File:Pensiero di gruppo-7- lezione-05.doc Il pensiero di gruppo Claudio Neri Try to choose carefully, Arren, when the great choices must be made. When I was young I had to choose between the life of being and the life of doing. And I leapt at the latter like a trout to a fly. But each deed you do, each act, binds you to itself and to its consequences, and makes you act again and yet again. Then very seldom do you come upon a space, a time like this, between act and act, when you may stop and simply be. Or wonder who, after all, you are. An older and wiser Archmage, Ged, in Ursula le Guin's Earthsea Trilogy 1. Alcuni concetti generali Inizierò dando un’idea generale di come intendo il pensiero di gruppo, nelle sezioni successive tratterò alcuni punti. Il pensiero prodotto da un gruppo solitamente non gode di buona stampa: nella nostra tradizione c’è la sentenza Senatori boni viri, senatus mala bestia, che tradotta significa: “I senatori, come individui, presi uno per uno, sono brave persone, ma tutti insieme degenerano e danno origine a una bestia”. È però rintracciabile anche una proposizione simmetrica e opposta nella tradizione russa”: Il “Mujik, il contadino è stupido, ma il consiglio dei mujiki, dei contadini capofamiglia, è intelligente”. Ambedue le sentenze, al di là del giudizio di merito, tengono fermo un punto essenziale: le caratteristiche che acquista il gruppo come entità capace di pensiero non sono equivalenti alla somma delle qualità del pensiero degli individui. Questo riferimento introduce un assunto fondamentale del mio modello: il gruppo è un’entità collettiva capace di elaborare elementi sensoriali, sentimenti e fantasie. Ciò significa che: esiste nel gruppo come totalità, esiste un livello evoluto di funzionamento mentale (unità super-individuali di ordine superiore). il gruppo non è semplicemente un oggetto di investimento o di proiezione dagli individui che ne fanno parte, ma è il soggetto, l’agente di funzioni di trasformazione. Desidero portare l’attenzione su tre altri punti relativi allo sviluppo del pensiero di gruppo. Il primo riguarda la necessità che si sia creata e dispiegata un’area condivisa: uno spazio di accoglienza e legittimazione per i contributi dei partecipanti. È in presenza di tale spazio mentale comune, che si realizzano le operazioni affettivo-cognitive proprie del pensiero di gruppo. Il secondo punto è relativo alla considerazione che la capacità di pensare del gruppo non è sempre presente (come è invece il gruppo di lavoro di Bion), ma che richiede un processo di sviluppo. Ciò che definisco pensiero di gruppo non si identifica con il pensiero degli individui. Il terzo punto consiste nella sottolineatura che, in condizioni opportune, si stabilisce tra pensiero degli individui e pensiero del gruppo sintonia e collaborazione. Proprio perché si tratta di livelli evoluti di funzionamento, non vi è automaticità o obbligatorietà e la comunicazione deve essere continuamente cercata e messa a punto. (cfr. Neri, 1999) 2. Catene associative Le persone che prendono parte ad un’analisi di gruppo sono presenti nella stessa stanza: nella situazione analitica, il pensiero di gruppo corrisponde dunque all'esperienza di un certo numero di persone che sono riunite e che cercano di “pensare insieme”. Nel piccolo gruppo a finalità analitica, inoltre, il setting imprime allo sviluppo del discorso un andamento del tutto particolare, che è abbastanza diverso dall’andamento nelle situazioni sociali comuni al di fuori del setting analitico. Mi riferisco allo stabilirsi di catene associative. In certi momenti, nel piccolo gruppo il discorso si sviluppa “a ruota libera”, una parola provoca un pensiero, un pensiero una parola (anacrusi), il risultato complessivo è un ricco articolarsi di immagini, emozioni e idee. (Cfr. Neri, 1978) 2 Le discussioni “liberamente fluttuanti” o “non direzionate” che si svolgono nel piccolo gruppo possono essere considerate il corrispettivo delle libere associazioni del setting psicoanalitico tradizionale (duale). Ogni membro contribuisce fornendo un anello. La catena associativa è un modo attraverso cui possono venire espresse fantasie dei singoli partecipanti ed anche fantasie del gruppo nel suo insieme, che altrimenti sarebbe difficile far emergere. Queste catene sono espressione non solo di una “pluralità di persone”, ma anche del “gruppo come un tutto”, come comunità. Esse sono doppiamente determinate: sono formate da enunciati espressivi della vita emotiva e fantasmatica dei singoli membri del gruppo e, contemporaneamente, sono il prodotto di una logica di gruppo, i cui contenuti e metodi di strutturazione rivelano l’esistenza di un pensiero di gruppo e di fantasie condivise. Nel piccolo gruppo di psicoterapia, il passaggio tra l’intervento di uno dei membri e il successivo, avviene spesso attraverso salti ed accostamenti acrobatici. La catena associativa non assomiglia a un filo che si dipana, ma piuttosto alla traiettoria di una scimmia che salta zigzagando da un ramo ad un altro. (Cfr. Neri, 1995) A volte, specialmente quando differenti vissuti dei partecipanti coesistono, la costruzione del pensiero di gruppo ha un andamento che è, nello stesso tempo, lineare e reticolare. Alcune ramificazioni, che sono rappresentative dello sforzo complessivo dei partecipanti di dare forma a ciò che si sta vivendo nel gruppo, possono restare silenti per una o più sedute; tuttavia esse sono attive sullo sfondo e possono essere riattivate in un momento successivo della terapia. In altri casi, queste “ramificazioni silenti” – anche se non si esprimono direttamente – possono eccitarne altre, portandole a manifestarsi. Anche le ramificazioni che sembrano completamente assenti, poiché da esse non affiora nessuna associazione ed anche nessun significato, direttamente o indirettamente, possono suggerire qualcosa al terapeuta, proprio a causa della loro assenza; esse divengono allora necessarie per arrivare ad una comprensione – a livello di costruzione ipotetica - di ciò che sta avvenendo nel gruppo (cfr. A. Green, 2000, pag. 444). La catena associativa non è l’unica modalità di comunicazione del piccolo gruppo; in un prossimo paragrafo illustrerò lo sviluppo per confronto tra differenti punti di vista su uno stesso punto (sincrisi) e per sovrapposizione di immagini (amplificazione tematica). Il risultato è quello di mettere in luce un significato presente, ma implicito, che altrimenti risulterebbe poco evidente. Mi riferirò a questo tipo di funzionamento del gruppo chiamandolo disposizione a stella. Desidero segnalare, infine, come il piccolo gruppo a finalità analitica operi in generale attraverso un’alternanza di pensiero argomentivo e per immagini. Un esempio è offerto dal racconto dei sogni, che, abbastanza spesso - indipendentemente 3 dai contenuti che di volta in volta esprimono - agisce come un enzima capace di provocare un’accelerazione nella comunicazione, trasportando le categorie del discorso in uno spazio visivo. Il pensiero, nel piccolo gruppo a finalità analitica, per effetto di queste caratteristiche e procedure, risulta estremamente mobile, vario e sfaccettato (cfr. C.Perelman e L. Olbrechts-Tyteca 1958; J.M. Lotman 1993, pag. 52). 3. Interdipendenza. Nella situazione analitica, i diversi elementi su cui opera il pensiero (pensieri, emozioni, fantasie) corrispondono a un “campo” comune. In conseguenza di ciò, una trasformazione riguarda contemporaneamente tutti gli elementi: là dove se ne modifica uno, viene modificato l’insieme. Il legame d'interdipendenza è diverso, più complesso ma altrettanto forte, o addirittura più forte di un legame di similitudine. Gli elementi del campo, infatti, possono anche non essere affatto simili tra loro, ma una volta che si è stabilito un legame d'interdipendenza, il cambiamento di ciascuno di essi interessa la totalità. Nel gruppo analitico il legame di interdipendenza che regola il funzionamento degli elementi del campo non riguarda soltanto le persone che lo formano, ma più in generale tutti gli elementi e livelli del vissuto e dell'esperienza (cfr. Lewin, K. 1948, pag. 125). Un’immagine che dà conto della globalità della trasformazione con cui opera il pensiero di gruppo è quella della “culla di spago”. Il gioco della culla di spago viene praticato con uno spago di circa 50 cm, i cui estremi sono stati precedentemente annodati. Intrecciando lo spago tra le dita delle due mani, può essere composta una prima figurazione. Il giocatore che subentra (abitualmente si gioca in due, ma vi possono essere anche più di due giocatori) utilizza lo stesso spago, raccogliendolo dalle mani del giocatore precedente e, a seconda del modo in cui compie tale operazione, modifica la forma dell’intreccio che gli viene passato. Il legame di interdipendenza può essere utilmente accostato all’idea di scelta, intesa (con riferimento al fatto scelto di Bion) come attività di un principio ordinatore, che rintraccia il legame tra elementi fin a quel momento dispersi, creando interdipendenza. La scelta implica la responsabilità, che il gruppo o uno dei suoi membri può assumersi di organizzare un insieme di contenuti, proponendo un senso e imprimendo una forma. (cfr. Neri, 1978 e 1995) 4 4. Disgiungimenti e sintesi. S.H. Foulkes si è soffermato sulla globalità del pensiero di gruppo servendosi di un’altra immagine: la polarizzazione della luce. In ottica la polarizzazione corrisponde al fenomeno dell’arcobaleno, ed anche a quei piccoli arcobaleni prodotti dalla luce bianca, quando passa attraverso un prisma. La luce bianca - come è noto è il risultato della somma di una serie di emissioni di diversa lunghezza d’onda. Il passaggio attraverso un prisma divide il raggio a seconda delle diverse lunghezze d’onda e quindi rende visibili i diversi colori del fascio di luce. Allo stesso modo in un gruppo analitico, secondo Foulkes (1964, pag. 317), un nucleo emotivo e fantasmatico viene suddiviso nei suoi elementi costitutivi. Ciascuno di essi viene assunto e rappresentato da individui diversi. La reazione totale del gruppo nella sua complessità risulta dalla combinazione di queste risposte parziali. Un resoconto clinico può fornire una illustrazione del fenomeno di polarizzazione nel piccolo gruppo a finalità analitica. All'inizio della seduta, una delle pazienti che fanno parte di un gruppo che si riunisce da un anno con frequenza settimanale, dice che questa volta venire al gruppo le ha suscitato ansia. Numerose fantasie vengono espresse da diversi altri membri, che prendono spunto dall’ansia segnalata dalla prima paziente che ha preso la parola. Un partecipante esprime l’attesa che in questa seduta siano le donne a parlare. Un altro racconta una fantasia complementare: quando è arrivato per la seduta c’erano soltanto donne, ed ha pensato che le donne avessero “fatto fuori” tutti gli uomini. A questo punto, si sviluppa un vivace dibattito relativo un tema molto particolare: la sessualità è obbligatoria secondo il parere del gruppo? Interviene con grande vigore una giovane donna, affermando che la tendenza a vivere come necessaria la sessualità non ha senso. Vengono proposti alcuni esempi, tra i quali quello di Rosy Bindi, una parlamentare democristiana, la quale afferma il valore della verginità. L’analista dice che nel gruppo vi è una tensione sessuale – come è dimostrato, dall’emergere di temi legati alla presenza delle donne e al loro ruolo – è difficile non subirne gli effetti. La donna che all’inizio della seduta aveva parlato dell’ansia provata nel venire al gruppo, chiarisce a questo punto che la sua ansia è relativa al rimanere incinta: «Sarei stata portata ad anticipare l’inizio della mia vita sessuale, o a vivere più ampiamente la dimensione sessuale dei rapporti, se 5 non fossi stata molto angosciata di rimanere incinta». Il discorso si estende ai figli voluti e non voluti. Varie persone portano la loro esperienza in questo ambito. L'esempio mostra come una serie di fantasie prodotte dai diversi membri del gruppo (l’attesa che siano le donne a parlare, la fantasia che le donne abbiano eliminato gli uomini, l’angoscia relativa alla sessualità) siano effetto della scomposizione di un nucleo (fortemente ansiogeno) relativo alla gravidanza, e forse implicitamente alla possibilità di rimanere “incinti” di qualche pensiero attraverso la partecipazione al gruppo. Ambedue le immagini – il prisma e la “culla di spago” - danno l’idea di come si compongono e ricompongono gli elementi costitutivi del pensiero di gruppo. 5. Disposizione a stella Abbiamo visto come il pensiero di gruppo si sviluppa attraverso la costruzione, da parte dei membri, di catene associative che spesso non hanno un andamento lineare, ma procedono a zigzag. Per tener dietro alle catene associative del gruppo, il terapista deve seguire gli interventi dei membri lungo un percorso a salti, tornando a volte indietro rispetto alla corrente principale per raggiungere precedenti ramificazioni da cui possono emergere nuovi sviluppi di senso. Abbiamo anche considerato come un nucleo tematico possa essere composto e ricomposto nei suoi elementi costitutivi. Sviluppando questo punto, desidero illustrare un’altra modalità di ricezione ed ascolto, che il terapista può adottare; egli può a volte tralasciare di prestare attenzione alla catena delle associazioni e invece “immaginare con gli occhi della mente” che gli interventi dei membri del gruppo siano connessi ad un ipotetico tema o punto centrale. Questa seconda modalità, che chiamerò “cercare la disposizione a stella”, consiste nel percepire e organizzare mentalmente i dati che emergono dagli interventi dei membri del gruppo, e più in generale da ciò che accade in seduta, valorizzando la categoria “spazio”, piuttosto che quella “tempo”, come avviene quando il terapista segue le catene associative disponendo gli interventi lungo un filo sequenziale. La “ricerca della disposizione a stella” corrisponde all’attitudine del terapista, che cerca di cogliere gli elementi della seduta nella loro sincronicità. Con tale termine, in accordo con la definizione di Jung (1948, pag. 14), intendo una prospettiva contrapposta a quella della causalità - che «considera la coincidenza degli eventi […] come significatore di qualche cosa di più di un mero caso». 6 Permanendo a lungo in questa disposizione di ricezione, ad un certo momento l’analista intuisce la presenza di un “nucleo centrale”. Quando egli ha individuato tale nucleo, spontaneamente tende a vedere i singoli elementi in relazione con esso. Debbo aggiungere subito che parlare di un solo nucleo non rende completamente ciò che desidero comunicare. Quando le associazioni dei partecipanti si condensano dando l’impressione che siano il frutto di un’attività del gruppo come un tutto (Foulkes parla di questo momento impiegando la denominazione di “eventi di gruppo condivisi”), si possono individuare non uno ma due “nuclei”, disposti a livelli diversi. Il nucleo che corrisponde al primo livello è rappresentato da una fantasia o da una serie di fantasie a livello preconscio presenti in seduta. Queste fantasie trovano facilmente connessioni con il tema della seduta (ciò di cui si parla). Il tema e le fantasie preconsce possono essere elaborati attraverso un processo conoscitivo (che Bion chiama “trasformazione in K”, dove l’iniziale K sta per Knowledge, conoscenza). Il nucleo che corrisponde al secondo livello (“fuoco”, “attrattore” o “propulsore”) è invece una fantasia o una galassia di fantasie dotate di potente forza ma ancora prive di forma e non ben definite. E’ impossibile conoscere direttamente questo nucleo privo di forma, tuttavia esso può evolvere. Bion (1970) parla di “evoluzione in O”, cioè dell’evoluzione di ciò che è ignoto. Nel corso della seduta il terapista può mettersi all’unisono con questo punto focale; così facendo egli segue e in un certo senso promuove il suo prendere forma nel gruppo. Egli così favorisce anche il fatto che i partecipanti, a loro volta, si mettano all’unisono con il nucleo in evoluzione. Ritengo che la partecipazione dei membri del gruppo all’evoluzione in “O” e all’emergenza di fantasie che in seguito potranno essere affrontate in modo conoscitivo, sia altrettanto ricca di potenzialità terapeutiche rispetto alla comprensione promossa attraverso la conoscenza e l’interpretazione. (Cfr. Neri, 1987) 6. Illustrazione clinica Presenterò una sequenza clinica che fornisce un’illustrazione delle caratteristiche del pensiero del piccolo gruppo a finalità analitica di cui ho parlato finora (discussioni non direzionate, catene associative, disposizione a stella, sincronicità). Insieme al materiale clinico, proporrò anche un resoconto dei pensieri che si sono presentati alla mia mente durante le sedute. Il gruppo è formato da me a da cinque pazienti (Marcello, Loredana, Fabiana, Antonia e Gabriella) di età compresa fra i 25 e i 50 anni; la sintomatologia, la 7 posizione sociale e professionale e la sfera degli interessi dei membri sono eterogenee. Il gruppo è al terzo anno di lavoro analitico; le sedute sono due per settimana, ognuna dura circa due ore. Nel corso delle sedute di cui riferirò, l’interesse dei presenti ruota intorno a due giovani donne – Loredana e Fabiana – e alle loro storie parallele. Loredana – che prima di iniziare il gruppo era rimasta incinta altre volte, ma aveva sempre abortito entro il terzo mese – aveva intrapreso l’analisi proprio a causa delle precedenti interruzioni della gravidanza, ed è ora nuovamente incinta. Fabiana, più giovane di Loredana, è entrata in vivace risonanza emotiva e fantasmatica con la sua gravidanza; in precedenza Fabiana aveva manifestato un netto rifiuto del matrimonio e della maternità, ma partecipando agli eventi che hanno per protagonista Loredana, la sua avversione si è un po’ incrinata e si è affacciata la fantasia di avere anche lei un bambino. Fabiana è gelosa perché Loredana è incinta; tuttavia il suo vero problema è che la sua sopravvivenza è messa a rischio dalla gravidanza di Loredana. Fabiana è sospesa tra creatività e auto-distruttività; ella dipende, in grande misura, dalla continuità dell’interessamento del gruppo per mantenere un sufficiente investimento su se stessa. Sinora, Fabiana è stata al centro dell’attenzione; i membri del gruppo hanno seguito con assiduo e intenso interesse i suoi sviluppi e le sue ricadute. L’attenzione che adesso viene rivolta alla gravidanza di Loredana, distoglie in parte l’interesse da Fabiana e dalle sue vicende, e lei si sente in pericolo. (Cfr. Neri, 2000 e 2003a) Il bambino nella pancia e Tamagogi – All’inizio della prima delle sedute che riferirò, Loredana racconta di aver visto sullo schermo dell’ecografia l’esserino che vive dentro di lei. Loredana: «Ciò che mi ha colpito maggiormente, è che il bambino si muova rapidamente. Il piccolo, addirittura, ad un certo punto si è messo a pancia in giù». Nel corso della stessa seduta, Antonia – una partecipante sempre particolarmente attenta agli stati d’animo di Fabiana – nota l’apparizione di Tamagogi, un piccolo pendaglio rosso, a forma di cuore, che Fabiana porta alla cintura; su una delle due facce del pendaglio è inserito un piccolo riquadro rettangolare: un monitor. Fabiana spiega: «Il mio Tamagogi non è un cucciolo di cane o di gatto, ma è un piccolo dinosauro. Ha otto giorni e pesa settanta chili. Deve essere nutrito, coccolato, pulito, messo a dormire. Quando ha bisogno di qualcosa, dà un segnale di avvertimento emettendo un piccolo suono. Se non ci si prende cura di lui in modo adeguato e continuo, il dinosauro muore. Sinora non mi ha dato quasi nessun fastidio. Le operazioni da compiere sono poche; basta provare una dopo l’altra – 8 nutrire, coccolare, pulire la cacca, metterlo a dormire – e vedere se una tra queste funziona. Il Tamagogi può essere spento. Quando sono al lavoro, ad esempio, lo spengo. Anche adesso, prima di venire alla seduta, ho chiuso l’interruttore». Dicendo questo, Fabiana stacca il Tamagogi dalla cinta e lo mostra agli altri, ma non lo dà loro in mano. Poi lo accende, e il cucciolo di dinosauro emette un pigolio. Fabiana preme rapidamente alcuni minuscoli pulsanti a lato del monitor, poi spegne il Tamagogi e lo appende di nuovo alla cintura. Vedendo comparire il Tamagogi proprio nella seduta in cui Loredana parla al gruppo dell’ecografia del suo bambino, mi vengono in mente alcuni pensieri. Penso, prima di tutto, che il comportamento di Fabiana sia espressione di rivalità. Rifletto, subito dopo, sul fatto che piuttosto si tratti di un assoluto bisogno di Fabiana di distogliere l’attenzione dall’embrione, per riportarla su se stessa. Queste considerazioni mi fanno capire meglio la condizione di Fabiana, ma mi dicono poco su ciò che ella esprime per conto del gruppo. Penso che centrare un’interpretazione su Fabiana e/o sulla relazione tra le due donne (Fabiana e Loredana), significherebbe tralasciare ciò che sta accadendo nel “gruppo come un tutto”. Nella mia mente avanzo l’ipotesi che al di là dei temi manifesti della seduta, i membri del gruppo stiano convergendo verso una comune fantasia ancora non ben definita, relativa a ciò che sta crescendo e che è in evoluzione. Questa fantasia è espressa sia dall’embrione, sia dal Tamagogi. Il convergere verso questa fantasia è probabilmente accompagnato da intensa ambivalenza e da una tensione fra creatività e distruttività. Decido di rimanere, per il momento in silenzio e di aspettare gli sviluppi. Morte di Tamagogi – Fabiana viene alle tre sedute successive portando sempre Tamagogi. I membri del gruppo si limitano a qualche rapida domanda di circostanza (“Come sta andando Tamagogi?”, “È cresciuto?”) e Fabiana risponde sullo stesso tono. La cautela del gruppo è dovuta, probabilmente, alle perplessità sul fatto che Fabiana stia crescendo un “dinosauro virtuale”, e non un bambino in carne ed ossa o una bambola. I membri del gruppo non sanno dove porterà la bizzarra trovata di Fabiana, preferiscono aspettare e non interferire. Mantenendo il silenzio, a mia volta, mi pongo “in gestazione” di un’ipotesi per ora appena delineata: l’ipotesi che nel gruppo stia avvenendo un’elaborazione di ciò che evolve e cresce. Alla quarta seduta Fabiana arriva senza Tamagogi, spiega che il dinosauro ha avuto una crisi irrefrenabile. Fabiana: «Ogni minuto aveva bisogno di qualcosa. Stava sempre male. Non ce l’ho più fatta. Ho premuto, ripetutamente, sempre lo stesso pulsante, sinché l’ho ucciso». 9 Lutto, caos, aborto (catena associativa) – Ora che il “piccolo” di Fabiana è morto, i membri del gruppo mostrano l’intensità della loro partecipazione alle vicende di Tamagogi. La catena associativa inizia con il tema della cura dovuta ai morti e quindi col tema del lutto. Gabriella: «Il Tamagogi è un oggetto virtuale, un oggetto privo di sostanza. Il rituale del prendersi cura di un oggetto virtuale è simile allo spolverare e rimettere a posto, tutti i giorni, le foto dei genitori o dei coniugi defunti». Marcello salta dai riti dovuti ai defunti – spolverare le loro foto – al dilagare del disordine. Il tema disordine-ordine era presente, ma era del tutto secondario nelle parole di Gabriella («spolverare e rimettere a posto»). Marcello (rivolgendosi a Gabriella, come se questa avesse parlato di se stessa e non di Tamagogi): «Come stanno andando i tuoi rituali di fare ordine?». Gabriella (rispondendo in modo sintonico): «A casa mia, sotto un ordine apparente vi è una realtà di caos». Loredana, con un salto ancora più iperbolico, stabilisce una connessione tra i discorsi sul caos e la violenta soppressione di Tamagogi. Loredana intuisce, a mio avviso, che il movente essenziale del gesto assassino di Fabiana può essere stato il bisogno di semplificare, fare ordine a qualunque costo. È un insight che si fonda, probabilmente, sulla comprensione di ciò che è accaduto a Loredana stessa in occasione dei suoi numerosi aborti, che infatti erano stati preceduti dal crescente sentimento di non poter controllare la situazione. Loredana (esprimendosi in modo sintetico e riportando il discorso su Fabiana e sulla morte di Tamagogi): «La più ordinata tra noi è Fabiana». Antonia sposta l’attenzione su un nuovo oggetto, venendo in questo modo in aiuto di Fabiana, che potrebbe essere messa sotto accusa per l’uccisione dell’embrioneTamagogi. Nel gesto di Antonia vi è però anche un’intenzione più costruttiva, che va al di là di una manovra difensiva e diversiva. Antonia propone un mezzo più adeguato del gioco del cucciolo virtuale (Tamagogi), attraverso cui Fabiana può esprimere e far crescere se stessa: tale mezzo è la scrittura, e in particolare la scrittura di un diario. Antonia (rivolgendosi a me): «Ha visto il diario di Fabiana?». Fabiana (seguendo l’indicazione di Antonia) prende dallo zainetto il diario e me lo mostra. È un diario di piccolo formato, le lettere sono nitide e precise, gli appunti formano blocchi perfettamente regolari. È impossibile distinguere le parti stampate da quelle scritte da Fabiana con una biro nera. 10 Creazione e caos – Scorrendo il diario, noto alcuni versi. Nel leggerli mi vengono in mente, in rapida successione, parecchie idee che hanno riferimento con Tamagogi, la gravidanza di Loredana e quanto sta succedendo nel gruppo. Penso, prima di tutto, che lo “sviluppo di un embrione” è crescita di qualcosa che è “al di là delle possibilità di controllo”. Rifletto anche sul fatto che lo sviluppo di un embrione (proprio come lo sviluppo di un embrione del Sé) può essere stato percepito da Fabiana e dagli altri membri del gruppo, forse erroneamente, come un “accrescimento del caos”. La sopravvivenza di un embrione e il suo prendere forma dipendono, dunque, dalla capacità – dell’individuo e del gruppo in cui è inserito – di non entrare troppo in angoscia. Questa capacità, a sua volta, è correlata alla possibilità di trovare forme non troppo violente per mettersi in rapporto con “ciò che non può essere controllato”. Questa rapida serie di pensieri mi porta alla decisione di comunicare al gruppo il contenuto dei versi che Fabiana ha trascritto nel suo diario. Dr. Neri (leggendo a voce alta): «Quando ebbe spartito in ordine quella congerie/ e organizzato in membra i frammenti, quel dio, chiunque fosse,/ primariamente …». Fabiana: «I versi scritti nel mio diario sono il tema che io e gli altri partecipanti al laboratorio di teatro-danza gestuale, che io frequento da qualche mese ci siamo dati per lo spettacolo che stiamo preparando». 1 Fabiana rivela che il problema di dare ordine ad una “congerie” e organizzare in “membra i frammenti” è al centro dei suoi pensieri da tempo. La proposta del problema di dare forma al caos come compito per i partecipanti al teatro-danza gestuale – e implicitamente per i membri del gruppo terapeutico – pone l’impegno del “organizzare in membra” non come una questione di un singolo, ma di una comunità o di un “gruppo di lavoro”. La proposta di Fabiana, in effetti, è molto generale e abbraccia la condizione di Loredana e anche quella degli altri membri del gruppo. Penso, infatti, che ogni membro del gruppo ha un embrione di sé cui dare forma. Non comunico però queste riflessioni, perché la lettura dei versi di Ovidio mi sembra già una adeguata comunicazione su questi punti. Il gruppo, partendo dalla morte di Tamagogi, arriva dunque a formulare un pensiero: “dare forma ad una congerie, ad un embrione”. Questo pensiero, che si è sviluppato attraverso percorsi discontinui, illumina retrospettivamente ciò che è accaduto. È un 1 I versi del diario di Fabiana sono tratti dalle Metamorfosi di Ovidio (I, 32-4). In questi versi Ovidio racconta come il mondo è stato creato dal caos: «Sic ubi dispositam, quisque fuit ille deorum,/ congeriem secuit sectamque in membra redegit,/ principio …». 11 esempio di pensiero creativo che, operando su sistemi di elementi e con mezzi diversi, affronta ripetutamente e da differenti punti di vista uno stesso problema, producendo successive trasformazioni che aprono la strada all’invenzione di un piccolo rito adeguato, quello messo in scena da Fabiana, con l’uccisione di Tamagogi. Una gravidanza è sempre accompagnata da sentimenti ambivalenti da parte della donna che rimane incinta. L’embrione modifica il suo corpo. La sua vita non sarà mai più quella di prima. Loredana, rimanendo incinta, ha già superato in grande misura la sua ambivalenza. Per mandare avanti la gravidanza – il progetto creativo – è necessario affrontare l’ambivalenza residua. L’ambivalenza – nella sua radice – è compresenza di distruttività e creatività. La distruttività si accompagna ad ogni impresa creativa. Il gruppo, nel suo insieme, si assume il compito di gestire le spinte distruttive. Col passare del tempo, diventa chiaro che la distruttività non può essere continuamente repressa, ma deve essere affrontata. Fabiana prende in mano la situazione: introducendo il piccolo Tamagogi e provocando poi la sua morte, ella dà un aiuto particolarmente grande a Loredana e al gruppo. Fabiana, infatti, sposta la mira su un nuovo oggetto, diverso dal bambino. Poi, dando corso alla spinta distruttiva, uccide Tamagogi. I riti del lutto possono avviarsi. La vita va avanti. Tamagogi è morto. Sei mesi dopo, nascerà Giuseppina. 6. Finalità del pensiero di gruppo Il gruppo di cui fanno parte Loredana e Fabiana ha seguito una sia pur particolare strategia che ha contribuito al positivo andamento della gravidanza ed alla nascita di Giuseppina? Nel corso delle sedute si è attuato un processo di problem solving? Io credo che sia possibile rispondere affermativamente, anche se le modalità attraverso cui il gruppo cerca una soluzione ai problemi che di volta in volta si presentano sono diverse dalle procedure che caratterizzano un processo decisionale “razionale” e organizzato. Farò riferimento al resoconto fatto dall’antropologo W.H.R. Rivers di una riunione di un “Consiglio del villaggio” per fornire una prima illustrazione della modalità attraverso cui il pensiero di gruppo a quelle che potremmo chiamare “decisioni non formalizzate”. «W.H.R. Rivers […] riferisce che in alcuni gruppi relativamente piccoli della Polinesia e della Melanesia, le decisioni vengono spesso prese ed attuate anche se non sono mai state formulate espressamente da nessuno. 12 Un osservatore bianco, ascoltando le sedute di un Consiglio indigeno, si accorse dopo un certo tempo che l’argomento originario della discussione era cambiato. Quando chiese quando avrebbero deciso la questione che gli interessava, gli venne detto che essa era già stata decisa e che erano passati ad altri problemi. La decisione era stata presa in un modo completamente diverso da come procedono i nostri consigli e comitati davanti ad una questione controversa. I membri del consiglio si accorsero ad un certo momento di essere d’accordo su quell’argomento e non fu necessario esprimere tale accordo esplicitamente» (Rivers W.H.R., 1920, citato da Bartlett, 1932). Come nel “Consiglio del villaggio”, a volte il piccolo gruppo psicoterapeutico arriva a conclusioni che sono accettate da tutti o dalla maggioranza dei partecipanti, senza passare attraverso una ratifica formale, come avviene nelle “assemblee organizzate” delle società moderne, ad esempio attraverso un voto. Nelle “assemblee organizzate”, inoltre, le questioni da discutere e sulle quali si deve prendere decisioni sono formulate esplicitamente, ad esempio nell’ordine del giorno; nel consiglio del villaggio, invece, non sono così chiaramente esplicitate perché tutti ne sono al corrente, in quanto membri della comunità; anche nel gruppo terapeutico le questioni prendono forma nel corso delle sedute, a partire da uno spunto proposto da uno dei membri, oppure sono implicite nella situazione che i membri condividono. 13 Bibliografia Bion W.R. (1961). Experiences in groups. Tavistock Publications, London. [tr. it. Esperienze nei gruppi. Armando, Roma, 1971.] Bion, W.R. (1970) Attention and Interpretation. London: Tavistock. [tr. it. Attenzione e interpretazione. Armando, Roma, 1973.] Foulkes S.H. (1964). Therapeutic group analysis. George Allen & Unwin, London. [tr. it. Psicoterapia e analisi di gruppo. Boringhieri, Torino, 1967.] Green, A. (2000). 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