PROVINCIA DI REGGIO EMILIA INTERVISTA ALLA SIG.RA RINA

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PROVINCIA DI REGGIO EMILIA
INTERVISTA ALLA SIG.RA RINA MANZINI
INTERVISTATRICE
E era sposata?
SIG.RA RINA MANZINI
No, non ero sposata, perché lei mi ha detto di raccontare della mia vita privata. Sono una ragazza
figlia di una mamma che è morta di TBC, è morta dopo la guerra, la guerra è finita nel 1918, nel
1919 abbiamo avuto la spagnola, lei si è ammalata di questo male, è stata ricoverata in un
ricovero con delle malattie infettive, è venuta casa che era TBC.
INTERVISTATRICE
Lei aveva 10 anni?
SIG.RA RINA MANZINI
Sì 9 anni, facevo la terza elementare, io sono del 1909 e in quel periodo facevo la terza
elementare. Mio padre aveva i suoi familiari a Codemondo, mia madre i suoi familiari erano in
cella. In quella casa eravamo in mezzo a dei campi, non avevamo neanche la strada. Mio padre
faceva il birocciaio aveva dovuto chiedere al prete e non andava a messa, non andava in chiesa,
però gli aveva chiesto il passaggio attraverso la terra del contadino che era della chiesa: non ce
l’ha negato, ci ha dato il passaggio per tutto il tempo che siamo stati in quella casa.
A piedi invece si andava vicino al fiume e lì dal fiume vengono tanti, perché è fresco, c’è
l’acqua, la terra cola, viene come una specie di boschetto e allora noi camminavamo in questo
sentiero che era duro a piedi, però con dei mezzi si doveva andare. Eravamo in mezzo a questa
campagna, lontano abbastanza dalla gente e eravamo soli.
INTERVISTATORI
Suo padre aveva dei fratelli?
SIG.RA RINA MANZINI
Due fratelli più piccoli, uno di 7 anni e l’altro di 8 e mezzo, perché uno è del 1915 e l’altro è del
1916, solo che uno compie gli anni in aprile e l’altro li compie in novembre. Mio padre è
l’ultimo figlio e questo l’ho pensato dopo.
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
Nella Prima guerra mondiale si parlava della guerra che era un disastro, che la gente si infilzava,
che impazzivano e allora il Governo Giolitti aveva emesso un decreto: la classe di mio padre, se
aveva 4 figli, era esonerata. Si vede che questo annuncio l’aveva fatto qualche mese, in modo
che ha dato la possibilità a mio padre, che aveva già un bambino piccolo quello del 1915 a
andare al 1916 (sic), non ha fatto il militare.
Quindi avevo due fratellini piccoli, uno più grande invece e mio padre e mia madre in quelle
condizioni, che il dottore ci ha detto “ti lascio in casa tua, perché se ti metto in un ricovero vai in
mezzo a della gente che sono più malati di te e sarà peggio, però mi devi fare questa promessa: ti
devi svincolare da tutta la tua famiglia, isolarti, stare con i tuoi figli più lontano che puoi,
governare se vuoi la figlia per ordini fai questo e fai quest’altro, ma sempre a una certa distanza”.
Facendo questa vita, camminate e molta aria pulita perché allora non c’era lo smog, lei doveva
dormire anche di notte con le finestre aperte, mia madre nel giro di mesi, perché dalla primavera
che è stata in aprile anche prima la spagnola, durante quel periodo è riuscita a recuperare la
salute che aveva perso. Era diventata la temperatura normale e senza tosse, ha fatto analizzare lo
sputo e era negativo.
Abbiamo passato il 19, il 20 e il 21 tranquilli e contenti, sempre in mezzo a questa campagna. I
nostri vicini erano dei contadini, da un’altra parte c’era una famiglia di una vedova con 4 figlie
più piccole e più grandi di me, che quando si volevano muovere venivano su in mezzo ai miei
campi e erano diventate le mie amiche.
I contadini era una famiglia che si prestava tutto tutto tutto quello che uno aveva bisogno, una
famiglia piccola fatta in una maniera che mi domandavo come hanno fatto: due fratelli insieme,
uno sposato con due bambini e l’altro scapolo, era un uomo molto intelligente era un socialista,
presidente nelle cooperative, vivevano con due zii che erano insieme, forse fratelli o sorelle dei
suoi genitori, che avevano un figlio unico e che gli è morto durante la spagnola.
Questi due fratelli, il più anziano aveva due figli lui, l’altro non è sposato e vivono con questi
due zii. Lei è in gamba, una brava donna. Non so prima che famiglia fossero, ma loro hanno di
tutto e ti prestano tutto, tu puoi andare da loro a fare tutto quello che vuoi. Mio padre aveva un
po’ di terra e quindi, quando era ora di lavorare l’uva, andava a farla torchiare da loro perché ce
l’avevano. Mia mamma mi ricordo, in quell’anno che è stata bene, voleva fare la tela per i figli
che crescevano e loro avevano il telaio.
INTERVISTATRICE
C’era molta solidarietà quindi.
SIG.RA RINA MANZINI
C’era molta molta molta solidarietà.
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
INTERVISTATRICE
Anche la tua famiglia era una famiglia socialista?
SIG.RA RINA MANZINI
Mio padre era un socialista, infatti tra mio padre e questo signore presidente, questo contadino,
perché poi nasce il fascismo in quel periodo e era cercato perché era un presidente e lo volevano
abbattere. Lui era coraggioso, un uomo intelligente, veniva su da mio padre e parlavano,
parlavano, parlavano sempre di politica, di deputati, di elezioni, di vittorie, di scontri.
INTERVISTATRICE
Lei partecipava a queste discussioni o erano discussioni solo da grandi?
SIG.RA RINA MANZINI
Da grandi, io ascoltavo molto e dopo sono cresciuta. Quando sono cresciuta abbiamo cambiato
anche casa, ci siamo tolti dalla campagna proprio isolata e siamo andati in un centro. Mio padre
fa sempre il birocciaio, andiamo vicino a una famiglia…
INTERVISTATRICE
Siamo vicino a Reggio?
SIG.RA RINA MANZINI
Sempre a Rivalta. Giù dalla Modolena che c’è una discesa, poi c’è il ponte e di fianco nel giro di
un chilometro o due c’erano due case in mezzo a questi campi e si viveva ognuno, però la
solidarietà per la vicinanza che avevamo c’era abbastanza. Mio padre era un uomo che leggeva
sempre il giornale, mentre andava da Reggio a Rivalta per esempio a portare il suo materiale
costruttivo o di altro genere (sic), lui ha davanti (sic) che può sedersi sopra, lui con il giornale in
mano e il libro è sempre in lettura e il cavallo fa il suo lavoro. Era considerato un uomo innocuo
e i fascisti non lo disturbavano, anche perché non era un dirigente però era un fascista che aveva
dato al fascio la tipografia, era il proprietario di una tipografia e lì potevano stampare il Solco
fascista.
Con i rapporti con mio padre che aveva avuto, perché ci aveva portato avanti e indietro della
roba, che era venuto lui da Reggio e aveva comprato un podere a Rivalta, si faceva portare
questa roba da mio padre, che faceva anche questo lavoro. Aveva fatto l’abbonamento a questo
giornale fascista, perciò la gente che lo vedeva leggere con il Solco fascista non dubitava che
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
fosse un socialista, un avversario, mentre invece ha dato ospitalità a perseguitati politici, perché
eravamo in questo deserto…
INTERVISTATRICE
Ma durante la guerra o anche già prima?
SIG.RA RINA MANZINI
Prima della guerra, durante il fascismo: incominciammo dal 21. Nel 21 mia mamma stava bene,
si era data da fare, noi eravamo abbastanza contenti, avevo un fratello più vecchio di me che
aveva 17 anni. Succede che mio fratello non si sa come, è rimasto un enigma per i miei, per mio
padre e mia madre, che ha portato tanto dolore; c’è un momento di stanchezza in questo ragazzo
che non era normale, i miei genitori riconoscono che non è normale, anche perché erano
spaventati perché dopo la spagnola era entrata un’altra malattia che si chiamava ?la nona? e che
colpiva i giovani.
I contadini che confinavano con noi avevano uno di questi ragazzi e mia mamma a vedere questo
giovane così malridotto aveva una paura matta che suo figlio facesse la stessa fine. Allora insiste
con mio padre di portarlo da uno specialista, dopo la guerra siamo nel 21 a Reggio è rimasto un
professore che era venuto durante il periodo della guerra che combattevano nel Trentino, a
Trento, a Trieste che c’era la guerra proprio in quelle zone, lui era venuto a Reggio per il suo
mestiere e si era sistemato a Reggio, avevano riconosciuto che era un bravo professore e
l’avevano fatto direttore dell’ospedale.
Mia mamma vuole che mio padre porti questo figlio da questo specialista e mio padre la
accontenta. Un giorno di maggio un pomeriggio aveva preso l’appuntamento prima e porta il
ragazzo dal professore, ma stava in piedi, camminava, parlava. Aveva un’aria un po’ intontita,
ma non era uno da fare paura, però il dottore visitandolo ha detto “non capisco da dove venga il
tuo male, perciò ti consiglio di trattenerti in ospedale, perché se ti fermi qui io domani ci sono
ancora e ti torno a visitare, poi ci sono gli altri dottori, per vedere e capire cosa hai”. E disse
tanto e poi tanto che convinse mio fratello a rimanere in ospedale, non è venuto a casa dalla
visita e si è fermato in ospedale.
La sera, quando mio padre viene a casa che non c’è il figlio, mia mamma (sic) però le dice “stai
tranquilla che non c’è niente di grave, nella sala dov’è stato ricoverato c’era un amico che mi ha
detto “stai tranquillo che a tuo figlio ci do un occhio io” e così fu. Al mattino mia mamma, e
allora andava in ospedale solo tre volte la settimana (il venerdì, il martedì e la domenica), è
venerdì parte e va all’ospedale a vedere questo figlio. Quando va all’ingresso dell’ospedale c’era
l’impiegato e lei dice “sono la mamma di tal dei tali che è venuto dentro ieri sera, oggi sono
venuta a trovarlo e vorrei sapere dov’è”.
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
Lì c’è un altro signore che è di passaggio un personale dell’ospedale, ha detto “prendi la signora
e portala in fondo che sai”. Porta mia mamma in camera mortuaria e il figlio suo tanto adorato
era già morto durante la notte, senza sapere di cosa. Qui succede il dramma, lei non è più quella
di prima, gli manca il sostegno, gli manca il figlio, gli mancano tante cose, si lascia andare e il
male della TBC riprende il suo posto. In 2 anni lei si esaurisce e muore anche lei.
Io durante questo tempo l’ho sempre assistita, perché non c’era altro personale che lo potesse
fare. Veniva una signora anziana a fare il bucato, a fare le cose che io non avrei potuto fare, però
ho incominciato da piccolina, i bambini da curare e da tenere perché lei va a lavorare, da grande
ho la responsabilità…
INTERVISTATRICE
Non era tanto grande!
SIG.RA RINA MANZINI
Questa è la mia vita personale.
INTERVISTATRICE
Lei ha detto che ha fatto la terza elementare, ha preso la licenza elementare o si è fermata alla
terza?
SIG.RA RINA MANZINI
Mi sono fermata al terzo anno, dopo mi hanno tenuta a casa e non sono più andata. Poi ho i
ragazzi che devono crescere, siamo come ho detto in questa casa ancora in mezzo ai campi, devo
fare il pane in casa, devo fare la sfoglia in casa, devo andare al forno, ho un po’ di terra, ho
l’orto, ho il cavallo da pulire e da tirare su: era un lavoro continuo!
INTERVISTATRICE
Quindi tutta la casa l’aveva in mano lei?
SIG.RA RINA MANZINI
Mio padre era un birocciaio e quando veniva a casa presto parole pronunciate in dialetto a
prepararsi la roba per il giorno dopo, quindi era un continuo!
INTERVISTATRICE
I suoi fratelli però la aiutavano un po’ o faceva tutto lei?
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
SIG.RA RINA MANZINI
Da piccoli non erano validi ma dopo sì, dopo appena che sono stati in grado dovevano anche loro
andare in fondo alla (sic) con il loro badile parole pronunciate in dialetto e via discorrendo.
C’è un altro fatto ancora: una sorella di mia mamma pensa al pericolo che abbiamo corso durante
la malattia di mia madre, tutte in una stessa casa il contagio, perché il dottore diceva “guardate
che il contagio della TBC è nel respiro, nel fiato e quando uno tossisce”. L’ho assistita dopo la
morte del fratello, che ha incominciato a andare giù a andare giù che dopo 2 anni è venuta a
mancare, l’ho assistita fino all’ultimo giorno, perciò avevo corso dei rischi abbastanza gravi.
Facendomi controllare da questo medico, diceva mia zia che avrei avuto un po’ più tranquillità e
anche mio padre: questo fu fatto. Solo che il dottore che ci ha visitato tutti, dai bambini a me, ha
trovato i bambini che stavano molto bene, perché era un periodo di tempo che economicamente
stava bene e poteva mangiare bene etc., però io ho una fragilità: sono magra, non sono una
mangiona e sono piena di ghiandole nel collo, dappertutto. Allora dice “la ragazza è diversa, la
ragazza va controllata, prima di tutto perché il contatto con la madre è stato più vicino e poi per
la sua costituzione fisica”.
Allora decide che io devo stare controllata e all’inizio mi fa cose che non ho mai sentito da altri,
mi fa non so se sono state 6 o di più delle iniezioni proprio sui polmoni, ci vado una volta alla
settimana e vado a Reggio. La gente che mi vede andare a Reggio a 15 anni dice “ma cosa va a
fare a Reggio?”, avevano intuito che c’era sotto qualcosa e allora la vicina di casa aveva paura
perché suo figlio più piccolo veniva a giocare con i miei fratelli, lei quando veniva a casa dalla
campagna che non trovava i bambini incominciava a urlare, a chiamarlo e la gente anche mi
guardava con una certa tenerezza.
Mi sono accorta di quello che loro pensavano di me e quando si è giovani non si riesce a fare
certi discorsi, non volevo essere considerata messa da parte e allora a un bel momento
interrompo la cura e non ci vado più. Siamo d’estate, con il mio caldo sto bene, da lavorare non
mi mancava e ho detto “non ci vado più”. Quando non stavo bene, mi veniva in mente che io
potevo anche essere malata di TBC e avevo paura.
Passa ancora il tempo, mi capita un’altra cosa che mi fa ancora impressione, mi fa ancora
pensare a questo male e poi passa anche questa, perché la giovinezza è capace di fare dei
miracoli. Continuo il mio lavoro, i miei fratelli…
INTERVISTATRICE
Lei lavorava in casa e lavorava anche nei campi?
SIG.RA RINA MANZINI
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
Sì, i campi erano pochi: erano due biolche, mio padre lasciava tutto da fare fieno per il cavallo
invece di comprarlo. Avevamo invece tanta uva, tanta vite e allora lì c’era da lavorare, poi c’era
l’orto da coltivare perché la verdura d’estate ti aiuta a cambiare l’alimentazione.
INTERVISTATRICE
Lei non andava a lavorare fuori da casa, lei lavorava l’orto, i campi e l’uva vicino a casa?
SIG.RA RINA MANZINI
Sì e i fratelli, lavare, stirare, aggiustare: ne avevo finché volevo! Quando potevo, anche di
nascosto da mio padre, leggevo: mi piaceva tanto leggere.
INTERVISTATRICE
Cosa leggeva?
SIG.RA RINA MANZINI
Tutto, romanzi in modo particolare. Mi ricordo (sic) in quel periodo c’era un giovane che gli
piaceva la ragazza che era vicina a me, però lui non comunicava lui con loro, comunicava con
me e mi portava sempre dei romanzi che parlavano delle donne morte di TBC. C’era la Traviata
perché c’era il romanzo e non solo l’opera, il romanzo nella vita di Violetta, c’era un altro
romanzo dedicato a questo che si chiamava “un giorno a ?Madera?”: era la figlia unica rimasta di
una coppia di malati di TBC, la mamma aveva sposato perché era innamorata e aveva avuto dei
figli, poi i figli quando crescono man mano gli vengono a mancare e lì è la disperazione.
Quando l’ultima rimane, ci lascia un testamento e dice “non innamorarti mai e non sposarti mai,
perché a fare dei figli domani ti muoiono perché sei come me malata come me e dovresti soffrire
tantissimo”. I dottori gli consigliano dal paese dove abita di andare in un posto che si chiama
Madera: è un posto giù nel meridione, un posto caldo. Nel viaggio in treno trova un uomo e c’è
una specie di colpo di fulmine: si piacciono a vicenda. L’uomo si fa sotto, però lei rifiuta e vuole
sapere perché, perché secondo lei non era un tipo da essere rifiutato! Allora lei gli racconta
questa storia e io la leggo e mi investo.
INTERVISTATRICE
Lei si immedesimava in questa ragazza?
SIG.RA RINA MANZINI
Sì, in tutte le malate della TBC.
INTERVISTATRICE
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
Però in questa storia di questa donna che non si sposa e che non deve avere figli, lei in quel
momento pensava che anche la sua vita dovesse essere così?
SIG.RA RINA MANZINI
Sì, che non posso e anche non lo trovo un uomo che abbia il coraggio di prendermi, oltre alla mia
salute ho a carico una famiglia: ho due fratelli e mio padre. Gli operai non sono la persona
adatta, i contadini invece…
INTERVISTATRICE
Perché gli operai non sono la persona adatta?
SIG.RA RINA MANZINI
Perché l’operaio in quel periodo fa una vita grama, non ha lavoro, eravamo durante il fascismo.
INTERVISTATRICE
Ma poi negli anni 30 c’era anche molta crisi.
SIG.RA RINA MANZINI
C’è crisi e niente lavoro, è proprio una vita dura! Allora l’operaio preferisce la contadina, perché
la contadina ha un aiuto dalla famiglia: una bottiglia di latte, una damigiana di vino, un carretto
di legna e io non ce le ho quelle cose! Però avrei un uomo vicino a casa e anche belloccio, ma è
un contadino che lavora tanto e poi tanto e poi tanto. Io dico “non ce la faccio” perché quando
ero giovane, quando facevo il pane in casa facevo 12 teglie di pane con le mani, la schiena mi
faceva male e le gambe anche, io dicevo “quando sono vecchia camminerò con la bocca per
terra”, perciò ho detto “no, è un bel uomo però non posso andare”, anche perché avevo la mia
famiglia: chi me la prende a carico in quegli anni così disastrosi?
Poi succede che vado a abitare in un quartiere più popolato di operai e contadini e mi mescolo in
mezzo ai giovani. La vita passa, poi c’è la politica e si comincia a parlare di politica, di Unione
Sovietica…
INTERVISTATRICE
Come inizia lei a interessarsi di politica? Come entra?
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
SIG.RA RINA MANZINI
Ho due fratelli che sono cresciuti e hanno 15/16 anni. Nel cortile ci sono altri giovani che sono
più grandi, non ci sono altri divertimenti e si trovano a giocare a chiacchierare, si trovano
insieme. Leggiamo anche - perché c’è la passione della lettura - in casa in collettivo, allora
venivano fuori dei fascicoli dei romanzi, uno dedicato all’Unione Sovietica che era un
personaggio dell’Unione Sovietica e l’altro era Garibaldi. Questi romanzi venivano fuori in
dispense e tutti quando veniva fuori lo volevano subito!
Per farla pari si leggeva in casa mia di sera e anche mio padre ci stava a leggere, poi incomincia
la politica. Noi simpatizziamo per l’Unione Sovietica e si canta Bandiera Rossa, si inneggia alla
festa di novembre quando c’è la rivoluzione.
INTERVISTATRICE
Ma queste cose come le facevate? Le dovevate fare di nascosto?
SIG.RA RINA MANZINI
In casa mia, perché la seconda casa quando cambio vado a abitare in un gruppo di case che ci
sono ancora, S. Vico si chiama, da una parte c’è tutto uno schieramento di operai e niente
contadini, dall’altra parte c’è l’osteria che era stata costruita come cooperativa, dopo il fascismo
l’ha interrotta e allora era diventata proprietà privata.
Diventiamo dei simpatizzanti dell’Unione Sovietica, perché nel romanzo che leggiamo vediamo
le ingiustizie che ci sono, poi leggiamo La Madre, (sic) di ferro, Il Giocatore, Dostoevskij e tutta
quella roba, sempre in collettivo.
INTERVISTATRICE
Eravate maschi e femmine a leggere?
SIG.RA RINA MANZINI
Sì, l’altra famiglia amica di mio padre hanno dei figli maschi e delle figlie femmine, quindi
c’erano gli amici dei miei fratelli e le mie amiche. Poi si portavano da fuori altri amici che si
faceva delle belle comitive, poi se si andava fuori alla domenica a fare una camminata a
canticchiare eravamo in gruppo sempre.
Lì trovo un ragazzo che è stato adottato da una vedova, che suo marito era morto, aveva fatto la
guerra 15 – 18, era mutilato e ci avevano tagliato le gambe. Mio padre ci aveva comprato un
calessino piccolo basso con le ruote di gomma e mio padre qualche volta lo portava a fare un po’
di svago, quando c’erano le fiere dei cavalli, perché anche loro sono di (sic) e per i cavalli fanno
il tifo. La vita si conduce così.
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
Questo ragazzo è senza madre, senza i genitori. Quando muoiono i nonni, i due fratelli che
rimangono, il mutilato è morto anche lui, si dividono e la vedova dice “questo bambino me lo
prendo io”: aveva 6 figli lei. L’altro cognato ne aveva 5, lui aveva delle donne e lei aveva 3
maschi e 3 o 4 femmine. Questi ragazzi sono tutelati dal Governo perché sono orfani di guerra,
allora appena vengono grandi hanno l’obbligo di trovarci da lavorare. Le ragazze vanno al
calzificio al ?Bloc?: era un calzificio; un ragazzo va a lavorare alla Posta e l’altro ancora fa il
meccanico con quelli delle corriere, che erano proprietà di questi banchieri di cui i nomi non mi
vengono (sic) e un altro socio.
Diventano degli operai specializzati e restano lì che nessuno li manda via, fanno tutta la loro vita
in questo mestiere. Il ragazzo invece che non è figlio del mutilato gli trova un lavoro lì a Rivalta:
c’è un calzolaio molto bravo e infatti sono parecchi i ragazzi che vanno a imparare là, perché non
c’è altro mestiere. Lui poi oltre alle scarpe fa i finimenti dei cavalli, perché lì a Rivalta ci sono
tali birocciai perché c’è un fiume qui e un fiume lì, perciò sono comodi anche e allora cuciano la
briglia, il filone, la sella: hanno il lavoro. Poi loro vanno a abitare a un certo momento a Reggio,
che ci trovano anche la casa del comune, e poi andiamo in un altro posto, da quella casa a
un’altra casa a Rivalta sempre per andare a (sic).
Mio padre è un uomo originale, lui non si lasciava comandare da nessuno, se andava bene a lui
dice sì, altrimenti nessuno e cambiava casa quando non se la intendeva con il padrone diceva
“tieniti la tua casa parole pronunciate in dialetto”. Andiamo al Cantone e là ci sono dei
perseguitati politici che sono già schedati e riconosciuti della Polizia. Sia i miei fratelli che anche
il garzone del calzolaio subiscono la stessa influenza, perciò nel crescere…
INTERVISTATRICE
E lei no?
SIG.RA RINA MANZINI
Io rimango estranea, sono d’accordo quando mio padre con loro però, a scuola i maestri
vorrebbero che ci iscrivessero ai balilla oppure ai gradi più avanti della scuola e io ho detto “no,
perché tu sei un socialista e tutti ti conoscono, cosa mandi i tuoi figli?”: davo del tuo a mio
padre. Si convince e non diventarono mai né fascisti né balilla né niente. Si lasciavano invece
influenzare dagli altri: c’era Ascanio Fontanesi, c’era uno del Casale che era un Ferrari e era
conosciuto per un uomo molto intelligente. Questi ragazzi si trovano di nascosto, però era facile
trovarsi di nascosto e chiacchierare in campagna.
Poi vengono i tempi duri, viene la guerra. Noi simpatizziamo per l’Unione Sovietica, i nostri
ragazzi vivono nella clandestinità, il più grande comincia a andare soldato a fare il militare e fa
tutta la leva. Siccome c’è un anno e mezzo dall’uno all’altro, quando viene a casa il primo va
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
sotto il secondo. Io ho un fratello che è a Roma a fare il militare e un altro che l’ho a casa che ha
appena finito di fare il militare e lavora con i cementori a Reggio. Una sera d’estate – in maggio
eravamo – quello di casa non viene dentro, però io abitavo in una casa dove ho un simpatizzante
comunista come i miei fratelli, iscritto come loro e anzi credo sia un po’ la causa che il primo
fratello ha denunciato il secondo per evitare di essere arrestato questo, perché era spostato, aveva
un figlio, aveva i genitori mi era sembrato di capire.
A ogni modo quella sera, dopo le 19, lui non viene a casa e noi siamo preoccupati. Noi siamo
amici amici di questo compagno che viva nella stessa casa e pensiamo che sia stato arrestato.
Allora lui mi dice “domattina, invece di andare a lavorare, passi dai Carabinieri e vai a sentire
cos’è successo”. Quel mattino vado dai Carabinieri, vado via presto perché poi in quel periodo
lavoro in una fabbrica di mattoni a S. Prospero. I Carabinieri mi dicono “non sappiamo niente, se
vuole andare in Questura a sentire” e vado in Questura. A loro volta mi dicono “no, sarà qui o
sarà là” “ma l’abbiamo cercato e non c’è” “noi non sappiamo niente, vada in S. Tomaso” mi
dicono.
Vado in S. Tomaso, viene fuori il portinaio e chiedo, do il nome e il cognome e lui mi dice
“venga dentro”: mi riceve in una stanzetta poco più grande di questa, con due file di panche dai
lati e c’è parecchia gente, donne in modo particolare. Io sto lì e aspetto.
INTERVISTATRICE
Sono tutte donne che aspettano come lei di sapere?
SIG.RA RINA MANZINI
Sì. Dopo 5 minuti suona ancora il campanello, lui va a aprire, sono due poliziotti e vengono a
prendere un prigioniero, allora vanno di là, cercano l’uomo che cercano loro e poi passano in
mezzo a noi. Il ragazzo che viene fuori da questa porta indossa una tuta tutta sbottonata, le scarpe
sciolte, la barba lunga e la testa così: fa una certa impressione. Prima il custode del carcere dice
ai poliziotti “ha parlato il merlo?” e loro rispondono “no, non ha parlato, ma parlerà, oh se
parlerà!”...
INTERVENTO?
Di che anno stai parlando?
SIG.RA RINA MANZINI
Del 39. Vanno di là, prendono questo giovane ammanettato, lo tengono uno per parte, lui non
guarda in faccia nessuno, però la curiosità nostra è grande e io, quando mi passa vicino, per
vederlo mi devo girare così e conosco che è il fratello che ho a Roma a fare il militare! Mi
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
domando “ma come?” e quando vengo a casa che lo racconto il mio amico mi dice “si vede che
ha parlato, ha fatto qualche nome” e ha fatto il nome di suo fratello.
INTERVISTATRICE
Ma vi siete riconosciuti?
SIG.RA RINA MANZINI
Lui mi ha visto e mi ha conosciuto, io ho conosciuto lui, però loro mi hanno svincolato, non
abbiamo scambiato neanche una parola. Quando lui è andato fuori sono ancora lì che aspetto
Libero e lui ha detto “adesso vada a vedere se c’è Libero in prigione”. Quando torna mi dice “sì
Libero c’è” e sono tutti e due arrestati, però non me lo vanno vedere né parlare e io so solo che
sono arrestati tutti e due.
INTERVISTATRICE
Tutti e due perché Libero è suo fratello, quello che era a Roma però?
SIG.RA RINA MANZINI
Quello che era a Roma si chiama Bruno, quello che era a casa era Libero. Come ho detto
vengono a mancare tutti e due, loro tardano un po’ a darci notizie e poi ci fanno sapere che
Libero e Bruno sono a Castelfranco, che dopo gli interrogatori di Reggio li hanno portati a
Castelfranco, quindi bisogna andare a Castelfranco Emilia.
INTERVISTATRICE
Ci andava lei a trovarli?
SIG.RA RINA MANZINI
Anche quella mattina sono partita da sola e sono andata fino a Castelfranco, sempre nel mese di
maggio. Quando sono là mi dicono “non passiamo farteli vedere, non ci può parlare, ci dia la
roba che ci ha portato” perché la dividono tutta per vedere se ci si è messo qualcosa. Poi io torno
indietro, so che sono là.
INTERVENTO?
In bicicletta sei andata?
SIG.RA RINA MANZINI
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
In bicicletta, a venire a casa si guasta anche il tempo e comincia a piovere. Avevo una veste di
taffettà un po’ stretta, che mi lega le ginocchia e vado fino a Rivalta in bicicletta.
INTERVISTATRICE
C’è andata tante volte o c’è andata solo quella volta?
SIG.RA RINA MANZINI
Quella volta è stata la prima volta, poi mandano i Carabinieri che ci dicono “se volete andare a
vedere i vostri familiari potete andarci a Castelfranco”, allora una domenica parto in bicicletta e
vado a Castelfranco. Ho un po’ di roba da portarci, perché di buono ho che abito in un posto
dove la gente è buona, hanno capito che i miei fratelli erano dei ragazzi perbene, mi preparano
un po’ di roba da portarci, perché io lavoro alla fornace, mio padre è un invalido. Ci porto un po’
di roba, però anche lì li vediamo ma non possiamo comunicare, c’è un mucchio di gente, perché
c’è tanta gente che hanno arrestato…
INTERVISTATRICE
Quindi lei non sa mai perché loro sono lì?
SIG.RA RINA MANZINI
Lo so, lo intuisco. Loro non te lo dicono, però lo intuisco perché c’era stata una grande retata di
antifascisti (sic) c’è con i miei fratelli Sacchetti, Strozzi, Beltrami, tutti ragazzi…
INTERVENTO FUORI MICROFONO
SIG.RA RINA MANZINI
Sì, però non c’era in quel gruppo Galileo. In quel gruppo ci sono di Codemondo, di Cavriago,
Strozzi Nello, Beltrami Renato, Sacchetti Walter e tanti altri. Lì rimango con un pugno, vado a
lavorare, si diffonde la voce, quando lavoro alla fornace c’è uno di Rivalta che lavora ai forni e si
vede che racconta ai colleghi quello che mi è successo. Loro ne parlano, il capo fabbrica che gira
sempre in bicicletta per guardare il lavoro come si svolge, perché sono tante attività, sente questi
ragazzi che parlano di questa cosa, allora mi chiama e mi dice “puliscimi la bicicletta che devo
andare in città”: c’era una parata fascista e era vestito tutto in grigio verde con il berretto.
Poi mi dice “ho sentito passando che raccontavamo questa storia: è vero?” e io ho detto “sì,
purtroppo è vero”, lui mi dice “ma sono proprio dei bambocci i tuoi fratelli” e io rispondo “lo
dice lei perché lei ha un lavoro, lei ha uno stipendio, lei non è un perseguitato, lei ha tutto quello
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
che gli occorre, ma quei poveri disgraziati che vanno alla bonifica con la carriola per un franco
all’ora non sono contenti naturalmente e quindi non possono plaudire il duce e sono antifascisti”
e lui “oggi è difficile essere antifascisti, perché il Governo è lui che comanda, speriamo che ti
vada bene”.
Ero preoccupata anche perché ho detto “i padroni sono tutti per il fascio, adesso perderò anche il
lavoro” e invece non fu così. Lui ebbe da questo momento un certo riguardo, perché io ero magra
a lavorare in un posto che ci volevano delle donne con le spalle robusto e resisto perché mi
aiutano le mie amiche, le mie colleghe, le operaie.
INTERVISTATRICE
Eravate in tante donne dentro la fornace?
SIG.RA RINA MANZINI
Erano quasi tutte donne, perché degli uomini ce ne sono alle macchine, su dove viene impastato,
poi che facevano le travi di cementi, invece di farle di ferro perché non avevamo più la ghisa,
facevano le travi in cemento per le case da costruire. I mattoni erano alla portata delle donne,
dovevi prendere un mattone con le mani così e fare così dalla macchina che te lo butta via, lo
metti sa un carrello che ce ne stanno 100 e poi li porti in campagna dove devono asciugare
all’ombra, perché altrimenti crepano.
INTERVISTATRICE
Anche le sue colleghe erano antifasciste?
SIG.RA RINA MANZINI
Erano delle donne buone. Quando sono andata quella che mi aveva consigliato, mi aveva detto
che c’era il lavoro e prendevano delle donne, io avevo bisogno e allora ci aveva detto “oggi
viene una mia amica, è nuova, dateci una mano”. Io prendevo i mattoni sotto la macchina su
questo carrello, dovevo fare una mossa così sulla piattaforma, infilare le rotaie e poi portarle nei
campi. Quando ero in fondo che c’erano tante (sic) le chiamavano, dove i mattoni venivano
messi così e così perché asciugassero, ci sono delle donne che fanno questo lavoro. Loro, quando
mi vedevano arrivare, mi venivano a dare una mano a girare il carrello.
Era un lavoro pesante proprio. Dopo il padrone, che gira sempre in bicicletta e controlla tutto il
lavoro che si svolge, ha capito che della forza ne avevo poca, allora mi ha cambiato mestiere e
mi ha messo in cortile con un uomo molto buono, dove si lavorava il mattone bello e tutto.
Parole pronunciate in dialetto e quelli che lavoravano ai forni, che tiravano i mattoni cotti dal
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
forno dove c’era ancora della brace, del carbone, della legna scottavano, avevano i guanti di
cuoio, io avevo le mani nude.
Andavo sugli ammassi, perché loro finché arrivavano mettevano loro a posto, poi quando non ci
arrivano più mi mettevano su questo ammasso perché c’era poco spazio nel cortile e io prendevo
i mattoni da loro e li poggiavo, sempre uno per mano facevi così.
Chiude d’inverno quando piove, perché non c’è il sole per asciugare i mattoni, chiude e allora io
andavo in casa di un signore che avevo imparato a conoscere perché era venuto a fare campagna
lì dove abitavo, avevo fatto amicizia con la signora e tante volte mi chiamava se gli davo una
mano e io ben contenta, anche perché era un commesso di Pinotti un negozio lì del centro. Era
d’accordo con il padrone che tutti gli scampoli che faceva nel negozio li avrebbe tenuti lui e poi
d’estate, quando faceva le ferie, andava in campagna dai contadini e li vendeva al prezzo che
prendeva bene, lui ci guadagnava. Me mi pagava con questa merce, mi diceva “quando hai
bisogno di qualcosa dillo che te lo procuro”, se non aveva lo scampolo lo faceva, perché era un
po’ un tutto fare in negozio.
Quell’anno mi disse “ma perché non vai a lavorare alle Reggiane che vai in un posto asciutto,
pulito no ma perlomeno protetto dalle intemperie e lavori anche d’inverno?”, io dico “non so se
mi prendono” e lui “se vuoi provare ti aiuto”. Lui faceva il commesso e poi insieme a degli altri
suoi amici prendevano a noleggio tutte le attrezzature del teatro Ariosto e d’inverno, quando
c’era la stagione teatrale, loro alle compagnie di attori gli davano a noleggio tutta l’attrezzatura
che volevano. Era un uomo molto buono, quando potevo dare una mano alla moglie lo facevo e
tramite lui sono andata alle Reggiane.
Però alle Reggiane non ero una meccanica e là ci sono dei macchinari che quando te li hanno
piazzati il capo officina, dopo è da sciogliere e da mettere il pezzo. Lì ci lavoro due anni, quel
periodo è sempre fascista. Mi ritrovo in mezzo ai dirigenti, ai responsabili, anche agli ingegneri
che sono degli imboscati, perché altrimenti non lavorano. La guerra è in crisi, ci manca il
materiale e facciamo fatica anche a lavorare. Facciamo a cottimo, ci misurano il tempo sulla
paga che hai… (interruzione di registrazione) qualcosa, se non ci guadagni la paga è una lira e
6 centesimi.
INTERVISTATRICE
Guadagnava più del doppio, tre volte di più?
SIG.RA RINA MANZINI
Sì, sono a lavorare alle Reggiane nel reparto bottoni e ci sono dei toscani, dei milanesi, c’è un
po’ di tutto.
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
INTERVISTATRICE
Quando inizia a perdere consenso il fascismo, chiaramente c’erano già dei movimenti dentro le
Reggiane?
SIG.RA RINA MANZINI
Sì, però era tutto illegale, tutto nascosto.
INTERVISTATRICE
Lei però partecipava?
SIG.RA RINA MANZINI
Io ho un capo squadra che lui apertamente dice “sono più fascista del duce” e quando discutiamo
che facciamo queste discussioni lui mi critica sempre i russi, perché dice “i russi ti lavano il
cervello, i russi vivono in un ambiente freddo e hanno il cervello che non gli funziona”: trovava
tutte le cose per disprezzarli!
Combattevo lui con quello che sapevo dei miei romanzi che leggevo, della vita che facevano i
russi etc. e quando avevo ragione lui mi diceva “basta, dacci un taglio altrimenti ti faccio mettere
in galera!” e io rispondevo “in galera mi danno da mangiare, qui lavoro e tante volte da mangiare
non ce l’ho, perché non ce n’è” e allora taceva. Poi si continuava e lì si ammucchiavano gli
operai, perché questo lo facevamo quando c’era l’ora del pranzo. C’era chi mi diceva “Rina basta
basta, ti vai a compromettere, finiscila”.
INTERVISTATRICE
Lei però non aveva paura?
SIG.RA RINA MANZINI
No, non avevo paura, avevo acquistato veramente un coraggio che non me lo sarei mai detto.
Viene l’autunno, le cose in guerra non vanno bene, il mio amico su per la scala, quello che abita
nella mia casa, è richiamato a fare la guerra e dice “sono obbligato a andare” perché avevamo già
i tedeschi in casa dall’08 settembre…
INTERVISTATRICE
Siamo già dopo l’08 settembre allora?
SIG.RA RINA MANZINI
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
Sì, dopo l’08 settembre.
INTERVISTATRICE
Quindi qua sta già iniziando a fare la Resistenza?
SIG.RA RINA MANZINI
Sì, incominciamo allora a farla, perché i tedeschi invadono la città e abbiamo i tedeschi. Lui è
richiamato, va soldato e mi ha detto prima di andare via “quando sono in Russia la prima cosa
che mi capita mi do prigioniero, per saperlo tra io e te ci scriviamo e diciamo lo zio sta bene, lo
zio non sta bene: adoperiamo queste frasi” e siamo in autunno. In officina invece, anche perché
loro hanno i mezzi di ascoltare la radio, è tutta un’euforia perché dicono che a natale vanno a
mangiare i cappelletti in Russia, cioè che le avanzate tedesche riescono a sopraffare l’Unione
Sovietica e anche a sopprimere, a occuparla.
INTERVISTATRICE
Hanno l’idea che stanno vincendo?
SIG.RA RINA MANZINI
Sì, quando invece non è vero e proprio in quei periodi, questo me l’ha raccontato quando è
venuto a casa…
INTERVISTATRICE
Lui è tornato dalla Russia?
SIG.RA RINA MANZINI
È tornato dalla Russia perché, quando loro credevano che l’armata tedesca invadesse la Russia, è
stata la Russia che ha capovolto, erano da una parte i tedeschi e dall’altra parte c’erano i russi, lui
racconta che era tutto un bianco, tutto un gelato perché eravamo in pieno inverno e lui era avanti
perché era un falegname e facevano i ponti per attraversare. Quando scrutavano dall’altra parte
per riconoscere il nemico, come si comportava, come era, dicevano che non vedevano niente,
solo bianco solo neve solo neve. Diceva “qualche volta un qualche movimento bianco si vedeva
passare attraverso la lente del cannocchiale, perciò stanno lì che si preparano per dare l’assalto
all’Unione Sovietica, per attraverso il Don e passare dall’altra parte”.
Quando tutto in un momento di sorpresa, di calma, di tranquillità, un mattino presto all’alba si
vedono i russi a valanghe che gli vengono addosso, allora lì le nostre divisioni tedesche e
italiane, quelli che sono motorizzati e quelli che sono a piedi, scappano, i tedeschi che si
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
arrampicano sui camion e si tagliano le mani, delle cose incredibili! La guerra ha un qualcosa di
importante, l’Unione Sovietica invece di essere travolta ha travolto l’armata, gli alleati stanno
preparando lo sbarco in Normandia, in Italia abbiamo (sic) che dice “fermatevi lì, partigiani,
perché io questo inverno non mi muovo da qui”. In primavera è tutto uno scoppiare, tutto un
insorgere.
INTERVISTATRICE
Lei cosa faceva? Quale era il suo compito?
SIG.RA RINA MANZINI
Avevano bombardato, lì dove c’è la tragedia dei cervi, i cervi che vengono fucilati, ero a
disposizione quasi di ?Zanchi? e Zanchi dopo viene arrestato. Lì ci sono i cervi che vengono
fucilati, gli alleati danno una dimostrazione al popolo italiano – così era interpretato – di
muoversi e fare qualcosa perché la guerra potesse finire.
Alle Reggiane lavoriamo poco, perché non poiché il materiale, però vado ancora alle Reggiane.
Ma dopo la fucilazione dei cervi gli alleati dimostrano la loro reazione e bombardano, vengono a
Reggio un mattino presto con delle corazzate di apparecchi che volano e via terra e bombardano
tutta la città e anche le Reggiane. Le Reggiane subiscono dei danni, quindi non sempre si può
lavorare.
Trasportano il materiale che era stato salvato metà a Cavriago e metà a Scandiano, quindi chi
voleva lavorare doveva andare o a Scandiano o a Cavriago. Io che avevo mio padre che era di
una certa età invece non vado né nell’uno né nell’altro, allora c’è stato di bello che ci davano una
specie di sussidio: andavamo lì alla Villa di ?Terrachini?, che c’era un ufficio delle Reggiane e là
facevamo la fila a ritirare quel po’ di sussidio che ti davano.
INTERVISTATRICE
Ma lei, Rina, era staffetta partigiana?
SIG.RA RINA MANZINI
In quel momento che perdo il lavoro alle Reggiane ero a contatto con Zanchi. Nel periodo del 23
luglio a andare all’08 settembre, che eravamo stati liberati dal fascismo, avevamo costituito le
cellule di partito e Zanchi era sfollato di poco distante a Rivalta. Allora era venuto e avevamo
costituito una cellula di partito, ma piccola di 6 o 7 persone.
Da quel momento sono a disposizione del movimento partigiano, lavoro per gli uomini con le
staffette, parlare alle donne e farti aiutare per i prigionieri, ci sono poi anche gli sfollati, i ragazzi
che scappano dall’esercito, prima quando Badoglio dice “la guerra è finita”, poi dice “no non è
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
finita” che abbiamo la dimostrazione delle Reggiane, dove ci sono stati 8 o 9 morti. Da quel
momento divento a disposizione del movimento partigiano.
INTERVISTATRICE
Come faceva? Viveva sempre in casa e si spostava?
SIG.RA RINA MANZINI
No, mi spostavo però stavo sempre in casa, avevo contatto con quelli della montagna, avevo
contatti con i partigiani locali, perché il mio vicino era un comandante (sic) parole pronunciate
in dialetto adesso sono amica con suo figlio. Era un continuo di lavoro in mezzo alle masse, per
convincere le donne di fare delle manifestazioni, di andare di qua e di là. Le abbiamo portate in
Corso Garibaldi davanti alla Prefettura…
INTERVISTATRICE
Per fare cosa?
SIG.RA RINA MANZINI
A dimostrare che liberassero i prigionieri… (intervento fuori microfono) dei servi sì. E poi ci
mancava il sale: siamo andati a prendere il sale a Salsomaggiore.
INTERVISTATRICE
Tutte donne siete andare a prendere il sale?
SIG.RA RINA MANZINI
Ci siamo andate in 2 o in 3 in bicicletta.
INTERVISTATRICE
E vi hanno fermato? Se vi fermavano?
SIG.RA RINA MANZINI
Non ci hanno fermato, perché il giorno si poteva girare e la notte, quando c’era il coprifuoco, ti
potevano fermare. Eravamo partite in tre, poi una si è ritirata. Quella mia amica al ritorno voleva
fermarsi nella stalla di un contadino per fare passare la notte, io invece volevo venire a casa e
dicevo “se ci fermano abbiamo il sale che ci giustifica: siamo andate a prendere il sale”. Era
difficile però per la strada, perché c’era ancora la neve e i camion camminavano di notte quando
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
c’era il coprifuoco, facevano dei sentieri sull’asfalto che erano così e dovevi stare lì che loro ti
sfrecciavano: è stata una cosa tremenda proprio, faticosa e paurosa.
Dopo continuiamo con le manifestazioni e portare le donne alle manifestazioni incomincia a
diventare difficile, perché incominciano anche a avere paura. Però ci riusciamo, per esempio
abbiamo fatto tante di quelle azioni, i partigiani ti fanno sapere che vengono a Puianello
all’ammasso del grano a farsi rifornimento, le persone qualsiasi che volevano approfittarne i
magazzini sarebbero stati aperti con la loro presenza dei partigiani, lo dissi in giro a qualche
donna e a qualche uomo e ci siamo andati in bicicletta con delle borse, con dei sacchi e abbiamo
fatto un po’ di provviste di grano. I partigiani avevano fatto un carico, ma naturalmente il
custode dell’ammasso telefona a Reggio e lì ti viene addosso la brigata nera.
INTERVISTATRICE
Voi eravate ancora lì quando sono arrivati?
SIG.RA RINA MANZINI
Quando sono arrivati loro ci siamo sparpagliati, perché l’ammasso era anche di fianco al fiume il
Crostolo e lì c’era tutto un miscuglio che ti puoi nascondere: ognuno si è dato da fare e non c’è
stato nessuno che sia stato arrestato. Dopo questo c’è l’avviso dei contadini di portare a Quattro
Castella i cavalli e il bestiame, perché i tedeschi lo requisiscono e lo vogliono mandare in
Germania; allora i partigiani ci fanno sapere che dobbiamo fare in modo che questo non possa
avvenire, che i contadini non portino il loro bestiame a questo raduno e che i partigiani fossero
poco distanti in posizione da potersi difendere se succedeva qualcosa.
Anche lì abbiamo portato le donne, però quando andavi a casa dalle donne a dire “dobbiamo fare
questa manifestazione” incominciavano a avere paura anche loro e si faceva fatica proprio a
portarle.
INTERVISTATRICE
Ma le donne, oltre a fare le manifestazioni, ospitavano anche? C’erano le case di latitanza,
ospitavano i soldati?
SIG.RA RINA MANZINI
Sì, questi sono l’08 settembre: quando l’08 settembre c’è lo scompiglio della guerra che continua
o meno e gli eserciti vengono sconvolti, i soldati ognuno cerca di scappare il più possibile e si
rivolgono alla popolazione. Avevamo avvertito che, quando c’erano queste persone, dovevano
essere aiutate e poi si portavano in un posto dove c’era un recapitato. Già lì li trasportavano di
notte lungo il fiume la Modolena e li portavano in montagna.
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
Poi c’era la raccolta dei vestiti, della lana, delle calze. All’inizio – dico sempre “noi” perché ero
sempre in mezzo a loro – abbiamo smobilitato i Carabinieri di Quattro Castella, hanno tolto le
armi ai Carabinieri di Quattro Castella: all’inizio della guerra dopo l’occupazione tedesca non
avevamo le armi e allora abbiamo dovuto procurarle in questo modo. Poi le avevano portate
distanti, perché da Quattro Castella erano venute a finire a Reggio; avevamo un contadino
piccolo ma tanto buono, che aveva i campi dietro casa, allora tutto quello che non era andato in
montagna l’avevamo nascosto in mezzo al frumento di questo contadino.
Avevamo anche gli sfollati e gli sfollati che girano e si muovono, poi avevamo anche i tedeschi
dall’altra parte e era una situazione non tanto facile, con i tedeschi che ti venivano in casa come
se fosse stato un amico e tante volte “caput”. Venivano a prendere le biciclette quando avevano
bisogno, avevamo ancora i doio dove si tenevano le biciclette e loro ti prendevano la bicicletta
che gli serviva, poi te la portavano se te la portavano.
INTERVISTATRICE
Qual è stato un momento in cui ha avuto paura di non riuscire o paura di non sopravvivere
mentre stava facendo?
SIG.RA RINA MANZINI
Gli ultimi giorni della guerra, era il 23 aprile e io avevo l’appuntamento oltre Reggio, dove ci
doveva essere una riunione, perché noi del comitato ci riunivamo ogni 15 giorni perché ci
portavano le direttive dei dirigenti, sia dei militari che anche del partito. Quella mattina devo
andare in questo posto e parto in bicicletta, quando sono a ?Coviolo?, che abito (sic) faccio la
strada di Coviolo, lì c’è della gente che sono già per la strada e mi dicono “guarda che ci sono i
tedeschi più avanti che ti prendono la bicicletta”.
Allora faccio dietrofront, torno indietro e vado giù dalla ?Roncina?, che è una stradina che è
come un argine che fiancheggia la Modolena e ti sbocca sulla Roncina proprio. Quando sono
sulla Roncina che posso andare a Reggio, c’è la strada piena di tedeschi che vengono su e noi
pensiamo che fossero in ritirata, però erano cattivi. Allora in mezzo a tutti questi soldati sono per
la strada con la bicicletta e sono ritentiva, perché mi avevano detto che le prendono le biciclette
ma ho detto “qui sono in tanti, una bicicletta non gli serve”.
Però tutto in un momento spicca fuori un soldato dal gruppo, mi viene in contro con le mani così
“dare la bicicletta” e io dico “no devo andare a lavorare, i miei fratelli sono in Germania che
lavorano per voi altri e io ho bisogno della bicicletta, una bicicletta da solo in mezzi a tanti non ti
serve” e gliela racconto così. Lui mi scuote, non capisce le mie parole, però continua a dire “dare
la bicicletta”. La gente che passa per la strada si ferma e guarda, però non dice niente.
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
Di là dalla strada c’è una villetta e lì c’è un comando di tedeschi, si dà che loro vedono, anche
perché i contadini dove erano lo fanno notare e dicono “ha ragione la signora, lei va a lavorare,
intanto di una bicicletta cosa ne fa?”. Poi mi aveva buttato per terra e io ho tenuto duro, ho detto
“se vedo che prende un’arma allora la mollo, però finché posso la tengo”. L’ufficiale che era di
là in questa villetta, che stava assistendo alla scena, in tedesco gli ha urlato “lasciatela andare” e
io invece di proseguire sono andata giù in mezzo a dei campi e sono venuta a casa.
INTERVISTATRICE
Non è andata alla riunione?
SIG.RA RINA MANZINI
Non sono andata alla riunione, però avevo conservato la bicicletta! Al pomeriggio, quando sono
andata via al mattino, avevamo dei tedeschi che si ritiravano, però stanchi morti si erano buttati
per terra dappertutto. ?Talino? (sic) mi disse “chiediamo la resa ai tedeschi, oggi diciamo ai
tedeschi di arrendersi”. Io devo andare a Cavriago ancora per una riunione che si doveva trattare
dell’insurrezione e vado via che ci sono tutti questi tedeschi sparpagliati. Talino mi aveva detto
che loro volevano rendersi, c’era qualche uomo nascosto e avrebbero creato un gruppo (sic).
Quando vado giù da S. Bartolomeo a Codemondo vedo che il paese è già liberato, ci sono le
bandiere bianche che sventolano sugli alberi, ci sono le sentinelle, c’è già un’atmosfera. Però
succede che agli angoli dove ti portano da una parte e dall’altra ci sono una motocicletta e una
vedetta tedesca che è riuscita a passare e avevano dei rifornimenti ai canali. In nostri compagni
che hanno chiesto la resa ai partigiani che erano lì a Rivalta non si arrendono, quindi devono
accettare il combattimento. Si portano in una zona che si attraversa, una campagna un fossato e
poi c’è una strada provinciale.
Su questa strada provinciale ci sono delle case di operai di contadini, eravamo in primavera e
quindi la gente era a casa e fuori nei campi che lavora. Quando i tedeschi non hanno accettato la
resa e ti affrontano con dei mezzi che non avevamo, fanno il diavolo! Quando ritorno da
Cavriago passo in una via (sic) e così un blocco, non si va avanti e senti le fucilate che si
scambiano attraverso la strada, da una parte i partigiani e dall’altra i tedeschi. La gente che è in
campagna si rifugia in una casa qualsiasi e tutti ti aprono, entriamo in questa casa ma loro fanno
un rastrellamento: ci chiudono in casa, ci portano via tutto quello che trovano…
INTERVISTATRICE
E siamo sempre al 24 aprile?
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
SIG.RA RINA MANZINI
23 aprile. Ci portano via tutto quello che trovano (biancheria, biciclette, salumi) tutto e poi
continuano la marcia di conquista. I partigiani a un bel momento non sono partigiani e neanche
soldati, hanno buttato via i fucili, nascosto i fucili e sono uomini, allora prendono tutti questi
uomini che trovano, li inquadrano e li portano in una stalla di un contadino, che lui l’avevano già
ucciso. A noi ci vengono a aprire “generale, siamo donne!”, ci aprono le porte, ci hanno portato
via tutto e non ci dicono niente.
INTERVISTATRICE
Eravate in tante donne qui?
SIG.RA RINA MANZINI
Ce n’erano parecchie, perché la gente passava. Ci infilano inquadrate con loro dai fianchi in
un’altra casa di un contadino che stava venendo e quando siamo in quella casa ci guardiamo in
faccia e diciamo “è venuta anche la nostra ora”. Per la strada passano sempre i tedeschi con i
giovani che hanno sequestrato durante la rastrellata, anche loro tutti inquadrati, e li portano in
una direzione diversa: loro vanno di qua e noi andiamo di lì. Si fa sera, si incomincia a fare buio
e noi rimaniamo da soli senza accorgersene, perché i tedeschi sono partiti.
Ognuna delle donne e degli uomini che erano lì vanno alle loro case… (interruzione di
registrazione) …rasente alla strada, c’era impronta della battaglia, le fucilate contro i muri e le
case. Lì dentro c’era ricoverato un giovane che era rimasto ferito, parole pronunciate in
dialetto se puoi aiutare e io ci vado, però sono da sola, lui non cammina e io non lo posso
portare via. Ho detto “va beh, adesso vado a casa, se trovo un aiuto qualsiasi ti vengo a
prendere”, incominciava a scurirsi e quando sono a casa non c’è anima viva, c’era il papà di
questo signore ma era un uomo anziano e non ho avuto il coraggio di dire “andiamo a prendere
quel ragazzo”, anche perché pensavo che c’era passato il dottore che non poteva succedere
niente.
Durante questi intervalli sentivamo dalla finestra le strade provinciali e statali, tutto un
movimento di ferraglie, di chiacchiere, di discorsi, di gente e non sapevamo se erano partigiani o
tedeschi, perché nel rumore non si distingueva la lingua. È passata la notte così e al mattino,
quando vado per andare a portare soccorso a questo ragazzo dalla strada dove lui stava, perché la
casa era proprio di fronte alla strada e aveva subito le revolverate, non dico le cannonate ma le
granate e se ne erano accorti che c’era stato un combattimento, degli inquilini non c’era nessuno,
le porte aperte, vanno su dentro e trovano questo ragazzo a letto impotente e lì lo picchiano, lo
malmenano. Al mattino, quando ci siamo arrivati noi, era pronto da portare in ospedale e poco
tempo dopo è morto.
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
In fondo alla strada c’era una curva su un piano rialzato, c’è una chiesetta e lì dentro ci troviamo
un altro morto, che era il figlio del contadino che ci abitata di fianco a noi, il figlio più grande
perché gli altri erano piccoli. E poi giù per la scarpata c’erano delle biciclette, c’erano dei fucili,
il proprietario della stalla dove avevano portato i giovani che avevano trovato attraverso il
rastrellamento anche lui era tra i morti lì lungo, perché era dietro la sua casa questa zona, questo
fiumicello con un po’ di rilievo dalle parti. Era un contadino tanto buono tanto buono. Lì ci sono
stati 8 morti… (intervento fuori microfono) sì, sono i caduti della ?Ghiara?.
Il 24 aprile siamo stati a raccogliere i morti e il 25 siamo andati in città. In città c’erano ancora i
fascisti che sparavano dalle finestre sopra i tetti, c’era la manifestazione ma era pericolosa anche
questa.
INTERVISTATRICE
Lei è andata in Città a Reggio alla manifestazione?
SIG.RA RINA MANZINI
Sì, fino al mattino!
INTERVISTATRICE
E lì nonostante i morti del giorno prima c’era anche la gioia della liberazione?
SIG.RA RINA MANZINI
No, avevamo solo il cuore che ci piangeva, perché era morto un giovane questo era morto 2
giorni prima che abbiamo vissuto nella stessa casa, era un giovane in confronto a me, era un
giovane bravissimo che era capace di manovrare le armi pesanti. In un attacco che c’è stato a
Quattro Castella i partigiani che sono stati presi dai tedeschi lui ha detto ai suoi amici “scappate,
io ho un fucile mitragliatore” e lì poverino è morto in questo combattimento.
Sua madre, una volta che ero andata a chiamarlo per un altro lavoro, lei aveva capito che c’era
(sic) e mi ha detto “se succede qualcosa a mio figlio non te lo perdono” e è proprio capitato.
Questo ragazzo giovane e bello… (intervento fuori microfono) Fiorello, era lì un vicino di casa
un amico
INTERVENTO FUORI MICROFONO
Gli hanno intitolato giù nella Bassa una Caserma (sic).
INTERVISTATRICE
E dopo la guerra? Le faccio l’ultima domanda e poi basta, perché secondo me sarà stanchissima.
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
SIG.RA RINA MANZINI
Dunque dopo la guerra il partito si è mosso…
INTERVISTATRICE
Lei era nel Partito Comunista?
SIG.RA RINA MANZINI
Ero nel Partito Comunista, ero dirigente ?dell’Udi? e davo attività continua, perché i miei fratelli
non erano ancora venuti a casa…
INTERVISTATRICE
Erano in Germania i suoi fratelli?
SIG.RA RINA MANZINI
I miei fratelli ce n’era uno a Roma che è stato lì con (sic) a aspettare l’invasione e l’altro era
stato liberato, poi non so come si trovava a ?Tobruck? in una nave e la nave è stata silurata dagli
americani. Siccome erano nel porto, i soldati si sono salvati, loro li hanno caricati, li hanno
portati in America nel Nebraska e tutto il tempo della guerra loro non facevano che caricare e
scaricare bombe da bombardamento; quando non avevano questo lavoro, andavano a aiutare i
contadini del posto.
Lui è venuto a casa nel 46, non nel 45 ma nella primavera del 46. L’altro invece è venuto a casa
appena finita la guerra, non ha aspettato il congedo, è scappato e dopo 2 o 3 giorni sono venuti i
Carabinieri a prenderselo e l’hanno portato a Roma, poi a Roma si vede che è riuscito a fare i
documenti necessari per il congedo e è venuto a casa.
INTERVISTATRICE
Lei era dirigente dell’Udi?
SIG.RA RINA MANZINI
Sì, ero una delle dirigenti, avevo una zona dell’Udi. Coltivavo Albinea, Quattro Castella e
Cavriago, a Reggio invece c’era una delle ?Valeriani? che sono state delle attiviste. Le Valeriani
sono state attiviste loro e i loro familiari abbastanza.
INTERVISTATRICE
Lei pensa che la Resistenza abbia emancipato le donne?
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
SIG.RA RINA MANZINI
Sì.
INTERVISTATRICE
Che ruolo ha avuto per le donne? Anche perché se si pensa come erano le donne sotto il fascismo
e a come…
SIG.RA RINA MANZINI
Nel 45 nell’aprile a andare a novembre che poi sono andata al convitto c’è stato il congresso del
partito e io sono stata eletta tra le prime. Mi avevano dato la mansione della sindacalista, perché
ero un’operaia di fabbrica e avevo una certa esperienza, mentre le altre ragazze, forse anche più
giovani di me, non avevano questa. Mi avevano assegnato il sindacato.
Quei mesi che sono stata attivista andavamo fuori, avevamo creato un gruppo di una comunista,
una socialista e una democristiana; andavamo a parlare alle donne al calzificio Broc, al calzificio
Riva, dove raccoglievano le immondizie che c’era anche lì un uomo che aveva in mano questa
azienda che prendeva delle operaie a mondare il rusco della città. Poi siamo andate anche a
Veccia, dove c’erano le donne delle mattonelle.
INTERVISTATRICE
Lì organizzavate? Perché lì chiaramente era appena appena cominciata, subito dopo la guerra,
per cui c’era da fare tutto…
SIG.RA RINA MANZINI
Abbiamo continuato, finita la guerra abbiamo continuato per il partito e per le organizzazioni di
massa.
INTERVISTATRICE
Anche per il voto?
SIG.RA RINA MANZINI
Per il voto, abbiamo subito creato le condizioni per la Repubblica o la Monarchia, che è stato
meno faticoso. Dopo che eravamo già in convitto abbiamo fatto le elezioni politiche, la
campagna politica con il fronte popolare… (intervento fuori microfono) sì, noi del convitto
siamo andati a Piacenza a fare la pubblicità per il fronte del popolo.
INTERVISTATRICE
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
C’è una lettera di Atos Salsi che proprio è una lettera dell’aprile del 48, dopo pochi giorni si
andava a votare e lui dice “alcuni compagni, allievi, insegnanti e dirigenti della scuola convitto
per partigiani e reduci di Reggio Emilia, vista la violenta impostazione data alla campagna
elettorale da parte dei nostri avversari, ritengono opportuno aiutare il partito con la mobilitazione
di tutte le loro forze. A tal fine i compagni della scuola convitto chiedono alla sezione stampa e
propaganda di passare, a spese proprie, l’ultima settimana della campagna elettorale, che va dal
giorno 10 al giorno 17 aprile, in un’unica provincia del meridione o dove il partito reputi più
necessario. I compagni che si pongono a disposizione del partito, oltre alle capacità specifiche a
fianco di ognuno segnate, per lo spirito di attaccamento al partito sono disposti a fare qualsiasi –
“qualsiasi” è scritto in grosso e sottolineato – altro lavoro che l’ambiente richieda e che il partito
ritenesse opportuno.”
SIG.RA RINA MANZINI
Il convitto in quei periodi aveva se non chiuso rallentato, molti convittori si sono offerti di
andare a fare la campagna elettorale. Noi siamo andati a Piacenza, nelle montagne di Piacenza e
ci siamo stati 8 giorni. Con noi c’era un Piccinini di Cavriago, che in montagna era un
responsabile di brigata, e poi c’era mio marito e poi c’era un ragazzo di S. Ilario e poi c’era un
ragazzo di Reggio che è morto giovanissimo e poi c’era un Canovi…
INTERVISTATRICE
Eravate in tanti allora a Piacenza!
SIG.RA RINA MANZINI
Sì, siamo andati con un camioncino e avevamo un partigiano di ?Pieve Modolena?, che era un
autista molto bravo. Ci portava lui a Piacenza e siamo arrivati a Piacenza un pomeriggio verso
sera. A Piacenza avevano organizzato una manifestazione perché c’era il deputato - a me faceva
una soggezione! - e quando siamo arrivati mi ha detto “va bene, sei proprio venuta (sic) questa
sera andiamo fuori, io parlo e tu parli alle donne”: ?Clochiati? si chiamava.
Quando alla sera siamo fuori, i compagni di Piacenza avevano il compito di organizzarci dei
mucchi di gente, dove noi andavamo a parlare sempre in nome del fronte popolare. Quella sera
vado sul palco con Clochiati, lui parla agli uomini e alle donne della situazione, cosa dobbiamo
fare, cosa non dobbiamo fare e quando tocca a me non riesco a pronunciare una parola.
INTERVISTATRICE
Ma lei aveva già fatto dei discorsi in pubblico?
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
SIG.RA RINA MANZINI
Sì, avevo parlato per esempio a Bagno in un teatro dopo la guerra, dove avevamo commemorato
dei morti io e Bruna ?Davoli?, una ragazza di Bibbiano ci ha organizzato questo incontro e ci ha
fatto parlare al pubblico; ce l’eravamo cavata tutte e due bene. Un’altra volta a Quattro Castella e
anche a (sic), sempre però in nome dell’Udi.
INTERVISTATRICE
Quindi avevate un pubblico di donne?
SIG.RA RINA MANZINI
Sì.
INTERVISTATRICE
Quindi lì era riuscita a parlare meglio perché sapeva che parlava a delle donne? Parlare con
anche gli uomini le è sembrato più difficile?
SIG.RA RINA MANZINI
A Piacenza andavamo fuori di giorno casa per casa e andavamo in coppia. Io avevo quel giovane
di S. Ilario. Non lo so se parlavo meglio di lui, ma c’erano delle persone anziane che gli dicevano
“taci, lascia parlare lei”.
Una volta, sempre lì a Piacenza, una domenica i compagni del luogo ci hanno detto “se volete
della gente che vi ascolti dovete andare fuori dalla chiesa all’orario che escono dalla chiesa e lì
affrontate i parrocchiani, la gente del comune del posto che va in chiesa” e ci andiamo. Abbiamo
l’auto-parlante, abbiamo tutta la nostra roba, ci schieravamo, avevamo fatto anche i nostri
appunti. Quando il compagno di Cavriago, che era un commissario politico e era lui il dirigente
prende la parola, a un bel momento non riesce a esprimere quello che vuole dire anche da uomo.
È tanto forte il dispiacere che lui ha per non essere capace di dire “siamo qui per queste ragioni”
che si è messo a piangere.
Ero a fianco di lui e mi sembrava che, ogni volta che parlava, avevo le parole lì che mi venivano
fuori dalla bocca, allora l’ho preso per un braccio, l’ho tirato da una parte e poi ho incominciato
con queste parole “avete visto un uomo che piange perché non è riuscito a spiegare quello che vi
voleva dire, perché siamo della gente che vogliamo cambiare la situazione, che abbiamo tanto
sofferto, che vogliamo essere uniti, che vogliamo essere uguali, che vogliamo il bene della gente
e non il male”: ero saltata fuori in una maniera!
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
INTERVISTATRICE
Lei era proprio una rivoluzionaria di professione di fatto?
SIG.RA RINA MANZINI
No, mi ero fatta poco alla volta come ti ho detto, poi avevo un’altra cosa: non avendo mia madre
mio padre era un uomo libero alla domenica, lui non mancava mai di andare all’osteria a fare una
partita alle carte e quindi ero libera in casa. Le mie amiche mi venivano a trovare e si parlava
sempre di queste cose, perché poi loro avevano i fidanzati e i fratelli a casa, quindi era un
continuo discutere di politica e l’Unione Sovietica era il nostro modello: ci ispiravamo molto a
loro.
INTERVISTATRICE
E oggi?
SIG.RA RINA MANZINI
Oggi sono una democratica, mi arrabbio perché non vanno d’accordo, mi arrabbio perché vorrei
di più che facessero, però sono una vecchia che vedo. Ho un buco in una gamba, nell’altra ho un
chiodo, ma ho la mania della politica.
INTERVISTATRICE
È una cosa bella?
SIG.RA RINA MANZINI
È bella e ti fa soffrire, ci sento poco e ci vedo poco, allora anche la televisione la sfrutto poco,
leggo…
INTERVISTATRICE
A volte è meglio, sa?
SIG.RA RINA MANZINI
Non mi piace per niente la televisione.
INTERVISTATRICE
Ma anche i nostri politici non sono tanto belli da sentire, da vedere non lo so ma da sentire!
SIG.RA RINA MANZINI
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
Anche questi, così accaniti, così accaniti, così accaniti al potere mi fanno una pena, Berlusconi
adesso che viene a parlare di governo…
INTERVENTO FUORI MICROFONO
Di grande coalizione…
SIG.RA RINA MANZINI
Sì.
INTERVISTATRICE
E per le donne cosa pensa oggi?
SIG.RA RINA MANZINI
Le donne mi deludono, sono troppo scoperte e questo non mi piace, perché sono violentate però
sono delle provocatrici. Che bisogno c’è sempre di fare vedere queste cosce e questo petto?!
Sono le bellezze di una donna, però da un uomo, specialmente gli uomini che circolano per le
città che non hanno una moglie, che non hanno una fidanzata, che sentono il bisogno di fare
l’amore, vengono violentate e la prendono dove la trovano!
Non venitemi a dire “ma i giovani gli uomini sono maschilisti”, domenica dicevano che gli
uomini sono troppo maschilisti: è vero, ma le donne non ci sanno molto fare se non migliorano.
INTERVISTATRICE
Quindi secondo lei tutte le lotte che avete fatto sono da continuare? C’è ancora tanto da fare?
SIG.RA RINA MANZINI
Anche da tornare indietro, perché il consumismo è troppo perché non c’è bisogno, quando mi
dicono “ma consumiamo per lavorare”: si può anche fare delle leggi più fatte bene, fate rendere
di più quello che è il prodotto, farlo durare di più, perché ho della roba che è quasi nuova e che è
migliore di quella che ho…
INTERVISTATRICE
Comprato ultimamente?
SIG.RA RINA MANZINI
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
Sì, troppa invenzione, troppi telefonini, un po’ di tutto troppo! Troppa illuminazione, un po’ di
riposo ci starebbe bene, troppa televisione.
INTERVISTATRICE
Rina, è stato bellissimo parlare con lei. Mi dispiace perché non mi ha parlato di suo marito e
avrei ancora tante cose da chiederle, però adesso ci fermiamo perché sono stanca io, non oso
immaginare lei com’è!
SIG.RA RINA MANZINI
Mio marito era un uomo semplicissimo, buonissimo, di fedeltà all’ideale, era un idealista e
purtroppo aveva poca salute. Finita la guerra stava abbastanza male, quando eravamo in convitto
era dovuto andare in sanatoria perché c’era la pleura, c’erano i polmoni, i ragazzi mi ricordo che
sia a me che a tutti ci raccomandavano “curate il biondino”: si chiamava “Roberto” ma lo
chiamavano tutti “biondino”.
Io ci sono stata bene con lui, a parte che come ho detto la salute era poca. Siamo stati bene,
perché poi era diminuito c’era venuto il Parkinson e lui era di una sensibilità che non ti so dire.
Anche la voce era tremolante, andava sempre perché andava al circolo, perché c’erano gli amici i
compagni, non si isolava e leggeva tantissimo. Siamo stati bene nel periodo della pensione,
abbiamo fatto una lunga vecchiaia e andavamo al mare d’inverno, perché lui aveva dei problemi
di respirazione, si pagava l’affitto di un appartamento e non c’era bisogno di fare tanto sfarzo. Lì
stava bene, dopo andavamo a Vetto che c’era un posticino che ci si stava bene, solo che è stato
sfortunato. È morto che non sembrava malato, era ancora fresco e giovanile, ma è morto di un
tumore. Sono 6 anni adesso che è morto.
INTERVISTATRICE
Aveva la sua età?
SIG.RA RINA MANZINI
No, era più giovane lui, ecco perché ti ho detto quando eravamo ragazzi che siamo cresciuti
insieme lui aveva le cugine e i cugini, io aveva i fratelli e allora le nostre feste erano sempre
insieme. Dopo siamo cresciuti, siamo diventati politici insieme e poi siamo stati attivisti insieme.
INTERVISTATRICE
Il partito dava lo stipendio a tutti e due, o solo a suo marito e a lei no?
SIG.RA RINA MANZINI
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
Il convitto lo stipendio a tutti e due perché non eravamo sposati, in convitto è stato proprio che
lui era molto molto malato. Ci volevo bene come amico, come compagno, come fratello, però lui
era più giovane di me e io aspiravo a un uomo più maturo e più uomo. Eravamo amici, lui dava
una mano a me quando i miei fratelli erano in prigione e io a lui quando era nella clandestinità:
tante volte veniva a mangiare a casa mia, perché la casa l’aveva persa.
Siamo in convitto tutti e due, è vero che proprio sta male. Lui ha azzardato a farmi una proposta,
sul momento ero incerta se sacrificarmi perché capivo che mi sarei sacrificata e ho detto no, poi
invece pentita di avere fatto questo ci sono andata incontro e qui eravamo ancora in convitto. Mi
ricordo lui veniva a mangiare in convitto perché la casa non ce l’aveva, poi avevo due ragazzi
del convitto che tutte le mattine presto si alzavano prima di incominciare la scuola e andavano da
lui, perché lui dormiva in città: andavano a vedere come stavo. Una mattina viene e dice “se
questa notte avessi avuto una rivoltella mi sarei sparato”: stava male, la rivoltella ce l’aveva ma
quei ragazzi gliela avevano portata via.
Lascio passare qualche tempo, dopo da me mi sono detta “hai avuto bisogno tu e ti ha dato lui,
adesso ha bisogno lui e devi dare tu; tu ormai hai rinunciato alla tua vita privata” perché mio
padre ce l’ho avuto anche dopo, i miei fratelli ancora dopo, sono sempre stata una persona
difficile da collocarmi. E allora ho detto “faccio un’opera buona: lui è un uomo buono, un uomo
che merita, è gentile e premuroso, se campa sarà una soddisfazione, se non campa vuol dire che
c’ho aiutato a finire” e ci siamo messi insieme che eravamo in convitto a Reggio. Dopo i
compagni l’avevano tolto dal convitto e l’avevano portato in città a fare un altro lavoro di
fiducia.
Gli ho detto “sono disposta a aiutarti biondino” e lui ha fatto fatica a accettare, perché era molto
orgoglioso anche. Però ha detto “proviamoci” e come noi c’era Frigio con una ragazza: lei aveva
bisogno di Frigio perché era handicappata nelle gambe. Mi ricordo che una volta ci insegnava a
andare in bicicletta e era proprio in difficoltà e ho detto “ma guarda!”, mi è venuto da dire
“l’amore verrà, ma è la stima quella che conta”. Quando tempi addietro i genitori erano loro che
ti trovavano il marito e le ragazze dovevano stare con quello che diceva il padre, mi sono fatta
coraggio e ho proposto al biondino di aiutarlo. Lui aveva bisogno, ha accettato, ci ha messo tutta
la sua volontà e io la mia, ha incominciato a migliorare, a stare bene, dopo 8 o 9 mesi ci siamo
sposati. Come marito era un marito quasi ideale.
INTERVISTATRICE
Rina, grazie. Ci fermiamo perché sono già le 18.30 e abbiamo veramente abusato della sua
gentilezza!
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
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Intervista alla Sig.ra ?Rina Mancini?
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