti i paesi, 5 libri, 1685), di Saikaku, o come tanti altri, i quali fecero sentire il loro influsso su opere posteriori, quali l'Ugetsu monogatari di Ueda Akinari. 6 - Descrizioni di viaggi e guide particolari. È una categoria particolarmente numerosa. Nelle descrizioni di viaggio, un posto di rilievo spetta a Chikusai (2 libri, 1620 circa, ma stampato nel periodo 1635-45), scritto forse da Karasumaru Mitsuhiro (1579-1638), un cortigiano libertino, ma il più grande talento creativo dei primi anni del 1600. Il protagonista, Chikusai, è un medicastro di Kyòto, il quale non potendo più vivere nella capitale, prende con sé un servo, Nirami-no-Suke, e si trasferisce con lui a Nagoya, dove cerca di rifarsi una vita; ma colleziona tante figuracce e guai da dover fuggirsene a Yedo. Il racconto è sostanzialmente la descrizione delle cose e dei luoghi visitati durante i viaggi ed è cosparso di « kyoka », cioè di « uta » umoristiche. La trama, naturalmente, serve di sfondo alle descrizioni e assolve il compito di render più attraente la lettura. Il successo enorme avuto da quest'opera rende ragione della comparsa di altre consimili che la ricordano anche nel titolo, come, ad esempio, Nobori Chikusai (Chikusai va alla capitale) e Chikusai ryòji monogatari (Le cure di Chikusai), ambedue di anonimo autore e in due libri. Il gruppo delle « guide » che fa parte di questa categoria, riguarda il teatro e i bordelli, o meglio i loro quartieri. Quelle del teatro, i famosi « yakusha-hyobanki » (note critiche sugli attori) sono estremamente importanti per la storia del « kabuki » e noi ne abbiamo parlato diffusamente nel nostro lavoro 11 teatro giapponese, Storia e antologia (Milano, Feltrinelli, 1962, pp. 130-31), al quale rimandiamo il lettore curioso. Quelli, invece, che riguardano i quartieri del piacere (« irozato », « iro-machi », « yùkwaku », « yùri »), o meglio le loro inquiline, sono gli « yùjo-hyòbanki » (note critiche sulle prostitute), che sono specie di notiziari riguardanti le più note cortigiane, di cui descrivono le doti fisiche, il talento, i costumi, la personalità, i difetti, le eventuali eccentricità ecc. Le vere e proprie guide o « annaiki », sono dei vademecum dei quar- rieri del piacere, con piante, nomi delle varie case, le tariffe e tutto ciò che occorre sapere da parte del frequentatore. Infine, si hanno anche delle specie di, diremo cosi, guide psicologiche, dette « showake-hidensho » (libri di tradizioni segrete in dettaglio), che spiegano al frequentatore l'etichetta da seguirsi negli stessi quartieri nei confronti delle cortigiane, i metodi per divenire esperto, per saggiare la sincerità delle cortigiane, le arti (« tekuda ») che queste usano per conquistare l'assiduita dei clienti e per spillar loro più denaro possibile e cosi via. 7 - Storie per ridere. Il più tipico rappresentante di questa categoria è senza dubbio il Seisuishò (Per ridere da scacciar via il sonno, 8 libri, 1628), del bonzo Anraku-an Sakuden (al secolo: Hirabayashi Heidayù, 1554-1642). Contiene quattro centododici storielle comiche che l'autore, fin dagli anni della gioventù, era venuto annotando man mano che le aveva udite narrare da qualcuno. Poi, giunto alle soglie della vecchiaia,Itakura Shigemune (1587-1656), rappresentante (« shoshidai ») dello « shogun » alla corte imperiale di Kyòto, lo esortò a sceglierle e a pubblicarle, ed egli seguì il suo consiglio. Nella prefazione ci spiega il motivo del titolo: « Nel rivedere ciò che son venuto scrivendo da tanti anni, rido spontaneamente e il sonno mi passa; per questo ho dato a questa raccolta il titolo di Seisuishò ». La sua opera ebbe molte edizioni, 111:1 anche molte imitazioni, fra le quali ricordiamo qui lo Shikatabanashi (Racconti da narrarsi gesticolando, 5 libri, 1659), di Nakagawa Kiun (1636-1705), e l'Ikkyù-banashi (Racconti su Ikkyù, 4 libri, 1700), di anonimo, il quale ha raccolto vari aneddoti riguardanti il famoso monaco umorista Ikkyù (13'M 1481). 8 - Parodie di classici. La critica dei testi classici, ini/iai.i all'inizio del 1600, ebbe una specie di contraccolpo umorisiii» nei kana-zoshi con la comparsa di parodie delle opere dell.i vecchia letteratura. Tanto per citarne qualcuna, il Makura no sóshi, per esempio, trovò la sua parodia nel Mottomo no \<>\/>i (lett. Il libro ragionevole, ma in effetti significa: II libro di mezzo guanciale, 2 libri, 1632), che è il più antico e « l i an<> nimo autore; l'Ire monogatari ebbe il Nise monogatari (Si.-md'imitazione, 2 libri, stampato nel periodo 1624-42), niiriluiiiu a Karasumaru Mitsuhiro; allo Tsurezure-gusa fece risanino lo Inu Tsurezure-gusa (Uno Tsurezure-gusa cattino, 2 libri, 1653), pure di anonimo, e cosi via. 9 - Riassunti di classici. Non soltanto parodie, ma anche veri e propri riassunti di opere della letteratura classica vennero ad arricchire i kanazoshi. Gli è che, data l'impossibilità di leggerle nell'originale senza un'adeguata preparazione da parte dei meno colti e delle masse, si era pensato di presentarle in riassunto e in veste linguistica moderna, in modo da renderle accessibili a tutti. Ne ricorderemo qui due abbastanza note: il sunto del Genji monogatari intitolato Jitchò Genji (II Genji in dieci fascicoli, 10 libri, stampato fra il 1661 e il 1672), di Nonoguchi Ryùho (1599-1669), e l'Osana Genji (II Genji per i giovani, 10 libri, stesso periodo), che è una semplificazione ulteriore del precedente e dello stesso autore, il quale disegnò anche le illustrazioni di cui ambedue le opere sono corredate. I kana-z5shi, appartengono, in sostanza, a un tipo di letteratura propria del periodo di transizione di una società che sta profondamente trasformandosi, che ha chiuso un periodo della sua storia e ne sta aprendo un altro. Abbiamo già visto come i primi di essi riflettessero ancora la vecchia società, perché scritti da gente ancora ad essa legata per nascita ed educazione: i protagonisti sono samurai o cortigiani e l'ambiente, il modo di pensare risentono l'influsso del passato. Ma fra il 1670 e il 1680 la scena è mutata: i protagonisti sono chònin che, naturalmente, pensano ed agiscono come tali, nell'atmosfera dei nuovi tempi. Gli è che, intanto, la diffusione della cultura aveva elevato e reso cosciente di sé il popolo, formando in lui una peculiare concezione di vita, un gusto preciso, delle aspirazioni proprie. E appunto ora esso comincia a scrivere per se stesso, per soddisfare esigenze che si presentano a lui per la prima volta. Si tratta, tuttavia, di prodromi, per dir così, a una vera e propria letteratura chònin o borghese, perché era mancato finora un uomo di genio capace di dare all'anima popolare un'espressione segnata dall'impronta eterna dell'arte. Ma sullo scorcio del 1600, anche costui giunse, e allora la penna di Ihara Saikaku, uno scrittore d'eccezione, creò il romanzo realistico o di costumi, l'« ukiyo-zoshi », che venne ad offrire un mirabile rappresentante dello spirito ottimistico dell'epoca. GLI « UKIYO - ZOSHI EPIGONI DELLA e »: godereccio IHARA SAIKAKU E del chònin i suoi HACHIMONJI-YA Di Ihara Saikaku (1642-93), non si conoscono molti tl;iiì biografici. Hirayama Tógo, questo il suo vero nome (Iharn era forse il cognome della madre e Saikaku lo pseudonimi i letterario che assunse dopo), era un ricco commerciante di Osaka, dove era nato. Aveva, però, sortito da natura and ir una felicissima disposizione per le lettere, e a 14 anni già si dedicava all'haikai, in cui raggiunse poi 1una straordinaria abililiì, tanto da essere considerato un maestro. Fu allievo di Nishiyamii Soin, dal quale ebbe (1673) il permesso di usare il caratteri-« sai » (corrispondente al « nishi » di Nishiyama) con cui foggiò il suo nome d'arte Saikaku. Nel 1675, ancor giovane, perse la moglie, che gli lasciò tre figli, fra cui una bimba, pare, cieca, che però morì di li a poco. La sciagura lo abbattè profondamente; poi, a un cerio punto, affidata la cura dei suoi affari a un fidato dipendente, si diede alla vita libera; frequentando bordelli e teatri, n i ; i soprattutto viaggiando per tutto il paese, tutto acutamcnic osservando. Da qui forse quella esperienza di uomini e di cosi-che traspare dai suoi lavori. La morte di Sòin (1682) segnò una tappa importante tu-ILi sua vita letteraria. Fino allora egli si era occupato solo i l i haikai, da ora in poi si dedicherà, invece, esclusivamente ;ill;i narrativa, che dovrà assicurargli un_posto notevole nella stoi-hi letteraria del suo paese. Morì ad Osaka nel 1693 a 52 ; i i m i , secondo il computo giapponese dell'età, cioè due in più di quella che era considerata la durata media della vita um:m:i. A questo allude appunto il suo ultimo haikai composto sul letto di morte: Ukiyo no tsuki Gli ultimi due anni li ho vissuti in più, mi-sugoshi-ni-keri con leni piando la luna di questo mondo fugace! sue ni-nen Saikaku è il primo scrittore borghese degno di questo nome, che descrive il mondo del chonin dal punto di vista di uno che ad esso appartiene, con atteggiamento di simpatia e di apprezzamento per i suoi ideali. Non che prima ne fossero mancati: l'autore dell'Ubo monogatarì, uno dei kana-zòslii, per esempio, è uno di questi, ma non ha molto a che vedere con Saikaku per lo stile e per l'impronta artistica. Ihara Saikaku inaugura un'era nuova, che si può anche considerare come uno sviluppo, una elevazione sul piano artistico dei kana-zòshi, con l'ukiyo-zoshi (fascicolo di questo mondo fugace) o, come noi diremmo, col romanzo realistico o di costumi. È opportuno, prima di proceder oltre, sgombrare subito il campo da giudizi errati espressi sul contenuto delle sue opere, per le quali egli è stato definito uno scrittore pornografico o immorale da critici disinvolti, non soltanto europei ma anche indigeni, vissuti due secoli e mezzo dopo di lui, in una società e per struttura e per concezioni di vita affatto diversa. Grave errore è, infatti, giudicare uno scrittore senza riferirsi ai tempi e all'ambiente in cui egli è vissuto, e una critica recente, più serena, ha messo le cose nella giusta luce. Saikaku non è uno scrittore che si compiaccia di quello che scrive, né egli si è mai prefisso nei suoi romanzi fini educativi o di edificazione morale. Egli vuole solo dilettare, intrattenere piacevolmente il lettore con una narrazione che lo interessi; e non è ch'egli scelga i suoi argomenti perché pornografici, ma perché, dati • i costumi del tempo, essi erano i soli che potevano interessare i, contemporanei. Il bordello e il teatro, l'abbiamo detto, erano allora i due soli fulcri della vita quotidiana e tutta la letteratura, non Saikaku soltanto, traeva da essi motivi d'ispirazione. Il suo stile, poi, anche se vivace, non è mai emotivo, ' ma sempre obiettivo. Del resto egli ha descritto anche altri aspetti, oltre quello erotico, della società borghese, di cui egli è l'interprete più genuino. Saikaku merita un posto di rilievo nella storia letteraria del Giappone soprattutto per lo stile impareggiabile, che rappresenta qualcosa di veramente nuovo. Minuzioso osservatore, realistico fino alla brutalità, egli descrive con periodi incisivi ed estremamente concisi, talvolta fino a risultare oscuri, il che è senza dubbio imputabile alla sua lunga dimestichezza con l'haikai. Egli dispone da padrone di tutte le risorse della lingua corrente, messa al servizio di uno stile di un vigore e di un colorito che non temono confronti. La sua produzione riguarda tre aspetti della società: erotico, militare e borghese, per cui si può ripartire in tre gruppi: 1 - « kòshoku-mono », libri erotici. 2 - « buke-mono », libri riguardanti la casta militare. 3 - « chònin-mono », libri di vita borghese. I primi a comparire furono i « k5shoku-mono », inaugurati col Koshoku ichi-dai otoko (La vita di un libertino, 8 libri, 1682) che s'ispira al Genfi monogatari e che riguarda le mille avventure erotiche di Yonosuke, uri libertino spregiudicato che dovrebbe corrispondere al principe Genji. Ma a differenza di questo, personaggio romantico sempre mosso da tenerezza e dal sentimento nelle sue avventure galanti, Yonosuke è, invece un gaudente, spinto solo dal fuoco dei sensi, che fa teatro delle sue gesta il bordello. Il successo che arrise a questo primo romanzo spinse Saikaku a proseguire per la via intrapresa, e quattro anni dopo ne pubblicava altri due, il Koshoku ichi-dai onna (La vita di una mondana, 6 libri, 1686) e il Koshoku go-nin onna (Cinque donne assetate d'amore, 6 libri, 1686), dove risaltano meglio le qualità stilistiche dell'autore. La trama del Koshoku ichi-dai onna è, brevemente, la seguente. A Saga, vicino a Kyoto, vive una vecchia prostituta, alla cui dimora due gentiluomini si recano in visita, ed ella ha così occasione di narrar loro la sua vita. Figlia di un nobile della capitale e dama di corte nel palazzo di un principe, ella, appena tredicenne, si era innamorata di un cortigiano, e poiché questo amore era vietato, i due amanti erano stati esiliati. Abbandonata presto dal suo compagno, la fanciulla si unisce a una compagnia di artisti girovaghi coi quali visita le varie province del Giappone. Un giorno, in una città, ella diviene l'amante di un daimyo, che presto l'abbandona anche lui. A sedici anni è prostituta nel quartiere dei bordelli di Shimabara (Kyoto). Per molto tempo, la sua eleganza e la bellezza le permettono di primeggiare e di aver clienti ammiratori. Poi, col tempo, le sue grazie sfioriscono ed ella si ammala. Comincia, così, la decadenza, passando da un bordello a un altro di più basso rango, finché giunge ad Osaka nella miseria più nera. Un giorno a Kyoto, mentre è assorta in preghiere, ha una specie di visione che le fa comprendere la vacuità delle umane cose. Un senso di amaro pentimento per la vita trascorsa s'impadronisce allora di lei e a 65 anni ella si ritira dal mondo, facendosi monaca. Cinque storie diverse, ricavate dalla cronaca del tempo, compongono il Koshoku go-nin onna, ma le protagoniste non sono prostitute, bensì figlie o mogli di commercianti. Alcune di queste storie fornirono anche argomento al teatro. Un altro lavoro riflette una pratica assai diffusa nel Giappone, in tutte le epoche, ed è il Nanshoku o-kagami (II grande specchio dell'omosessualità maschile, 8 libri, 1687), che racco-glie quaranta aneddoti riguardanti la sodomia, sia fra i militari, sia fra gli attori di « kabuki ». Passiamo ora ai « buke-mono », dedicati alla casta dei militari, di cui si passano1 in rassegna la mentalità e la struttura etico-sociale, viste, però, con gli occhi di un borghese. Nel Bado denrai-ki (Cronache trasmesse della via del guerriero, 8 libri, 1687), Saikaku narra trentadue storie di vendette famose occorse in tutto il paese, vendette ch'egli considera da chonin e quindi da estraneo, senza ammirazione o esaltazione che possa ispirar plauso e approvazione da parte del lettore. Anzi, par quasi di legger fra le righe che il vendicatore, per l'autore, non sia, almeno del tutto, dalla parte del diritto e della ragione; che la vittima non sia poi così malvagia o colpevole e che la vendetta, tutto sommato, non rappresenti un'azione che debba tanto soddisfare e di cui metta conto menar vanto. Nel Euke giri monogatari (Storie di obbigazioni morali nella classe militare, 6 libri, 1668), infine, i ventisei racconti che lo costituiscono sono imperniati sul « giri », di cui abbiamo già parlato, articolo di fede cieca, particolarmente per la classe dei samurai. Più interessanti, per noi, sono i « chonin-mono » che offrono una rappresentazione viva della società borghese del tempo, soprattutto sotto l'aspetto della sete di denaro. Il più significativo è il Nippon eitai-gura (II magazzino eterno del Giappone, 6 libri, 1688) che accoglie trentasei racconti i quali vogliono dimostrare come un chonin possa far fortuna o perderla con la stessa facilità. Alcuni degli aneddoti sono storici, altri im-maginari o riflettenti tradizioni. Dall'insieme di essi, scaturisce un insegnamento, che, cioè, per far fortuna, il chonin deve sì essere scaltro e non badare a mezzi, ma anche usar pazienza e molto spirito di economia. Il lavoro è scritto con la solita vivacità e il solito stile colorito. Qua e là affiora qualche frecciata per i ceti superiori, pieni di boria invidiosa e impotente, che avevano a vile i chonin e la loro sete di guadagno. Ad essi Saikaku, conscio del valore del denaro, si rivolge appunto quando dice: « II denaro è il blasone del chonin, qualunque sia la sua nascita o la sua origine. E anche coloro che vanno in giro con una scimmia ammaestrata se la cavano meglio (in fatto di denaro) di coloro che vantano quarti di nobiltà'e vivono, invece, poveri ». Un altro suo lavoro, il Seken mune sanyó (I calcoli della gente di questo mondo, 5 libri, 1692), è una raccolta di venti aneddoti che hanno per centro l'ultimo giorno dell'anno, quando si facevano il bilancio dell'anno passato e le previsioni di quellonascente. Questo giorno poteva valere una fortuna acquistata o perduta, e Saikaku mostra come debiti e crediti poievancj venir cancellati provocando gioia o dolore, a seconda dei casi| È uno dei suoi migliori lavori. Dopo la morte di Saikaku (1693), gli ukiyo-zoshi cominj ciavano già a perdere di popolarità per la mancanza di scrittor dotati, quando, a dar loro nuova vita, comparve l'astro Kiseki, il vero erede del defunto. A Kyoto, una delle tre maggiori librerie, era la famosa Hachimonji-ya (leti. All'insegna del carattere « bachi », ckd otto, forse la prima parte di Hachizaemon, il vero nome di Jisho), di cui era proprietario Andò Jisho (1666-1745). Costui ebbe l'idea di associarsi ad Ejima Kiseki (1667-1736), figlicT di un agiato commerciante della città, che aveva trascorso irj piaceri e bagordi la sua giovinezza, finché, dato fondo alle sua risorse economiche, aveva deciso di darsi alle lettere e corf queste di guadagnarsi la vita. Associandosi con Jisho, Kisek volle restar nell'ombra, cosicché i suoi lavori uscirono col noma di Jisho. I volumi editi dalla Hachimonjiya si distinguevano per la veste tipografica e per le illustrazioni, opera di NishikawaJ Sukenobu (1671-1751) e della sua scuola. Nel 1699 la libreria iniziò la pubblicazione di una serie d| « yakusha-hyòbanki » scritti da Kiseki. Il primo di essi, VYa\ kusha kuchi-jamisen (Un samisen vocale sugli attori, 3 libri] si distingueva dagli « yakusha-hyòbanki » dei « kanazòshi : non solo per la veste tipografica, ma anche per lo stile deliziose^ delle prefazioni ai vari capitoli sotto forma dialogica. Fu dop' che il successo ebbe arriso a questo genere di pubblicazioni che Jisho, sempre per la penna di Kiseki, concepì l'idea di riprendere la produzione editoriale degli ukiyo-zoshi, interrotti dalla morte di Saikaku. Nel 1701 usciva il Keisei iro-zamis«i\ (La" chitarra d'amore delle prostitute, 5 libri), che si esaurì ir breve tempo, tanto che dopo quattro mesi si dovè farne um| nuova edizione. Era un lavoro impostato sul modello degli yùjo-hyòbanki che riuniva ventiquattro aneddoti, più o menci piccanti, riguardanti le più famose cortigiane dei quartieri def piacere dell'epoca. Ma esso non fu che il primo di una serie djjl « keisei-mono » (libri sulle prostitute), fra i quali ricorderei)uri VYahaku naishd kagami (Lo specchio segreto dei prostituii djl ambo i sessi, 5 libri, 1710), Viro hiinagata (Modelli d'amore)! 5 libri, 1711), il Keisei kintanki (Alle prostilute è vietato per' der la pazienza, 6 libri, 1711), ecc. Nel 1712 i rapporti fra Jisho e Kiseki si guastarono, pcrchd Kiseki non era soddisfatto della ripartizione degli utili della azienda. Non essendo stato possibile un nuovo accordo, egli si staccò dalla Hachimonji-ya e aprì una libreria, l'Ejima-ya, dando alle stampe, stavolta col suo nome, altri ukiyo-zoshi. Nel primo di questi, VYakei tabi-tsuzura (II canestro da viaggio di drudi e prostitute, 5 libri, 1712), egli svelava al pubblico che quel che fino allora era apparso sotto il nome di Jisho era stato in effetti opera sua. Jisho, a sua volta, rispondeva tacciandolo di impostore, al che Kiseki, nel primo « yakushahyòbanki » edito dalla sua libreria, l'Yakusha mekikiko (Giudizi sugli attori, 3 libri, 1714), ribatteva invitando i lettori a non lasciarsi ingannare dal suo rivale. Intanto, però, se l'Hachimonji-ya, non ostante la perdita di Kiseki, riusciva lo stesso a quadrare i propri bilanci, così non avveniva per l'Ejima-ya, per cui Kiseki non riuscendo a rendere economicamente sana la sua azienda, dopo sette anni, dimenticando i passati rancori, si riuniva con Jish5, ma con un accordo di parità. La riunione segnò anche una svolta nella produzione, perché Kiseki, che aveva ormai raggiunto la piena maturità artistica, si diede alla pubblicazione dei così detti « katagi-mono » (libri di tipi), in cui descriveva in modo geniale e gustoso certe figure caratteristiche della società del tempo. Basterà citare i titoli dei quattro ch'egli scrisse per averne un'idea: Seken musuko katagi (Tipi di figli d'oggi, 5 libri, 1715), Seken musume katagi (Tipi di figlie d'oggi, 5 libri, 1716) Ukiyo oyaji katagi (Tipi di vecchi padri moderni, 5 libri, 1721) e Seken tedai katagi (Tipi di commessi di negozio d'oggi, 5 libri, 1731). In sostanza, Kiseki è quel che oggi chiameremmo un umorista che, come avviene spesso agli umoristi, era portato ad esagerare i lati deboli o curiosi dei tipi da lui presi di mira proprio per ricavarne un maggior effetto comico. Le sue descrizioni mancano per questo spesso di naturalezza. Il suo stile si piega agevolmente a tutte le esigenze della narrazione e la sua lingua è piana e vicina a quella d'oggi. Kiseki può' dirsi un epigono di Saikaku, e lo dichiara egli stesso, ma solo per gli ukiyo-zóshi. Ma egli fu anche qualcosa di diverso. Nei katagi-mono, dove diede il meglio di sé, dimostrò qualità di autentico scrittore originale, per le quali ha diritto a un posto, anche se non di grande rilievo, nella letteratura del suo paese. Scomparso Kiseki nel 1736, la serie dei katagi-mono fu continuata da altri. Uno di questi fu Tada Nanreì (1698-1750), che aveva preso il suo posto nella Hachimonji-ya e a cui è dovuto il Seken hahaoya katagi (Tipi di madri d'oggi, 5 libri, pubblicato postumo nel 1752). Un altro fu Ueda Akinari (1734-1809), autore di un Seken tekake katagi (Tipi di concubine, 4 libri, 1766). Scomparsi Jishó (1745) e Nanrei (1750), la Hachimonji-ya declinò, finché attrezzature e attività non furono rilevate (1767) da Masuya Okura, un libraio-editore di Gsaka. Cosi scompariva un nome che era stato il simbolo di un'epoca e che ha impresso un'orma incancellabile nella storia della letteratura dell'arcipelago. Manifestazione delicata e nobile del gusto raffinato e di ideali di un mondo scomparso, espressi in una lingua non più compresa, il « no » non poteva soddisfare il popolo, troppo ignorante per poterlo1 apprezzare, per cui restò il teatro delle classi colte. E il popolo, che s'era creata una sua letteratura, si creò anche un teatro adatto ai suoi gusti: il « kabuki », o dramma popolare, e il « jòruri » o teatro di burattini. teatro popolare IL KABUKI A Kyòto, nella bella stagione, il fiume Kamo che traversa la città si riduceva quasi all'asciutto, scoprendo così il suo greto, dove, in corrispondenza del quarto « jo » (« shi-jo », una delle arterie che traversavano la capitale da est ad ovest) solevano piantare le loro baracche burattinai, saltimbanchi, prestigiatori e simili, per cui il luogo, detto « shij5-gawara » (il greto del fiume del quarto « jó »), diveniva una specie di Luna Park, di quartiere dei divertimenti. Qui la tradizione vuole che, intorno al 1600, O Kuni, una danzatrice (« miko ») del grande tempio di Izumo, abbia eseguito delle danze religiose, dette « nenbutsu-odori » (danze d'invocazione al Budcìha), accompagnate da canzoni. La sua doveva essere una esibizione il cui ricavato era destinato a finanziare ripara zioni urgenti di cui il suo tempio aveva bisogno. Ma poi, secondo la tradizione, ella avrebbe conosciuto Nagoya Sanzaburò (1576-1604), un ex samurai che conduceva vita dissipata e che era abbastanza esperto del « no ». Costui avrebbe rinnovato il modesto repertorio di O Kuni, eliminandone l'elemento religioso e introducendovene altri per quell'epoca inauditi, come, per esempio, le donne che vestivano da uomini e gli uomini da donna. Lo spettacolo consisteva in pantomime accompagnate da canzoni mondane, come questa: Waga koi wa tsuki ni mura-kumo bana ni kaze to yo L'amor mio [è come] luna [offuscata] dalle nubi, o fiore agitato dal vento; L'orchestra era composta da un flauto e dai tamburi, conio nel «no». Lo spettacolo, per la sua audacia e singolarità In detto « kabuki-odori », qualcosa come danze (« odori ») cc centriche (« kabuki » da « katabuku », inclinare, e quindi esser fuori della norma, eccentrico). Va subito detto che molte delle fonti di questa tradizione di O Kuni presentano dati contrastanti che la rendono mollo ingarbugliata, e gli storici hanno invano sudato intorno a questo argomento alla ricerca di documentazioni inoppugnabili, ma senza, o con scarsi, risultati. Ad ogni modo, il « kabuki-odori » ebbe un successo cosi strepitoso da divenir la mania dell'epoca. Subito sorsero compagnie costituite prevalentemente da prostitute (« keisei-kabuki » o « kabuki » di prostitute) che furoreggiarono in tutto il paese, ma diedero anche luogo ad eccessi, per cui nel 1629 il governo dovè proibire alla donna il palcoscenico, dov'essa tornerà solo dopo il 1868. Eliminate le donne, il loro posto fu allora preso da fanciulli (« wakashu-kabuki » o « kabuki » di fanciulli), per lo più dediti alla prostituzione maschile, ma dopo un poco le autorità dovettero ancora intervenire in difesa, più che della morale, della quiete pubblica nel 1652. Allora le parti femminili vennero assunte da uomini e si ebbe così l'« yarò-ka-buki » o « kabuki » di adulti. Nacque in tal modo l'« onna-gata », cioè l'attore specializzato in parti femminili, che sarà una costante fisionomia del « kabuki ». Nel frattempo, le kabuki-odori andarono lentamente subendo quelle trasformazioni che dovevano portare al kabuki, il dramma popolare. Dapprima le danze e le canzoni, unici componenti dello spettacolo originario, accolsero brevi scenette o farse che s'ispiravano a motivi della vita quotidiana (« mono-mane kyogen » o scene di imitazione, realistiche), poi queste andarono lentamente scacciando sempre più danze e canzoni e sempre meglio rappresentando la società del tempo, finché, progredendo nella loro evoluzione, sfociarono negli « tsuzuki-kyogen » o scene prolungate, cioè in più di un atto. Il vocabolo « kyogen », si badi, non ha qui nulla a che vedere con le farse classiche omonime di cui si è già parlato, ma designava semplicemente ogni azione drammatica che non fosse il « nò ». La comparsa di spettacoli in più atti portò, come conseguenza, a sviluppi nuovi della tecnica teatrale con l'introduzione del sipario fra un atto e l'altro, con la creazione e il cambiamento degli scenari ecc. Nell'orchestra, la novità più importante fu senza dubbio l'introduzione del « samisen », tolto al « jóruri » intorno al 1633. Contemporaneamente la stessa essenza dello spettacolo subiva profondi mutamenti. L'intervento delle autorità aveva obbligato il kabuki, che nelle prime fasi del suo sviluppo aveva abbondantemente speculato sui bassi istinti delle masse, a guardare verso orizzonti più nobili, e per fortuna vi furono attori, degni di questo nome e co scienti della loro dignità professionale, che contribuirono all'elevamento del teatro sul piano morale e artistico. Uno dei primi fu Nakamura (poi Saruwaka) Kanzaburò I (1598-1638), il quale fondò a Yedo il primo grande teatro stabile nel 1624, il Saruwaka-za (poi Nakamura-za), seguito poi da altri quattro, e cioè dal Miyako-za, nel 1633; dal Murayama-za, nel 1634 (che nel 1664 cambierà nome in Ichimura-za); dall'Yamamura-za, nel 1642, che fu soppresso nel 1714 in seguito a uno scandalo clamoroso; e infine dal Morita-za, nel 1660. Il suffisso « -za » vale: teatro. Noi abbiamo il testo di qualcuno dei primi kabuki, come il \\onin sakazuki (La tazza del rónin), il Keisei-kai (L'ingaggio della cortigiana) e qualche altro: si tratta di trame brevi e semplici, anzi puerili, in un atto. Queste antiche trame rimon-i ;i vano agli stessi attori, che le imbastivano, ritoccandole poi pili volte a seconda di esigenze che di volta in volta si pre sentivano, tenendo presenti le proprie capacità e i gusti del pubblico. L'epoca dei drammaturghi di professione non era iineoi-ii venuta. Uno dei primi, di cui si ha notizia, fu un corto Tominaga Heibei, citato come tale in un cartellone (« bui) y.ukc ») del 1680. Ma in quest'epoca il kabuki aveva fatto già molta strada definendosi nettamente come spettacolo drammatico. Due drammi sono un po' considerati come l'atto di nascila del kabuki d'arte: VImagawa shinobi-guruma (La vettura secreta di Imagawa, 2 atti), di Miyako Dennai, ap parso sulle scene del Nakamura-za di Yedo nel 1663; e VHinin no aJa-uchi (La vendetta del pariah, 2 atti), dell'attore l'uluii Yagozaemon, rappresentato ad Osaka nel 1664. Nel primo, Imagawa, un samurai, avendo dato un consiglio al suo feudatario, non solo non è ascoltato, ma calun- niato e scacciato dal feudo, cosicché cade in miseria. Poi egli si ammala gravemente e sua moglie allora lo trasporta in segreto su un carro che si aggira nella regione del feudo, finché, dopo una serie di peripezie, tutto si accomoda ed egli rientra nelle grazie del suo padrone. Nel secondo, invece, si rifa la storia di un uomo che, per vendicare l'uccisione del padre, si traveste da « hinin » (fuori-casta, pariah). Creatura ancora fragile e senza esperienza, questo kabuki mancava ancora di attori di rilievo e quindi di impulsi e direttive capaci di imprimergli il suggello sublime dell'arte. Le prime due veramente grandi figure che ebbero questo ufficio, e che segnano perciò una tappa fondamentale nella sua storia, furono Sakata Tojurò (1645-1709) e Ichikawa Danjùro I (1660-1704), due contemporanei che agirono il primo a Kyoto, l'altro a Yedo. Tójùró aveva iniziato la sua carriera ad Osaka nel 1678 e appunto in quell'anno, la morte in giovane età di Yùgiri (1654-78), una famosa « oiran », destava tanto unanime sensazione, ch'egli concepì l'idea di sfruttare l'avvenimento a proprio vantaggio. L'Yugiri nagorì no shògwatsu (La dipartita di Yùgiri in gennaio) da lui portata sulle scene fu un trionfo che lo mise subito in evidenza. Quando nel 1680 egli si trasferì a Kyoto, era ormai un attore celebre che doveva dominare le scene fino alla sua morte. Tojùrò ha avuto il grande merito di sviluppare il monologo. Con lui, l'attore si libera di ogni convenzionalismo tradizionale per penetrare nel profondo dell'anima dei personaggi ch'egli seppe incarnare in modo insuperabile. Era un attore proteiforme, studioso e osservatore acuto della realtà e ugualmente mirabile nelle parti comiche e in quelle tragiche. Aveva anche una discreta cultura, per cui collaborava attivamente con chi gli scriveva i drammi. Alla sua morte, non avendo formato una scuola, non lasciò allievi, ma solo una somma di insegnamenti e di esperienze che per tanti anni avevano illuminato di viva luce il teatro. Mentr'egli agiva a Kyoto, a Yedo il kabuki riceveva una diversa e singolare fisionomia per opera di Ichikawa Danjùro I. Horikoshi Ebizò, tale il suo vero nome, era stato influenzato dallo stile declamatorio violento di Izumi-dayù I (fiorito fra il 1652 e il 1687) che allora furoreggiava nel teatro di burattini. Tòjurò aveva introdotto nel kabuki la naturalezza e il rispetto per la realtà; Danjùro I, invece, puntò sull'esage - razione come elemento capace di dare potente risalto all'eroismo e al male, risalto spinto fino alle più visibili espressioni, servendosi dei costumi indossati, del trucco speciale (il famoso « kumadori », di origine cinese), del dialogo, degli atteggiamenti, delle movenze, di tutto quanto, insomma, un attore poteva disporre. Questa tecnica dell'esagerazione, detta « ara-goto », era sorta in lui dalla necessità di trovare qualcosa che sbalordisse l'uditorio, impressionandolo con la sua potenza drammatica. Anche Danjùro I scrisse, da solo o in collaborazione, i drammi che metteva in scena e che rimasero poi di proprietà della scuola da lui fondata. I suoi successori arricchirono questo patrimonio, finché Danjùro VII (17911859) concepì per primo l'idea di operarne una selezione allo scopo di dar forma permanente ai migliori. Il suo lavoro, interrotto dalla morte, fu poi proseguito da Danjùro IX (1838-1903), il quale portò così a termine i Kabuki jù-hachi-ban (I diciotto migliori kabuki) della dinastia Ichikawa. Danjùro I morì a 45 anni il 24 marzo del 1704 ucciso da Ikujima Hanroku, un attore che sembra fosse offeso perché egli non aveva voluto concedergli di assumere il cognome Ichikawa della sua scuola. L'arte dell'« onna-gata » annovera un terzo, grande astro di questo primo kabuki in Yoshizawa Ayame (1673-1729). Nato ad Osaka e perduto il padre in giovane età, per guadagnarsi la vita fu « iro-ko » (lett. fanciullo d'amore), come si chiamavano i ragazzi che esercitavano la prostituzione maschile, la qual cosa allora apriva loro anche una carriera nelle parti femminili del teatro. E Yoshizawa portò sulle scene un'arte mirabile che doveva assicurargli fama imperitura. Le sue idee sull'arte dell'onna-gata ci sono note attraverso un'opera, scritta da Fukuoka Yagoshirò, che porta il titolo di Ayame-gusa (Insegnamenti vari di Ayame), il canone cui s'ispirarono tutte le generazioni successive di onna-gata. Per raggiungere la perfezione nella propria arte, secondo Ayame, un onna-gata deve costantemente sviluppare in sé i sentimenti naturali di una donna, comportandosi come tale anche nella vita privata. Solo così egli non userà dannose affettazioni sul palcoscenico. La parte più difficile da interpretarsi, secondo lui, resta quella dell'oiran, la cortigiana di alta classe. Fra gli altri attori di minor levatura fioriti in questo periodo, ricordiamo tre altri onna-gata: Mizuki Tatsunosuke (1673-1745), passato poi alle parti maschili, Ogino Sawanojó (1656-1704) e Sodezaki Karyu (P-1730) allievo di Ayame. Degli attori di parti maschili vanno citati i nomi di Nakamura Shichi-saburò I (1662-1708), che fu a Yedo l'antitesi di Danjùrò I, mentre Tòjùrò aveva a Kyòto come rivale Yamashita Kyòemon I (1652-1717). Kataoka Nizaemon I (1656-1715) fu un «cattivo » della scena aiutato molto dall'aspetto imponente e dallo sguardo truce e selvaggio. Egli è il capostipite di una dinastia di attori durata fino a oggi. Il kabuki di questo primo periodo era sostanzialmente tecnico, perché il successo era fondato sull'abilità e la capacità degli attori, non su quelle di scrittori di vocazione che fino a questo momento erano mancati. Si comprende, dunque, come, nei primi anni del 1700, esso dovesse cedere il posto, nel favore del pubblico, al teatro di burattini (« jòruri »), che stava allora ricevendo una grande luce dall'astro sorgente del grande Chikamatsu. IL TEATRO DI BURATTINI E CHIKAMATSU MONZAEMON Oe-no-Masafusa (1041-1111) nel suo Kairaishi-ki (Note sui burattinai) ci da le prime notizie sui «kugutsu », il più antico vocabolo, di origine straniera, come sembra, con cui nell'antico Giappone si designavano sia i burattini come i burattinai, questi ultimi più propriamente detti « kugutsu-mawashi » o manovratori di burattini. Pare che questi burattinai appartenessero a una popolazione girovaga, diversa da quella giapponese e stranamente rassomigliante ai nostri zingari, che viveva in tende e sfuggiva alle tasse. Girando di villaggio in villaggio, questi kugutsu si guadagnavano la vita facendo ballonzolare su cassette dei fantocci, mentre le loro donne esercitavano la prostituzione. Questo nell'era Heian. - Più tardi, nell'epoca di Kamakura, troviamo i kugutsu divenuti, in parte almeno, sedentari e appoggiati a templi di cui godevano la protezione. A Nishinomiya, fra Osaka e Kobe, quelli del tempio di Ebisu (uno dei sette geni della felicità) erano detti « Ebisu-gaki » o « Ebisu-mawashi », evidentemente perché portavano in giro, manovrandoli a mo' di burattini, dei fantocci rappresentanti Ebisu. E qui, a Nishinomiya, i burattinai s'acquistarono fama di grande abilità, tanto da essere perfino invitati a prodursi a corte. Abbiamo già riferito, a proposito degli otogi-zòshi, sulla Storia di Jòruri (Jòruri monogatari), diffusa da menestrelli ciechi al suono del samisen, dopo l'introduzione di questo strumento dalle Ryùkyu intorno al 1562. E abbiamo altresì detto come il vocabolo « jòruri » finisse per designare tutte le storie da declamare alla stessa stregua e al suono dello stesso strumento, come Wada sakamori (Le orge di Wada), come Horìkawa yo-uchi (L'attacco notturno a Horikawa) e simili. Poi, sullo scorcio del 1500, si verificò un fatto nuovo, in apparenza banale, ma che doveva avere conseguenze di un'importanza allora imprevedibile. Alcuni cantastorie ebbero l'idea di associarsi ai burattinai di Nishinomiya: in tal modo, i casi narrati nelle storie da essi declamate venivano a ricevere un'evidenza, diremo, visiva attraverso le movenze dei fantocci che accompagnavano il testo, rendendo lo spettacolo più interessante. Nacque, così, l'« ayatsuri-jòruri » o jóruri manovrato, cioè declamato manovrando i burattini, o, brevemente, jòruri, vocabolo che, come si vede, venne ad assumere il significato di « teatro di burattini », oggi detto più propriamente « ningyò-shibai », il nostro « teatro dei pupi », A chi sia venuta per primo l'idea di questa associazione, non è possibile stabilire con certezza, ma le fonti storiche di cui disponiamo ci dicono che appunto alla fine del 1500 l'« ayatsuri-jòruri » era già comparso a Kyòto. La sua diffusione fu rapidissima e fra i primi declamatori ci fu anche una donna, tale Rokuji Namuemon, che si faceva accompagnare da Kawachi Sanai, un suonatore di samisen. Poi, in seguito all'editto del 1629 che proibiva il teatro alle donne, ella dovè cessare la sua attività nella quale aveva già raggiunto, pare, una certa distinzione. Il favore incontrato presso il pubblico, portò da una parte all'apertura di teatri stabili, dall'altra all'introduzione di sempre nuove migliorie e perfezionamenti nell'anatomia dei fantocci insieme a una maggiore elaborazione degli spettacoli. I quali, si badi, richiedevano una collaborazione stretta e intelligente da parte del declamatore (« tayù »), del suonatore di samisen e del burattinaio (« ningyò-zukai »), il quale ultimo dapprima operante nascosto alla vista del pubblico, dal 1705 cominciò a manovrare davanti agli occhi degli spettatori. Poi, in seguito allo sviluppo e ai sempre più complicati perfezionamenti subiti dai fantocci, un solo burattinaio non fu più sufficiente, e allora se ne ebbero tre per ogni burattino: l'« omo-zukai », il principale, che ne muoveva gli occhi, il corpo ecc., un « assistente di sinistra » (hidari-zukai) che azionava la mano sinistra e un « assistente delle gambe » (ashi-zukai) che muoveva solo le gambe. I due assistenti portavano sul capo un cappuccio nero che ne na-scendeva il volto all'uditorio. Manovrare un burattino divenne così un'operazione abbastanza complessa fondata sulla tempestività o sincronicità dei movimenti di tre persone diverse. Quando poi i personaggi sulla scena erano più di uno e comparivano due, tre o più burattini, allora si moltiplicavano gli operatori ed, eventualmente, i declamatori e i suonatori di samisen. La prima fioritura del jóruri si ebbe a Yedo, dove il primo teatro stabile fu aperto nel 1616 da Sugiyama Shichirózaemon ed ebbe vita abbastanza prospera. Poi Satsuma Jóun (1595-1672) ne aprì un altro, dove introdusse innovazioni nei burattini e nello spettacolo. Ma assai maggior popolarità acquistò Izumi-dayù I, sia per drammi che metteva in scena, i cosiddetti « Kinpira-jóruri » che trattavano le gesta di Kinpira, un eroe leggendario, sia per lo stile di declamazione, a lui peculiare, che doveva influire, come abbiam detto, sul « kabuki » di Danjuro I. Aveva una corporatura gigantesca, e soleva battere il tempo con una sbarra di ferro, con cui spesso fracassava la testa dei fantocci o danneggiava le strutture di cartapesta delle scene, dato che prendeva tanto intensa parte all'azione da dimenarsi selvaggiamente in preda ad un'esaltazione irrefrenabile. La prima fase del jóruri, a Yedo, termina con l'incendio che nel 1657 distrusse in gran parte la città e i teatri, per cui gli attori si trasferirono in buon numero a Kyoto. Ma qui, in una città dai gusti raffinati per la presenza della corte e i contatti continui con la nobiltà, essi dovettero promuovere un rinnovamento del jóruri, il quale fino allora era stato considerato una forma rozza e popolare di spettacolo, per cui era rimasto chiuso nella cerchia dei divertimenti dello Shijó-gawara. Fra coloro che contribuirono all'elevazione artistica del jóruri nella capitale, vanno qui ricordati Yamamoto Kakudayù (?-1702), Miyako Itchù (P-1723), Okamoto Bunya (1633-94) e Uji Kaga-no-jó (1635-1711). Osaka ebbe piuttosto tardi teatri stabili di jóruri. Uno dei primi fu quello aperto a Dótonbori, la via dei teatri della città, da Inoue Harima-no-jó (1632-85), fra il 1660 e il 1670. Inoue aveva una voce stentorea di magnifico timbro ed era dotato di molte e varie capacità: nelle scene di combattimenti o di sangue riusciva ad esaltare, in quelle patetìche a commuovere intensamente l'uditorio. Prima di lui i drammi del jóruri erano in sei atti: egli li ridusse a cinque, numero che restò poi praticamente fisso. Egli gettò le basi di quella che doveva essere l'epoca d'oro del jóruri L'attività di tutti costoro diede siffatto lustro alla loro arte che dal 1680 in poi il jóruri del Kamigata s'impose su quello di Yedo. Il periodo di massimo fulgore del teatro di burattini, la sua epoca d'oro, sì ebbe in Osaka quando collaborarono le due più grandi sue figure: il declamatore Takemoto Gidayù (1651-1714) e il grande drammaturgo Chikamatsu Monzaemon (1653-1725). Gidayu, al secolo Goròbei, era nato a Tennòji, vicino ad Osaka, e aveva sortito da natura una voce di timbro chiaro e una notevole inclinazione musicale. A 24 anni ebbe il primo contatto col jóruri e, dopo un periodo di tirocinio con Uji Kaga-no-jó e con altri, aprì (1684) a Dótonbori un teatro, il Takemoto-za, destinato a glorioso avvenire. Il primo anno egli mise in scena tre jóruri che Chikamatsu aveva già scritto per altri: il successo, però, non fu quale egli si attendeva. Ma quando (1686) il grande drammaturgo scrisse per lui lo Shusse Kagekiyo, che iniziava la loro collaborazione, fu un trionfo, e tale da rimettere in sesto il bilancio traballante del locale. Subito dopo, Gidayu cedeva la direzione dell'azienda a Takeda Izumo I (?-1747), un uomo capace e di gusto sicuro, riservando a sé la sola declamazione. Gidayu incarnò, se così può dirsi, la fase di piena maturazione del jóruri, tanto che « gidayù » e jóruri finirono per diventar sinonimi. Il suo stile declamatorio detto « Gidayù -bushi », di grande effetto, era un'armoniosa fusione di stili già esistenti. Egli curava il lato artistico dello spettacolo, mentre Izumo si occupava delle scene e del locale, in modo che lo spettacolo riuscisse sfarzoso e colorito, stimolato in questo anche dalla concorrenza di un teatro rivale, il Toyotake-za. Questo Toyotake-za era stato fondato da Toyotake Waka-dayù (1681-1764), che si era associato, come drammaturgo, a Ki-no-Kaion (1663-1742), il quale, però, pur essendo uno dei maggiori scrittori di teatro del tempo, non poteva competere con un uomo della statura di Chikamatsu, ragione per cui il Toyotake-za non riuscì mai a rappresentare un serio pericolo per il Takemoto-za, non ostante i suoi continui sforzi non per superarlo, ma solo per uguagliarlo. Non è facile stabilire nel binomio Gidayù-Chikamatsu quanto l'uno dovesse all'altro per la propria fama. Il destino aveva felicemente unito due ingegni fatti apposta per integrarsi, in modo che l'arte dell'uno desse mirabile risalto alla personalità artistica dell'altro. Ma passiamo ora a Chikamatsu. Ecc ecc ecc ecc ecc ecc fino a pag 301 SECONDO PERIODO IL CENTRO DELLA CULTURA A YEDO (circa 1740-1868) CARATTERISTICHE GENERALI II sistema imposto al paese dai Tokugawa aveva funzionato abbastanza bene per circa un secolo. Nella tranquillità generale, l'economia, il commercio interno, le attività dello spirito erano fioriti e il Giappone del 1600 ci appare come un paese relativamente prospero. Dopo l'era Genroku (1688-1704), la scena cambia e cominciano a farsi sentire i difetti e le contraddizioni del sistema, fondato su due concezioni antitetiche: il feudalesimo e l'accentramento politico. Ma comincia anche a farsi sentire l'azione di quelle forze che condurranno al crollo della struttura feudale. Queste forze sono di natura economica e spirituale. Vediamo, anzitutto, l'economia. Lo stesso ordinamento sociale presentava aspetti antieconomici e nello stesso tempo assurdi. Al sommo della scala sociale erano i militari, che in un paese in pace non avevano nulla da fare, né, per legge, potevano far altro che dedicarsi agli studi, essendo loro interdetta ogni altra attività. Conseguenza era ch'essi costituivano una classe sempre più povera di gente velatamente resa improduttiva, e perciò parassita. Per contro, all'ultimo scalino della gerarchla sociale erano i commercianti, la cui attività la legge disprezzava, ma che con la loro intelligenza ed operosità costituivano una classe sempre più ricca e, coi contadini, economicamente produttiva, a cui, in sostanza, il paese doveva la propria vita. Così si verificava l'assurdo che, chi era onorato e, dal punto di vista delle istituzioni, contava di più era povero e non faceva nulla per il paese, mentre chi era disprezzato e non contava nulla era in effetti , ricco e teneva in pugno le leve dell'economia nazionale. Il Giappone era un paese ad economia chiusa, che doveva contare solo sulle proprie risorse, anche se limitate. Il che lo metteva alla mercé dell'andamento dei raccolti, che, nelle annate scarse, non potevano venir integrati da importazioni, che la legge vietava. Col passar del tempo, la situazione peggiorò. Calamità naturali, carestie e altre cause gettarono in difficoltài feudi e lo stesso governo, la cui insipienza in materia economica non gli seppe suggerire altro che misure balorde e insensate, come l'aumento della pressione fiscale, la svalutazione della moneta (con gli effetti che è facile immaginare), le leggi suntuarie, il prestito forzoso ai commercianti, che non riebbero mai, o solo in parte, il loro denaro. Il potere politico, l'abbiam detto, era gelosissimo di quello del denaro, e la mano della legge piombò più volte pesante su coloro che, come ad esempio gli Yodoya, famosi e ricchi commercianti di Osaka, vivevano in uno sfarzo inaudito, mentre governo e nobiltà si dibattevano nelle strettezze. L'azione era ispirata dal desiderio di eliminare l'influenza che la vita di lusso dei ricchi esercitava irresistibile sulle classi dirigenti, i militari, i quali cominciavano a desiderare i loro agi e i loro piaceri. I daimyo, a corto di risorse, si videro costretti a ridurre il soldo pagato in riso ai loro vassalli, i samurai, a spremere di più i loro contadini, a centrar debiti coi tanto disprezzati commercianti. I samurai, che già avevano razioni di riso insufficienti, e i contadini, schiacciati dai tributi, si trovarono, così, ad affrontare la miseria più nera. La disperazione si manifestò allora nelle campagne con l'orrore dell'infanticidio (« mabiki ») e il rancore contro il governo esplose con rivolte (« uchi-kowashi ») che costellarono abbondanti la seconda metà dell'epoca dei Tokugawa. I contadini, sfidando le leggi, emigrarono numerosi verso le città, dove la vita era più facile ed allettante, privando così di braccia i campi e rendendo la situazione ancora più precaria. Da tutto questo stato di cose derivò un diffuso malcontento: i contadini reclamavano condizioni più umane di vita; i samurai lamentavano la loro miseria; i commercianti deploravano la vessazione dei prestiti forzosi, il sistema assurdo e complicato di controlli sugli scambi, lo stesso isolamento del paese che intralciava le loro attività e, naturalmente, aspiravano anche a una maggior considerazione, pari all'importanza delle funzioni ch'essi esercitavano nella società. Intanto, mutamenti profondi subiva la stessa struttura economica. Lo sviluppo dei commerci interni richiedeva un mezzo di scambio meno ingombrante di quello usato, cioè il riso, per cui la moneta venne ad assumere un'importanza via via maggiore come.'base delle transazioni, finché, col suo affermarsi, l'economia monetaria andò sconvolgendo gli antichi rapporti produttivi portando al fallimento della economia rurale, e il capitale commerciale-usuraio- "finì per impadronirsidella ricchezza dei feudi, fino a controllare tutto il paese. E allora si verificò un fenomeno che, dal punto di vista delle istituzioni, era il più allarmante: la fusione delle classi. Molti samurai, infatti, per uscire dalla miseria, sposarono figlie o adottarono figli di ricchi commercianti, che in tal modo si assicuravano i privilegi spettanti alla nobiltà; altri si diedero ad attività pratiche mescolandosi col popolo: la vita, insomma, distruggeva un sistema che la legge imponeva e che era divenuto anacronistico. Anche nel campo spirituale, come in quello economico, tutto lavorava allo sgretolamento delle istituzioni feudali. Fu soprattutto la corrente dei « wagakusha », che auspicava una rinascita dello Shinto primitivo, a porre alla nazione la domanda perché mai il potere dell'imperatore, discendente degli dèi che avevano creato il Giappone e perciò sovrano legittimo per investitura divina, dovesse essere usurpato dallo shògun. Non solo, ma essi ricorsero allo stesso chuhsismo, la morale ufficiale degli shógun Tokugawa, per dimostrare l'illegalità del loro potere. Infatti, essi ragionavano, se il dovere e l'obbe-dienza hanno valore di legge naturale, lo shogunato, usur-patore del potere legittimo, non poteva essere che un'istituzione contro natura. Nello stesso senso aveva lavorato la scuola storica di Mito, fondata, l'abbiam detto, da un Tokugawa, Mitsukuni. Questa scuola aveva opposto la letteratura nazionale a quella cinese, lo Shintoismo al Buddhismo e, per una inevitabile estensione, l'imperatore allo shògun. Insomma, intorno alla metà del 1800, due secoli e mezzo di evoluzione sociale e materiale e l'azione delle correnti di pensiero storico, politico e filosofia), avevano profondamente minato alla base le ormai anacronistiche istituzioni feudali. Perché la crisi scoppiasse, mancava solo la scintilla, e questa venne dall'esterno, quando, l'8 luglio del 1853, le navi della spedizione americana del commodoro M. Calbraith Perry (1794-1858) gettaronol'ancora nella baia di Uraga chiedendo al Giappone di uscire dal suo isolamento. Da quel momento, il Giappone fu scosso da una crisi durata 15 anni, al termine della quale, nel 1868, il Paese del Sol Levante usciva profondamente mutato al mondo e s'inseriva nel consesso delle altre nazioni civili, dando inizio- a una nuova epoca della sua storia. Dal punto di vista letterario, la seconda metà dell'epoca dei Tokugawa assiste al peculiare fenomeno del trasferimento del centro della cultura a Yedo, fino allora considerata una specie ili tllpi tuli n/.rt, ili itiliiiilii iilllllliili tlil |'.,inil|iiii.i I l/lilliii'liln ililln il^ll Min.li .Lil Toliii|iiiu il, il (rlvon lilo'.iilii i, l'inlliii'ii/H ilrllit riii'huii It i l i miniti iM (.limitala, l'iilHuNNo urlili l'iipiltili- tirilo «Iniziili ih Belili1 i oli.i avevano iliro//nio il primitivo amltieiilc ntlliliin- e inlliihiiii Li linj>ua di Y«lo, cosicché questa rii li') polrva uni r i t l i i i i r nell'adone Icttcrnl'io portandovi qualcosa ili nuovo: In InnhiM.i, i :,enli-mcnti, l'umorismo, l'inclina/ione al }>iudi/io inlnilivo, l'olii-mismo dei suoi abitanti. Favorita dalla politica libernlr instaurata dal ministro Tanuma Okitsugu (1719-88), la leilci-alura si manifesta dapprima in racconti popolari brevi e an ti convenzionali come i « ki-byoshi », o negli « share-bon » che hanno per teatro lo Yoshiwara, il quartiere del piacere di Yedo, mentre gli « yomi-hon », più lunghi, riflettono gl'ideali feudali tradizionali. Scomparso Tanuma, il suo successore e antagonista Matsudaira Sadanobu (1758-1829) ripristinava in tutta la loro severità le norme feudali e allora la letteratura dovè adattarsi alle nuove esigenze. I « ki-byoshi », divenuti oggetto dei rigori della legge, scomparvero dando luogo ai « gókan -mono », mentre gli « share-bon » non s'ispirarono più al mondo delle cortigiane, ma divennero « ninjò-bon », libri di amori romantici. Per altro verso, l'umorismo che aveva caratteri zzato gli « sharebon » e in parte anche i « ki-byòshi », trovò un altro sfogo nei « kokkei-bon ». Così la letteratura era avviata verso una nuova era di prosperità quando, nel 1842, le insensate riforme del ministro Mizuno Tadakuni (1794-1851), la fecero entrare in una fase di ristagno, per fortuna breve, in attesa che, con l'era Meiji (1868-1912), le si aprissero ben altri e più vasti orizzonti « wagakusha » e la poesia II culto fanatico dei « kangakusha » per le cose cinesi, aveva assunto talvolta aspetti insensati. Alcuni di essi, per esempio, s'erano imposto un nome cinese vergognandosi di esser nati in Giappone. La reazione non poteva mancare, e sorge appunto ora, con un movimento a carattere nazionalista, che però risaliva alle ricerche sull'antica letteratura fatte nel 1600 da Kitamura Kigin (1618-1705), da Keichù e da altri. Ma il movimento s'identifica propriamente con Kada-no-Azumamaro e diviene reazione vera e propria, cioè lotta dichiarata, con Kamo Mabuchi, con Motoori Norinaga e con Mirata Atsutane, le sue tre figure di maggior rilievo. Questi « wagakusha » (yamatologi) o « kokugakusha » (cultori di cose patrie), com'essi si chiamarono in opposizione ai « kangakusha », erano in sostanza dei ferventi shintoisti, che miravano a una rivalutazione degl'ideali più antichi e sacri della comunità indigena, dei nazionalisti accesi, animati da un cieco disprezzo per tutto ciò che fosse straniero, e so - prattutto cinese. Ma anch'essi peccarono di un fanatismo opposto, che impedì loro spesso il giudizio obiettivo di cose e di fatti. Furono anche degl'illusi che avrebbero voluto riportare il paese a quella ch'essi definivano « epoca d'oro » della civiltà indigena, cioè a quello ch'esso era stato molti secoli addietro, in epoche preistoriche, antecedenti all'introduzione della civiltà cinese, rinnegando, così, i benefici della cultura e del progresso. Il che era, ovviamente, una pretesa non solo assurda, ma anche contro natura. Tuttavia il loro movimento ebbe meriti indiscussi, perché ci ha lasciato veri monumenti di erudiziene nel campo filologico e gettò le basi della critica estetica della poesia, oltre a suscitare un rinascimento della prosa e della poesia classiche. In politica, poi, preparò le basi spirituali della rivoluzione che nel 1868 doveva ripristinare il potere effettivo nelle mani del sovrano. Kada-no-Azumamaro (1669-1736), nato nel ramo Kada ecc Da 332 In questa seconda metà dell'epoca Tokugawa, il popoli» partecipa tutto, ormai, ai benefici della cultura e la narrativa si arricchisce di generi nuovi, le cui più o meno lontane ori» j gini sono da ricercarsi nella letteratura precedente. I « kusa zòshi »1, per esempio, si ricollegano visibilmcn te ai « kana-zòshi » di cui abbiamo già parlato. Sorti, per pri mi, intorno all'era Genrofeu essi furono accolti con molto In vore dal pubblico. I kusa-zòshi rappresentano un genere ca« I ratterizzato dalla prevalenza delle illustrazioni nei confronti del testo, per cui questo appare piuttosto una spiegazione di quelle, un po' come nei nostri romanzi a fumetti attuali. Le illustrazioni, però, hanno quasi sempre grande valore artistico perché dovute ai maggiori maestri delPukiyo-e del tempo, quali Katsushika Hokusai (1760-1849), Kitagawa Utamaro (1753-1806), Utagawa Toyokuni (1769-1825), Utagawa Kunisacla (1786-1864) e altri. Altro aspetto tipico è la loro evoluzione, sia nella lunghezza, che da fascicoli di cinque pagine, va diventando sempre maggiore; sia per la copertina, che, di pari passo con l'aumentar della lunghezza, va mutando colore, cosicché si hanno gli « aka-hon » (libri rossi), i più brevi, i « kuro-hon » (libri neri), gli « ao-hon » (libri azzurri), i « ki-byòshi » (libri gialli) e, infine, i più lunghi, i « gókan mono » (libri riuniti). Contemporaneamente con l'estensione del testo, tuttavia, va anche mutando la fisionomia: dapprima essa è quella di racconti di vario tipo: fiabeschi, avventurosi, didattici, eroici e simili, de- l i l i . i j-ioventù, in mezzo alla quale alcuni di essi sono ' in voj'.a; poi di romanzi veri e propri. Intorno al 1775, l'iniervento di scrittori di vocazione fece loro prender ii in chiave umoristica o satirica, gli aspetti più tipici la ultima tendenza, doveva pivii^v.* „. __________ .. -'^-^-rfl-K io, lo « share-bon » (libro piacevole, o meglio: libro 1 1. pie-liei- gaudenti o uomini di mondo), che descrive il.. MI . I l'ambien-• . ' i i l n e variopinto dei quartieri del piacere. Lo « share-«* il vero erede dell'ukiyo-zòshi, spentosi con la Hachiii VH nel 1767. i u l u l i l o , iu concomitanza con i kana-zoshi, nel Kamigata r i i l v i i e g iodatamente s'affermava un altro nuovo genere, iiri!//aio, invece, dalla prevalenza del testo sulle illustrali 11 che gli valse il nome di «yomi-hon» (libro di let-. i Si d a l i a sempre di romanzi, ma di carattere morale ed mie, i al volta con tratti epici. Il loro valore letterario è • i murvole, dato che ad essi prestarono la loro opera gli L i l i |nu dotati del tempo. Nell'impostazione, risentono nidnv.o ilei modelli della novellistica cinese dei Ming, e per 11 idilli i (echeggiano spesso quella classica, l l n ilo ivio del governo, nel 1790, proibiva per ragioni di .il 11 iì e, I i «share-bon», il che condusse alla comparsa dei i n |n hon » o libri di sentimenti umani in cui, come dice il M . -, il protagonista vero di tutta la trama è il sentimento. ni hndi bene, non si tratta di amore, nel senso migliore irimìne, di una passione, cioè, capace di elevar l'uomo alle i . ' di ideali sublimi, di esaltarlo e nobilitarlo nello stesso «|..i, UHI solo di un sentimento più o meno basso, senza ca-il'ulenli o nobiltà d'intenti. A Vedo, lo share-bon, nei primi anni del 1800, da origine, ne . ni « kokkei-bon » o romanzo umoristico o comico, un ......... n cui trionfa la vena bonaria e scanzonata, tipica delcu tro - '• " -:— J: \r^A^ I li ili <! ll'« yedokko1 », il nativo di Yedo. ni I I VOMÌHON » NEL KAMIGATA l i l i «yomi-hon» nascono' nel Kamigata nella scia degli i n . li c i n e s i . Una corrente di questi, infatti, s'interessava me.... li hlosofia che della narrativa e della poesia cinesi. E pre-