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Parte terza. La vita del diritto
I. Le vicende giuridiche: fatti, atti e tempi
Fatti
1. Il diritto disciplina le condotte di chi vive in società ed è pertanto attraversato da una serie di
dinamiche. In particolare, le regole giuridiche hanno una fattispecie, alla quale collegano una
conseguenza che consiste nella creazione, modificazione o estinzione di posizioni giuridiche in
capo a determinati soggetti. Ogni fattispecie è scomponibile in condizioni (requisiti) soggettive ed
oggettive che descrivono fatti identificabili nei casi della realtà sociale. Sono quindi fatti giuridici
le situazioni o vicende di soggetti, oggetti e posizioni, circostanziati nel tempo e nello spazio, che
realizzano la fattispecie di una norma giuridica strutturata come regola (se a allora b).
2. I fatti giuridici si possono distinguere in naturali e culturali. Sono fatti giuridici naturali eventi
che possono avvenire anche senza una volontà, ad es. la nascita o la morte di una persona fisica, la
maturazione del frutto naturale di una cosa (art. 820 c.c.), una calamità naturale. Sono fatti naturali
anche la semplice decorrenza del tempo e l’esistenza di uno spazio. Sono fatti giuridici culturali
invece i comportamenti e le condotte imputabili alla coscienza e volontà di un essere umano,
capace di intendere e volere (art. 42 c.p.), cioè riconducibili a decisioni.
3. I fatti culturali possono essere leciti o illeciti. Sono illeciti le condotte che violano divieti
giuridici ed integrano una fattispecie di responsabilità penale (art. 25 co. 2 cost.), civile (art. 2043
c.c. danno ingiusto) o amministrativa (disciplinare). Sono fatti leciti tutte le condotte che non danno
luogo a situazioni di responsabilità. Sono fatti leciti anche le attività o i cd. meri atti che rientrano
nell’esercizio di una facoltà derivata da un diritto o potere pubblico o attraverso i quali si
adempiono doveri e obblighi di condotta. Tali attività lecite possono estinguere delle posizioni
giuridiche proprie o altrui (ad es. consegne, opere edilizie, servizi, consumi), ma non le creano o
modificano.
Atti
4. Sono invece atti giuridici quei fatti culturali riconducibili a decisioni e scelte che producono
effetti giuridici per le posizioni giuridiche proprie o altrui, rientrando nell’esercizio di un potere
privato o pubblico. Se un atto giuridico viola norme giuridiche, può essere viziato di illegittimità ed
essere sanzionato con nullità o annullabilità o dare luogo ad una mera irregolarità, correggibile
ad es. attraverso un atto di rettifica. Trattandosi in genere anche di fatto culturale illecito, può
inoltre dare luogo a responsabilità.
5. Gli atti giuridici privati sono per lo più detti negoziali (“sine ozio”), cioè dichiarazioni di
volontà che sono espressione della loro autonomia quali signori dei propri interessi nel rispetto dei
limiti della legge. Alcuni atti privati devono avere la forma di un atto pubblico notarile (art. 2699
c.c.) ed essere trascritti in registri pubblici, altri possono essere provati con semplice scrittura
privata. Gli atti giuridici pubblici possono essere anche non negoziali e informali (proposte,
designazioni, consultazioni) e sono caratterizzati da situazioni di eteronomia (impongono vincoli
dall’esterno). Devono non solo rispettare la legge come limite, ma anche fondarsi su poteri istituiti
dalla legge nell’interesse pubblico. Pertanto l’atto pubblico deve a) essere finalizzato all’interesse
pubblico, b) essere giustificato da un titolo di attribuzione del potere (competenza), c) rispettare la
tipicità delle forme. A differenza degli atti dei privati, ai quali è fatto divieto di farsi giustizia da
se, gli atti pubblici del potere esecutivo e del potere giudiziario possono contenere comandi o divieti
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che l’autorità può portare a successivi atti di esecuzione forzata anche contro la volontà di terzi (cd.
esecutorietà).
6. L’esecutorietà è un aspetto particolare della efficacia, cioè della capacità dell’atto pubblico di
produrre effetti giuridici, costituendo o modificando posizioni. L’efficacia non va confusa con la
validità dell’atto, cioè la conformità rispetto alle norme che ne disciplinano la produzione. Una
legge o un provvedimento amministrativa o giurisdizionale viziato da illegittimità o eccesso di
potere può essere nullo o annullabile, quindi perdere l’efficacia ex tunc (anche per il passato) o ex
nunc (per il futuro). L’efficacia dell’atto come capacità di raggiungere risultati non va neppure
confusa con l’efficienza di un’attività (o di un servizio, di una organizzazione) intesa come
relazione adeguata tra mezzi e risultati.
Tempi
5. Il tempo è, come il luogo, un contesto naturale o un elemento di un fatto culturale la cui
misurazione è disciplinata da convenzioni internazionali. Il “tempo libero” è una risorsa della vita
privata, riconosciuta anche dalle garanzie costituzionali della durata massima della giornata
lavorativa (art. 36 cost.) e dalla legge n. 53/2000 sulla gestione dei “tempi di funzionamento delle
città”.1 Stabilendo dei termini, le norme giuridiche perseguono tuttavia spesso lo scopo di fissare
certi comportamenti umani nel tempo e di programmare le attività pubbliche future, ma possono
anche – entro certi limiti – regolare fatti del passato (v. infra). Termine è il momento nel quale il
decorso del tempo matura un determinato effetto giuridico. Iniziale (dies a quo, ore 0.00) è il
termine alla cui scadenza iniziano a prodursi certi effetti (ad es. art. 73: entrata in vigore delle
leggi), finale (dies ad quem: ore 24) il momento in cui cessano gli effetti (ad es. art. 60, 61: fine
della legislatura con eventuale proroga del termine della carica (cd. prorogatio). Se il termine è
indicato con un numero di giorni, mesi o anni, nel calcolo non si include il primo giorno e se
l’ultimo giorno cade su una festività (nazionale), il termine è prorogato al giorno successivo (art.
2963 c.c.).
6. Il mancato rispetto di un termine obbligatorio per il compimento di atti può comportare una
responsabilità, ad es. in caso di inadempimento di obbligazioni la messa in mora mediante
intimazione o richiesta fatta per iscritto (art. 1219 c.c.) o, in caso di tardiva immatricolazione, il
pagamento di sovra-tasse. In caso di termine perentorio, la sanzione consiste nella decadenza da
una posizione giuridica attiva, ad es. ricorso al giudice amministrativo o alla Corte costituzionale
contro leggi statali o regionali costituzionalmente illegittime (art. 127) entro 60 gg. In caso di
termine ordinatorio, la cui scadenza non comporta decadenza (ad es. art. 73 Cost.) ma può dare
luogo ad una responsabilità politica e all’esercizio di un potere che impone un termine perentorio.
La prescrizione (art. 2934 c.c.) comporta l’estinzione (anche solo presuntiva) di un diritto
soggettivo non fondamentale, quando non è stato esercitato per un certo periodo (10 anni normale, 5
risarcimento danno, 3 lavoro, 2 assicurazione). L’usucapione comporta l’acquisto di un diritto
privato, ad es. proprietà immobiliare (20 anni) o mobiliare (10 anni) se possesso in buona fede.
7. La gestione dell’agenda politica fa parte delle funzioni di governo. Per le attività pubbliche vige
il principio della programmazione (non solo finanziaria) e calendarizzazione (ad es. anno
accademico o sessioni e sedute parlamentari). Termini acceleratori (ad es. art. 73 cost.)
garantiscono l’interesse del pubblico a scelte rapide, termini dilatori l’interesse ad una maggiore
Art. 1: “La presente legge promuove un equilibrio tra tempi di lavoro, di cura, di formazione e di relazione, mediante:
a) l'istituzione dei congedi dei genitori e l'estensione del sostegno ai genitori di soggetti portatori di handicap ; b)
l'istituzione del congedo per la formazione continua e l'estensione dei congedi per la formazione; c) il coordinamento
dei tempi di funzionamento delle città e la promozione dell'uso del tempo per fini di solidarietà sociale.”
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preparazione e riflessione delle stesse (art. 138). Per le scelte contingenti e rapide possono essere
previste particolare competenze (ad es. adozione di decreto-legge ex art. 77), provvedimenti
provvisori delle autorità di p.s. (art. 13 co. 3) e provvedimenti cautelari del giudice, sempre nel
rispetto dei limiti massimi della carcerazione preventiva (art. 13 u.c.).
II. Le decisioni delle autorità pubbliche: procedimenti, processi, procedure
12. Gli atti giuridici di diritto pubblico si formano in appositi procedimenti. A differenza di un atto
complesso adottato da più organi, il procedimento è una sequenza (catena) di atti ed attività nel
tempo che portano all’adozione di una decisione, cioè l’atto finale. I procedimenti sono una
specialità del diritto pubblico, perché razionalizzano e legittimano l’esercizio di poteri tecnici e
politici. La tipologia dei procedimenti è molto varia, ma si possono distinguere i seguenti tipi
principali: il procedimento amministrativo, il processo giurisdizionale (o giudiziario: giustizia
civile, penale, amministrativa) e la procedura parlamentare (procedimento legislativo,
procedimenti di indirizzo e controllo). Sono procedimenti di tipo misto ad es. quello della
giurisdizione volontaria o quello elettorale.
13. Per quanto riguarda le fonti normative che disciplinano i procedimenti, la procedura
parlamentare è disciplinata da fonti autonome del parlamento (art. 64: regolamento parlamentare),
il processo giurisdizionale da fonti eteronome dei codici di procedura civile e penale e del codice
del processo amministrativo (2010), il procedimento amministrativo da fonti miste contenute sia
nella l. n. 241/1990 (e analoghe leggi regionali), sia in appositi regolamenti amministrativi.
14. Per quanto riguarda i soggetti coinvolti, il processo riguarda in genere una struttura trilaterale
di rapporti (giudice e parti: attore e convenuto, p.m. ed indagato, ricorrente e amministrazione
resistente), il procedimento amministrativo una struttura bilaterale (privato – p.a.), con l’eccezione
ad es. dei concorsi o delle pianificazioni (art. 9 l. n. 241/1990). La procedura parlamentare si fonda
invece su una struttura multilaterale che coinvolge tutte le forze politiche rappresentate in
parlamento, anche se la democrazia bipolare è dominata da una dialettica tra maggioranza ed
opposizione.
15. Nell’analisi giuridica, tutti i procedimenti si articolano in quattro diverse fasi (iniziativa,
istruttoria, deliberazione, integrazione dell’efficacia) che possono formare a loro volta dei “subprocedimenti”. Per quanto riguarda l’iniziativa, il giudice non ha mai l’iniziativa del processo che è
sempre esterna e istanza di parte (art. 24). Solo l’azione penale è dovere del p.m. (art. 112 cost.) e
la promozione di questioni pregiudiziali davanti ad altri giudici è riservata al giudice (costituzionale
ed europea). Il procedimento amministrativo può essere attivato d’ufficio o su istanza di altri
soggetti privati o pubblici. La procedura parlamentare invece è semovente, essendo il parlamento
anche libero di non portare avanti iniziative provenienti dall’esterno (ad es. disegni governativi di
legge, petizioni).
16. L’istruttoria parlamentare è affidata alle commissioni permanenti e alle commissioni di
inchiesta (art. 82: con stessi poteri dell’autorità giudiziaria), spesso anche solo a comitati di
indagine informali e temporanei o tramite interrogazioni e interpellanze rivolte al Governo. Nei
procedimenti legislativi, il parlamento può accertare fatti sociali rilevanti per la scelta legislativa, i
cd. fatti legislativi (consuetudini, bisogni, opinioni ecc.), nei procedimenti di indirizzo e controllo
anche fatti rilevanti per la responsabilità politica del Governo, non invece per la responsabilità
penale di privati. L’istruttoria parlamentare in senso più ampio include l’acquisizione di opinioni
attraverso dibattiti e audizioni di soggetti esterni.
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17. L’istruttoria amministrativa, che include l‘acquisizione di pareri su questioni tecniche o di
interpretazione, avviene d’ufficio da parte del responsabile del procedimento con l’eventuale
partecipazione degli interessati e di altre amministrazioni (ad es. in conferenza dei servizi). Il
privato può partecipare all’accertamento mediante atti di notorietà (dichiarazioni rese da testimoni
sotto giuramento davanti a notaio o sindaco) o dichiarazioni sostitutive di certificazione o di atto
di notorietà, firmate in presenza del funzionario addetto (T.U. in materia di documentazione
amministrativa, d. lgs. n. 335/2000). Procedimenti particolari di accertamento sono l’ispezione e
l’inchiesta amministrativa, ad es. per procedimenti di controllo e vigilanza, che si concludono con
un verbale, un rapporto o una relazione.
18. Nell’istruttoria giudiziaria, l’accertamento dei fatti da parte del giudice esige una formale
assunzione di prove in udienza. Sono mezzi di prova documenti e testimonianze, nel processo
civile anche confessioni, giuramenti di parte ed ispezioni, in quello penale anche l’esame delle parti,
confronti, ricognizioni, esperimenti giudiziali e perizie. Nel processo civile, il libero convincimento
del giudice dipende dalle iniziative e dal contraddittorio delle parti (art. 111 cost.) sulla base di
presunzioni legali e semplici (art. 2728, 2729 c.c.) e degli oneri di prova.2 Nel processo penale, le
prove sono acquisite dal p.m. che si avvale della polizia giudiziaria ai fini delle indagini preliminari
(art. 109 cost.) e dal giudice dell’udienza di dibattimento (principio inquisitorio) che deve sempre
decidere in dubbio pro reo (art. 27 co. 2).
19. Nella fase dell’istruttoria, il procedimento può avere momenti di negoziazione. La dialettica
parlamentare premia le negoziazioni informali e gli accordi politici tra i partiti politici sulle
decisioni finali, anche in sede di conferenza di capigruppo. Le parti di un processo possono disporre
dell’esito del processo negoziare transazioni (civili), conciliazioni (lavoro, commercio) e
patteggiamenti (penale). Anche il procedimento amministrativo può avere elementi di negoziazione.
Possono essere acquisiti memorie dei partecipanti e pareri di altre amministrazioni e negli enti locali
possono essere previste anche forme di partecipazione del pubblico. L’amministrazione può
negoziare accordi integrativi e sostitutivi del provvedimento finale con i privati e varie forme di
accordi anche con altre amministrazioni (ad es. accordi di programma).
20. Per quanto riguarda la durata del procedimento, la ragionevole durata di un processo (art.111;
art. 6 CEDU; L. n. 89/2001 detta “Legge Pinto”) è più lunga di quella di un procedimento
amministrativo, perché esige ragionamenti del giudice e delle parti. Esistono criteri di priorità per la
fissazione di udienze in materia penale e criteri per la responsabilità civile del giudice troppo lento
(3 anni primo grado, 2 appello, 1 cassazione). Il procedimento amministrativo deve essere concluso
invece entro termini certi anche se non perentori (in genere 30 giorni, salvo norme derogatorie). Le
procedure parlamentari sono programmate autonomamente dal parlamento stesso e possono
durare al massimo fino alla fine della legislatura (5 anni). In virtù della discontinuità dei lavori, il
nuovo parlamento può ma non deve ricominciare i procedimenti non terminati dalla legislatura
precedente.
21. La deliberazione finale del procedimento avviene negli organi collegiali mediante votazione
secondo regole di maggioranza. L’atto finale deve avere una certa forma, in particolare una
intestazione (soggetto), una data, evt. anche un luogo, una firma, nonché evt. un dispositivo e una
motivazione (p.q.m.). Mentre le deliberazioni parlamentari (leggi, voti, risoluzioni) non sono
soggette ad obbligo di motivazione, le sentenze (art. 111) e i provvedimenti amministrativi (art. 3 l.
n. 241/1990) devono sempre essere motivati. La sentenza contiene una ricostruzione del “fatto” e
un considerato in “diritto”. La motivazione del provvedimento amministrativo deve indicare “i
Art. 2677 c.c.: “Chi vuol fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti ch ne costituiscono il fondamento. Chi
eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto, deve provare i fatti su cui
l’eccezione si fonda.”
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presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione amministrativa, in
relazione alle risultanze dell’istruttoria.” La legge consta di articoli, commi e periodi formati
secondo apposite regole tecniche di “drafting”. Le fonti comunitarie e gli atti con forza di legge
del governo devono, la costituzione, le leggi, gli statuti e i regolamenti amministrativi possono (ma
non devono) essere motivati in un preambolo. La motivazione è anche ricostruibile dai resoconti
dei lavori parlamentari, dalla motivazione delle proposte di legge dei disegni di legge governativi,
autorizzati dal Presidente della Repubblica, e degli emendamenti.
22. Per diventare efficace, la legge deve essere promulgata e pubblicata, la sentenza deve essere
notificata alle parti (evt. pubblicata su quotidiani) e l’atto amministrativo deve essere comunicato,
pubblicato o notificato (variabile). Gli atti parlamentari preparatori sono pubblici, a quelli giudiziari
e amministrativi ottiene accesso chiunque dimostra di avere legittimamente un interesse proprio (o
rappresentare un interesse collettivo).
23. La legge costituzionalmente illegittima può essere successivamente invalidata in sede di
controllo di costituzionalità dalla Corte costituzionale (art. 134). L’atto amministrativo illegittimo
può essere annullato d’ufficio in esercizio del potere di autotutela della p.a., se esiste uno specifico
interesse pubblico, o su ricorso dagli organi della giustizia amministrativa (art. 113) o disapplicato
dai giudici ordinari. Una sentenza può essere annullata su ricorso delle parti dalle Corti d’appello,
dalla Corte di cassazione o dal Consiglio di Stato (art. 111). Sono stati aboliti i tradizionali controlli
preventivi sugli atti amministrativi degli enti locali, non il potere di annullamento straordinario del
governo (art. 138 d. lgs. 267/2000). Restano i controlli preventivi della Corte dei conti sulla
legittimità di alcuni provvedimenti del Governo e i controlli successivi sulla gestione del bilancio e
del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, nonché sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di
provenienza comunitaria.
III. La produzione delle fonti: gerarchie, competenze, tempi
Fonti e ordinamenti
24. Per fonti del diritto si intendono sia i soggetti, sia gli atti o fatti ai quali un ordinamento
attribuisce la capacità di creare, modificare o estinguere norme giuridiche. Anche la produzione
delle fonti del diritto è regolata dal diritto. Si distinguono pertanto le fonti “sulla” produzione (o di
riconoscimento) del diritto che individuano i soggetti competenti e organizzano i procedimenti
idonei a produrre fonti (ad es. art. 70ss. cost., art. 17 l. n. 400/1988), dalle fonti “di” produzione
del diritto, termine che talvolta è riferito al soggetto (ad es. il legislatore parlamentare), talvolta alla
categoria di atti o fatti disciplinata dalla fonte sulla produzione (ad es. la legge parlamentare),
talvolta all’atto o al fatto concreto che produce le norme (ad es. l’art. x della legge n. y dell’anno z).
25. Sono invece fonti di cognizione le pubblicazioni ufficiali del testo autentico, che non sempre
consentono di verificare se la fonte di produzione è ancora in vigore. Nella Gazzetta ufficiale sono
pubblicati, non sempre con la massima celerità, oltre agli atti normativi dello Stato e delle regioni
(ripubblicazione) vari atti e comunicati di natura non normativa che interessano la generalità dei
cittadini (D.P.R. n. 1092/1985 “Testo Unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi,
sull’emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della
Repubblica italiana”). Funzioni simili svolgono la Gazzetta ufficiale della Comunità europea e il
Bollettino ufficiale della Regione Piemonte. I regolamenti locali sono in genere pubblicati
secondo le modalità stabilite dagli statuti dei rispettivi enti, ad es. in appositi albi non sempre
facilmente accessibili. La ripubblicazione elettronica in banche dati come NormAttiva (Stato) e
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Arianna (Regione Piemonte), giornali o raccolte non fornisce testi giuridicamente autentici, ma
agevola la verifica se la fonte è ancora in vigore.
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26. La pluralità delle fonti del diritto deriva da una pluralità di soggetti e procedimenti di
produzione. Si ricompone nell’unità di un ordinamento giuridico grazie ad alcune regole che
consentono di ricostruire un sistema delle fonti. Quello degli ordinamenti giuridici moderni è il
frutto dell’applicazione combinata di tre criteri ricavabili dall’interpretazione della Costituzione: la
gerarchia (la fonte superiore prevale su quella inferiore: lex superior), la competenza (la fonte
competente prevale su quella incompetente, quella dotata di competenza esclusiva speciale prevale
su quella dotata di competenza residuale generale: lex specialis) e il tempo (la fonte successiva
prevale su quella precedente: lex posterior).
27. I criteri della gerarchia, della competenza e del tempo possono anche regolare le relazioni tra
una pluralità di ordinamenti giuridici. La sovranità si rispecchia in genere nella superiorità
gerarchica dell’ordinamento nazionale sugli ordinamenti interni delle formazioni sociali e degli enti
privati e pubblici (territoriali e funzionali), qualificabili come autonomi se dotati di propri statuti e
regolamenti e di poteri derivati da quello statale “originario”, con particolari ambiti di competenza
territoriale o personale. La sovranità implica anche che il legislatore nazionale possa produrre fonti
valide nonostante contrastino con fonti del diritto internazionale, caso in cui il diritto internazionale
prevede tuttavia delle responsabilità internazionali dello Stato.
28. Secondo alcuni, anche gli ordinamenti sovranazionali ed internazionali (UE, ONU, NATO,
WTO ecc.) sono ordinamenti derivati (teoria monistica con primato nazionale). Secondo altri
garantiscono la sovranità nazionale e pretendono a loro volta superiorità gerarchica e quindi
limitazioni della stessa (art. 11 cost.), almeno nei rispettivi ambiti di competenza indicati dalle
materie e dagli obiettivi delle organizzazioni relative (teoria monistica con primato internazionale).
Secondo una posizione mediatrice, il diritto nazionale e quello internazionale sono considerati due
ordinamenti distinti (teoria dualista), anche se intrecciati nei loro principi supremi. Il diritto
dell’Unione europea è un ordinamento intermedio distinto da quelli nazionali e da quello
internazionale in base alle norme di competenza stabilite dai trattati (TUE e TFUE), ma anch’esso
intrecciato con i principi supremi degli ordinamenti nazionali e del diritto internazionale.
29. In forza delle norme di diritto internazionale privato che indicano il diritto applicabile ai
rapporti giuridici caratterizzati da elementi di fatto (soggetti, beni, fatti ecc.) estranei
all’ordinamento nazionale, il giudice italiano può anche applicare fonti straniere, purché compatibili
con l’ordine pubblico costituzionale dell’ordinamento italiano (principi fondamentali e diritti
fondamentali).
Gerarchia
30. I cinque gradi della gerarchia delle fonti nel diritto italiano sono: 1) Fonti supremi, 2) Fonti
costituzionali, 3) Fonti primarie, 4) Fonti secondarie, 5) Fonti consuetudinarie e convenzionali.
Si sono sviluppati storicamente sulla base delle seguenti quattro regole di preferenza:
1) le fonti scritte (fonti-atto) prevalgono su quelle consuetudinarie e convenzionali non scritte
(fonti-fatto) (700),
2) le fonti legislative (fonti primarie) prevalgono su quelle regolamentari (fonti secondarie) (800),
3) le fonti costituzionali prevalgono su tutte le altre fonti subcostituzionali (900),
4) i principi supremi della Costituzione prevalgono sulle altre fonti costituzionali (fine 900).
Non sono fonti del diritto le sentenze (la giurisprudenza), gli atti amministrativi, i contratti tra
privati o lo stato di necessità o di guerra.
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31. La prevalenza delle fonti scritte su quelle non scritte e delle fonti primarie su quelle secondarie è
sancita dal cd. principio di legalità (art. 1 e 8 delle cd. “preleggi” del c.c.), quella delle fonti
costituzionali sulle leggi è sancita dal cd. principio di costituzionalità e rigidità della costituzione,
quella dei principi supremi (cd. supracostituzionalità) è implicito nella formulazione dei principi
fondamentali (art. 1- 12), nel riconoscimento di elementi inderogabili della forma repubblicana (art.
139 cost.) e forse anche nel riconoscimento della supremazia limitata degli ordinamenti sovra- ed
internazionali.
32. Sono principi supremi dell’ordinamento italiano quelli inerenti alla “forma repubblicana” (art.
139) dello Stato, scelta con il referendum costituzionale del 1947 e vincolante per la stessa
Assemblea costituente. Tali principi precludono il ripristino dei principi della monarchia e della
“Repubblica sociale italiana”, dovendo la repubblica essere sempre fondata sui “principi
fondamentali” enunciati nei primi 12 articoli. I principi fondamentali della Repubblica possono
essere forse ritoccati, ma non abrogati, né può essere abrogato l’art. 139 o depotenziata la rigidità
della costituzione garantita dallo stesso art. 138, salvo in caso di sostituzione integrale della
Costituzione. Costituiscono “l’identità nazionale insita nella struttura fondamentale, politica e
costituzionale” dell’Italia cui l’Unione europea deve rispetto (art. 4 co. E TUE). La fonte che
riconosce ai principi supremi supremazia è la stessa consuetudine di riconoscimento sulla quale si
basa la validità della costituzione, cioè l’accettazione diffusa da parte dei cittadini e delle forze
politiche che aderiscono ai principi come “valori” (cd. costituzione materiale).
33. Sono fonti costituzionali dell’ordinamento italiano la Costituzione, le leggi di revisione
costituzionale e le altre leggi costituzionali previste dalla Costituzione (art. 138), in particolare con
riguardo alla Corte costituzionale (art. 137) e agli statuti regionali speciali (art. 115). Non sono fonti
di rango costituzionale gli statuti regionali delle regioni a statuto ordinario (art. 123: legge
statutaria), le leggi di ratifica dei trattati UE, la legge di amnistia o la legge approvata a
maggioranza assoluta dei componenti delle Camere che definisce il “contenuto della legge di
bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei
bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni” (art. 81 co. 4).
La Costituzione intera può essere sostituita solo con un procedimento costituente democratico
equivalente rispetto a quello con il quale è stata creata.
34. Sono fonti primarie nell’ordinamento italiano le leggi statali e regionali (art. 117) o provinciali
(art. 116) e gli atti aventi “forza di legge” (art. 134 cost.): referendum abrogativo (art. 75), decreto
legislativo (art. 76) e decreto-legge (art. 77) etc.) nonché i regolamenti parlamentari (art. 64),
controversi quelli della Corte costituzionale). Il legislatore (art. 15, 16 l. n. 400/1988) e la
giurisprudenza costituzionale hanno tracciato i limiti all’uso del decreto-legge (no reiterazione,
riforme strutturali, decreti omnibus) e della legge delega (si deleghe correttive, testi unici misti di
fonti primarie e secondarie). Non si considerano fonti del diritto le sentenze della Corte
costituzionale che accertano l’incostituzionalità di una fonte primaria, né i contratti collettivi di
lavoro perché stipulati da sindacati non registrati (art. 39 co. 4).
35. Sono fonti secondarie nell’ordinamento italiano i regolamenti del potere esecutivo nazionale
(art. 117 co. 6 per. 1 Cost.; art. 17 l.n. 400/1988: ministeriali (D.M.), del Presidente del consiglio
dei ministri (DPCM), governativi (DPR), della presidenza della Repubblica, delle autorità
indipendenti), i regolamenti regionali (art. 117 co. 6 per. 2, 123) nonché gli statuti e i regolamenti
degli enti locali (art. 117 co. 6 per. 3, art. 4 l. n. 131/2003) e degli enti funzionali (università ecc).
Non sono fonti secondarie (né terziarie) gli atti amministrativi generali (bandi militari,
ordinanze, piani regolatori, direttive, circolari del CSM etc.), che non precludono atti di deroga
puntuale, la giurisprudenza della Corte di cassazione, del Consiglio di Stato e della Corte dei
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conti, la cui interpretazione delle leggi vincola solo il giudice la cui sentenza è stata annullata, e la
giurisprudenza parlamentare (ad es. della presidenza o della giunta delle elezioni).
36. Sono fonti consuetudinarie nell’ordinamento nazionale gli “usi” (art. 8 preleggi) richiamati
dalla legge e raccolti (art. 9) nonché le consuetudini integrative ed interpretative della stessa (art. 11
preleggi). L'art.1 del codice di commercio dispone ad es. che "in materia di commercio si osservano
le leggi commerciali. Ove queste non dispongano, si osservano gli usi mercantili; gli usi locali o
speciali prevalgono agli usi generali. In mancanza si applica il codice civile". La consuetudine si
basa sulla ripetizione prolungata nel tempo – anche più di una generazione - di una condotta (longa
ripetitio, diuturnitas) e su un diffuso sentimento di giustizia o necessità, la “comunis opinio iuris
sive necessitatis”. Nei rapporti tra organi costituzionali e partiti politici possono sovrapporsi le cd.
“convenzioni costituzionali”, rilevanti per l’interpretazione delle fonti, o le norme di “correttezza
costituzionale”, suscettibili solo di sanzioni politiche e sociali.
37. Le fonti primarie viziate di “illegittimità costituzionale” non sono nulle, ma invalidabili (art.
137). Ai giudici è fatto divieto di “disapplicare” tali fonti nei casi da decidere, perché devono
rimettere la questione della loro costituzionalità alla Corte costituzionale che è l’unica competente a
decidere sulla loro invalidità. Le fonti secondarie viziate di “illegittimità” possono essere
annullate dai giudici amministrativi o disapplicate dai giudici ordinari. I giudici comuni possono
anche disapplicare le consuetudini contra legem, mentre i giudici costituzionali possono accertare
anche l’incostituzionalità di leggi di revisione costituzionale (per violazione degli artt. 138, 139
cost.).
38. Nella gerarchia delle fonti dell’ordinamento internazionale (cfr. art. 38 dello statuto della
Corte internazionale) prevalgono le norme imperative delle consuetudini internazionali (jus
cogens, artt. 53, 64 Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati) e dei “principi generali di diritto
riconosciuti dalle nazioni civili” sulle fonti dei trattati e degli accordi internazionali e sui
regolamenti adottate nelle varie organizzazioni internazionali speciali. Le fonti consuetudinarie
possono essere anche codificate in trattati e se sono generalmente riconosciute, sono incorporate
nell’ordinamento italiano con rango di fonte costituzionale (art. 10 co. 1). Le fonti pattizie sono
valide per l’ordinamento internazionale se non contraddicono lo jus cogens e se le firme che le
perfezionano risultano ratificate (art. 87 cost.). Producono effetti nell’ordinamento nazionale se
a) la ratifica è stata debitamente autorizzata, b) è stato dato un ordine di esecuzione o una normativa
di attuazione sul territorio nazionale (art. 78 Cost.). La formazione ed interpretazione di
consuetudini e trattati dipende inoltre da molteplici fonti scritte di cd. soft law nonché dai giudicati
e dalla dottrina comune degli stati della comunità internazionale.
39. La Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali
(CEDU) non è fonte incorporata nella costituzione, ma ha come anche le altre convenzioni del
Consiglio d’Europa (47 stati) solo rango di fonte primaria che non può ridurre le garanzie dei diritti
contenuti nella Costituzione. Una legge che viola la CEDU viola tuttavia anche il rispetto dei
“vincoli derivanti dagli obblighi internazionali” imposto dall’art. 117 co. 1 Cost. e - forse almeno in
casi evidenti - il dovere di rispetto dei diritti inviolabili imposto dall’art. 2 Cost. (cd. teoria della
norma interposta).
40. La gerarchia dell’ordinamento dell’Unione europea fa prevalere i trattati (TUE e TFUE) e le
future revisioni sulle altre fonti previste nei trattati stessi, in particolare sui regolamenti e sulle
direttive /art. 288 TFUE) o sui trattati dell’UE con stati terzi. Soprattutto con riguardo ai diritti
fondamentali, ora codificati nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), la
giurisprudenza della Corte di giustizia europea ha individuato una serie di principi generali
dell’ordinamento UE, ricavati dalle tradizioni costituzionali comuni e dalla CEDU (art. 6 TUE).
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Principi quali libertà, democrazia, uguaglianza e Stato di diritto sono diventati anche valori comuni
agli Stati membri (art. 2 TUE) la cui violazione da parte di loro può comportare sanzioni (art 7
TUE). Non sono invece fonti normative le raccomandazioni e le decisioni, le sentenze della Corte
di giustizia nonché gli atti della soft law in ambito UE. Le fonti del diritto comunitario “derivato” in
contrasto con quello dei trattati sono invalidate dalla Corte di giustizia, quelle del diritto primario
potrebbero essere oggetto di un controllo indiretto della Corte costituzionale esercitabile sulla legge
di autorizzazione ala ratifica dei trattati comunitari.
41. I regolamenti UE non devono e non possono essere trasformati in fonti nazionali, producendo
norme uniformi direttamente applicabili anche in Italia. Le direttive invece vincolano solo per
quanto riguarda il risultato da raggiungere e necessitano di fonti nazionali di attuazione, in
particolare la cd. “legge europea” annuale. Garantiscono soltanto un’armonizzazione delle
legislazioni nazionali, lasciando in genere margini di scelta al legislatore. Decorsi i termini per
l’attuazione, le direttive possono ugualmente avere effetti diretti vincolanti, ma solo per lo Stato e
solo nelle parti, individuate dalla Corte di giustizia, che non lasciano scelta. Possono anche dare
luogo ad una responsabilità civile dello Stato per mancata attuazione.
42. Le fonti europee direttamente applicabili o dotate di effetto diretto prevalgono, in virtù del
primato dell’ordinamento dell’Unione europea su quello nazionale sancito dall’art. 11 cost., su fonti
nazionali anteriori o posteriori contrarie che il giudice è tenuto a non applicare, a meno che abbia
dubbi di interpretazione da sottoporre alla Corte di giustizia. Il diritto dell’Unione europea può
anche derogare a norme costituzionali, ma non ai principi fondamentali della Costituzione italiana.
Competenza e tempi
43. Il criterio di competenza si applica alle relazioni tra fonti dello stesso rango (ad es. tra legge
statale e legge regionale, regolamento governativo e regolamento ministeriale), ma anche alle
relazioni fra diversi ordinamenti (ad es. nazionale ed europeo, nazionale e regionale). Le fonti si
possono distinguere per ambiti di competenza territoriale e di competenza materiale (materie da
disciplinare o obbiettivi da perseguire) definite da norme esplicite o implicite. La riserva disegna
un ambito di competenza materiale determinato ad una fonte specifica (ad es. riserva di
regolamento parlamentare art. 64; riserva di legge costituzionale, art. 137) o a una categoria nella
gerarchia delle fonti (ad es. riserva di legge). La riserva di legge assoluta (ad es. art. 25) esclude
ogni regolamento, quella relativa (ad es. art. 23, 97) permette solo regolamenti “attuativi”, cioè
basate sulla legge.
44. La competenza di un soggetto giuridico può essere esclusiva (art. 117 co. 2; art. 1 l. n.
131/2003), concorrente (art. 117 co. 3, art. 2, 3 l. n. 131/2003) o residuale (art. 117 co. 4) rispetto
a quella di un altro soggetto (ente o organo). La competenza concorrente delle regioni ordinarie
deve rispettare le competenze esclusive anche “trasversali” (ad es. tutela della concorrenza,
dell’ambiente, determinazione dei LEP (livelli essenziali si prestazione) dello Stato nonché i
principi fondamentali della materia dettati dalla legge statale (“cornice” o “quadro”) o desumibili
dalla legislazione statale esistente, principi ai quali spetta il compito di garantire un grado
sufficiente di uniformità del diritto nazionale. Se una fonte eccede l’ambito di competenza
assegnato da una fonte superiore alla propria categoria o invade quello di un’altra categoria di fonti,
si applica il criterio di gerarchia che significa non disapplicazione, ma possibile dichiarazione di
incostituzionalità (art. 127). Per evitare l’invalidità, è possibile affermare in via interpretativa che
una fonte (e competenza) è speciale rispetto all’altra e quindi entrambi restano valide, ma quella
speciale può applicarsi in deroga a quella generale.
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45. Sono fonti con un ambito di competenza materiale speciale anche quelle fonti primarie che
possono essere modificate solo osservando un procedimento particolare di formazione, ad es. le
leggi che recepiscono accordi di modifica dei patti lateranensi (art. 7) o intese con le altre
confessioni (art. 8) o richiedono un’approvazione referendaria (art. 132 co. 2 cost.) o che sono
escluse dall’abrogazione referendaria (art. 75 cost.) (cd. fonti atipiche).
46. In applicazione del criterio del tempo, le fonti possono perdere efficacia a) se la loro validità
scade entro un certo termine (fonti provvisorie), b) se sono invalidate, cioè annullate (regolamenti)
o dichiarate incostituzionali (leggi) in virtù del principio di gerarchia, c) se sono abrogate da altre
fonti dello stesso rango gerarchico e dello stesso ambito di competenza, in virtù del principio della
sovranità democratica che legittima l’inesauribilità di ogni potere che produce e modifica le fonti.
47. Sono fonti provvisorie il decreto-legge (art. 77 cost.) e, secondo opinioni controverse, i bandi
militari, le ordinanze di necessità in materia di protezione civile nonché le ordinanze contingibili ed
urgenti del sindaco, ad es. in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica di carattere
esclusivamente locale. Il decreto-legge può essere deliberato dal Governo ed emanato dal
Presidente della Repubblica solo in condizioni di necessità ed urgenza controllabili dal parlamento e
resta valido solo se è convertito tempestivamente in legge (in un procedimento apposito), altrimenti
decade e fa venire meno la legittimità degli atti applicativi delle norme in esso contenute
(provvedimenti e sentenze), a meno che il legislatore non emani una legge di sanatoria.
48. Le fonti secondarie illegittime possono essere annullate dal giudice amministrative, cioè private
d’efficacia sin dall’origine (ex tunc). Le fonti primarie possono essere dichiarate incostituzionali
dalla Corte costituzionale (art. 137), con la conseguenza che “cessano di essere efficaci”, cioè non
possono più essere applicate, nemmeno in processi e procedimenti pendenti (ex nunc, ma con
necessaria retroattività limitata).
49. L’abrogazione di una fonte può avvenire solo tra fonti dello stesso rango e ambito di
competenza in forma esplicita, tacita (sostituzione puntuale) ed implicita (riforma complessiva)
(art. 14 preleggi). Una legge posteriore generale, tuttavia, non comporta abrogazione tacita di una
legge speciale anteriore (art. 15 preleggi). Non si riconosce alle consuetudini alcuna forza di
abrogare o derogare a leggi (contra legem), escludendo quindi ogni “desuetudine” al di fuori
dell’ambito delle consuetudini e convenzioni. Per affrontare il male della moltiplicazione delle
leggi, il meccanismo del “taglia-leggi” (art. 14 co. 15 l. n. 246/2005, 24 d.-l. n. 112/2008, 2 d.-l.n.
200/2008) ha operato varie abrogazioni “espresse” di un numero indeterminato di leggi anteriori (e
posteriori) al 1970.
50. La fonte abrogata, con l’entrata in vigore della fonte abrogatrice, perde la propria efficacia, ma
resta valida. Non si applica più ai casi futuri, ma può essere applicata ai procedimenti e processi
pendenti o futuri se hanno per oggetto fatti anteriori all’entrata in vigore della fonte nuova. Se la
legge abrogatrice viene a sua volta abrogata, si ritiene pertanto che si ha una “reviviscenza” solo
qualora il legislatore lo dispone espressamente, secondo la dottrina prevalente quindi non nel caso
di un referendum abrogativo.
51. In deroga a quanto dispone l’art. 11 delle preleggi, le fonti primarie possono auto-attribuirsi
esplicitamente un effetto retroattivo, cioè applicarsi anche a fatti anteriori alla loro entrata in
vigore (art. 73 cost.). La costituzione dispone un principio di irretroattività soltanto per le leggi
penali più severe (art. 25 co. 2 cost.) e, in parte, anche per le leggi tributarie (arg. art. 53: principio
di attualità della capacità contributiva). Sono inoltre vietate leggi la cui retroattività è tanto abnorme
da risultare “arbitraria” o (manifestamente) “irragionevole” (arg. art. 3 cost.).
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52. I regolamenti non possono abrogare le leggi, ma possono essere utilizzati per procedimenti di
“delegificazione”: nelle materie non coperte da riserva di legge assoluta una legge può autorizzare
il potere esecutivo a disciplinare una materia e disporre l’abrogazione della legge nel momento
dell’entrata in vigore del regolamento (art. 17,2 l. n. 400/1988). La delegificazione non va confusa
con una deregulation, perché cambia solo la fonte.
53. L’interpretazione delle fonti è un attività intellettuale che ricava dalle disposizioni delle fonti
scritte una o più norme. L’interprete deve rispettare il senso filologico e sistematico e le intenzioni
originali del legislatore (art. 12 preleggi). L’uniformità delle interpretazioni in sede amministrativa
è garantita dalle circolari e dai pareri resi dalle sezioni consultive del Consiglio di Stato.
L’uniformità delle interpretazioni giurisdizionali (cd. nomofilacchia) è garantita dal ricorso alla
Corte di Cassazione e al Consiglio di Stato. Se le interpretazioni delle varie sezioni o del plenum
delle supreme magistrature si consolidano nel tempo si parla di cd. diritto vivente. Il legislatore
può imporre interpretazioni vincolanti mediante una cd. legge di interpretazione autentica, che
può avere anche qualche effetto retroattivo problematico.
54. L’interpretazione delle fonti di grado inferiore deve essere orientata e, per evitare antinomie,
anche adeguatrice rispetto a fonti di grado o di ordinamento superiore. Sull’interpretazione
conforme alla costituzione può decidere il giudice comune oppure, se investita della questione di
costituzionalità, la Corte costituzionale. Sull’interpretazione conforme al diritto UE possono essere
sollevate questioni di interpretazione davanti alla Corte di giustizia del Lussemburgo, su quella
conforme alla CEDU presentati ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Per
garantire la massima armonia possibile, le Corti praticano il principio del dialogo.
Strumenti internet:
Ad uso civico e gratuito è la Gazzetta ufficiale degli ultimi 60 giorni www.gazzettaufficiale.ipzs.it e il sito
http://www.normattiva.it/static/index.html che contiene la legislazione nazionale sin dal 1946 nella versione
vigente continuamente aggiornata.
Le fonti nazionali più recenti o ancora in elaborazione si trovano anche sui siti del parlamento
www.parlamento.it e del Governo www.governo.it .
Per le fonti europee si può consultare http://europa.eu.in/eur-lex/, per quelle regionali i siti delle regioni
www.regioni.it, per quella piemontese http://arianna.consiglioregionale.piemonte.it/.
Su fonti internazionali e straniere informa http://www.loc.gov/law/guide/multi.html, per l’Italia
http://www.esteri.it/MAE/IT/Ministero/NormativaOnline/Principali_disposizioni/.
Ad uso forense e a pagamento è la banca dati del Centro Elettronico di Documentazione della Corte Suprema
di cassazione www.giustizia.it/cassazione.
Letture di approfondimento:
M. Ainis, La legge oscura, Bari, Laterza 1997
U. De Siervo (ed.), Osservatorio sulle fonti; Torino 1996ss. (annuario)
http://www.osservatoriosullefonti.it/index.php?option=com_docman&Itemid=57
M. Dogliani (ed.), Il libro delle leggi strapazzato e la sua manutenzione, Torino 2012
R. Guastini, Lezioni di teoria costituzionale, Torino 2001
F. Modugno, Interpretazione giuridica, Padova 2009
L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, Bologna 1996
A. Pizzorusso, Comparazione giuridica e sistema delle fonti del diritto, Torino 2005
A. Pizzorusso, La manutenzione del libro delle leggi ed altri studi sulla legislazione, Torino 1999
P. Passagli / A. Pertici / R. Romboli, Le fonti del diritto e gli organi di garanzia giurisdizionale, Torino 2009
F. Sorrentino, Le fonti del diritto italiano, Padova 2009
G. Zagrebelsky, Il sistema costituzionale delle fonti del diritto, Torino 1984
G. Zagrebelsky, La legge e la sua giustizia, Bologna 2009
© Luther 10.2013
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