STORIA DELLA CARTOGRAFIA
Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di
province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d'isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli, e di persone.
Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l'immagine del suo volto.
José Luis Borges
Fin dalla preistoria gli uomini hanno sentito la necessità di tracciare rappresentazioni simboliche del
territorio, attraverso cui poterlo in tal modo dominare razionalmente, per esigenze molteplici: commerciali,
militari, politiche, burocratiche, economiche, religiose, culturali, scientifiche. Una “carta” (intendendo il
termine in senso generico) non fornisce così solo dati sull’area rappresentata ma esprime anche la
Weltanschaaung (visione del mondo) di chi l’ha prodotta.
Nel 1963 durante scavi presso la località di Çatal Huyük, nell'Anatolia centrale, venne alla luce una
rappresentazione murale di circa tre metri di lunghezza, la cui datazione venne determinata con il sistema
del radiocarbonio al 6200 a.C. circa. Secondo l'interpretazione degli studiosi la mappa mostrerebbe in primo
piano un insieme di abitazioni (circa 80) e sullo sfondo il vicino vulcano Hasan Dag a doppio cono con i
fianchi ricoperti di massi in eruzione. La rappresentazione dall’alto delle case può essere stata favorita
dall’abitudine ad entrare nelle case dell’alto, essendo esse sprovviste di porte.
La più antica rappresentazione topografica di una regione può tuttavia essere identificata in una tavoletta
d'argilla, scoperta nel 1930 presso le rovine dell'antica località di Ga-Sur, presso Harran e Kirkuk circa 200
miglia a nord di Babilonia. E' una piccola tavoletta (7,5 x 6,5 cm) che la maggior parte degli studiosi
attribuisce all'epoca dell’impero degli Accadi (2500 a.C.). Su di essa appaiono due zone collinose bisecate da
un corso d'acqua, verosimilmente l’Eufrate, che pare in basso diramarsi sfociando in un bacino. Ad est sono
indicati i monti Zagros, a ovest il Libano. In basso è indicata la città di Mashkan-dur-ibla. Sono visibili anche
delle iscrizioni che indicano le dimensioni degli appezzamenti coltivati: al centro un’ area di 354 iku [12
ettari], di proprietà di un certo Azala. La mappa precisa inoltre, in piccoli cerchi, tre dei quattro punti
cardinali, individuati in base ai venti.
Altra testimonianza della cartografia mesopotamica è la pianta della città di Nippur (1200 a. C.) sulla base di
una riduzione in scala, di cui gli scavi archeologici hanno rivelato la notevole precisione e fedeltà. Si nota il
rilevo dato al tempio di Enlil, la divinità della città. Sono presenti indicazioni di porte, canali, magazzini e,
con grande rilievo, dell’Eufrate.
Assai più tarda (600/500 a. C) è una tavoletta babilonese che rappresenta una cosmografia mitica. La terra è
raffigurata come un disco circondato dall’oceano e da sette isole, a sette miglia dalla terra, che mettono in
comunicazione l’oceano terrestre con quello celeste, dove nuotano costellazioni animali, gli antichi dei
sumeri detronizzati e rimpiazzati da dei antropomorfi. Queste isole sono identificate da suggestive iscrizioni:
“dove gli uccelli alati non volano”, “la luce è più lucente del tramonto e delle stelle” “dove non si vede niente
e il sole non è visibile”, “dove un toro cornuto soggiorna e attacca chi sopraggiunge”, “dove il mattino
albeggia”. Al centro della terra appare Babilonia. Essa è attraversata dall’Eufrate (rappresentato con linee
parallele) che sfocia in una zona paludosa. Altre città sono indicate con piccoli cerchi
L’Egitto non ci ha lasciato quasi nessun documento cartografico. I faraoni organizzarono spedizioni militari,
missioni commerciali e pure spedizioni esplorative. Erodoto dice di un viaggio, ordinato dal faraone Necho
(circa nel 596-594 a.C.) per il quale navi fenicie circumnavigarono l’Africa, dal Mar Rosso alle Colonne
d’Ercole. Sappiamo da Erodoto che durante la campagna contro gli Sciti da parte del faraone Sesostri (ca.
1400 a.C.) tutta la terra conquistata venne cartografata.
Al 1150 c., all’epoca del faraone Ramses IV, è stato datato un papiro del Museo egizio di Torino con una
mappa delle miniere d’oro della Nubia (attuale Sudan), in cui sono indicate le strade che intervallano le cave
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e le case degli operai.
Presso i greci dei tempi omerici la terra è concepita come disco circolare piatto, circondato completamente
dalle acque del fiume Oceano. Nella concezione omerica, come emerge da altri passi dei poemi, alla sommità
del cielo sta la fascia incandescente dell’etere, limitata dalla volta cristallina (solida) dove sono situate le
stelle. La terra ha non solo una dimensione orizzontale (γῆ), ma anche una verticale (χθών): all’estremità più
profonda, distante dalla superficie quanto dista la volta del cielo secondo Esiodo (Teogonia), sta il Tartaro, la
zona più profonda dell’Ade, il regno dei morti.
Una versione originale del mito è proposta da Ferecide di Siro (VI sec. a. C. ), il maestro di Pitagora: in una
sua opera narrava che Ζάς (Zeus) al momento di sposarsi con Χθονίη (=Χθών, la terra profonda), le dona un
velo che rappresenta Γῆ e Ὠγηνός (=Ὠκεανός, Oceano): la terra che l’uomo conosce è quindi un velo che cela
l’aspetto inconoscibile, ctonio, della terra stessa.
A partire dal VI sec. a. C. la visione mitica del cosmo è messa in discussione dalla speculazione dei primi
filosofi che, nelle colonie greche della Ionia (coste dell’attuale Turchia), aperte al contatto fra tradizioni
culturali diverse, cercano di fornire una spiegazione razionale dell’universo e della sua origine (ἀρχή)
emancipandosi dalle tradizioni leggendarie.
Se Talete, il primo scienziato-filosofo (626-548) immaginava l’acqua come ἀρχή, principio materiale
dell’universo, Anassimandro (610-546 a.C.), anch’egli originario di Mileto, poneva l’ἄπειρον (=l’indefinito),
cioè un principio astratto, come origine di tutte le realtà finite. Secondo quanto ci è stato tramandato egli
affermava che la terra stava sospesa nel vuoto ed aveva la forma di un cilindro, di cui la faccia superiore
corrispondeva alla terra abitata. Della superficie terrestre egli diede una rappresentazione, secondo la
tradizione, in un πίναξ bronzeo, in cui il fiume Oceano circondava le terre emerse. Si dice che
Anassimandro abbia introdotto l'uso dello gnomone (un’asta di lunghezza nota infissa nel terreno che
serviva per tracciare sul piano i movimenti degli astri) forse per averlo appreso dai Babilonesi.
Negli anni seguenti un forte impulso alle conoscenze geografiche venne dai peripli, testi che descrivevano
itinerari marittimi fornendo notizie sulle coste, sui porti e sui popoli costieri. Attorno al 500 a. C. il
logografo (=scrittore di λόγοι=storie) Ecateo di Mileto (550-480 a.C.), pubblicò la sua Periegesi, la prima
opera geografica greca scritta in prosa, una descrizione della terra conosciuta in due libri, ricca di dati storici
e geografici, di cui ci sono pervenuti circa 300 frammenti. Essa doveva essere corredata in origine di una
rappresentazione cartografica, che perfezionava il pinax di Anassimandro. Benché Ecateo prendesse le
distanze dalle tradizioni mitiche (“Scrivo queste cose, così come a me sembrano vere. Infatti i racconti [λόγοι]
dei Greci, a quel che mi appare, sono molti e ridicoli”), le sue nozioni geografiche sono chiaramente
primitive. Per lui il Caspio era un golfo che sfociava nell'Oceano circolare.
Lo storico e geografo Erodoto di Alicarnasso svolse la sua attività intorno agli anni 440 - 425 a.C. I viaggi che
portò a termine gli consentirono di allargare enormemente le conoscenze geografiche dei suoi
contemporanei. Le sue Storie erano essenzialmente dedicate alla lunga lotta che aveva opposto i Greci ai
Persiani, ma non tralasciò di includere ogni sorta di notizie sui popoli con i quali era venuto a contatto. Si
può ritenere che pur essendo venuto a conoscenza della nozione della sfericità della Terra, sostenuta in
particolare dai Pitagorici su basi filosofiche (la sfera come forma perfetta) abbia continuato per
semplificazione a trattarla come un disco piatto. Comunque, nei suoi scritti non manca di esprimere ironia
per certi luoghi comuni che continuavano ad essere usati (il "fiume" Oceano perfettamente circolare, come se
tracciato con un compasso, i dimensionamenti assurdi delle parti del mondo, ecc.). Con Erodoto emerge una
nuova visione della terra e della geografia, che non è più quella mitica ma nemmeno quella astrattamente
concettuale dei primi filosofi: essa si fonda piuttosto sull’esperienza diretta.
Un secolo dopo proprio a partire da argomentazioni sperimentali il filosofo Aristotele (384-322 a. C.)
sostenne la sfericità della terra, notando l’ombra circolare della terra nelle eclissi di luna e il mutare della
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posizione delle costellazioni rispetto all’orizzonte nel corso di lunghi viaggi.
Una pietra miliare nella storia della cartografia è rappresentata da Eratostene di Cirene (276 - 195 a.C ),
nominato da Tolomeo II Filadelfo direttore della Biblioteca di Alessandria, il più grande centro culturale
dell’antichità. E' certo che le conquiste di Alessandro Magno permisero alla comunità scientifica greca di
progredire enormemente, anche sulle conoscenze geografiche, e quindi anche Eratostene potè beneficiare di
esse. Egli realizzò una mappa di tutto l’Egitto e anche una rappresentazione di tutto il mondo abitato
(Οἰκουμένη) che realizzava una correzione (διόρθωσις) di quelle precedenti sulla base delle notizie raccolte.
Riprendendo l’intuizione di Dicearco di Messina (350 - 290 a.C.), egli suggeri che un certo numero di linee
fossero tracciate parallelamente a una di riferimento, in corrispondenza a città note, senza tuttavia
distanziarle regolarmente. Scrisse inoltre un trattato dal titolo Γεωγραϕία (nome coniato da lui stesso) in tre
libri.
Benché Eratostene fosse snobbato dai suoi contemporanei (lo chiamavano πένταθλος per essere esperto in
cinque discipline, ma anche “beta” in quando non primeggiava in nessuna), i moderni lo ritengono il "padre
della geografia scientifica". Certamente il più grande dei meriti che gli vengono ascritti è la misurazione
eccezionalmente precisa della circonferenza terrestre, da lui calcolata in 250.000 stadi (circa 39.375 km
contro i 40.000 reali).
Eratostene passò poi a considerare la dimensione del mondo abitato allora conosciuto, fornendo dati
esagerati per eccesso: 70.000 stadi in longitudine, dalle Colonne d'Ercole all'India e 38.000 stadi in latitudine,
dalla Terra delle Spezie (Somalia-Etiopia) all'isola di Thule (visitata nel IV sec. a. C da Pitea di Marsiglia,
identificata variamente con la costa norvegese, con l’Islanda o addirittura la Groenlandia). Per avere un'idea
dell'errore di Eratostene, si tenga presente che 70.000 stadi corrispondono a circa 140º di longitudine, cioè a
un'estensione non da Gibilterra all’India come pensava Eratostene, ma da Gibilterra alla Corea. E' degna di
nota, invece, la spiegazione geograficamente razionale che egli fornì per primo delle inondazioni annuali del
Nilo (le precipitazioni copiose che si avevano all'inizio della stagione estiva nelle regioni di origine del
fiume). In un frammento di poemetto da lui composto descrive la terra come composta di cinque fasce
climatiche, due glaciali, due temperate ed una torrida.
Il filosofo Posidonio di Apamea, vissuto dal 135 al 51 a.C., occupa un posto importante nella storia della
cartografia. Dopo aver viaggiato a lungo nel Mediterraneo, si stabilì a Rodi, dove aprì una scuola. Qui
realizzò anche la costruzione di un planetario, quale strumento didattico per le sue lezioni, che riproduceva i
moti celesti. Criticò la usuale suddivisione (risalente ad Aristotele) della superficie terrestre in cinque zone su
criteri climatici, sostenendo invece che si dovevano introdurre termini astronomici, quali i circoli tropici e i
circoli polari. Egli sulla base di calcoli astronomici (variazione della posizione nel cielo di una stella a
diverse latitudini), fornì un calcolo della superficie della terra (180.000 stadi) molto meno preciso di quello
di Eratostene, purtroppo seguito da Tolomeo e diffuso fino all’età moderna.
Marino di Tiro, che fiorì intorno all'anno 120 d.C., può essere considerato il primo a proporre la necessità di
un approccio matematico alle proiezioni cartografiche. Egli sosteneva la necessità di un reticolo di
meridiani e paralleli, probabilmente originato da una proiezione cilindrica centrale.
La fama dello scienziato alessandrino Claudio Tolomeo (ca. 100 - ca. 170 d.C.), attivo in numerosissimi
campi disciplinari, dall’ottica alla musica, dalla matematica alla storia, è legata a due opere di grandissima
influenza fino all’età moderna. La prima è la μεγάλη σύνταξις, un’opera di astronomia successivamente
tradotta e diffusa in arabo con il nome di “Almagesto” (“il più grande”). In essa egli afferma con prove
valide la sfericità della terra ma ne afferma anche contro Aristarco di Samo l’idea della collocazione
centrale nell’universo (geocentrismo) e la sua immobilità, che saranno pressoché incontestati fino a
Copernico e Galileo.
Nella Γεωγραϕική σύνταξις, nota semplicemente come Γεωγραϕία egli si distaccò dall’impianto
etnografico e filosofico dei suoi predecessori, sostenendo un approccio rigorosamente scientifico e
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matematico: per lui la geografia è essenzialmente cartografia, e la sua opera è "una guida geografica alla
costruzione di mappe”. Le più antiche copie pervenute (secolo XIII) appaiono costituite di otto "libri", alcune
delle quali corredate di carte: il primo atlante generale del mondo che sia sopravvissuto. Non sappiamo fino
a che punto corrispondessero realmente a quelle realizzate da Tolomeo o fossero state ricostruite da studiosi
bizantini seguendo le sue indicazioni. Per evitare, o quanto meno ridurre gli errori che si avevano nelle
proiezioni fondate su rette perpendicolari equidistanti, Tolomeo proponeva una proiezione conica. Questa
consisteva nel proiettare i punti della sfera terrestre su una superficie conica il cui asse coincideva con l'asse
terrestre, e che doveva intersecare la superficie terrestre stessa. Le coordinate sono date in gradi rispetto a un
meridiano di riferimento passante per le Isole Fortunate (le Canarie). Per rappresentare la parte conosciuta
dell'emisfero sud traccia un parallelo a sud dell'equatore (Equinoctialis) - distante da esso quanto la località
nordica di Meroe dista dall'equatore stesso-, e dei meridiani speculari a quelli della fascia superiore
corripondente. La parte restante non viene rappresentata, in quanto non abitata: si riteneva infatti che oltre la
zona torrida equatoriale non fosse più possibile la vita. Gran parte dell’opera è costituita da tabelle di località
abitate con latitudini e longitudini in gradi di città, estuari, sorgenti, monti, promontori, ecc Tolomeo
basandosi sulla misura della circonferenza terrestre di 180.000 stadi, trasmise alla posterità la erronea
nozione della estensione del mondo abitato (dalle Isole Fortunate, cioè le Canarie, all'India) per una metà
dell'intera circonferenza terrestre, cioè 180°, mentre ne occupavano poco più di 100. Agli studiosi del
Rinascimento quindi arrivò (1) la dimensione terrestre (erronea) di Tolomeo e (2) l'esagerata estensione
del complesso Europa-Asia (sempre di Tolomeo), con tutte le conseguenze.
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Senza dubbio la civiltà romana doveva possedere una buona cartografia. Il gran numero di strade realizzate,
le numerose guarnigioni disperse ai quattro angoli dell’impero, la formazione di specialisti misuratori
(agrimensores) sono tutti fattori che indicano una predisposizione a coltivare la costruzione di mappe, anche
se le testimonianze sono molto ridotte. Quando una colonia veniva fondata, o un territorio veniva suddiviso,
venivano redatti dei piani in duplice copia, una in metallo o in pietra, da essere esposta pubblicamente,
un’altra in lino, per gli archivi di stato.
Sappiamo anche di mappe costruite privatamente, come quella del mondo conosciuto (orbis pictus), fatta
costruire dal generale Marco Vipsanio Agrippa (63 - 12 a.C.), che si suppone basata su misurazioni stradali
fatte eseguire su tutto l’impero dall’imperatore Augusto (27 a.C. - 14 d.C.). Si tratta chiaramente di rilievi a
carattere unicamente militare e non astronomico. La mappa, che era completata da note descrittive redatte
dello stesso Agrippa, fu completata postuma solo nell’anno 20 d. C. ed esposta al Campo Marzio nella
Porticus Vipsania.
La diversità culturale tra i Greci e Romani si manifesta anche nelle loro concezioni cosmografiche e nel modo
di fare cartografia. Mentre i primi erano interessati agli aspetti astronomici e scientifici, i secondi puntavano a
finalità piuttosto propagandistiche o pratiche (militari o amministrative).
E’ il caso della famosa Tabula Peutingeriana, copia medioevale di una mappa antica, rinvenuta nel 1507
dall’umanista viennese Konrad Celtes, bibliotecario dell’imperatore Massimiliano I e passata poi al
collezionista Konrad Peutinger (1508 - 1547) di Augsburg da cui prende il nome. Pubblicata nel 1598 ad
Anversa è oggi custodita nella Biblioteca Nazionale di Vienna. Essa consta di una striscia di pergamena
lunga m 6,752 e larga circa 34 cm, oggi suddivisa in 11 fogli, segmenta, di circa 60 cm ognuno. Manca
l’estremità sinistra, corrispondente alla penisola iberica e alle isole britanniche. L'intero mondo abitato viene
enormemente schiacciato e deformato, ridotto ad unica asta diritta: l’Impero romano è visto come un
immane sistema di rettilinei stradali, che sembrano quasi annullare gli elementi fisici del territorio e i loro
rapporti. I mari, in particolare sono ridotti a strisce sottili e i fiumi assumono un percorso rigorosamente
longitudinale. Lo stravolgimento del profilo delle terre rappresentate è compensato dall'abbondanza e dalla
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precisione dei dati relativi alla distanza e ai tempi di percorrenza tra i nodi della maglia stradale di cui
l'impero disponeva nel periodo del massimo splendore. La tabula appartiene al genere degli itineraria, sorta
di grandi carte stradali illustrate diffuse in età imperiale che rispondevano ad esigenze di varia natura
economica e militare. Gli itineraria potevano essere picta, cioè figurati, come nel nostro caso, o
semplicemente adnotata, cioè ridotti ad elenchi scritti di distanze. Già nell'età giulio-claudia si assiste infatti
ad un eccezionale allargamento degli ambiti commerciali: l'instancabile attività dei mercanti, sostenuta
dall'enorme domanda dei generi di lusso da parte dei ceti elevati italici, produsse una spettacolare
dilatazione - dal Baltico alla Somalia, dall'Irlanda al Fezzan, all'India, alla Cina - del campo d'azione del
commercio romano. Ma vi potevano essere nondimeno motivi di carattere militare: conoscere il territorio è
importante per poter controllare i territori, far muovere velocemente le milizie, per sedare ribellioni o per
riscuotere meglio i dazi.
Tuttavia nella tabula peutingeriana non troviamo evidenziati tanto siti di interesse propriamente militare,
quando luoghi di culto, centri commerciali e impianti termali. Ciò rende improbabile una diretta derivazione
dall’orbis pictus di Agrippa, specie se si immagina quest’ultimo di forma circolare. Benché l’impianto attuale
della tabula risalga probabilmente al III secolo, è tuttavia significativa l’indicazione di città come Pompei,
Ercolano ed Oplonti decadute o scomparse dopo il I secolo d. C., che fa pensare comunque all’impiego fonti
di quell’epoca Altre modifiche avvennero in età tetrarchica e nei primi secoli del medioevo (V-VI) con il
rilievo dato alla principali capitali tardoantiche (Roma, Antiochia e Costantinopoli) e con indicazioni della
storia sacra (nel deserto del Sinai è indicato che lì gli Ebrei avevano errato per 40 anni). E’ probabile che la
forma definitiva della Tabula Peutingeriana venne fissata in questo periodo, anche se la copia viennese risale al
XIII secolo. Non conosciamo il nome dell’autore della Tabula, forse indicato nella parte mancante.
Nel Medioevo cristiano, crollato l’impero romano e rallentate le comunicazioni fra le varie aree del
Mediterraneo, si assiste ad una diminuzione di interesse per le problematiche geografiche a favore di una
lettura essenzialmente spirituale e mistica del mondo. Esso viene considerato un simbolo da decifrare per
cogliere l’impronta e la presenza del suo Creatore, un mistero da indagare impiegando la Bibbia come
principale strumento ermeneutico (= interpretativo). Ciò porta, se non sempre a rinnegare le conquiste
scientifiche dei geografi precedenti, a partire dalla sfericità della terra, quantomeno a discutere ogni
problema scientifico in un’ottica teologica.
Per quanto riguardava la cartografia, la Chiesa medioevale, quale erede spirituale della romanità, non
trovava nulla da condannare nelle pratiche cartografiche dei Romani e dei Greci. Ostacoli si ebbero solo per
le influenze astrologiche che erano esercitate su ciascuna di queste zone. Naturalmente anche la cartografia
medioevale-cristiana risentì fortemente dell'universale anelito cristiano allo spiritualismo e quindi a una
rappresentazione estremamente schematica e priva di abbellimenti estetici.
Sappiamo che Carlo Magno (724 - 814) possedeva una ricca collezione di mappe, comprese due tavole
d’argento, due delle quali erano piante di Roma e di Costantinopoli, e la terza una mappa del mondo (totius
mundi descriptio). Papa Zaccaria (741 - 752) che aveva realizzato una mappa del mondo in Laterano (orbis
terrarum descriptionem depinxit). Difficilmente una biblioteca di un monastero o di un nobile era sprovvista di
mappe. Le biblioteche medioevali fanno menzione non solo di mappe del mondo (mappae mundi) ma anche
mappe della Terra Santa e perfino di carte nautiche. In genere, le mappe medioevali sono piccole e
schematiche. La schematizzazione si accordava con la visione cristiana di proporre una scarsa esaltazione
delle cose terrene e di contrastare nello stesso tempo le acquisizioni scientifiche della paganità. Un tipo
particolarmente diffuso è costituito dalle mappe di tipo T in O, orientate con l’est in alto, a forma di disco;
l’Asia occupa la metà superiore e l’Europa e l’Africa i due quadranti inferiori. La fascia orizzontale
separante l’Asia da Europa e Africa è formata dal Tanais (Don), il Mar Nero, l’Egeo e il Nilo. Il
Mediterraneo è dato da una fascia verticale, ad angolo retto con la prima, in modo da formare un T. Il
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risultato erano le iniziali di Orbis Terrarum (mondo), ma la T può essere anche allusiva alla croce di
Cristo. Sono state chiamate Imago Mundi Rotonda, o anche Mappe Noachidi, dalla loro suddivisione biblica
in tre parti, una per ciascuno dei figli di Noé. Gli esemplari più antichi risalgono all’VIII secolo, ma dovevano
esservene di anteriori. I cartografi-copisti gradualmente inserirono sempre più dettagli negli originali disegni
schematici di Isidoro di Siviglia, modificando la forma in modo da adattarla al formato dei manoscritti.
Un altro tipo comprende le molte mappe del Beatus. Beatus di Valcavado, monaco benedettino spagnolo,
compilò il suo famoso Commentario dell’Apocalisse nel 776, aggiungendovi una mappa del mondo quale
illustrazione. Queste mappe differiscono grandemente per forma, dimensioni ed apparenza. Sono
invariabilmente orientate all’est (est in alto), e la superficie terrestre è talvolta suddivisa in quattro parti. In
esse il modello a T è infatti complicato dall’aggiunta degli antipodi, rappresentati all’estrema destra (cioè
a sud).
Uno sviluppo del modello a T in O è costituito dalla mappa di Ebstorf, risalente al XIII secolo. Essaera
preservata in un monastero benedettino a Ebstorf, presso Lüneburg Heath, e venne scoperta nel 1830. Nel
1845 passò in proprietà dell’Historisches Verein für Niedersachsen di Hannover, ma purtroppo fu distrutta
durante la seconda guerra mondiale. Consisteva di 30 fogli di pergamena, misurando complessivamente 3.58
x 3.56 metri.
Il probabile autore fu Gervasio di Tilbury, un inglese insegnante di legge canonica a Bologna, che fu in
seguito al servizio dei Guelfi come parroco di Ebstorf. Egli è anche conosciuto come l’autore di un’opera
storica-geografico-mitologica dal titolo Otia Imperialia, scritta nel 1211 e ancora disponibile. La mappa
geografica che il manoscritto doveva contenere è mancante. Sembra probabile che la mappa oggi conosciuta
come la mappa di Ebstorf sia proprio la mappa mancante dal manoscritto. La mappa è circolare, con
Gerusalemme al centro ed è disegnata su uno sfondo del Cristo Crocifisso, con la testa in alto (est) i piedi alla
base (ovest) e le braccia dirette per nord-sud. I monaci chiaramente usavano la mappa come un abbellimento
dell’altare. Malgrado sia del tipo T-O, mostra chiare influenze contemporanee. L’Africa non può più essere
contenuta nel quadrante a lei riservato, e si estende quindi verso est, spostando l’Asia. E’ coperta con diverse
figure di animali, piante e ogni genere di razze mitiche: uomini con la testa di cane, uomini con orecchie
gigantesche, piedi enormi, uomini con la coda.
Nel mondo islamico la cartografia fu inizialmente influenzata dalla conoscenza di Tolomeo: il califfo
Al-Mamun (786 - 833) inviò suoi emissari a comprare manoscritti di Tolomeo a Bisanzio. In seguito lo
studioso Muhammad ibn Kathir al-Farghani (morto nell’830) - Alfraganus per gli Europei - fece conoscere la
Geographia di Tolomeo. L’influenza tolemaica decadde comunque piuttosto rapidamente per lasciar posto ad
una cartografia araba incentrata sul medio oriente, con la Mecca come punto di riferimento, e l’orientamento
verso sud. Il suo periodo più splendido fu tuttavia quello arabo-normanno..
Nell’XI secolo terminò l’occupazione araba della Sicilia in seguito all’arrivo dei Normanni (1065-1070); i
nuovi sovrani, tuttavia, e in particolare il re Ruggero II il Guiscardo, posero tuttavia speciali cure nel
mantenere la cultura araba. Palermo era divenuta uno dei punti di incontro più celebrati di viaggiatori,
mercanti, pellegrini, crociati e studiosi di molte contrade. Non sorprende quindi che alla corte di Re Ruggero
prese corpo il proposito di compilare un insieme organico di informazioni geografiche su quanti più paesi
possibile, integrato da una carta geografica riassuntiva. Sotto il patronato di re Ruggero, fu chiamato a corte
il geografo Abdullah Ibn Idrisi (Al Idrisi), nato nel 1099 a Ceuta, per la compilazione di questo libro. Esso
doveva contenere le coordinate di un gran numero di località, le distanze tra di esse, la loro distribuzione
secondo le zone climatiche. Mappe delle varie regioni dovevano integrare le varie parti. Il titolo del libro,
secondo il costume arabo, doveva essere La delizia di colui che desidera viaggiare. Idrisi stesso era stato un
notevole viaggiatore, attraverso Francia, Spagna, Inghilterra, a Costantinopoli e in Asia Centrale. Da
studente all'università di Cordova aveva avuto accesso a una gran quantità di materiale scientifico
proveniente da diversi paesi. Sembra anche che per la buona riuscita dell'intrapresa, il re e Idrisi abbiamo
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reclutato un certo numero di "certi uomini intelligenti" da inviare in molti luoghi per eseguire gli opportuni
rilievi geografici. Il libro richiese più di 15 anni e venne considerato l'opera geografica più completa e
dettagliata apparsa in Europa nel secolo XII. Ciascuna delle sette zone climatiche viene suddivisa in dieci
sezioni verticali, arrivando quindi alla suddivisione della superficie terrestre in settanta quadrilateri, descritti
minuziosamente, con l'accompagnamento di una carta geografica. La carta geografica di Idrisi assunse la
forma finale di una piastra d'argento, delle dimensioni di 3,5 x 1,5 metri. Purtroppo, nel 1160 questa piastra
cadde nelle mani di una moltitudine di fanatici che la distrusse. Nel 1154 pochi mesi prima della morte di re
Ruggero il manoscritto dell'opera di Idrisi in latino ed arabo fu completato, assieme alla mappa rettangolare,
che constava di 70 fogli, e assieme a una piccola mappa mundi. L'autore chiamò questo libro Kitab Rudjar (il
Libro di Ruggero) e l'insieme delle mappe Tabula Rogeriana. Le carte di Idrisi, orientate con il sud in alto,
sono di eccezionale qualità in confronto a opere similari dello stesso periodo, sia per la ricchezza dei dettagli,
ma principalmente per il metodo scientifico che vi era impiegato. Mostra di conoscere i grandi fiumi Danu
(Danubio), Arin (Reno) e Albe (Elba). Nomina la Danimarca e la Snislua (Schleswig). Inoltre riconosce che il
Caspio è un mare chiuso (nelle mappe medioevali occidentali è rappresentato sempre come una baia
dell’Oceano).
La guida tipica per la navigazione nell’antichità greco-romana dei tempi classici era stato il periplus, cioè una
descrizione delle coste e dei porti, non corredata da carte. Sembra probabile che le carte nautiche medioevali
si siano sviluppate gradualmente a partire dai portolani, gli eredi degli antichi peripli. Il modo con cui
furono costruite teneva conto della "rosa dei venti”, innovazione legata all’introduzione della bussola
magnetica. Mentre nell'Oceano Indiano era diffusa la pratica astronomica della navigazione per latitudine,
in cui gli Arabi eccellevano da tempo, essendo stati i primi ad introdurre l'astrolabio nella navigazione, nel
Mediterraneo si navigava preferibilmente "a vista", cioè seguendo le coste. Ciò, tuttavia, non era sempre
possibile, ed ecco allora che riusciva estremamente utile acquisire familiarità con il sistema delle direzioni
dell'orizzonte. Questo spiega come mai sulle prime carte nautiche apparissero così tante rose dei venti. Nelle
carte nautiche medioevali, non fondate su rigorosi principi matematici, le linee che procedevano dalle rose
dei venti costituivano riferimento per delineare l'intero profilo della costa attraverso la definizione di punti
fondamentali. Esse servivano anche per la determinazione della rotta da assumere all'uscita da un porto.
Bastava porre la bussola sopra la carta nautica per rilevare direttamente l'angolo tra la punta dell'ago
magnetico e la direzione di destinazione.
La carta nautica più antica che ci sia pervenuta, che si ritiene sia stata realizzata a Genova prima della fine
del secolo XIII, è la cosiddetta carta pisana, scoperta in un archivio di Pisa nel secolo XIX e in seguito passata
alla Biblioteca Nazionale di Parigi. In essa sono tracciate con buona approssimazione le coste del
Mediterraneo, mentre quelle della penisola iberica, della Francia e dell'Inghilterra appaiono piuttosto
deformate. Essa rappresenta il bacino mediterraneo compreso il Mar Nero, quest'ultimo povero di
toponomastica rispetto al Mediterraneo vero e proprio, dove i toponimi sono fitti e perpendicolari alla costa.
La costa atlantica oltre Gibilterra è schematica e il sud dell'Inghilterra appena riconoscibile. Nella pergamena
è disegnata la scala delle distanze. Nel mare è tracciato un fitto reticolo di linee a partire da punti
d'intersezione regolarmente distribuiti, che formano due circonferenze tangenti, l'una nel bacino occidentale
e l'altra in quello orientale.
Grande evento culturale del secolo XV fu l’arrivo in Italia del Geographia di Tolomeo, insieme a un gran
numero di manoscritti bizantini. L’impatto sulla cultura europea fu enorme. La cartografia del Geographia
apparve subito come qualcosa di enormemente superiore alla cartografia contemporanea europea. Il compito
di tradurre il Geographia in latino fu intrapreso dallo studioso bizantino Emanuele Chrysoloras e portato a
termine, nel 1406, dal suo allievo toscano Jacopo d’Angiolo. La stampa dei manoscritti del Geographia
rappresentò un evento eccezionale: grazie ad essa molti europei poterono per la prima volta avere una
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visione abbastanza prossima al vero dei contorni geografici dei loro paesi. Il ritrovamento di Tolomeo
stimolò l'attività cartografica essenzialmente nel porre con urgenza il problema di costruire carte geografiche
con una proiezione che rispettasse rigorosamente metodi matematici. Non solo venivano introdotti nuovi
sistemi di costruzione delle carte ma si ampliava la estensione della superficie terrestre rappresentata, via
via che le scoperte geografiche facevano conoscere le estensioni delle terre e dei mari.
Nel secolo XV si svilupparono infatti i viaggi oceanici, grazie anche ai progressi nella struttura delle navi e
nell’uso di strumenti nautici. Per larga parte del secolo la navigazione oceanica europea fu quasi
completamente monopolizzata dai Portoghesi, dapprima sotto il principe Enrico il Navigatore (1394-1460).
Nel 1487-1488 durante il regno di Giovanni II, il portoghese Bartolomeo Diaz oltrepassò il Capo di Buona
Speranza e nel 1497-1499 Vasco de Gama compì la Circumnavigazione del’Africa giungendo in India fino a
Calicut.
Nel frattempo però anche la Spagna aveva intrapreso grandi imprese navali, e i sovrani Ferdinando II di
Aragona e Isabella di Castiglia appoggiarono nel 1492 il tentativo di Cristoforo Colombo di raggiungere le
coste orientali dell’Asia attravero l’Atlantico, che porterà il 12 ottobre il navigatore genovese a sbarcare a
Guahahani, nelle Bahamas.
Allo stesso anno 1492 risale il globo di Martin Behaim (Norimberga 1459 -Lisbona 1506), di 50,7 cm. di
diametro, soprannominato dal suo costruttore Erdapfel (mela terrestre). Esso è uno dei primi globi terrestri
moderni, ed è attualmente il più antico globo terrestre esistente; destinato al Consiglio municipale di
Norimberga, è oggi posseduto dal Museo di questa città. Behaim, un commerciante di Norimberga, sfruttò le
opportunità offertegli dal suo ceto sociale per viaggiare. Oltre a studiare il problema della misura della
latitudine in mare, sembra avere messo a punto un astrolabio in rame più preciso di quelli allora esistenti in
legno. Il suo globo, graduato in longitudine e latitudine, presenta il mondo così come doveva essere
concepito da Colombo (che difficilmente ebbe modo di vederlo). Seguendo il calcolo di Posidonio e poi di
Tolomeo, l’estensione in longitudine dell’Asia era esagerata, fino al punto di fare corrispondere le coste
della Cina con quelle dell’America, rendendo in tal modo possibile la diretta comunicazione attraverso
l’Atlantico.
Se delle carte geografiche che indubbiamente Colombo redasse nei suoi quattro viaggi, è sopravvissuto solo
lo schizzo della costa nord-ovest di Hispaniola, eseguito nel dicembre 1492, la prima grande carta a
rappresentare l’Europa e l’Atlantico fino alle Indie Occidentali è il planisfero di Juan de la Cosa (1500). Il suo
autore, un basco, era stato compagno di Cristoforo Colombo e Vespucci, e perciò utilizza fonti dirette,
riportando le scoperte di Colombo nelle Antille, di Cabral in Brasile, e di Caboto in Labrador (1497), di cui
costituisce l’unica autentica registrazione cartografica). Costruito sullo stile delle carte nautiche (con rose dei
venti e scala delle distanze), il planisfero è formato da due parti: quella di destra, che rappresenta il mondo
antico, registra le informazioni riportate dal Diaz dopo aver raggiunto Capo di Buona Speranza, quella di
sinistra disegna le terre del Nuovo Mondo. Questo si presenta, secondo la concezione colombiana, come una
vasta appendice dell'Asia.
All’inizio del XVI secolo in Germania il centro più prestigioso per la costruzione di carte era Norimberga: la
sua fama fu tuttavia oscurata da una piccola cittadina dei Vosgi, St Dié, sede del duca Renato II di Lorena,
che era particolarmente attratto dalla geografia. Il più importante esponente fu Martin Waldseemüller (1470
- 1518) che dedicò tutte le sue energie alla produzione di carte. Nel 1507 egli produsse un globo e una carta
del mondo, incisa in 12 fogli. Reca il titolo “Universalis Cosmographia secundum Ptolemaei traditionem et
Americi Vespucci aliorumque lustrationes”. Le coste americane erano mostrate come Provincia inventa per
mandatum regis Castelli (provincia scoperta per mandato del re di Castiglia). E nel testo descrittivo di
accompagnamento alla carta, Waldseemüller propose che la nuova terra fosse chiamata “America” in
onore di Amerigo Vespucci, che fra 1499 e 1502 ne aveva esplorato le coste meridionali. Sul margine
superiore della stessa carta il Waldseemüller rappresenta a sinistra Tolomeo, un vecchio barbuto che
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sostiene un mappamondo con i tre continenti fino allora conosciuti, a destra Vespucci, dall’aspetto giovanile,
che regge un mappamondo con le nuove terre, simbolo di una nuova geografia capace di guardare a quella
antica senza complessi di inferiorità. Il fatto stesso di conferire al nuovo continente il nome di un uomo
contemporaneo e non di una creatura mitologica, come nel caso dell’Europa, dell’Asia e dell’Africa,
mostrava in Waldseemüller l’intento di esaltare l’importanza e l’autonomia della propria epoca: i moderni
avevano realizzato imprese del tutto degne dell’antichità.
Il notevole ampliamento dell'orizzonte geografico verificatosi nell'arco di due soli decenni poneva nuovi
problemi ai cartografi. Non solo diventava sempre più difficile rispettare l'autorità di Tolomeo, ma si faceva
sentire l'esigenza di ricercare nuove soluzioni per rappresentare la sempre più complessa immagine del
mondo. A partire dal 1520 la graduazione in longitudine incominciò ad apparire sull’equatore, mentre quella
in latitudine era già stata introdotta da un ventennio.
II Cinquecento è caratterizzato anche da una copiosa produzione di globi terrestri. Il loro uso fu abbastanza
diffuso per la risoluzione teorica dei problemi della navigazione, ma non poteva avere applicazioni pratiche
per le dimensioni necessariamente limitate di quelli impiegabili a bordo. All’epoca le normali carte nautiche
erano dotate di una griglia di meridiani e paralleli, perpendicolari fra loro: tuttavia la scala adottata per la
graduazione in longitudine era impiegata anche per la graduazione in latitudine. Le carte così concepite,
fondate su una scacchiera regolare di meridiani e paralleli, si dissero “carte piane”: esse rappresentarono
un fondamentale punto di svolta nella cartografia perchè stabilirono il principio per il quale su una carta i
punti dovevano essere introdotti in base alla determinazione delle coordinate geografiche. Tuttavia esse non
potevano servire a determinare con precisione la rotta perché non erano isogoniche, cioè non facevano
corrispondere sulla carta il rapporto angolare che si stabiliva nella realtà fra la linea di rotta e l’incrocio dei
meridiani e dei paralleli. Quando infatti un timoniere mantiene un angolo costante, la nave taglia i meridiani
sempre con lo stesso angolo. Tale linea di rotta, detta lossodromia, è in realtà una linea curva che, se
proseguisse, finirebbe per avvolgersi indefinitamente a spirale intorno ad uno dei poli senza mai
raggiungerlo. La lossodromia non corrisponde alla via più breve tra due punti del globo (cioè
l’ortodromia), che comporterebbe una continua correzione di rotta incrociando i meridiani sempre con
un’angolazione diversa, seguendo la curvatura terrestre, ma è quella più pratica per i timonieri, che
consente cioè di mantenere la stessa direzione. A metà del XVI secolo divenne quindi una esigenza
determinante ottenere un metodo per tracciare le rotte lossodromiche sulle carte con una retta (rettificazione
delle lossodromie). Ma ciò presupponeva da un lato la presenza di una carta dal reticolato rigorosamente
perpendicolare per calcolare con precisione gli angoli, cosa impossibile in un globo o in un planisfero con
linee curve, dall’altro la corrispondenza degli angoli sulla carta con quelli nella realtà.
Il primo tentativo empirico di costruire una carta che consentisse di tracciarvi una rotta con una semplice
retta fu fatto dall’olandese Gerard Kremer (1512-1594), che si firmava con il nome latino di Mercator.
Discepolo del celebre Gemma Frisius, Mercator acquistò all'Università di Lovanio conoscenze di tecnica
cartografica, entrando poi in contatto con la cultura spagnola. A Duisburg diede alle stampe varie opere
importanti, fra cui il grande planisfero del 1569 Nova et accurata orbis terrae descriptio ad usum navigantium
emendata et accomodata: le 24 carte che lo compongono sono disegnate con un sistema di proiezioni che,
sebbene ulteriormente perfezionato in seguito, è ancora oggi la proiezione universalmente adottata per le
carte nautiche. Il principio fondamentale di Mercatore è quello della latitudine crescente. In pratica
Mercatore immaginò la sfera della Terra all'interno di un cilindro, tangente lungo l'equatore, ponendo il
punto di vista della proiezione al centro della stessa sfera. In questo modo i paralleli venivano proiettati
sulla superficie del cilindro sempre più distanti fra loro via via che ci si allontanava dall’equatore; i poli,
in tal modo, non possono essere rappresentati, ma ciò non importava per la navigazione. In realtà,
applicando rigorosamente questo principio di proiezione, la dilatazione della distanza dei paralleli verso i
poli sarebbe stata eccessiva per l’esatto calcolo delle lossodromie. La proiezione di Mercatore presenta così
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una correzione, fondata sulla proporzionalità fra la dilatazione della distanza fra i meridiani verso i poli con
quella fra i paralleli. Non si conoscono i procedimenti matematici precisi con cui Mercatore costruì la
graduazione della nuova carta, la quale, tuttavia, riuscì assai prossima alla esattezza; il principio corretto
venne esposto in tutta la sua chiarezza dall’inglese Edward Wright (1560-1615), al servizio della Compagnia
delle Indie.
Nel 1585 Mercatore pubblicò il primo volume, dedicato a Francia, Belgio e Germania, di una collezione di
carte moderne, ricercate con estrema cura, denominata, per la prima volta, Atlas, con riferimento al titano
che nella mitologia reggeva il mondo. L'Atlas, completato solo 10 anni dopo, si presenta come una
elaborazione originale del copioso materiale diffuso nel '500, preceduta da alcune osservazioni sui problemi
generali del cosmo e della Terra; le singole carte sono inoltre corredate da un breve testo. Essa si amplierà
nelle successive edizioni, curate dagli eredi di Mercator.
Anche un altro fiammingo, Abraham Oertel (Ortelio, 1527-1598), curò una raccolta di carte moderne (70
incise su rame) di vari autori, escludendo per la prima volta tutte le carte tolemaiche, con il titolo Theatrum
Orbis Terrarum (1570). Da notare che in Ortelius, come in Mercatore, persiste l’idea di una grande terra
australis incognita, estesa ben oltre l’Antartide, di cui facevano parte la Terra del fuoco in America
meridionale, ma anche le coste dell’Australia, conosciuta ben prima del viaggio di James Cook (1770), che
ebbe il merito di dimostrarne la natura insulare.
A testimoniare lo stretto legame fra Geografia ed Astronomia nel XVII secolo è la coppia di tele, conservate
rispettivamente a Francoforte e al Louvre di Parigi, del sommo pittore fiammingo Jan Vermeer (1632-1675),
che presentano un geografo e un astronomo nel loro studio. Il geografo pare intento a riportare su una carta
quanto sembra osservare da una finestra a vetri, significativamente suddivisa da una griglia ortogonale come
in un reticolato geografico. L’astronomo è raffigurato seduto a un tavolo, mentre sembra cercare le
corripondenze fra un globo celeste e il contenuto di un libro; la finestra è opaca e sembra isolarlo del tutto dal
mondo esterno. Accanto ai globi terrestri, quelli celesti, che rappresentavano la volta del cielo con tutte le
costellazioni, erano uno strumento assai diffuso all’epoca, impiegati per studi che univano all’aspetto
astronomico quello più propriamente astrologico.
Contemporaneo di Vermeer è il più importante costruttore italiano di globi, Vincenzo Coronelli (Venezia
1650–1718). Dopo essere stato apprendista falegname a Ravenna, intraprese qui la carriera religiosa
nell’ordine dei Minori Conventuali, di cui divenne generale nel 1701. Iniziò l’attività di cartografo
realizzando dei globi per il principe di Parma; fra il 1681 e il 1683 curò la costruzione per Luigi XIV (il re Sole)
di un globo terrestre e di uno celeste di quattro metri di diametro. Quello celeste, che rappresentava la volta
del cielo nel momento della nascita del re, è un globo di tipo convesso, che mostra la volta celeste come
apparirebbe dall’esterno dell’universo, con la terra al centro. Nel 1684 Coronelli fondò a Venezia una delle
prime società geografiche del mondo, l’Accademia degli Argonauti, e l’anno successivo divenne il cartografo
ufficiale della Serenissima, per la quale progettò una serie di importanti lavori pubblici. Fra le sue 147 opere
pubblicate, talora copiando interamente opere altrui, la sua produzione geografica e cartografica è assai
cospicua: più di duecento carte geografiche raccolte in diversi atlanti, tra cui l’Atlante Veneto (1690), l’Isolario
(1696-1698) e Cronologia Universale (1707). Proseguì inoltre la realizzazione di globi terrestri e celesti, a partire
dalla realizzazione di fusi di carta con decorazione a stampa da incollare all’esterno dei globi. Fra di essi si
ricordano il globo celeste conservato a Faenza anche i due globi custoditi presso la Biblioteca Classense di
Ravenna, che lo stesso Coronelli donò nel 1690 ai frati Minori di Ravenna. Quello celeste in particolare è un
globo concavo che riporta capovolto sulla superficie esterna l’aspetto della volta celeste come si vedrebbe
dall’interno. Coronelli si può considerare più un divulgatore che un vero e proprio astronomo e geografo: le
sue carte e i suoi globi, che ottennero un grande successo per il loro valore decorativo, si fondano sui dati,
non sempre aggiornati, delle scoperte altrui. In particolare le carte geografiche si fondano sui modelli
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fiamminghi, in quanto particolarmente efficaci dal punto di vista ornamentale, benché meno precisi di quelli
francesi coevi.
Già nel XVI secolo l'autorità pubblica di vari stati era intervenuta per dare origine alla "cartografia ufficiale",
conservata in appositi archivi. A favorire una precisa mappatura del territorio servì l'introduzione della
"triangolazione", cioè del calcolo della distanza di un punto da altri due, di cui si conosce la distanza,
attraverso la misurazione ottica degli angoli. Di importanza fondamentale fu in particolare la realizzazione
in circa 70 anni di una carta generale della Francia, di 11 m. × 11, in 182 fogli, ad opera della famiglia di
astronomi e geografi Cassini, completata nel 1793.
Nell’età contemporanea la cartografia ha assunto carattere sempre più rigorosamente scientifico grazie alla
aerofotogrammetria (mappatura del territorio tramite la fotografia aerea) e ai sistemi satellitari, in grado di
fornire dati di assoluta precisione anche sugli aspetti geodetici (la geodesìa è la scienza che studia la forma
del pianeta terra).
Attualmente le carte geografiche impiegano vari tipi di proiezioni, secondo l’estensione del territorio da
cartografare, e la funzione della carta stessa.
Rispetto alle loro proprietà prevalenti, le proiezioni si distinguono in
1. equidistanti, se mantengono inalterati i rapporti di distanza fra punti (es. carte stradali)
2. equivalenti, se mantengono inalterati i rapporti fra le estensioni delle aree
3. isogoniche o conformi, se mantengono inalterati i rapporti angolari rispetto alla rete di meridiani e
paralleli.
Nessuna carta può corrispondere contemporanemente a due di queste proprietà: se si cerca un compromesso
attraverso deformazioni minime si parla di carte afilattiche.
Rispetto al principio geometrico di proiezione le carte si dividono invece in
1. azimutali, ottenute mediante un piano tangente alla sfera in un punto qualunque della stessa, a loro volta
distinte in:
a. centrografiche (il punto di osservazione coincide con il centro della sfera e si proietta sul piano della carta
gnomonica polare);
b. stereografiche (il punto di osservazione è sulla superficie della sfera opposta al piano di proiezione);
c. ortografiche (il punto di osservazione è all'infinito e si proietta sul piano tangente al polo opposto).
2. coniche, che si realizzano proiettando i punti della sfera su un cono tangente ad un parallelo.
3. cilindriche, che si ottengono avvolgendo il globo con un cilindro tangente all'Equatore.
4. cilindriche trasverse, che si ottengono avvolgendo il globo con un cilindro tangente a due meridiani
opposti
Fra le proiezioni cilindriche, è isogonica quella di Mercatore, mentre è equivalente quella prodotta negli
anni ’60 da Arno Peters (1916-2003). Anch’essa è fondata su un reticolato ortogonale con i meridiani
rappresentati come linee rette equidistanti; tuttavia se Mercatore, interessato alla conservazione dei rapporti
angolari, aveva aumentato la distanza fra i paralleli verso i poli, aumentando progressivamente in tal modo
anche le aree comprese fra essi, Peters, interessato a conservare le proporzioni fra le aree, diminuisce
progressivamente la distanza fra i paralleli. In questo modo i territori nelle alte latitudini, compresa
l’Europa e il Nord America, vengono vistosamente deformati nella forma (cioè allargati e schiacciati), ma è
rispettato il rapporto della loro estensione rispetto alle altre zone del globo, senza ingrandirli
artificiosamente come nella proiezione di Mercatore. Secondo Peters, infatti, questa rafforzava un immagine
del mondo imperialista ed eurocentrica, dominata dai paesi nel Nord del globo, a spese di quelli del terzo
mondo, situati nella zona equatoriale, che vedevano di fatto diminuire anche nella carta la loro rilevanza
rispetto ai precedenti. La carta di Peters si fonda invece sui seguenti princìpi:
* Fedeltà alla superficie: mostra tutte le aree secondo le loro reali dimensioni, distribuendo omogeneamente
le deformazioni su tutte le aree del globo.
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* Fedeltà all’asse: tutte le linee Nord-Sud sono verticali.
* Fedeltà alla posizione: tutte le linee Est-Ovest sono parallele ed orizzontali.
* Totalità: rappresentazione completa della terra senza tagli o doppie rappresentazioni.
* Proporzionalità: gli errori sono regolarmente distribuiti e non concentrati nelle aree culturalmente più
lontane.
* Colori base per ogni continente: tradizionalmente le colonie avevano lo stesso colore degli stati
colonizzatori. Peters sceglie un colore base per ogni continente ed assegna ai singoli paesi delle varianti di
sfumature per definire le nazioni.
Adottata ufficialmente da organismi delle Nazioni Unite, fra cui l’Unicef, la carta di Peters è stata peraltro
criticata da molti geografi sia per l’impianto ideologico, per le sue approssimazioni matematiche.
Un'altra carta equivalente, ma di tipo pseudoconico, è quella di Mollweide (1805), detta omalografica (da
ὀμαλός=piano). L’ellisse entro cui è rappresentata la terra ha l’asse maggiore (=equatore) doppio ripetto a
quello minore, che corrisponde al meridiano centrale. I restanti meridiani sono archi di ellisse che si uniscono
ai poli.
Mentre la proiezione omalografica di Mollweide è continua, perché non presenta fratture nell’ellisse, quella
di Goode, detta omalosina (=omalografica + sinusoidale) (1923) è un proiezione equivalente interrotta: essa
cerca con alcuni compromessi di rappresentare (con fratture nelle aree oceaniche) le masse continentali con
minime distorsioni mantenendo rettilineo un meridiano centrale in ciascuna di esse.
Attualmente a livello internazionale la proiezione più usata per carte regionali è la UTM (Universale
Tranversa di Mercatore), perfezionata da Gauss nel 1822. Essa si basa sulla proiezione del reticolato
geografico su un piano cilindrico tangente ad un meridiano: in questo modo le deformazioni sono minime
nell’area di tangenza, mentre aumentano verso le estremità.
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