G. W. F. Hegel - Cenni biografici Nasce a Stoccarda nel 1770, figlio di un alto funzionario dello Stato. Tra il 1788 e il 1793 studia al seminario teologico protestante di Tubingen, con lui ci sono anche Schelling e Holderling con i quali condivide l’entusiasmo per la rivoluzione francese. Tra il 193 e il 1796 fa il precettore a Berna; tra il 1797 e il 1800 è precettore a Francoforte: di questi due periodi sono gli scritti giovanili pubblicati postumi. Alla morte del padre eredita un piccolo patrimonio che gli consente di dedicarsi interamente agli studi e alla carriera universitaria. Tra il 1801 e il 1806 insegna all’università di Jena. Nel 1807 pubblica la Fenomenologia dello spirito; tra il 1808 e il 1816 è preside e docente al Ginnasio di Norimberga, sposa Maria von Tucher, pubblica la Scienza della Logica. Tra il 1816 e il 1818 insegna all’università di Heidelberg e pubblica la Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio. Nel 1818 è all’università di Berlino dove acquisisce un grande potere accademico. Nel 1821 pubblica i Lineamenti di filosofia del diritto; nel 1828-1829 è rettore dell’università di Berlino. Muore di colera il 14 novembre 1831. GLI SCRITTI GIOVANILI (pubblicati nel 1907) Innanzi tutto va ricordato come l’accezione “teologici”, spesso riferita agli scritti del giovane Hegel, non va equivocata. La concezione della religione, infatti, nel pensiero hegeliano assume un significato più storico che istituzionalmente religioso. Hegel insiste sulla religione nazionale, ossia su una religione che risulti capace di avere efficacia nella vita di un popolo, che si ponga come elemento di coesione sociale, non come fattore individuale. Proprio in rapporto al legame tra politica e religione si comprende l’apprezzamento di Hegel nei confronti della religione greca, lieta e politica. In Religione nazionale e cristianesimo, Hegel sostiene “La tesi che una religione autenticamente umana possa formarsi solo nella vita di un autentico popolo.” (S.Vanni Rovighi, Storia della filosofia moderna, Brescia 1981, p. 803) Il punto di partenza da cui muove l’analisi di Hegel delle religioni storiche è l’inscindibilità del rapporto Uomo/Dio da quello Collettività/Dio: Il monadismo religioso crea uno stato di isolamento del singolo che vive privo di legami col passato e col presente, isolamento che Hegel definisce coscienza infelice. Per Hegel il popolo felice è quello in cui l’individualità e la collettività religiosa si fondono, ed egli identifica tale rapporto nel popolo greco, simbolo di unità ed armonia; simbolo di identità. La religione greca, infatti, non aliena l’individuo dalla comunità politica; costituisce invece un elemento di coesione ed identificazione, di accordo tra individuo, collettività, dio. Le divinità greche, antropomorfe e solo quantitativamente differenti dagli uomini, non pongono mai l’individuo nella condizione di dover scegliere tra il comando della divinità, il seguire la legge divina, e la legge della polis. All’uomo si chiede esclusivamente di essere tale, di rispettare i limiti dell’umanità, senza macchiarsi di tracotanza (che, a ben pensare, altro non è che porsi al di sopra dei propri simili, come se non si appartenesse al consesso umano e sociale). La religione greca è espressione compiuta dell’identità della coscienza felice in quanto non ha un testo sacro, non è una religione positiva, ed impone agli uomini di partecipare ai riti in onore della divinità protettrice della polis per accentuare il senso di appartenenza alla comunità. Tuttavia nell’identità della coscienza felice, proprio in quanto si tratta di un’identità inconsapevole, è implicita la negazione, costituita dal “fato”, potenza superiore tanto agli dei quanto agli uomini, alla quale è impossibile sottrarsi e la cui manifestazione negativa si concretizza nella separazione dell’individuo dalla collettività. La frattura, tanto più dolorosa in quanto viene a spezzare la coscienza felice del popolo greco, si verifica proprio in quanto l’identità tra uomo e dio non è consapevole, ma immediata, non ha preso coscienza della negazione implicita in ogni identità (Per Hegel, l’identità è un principio relazionale, è un rapporto, ed in un rapporto si devono connettere termini diversi. La seconda religione storica che Hegel analizza e utilizza come esempio della coscienza infelice, dell’opposto rispetto alla religione greca, è la religione ebraica. Il popolo “eletto” vive sotto il peso della legge scritta (si tratta quindi di una religione positiva, cioè posta) nella quale consiste la sua stessa schiavitù e la chiave del suo essere emblema della coscienza infelice, scissa, alienata dai propri simili e dalla stessa divinità cui deve obbedienza. Segnato in perpetuo dal peccato originale, sottoposto ad una legge che richiede obbedienza e, nel farlo, contrappone l’individuo alla collettività (ricorda la vicenda di Abramo e di Isacco), il popolo ebraico si trova di fronte ad un Dio totalmente altro da sé, totalmente ed incommensurabilmente diverso (alieno, estraneo) dall’uomo, al punto che risulta impossibile e blasfemo raffigurarlo o nominarlo. L’estraneità totale della divinità rispetto all’uomo determina l’alienazione dell’uomo, il suo essere continuamente sottoposto a richieste superiori alla sua natura ed alla sua cultura, richieste che lo pongono - o possono porlo - in conflitto con le leggi della collettività umana. Destino dell’uomo è, pertanto, l’inadeguatezza, il non essere mai all’altezza del compito che Dio gli impone (non c’è infatti tra uomo e Dio della Bibbia alcun punto di contatto, alcuna somiglianza) e il continuo rischio di dover scegliere tra comando divino e leggi umane. La figura simbolo di questo asservimento della coscienza infelice caratteristica del popolo ebraico è Mosè. Secondo Hegel, l’eroe biblico libera gli ebrei dalla schiavitù fisica per sottoporli poi alla ben più grave schiavitù morale. Schiavitù vera, in quanto l’uomo diviene schiavo non di un suo pari, ma dell’incommensurabilmente altro da sé, dell’irraggiungibile, dell’unico soggetto autentico che non è l’uomo, ma dio, altro dall’uomo, e che rende assolutamente impossibile il rovesciamento delle parti. L’uomo diviene così cosa morta, è privato di qualsiasi possibilità di capovolgimento o di superamento. Nonostante l’analisi della religione ebraica non sia del tutto aderente allo spirito dell’ebraismo e non sia neppure indenne da un certo strisciante antisemitismo (il che non deve stupire, in quanto Hegel è stato un uomo del proprio tempo), che emerge dalla concezione della coscienza infelice ebraica come di una coscienza separata dal consesso, dalla comunità, degli uomini a causa dell’alleanza con una divinità aliena e alienante, rimane comunque interessante vedere come Hegel esemplifichi tramite la coscienza infelice quel concetto di alienazione, di oggettivazione, di negazione che costituisce il secondo momento del movimento dialettico della sua filosofia. Non a caso, infatti, la totale negazione, l’incommensurabile estraneità tra uomo e Dio, deve venir a sua volta negata e viene superata con il cristianesimo. Lo scopo di Gesù è quello di conciliare l’uomo con Dio. Osserviamo qui la prima forma della sintesi dialettica, del superamento della negazione, che caratterizza l’intero sistema filosofico hegeliano. Nella mediazione del cristianesimo, l’uomo è concepito come chi ha bisogno di spezzare l’identità inconsapevole della coscienza felice, di oggettivare l’altro da sé (la divinità ebraica), per superare la totale estraneità tra uomo e Dio in una identità superiore e consapevole in quanto “...non cancella il peccato, non restituisce l’uomo allo stato della perduta innocenza, ma crea una condizione nuova, mediata dalla colpa, dalla sofferenza, dalla morte; crea una vita non più ingenuamente serena (come quella del popolo greco), ma rasserenata, che lascia tuttavia trasparire il superato affanno.” (G. De Ruggiero, Hegel, Bari 1975). Uomo e Dio insieme, Gesù si propone come mediazione e superamento dell’estraneità tra uomo e Dio mediante la sintesi operata dall’amore, sintesi tra universale e particolare, tra legge morale e inclinazione sensibile. Di questo sguardo molto sommario agli scritti del giovane Hegel (1793-1800) possiamo sottolineare alcuni punti: 1. Hegel più tardi ha esposto un sistema di filosofia che comprende: logica, filosofia della natura; filosofia dello spirito. Ora di queste tra parti quella che ha suscitato i suoi primi interessi è la filosofia dello spirito. Tutti gli argomenti dei quali trattano i primi scritti di Hegel appartengono infatti a quel campo che Hegel maturo chiamerà filosofia dello spirito. Più precisamente appartengono alla filosofia dello spirito oggettivo, ossia delle produzioni dello spirito, e ancor più precisamente delle produzioni sociali dello spirito: della civiltà, della cultura in senso ampio. Potremmo anche dire: la filosofia di Hegel comincia come filosofia della storia; anche la religione è vista nella vita dei popoli. 2. La dialettica (che è una concezione della realtà, prima ancora che una concezione della conoscenza) nasce da una meditazione sulla storia. Cronologicamente (voglio dire nello svolgimento storico del pensiero hegeliano) la prima triade della dialettica hegeliana non è quella di essere - non essere - divenire, ma quella di grecità - ebraismo dell’antico Testamento cristianesimo. Nella concezione dialettica la conciliazione tra gli opposti non solo deve essere, non è solo il compito infinito dello sforzo umano, come per Fichte, ma si avvera, è nella storia. SCHEMA DIALETTICO RISSUNTIVO DEGLI SCRITTI GIOVANILI RELIGIONE GRECA Momento della posizione e dell’identità; coincidenza tra Uomo/Società/ Dio; coscienza felice momento dell’identità insignificante, che contiene in sé la negazione, ma in modo inconsapevole (Fato). RELIGIONE EBRAICA Momento della negazione, dell’alienazione dell’uomo sia nei confronti della divinità (Dio = totalmente altro rispetto all’uomo), sia nei confronti della società (conflitto tra legge umana e legge divina) Religione “positiva”, che si contrappone (negazione) alla religione greca intesa come religione nazionale, religione di un popolo. RELIGIONE CRISTIANA Momento della negazione di negazione, del superamento, del ritorno in sé e per sé. Cristo, uomo e Dio insieme, riconcilia l’uomo con Dio. Tuttavia non si tratta di un ritorno all’inconsapevolezza della coscienza felice, poiché la riconciliazione mantiene il ricordo, la traccia, della frattura. All’identità inconsapevole della posizione, si sostituisce l’identità del superamento, arricchita in quanto ha preso consapevolezza della negazione, l’ha oggettivata per superarla, riconducendola al suo interno.