Storia del teatro: il Novecento Introduzione Negli anni che segnano il passaggio tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del nuovo secolo, la vita teatrale europea fu caratterizzata da una grande ricchezza di iniziative e da una notevole vivacità intellettuale che produsse come risultato profondi mutamenti nel mondo della scena. Nei testi teatrali scritti in questo periodo, l’elemento comune più evidente è la violenta reazione al Naturalismo che contesta i modelli sociali e morali espressi dalla società della Belle Époque con il rifiuto della società borghese. Il primo Novecento Il Novecento si apre con la rivoluzione copernicana della centralità dell’attore e dell’importanza del regista. Fino al XX secolo il teatro era stato il campo degli autori, mentre l’attore agiva, di volta in volta, secondo la soggettività dell’interprete. Poiché le capacità interpretative dell’attore vengono esaltate, ne nasce una figura che ne fa da contrappeso: quella del regista. I teorici russi Il teatro della parola si trasforma in teatro dell’azione fisica, del gesto, dell’emozione interpretativa dell’attore con il lavoro teorico di Konstantin Sergeevič Stanislavskij (1863 - 1938) e dei suoi allievi, tra cui Vsevolod Ėmil'evič Mejerchol’d (1874 - 1940). Con l’inizio del secolo si aprono vere e proprie scuole di teatro che vedono l’importante contributo di Adolphe Appia, Gordon Craig e Erwin Piscator. I grandi registi Il Novecento aprì anche una nuova fase che portò al centro dell’attenzione una nuova figura teatrale, quella del regista che affiancò le classiche componenti di autore e attore. Fra i grandi registi di questo periodo vanno citati l’austriaco Max Reinhardt (1873 - 1943), il francese Jacques Copeau (1879 - 1949) e l’italiano Anton Giulio Bragaglia (1890 - 1960). Panoramica del primo Novecento Nacquero nuove forme di teatro come • il teatro della crudeltà di Antonin Artaud , • la drammaturgia epica, politica e didattica di Erwin Piscator e Bertolt Brecht, • il teatro dell’assurdo di Samuel Beckett, Eugene Ionesco, Arthur Adamov e Georges Schehadé che nella seconda metà del secolo modificarono radicalmente l’approccio alla messa in scena. Gli autori precedenti determinano una nuova via al teatro, una strada che era stata aperta anche con il contributo di autori del calibro di Jean Cocteau (1889 - 1963), Robert Musil (1880 - 1942), Maurice Materlinck (1862 – 1949), Jean Tardieu (1903 – 1995), Hugo von Hofmannsthal (1874 - 1929), e gli scandinavi August Strindberg (1849 - 1912) e Henrik Ibsen (1828 - 1906). Tuttavia coloro che spiccarono tra gli altri, per la loro originalità furono Frank Wedekind (1864 –1918) con la sua Lulù e Alfred Jarry (1873 - 1907), l’inventore del personaggio di Ubu Roi. Frank Wedekind Il drammaturgo tedesco Frank Wedekind (1864 - 1918) spesso interpretò e curò la regia delle proprie opere. Il suo primo lavoro teatrale fu il dramma Risveglio di primavera (1891). Seguì poi il dittico Lo spirito della terra (1895) e Il vaso di Pandora (1904), chiamata “Lulu” Opera minore, ma interessante è l’atto unico Il cantante da camera (1897). Tra le altre opere si ricordano Il marchese di Keith (1901), Re Nicolò ovvero Così è la vita (1902), Danza macabra (1906), nota anche con il titolo Morte e diavolo (1909), e Franziska (1912). Alfred Jarry Alfred Jarry (1873 – 1907) è stato uno scrittore e drammaturgo francese, la cui commedia più famosa è l’Ubu Re (1896), considerata caposaldo e vera e propria pietra miliare del Teatro dell’assurdo. I testi di Jarry sono considerati tra i primi sul tema dell’assurdità dell’esistenza ed hanno a che fare con il grottesco e il fraintendimento. Ricordiamo I minuti di sabbia. Memoriale (1894), Cesare anticristo (1899), L’amore assoluto (1899), Messalina (1901), Il supermaschio (1902) Gesta e opinioni del dottor Faustroll patafisico, uscito postumo nel 1911. Antonin Artaud Antonin Artaud (1896 - 1948) teorizzò quello che definì il “Teatro della Crudeltà”. Per crudeltà Artaud non intendeva sadismo, o il causare dolore, ma piuttosto una violenta e fisica determinazione di scuotere la falsa realtà. Artaud riteneva che il testo avesse finito con l'esercitare una tirannia sullo spettacolo e spingeva per un teatro integrale, che comprendesse e mettesse sullo stesso piano tutte le forme di linguaggio, fondendo gesto, movimento, luce e parola. Tentativo di realizzare il suo ideale nel teatro fu il testo I Cenci. L’opera è una tragedia in prosa, divisa in quattro atti, e venne allestita per la prima volta nel 1935. Erwin Piscator Nel teatro tedesco della prima metà del Novecento il regista diventa l’elemento più importante di uno spettacolo. Questa teoria è stata portata avanti dal grande regista tedesco Erwin Piscator (1893 - 1966). Sensibile alle avanguardie dei primi anni del Novecento, aderì al movimento contestatore dadaista. A Berlino, nel 1920 fondò il Proletarisches Theater (Teatro Proletario), poi nel 1922, prese, in gestione il Central Theater (Teatro Centrale) di Berlino, città nella quale infine lavorò anche per il teatro Volksbühne (Teatro del Popolo). Il teatro di Piscator, propagandistico ed 'educativo', aveva l'intenzione di risvegliare la coscienza politica dello spettatore. Bertolt Brecht Bertolt Brecht (1898 - 1956) è considerato il più influente drammaturgo, poeta e regista teatrale tedesco del XX secolo. Le sue opinioni politiche lo portarono a sviluppare la teoria di un “teatro epico-didascalico”, in cui lo spettacolo era messo al servizio dello spettatore che non doveva immedesimarsi nella rappresentazione, ma veniva stimolato a tenere una distanza critica per riflettere su quello che si vedeva in scena. Le opere di Bertolt Brecht Tra le opere più note di Brecht citiamo: • Tamburi nella notte (1922), • Nella giungla delle città (1923), • L’opera da tre soldi (1928), • Ascesa e caduta della città di Mahagonny (1929), • Terrore e miseria del Terzo Reich (1935-38) • Madre Coraggio e i suoi figli (1939), • L'anima buona di Sezuan (1938-40), • Vita di Galileo (1938-43), • La resistibile ascesa di Arturo Ui (1941), • Il cerchio di gesso del Caucaso (1944-45) L’ opera da tre soldi In particolare L’opera da tre soldi, commedia musicale scritta insieme al musicista tedesco Kurt Weill, riprende un precedente dramma inglese del Settecento e si svolge nell'ambiente della malavita londinese e dei mendicanti, ma mette in scena, in realtà, il cinismo del mondo aristocratico con i suoi affari, i suoi interessi, i suoi intrighi. Macheath (Mackie Messer, o Mack the Knife) sposa Polly Peachum. Il padre di Polly, che controlla tutti i mendicanti di Londra, è sgradevolmente sorpreso dall'avvenimento e tenta di far arrestare e impiccare Macheath. I suoi maneggi sono però complicati dal fatto che il capo della polizia, Tiger Brown, è un amico di gioventù di Macheath. Alla fine Peachum riesce a farlo condannare all'impiccagione, ma poco prima dell'esecuzione, appare un messaggero a cavallo da parte della "Regina" che grazia Macheath e gli conferisce il titolo di baronetto, nella parodia di un lieto fine. Madre Coraggio e i suoi figli Scritto proprio alla vigilia della seconda guerra mondiale, il testo risulta essere una denuncia di tutte le guerre e degli orrori che esse producono. Sull'intento politico-ideologico prevale qui l'intento realistico di Brecht, che rappresenta la mentalità degli oppressi e le sue terribili contraddizioni. L'opera è ambientata in Polonia, Svezia e Germania tra il 1624 e il 1636 durante la guerra dei trent'anni. Racconta le disavventure di una vivandiera, Anna Fierling, che cerca di guadagnarsi da vivere vendendo mercanzie nei territori combattuti. La guerra le porta buoni affari visto che i soldati sono le uniche persone che hanno i soldi necessari per comprare le sue cose. Quindi lei si limita a seguire l'esercito cattolico o protestante. La guerra, sfortunatamente le porterà via i suoi tre figli, lasciandola sola con i suoi affari. Samuel Beckett L’opera di Samuel Beckett (1906 - 1989) è caratterizzata da un immagine profondamente pessimistica della condizione dell’uomo nell’odierna civiltà e il suo stile è essenziale e attraversato da lampi di tragico umorismo. Aspettando Godot (1953) è senza dubbio la più celebre opera teatrale di Samuel Beckett nonché uno dei testi più noti del teatro del Novecento. Altri suoi testi sono Desideri umani (1937), Eleutheria (1947), Finale di partita (1957), L’ultimo nastro di Krapp (1958), Giorni felici (1961), Commedia (1963), Passi (1975). Nel 1969 ha vinto il premio Nobel per la letteratura. Aspettando Godot Aspettando Godot è la più famosa opera teatrale di Samuel Beckett; appartiene al genere del teatro dell'assurdo, un genere di teatro dominato dalla credenza che la vita dell'uomo sia senza senso e senza scopo, e dove l'incomunicabilità e la crisi di identità si rivelano nelle relazioni fra gli esseri umani. Due uomini sotto un albero stanno aspettando questo signor Godot, di cui non conoscono neppure l’aspetto, ma per ben due volte un messo va ad avvertirli che il signor Godot si sarebbe fatto vivo l’indomani. I due uomini, vestiti quasi da barboni, si lamentano continuamente del freddo, della fame e del dolore; litigano e pensano di separarsi, ed addirittura al suicidio, ma alla fine restano sempre dipendenti l'uno dall'altro e non fanno mai niente. Il sipario si chiude la seconda sera quando, dopo la ripetuta notizia del messo, i due personaggi, Estragone e Vladimiro, decidono di non suicidarsi e di aspettare l’indomani. Eugène Ionesco Attraverso il teatro dell’assurdo Eugène Ionesco (1909 - 1994), scrittore e drammaturgo francese di origini rumene, si interroga sulla vita e sulla morte ed esplora il reale. Nelle sue commedie Ionesco mostra la società umana come priva di realtà e ne rappresenta i vari aspetti solo per mostrare il nulla che sta sotto di essa. I capolavori di Eugène Ionesco Eugène Ionesco debutta con La cantatrice calva (1950), commedia in un atto e 11 scene, definita dallo stesso autore “anticommedia”. In Il rinoceronte (1959), la sua commedia forse di maggior successo, il messaggio è esplicito, ma perde il fascino dell'ambiguità e la forza rappresentativa. La commedia Il re muore, rappresentata per la prima volta a Parigi nel 1962, secondo il critico e studioso inglese Martin Esslin, non è un'allegoria, ma è un'immagine poetica della condizione umana. Il re muore Nell’opera è evidente la sottile critica alla visione scientifica del mondo, personificata dal medico di corte e dalla regina Marguerite. La scienza, secondo Ionesco, è in grado di diagnosticare e prevedere la morte del re, ma ha perso la dimensione della speranza, meravigliosamente personificata dalla femminilità di Marie. Bérenger, sovrano dell'Universo, ha una malattia incurabile ma non sa ancora che dovrà morire; le due regine, la dolce Marie e la saccente Marguerite, venute a conoscenza della sua malattia grazie al medico, chirurgo e batteriologo di corte discutono a lungo se sia il caso di rivelare la nefasta notizia al loro marito e sovrano. Alla fine la notizia viene rivelata a Bérenger che, incredulo, non vuole convincersi della sua imminente morte; il sovrano si crede ancora in possesso del potere sugli elementi della natura e sulle persone ma, inesorabilmente, scopre che la sua malattia non gli ha lasciato nessuna forza e, invano, ordina alla natura e agli uomini che nemmeno gli rispondono. Arthur Adamov Drammaturgo francese di origini russo-armene, Arthur Adamov si riannoda alla corrente del teatro dell'assurdo. La sua opera è spesso onirica; subendo in seguito l'influenza di Brecht, essa si orientò verso opere molto più politicizzate. Le sue storie sono spesso ispirate alle sue vicende personali. L’opera di Adamov è una delle espressioni più forti ed autentiche, disperatamente crudeli del teatro contemporaneo. Affascinante è il percorso evolutivo delle sue opere: attraverso La Parodie (1950), Il Ping-Pong (1953) e Primavera ’71 (1963) Adamov passa dal surrealismo-espressionismo al realismo oggettivo definito su un piano storico. Georges Schehadé Georges Schehadé (1910 – 1989), autore libanese di lingua francese è noto soprattutto per duelavori teatrali La soirée des proverbes (1954), che segnò un revival del surrealismo, e l'antimilitarista Histoire de Vasco (1956). Tra gli altri testi che egli scrisse per il teatro si ricordano Monsieur Bob'le (1951), Le voyage (1961) e la pantomima L'habit fait le prince (1973). Jean Tardieu Il poeta francese Jean Tardieu (1903 – 1995) per il teatro ha realizzato brevi atti unici che svolgono con leggerezza i temi dell'assurdo in voga negli anni '50. Sono da ricordare Un gesto per un altro (1951), Lo sportello (1955), La serratura (1955). Jean Cocteau e Robert Musil Jean Cocteau (1889 - 1963) è stato un poeta, romanziere e drammaturgo francese. Fu anche designer, regista, sceneggiatore e attore. La sua versatilità, la sua originalità e la sua enorme capacità espressiva gli portarono il plauso internazionale. Tra le sue opere teatrali ricordiamo quelle dedicate al teatro classico: Antigone (1922), Roméo et Juliette (1924), Orphée (1926), ma anche I parenti terribili (1938). Robert Musil (1880 - 1942), scrittore austriaco noto soprattutto per i suoi romanzi, con le sue commedie I fanatici (1921) e Vinzenz e l’amica degli uomini importanti (1923) s'inserì, al di là dell'espressionismo, nel teatro dell'assurdo. Jules Romains, Marcel Achard e Jean Giraudoux Jules Romains (1885 – 1972) è da ricordare per la commedia Knock, ovvero il trionfo della medicina (1923). Marcel Achard (1899 – 1974) scrisse i suoi più grandi successi in patria nel periodo tra le due guerre mondiali: tra essi Voulez-vous jouer avec moâ? (1923) e Jean de la Lune (1929), mentre raggiunge il successo internazionale con Patate (1957) e L'idiote (1961). Jean Giraudoux (1882 – 1944) divenne il più squisito rappresentante, sulle scene, di un'intelligenza lucida e ironica, manifestatosi attraverso opere come Intermezzo (1933), La guerra di Troia non si farà (1935), Ondine (1939) e il postumo La pazza di Chaillot (1945). Maurice Maeterlinck Maurice Materlinck (1862 – 1949), poeta, commediografo e saggista belga, nel 1890 divenne improvvisamente famoso dopo aver scritto il suo primo dramma, La princesse Maleine. Negli anni seguenti, scrisse una serie di spettacoli simbolisti caratterizzati da fatalismo e misticismo, i più importanti tra i quali furono L'Intruse (1890), Les Aveugles (1891), Pelléas et Mélisande (1892), Le Trésor des humbles (1896). La sua opera più nota è certamente L’uccellino azzurro (1908). È il viaggio di due bambini alla ricerca della felicità, di cui l’Uccellino Azzurro è il simbolo. L’avventura si trasforma strada facendo in un viaggio di conoscenza alla scoperta dei Misteri della Morte, della Notte, dell’Avvenire, ma soprattutto di come fare a trovare e riconoscere la bellezza delle cose. Albert Camus Nella vasta attività teatrale di Albert Camus (1913 – 1960), solo quattro sono le opere originali dello scrittore. La scrittura drammatica di Camus si configura come ricerca continua e si alimenta dei modelli più diversi: la tragedia classica per Il malinteso (1944), l'assurdo per Caligola (1944), la pura sperimentazione per Lo stato d'assedio (1948), il rispetto della tradizione e della verità per I giusti (1950). Eppure in ogni protagonista di queste opere è sottinteso lo stesso dramma: quello dell'individuo che sceglie la difficile strada della rivolta senza per questo attingere alla privilegiata soglia della libertà. Jean-Paul Sartre Nell’opera teatrale di Jean-Paul Sartre (1905 – 1980) vi è come la presenza di tracce che negano la forma canonica del teatro borghese. Il teatro di Sartre non è un teatro pedagogico, ma un modo di rappresentazione che sembra richiedere, quale spettatore modello, un pubblico irrequieto. Durante l'occupazione tedesca aveva scritto Le mosche (1943) e Porte chiuse (1944). Nel 1946, pubblica Morti senza sepoltura; nel 1948 Le mani sporche. La sua concezione del teatro lo induce a rifiutare sia il teatro psicologico e realistico, fondato su personaggi e caratteri, sia il teatro d'intrattenimento. Hugo von Hofmannsthal Hugo von Hofmannsthal (1874 - 1929) dal 1901 si dedicò al teatro, rielaborando in chiave moderna le tragedie greche Elettra (1904) e Edipo e la Sfinge (1906). In Ognuno, il dramma della morte del ricco (1911) vi è l’influenza dei misteri medievali e del teatro barocco; Il cavaliere della rosa (1911) e Arianna a Nasso (1912), invece, sono drammi musicali in cui il testo letterario ha una sua autonoma validità poetica. Del 1921 è L’uomo difficile, in cui un aristocratico vede il proprio destino legato a quello della monarchia asburgica ormai alla fine, mentre il problema della responsabilità sociale del singolo è affrontato ne Il gran teatro salisburghese del mondo (1922) e La torre (1925), ispirati al teatro di Calderón de la Barca. George Bernard Shaw Scrittore e drammaturgo irlandese (1856 - 1950), di famiglia protestante di origine inglese, George Bernard Shaw esordì in teatro nel 1892, ma il successo arrivò soltanto una quindicina di anni dopo. Le opere di questo caratteristico esponente della borghesia intellettuale antiborghese rispecchiano il pensiero scientifico della seconda metà dell'Ottocento. Tra le opere più note annoveriamo La professione della signora Warren (1894), Le armi e l'uomo ( 1894) Uomo e superuomo (1903), Pigmalione (1913). Molnár, Witkiewicz, Gombrowicz L’ungherese Ferenc Molnár (1878 – 1952) è considerato l’erede della commedia brillante francese con Il lupo (1912), Carnevale (1917), Il cigno (1920) e La pantofola di vetro (1925). In Polonia, invece, operano Stanislaw Ignacy Witkiewicz, che scrive La gallinella acquatica (1922), Il pazzo (1922), La monaca (1922) e Commedia ripugnante di una madre (1924), e Witold Gombrowicz con le commedie grottesche Ivona, principessa di Borgogna (1938), Il matrimonio (1946) e Operetta (1967). August Strindberg Per la vastità e la rilevanza della produzione lo svedese August Strindberg (1849 - 1912) è all’apice della tradizione letteraria scandinava e raggiunge per riconoscimento unanime un seggio tra i massimi artisti letterati del mondo. Dopo aver esordito come poeta e romanziere, si dedicò al teatro con la pièce Il padre (1887) e altri drammi critici delle realtà sociali come Camerati (1888), La signorina Julie (1888), Creditori (1889), Verso Damasco (1898-1901), Delitto e delitto (1899) Danza di morte (1901), Il sogno (1902) e L’isola dei morti (1907). La signorina Julie Ambientata in una notte d'estate di fine Ottocento in una cittadina svedese, l'opera affronta la tematiche dell'interazione tra classi sociali differenti e tra il genere maschile e quello femminile. Julie, ragazza venticinquenne figlia di un conte, passa la serata di San Giovanni alla festa della servitù, mentre il padre è assente. Cerca di sedurre il giovane cameriere Jean, il quale si dichiara innamorato di lei. Visti dai servitori decidono di scappare per l'imminente caduta della reputazione della ragazza, ma scoperti dalla cuoca Kristin non riescono nell'intento. Tornato il conte, il giovane Jean si sente colpevole e, dichiarando che il rispetto e la soggezione che prova nei confronti di lui gli impediscono di contrariarlo, suggerisce alla ragazza il suicidio porgendole un rasoio affilato col quale raggiungere lo scopo. Henrik Ibsen: i primi drammi Henrik Ibsen (1828 - 1906), scrittore e drammaturgo norvegese, è considerato il padre della drammaturgia moderna, per aver portato nel teatro la dimensione più intima della borghesia ottocentesca, mettendone a nudo le contraddizioni e il profondo maschilismo. Ibsen debutta con drammi storici, Catilina (1850) e Il Tumulo del guerriero (1854). Seguono La Signora Inger di Østråat (1855), La festa a Solhaug (1856), Olaf Liliekrans (1856), I guerrieri a Helgeland (1858), drammi ispirati alle vecchie saghe nazionali, La commedia dell’amore (1862) e I pretendenti al trono (1863). Henrik Ibsen: la fase romantica Dopo un viaggio a Roma Ibsen scrisse il dramma Brand (1866). L'anno seguente, dopo un viaggio tra Ischia e Sorrento compose il Peer Gynt (1867), opera surreale, resa famosa dalla musica del compositore Edvard Grieg. La fase romantica ibseniana si conclude con la commedia brillante La lega dei giovani (1869) e con il dramma Cesare e il Galileo (1873). Henrik Ibsen: il teatro sociale La fase del teatro sociale di Ibsen iniziò con i drammi I pilastri della società (1877) e il suo capolavoro Casa di bambola (1879). Gli altri lavori di Ibsen in questo periodo sono: Spettri (1881), Un nemico del popolo (1882), L’anitra selvatica (1884), Villa Rosmer (1886), La donna del mare (1888), Hedda Gabler (1890). In questo periodo si inseriscono anche il dramma Il costruttore Solness (1892) e Il piccolo Eyolf (1894). Segnano la fine dell’attività ibseniana i drammi John Gabriel Borkmann (1896) e Quando noi morti ci destiamo (1899). Casa di bambola La donna riveste una posizione centrale nel dramma Casa di bambola (1879) dove la protagonista non esita a lasciare la famiglia per riacquistare una propria identità. Sin dalle prime battute Nora, la protagonista del dramma di Ibsen ci appare come una donna che si comporta da bambina viziata e capricciosa: il mutamento e la presa di coscienza di Nora avvengono, però, all'improvviso, quando capisce che suo marito non era in realtà quella nobile creatura che lei credeva che fosse e comprende che il suo ruolo in quel matrimonio durato 8 anni non è stato altro che quello di una bella marionetta costretta a vivere in una casa di bambola. In seguito a una profonda delusione Nora decide di abbandonare suo marito in cerca della sua vera identità. Spettri La vedova Helene Halving, la protagonista del dramma, fa costruire un asilo in memoria del marito, che aveva sposato senza amore e di cui aveva tenuto nascosto agli altri la corruzione e l'infedeltà. Arriva così il giorno della sua inaugurazione, alla quale devono intervenire Osvald, figlio di Elena e proveniente da Parigi, e Manders, pastore protestante, probabilmente legato affettivamente, se non addirittura sentimentalmente, alla donna. La donna attende il ritorno del figlio, per il quale spera in una vita nuova, lontana dalla lunga ombra paterna, senza sapere che il destino del giovane è ormai segnato. Hedda Gabler Hedda Gabler è lo studio di una donna ossessionata dal successo e profondamente: nel tentativo di acquisire libertà e indipendenza, la protagonista si chiude in una spirale di egoismo, odio e gelosia. Sposata per ragioni puramente economiche con il più scialbo dei suoi ammiratori, di ritorno dal viaggio di nozze Hedda torna a incontrare quello che era stato l’uomo dei suoi sogni. Ma Løvborg è molto cambiato. Alcolista e frequentatore di bordelli, Løvborg ha ora ambizioni borghesi e si compiace di comunicare a Hedda di aver finalmente scritto, grazie alla collaborazione di Thea Elvsted, l’opera che gli permetterà di diventare professore all`università, al posto di suo marito. Delusa e gelosa, Hedda entra casualmente in possesso del manoscritto che Løvborg, ubriaco, ha una sera perduto e, invece di restituirlo al suo autore, vi costruisce intorno un intrigo romanzesco che inesorabilmente le sfugge di mano. in un finale che ormai non può essere altro che tragico. I drammaturghi russi del Primo Novecento I drammaturghi russi occupano un posto particolare nella produzione teatrale tra Ottocento e Novecento. Tra tutti occorre ricordare: Maksim Gor'kij (1868 - 1936), autore dei drammi Bassifondi (1902), I villeggianti (1904) e I figli del sole (1905); e uno dei più singolari drammaturghi di area simbolista, Leonid Andreev (1871 - 1919), che scrisse opere tra cui ricordiamo Vita dell’uomo (1907), Ekaterina Ivanovna (1912) e L’uomo che prende gli schiaffi (1915). Ma le personalità più importanti di questo periodo sono certamente Vladimir Majakovskij e Anton Čechov. Vladimir Majakovskij Vladimir Majakovskij (1893 – 1930) fu un grande innovatore ed esercitò enorme influenza sui movimenti artistici russi d'avanguardia. Militante nel partito bolscevico, fu inizialmente pittore e fece parte del gruppo dei cubofuturisti. Tra le opere citiamo le commedie Mistero buffo (1917), sulle vicende della Rivoluzione russa, La cimice (1928), Il bagno a vapore (1929). Anton Čechov Anton Čechov (1860 – 1904) non è legato a nessuna scuola o movimento e sfugge a qualsiasi etichetta. La sua produzione novellistica e teatrale, che si dispiega lungo tutta la sua non lunghissima esistenza, è densa e ininterrotta, nonostante Čechov sia minato dalla tubercolosi. Scrittore introverso, Čechov interpreta e denuncia, in uno stile sobrio e semplice, la società del suo tempo, in cui anche la vita intellettuale e letteraria vivono una fase di ristagno. Le sue opere sono modellate sul tragico quotidiano, sulle “minute” pene dell’esistenza umana. Tra le numerose opere di Čechov ricordiamo in particolare: • Ivanov (1887) • Il gabbiano (1895) • Zio Vanja (1897) • Tre sorelle (1900) • Il giardino dei ciliegi (1903) Il gabbiano Il gabbiano è uno dei testi teatrali più noti di Čechov e uno dei più rappresentati in assoluto. Questo dramma ha una forte relazione con l'Amleto di Shakespeare. Protagonista della vicenda è Kostja Trepliòv, aspirante drammaturgo affascinato dalla madre Irina Arkàdina, grande attrice di teatro, innamorato della giovane Nina, aspirante attrice e malato di vendetta nei confronti di Trigorin, usurpatore di affetti nonché di fama letteraria. È un dramma d’amore, con vari tipi e livelli d’amore: dalla gelosia di Polina per Dorn, all’amore frustrato di Mascia che, respinta da Kostja, sposa Medvedenko, per disprezzo della propria vita e per tiranneggiarlo. Gli innamorati si danno la caccia: Mascia insegue Kostja, l’Arkadina sfoggia Trigorin come un trofeo che accresce il suo prestigio, Nina corre dietro a Trigorin, anche se alla fine sarà proprio lui ad “uccidere” il gabbiano che vive in lei. Zio Vanja È un tipico esempio di teatro čechoviano, fatto di drammi inesplosi, di ambizioni frustrate, di accorati rimpianti per ciò che sarebbe potuto essere, di disperata rassegnazione. Nel dramma è ritratta una famiglia impegnata a mantenere in vita una malandata proprietà terriera e un’esistenza fatta di una quiete apparente. In questo piccolo mondo ovattato si trascinano Vanja, uomo di rara bontà, affiancato dalla nipote, la dolce Sonia. L’arrivo di due estranei - l’anziano cognato e la bella moglie – sconvolge la vita di tutti: rompe gli equilibri, esalta le contraddizioni personali, le differenze caratteriali e culturali, lasciando spazio ad insulti e recriminazioni. Fino al manifestarsi di una violenza che da verbale si fa tangibile: due colpi di pistola a vuoto e i due intrusi vengono spazzati via. Tutto ripiomba nel tedio e affiorano il rimpianto per un’impossibile felicità e l’angoscia per una condizione senza via d’uscita. Il giardino dei ciliegi È l'ultimo lavoro teatrale di Čechov, rappresentato per la prima volta nel 1904 al Teatro d'Arte di Mosca sotto la direzione di Stanislavskij e di Dancenko. Il giardino dei ciliegi, è una proprietà della signora Ljubov Andreevna Ranevskaja, detta Ljuba, che al suo ritorno da Parigi dopo cinque anni a causa di enormi debiti si trova a decidere se lottizzare il suo immenso giardino e la sua tanto amata casa, come le consiglia Lopachin, un commerciante, o se mandarlo all'asta. Infine opta per la lottizzazione e la grande casa e il mitico giardino dei ciliegi - sempre evocato ma mai mostrato al pubblico - viene acquistato all’asta dall’amico Lopachin, orgoglioso di poter riscattare la sua storia di figlio di contadini. Ljuba a malincuore lascia il suo giardino dei ciliegi. Lopachin grazie al lavoro è diventato ricco e possiede la tenuta in cui suo padre era servitore, mentre la vecchia aristocrazia, pigra e sprecona, rimane letteralmente in mutande. Il primo Novecento in Italia Contemporaneamente il teatro italiano fu dominato, per un lungo periodo, dalle commedie di Luigi Pirandello (1867 - 1936), dove l’interpretazione introspettiva dei personaggi dava una nota in più al dramma borghese che divenne dramma psicologico. Mentre per Gabriele D’Annunzio (1863 - 1938) il teatro fu una delle tante forme espressive del suo decadentismo e il linguaggio aulico delle sue tragedie va dietro al gusto liberty imperante. Una figura fuori dalle righe fu quella di Achille Campanile (1899 - 1977) il cui teatro anticipò di molti decenni la nascita del teatro dell’assurdo. Luigi Pirandello Luigi Pirandello (1867 - 1936), insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1934, divenne famoso proprio grazie al teatro che chiama teatro dello specchio, perché in esso viene raffigurata la vita vera, quella nuda, amara, senza la maschera dell’ipocrisia e delle convenienze sociali, di modo che lo spettatore si guardi come in uno specchio così come realmente è e diventi migliore. Dalla critica viene definito come uno dei grandi drammaturghi del XX secolo. Scriverà moltissime opere, divise in base alla fase di maturazione dell’autore: • Prima fase - Il teatro siciliano • Seconda fase - Il teatro umoristico • Terza fase - Il teatro nel teatro (metateatro) • Il teatro dei miti I capolavori di Pirandello Indubbiamente le opere principali di Luigi Pirandello sono state: • • • • • • • • • • • • • Pensaci, Giacomino (1916), Liolà (1916), Così è (se vi pare) (1916), Il berretto a sonagli (1917), La giara (1917), La patente (1918), L’uomo, la bestia e la virtù (1919), Sei personaggi in cerca d’autore (1920), Enrico IV (1922), Vestire gli ignudi (1922), L’uomo dal fiore in bocca (1923), Questa sera si recita a soggetto (1930); I giganti della montagna (1932). Tra esse merita una menzione speciale Sei personaggi in cerca d’autore, probabilmente il dramma più famoso di Pirandello, rappresentato per la prima volta il 9 maggio 1921 al Teatro Valle di Roma, ma con un esito tempestoso, perché molti spettatori contestarono la rappresentazione al grido di “Manicomio! Manicomio!”; fu importante, per il successivo successo di questo dramma, la terza edizione, del 1925, in cui l’autore aggiunse una prefazione nella quale chiariva la genesi, gli intenti e le tematiche fondamentali del dramma. Pirandello e il teatro siciliano Nella fase del Teatro Siciliano Pirandello è alle prime armi e ha ancora molto da imparare. Anch’essa come le altre presenta varie caratteristiche di rilievo e in questo caso abbiamo il fatto che esso è scritto tutto, interamente in dialetto siciliano perché considerato dall’autore più vivo dell’italiano ed esprime di più l’aderenza alla realtà. Appartengono a questo periodo le seguenti opere: Lumìe di Sicilia (1910), Il dovere del medico (1913), Se non è così (1915), Cecè, (1915), Pensaci, Giacomino (1916) e Liolà (1916). Pirandello e il teatro umoristico In questa seconda fase Pirandello presenta personaggi che spezzano le certezze del mondo borghese introducendo la versione relativistica della realtà in cui lui vorrebbe trovare la dimensione autentica della vita al di là della maschera. Egli definirà il suo teatro “Teatro dello specchio”, perché rappresenta la vita nuda con le sue realtà, dove si ci riflette con una maschera che nasconde l’ipocrisia e tutti gli aspetti delle persone, maschera che il drammaturgo deve denudare. Tra le opere di questo periodo sono ricordiamo Così è (se vi pare) (1916), Il berretto a sonagli (1917), La giara (1917), Il piacere dell’onestà (1917), La patente (1918), Ma non è una cosa seria (1918), Il giuoco delle parti (1918), L’innesto (1919), L’uomo, la bestia e la virtù (1919), Tutto per bene (1920), Come prima, meglio di prima (1920) e La signora Morli, una e due (1920). Così è (se vi pare) Si tratta di un dramma in tre atti messo in scena per la prima volta nel 1917. È uno dei testi più tipicamente pirandelliani, al cui centro è posto esplicitamente il tema della sostanziale inconoscibilità del reale. Dopo un terremoto catastrofico, la signora Frola e suo genero, il signor Ponza, si stabiliscono in una città diversa dalla loro, e lì diventano un enigma per i loro nuovi concittadini: l'uno presenta la suocera come una pazza che non vuole rassegnarsi alla perdita d'ella figlia, l'altra presenta il genero come un violento stravolto dalla gelosia, che tiene la moglie segregata in casa. Tutti i tentativi di trovare riscontri oggettivi alle affermazioni dell'una o dell'altro, ricorrendo alla moglie di Ponza, non hanno esito, in quanto la donna si rifiuta di risolvere l'enigma della sua identità, dando ragione allo scetticismo di uno dei personaggi, Laudisi. Il berretto a sonagli In questa commedia emerge un tema di primo piano: l'individuo è costretto a difendere il suo prestigio sociale, il pupo, quel pupazzo con cui nascondiamo la meschina realtà di ognuno di noi, anche a costo di pagare un prezzo altissimo del reale. Protagonista della commedia è un modesto impiegato, Ciampa, che viene tradito dalla moglie, ma non reagisce fino a quando la moglie dell'amante di lei, gelosa, non provoca uno scandalo: Ciampa allora vede distrutta l'immagine di rispettabilità che ha costruito di sé (ciò che lui chiama il proprio «pupo») e sarebbe costretto a reagire rovinosamente, se non riuscisse a risolvere la situazione facendo apparire l'accusatrice come pazza. La giara La giara è una commedia in un atto unico scritta nel 1917 ripresa da una novella composta nel 1906 . La storia rappresentata ripercorre con umorismo molti dei temi cari allo scrittore agrigentino, tra cui la molteplicità dei punti di vista, l'ambiente siciliano e i conflitti interpersonali. L'azione si svolge nella Sicilia rurale: il ricco don Lolò chiede a zi' Dima di riparare col suo mastice una sua grande giara di terracotta. Dato che don Lolò non vuole che vengano usati anche dei punti per rinforzare l'incollatura, zi' Dima è costretto a fare il lavoro entrando all'interno del recipiente; ma poi, una volta riparatolo si accorge di non poterne uscire. Si accende allora una disputa fra lui e il padrone su chi debba addossarsi l'onere del danno che l'inevitabile nuova rottura della giara, necessaria per liberare zi' Dima, comporterà. La situazione si scioglie quando don Lolò, in preda all'ira, con un calcio provocherà la rottura della giara. La patente Questa breve commedia tratta alcuni temi cari a Pirandello come gli intrecci relazionali fra gli individui, alterati dai pregiudizi e dai preconcetti sui soggetti in base alle apparenze, alle esteriorità, ai giudizi superficiali e di convenienza. Rosario Chiàrchiaro, ritenuto da tutti uno jettatore, intende ottenere una sanzione ufficiale di tale sua qualità mediante una condanna in tribunale, per poterla poi sfruttare economicamente a suo vantaggio, approfittando del timore superstizioso che la sua persona suscita. Pirandello e il teatro nel teatro Nella fase del teatro nel teatro le cose cambiano radicalmente, per Pirandello il teatro deve parlare anche agli occhi e non solo alle orecchie; a tal scopo ripristinerà una tecnica teatrale di Shakespeare, il palcoscenico multiplo, in cui vi può per esempio essere una casa divisa in cui si vedono varie scene fatte in varie stanze contemporaneamente; inoltre il teatro nel teatro fa sì che si assista al mondo che si trasforma sul palcoscenico. Pirandello abolisce anche il concetto della quarta parete, cioè la parete trasparente che sta tra attori e pubblico: in questa fase, infatti, Pirandello tende a coinvolgere il pubblico che non è più passivo ma che rispecchia la propria vita in quella agita degli attori sulla scena. Le opere della fase del teatro nel teatro In questa fase Pirandello scrive le seguenti opere: Sei personaggi in cerca d’autore (1920), Enrico IV (1922), All’uscita (1922), L’imbecille (1922), Vestire gli ignudi (1922), L’uomo dal fiore in bocca (1923), La vita che ti diedi (1923), L’altro figlio (1923), Ciascuno a suo modo (1924), Sagra del signore della nave (1925), Diana e la tuda (1927), L’amica delle mogli (1927), Bellavita (1927), O di uno o di nessuno (1929),Come tu mi vuoi (1930), Questa sera si recita a soggetto (1930); Sogno, ma forse no (1931), Trovarsi (1932), Quando si è qualcuno (1933), La favola del figlio cambiato (1934), Non si sa come (1935). Sei personaggi in cerca d'autore È forse l'opera più famosa di Pirandello, tradotta e rappresentata nei teatri di tutto il mondo. Insieme a Ciascuno a suo modo e a Questa sera si recita a soggetto, questo dramma travalica il palcoscenico e coinvolge l'intero teatro, compresa la platea, ma anche perché rappresenta tutti i conflitti che possono sorgere tra le entità che interagiscono nell'evento teatrale, dall'autore agli attori, dai personaggi al pubblico. Durante le prove in teatro per la rappresentazione di un dramma, si presentano sul palcoscenico i personaggi scaturiti dalla fantasia d'un autore, il quale non ha portato a termine il suo testo: questi personaggi reclamano adesso il proprio diritto all'esistenza e mettono in scena le proprie vicende, che consistono in una storia familiare dagli esiti tragici. Enrico IV Considerato il capolavoro teatrale di Pirandello insieme a Sei personaggi in cerca di autore, Enrico IV è uno studio sul significato della pazzia e sul tema caro all'autore del rapporto, complesso e alla fine inestricabile, tra personaggio e uomo, finzione e verità. Un giovane, a causa d'un incidente provocato da un suo rivale in amore durante una cavalcata in maschera, ha perduto il senno ed è rimasto fissato di essere il personaggio che stava impersonando, l'imperatore medievale Enrico IV. In seguito a ciò continua a vivere convinto di essere davvero Enrico IV, rinchiuso in una villa arredata in stile medievale e circondato da persone in costume. Dopo molti anni riacquista la ragione; ma, esasperato per essersi reso conto di aver sprecato la propria vita, ferisce colui che era stato responsabile del fatale incidente. In conseguenza di ciò è costretto a continuare la finzione della follia, per evitare di dover scontare la pena del proprio gesto. Pirandello e il teatro dei miti Solo tre opere della produzione pirandelliana appartengono al teatro dei miti: La nuova colonia (1928), Lazzaro (1929), I giganti della montagna (1932). Il termine mito ci riporta al mito greco: Pirandello ipotizza che da quell'antica cultura possa venire una risposta ai problemi attuali dell'esistere. Siamo nel clima irrazionalistico e simbolistico della cultura europea degli anni Trenta in cui nacquero due importanti movimenti culturali come l'Esistenzialismo e il Surrealismo. Pirandello raccolse queste tendenze dando voce a una sensibilità per il favoloso e per il lontano, da sempre viva nelle sue opere. Gabriele D’Annunzio Attraverso la tragedia in versi Gabriele D’Annunzio (1863 - 1938) riuscì a creare un teatro fortemente lirico, costruito su un lessico ricercato, e in grado di dar vita a suggestioni sceniche assai vicine allo spirito della tragedia antica. Nello stile e nello svolgimento dei temi il D’Annunzio drammaturgo si mosse in un contesto europeo nell’affiancarsi al simbolismo francese e all’estetismo inglese. L’accostarsi dell’autore alla materia teatrale si fece intenso grazie soprattutto alla sua relazione con la grande attrice Eleonora Duse, la quale gli svelò i segreti del palcoscenico. Tra le opere più note ricordiamo: La città morta (1899). Francesca da Rimini (1902), La figlia di Iorio (1904), che è la più nota tra le opere dannunziane, e La fiaccola sotto il moggio (1905). La figlia di Iorio La figlia di Iorio è un’opera drammatica in versi di Gabriele D’Annunzio, una "tragedia rustica d’argomento abruzzese", come la definì lo stesso D’Annunzio, in tre atti scritta nell’estate del 1903. Il complesso intreccio di vicende e conflitti, che vede protagonisti la meretrice Mila, il pastore Aligi e suo padre Lazaro, si conclude tragicamente con il parricidio e la morte drammatica di Mila, che per salvare la vita di Aligi si accusa del suo delitto e viene condannata al rogo. Denominatore comune dell'opera è il dilatarsi della tragedia nel mito, con una profondità e universalità di sentimenti che superano i confini strettamente abruzzesi. Achille Campanile Achille Campanile (1899 - 1977) è stato uno scrittore, giornalista e drammaturgo italiano, celebre per il suo umorismo surreale e i giochi di parole. Molti critici hanno elevato lo scrittore a “classico” del Novecento. Oltre che all’analogia con alcuni dei percorsi pirandelliani, Campanile è stato variamente accostato alle ricerche sull’assurdo di Ionesco ed al surrealismo, ma secondo alcune visioni costituirebbe un unicum, un caso pienamente a sé e di non vantaggiosa comparazione. Tra le opere più famose ricordiamo Centocinquanta la gallina canta (1924), L’inventore del cavallo (1927), Il povero Piero (1961), Tragedie in due battute (1978). Il povero Piero È una delle più divertenti e geniali commedie del Novecento italiano, espressione a tutto tondo del teatro dell’assurdo che fa di Campanile, con Ionesco, il caposcuola del genere. Alla morte del “povero Piero” i familiari cercano di rispettarne le ultime volontà: dare la notizia ad esequie avvenute. Ma non è facile nascondere l’accaduto e il salotto di casa diventa sempre più affollato di parenti ed amici che arrivano per unirsi al dolore della vedova. E così mentre il defunto viene sballottato, trafugato, nascosto negli armadi, iniziano i rituali, i gesti convenzionali e le piccole ipocrisie legati ad ogni morte: le frasi di cordoglio, le trattative con l’impresario delle pompe funebri, gli addobbi floreali, i necrologi, i messaggi degli amici. Più della semplice ma geniale trama, contano gli episodi collaterali, i raccontini, le digressioni: una travolgente sequela di vicende surreali che, in un crescendo di equivoci e sorprese, vede alternarsi il riso e il pianto dei protagonisti fino al colpo di scena finale. Le nuove tendenze in Europa La Germania della Repubblica di Weimar fu un terreno di sperimentazione molto proficuo: oltre al già citato Brecht molti artisti furono conquistati dall’ideale comunista e seguirono l’influenza del teatro bolscevico, quello dell’agit-prop di Vladimir Majakovskij (1893 - 1930): Erwin Piscator (1893 - 1966), che abbiamo già ricordato, e Ernst Toller (1893 –1939), il drammaturgo dell’espressionismo tedesco. Nella Spagna del primo dopoguerra spicca la figura di Federico García Lorca (1898-1936) che scrisse le tragedie Nozze di sangue (1933), Yerma (1934) e La casa di Bernarda Alba (1936), ma le sue ambizioni furono presto represse nel sangue dalla milizia franchista che lo fucilò vicino Granada. La scuola napoletana Nel panorama teatrale della fine dell’Ottocento e dei primi anni del Novecento un posto di rilievo è da assegnare ai drammaturghi napoletani: Eduardo Scarpetta, autore di circa un centinaio di commedie in dialetto napoletano, tra cui Miseria e nobiltà (1887), ‘Nu turco napulitano (1888), ‘Na santarella (1889), O’ miedeco d'e pazze (1908); Salvatore Di Giacomo, autore di molte notissime poesie in lingua napoletana, molte delle quali poi musicate, che costituiscono una parte importante della cultura popolare partenopea, e di opere teatrali come ‘O mese mariano (1900) e Assunta Spina (1909); Raffaele Viviani, che mise in scena la plebe, i mendicanti, i venditori ambulanti, un'umanità disperata e disordinata che vive la sua eterna guerra per soddisfare i bisogni primari in opere come ‘O vicolo (1917), Tuledo ’e notte (1918) e ‘A festa 'e Montevergine (1928). Miseria e nobiltà Famosa e divertentissima commedia, Miseria e nobiltà ha conosciuto una popolarissima versione cinematografica che si discosta di poco dal testo originale, e interpretata da Totò. La commedia ha come protagonista Felice Sciosciammocca e la trama gira attorno all'amore del giovane nobile Eugenio per Gemma, figlia di Gaetano, un cuoco arricchito. Il ragazzo è però ostacolato dal padre, il marchese Favetti, che è contro il matrimonio del figlio per via del fatto che Gemma è la figlia di un cuoco. Eugenio si rivolge quindi allo scrivano Felice per trovare una soluzione. Felice e Pasquale, un altro spiantato, assieme alle rispettive famiglie, si introdurranno a casa del cuoco fingendosi i parenti nobili di Eugenio. La situazione si ingarbuglia poiché anche il vero Marchese Favetti è innamorato della ragazza, al punto di frequentarne la casa sotto le mentite spoglie di Don Bebè. Il figlio, scopertolo e minacciatolo di rivelare la verità, lo costringerà a dare il suo consenso per le nozze. Il teatro nel secondo dopoguerra Nel secondo dopoguerra il teatro occidentale si arricchisce di nuovi stimoli. Torna ad assumere grande importanza, dopo un periodo di supremazia della parola, l’azione fisica, il gesto. Si sviluppano metodi che mettono l’accento sull’emozione interpretativa dell’attore (con l’utilizzo del metodo Stanislavskij rielaborato in seguito da Lee Strasberg) e sull’ allenamento fisico (il training dell’attore). La ricerca degli anni ‘60 e ‘70 tenta di liberare l’attore dalle tante regole della cultura in cui vive (seconda natura), per mettersi in contatto con la natura istintiva, quella natura capace di rispondere in modo efficiente e immediato. L’obiettivo di perfezionamento dell’arte dell’attore diventa insieme momento di crescita personale. Il secondo Novecento in Italia Molti anche in Italia parteciparono a questa maturazione sia fra i drammaturghi come Eduardo De Filippo (1900 - 1984) che con lo sperimentale teatro di Carmelo Bene (1937 - 2002), sia con l’apporto fondamentale di grandi registi come Giorgio Strehler (1921 - 1997) e Luchino Visconti (1906 - 1976). Eduardo De Filippo La spontaneità del teatro di Eduardo De Filippo (1900 - 1984) è alimentata dalla tradizione ottocentesca su cui si innestano istanze della poetica neorealista, dando vita ad una rappresentazione popolare vivace, in cui l’uso del dialetto colora ambienti dominati da una dolorosa miseria e dai problemi di sopravvivenza precaria. Altro grande merito di De Filippo è quello di aver saputo rivitalizzare l’eterna maschera di Pulcinella, donandole un volto realistico: l’uomo comune alle prese con le sofferenze e con le difficoltà della vita, che riesce ad aggirare attraverso sotterfugi. In questa dimensione si colloca la sua produzione più valida, mentre meno convincente è nei testi in cui prevalgono intenzioni di denuncia sociale o l’astratta ricerca di soluzioni pirandelliane più legate ai motivi dell’illusione e della follia. Le opere di Eduardo De Filippo La sensibilità acutissima di De Filippo seppe in ogni modo dosare finemente ciascuna di queste componenti riuscendo ad elaborare l’equilibrio tra tutte queste diverse istanze. Tra i titoli più importanti troviamo: Natale in casa Cupiello (1931), Napoli milionaria! (1945), Filumena Marturano (1946), Questi fantasmi (1946), Le voci di dentro (1948), Mia famiglia (1955), Bene mio e core mio (1955), De Pretore Vincenzo (1957), Sabato domenica lunedì (1959), Il sindaco del rione Sanità (1960), Il figlio di Pulcinella (1962), L’arte della commedia (1965), Il contratto (1967), Il monumento (1970) e Gli esami non finiscono mai (1973). Natale in casa Cupiello Natale in casa Cupiello, la più famosa opera di De Filippo, nasce nel 1931 come atto unico in cui si racconta di un pranzo natalizio turbato dal dramma della gelosia. Nel giro di appena un anno è già un dramma famoso, ma Eduardo De Filippo vuole far conoscere meglio i suoi personaggi, per cui la fa cominciare due giorni prima aggiungendo un atto, che diventerà il primo, nel quale si racconta, in forma di riuscitissima farsa familiare, il risveglio di Luca nella fredda mattina del ventitré dicembre. Dopo due anni De Filippo aggiunge la terza parte conclusiva scrivendo il terzo ed ultimo atto. Protagonista della vicenda è Luca Cupiello, un uomo colpito dall’inerzia, che vive al di fuori dei suoi problemi familiari e si estrania sempre da tutti i suoi parenti. Nessuno dei suoi cari gli permette di ascoltare i guai che invadono la sua casa, non conosce le ansie e le preoccupazioni del fratello Pasquale che vive in casa con loro, non sa le malefatte del figlio Tommasino (detto Nennillo), ed è addirittura all’oscuro della relazione extraconiugale che la sua adorata figlia Ninuccia ha con l’amante Vittorio Elia. Il protagonista desidera solo costruire il suo presepe, visto che il presepe gli consente proprio di distaccarsi dalla realtà e di evadere dai problemi quotidiani che colpiscono i membri della sua famiglia. Napoli milionaria! Napoli milionaria! è una delle più famose commedie di Eduardo de Filippo. Ambientata durante la seconda guerra mondiale, fu scritta e rappresentata per la prima volta quando l'evento bellico non era ancora terminato. In un “basso” napoletano durante il secondo conflitto mondiale Donna Amalia e suo marito Gennaro Jovine sono poveri e vivono con i loro tre figli, Amedeo, Maria Rosaria e la piccola Rituccia. Nel corso degli anni di matrimonio, Amalia ha preso a disistimare Gennaro, lo giudica un buono a niente, mentre lei, donna forte e pratica, si è assunta l’onere di sostenere la famiglia e, pian piano, con la complicità di Enrico “Settebellizze”, giovane senza scrupoli, è diventata una pedina della borsa-nera e ottiene buoni guadagni. Ad un certo punto Rituccia si ammala e potrebbe morire, se non si trova il farmaco giusto. Una scena drammatica permette di avere il sospirato medicinale. Somministratolo alla piccola ammalata, il medico va via: tornerà di buon mattino per vedere il decorso della malattia. La commedia si chiude con Gennaro e Amalia che, ancora guardandosi freddamente, attendono con speranza che la figlia superi la notte per essere dichiarata fuori pericolo. Filumena Marturano Nella drammaturgia internazionale questa commedia è uno dei lavori più conosciuti e più apprezzati dal pubblico e dalla critica. È anche una delle commedie più care ad Eduardo; in particolare il personaggio della protagonista fu molto amato dal grande drammaturgo napoletano. Il cinquantenne Domenico Soriano nella sua giovinezza, a Napoli, ha frequentato una casa di appuntamenti dove ha conosciuto la prostituta Filumena Marturano e l’ha portata via dal suo triste mestiere, conducendola nella sua bella casa e affidandole addirittura la gestione delle sue attività. Filumena Marturano nasconde un segreto: ha tre figli ed uno di questi è di Domenico. È riuscita a tirarli su dignitosamente grazie ai soldi che nel tempo ha sottratto a Domenico, senza che lui se ne sia mai accorto. Ad un certo punto della sua vita, decide di uscire allo scoperto: vuole che i figli sappiano che lei è la loro madre, vuole che abbiano un cognome, quello importante del compagno. Inscena pertanto la finta malattia ed estorce un matrimonio fasullo a Domenico. La donna rivela i suoi segreti a Domenico, ma non gli svela quale dei tre giovani sia suo figlio. Domenico, dopo una prima reazione fortemente negativa, decide di diventare effettivamente il padre dei tre giovani sposando Filumena. De Pretore Vincenzo Questo lavoro teatrale deriva da un poema di De Filippo scritto anni prima: l'autore mette in luce la precaria situazione del popolo napoletano, trascurato o sfruttato sempre da tutti e costretto quindi ad arrangiarsi per sopravvivere. Vincenzo De Pretore, un piccolo mariuolo figlio di padre ignoto, finisce in prigione per un furto. Quando esce, la fidanzata Ninuccia gli consiglia di trovarsi un santo protettore che lo guidi sulla retta via. Vincenzo fraintende il senso di questa protezione e continua a rubare, sicure che il santo che ha scelto, San Giuseppe, lo difenderà da ogni pericolo. così non avviene e, durante una delle sue imprese ladresche, viene ferito a morte. Arrivato in Paradiso chiede a San Giuseppe di farlo entrare e il santo, stretto dalle argomentazioni del giovane, arriva addirittura a minacciare il Padreterno di andarsene con tutta la Sacra Famiglia se la richiesta non sarà accolta. Le ragioni di Vincenzo convincono lo stesso Padreterno, che accetta di farlo restare in Paradiso. Ma il lieto fine è solo sognato e la conclusione della vicenda sarà ben più amara. Sabato, domenica e lunedì La famiglia è la vera protagonista della commedia o forse bisognerebbe dire della tragicommedia poiché tutto nasce da una ridicola incomprensione tra coniugi che però maschera la crisi del loro matrimonio. In casa Priore, come ogni sabato, si prepara il ragù per il pranzo della domenica. Rosa è impegnata in cucina mentre il marito Peppino, non perde occasione per lamentarsi con lei. Ci sono poi le critiche del figlio, e i litigi tra la figlia Giulianella e il fidanzato ad amareggiarla ulteriormente. Arriva la domenica, ma il clima è ancora teso e si riaccendono vecchie discussioni. Tra gli invitati ci sono i vicini di casa, il ragioniere Luigi Ianniello e la moglie Elena e Luigi si mostra particolarmente premuroso con Rosa. Proprio quando in tavola arriva il ragù, Peppino, che non sopporta più le attenzioni che sua moglie concede a Luigi, fa una scenata di gelosia. La festa è rovinata, Rosa si sente male, Peppino è solo e avvilito. Il giorno dopo, lunedì, tutti si trovano in cucina e commentano i fatti della domenica. Peppino capisce l'assurdità del suo comportamento e ripercorre con la moglie la storia del loro amore. Gli esami non finiscono mai Scritta nel 1973, ma ideata fin dagli anni ’40, Gli esami non finiscono mai è l’ultima delle commedie di Eduardo De Filippo. Guglielmo Speranza presenta al pubblico la rappresentazione della sua vita. Per indicare il trascorrere del tempo, si servirà di tre barbe posticce. L'azione inizia al conseguimento della laurea. Fidanzato con Gigliola, subisce l'interrogatorio dei futuri suoceri che pretendono da lui una carriera prestigiosa. Si sposa, ha due figli, ma la sua vita dipende sempre dalla gente, che lo osserva e giudica. Infatti, quando s'innamora della giovane Bonaria, si scontra con il coro dei benpensanti, capitanati da Furio La Spina, il suo miglior amico, che ha una relazione segreta con sua moglie. Guglielmo invecchia sempre più solo. Per trovare pace, si rinchiude in casa in silenzio, fingendosi malato. I familiari lo assistono, sperando nella morte liberatrice. Quando è il momento, nemmeno le sue disposizioni per le esequie vengono rispettate. Guglielmo seguirà i suoi funerali attraversando il palcoscenico come un attore da rivista che saluta il pubblico, nel teatrino dei falsi convenevoli di parenti e amici. Peppino De Filippo Fino al 1945 la biografia teatrale di Peppino De Filippo (1903 – 1980) è in simbiosi con quella dei fratelli Eduardo e Titina, poi, dopo la rottura con Eduardo, Peppino si dedica alla scrittura teatrale. Mentre Eduardo si dedica a una comicità amara e di critica sociale, Peppino predilige la farsa e la comicità più immediata, gustosa, facile, a volte surreale. Tra le commedie più belle di Peppino si ricordano Miseria bella (1931), Don Rafele 'o trumbone (1931), Cupido scherza e spazza (1932), Non è vero… ma ci credo (1941), Pranziamo insieme (1952), Le metamorfosi di un suonatore ambulante (1956). Peppino De Filippo espresse tutta la sua carica di comicità di grande gusto in commedie e farse concepite principalmente come semplici macchine per far ridere. Non è vero... ma ci credo Questa commedia, andata in scena nel 1942, è considerata il capolavoro di Peppino De Filippo. Ottenne un così vasto successo che dieci anni dopo si decise di farne anche un film. Il comm. Gervasio Savastano, proprietario di una fabbrica di conserve, è immensamente superstizioso. Dall’interpretazione dei presagi fa dipendere la propria condotta. Questa mania è la disperazione di sua figlia Rosina, che, innamorata di un bravo giovane, non trova mai il verso di farglielo conoscere. La poco felice riuscita di alcuni affari, che l'industriale attribuisce al malefico influsso di un suo vecchio collaboratore, induca il comm. Savastano a licenziarlo. Lo sostituirà Alberto Sammaria, un simpatico giovane, provvisto di una magnifica gobba. Il commendatore ne è entusiasta: da quando Alberto ha fatto il suo ingresso nell'azienda, tutto va a gonfie vele. Ad un certo punto il comm. Gervasio scopre che il suo diletto Alberto è innamorato, senza speranza, di Rosina e perciò ha deciso d'andarsene. Gervasio corre ai ripari ed impone a Rosina di sposare Alberto. Poi gli viene il dubbio che i figli d'Alberto possano riuscire deformi e cerca di persuadere la figlia a rinunciare al progettato matrimonio; ma Rosina non si lascia persuadere. Gervasio è disperato. Alberto e Rosina si sposano: durante il pranzo di nozze, il comm. Gervasio scopre che Alberto non è affatto gobbo: la gobba, di cartone, è stata uno stratagemma per introdursi in casa dell'amata Rosina. Carmelo Bene Carmelo Bene (1937 - 2002), attore, regista e autore teatrale, reinventando il linguaggio teatrale, con uno stile ricercato e barocco, manifesta il suo genio di attore, perché non si limita a recitare e comincia così il suo “massacro dei classici”. È considerato un affabulatore e un presuntuoso “massacratore” dalla critica, gli intellettuali italiani degli anni ‘60 e ‘70 lo ritengono un genio. Un genio che si scaglia contro il teatro di testo, per un teatro da lui definito “scrittura di scena”; un teatro del dire e non del detto, perché per Bene il teatro del già detto non dice, appunto, niente di nuovo, è solo un citare a memoria parole scritte altrove. Tra le tante opere da lui scritte o rielaborate citiamo Nostra Signora dei Turchi (1966). Il secondo Novecento in Europa In Germania è fondamentale l’apporto di Botho Strauß (1944), le cui opere più note sono Gli ipocondriaci (1972), Volti noti, sentimenti misti (1974), Trilogia del rivedersi (1976), Kalldewey: farsa (1981), Il parco (1983) e Il tempo e la stanza (1995); e Rainer Werner Fassbinder (1945 - 1982), autore di Come gocce su pietre roventi (1965), Il soldato americano (1968), Anarchia in Baviera (1969), Le lacrime amare di Petra von Kant (1971). In Francia furono importanti, invece, i testi estremi di Jean Genet (1910 - 1986). Alla fine degli anni ‘40 Genet iniziò una carriera di drammaturgo, le sue rappresentazioni furono tutte brillanti successi, come Le serve (1947), Il balcone (1956), I negri (1959), I paraventi (1961) e Quattro ore a Chatila (1982). L‘unico testo teatrale di Simone De Beauvoir (1908 – 1986) è, invece, Le bocche inutili (1945). Anche la Svizzera ha contribuito nel corso del ‘900 all’evoluzione del teatro europeo con autori come Friedrich Dürrenmatt (1921 - 1990), di cui citiamo Romolo il Grande (1949), La visita della vecchia signora (1956) e I fisici (1962), e Max Frisch (1911 - 1991), che scrisse La muraglia cinese (1946), Omobono e gli incendiari (1953) e Andorra (1961). Dalla Polonia arrivano grandi innovazioni nella concezione di una messinscena grazie a Tadeusz Kantor (1915 - 1990), pittore, scenografo e regista teatrale tra i maggiori teorici del teatro del Novecento. Il suo spettacolo La classe morta (1975) è tra le opere fondamentali della storia del teatro. In Inghilterra nel primo Dopoguerra l’autore più significativo è Terence Rattigan (1910 – 1977) con lavori di ambiente bellico: Il francese senza lacrime (1936), Il cadetto Winslow (1946) e Ross (1960). John Osborne (1929 – 1994) attraverso opere come Ricorda con rabbia (1956), Lutero (1960) e A ovest di Suez (1971) esprime il disagio, le aspettative e la rabbia delle classi medio-basse. John Arden (1930) mescola ispirazione lirica con un registro colloquiale in opere come L’isola di Mighty (1972) e La piccola casa grigia nel West (1982). Le lacrime amare di Petra von Kant Le lacrime amare di Petra von Kant, in 5 atti, è stata scritta da Rainer Werner Fassbinder nel 1971. Lo stesso Fassbinder, un anno più tardi, ne farà un adattamento cinematografico. Petra von Kant , stilista di successo, colta ed amante del bello ma svuotata dentro da due matrimoni andati male, non trova stimoli neanche nel lavoro. Vive in un ambiente molto raffinato e personale con la segretaria e domestica Marlene. La sua esistenza è profondamente turbata dall'incontro con la giovane e bella Karin Trimm, presentatale dall'amica Sidonie von Grasenabb. Petra ne rimane totalmente ammaliata e si offre di aiutarla a inserirla nel mondo della Moda. Karin accetta e va a vivere insieme a lei; ma la possessività e la gelosia di Petra finiscono però per opprimerla, tanto da farla scappare via. Petra rimane solo con la fedele Marlene, il cui sforzo non è mai apprezzato e che anzi viene spesso maltrattata. Nel giorno del suo compleanno, ha una crisi isterica e maltratta la madre, la figlia e Sidonie che la vengono a trovare. In seguito Karin le telefona e Petra riesce a risponderle pacatamente. Sente la voglia pungente di rinascere, magari con l'aiuto di Marlene. Le serve È una commedia tragica e violenta di Jean Genet liberamente ispirata ad un fatto di cronaca realmente accaduto nel febbraio del 1933 a Le Mans, in Francia. Claire e Solange sono due cameriere al servizio di una ricca signora. Ogni qualvolta lei esce di casa le due donne si scambiano ritualmente la parte fra loro, interpretando a turno il ruolo della padrona e dell’altra collega. Il loro gioco diventa però sempre più pericoloso al punto che decidono di denunciare l’amante di questa con delle lettere anonime. Quando l’uomo viene scarcerato per mancanza di prove, per paura di essere scoperte, le due cercano di assassinare la loro padrona, ma falliscono nell’intento e provano a eliminarsi a vicenda. Claire si uccide mentre Solange, dato che la polizia prenderà quel gesto come un omicidio, si prepara consapevolmente al destino che l’aspetta. I fisici Scritta nel 1962 e ambientata nel salotto di una sofisticata clinica elvetica per malattie mentali, questa commedia in due atti viene condotta da Friedrich Dürrenmatt con le armi della farsa e di un grottesco tinto di cabarettismo. La commedia narra di un fisico nucleare, Möbius, che scopre la formula universale del sistema per tutte le scoperte. Onde evitare che i suoi studi finiscano nelle mani sbagliate si fa internare in una casa di cura, Les Cerisiers, fingendosi pazzo. Lo seguono, inscenando la stessa malattia, un agente segreto americano che fa finta di credere di essere Newton, e una spia comunista, che dice di credersi Einstein. Questi intendono impossessarsi della formula segreta, ma al termine della pièce l’unica persona che riuscirà a ottenere le carte sarà la proprietaria della clinica, Mathilde von Zahnd. Costei è l’unica vera folle, che intende assoggettare tutto il mondo con la scoperta di Möbius. La classe morta Il polacco Tadeusz Kantor rappresentò La classe morta per la prima volta a Cracovia nel novembre 1975, nella cantina di un palazzo cinquecentesco dove aveva sede la Galeria Krzysztofory, luogo abituale di incontro di artisti e teatranti. La classe morta è una perfetta macchina teatrale della memoria, una toccante partitura scenica. I protagonisti sono una dozzina di vecchietti ormai trapassati che tentano di tornare sui banchi della loro antica scuola nella quale hanno trascorso i giorni ineffabili dell’infanzia, portandosi sulle spalle manichini di cera, rappresentazioni dei bambini che una volta erano stati. Le sperimentazioni novecentesche L’influenza di questi maestri sul movimento teatrale del dopoguerra è immenso, basti pensare all’Odin Teatret di Eugenio Barba (1936), al teatro povero di Jerzy Grotowski (1933 - 1999), al teatro fisico del Living Theatre di Julian Beck (1925 - 1985) e Judith Malina (1926), fino alle applicazioni “commerciali” dell’Actor’s Studio di Stella Adler (1901 - 1992) e Lee Strasberg (1901 - 1982). Il Novecento americano Tra gli autori novecenteschi negli USA annoveriamo Eugene O’Neill (1888 - 1953), autore di opere straordinarie quali In viaggio per Cardiff (1916), Oltre l’orizzonte (1920), Imperatore Jones (1920), Tutti i figli di Dio hanno le ali (1924), Desiderio sotto gli olmi (1924), Strano interludio (1928), Il lutto si addice ad Elettra (1931) e Lungo viaggio verso la notte (1940). Un altro importante drammaturgo americano è stato Thornton Wilder (1897 – 1975), autore delle commedie Il lungo pranzo di Natale (1931), Piccola città (1938) e La famiglia Antrobus (1942) Grandi maestri sono stati anche Tennessee Williams (1911 - 1983), che scrisse Lo zoo di vetro (1944), Un tram che si chiama Desiderio (1947), La rosa tatuata (1951), La gatta sul tetto che scotta (1956), Improvvisamente l’estate scorsa (1958), e Arthur Miller, autore di Erano tutti miei figli (1947), Morte di un commesso viaggiatore (1949), Il crogiuolo (1953) e Uno sguardo dal ponte (1955). William Inge (1913 – 1973) racconta storie di comunità della provincia americana in Ritorna, piccola Sheba (1950, Picnic (1953), Fermata d’autobus (1955), Il buio in cima alle scale (1957). Edward Albee (1928) debutta con Storia dello zoo (1959) e Il sogno americano (1961) e poi scrive Chi ha paura di Virginia Woolf (1962), il suo testo più famoso, prima di realizzare Alice (1964), Marina (1975), La signora di Dubuque (1979) e Tre donne alte (1991). Neil Simon (1927) è l’autore di maggior successo a Broadway alla fine degli anni ’60: A piedi nudi nel parco (1963), La strana coppia (1965), Andy e Norman (1965), Appartamento al Plaza (1968), Il prigioniero della Seconda Strada (1972), I ragazzi irresistibili (1972), Smarrito a Yonkers (1991) e Risate al 23° piano (1993) sono le sue commedie principali. Il lutto si addice ad Elettra In questa opera teatrale scritta dal drammaturgo Eugene O'Neill e messa in scena per la prima volta nel 1931 si riprende la tragedia classica di Elettra di Sofocle, aggiungendovi elementi psicoanalitici. La vicenda si svolge all'epoca della Guerra di secessione americana, nella famiglia di un generale nordista. Il generale Ezra Mannon (l'Agamennone di Sofocle) ritorna dalla guerra, e nella propria casa è ucciso dalla sua seconda moglie Christine (Clitennestra) che ha per complice il proprio amante, il Capitano Brant. La figlia Lavinia (Elettra) persuade il fratello Orin (Oreste) a vendicarlo. Anche lui reduce dalla guerra, sottomesso alla sorella, sopprime il capitano Brant, e lo seguirà nella tomba Christine, costretta a sopprimersi dalla presenza ossessiva della figlia. Orin e Lavinia si imbarcano per un lungo viaggio, ma il destino incombe anche su di loro. Desiderio sotto gli olmi In Desiderio sotto gli olmi (1924), con sinistra ironia, O'Neill fece a pezzi la filosofia americana del successo. Le passioni umane tendenti all'animalesco vengono guidate, in questa rappresentazione, dal desiderio irrefrenabile e liberatorio di possedere la terra. Il vedovo Ephraim Cabot lascia la sua fattoria del New England ai suoi tre figli, che lo odiano, ma condividono la sua avidità. Eben, il fratello più giovane e brillante, sente che l'azienda è sua per diritto di nascita, in quanto originariamente apparteneva a sua madre. Egli acquista dai suoi fratellastri le azioni della fattoria con il denaro rubato da suo padre, e Peter e Simeon si trasferiscono in California per cercare fortuna. Più tardi, Ephraim ritorna con una nuova moglie, la bella e testarda Abbie, che intraprende una relazione adulterina con Eben. Poco dopo, Abbie partorisce il figlio di Eben, ma lascia credere a Ephraim che il bambino sia suo, nella speranza di garantirsi il futuro con la fattoria. Il superbo Ephraim ignora che i suoi vicini lo prendono in giro apertamente. Follemente innamorato di Eben e timorosa che potesse ostacolare la loro relazione, Abbie uccide il bambino. Un furioso e sconvolto Eben consegna Abbie allo sceriffo, ma non prima di ammettere a se stesso la profondità del suo amore per lei e confessare il proprio ruolo nell'infanticidio. Un tram che si chiama Desiderio Un tram che si chiama desiderio, scritto dal drammaturgo statunitense Tennessee Williams nel 1947, è un testo noto al grande pubblico grazie alla pellicola di Elia Kazan di cui furono protagonisti Marlon Brando e Vivien Leigh. La vicenda è ambientata nella New Orleans degli anni quaranta, i protagonisti sono una coppia, formata da Stanley e Stella, il cui equilibrio viene messo a rischio dalla sorella di lei, Blanche. Stanley, un rude polacco dai modi burberi giunto a New Orleans da qualche anno, è un uomo di grande forza che è travolto da una passione carnale per la moglie Stella. A turbare questo equilibrio giunge la sorella di Stella, Blanche, una donna dai molti lati oscuri che pian piano andrà svelando, fino a che, alla fine della vicenda, giunge alla pazzia e viene ricoverata in manicomio, mentre la coppia, la cui pace familiare sembra allietata dalla nascita di un bambino, sembra arrivare ad un punto di rottura per l'incapacità di Stella di accettare il destino della sorella, il cui crollo è dovuto in larga parte alle forti pressioni esercitate su di lei da Stanley. Morte di un commesso viaggiatore Andato in scena a New York nel febbraio del '49 per la regia di Elia Kazan, Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller costituisce forse il più clamoroso successo teatrale del dopoguerra - un successo che, dagli Stati Uniti, dilaga in tutto il mondo. Willy Loman è un commesso viaggiatore sessantenne che per anni ha viaggiato in tutto il paese per vendere la merce della compagnia per cui lavora, senza però mai riuscire a fare carriera. Una moglie, Linda, due figli, Biff e Happy, una famiglia e un’esistenza apparentemente felici, che in realtà nascondono una situazione disperata e fallimentare. Willy è un uomo stanco, vorrebbe smettere di viaggiare e lavorare stabilmente a New York, la città in cui vive. Nemmeno i due figli, ormai grandi, sono riusciti ad ottenere quella stabilità lavorativa che il padre sperava per loro e di cui essere fiero. Ai problemi familiari si aggiungono poi le difficoltà economiche, che si inaspriscono quando Willy viene licenziato e inutili sono gli sforzi della moglie per mantenere uniti padre e figli. Ritrovandosi fallito sia nella sfera lavorativa che in quella familiare, stritolato da una società che non tollera al suo interno elementi improduttivi, Willy Loman sceglie la via del suicidio, che almeno garantirà alla moglie e ai figli il sussidio dei ventimila dollari dell’assicurazione. A piedi nudi nel parco A piedi nudi nel parco di Neil Simon fu rappresentata per la prima volta il 21 ottobre 1963. Il 23 dello stesso mese l'opera iniziò regolarmente le repliche fino al 25 giugno 1967, per un totale di 1530 performance. Paul e Corie Bratter, una coppia di sposi freschi di matrimonio, e reduci da un’appassionata luna di miele trascorsa tra le lussuose pareti dell'Hotel Plaza di New York iniziano la loro vita coniugale con il sospirato ingresso nella loro prima casa, un piccolo e spoglio appartamento all’ultimo piano di un vecchio palazzo senza ascensore. La scomoda sistemazione dei due sposini e la presenza nelle loro vite della signora Ethel Banks, madre di Corie, e del signor Velasco, eccentrico inquilino della mansarda sopra l’appartamento della coppia, bastano a mettere a dura prova la loro serenità matrimoniale e, in particolare, fanno emergere le loro differenze caratteriali: Paul è serio, giudizioso, prudente, tanto quanto Corie è vitale, appassionata, romantica; tanto l'uno è prevedibile e convenzionale quanto l'altra è imprevedibile e spudorata. In una serata a quattro vengono ben presto a crearsi eccentriche alleanze: Corie e Velasco s'intendono alla perfezione mentre Ethel e Paul subiscono le stravaganze dei loro "antagonisti". E, come spesso accade, i folli e gli incassatori finiscono per compensarsi e rimettere il bilancio della vita in pari. I drammaturghi contemporanei inglesi La drammaturgia contemporanea continua a vivere nel Regno Unito una florida vita culturale grazie a numerosi autori. Il più importante è Harold Pinter (1930 - 2008), insignito del Premio Nobel nel 2005, di cui ricordiamo Il compleanno (1957), Il calapranzi (1957), Vecchi tempi (1970), Terra di nessuno (1974), Victoria Station (1982), Party Time (1991) e Anniversario (1999). Il compleanno Il compleanno è forse la commedia più importante di Harold Pinter, tre atti serrati e dal meccanismo perfetto che consentono all’autore inglese di disseminare dubbi e possibili interpretazioni della vicenda nell’arco di tutta l’opera. Meg e Petey Bowles, due ingenui coniugi proprietari di una pensioncina al mare, ospitano Stanley Webber, unico misterioso e trasandato cliente, di cui ignorano i turbolenti trascorsi. Stanley si è rifugiato in quel luogo sperduto per sfuggire a una organizzazione mafiosa. Un giorno arrivano alla pensione due stranieri, un ebreo compito e gioviale, Nat Goldberg, e un irlandese scontroso e servile, Shamus McCann. I due entrano nelle grazie di Meg e organizzano una festa di compleanno per Stanley. Goldberg e MacCann rimasti soli con Stanley lo sottopongono a estenuanti interrogatori. Meg regala a Stanley un tamburo. Alla festa è invitata anche Lulu, una giovane amica di Meg. Nel clima di allegria, Stanley si fa sempre più cupo e taciturno. Il culmine è raggiunto nel gioco a mosca cieca quando Stanley tenta di strangolare Meg e di violentare Lulu. La mattina seguente, mentre Meg è fuori per fare la spesa, Goldberg e MacCann portano via Stanley in stato catatonico, incontro a un destino sconosciuto. Party Time Con Party Time Harold Pinter attacca senza mezzi termini la gestione criminale del potere politico da parte della classe dirigente. In questa commedia più che altrove si scatena una situazione tragica che travolge all’improvviso la vita dei personaggi in scena. In una grande stanza si svolge un party in cui gli invitati chiacchierano in maniera spensierata. Di tanto in tanto, Dusty chiede se qualcuno abbia visto suo fratello Jimmy; con insistenza suo marito Terry le dice di non parlare di questo argomento: traspare e prende forma la natura di questi personaggi, avvolti dal potere e rappresentanti di una classe politica dedita alla tirannia, alla repressione e alle torture, in una nazione, che nonostante i riferimenti anglosassoni, è specchio di tutti quelli stati governati da una dittatura o da "democrazie" oppressive. Con il susseguirsi delle battute, mentre all'interno il Party procede splendidamente, si comprende che in strada si sta svolgendo una retata ordinata proprio da alcune persone che si trovano al party: è in atto un coprifuoco e la presenza dei militari reprime i movimenti dei ribelli. Terminato il party, tutti escono dalla sala, entra Jimmy che chiude la commedia con un monologo in cui si comprende la sua fine. Peter Shaffer (1926) esplora ambiti drammaturgici diversi con Esercizio a cinque dita (1958), Orecchio privato e occhio pubblico (1962), Black Comedy (1965), Equus (1973), Amadeus (1979) e Yonodab (1985) Arnold Wesker (1932) è uno degli autori che esprime nei propri testi l’impegno politico. La sua trilogia Brodo di pollo con l’orzo (1958), Radici (1959) e Parlo di Gerusalemme (1960) descrivono il fallimento del movimento in socialista in Gran Bretagna; La cucina (1958) affronta le problematiche delle classi operaie, mentre Patatine di contorno (1962) evoca l’ambiente militare; Altre sua opera importante è Primavera selvaggia (1994). Altra voce di rilievo è Caryl Churchill (1938), drammaturga nota per il suo stile teatrale non naturalistico e per tematiche come il femminismo, l'abuso di potere, il colonialismo e la guerra. Tra i titoli più noti abbiamo Proprietari (1972), Settimo cielo (1979), Top Girls (1982), Denaro serio (1987), Far Away (2000), 7 bambine ebree (2009). Edward Bond (1935) è uno degli autori inglesi più conosciuti del secondo Dopoguerra. Debutta con Il matrimonio del Papa (1962) e prosegue la sua attività con Quando si fa giorno (1968), Bingo (1973), La donna (1978), Atti di guerra (1985) e Sedia (2006). Da ricordare anche Tom Stoppard (1937), autore di Rosenkrantz e Guildestern sono morti (1966) e Il vero ispettore Hound (1968). Altri autori sono: David Hare (1947), che ha scritto Scorie (1970), Abbondanza (1979) e Pravda (1985); Martin Crimp (1956), autore di Tracce di Anne (1997), Tre pezzi facili (2004), Tenero e crudele (2004) e In campagna (2008); l’irlandese Brian Friel (1929), noto in Italia per Molly Sweeney (1995). Autori contemporanei di lingua tedesca Tra i massimi autori della letteratura in lingua tedesca c’è Thomas Bernhard, romanziere e drammaturgo austriaco, autore di Una festa per Boris (1970), L'ignorante e il folle (1972), Il presidente (1975), Minetti. Ritratto di un artista da vecchio (1977), Immanuel Kant (1978), Il riformatore del mondo (1979), L'apparenza inganna (1983), Il teatrante (1984), Ritter, Dene, Voss (1984), Semplicemente complicato (1985), Elisabetta II (1987), Piazza degli Eroi (1988). Elfriede Jelinek (1946), austriaca, premio Nobel per la letteratura nel 2004, ha scritto per il teatro Cosa è accaduto dopo che Nora ha lasciato il marito? (1979), Nuvole. Casa (1988), Sport. Una pièce (1998), Nelle Alpi (2006) e Ulrike Maria Stuart (2006). Da ricordare è anche Peter Handke (1942), autore di Kaspar (1968), La cavalcata sul Lago di Costanza (1988) e L'ora in cui non sapevamo niente l'uno dell'altro (1995). Heiner Müller (1929 - 1995) probabilmente è il più importante drammaturgo tedesco del XX secolo dopo Bertolt Brecht. Tutta la produzione di Müller sembra attraversata da una sorta di ossessione della storia tedesca, passata in rassegna nei suoi nodi cruciali con un atteggiamento diviso tra pessimismo e provocazione, scetticismo e paradosso. Le sue opere più importanti sono La costruzione (1965), Edipo il Tiranno (1967), Filottete (1968), Prometeo (1969), Gli Orazi (1972), Mauser (1975), Trattore (1975), Germania, morte a Berlino (1978), Cemento (1973), La macchina di Amleto (1979), La missione (1980), Quartetto (1982), La strada dei panzer (1988). Tra i contemporanei Roland Schimmelpfennig (1967), invece, ha scritto Prima / Dopo (2004), Ambrosia (2005), Il drago dorato (2008). I drammaturghi contemporanei francesi Jean Anouilh (1910 - 1987) è noto per le sue riscritture moderniste di molti classici greci. Tra le sue opere ricordiamo Il viaggiatore senza bagagli (1937), Antigone (1942), Cecilia o La scuola dei padri (1949), Becket e il suo re (1959), La grotta (1961). Uno degli autori più importanti del ventesimo secolo, è stato Bernard-Marie Koltès (1948 – 1989), che ha rinnovato la scrittura e la ragione d’essere del teatro attraverso un lessico e un uso della frase testimoni di un linguaggio contemporaneo e, allo stesso tempo di una perfetta lingua francese. Le sue opere principali sono Le amarezze (1970), La notte poco prima della foresta (1977), Lotta di negro e cani (1979), Quai Ouest (1985), Nella solitudine dei campi di cotone (1986) e Ritorno al deserto (1988). Il viaggiatore senza bagaglio In quest’opera Anouilh affronta le tematiche del cambiamento della condizione umana in cui si vive, in cui ogni speranza si rivela inutile. Gaston è un veterano della Prima Guerra Mondiale che ha perso la memoria. Trascorre diciotto anni in un ospizio senza ritrovare un solo barlume della sua esistenza passata, conteso tra innumerevoli famiglie, finché viene condotto presso casa Renaud per un confronto, forse quello decisivo. Gaston incontra quelli che potrebbero essere i suoi congiunti: madre, fratello, cognata e ripercorre con loro gli anni precedenti alla guerra, scontrandosi con un passato difficile da accettare, carico com'è di prevaricazioni, odi e sordidi amori. Gaston è costretto a guardarsi allo specchio dove si riflette un'immagine che stenta a riconoscere, finché giungerà un'altra famiglia a reclamarlo. Becket e il suo re Il dramma di Anouilh Becket e il suo re vinse un Tony Award e l'Antoinette Petty Award for Best Play of the Season (1960-61) e che fu trasformato in un film. Re Enrico II d'Inghilterra ed il suo fedele sudditoTommaso Becket sono legati da una fortissima amicizia che, superando ogni formalità, li porta a condividere, con spirito guascone e grande ironia, ogni momento della vita: dalle donne, ai divertimenti, alla politica. Lo scanzonato giuoco dei due durerà, però, fino a quando il sempre più ribelle Clero inglese non spingerà il re ad una decisione che finirà per contrapporre irrimediabilmente i due amici: porre Becket a capo della Chiesa d'Inghilterra al fine d'imbrigliarla. Il macchiavellico piano si infrangerà, infatti, contro il senso del dovere di Becket che gli farà anteporre la difesa dell'onore di Dio e della libertà della Chiesa alla tutela dell'onore del Regno in un incalzante, drammatico, crescendo che farà dell'Arcivescovo di Canterbury e del Re l'uno la irriducibile nemesi dell'altro. I drammaturghi contemporanei dell’est Europa Tra gli autori più importanti c’è il ceco Pavel Kohout (1928), autore di Addio, tristezza (1959), August, August, August (1967) e Povero assassino (1976). Tra i drammaturghi ungheresi vale la pena di citare Miklós Hubay (1918 – 2011), che manifesta un notevole impegno intellettuale e civile in opere come Ratto d'Europa (1939), I lanciatori di coltelli (1957), Nerone è morto (1968), Addio ai miracoli (1979). I drammaturghi contemporanei americani Tony Kushner (1956) è ricordato soprattutto per la commedia Angels in America (1995). Sam Shephard (1943) è un drammaturgo prolifico: molti dei suoi lavori sono noti per essere espliciti e spesso assurdi. Tra le sue opere principali ricordiamo Il bambino sepolto (1978), Pazzo d’amore (1979), Vero West (1980) e Una menzogna della mente (1985). Solitudine, alienazione, fallimento esistenziale sono i temi ricorrenti nelle opere di Lanford Wilson: Lemon Sky (1970), The Hot l Baltimore (1973), Fifth of July (1978), Burn This (1986). Un grandissimo autore italiano: Dario Fo Dario Fo (1926) è un regista, drammaturgo, attore e scenografo italiano, vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1997. I suoi lavori teatrali fanno uso degli stilemi comici dell’antica commedia dell’arte italiana e sono rappresentati con successo in tutto il mondo. Tra le sue opere principali ricordiamo Isabella, tre caravelle e un cacciaballe (1963), Settimo: ruba un po' meno (1964), La colpa è sempre del diavolo (1965), Mistero Buffo (1969), Morte accidentale di un anarchico (1970), Johan Padan a la descoverta de le Americhe (1991), Il diavolo con le zinne (1997). Isabella, tre caravelle e un cacciaballe Nucleo fondante del testo è la vicenda di Cristoforo Colombo (dal primo incontro con Isabella di Castiglia alla misera fine del navigatore "preso a calci nel sedere" da tutti): è un personaggio tolto dal piedistallo della storia e ricondotto all'umanità di individuo furbo e "cacciaballe", ma nello stesso tempo vittima dei potenti con i quali si era messo alle prese. Un attore sta per essere condannato dall'Inquisizione spagnola. L'ultimo desiderio è recitare un canovaccio su Cristoforo Colombo. Con la comicità furba di Dario Fo, si assiste, tra lazzi ed invenzioni sceniche, alle istrioniche peripezie di Cristoforo Colombo dalla terra di Spagna fino alle Americhe. Spiando nelle stanze del Re e della Regina, rimanendo coinvolti nei loro intrighi, entrando nelle oscure stanze del potere del più grande regno dell'epoca, la commedia ruota attorno ai tentativi di Colombo di usare i potenti come pedine di un astuto e pericoloso gioco, alla fine del quale la Terra non sarà più la stessa, portandolo dal suo trionfo alla sua inevitabile caduta. E tutto questo viene raccontato con lo stile di una fantasiosa compagnia di attori girovaghi del Cinquecento, abituati a fermarsi nelle piazze, per rallegrare l'animo di quei tempi bui. Johan Padan a la descoverta de le Americhe "Questo Johan è una specie di Ruzante, più propriamente uno Zanni, maschera prototipo di Arlecchino, che, come vedremo, nato a sua volta nelle valli di Brescia e Bergamo, si ritrova letteralmente proiettato nelle Indie, ingaggiato su una nave della quarta spedizione di Colombo". (Dario Fo). Vi si racconta la scoperta del continente americano da parte degli spagnoli tra il XV e il XVI secolo; ma, per narrare la cronistoria del rapporto tra mondo europeo e tribù indigene dell'America centrale e della feroce e spietata colonizzazione, Dario Fo ha dato la parola ad un picaresco avventuriero italiano, Johan Padan. Fuggito da Venezia e dalla Spagna per scampare alle persecuzioni dell'Inquisizione è scagliato nel bel mezzo della conquista spagnola del nuovo continente. I nuovi autori italiani Stefano Massini (1975) è già tradotto e rappresentato in Francia, Germania e Portogallo. Tra le sue opere annoveriamo Processo a Dio (2008), Donna non rieducabile (2008) e Frankenstein (2009), Fausto Paravidino (1976) esordisce giovanissimo, segnalandosi con Gabriele (1998) e Due fratelli (1998). Ad essi seguono Noccioline (2000) e Natura morta in un fosso (2004). Il teatro postcoloniale africano L’indipendenza ottenuta alla metà del Novecento ha provocato una nuova svolta nel corso del teatro africano. Tra gli autori più apprezzati vi è il nigeriano Wole Soyinka (1934), insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1986, l’ugandese Robert Serumaga (1939-1980) e la ghanese Efua Sutherland (1924 - 1996). In questa fase storica rilevanti sono state le collaborazioni in Sudafrica di artisti bianchi e neri, sfidanti l’ancora vigente apartheid, e la nascita di temi e contenuti legati ai problemi sociali e quotidiani.