Il pensiero di gruppo

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File:Pensiero di gruppo-7- lezione-05.doc
Il pensiero di gruppo
Claudio Neri
Try to choose carefully, Arren, when the
great choices must be made. When I was
young I had to choose between the life of
being and the life of doing. And I leapt at
the latter like a trout to a fly. But each deed
you do, each act, binds you to itself and to
its consequences, and makes you act again
and yet again. Then very seldom do you
come upon a space, a time like this, between
act and act, when you may stop and simply
be. Or wonder who, after all, you are.
An
older
and
wiser
Archmage, Ged, in Ursula le
Guin's Earthsea Trilogy
1. Alcuni concetti generali
Inizierò dando un’idea generale di come intendo il pensiero di gruppo, nelle sezioni
successive tratterò alcuni punti.
Il pensiero prodotto da un gruppo solitamente non gode di buona stampa: nella
nostra tradizione c’è la sentenza Senatori boni viri, senatus mala bestia, che tradotta
significa: “I senatori, come individui, presi uno per uno, sono brave persone, ma tutti
insieme degenerano e danno origine a una bestia”. È però rintracciabile anche una
proposizione simmetrica e opposta nella tradizione russa”: Il “Mujik, il contadino è
stupido, ma il consiglio dei mujiki, dei contadini capofamiglia, è intelligente”.
Ambedue le sentenze, al di là del giudizio di merito, tengono fermo un punto
essenziale: le caratteristiche che acquista il gruppo come entità capace di pensiero
non sono equivalenti alla somma delle qualità del pensiero degli individui.
Questo riferimento introduce un assunto fondamentale del mio modello: il gruppo è
un’entità collettiva capace di elaborare elementi sensoriali, sentimenti e fantasie. Ciò
significa che:
 esiste nel gruppo come totalità, esiste un livello evoluto di funzionamento
mentale (unità super-individuali di ordine superiore).
 il gruppo non è semplicemente un oggetto di investimento o di proiezione dagli
individui che ne fanno parte, ma è il soggetto, l’agente di funzioni di
trasformazione.
Desidero portare l’attenzione su tre altri punti relativi allo sviluppo del pensiero di
gruppo.
Il primo riguarda la necessità che si sia creata e dispiegata un’area condivisa: uno
spazio di accoglienza e legittimazione per i contributi dei partecipanti. È in presenza
di tale spazio mentale comune, che si realizzano le operazioni affettivo-cognitive
proprie del pensiero di gruppo.
Il secondo punto è relativo alla considerazione che la capacità di pensare del gruppo
non è sempre presente (come è invece il gruppo di lavoro di Bion), ma che richiede
un processo di sviluppo.
Ciò che definisco pensiero di gruppo non si identifica con il pensiero degli individui.
Il terzo punto consiste nella sottolineatura che, in condizioni opportune, si stabilisce
tra pensiero degli individui e pensiero del gruppo sintonia e collaborazione. Proprio
perché si tratta di livelli evoluti di funzionamento, non vi è automaticità o
obbligatorietà e la comunicazione deve essere continuamente cercata e messa a
punto. (cfr. Neri, 1999)
2. Catene associative
Le persone che prendono parte ad un’analisi di gruppo sono presenti nella stessa
stanza: nella situazione analitica, il pensiero di gruppo corrisponde dunque
all'esperienza di un certo numero di persone che sono riunite e che cercano di
“pensare insieme”.
Nel piccolo gruppo a finalità analitica, inoltre, il setting imprime allo sviluppo del
discorso un andamento del tutto particolare, che è abbastanza diverso dall’andamento
nelle situazioni sociali comuni al di fuori del setting analitico.
Mi riferisco allo stabilirsi di catene associative. In certi momenti, nel piccolo gruppo
il discorso si sviluppa “a ruota libera”, una parola provoca un pensiero, un pensiero
una parola (anacrusi), il risultato complessivo è un ricco articolarsi di immagini,
emozioni e idee. (Cfr. Neri, 1978)
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Le discussioni “liberamente fluttuanti” o “non direzionate” che si svolgono nel
piccolo gruppo possono essere considerate il corrispettivo delle libere associazioni
del setting psicoanalitico tradizionale (duale). Ogni membro contribuisce fornendo
un anello. La catena associativa è un modo attraverso cui possono venire espresse
fantasie dei singoli partecipanti ed anche fantasie del gruppo nel suo insieme, che
altrimenti sarebbe difficile far emergere. Queste catene sono espressione non solo di
una “pluralità di persone”, ma anche del “gruppo come un tutto”, come comunità.
Esse sono doppiamente determinate: sono formate da enunciati espressivi della vita
emotiva e fantasmatica dei singoli membri del gruppo e, contemporaneamente, sono
il prodotto di una logica di gruppo, i cui contenuti e metodi di strutturazione rivelano
l’esistenza di un pensiero di gruppo e di fantasie condivise.
Nel piccolo gruppo di psicoterapia, il passaggio tra l’intervento di uno dei membri e
il successivo, avviene spesso attraverso salti ed accostamenti acrobatici. La catena
associativa non assomiglia a un filo che si dipana, ma piuttosto alla traiettoria di una
scimmia che salta zigzagando da un ramo ad un altro. (Cfr. Neri, 1995)
A volte, specialmente quando differenti vissuti dei partecipanti coesistono, la
costruzione del pensiero di gruppo ha un andamento che è, nello stesso tempo,
lineare e reticolare. Alcune ramificazioni, che sono rappresentative dello sforzo
complessivo dei partecipanti di dare forma a ciò che si sta vivendo nel gruppo,
possono restare silenti per una o più sedute; tuttavia esse sono attive sullo sfondo e
possono essere riattivate in un momento successivo della terapia. In altri casi, queste
“ramificazioni silenti” – anche se non si esprimono direttamente – possono eccitarne
altre, portandole a manifestarsi. Anche le ramificazioni che sembrano completamente
assenti, poiché da esse non affiora nessuna associazione ed anche nessun significato,
direttamente o indirettamente, possono suggerire qualcosa al terapeuta, proprio a
causa della loro assenza; esse divengono allora necessarie per arrivare ad una
comprensione – a livello di costruzione ipotetica - di ciò che sta avvenendo nel
gruppo (cfr. A. Green, 2000, pag. 444).
La catena associativa non è l’unica modalità di comunicazione del piccolo gruppo; in
un prossimo paragrafo illustrerò lo sviluppo per confronto tra differenti punti di vista
su uno stesso punto (sincrisi) e per sovrapposizione di immagini (amplificazione
tematica). Il risultato è quello di mettere in luce un significato presente, ma implicito,
che altrimenti risulterebbe poco evidente. Mi riferirò a questo tipo di funzionamento
del gruppo chiamandolo disposizione a stella.
Desidero segnalare, infine, come il piccolo gruppo a finalità analitica operi in
generale attraverso un’alternanza di pensiero argomentivo e per immagini. Un
esempio è offerto dal racconto dei sogni, che, abbastanza spesso - indipendentemente
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dai contenuti che di volta in volta esprimono - agisce come un enzima capace di
provocare un’accelerazione nella comunicazione, trasportando le categorie del
discorso in uno spazio visivo.
Il pensiero, nel piccolo gruppo a finalità analitica, per effetto di queste caratteristiche
e procedure, risulta estremamente mobile, vario e sfaccettato (cfr. C.Perelman e L.
Olbrechts-Tyteca 1958; J.M. Lotman 1993, pag. 52).
3. Interdipendenza.
Nella situazione analitica, i diversi elementi su cui opera il pensiero (pensieri,
emozioni, fantasie) corrispondono a un “campo” comune. In conseguenza di ciò, una
trasformazione riguarda contemporaneamente tutti gli elementi: là dove se ne
modifica uno, viene modificato l’insieme.
Il legame d'interdipendenza è diverso, più complesso ma altrettanto forte, o
addirittura più forte di un legame di similitudine. Gli elementi del campo, infatti,
possono anche non essere affatto simili tra loro, ma una volta che si è stabilito un
legame d'interdipendenza, il cambiamento di ciascuno di essi interessa la totalità.
Nel gruppo analitico il legame di interdipendenza che regola il funzionamento degli
elementi del campo non riguarda soltanto le persone che lo formano, ma più in
generale tutti gli elementi e livelli del vissuto e dell'esperienza (cfr. Lewin, K. 1948,
pag. 125).
Un’immagine che dà conto della globalità della trasformazione con cui opera il
pensiero di gruppo è quella della “culla di spago”. Il gioco della culla di spago viene
praticato con uno spago di circa 50 cm, i cui estremi sono stati precedentemente
annodati. Intrecciando lo spago tra le dita delle due mani, può essere composta una
prima figurazione. Il giocatore che subentra (abitualmente si gioca in due, ma vi
possono essere anche più di due giocatori) utilizza lo stesso spago, raccogliendolo
dalle mani del giocatore precedente e, a seconda del modo in cui compie tale
operazione, modifica la forma dell’intreccio che gli viene passato.
Il legame di interdipendenza può essere utilmente accostato all’idea di scelta, intesa
(con riferimento al fatto scelto di Bion) come attività di un principio ordinatore, che
rintraccia il legame tra elementi fin a quel momento dispersi, creando
interdipendenza. La scelta implica la responsabilità, che il gruppo o uno dei suoi
membri può assumersi di organizzare un insieme di contenuti, proponendo un senso
e imprimendo una forma. (cfr. Neri, 1978 e 1995)
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4. Disgiungimenti e sintesi.
S.H. Foulkes si è soffermato sulla globalità del pensiero di gruppo servendosi di
un’altra immagine: la polarizzazione della luce. In ottica la polarizzazione
corrisponde al fenomeno dell’arcobaleno, ed anche a quei piccoli arcobaleni prodotti
dalla luce bianca, quando passa attraverso un prisma. La luce bianca - come è noto è il risultato della somma di una serie di emissioni di diversa lunghezza d’onda. Il
passaggio attraverso un prisma divide il raggio a seconda delle diverse lunghezze
d’onda e quindi rende visibili i diversi colori del fascio di luce. Allo stesso modo in
un gruppo analitico, secondo Foulkes (1964, pag. 317), un nucleo emotivo e
fantasmatico viene suddiviso nei suoi elementi costitutivi. Ciascuno di essi viene
assunto e rappresentato da individui diversi. La reazione totale del gruppo nella sua
complessità risulta dalla combinazione di queste risposte parziali. Un resoconto
clinico può fornire una illustrazione del fenomeno di polarizzazione nel piccolo
gruppo a finalità analitica.
 All'inizio della seduta, una delle pazienti che fanno parte di un gruppo
che si riunisce da un anno con frequenza settimanale, dice che questa volta
venire al gruppo le ha suscitato ansia.
Numerose fantasie vengono espresse da diversi altri membri, che prendono
spunto dall’ansia segnalata dalla prima paziente che ha preso la parola. Un
partecipante esprime l’attesa che in questa seduta siano le donne a parlare.
Un altro racconta una fantasia complementare: quando è arrivato per la
seduta c’erano soltanto donne, ed ha pensato che le donne avessero “fatto
fuori” tutti gli uomini.
A questo punto, si sviluppa un vivace dibattito relativo un tema molto
particolare: la sessualità è obbligatoria secondo il parere del gruppo?
Interviene con grande vigore una giovane donna, affermando che la
tendenza a vivere come necessaria la sessualità non ha senso. Vengono
proposti alcuni esempi, tra i quali quello di Rosy Bindi, una parlamentare
democristiana, la quale afferma il valore della verginità.
L’analista dice che nel gruppo vi è una tensione sessuale – come è
dimostrato, dall’emergere di temi legati alla presenza delle donne e al loro
ruolo – è difficile non subirne gli effetti.
La donna che all’inizio della seduta aveva parlato dell’ansia provata nel
venire al gruppo, chiarisce a questo punto che la sua ansia è relativa al
rimanere incinta: «Sarei stata portata ad anticipare l’inizio della mia vita
sessuale, o a vivere più ampiamente la dimensione sessuale dei rapporti, se
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non fossi stata molto angosciata di rimanere incinta».
Il discorso si estende ai figli voluti e non voluti. Varie persone portano la
loro esperienza in questo ambito.
L'esempio mostra come una serie di fantasie prodotte dai diversi membri del gruppo
(l’attesa che siano le donne a parlare, la fantasia che le donne abbiano eliminato gli
uomini, l’angoscia relativa alla sessualità) siano effetto della scomposizione di un
nucleo (fortemente ansiogeno) relativo alla gravidanza, e forse implicitamente alla
possibilità di rimanere “incinti” di qualche pensiero attraverso la partecipazione al
gruppo.
Ambedue le immagini – il prisma e la “culla di spago” - danno l’idea di come si
compongono e ricompongono gli elementi costitutivi del pensiero di gruppo.
5. Disposizione a stella
Abbiamo visto come il pensiero di gruppo si sviluppa attraverso la costruzione, da
parte dei membri, di catene associative che spesso non hanno un andamento lineare,
ma procedono a zigzag. Per tener dietro alle catene associative del gruppo, il
terapista deve seguire gli interventi dei membri lungo un percorso a salti, tornando a
volte indietro rispetto alla corrente principale per raggiungere precedenti
ramificazioni da cui possono emergere nuovi sviluppi di senso.
Abbiamo anche considerato come un nucleo tematico possa essere composto e
ricomposto nei suoi elementi costitutivi.
Sviluppando questo punto, desidero illustrare un’altra modalità di ricezione ed
ascolto, che il terapista può adottare; egli può a volte tralasciare di prestare
attenzione alla catena delle associazioni e invece “immaginare con gli occhi della
mente” che gli interventi dei membri del gruppo siano connessi ad un ipotetico tema
o punto centrale.
Questa seconda modalità, che chiamerò “cercare la disposizione a stella”, consiste
nel percepire e organizzare mentalmente i dati che emergono dagli interventi dei
membri del gruppo, e più in generale da ciò che accade in seduta, valorizzando la
categoria “spazio”, piuttosto che quella “tempo”, come avviene quando il terapista
segue le catene associative disponendo gli interventi lungo un filo sequenziale.
La “ricerca della disposizione a stella” corrisponde all’attitudine del terapista, che
cerca di cogliere gli elementi della seduta nella loro sincronicità. Con tale termine, in
accordo con la definizione di Jung (1948, pag. 14), intendo una prospettiva contrapposta a quella della causalità - che «considera la coincidenza degli eventi […]
come significatore di qualche cosa di più di un mero caso».
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Permanendo a lungo in questa disposizione di ricezione, ad un certo momento
l’analista intuisce la presenza di un “nucleo centrale”. Quando egli ha individuato
tale nucleo, spontaneamente tende a vedere i singoli elementi in relazione con esso.
Debbo aggiungere subito che parlare di un solo nucleo non rende completamente ciò
che desidero comunicare. Quando le associazioni dei partecipanti si condensano
dando l’impressione che siano il frutto di un’attività del gruppo come un tutto
(Foulkes parla di questo momento impiegando la denominazione di “eventi di
gruppo condivisi”), si possono individuare non uno ma due “nuclei”, disposti a
livelli diversi.
Il nucleo che corrisponde al primo livello è rappresentato da una fantasia o da una
serie di fantasie a livello preconscio presenti in seduta. Queste fantasie trovano
facilmente connessioni con il tema della seduta (ciò di cui si parla). Il tema e le
fantasie preconsce possono essere elaborati attraverso un processo conoscitivo (che
Bion chiama “trasformazione in K”, dove l’iniziale K sta per Knowledge,
conoscenza).
Il nucleo che corrisponde al secondo livello (“fuoco”, “attrattore” o “propulsore”) è
invece una fantasia o una galassia di fantasie dotate di potente forza ma ancora prive
di forma e non ben definite. E’ impossibile conoscere direttamente questo nucleo
privo di forma, tuttavia esso può evolvere. Bion (1970) parla di “evoluzione in O”,
cioè dell’evoluzione di ciò che è ignoto.
Nel corso della seduta il terapista può mettersi all’unisono con questo punto focale;
così facendo egli segue e in un certo senso promuove il suo prendere forma nel
gruppo. Egli così favorisce anche il fatto che i partecipanti, a loro volta, si mettano
all’unisono con il nucleo in evoluzione. Ritengo che la partecipazione dei membri
del gruppo all’evoluzione in “O” e all’emergenza di fantasie che in seguito potranno
essere affrontate in modo conoscitivo, sia altrettanto ricca di potenzialità
terapeutiche rispetto alla comprensione promossa attraverso la conoscenza e
l’interpretazione. (Cfr. Neri, 1987)
6. Illustrazione clinica
Presenterò una sequenza clinica che fornisce un’illustrazione delle caratteristiche del
pensiero del piccolo gruppo a finalità analitica di cui ho parlato finora (discussioni
non direzionate, catene associative, disposizione a stella, sincronicità). Insieme al
materiale clinico, proporrò anche un resoconto dei pensieri che si sono presentati alla
mia mente durante le sedute.
Il gruppo è formato da me a da cinque pazienti (Marcello, Loredana, Fabiana,
Antonia e Gabriella) di età compresa fra i 25 e i 50 anni; la sintomatologia, la
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posizione sociale e professionale e la sfera degli interessi dei membri sono
eterogenee. Il gruppo è al terzo anno di lavoro analitico; le sedute sono due per
settimana, ognuna dura circa due ore.
Nel corso delle sedute di cui riferirò, l’interesse dei presenti ruota intorno a due
giovani donne – Loredana e Fabiana – e alle loro storie parallele.
Loredana – che prima di iniziare il gruppo era rimasta incinta altre volte, ma aveva
sempre abortito entro il terzo mese – aveva intrapreso l’analisi proprio a causa delle
precedenti interruzioni della gravidanza, ed è ora nuovamente incinta.
Fabiana, più giovane di Loredana, è entrata in vivace risonanza emotiva e
fantasmatica con la sua gravidanza; in precedenza Fabiana aveva manifestato un
netto rifiuto del matrimonio e della maternità, ma partecipando agli eventi che hanno
per protagonista Loredana, la sua avversione si è un po’ incrinata e si è affacciata la
fantasia di avere anche lei un bambino.
Fabiana è gelosa perché Loredana è incinta; tuttavia il suo vero problema è che la sua
sopravvivenza è messa a rischio dalla gravidanza di Loredana. Fabiana è sospesa tra
creatività e auto-distruttività; ella dipende, in grande misura, dalla continuità
dell’interessamento del gruppo per mantenere un sufficiente investimento su se
stessa. Sinora, Fabiana è stata al centro dell’attenzione; i membri del gruppo hanno
seguito con assiduo e intenso interesse i suoi sviluppi e le sue ricadute. L’attenzione
che adesso viene rivolta alla gravidanza di Loredana, distoglie in parte l’interesse da
Fabiana e dalle sue vicende, e lei si sente in pericolo. (Cfr. Neri, 2000 e 2003a)
Il bambino nella pancia e Tamagogi – All’inizio della prima delle sedute che
riferirò, Loredana racconta di aver visto sullo schermo dell’ecografia l’esserino che
vive dentro di lei.
Loredana: «Ciò che mi ha colpito maggiormente, è che il bambino si muova
rapidamente. Il piccolo, addirittura, ad un certo punto si è messo a pancia in giù».
Nel corso della stessa seduta, Antonia – una partecipante sempre particolarmente
attenta agli stati d’animo di Fabiana – nota l’apparizione di Tamagogi, un piccolo
pendaglio rosso, a forma di cuore, che Fabiana porta alla cintura; su una delle due
facce del pendaglio è inserito un piccolo riquadro rettangolare: un monitor.
Fabiana spiega: «Il mio Tamagogi non è un cucciolo di cane o di gatto, ma è un
piccolo dinosauro. Ha otto giorni e pesa settanta chili. Deve essere nutrito, coccolato,
pulito, messo a dormire. Quando ha bisogno di qualcosa, dà un segnale di
avvertimento emettendo un piccolo suono. Se non ci si prende cura di lui in modo
adeguato e continuo, il dinosauro muore. Sinora non mi ha dato quasi nessun
fastidio. Le operazioni da compiere sono poche; basta provare una dopo l’altra –
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nutrire, coccolare, pulire la cacca, metterlo a dormire – e vedere se una tra queste
funziona. Il Tamagogi può essere spento. Quando sono al lavoro, ad esempio, lo
spengo. Anche adesso, prima di venire alla seduta, ho chiuso l’interruttore».
Dicendo questo, Fabiana stacca il Tamagogi dalla cinta e lo mostra agli altri, ma non
lo dà loro in mano. Poi lo accende, e il cucciolo di dinosauro emette un pigolio.
Fabiana preme rapidamente alcuni minuscoli pulsanti a lato del monitor, poi spegne
il Tamagogi e lo appende di nuovo alla cintura.
Vedendo comparire il Tamagogi proprio nella seduta in cui Loredana parla al gruppo
dell’ecografia del suo bambino, mi vengono in mente alcuni pensieri. Penso, prima di
tutto, che il comportamento di Fabiana sia espressione di rivalità. Rifletto, subito
dopo, sul fatto che piuttosto si tratti di un assoluto bisogno di Fabiana di distogliere
l’attenzione dall’embrione, per riportarla su se stessa.
Queste considerazioni mi fanno capire meglio la condizione di Fabiana, ma mi
dicono poco su ciò che ella esprime per conto del gruppo. Penso che centrare
un’interpretazione su Fabiana e/o sulla relazione tra le due donne (Fabiana e
Loredana), significherebbe tralasciare ciò che sta accadendo nel “gruppo come un
tutto”. Nella mia mente avanzo l’ipotesi che al di là dei temi manifesti della seduta, i
membri del gruppo stiano convergendo verso una comune fantasia ancora non ben
definita, relativa a ciò che sta crescendo e che è in evoluzione. Questa fantasia è
espressa sia dall’embrione, sia dal Tamagogi. Il convergere verso questa fantasia è
probabilmente accompagnato da intensa ambivalenza e da una tensione fra creatività
e distruttività. Decido di rimanere, per il momento in silenzio e di aspettare gli
sviluppi.
Morte di Tamagogi – Fabiana viene alle tre sedute successive portando sempre
Tamagogi. I membri del gruppo si limitano a qualche rapida domanda di circostanza
(“Come sta andando Tamagogi?”, “È cresciuto?”) e Fabiana risponde sullo stesso
tono. La cautela del gruppo è dovuta, probabilmente, alle perplessità sul fatto che
Fabiana stia crescendo un “dinosauro virtuale”, e non un bambino in carne ed ossa o
una bambola. I membri del gruppo non sanno dove porterà la bizzarra trovata di
Fabiana, preferiscono aspettare e non interferire. Mantenendo il silenzio, a mia volta,
mi pongo “in gestazione” di un’ipotesi per ora appena delineata: l’ipotesi che nel
gruppo stia avvenendo un’elaborazione di ciò che evolve e cresce.
Alla quarta seduta Fabiana arriva senza Tamagogi, spiega che il dinosauro ha avuto
una crisi irrefrenabile.
Fabiana: «Ogni minuto aveva bisogno di qualcosa. Stava sempre male. Non ce l’ho
più fatta. Ho premuto, ripetutamente, sempre lo stesso pulsante, sinché l’ho ucciso».
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Lutto, caos, aborto (catena associativa) – Ora che il “piccolo” di Fabiana è morto, i
membri del gruppo mostrano l’intensità della loro partecipazione alle vicende di
Tamagogi. La catena associativa inizia con il tema della cura dovuta ai morti e
quindi col tema del lutto.
Gabriella: «Il Tamagogi è un oggetto virtuale, un oggetto privo di sostanza. Il rituale
del prendersi cura di un oggetto virtuale è simile allo spolverare e rimettere a posto,
tutti i giorni, le foto dei genitori o dei coniugi defunti».
Marcello salta dai riti dovuti ai defunti – spolverare le loro foto – al dilagare del
disordine. Il tema disordine-ordine era presente, ma era del tutto secondario nelle
parole di Gabriella («spolverare e rimettere a posto»).
Marcello (rivolgendosi a Gabriella, come se questa avesse parlato di se stessa e non
di Tamagogi): «Come stanno andando i tuoi rituali di fare ordine?».
Gabriella (rispondendo in modo sintonico): «A casa mia, sotto un ordine apparente vi
è una realtà di caos».
Loredana, con un salto ancora più iperbolico, stabilisce una connessione tra i discorsi
sul caos e la violenta soppressione di Tamagogi. Loredana intuisce, a mio avviso,
che il movente essenziale del gesto assassino di Fabiana può essere stato il bisogno
di semplificare, fare ordine a qualunque costo. È un insight che si fonda,
probabilmente, sulla comprensione di ciò che è accaduto a Loredana stessa in
occasione dei suoi numerosi aborti, che infatti erano stati preceduti dal crescente
sentimento di non poter controllare la situazione.
Loredana (esprimendosi in modo sintetico e riportando il discorso su Fabiana e sulla
morte di Tamagogi): «La più ordinata tra noi è Fabiana».
Antonia sposta l’attenzione su un nuovo oggetto, venendo in questo modo in aiuto di
Fabiana, che potrebbe essere messa sotto accusa per l’uccisione dell’embrioneTamagogi. Nel gesto di Antonia vi è però anche un’intenzione più costruttiva, che va
al di là di una manovra difensiva e diversiva. Antonia propone un mezzo più
adeguato del gioco del cucciolo virtuale (Tamagogi), attraverso cui Fabiana può
esprimere e far crescere se stessa: tale mezzo è la scrittura, e in particolare la scrittura
di un diario.
Antonia (rivolgendosi a me): «Ha visto il diario di Fabiana?».
Fabiana (seguendo l’indicazione di Antonia) prende dallo zainetto il diario e me lo
mostra. È un diario di piccolo formato, le lettere sono nitide e precise, gli appunti
formano blocchi perfettamente regolari. È impossibile distinguere le parti stampate
da quelle scritte da Fabiana con una biro nera.
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Creazione e caos – Scorrendo il diario, noto alcuni versi. Nel leggerli mi vengono in
mente, in rapida successione, parecchie idee che hanno riferimento con Tamagogi, la
gravidanza di Loredana e quanto sta succedendo nel gruppo. Penso, prima di tutto,
che lo “sviluppo di un embrione” è crescita di qualcosa che è “al di là delle
possibilità di controllo”. Rifletto anche sul fatto che lo sviluppo di un embrione
(proprio come lo sviluppo di un embrione del Sé) può essere stato percepito da
Fabiana e dagli altri membri del gruppo, forse erroneamente, come un
“accrescimento del caos”.
La sopravvivenza di un embrione e il suo prendere forma dipendono, dunque, dalla
capacità – dell’individuo e del gruppo in cui è inserito – di non entrare troppo in
angoscia. Questa capacità, a sua volta, è correlata alla possibilità di trovare forme
non troppo violente per mettersi in rapporto con “ciò che non può essere
controllato”.
Questa rapida serie di pensieri mi porta alla decisione di comunicare al gruppo il
contenuto dei versi che Fabiana ha trascritto nel suo diario.
Dr. Neri (leggendo a voce alta): «Quando ebbe spartito in ordine quella congerie/ e
organizzato in membra i frammenti, quel dio, chiunque fosse,/ primariamente …».
Fabiana: «I versi scritti nel mio diario sono il tema che io e gli altri partecipanti al
laboratorio di teatro-danza gestuale, che io frequento da qualche mese ci siamo dati
per lo spettacolo che stiamo preparando». 1
Fabiana rivela che il problema di dare ordine ad una “congerie” e organizzare in
“membra i frammenti” è al centro dei suoi pensieri da tempo. La proposta del
problema di dare forma al caos come compito per i partecipanti al teatro-danza
gestuale – e implicitamente per i membri del gruppo terapeutico – pone l’impegno
del “organizzare in membra” non come una questione di un singolo, ma di una
comunità o di un “gruppo di lavoro”.
La proposta di Fabiana, in effetti, è molto generale e abbraccia la condizione di
Loredana e anche quella degli altri membri del gruppo. Penso, infatti, che ogni
membro del gruppo ha un embrione di sé cui dare forma. Non comunico però queste
riflessioni, perché la lettura dei versi di Ovidio mi sembra già una adeguata
comunicazione su questi punti.
Il gruppo, partendo dalla morte di Tamagogi, arriva dunque a formulare un pensiero:
“dare forma ad una congerie, ad un embrione”. Questo pensiero, che si è sviluppato
attraverso percorsi discontinui, illumina retrospettivamente ciò che è accaduto. È un
1
I versi del diario di Fabiana sono tratti dalle Metamorfosi di Ovidio (I, 32-4). In questi versi
Ovidio racconta come il mondo è stato creato dal caos: «Sic ubi dispositam, quisque fuit ille
deorum,/ congeriem secuit sectamque in membra redegit,/ principio …».
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esempio di pensiero creativo che, operando su sistemi di elementi e con mezzi
diversi, affronta ripetutamente e da differenti punti di vista uno stesso problema,
producendo successive trasformazioni che aprono la strada all’invenzione di un
piccolo rito adeguato, quello messo in scena da Fabiana, con l’uccisione di
Tamagogi.
Una gravidanza è sempre accompagnata da sentimenti ambivalenti da parte della
donna che rimane incinta. L’embrione modifica il suo corpo. La sua vita non sarà
mai più quella di prima.
Loredana, rimanendo incinta, ha già superato in grande misura la sua ambivalenza.
Per mandare avanti la gravidanza – il progetto creativo – è necessario affrontare
l’ambivalenza residua. L’ambivalenza – nella sua radice – è compresenza di
distruttività e creatività. La distruttività si accompagna ad ogni impresa creativa.
Il gruppo, nel suo insieme, si assume il compito di gestire le spinte distruttive. Col
passare del tempo, diventa chiaro che la distruttività non può essere continuamente
repressa, ma deve essere affrontata. Fabiana prende in mano la situazione:
introducendo il piccolo Tamagogi e provocando poi la sua morte, ella dà un aiuto
particolarmente grande a Loredana e al gruppo. Fabiana, infatti, sposta la mira su un
nuovo oggetto, diverso dal bambino. Poi, dando corso alla spinta distruttiva, uccide
Tamagogi. I riti del lutto possono avviarsi. La vita va avanti.
Tamagogi è morto. Sei mesi dopo, nascerà Giuseppina.
6. Finalità del pensiero di gruppo
Il gruppo di cui fanno parte Loredana e Fabiana ha seguito una sia pur particolare
strategia che ha contribuito al positivo andamento della gravidanza ed alla nascita di
Giuseppina? Nel corso delle sedute si è attuato un processo di problem solving?
Io credo che sia possibile rispondere affermativamente, anche se le modalità
attraverso cui il gruppo cerca una soluzione ai problemi che di volta in volta si
presentano sono diverse dalle procedure che caratterizzano un processo decisionale
“razionale” e organizzato.
Farò riferimento al resoconto fatto dall’antropologo W.H.R. Rivers di una riunione
di un “Consiglio del villaggio” per fornire una prima illustrazione della modalità
attraverso cui il pensiero di gruppo a quelle che potremmo chiamare “decisioni non
formalizzate”.
 «W.H.R. Rivers […] riferisce che in alcuni gruppi relativamente piccoli
della Polinesia e della Melanesia, le decisioni vengono spesso prese ed
attuate anche se non sono mai state formulate espressamente da nessuno.
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Un osservatore bianco, ascoltando le sedute di un Consiglio indigeno, si
accorse dopo un certo tempo che l’argomento originario della discussione
era cambiato. Quando chiese quando avrebbero deciso la questione che gli
interessava, gli venne detto che essa era già stata decisa e che erano passati
ad altri problemi.
La decisione era stata presa in un modo completamente diverso da come
procedono i nostri consigli e comitati davanti ad una questione
controversa. I membri del consiglio si accorsero ad un certo momento di
essere d’accordo su quell’argomento e non fu necessario esprimere tale
accordo esplicitamente» (Rivers W.H.R., 1920, citato da Bartlett, 1932).
Come nel “Consiglio del villaggio”, a volte il piccolo gruppo psicoterapeutico arriva
a conclusioni che sono accettate da tutti o dalla maggioranza dei partecipanti, senza
passare attraverso una ratifica formale, come avviene nelle “assemblee organizzate”
delle società moderne, ad esempio attraverso un voto.
Nelle “assemblee organizzate”, inoltre, le questioni da discutere e sulle quali si deve
prendere decisioni sono formulate esplicitamente, ad esempio nell’ordine del giorno;
nel consiglio del villaggio, invece, non sono così chiaramente esplicitate perché tutti
ne sono al corrente, in quanto membri della comunità; anche nel gruppo terapeutico
le questioni prendono forma nel corso delle sedute, a partire da uno spunto proposto
da uno dei membri, oppure sono implicite nella situazione che i membri
condividono.
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