Anticipazioni / Croci in lotta
LA VERA STORIA
DEL “VESCOVO DI HITLER”
All’interno di una Chiesa che, da Pio XI a Pio XII, contrastò in ogni modo la follia razzista, non
mancarono punte di filonazismo. Un caso clamoroso fu quello di monsignor Alois Hudal, rettore del
Collegio di Santa Maria dell’Anima di Roma. Ma Hudal non ottenne mai il credito che si attendeva
dalla Santa Sede. Dal nuovo libro di Luciano Garibaldi “O la Croce o la svastica. La vera storia dei
rapporti tra la Chiesa e il nazismo”, edito da Lindau, anticipiamo, per gentile concessione
dell’editore, il capitolo dedicato al “vescovo bruno”
di Luciano Garibaldi
La persecuzione nazista contro la Chiesa cattolica in Germania, culminata con l’arresto,
l’impiccagione e la prigionia nei lager di decine di preti dopo l'attentato a Hitler del 20 luglio '44,
era iniziata parecchio tempo prima: ancor prima che Pio XII, con i radiomessaggi natalizi del '41 e
del '42, lanciasse la sua condanna profetica contro il nazismo. Lo attesta un documento: una lettera
del capo della Gestapo di Norimberga al Landrat (dirigente territoriale) di Eichstätt. Un documento
“locale”, ma egualmente importante, perché trasmette direttive che erano state evidentemente
impartite dal comando della Gestapo a tutte le sezioni provinciali. Questo documento fu rintracciato
da padre Robert Graham, storico di “Civiltà Cattolica”, nei National Archives di Washington. La
lettera, che reca l'indicazione Verfraulich, (riservato – un grado sotto al Geheim! – segreto! – che
contraddistingueva i documenti dei quali nessuno, tranne il Führer, poteva venire a conoscenza) è
del 24 giugno 1941. Eccone il testo: “il 20 aprile scorso il Papa ha indirizzato al segretario di Stato
cardinale Maglione uno scritto che si occupa degli orrori della guerra con tendenze pacifiste, ed è
concepito nello spirito e nella mentalità delle potenze nostre nemiche. Esso è suscettibile di
disgregare il fronte compatto del popolo tedesco. E' da attendersi che questo scritto del Papa sarà
pubblicato prossimamente dai vescovi tedeschi nei giornali ecclesiastici. In tal caso, si deve
provvedere al sequestro delle copie reperibili e alla chiusura delle tipografie. Prego comunicare
telefonicamente con urgenza l'attuazione dei provvedimenti”.
Non esisteva, dunque, né avrebbe potuto esistere, alcuna “collusione” tra il Papa e il nazismo. Ad
ulteriore conferma dei veri sentimenti che Pio XII nutriva nei confronti dell'ideologia
nazionalsocialista, sta la storia del vescovo Alois Hudal, il rettore del Collegio di Santa Maria
dell'Anima di Roma, già noto come “il vescovo nazista”, o der braun Bischof. La appresi dalla viva
voce di padre Robert Graham che l’aveva pazientemente ricostruita attraverso le sue ricerche negli
archivi, facendone oggetto, a suo tempo, di un articolo su “La Civiltà Cattolica” dal titolo: “La
questione religiosa nella crisi dell'Asse: il confronto Orestano-Hudal”. “Ho conosciuto
personalmente monsignor Hudal”, mi raccontò padre Graham. “Accadde nel 1949, mentre mi
trovavo a Roma per ragioni di studio. Avevo sentito parlare di lui in America, dove passava per un
nazista, e volli conoscerlo. In quel periodo, era ancora rettore all'Anima, ma era stato ormai
praticamente emarginato dall'ambiente ecclesiastico. Due anni dopo avrebbe rassegnato le
dimissioni e si sarebbe ritirato definitivamente in una villa di Grottaferrata, dove poi morì nel
1963”.
Hudal era figlio di un calzolaio di origine ceca, e sua madre era slovena: e tuttavia non c'era
nessuno che si sentisse più tedesco di lui. Era nato in Austria, a Graz, nel 1885. Nel 1908 era stato
ordinato sacerdote e nel 1914, dopo un soggiorno a Roma, era stato nominato professore di Antico
Testamento nella Facoltà di Teologia dell'università di Graz, e vice direttore di quel Seminario.
Aveva già parecchie pubblicazioni di carattere storico e letterario al suo attivo (tra l'altro, un’opera
su Nietzsche e il mondo moderno), quando, nel 1923, fu chiamato alla direzione del collegio e della
chiesa dell'Anima, a Roma, e divenne consultore del Sant'Uffizio. La chiesa dell'Anima è sempre
stata il principale luogo di culto tedesco nella capitale del cattolicesimo: Hudal era quindi diventato
un prelato autorevole ed importante. Si può affermare che, dal punto di vista pastorale, era un
sacerdote zelante e spirituale, dalla vita irreprensibile. Era fervido di iniziative. Fondì l’Istituto dei
ragazzi cantori e, nel 1933, per i suoi indiscussi meriti, fu ordinato vescovo di Ela dall'allora
cardinale segretario di Stato Eugenio Pacelli. Ma, malauguratamente, proprio in quei mesi, che
vedevano l'ascesa al potere di Hitler, Hudal volle assumersi il compito di “gettare il ponte”, di
essere il pontifex, il Brueckenbauer fra la Chiesa cattolica e il nazionalsocialismo. Si rivelò un
acceso propagandista del Führer e pose mano alla stesura di un'opera dal titolo “Die Grundlagen des
Nationalsozialismus” (I fondamenti del nazionalsocialismo). Sosteneva di aver scritto quel libro
“con l’espresso, personale consenso del Führer”, ma in seguito si apprese che egli fondava questa
sua fiduciosa asserzione sulla comunicazione di un amico al quale Hitler aveva detto che non si
sarebbe opposto alla circolazione del libro. Questo, in sintesi, l'assunto di Hudal: nel
nazionalsocialismo convivono due anime: una radicale di sinistra, l'altra conservatrice di destra, in
lotta per il predominio. Il compito dei cattolici tedeschi, sosteneva Hudal, dovrebbe consistere nel
far di tutto per impedire che l'ala di sinistra prenda il sopravvento all'interno del partito. […]
Quanto al problema razziale, Hudal sosteneva: “Sono tutte esagerazioni di radicali come
Rosenberg”, e ricordava che anche nel Partito fascista c'era stato chi aveva gridato al tradimento per
il Concordato del '29. “Hitler”, diceva Hudal, “si trova nella stessa condizione di Mussolini: quella,
cioè, di dover mediare tra estremisti e moderati. E noi cattolici – concludeva – dobbiamo aiutarlo”.
Prima di iniziare la stesura del suo libro, Hudal chiese udienza al Papa per esporgli la sua linea di
pensiero. Era l'anno 1935 e il Papa era Pio XI che, da lì a poco, il 14 marzo 1937, avrebbe
condannato senza appello il nazismo con l'enciclica “Mit brennender Sorge”. Il Papa lo interruppe
quasi subito (è lo stesso Hudal a ricordarlo, nelle sue memorie postume, pubblicate in Austria
tredici anni dopo la sua morte, per espresso suo desiderio testamentario): “Caro Hudal”, gli disse
Pio XI, “qui avete fatto un primo errore. In questo movimento non si può parlare di spirito. Esso è
un massiccio materialismo”. Nelle sue memorie, Hudal racconta che lasciò l'udienza papale
“dolorosamente deluso”. Fece allora il giro dei vescovi tedeschi, per cercare di portarli sulle sue
posizioni. Fu perì accolto freddamente. Monsignor Von Galen [vedi “Storia in Rete” n° 6], il
battagliero vescovo di Muenster, gli disse: “Lei si sbaglia. Con questa gente non c'è nulla da fare:
sono ciechi. Simili canaglie non meritano che ci si occupi di loro in questo modo, in serie opere
scientifiche”. Nonostante queste docce fredde, Hudal terminò il libro, che uscì alla fine del 1936. Fu
uno scandalo. “L'Osservatore Romano” lo condannò senza mezzi termini. Offeso dalla
disapprovazione, Hudal chiese spiegazioni al segretario di Stato; seppe così, dal futuro Pio XII, che
il Papa avrebbe desiderato una disapprovazione molto più dura, se non, addirittura, una messa
all'Indice, e che lui, Pacelli, si era adoperato per mitigare lo scandalo. Probabilmente, perché
sarebbe stato davvero insolito, per un consultore del Sant'Uffizio, il cui compito era di dare pareri
sui libri da condannare, il finire egli stesso all’Indice.
Hudal, in Vaticano, era ormai bruciato. Proprio in quegli anni, la Chiesa protestante tedesca si
era scissa in due tronconi, sulla questione nazista. Ludwig Mueller, autoproclamatosi
Reichsbischof, “vescovo del Reich”, aveva dato vita alla Chiesa dei Deutsche Christen, il cui statuto
contemplava l'Arierparagraph. Questo “paragrafo ariano” prometteva guerra incondizionata agli
ebrei, e proclamava la “santa alleanza tra la croce uncinata e la croce cristiana”. “Noi siamo le SS di
Gesù”, diceva il vescovo Mueller. Fu in quel periodo che Alois Hudal si guadagnò il soprannome di
“vescovo bruno”. Il 10 aprile 1938 i propagandisti nazisti di Roma organizzarono un treno speciale
per portare tedeschi e austriaci a Gaeta, dove, a bordo della corazzata Admiral Scheer, si sarebbero
svolte le votazioni per l’Anschluss, l'unione fra Austria e Germania. Il risultato fu disastroso per gli
organizzatori. Più del 90 per cento del gruppo, di ambiente prevalentemente ecclesiastico, votò no.
Il vescovo Hudal, lamentandosi, parlava della “vergogna di Gaeta”. Ma si guardò bene dal far
sapere in giro che un ordine perentorio di Pio XI lo aveva obbligato ad annullare un Te Deum
che aveva organizzato dopo l'Anschluss, “in ringraziamento”, aveva spiegato, “perché,
nell'invasione dell'Austria, non era stato versato sangue”. Con Eugenio Pacelli, asceso al soglio
pontificio nel '39, gli andò ancora peggio. Pio XII, che pure lo aveva ordinato vescovo, non volle
mai riceverlo. Era un rifiuto continuo, che lo contrariava, ma non riusciva ad indurlo a rivedere
le sue idee. Nell'ottobre 1939 inviò un memoriale al ministro degli Esteri tedesco Joachim von
Ribbentrop, nel quale insisteva sulla necessità della pacificazione religiosa, per motivi di politica
interna e internazionale. Non ottenne risposta. Nel giugno 1941 inviò un altro piano, questa volta
direttamente a Hitler, nel quale perorava l'invio a Roma di un emissario speciale, munito di pieni
poteri, per negoziare con la Santa Sede, e che avrebbe dovuto riferire direttamente al Führer. Anche
questa volta, le sue proposte furono ignorate. Un terzo tentativo lo fece a cavallo tra il 1942 e il '43,
servendosi dell'SS-Hauptsturmführer dottor Waldemar Meyer, il quale agiva col tacito consenso di
Goebbels. Ma “anche questo tentativo”, così annoterà nel suo diario, “fallì per colpa dell'ala
radicale del partito, guidata da comunisti, nel marzo 1943”.
Poiché Pio XII lo aveva scoraggiato fin dal primo momento, monsignor Hudal si attaccò al
segretario del Papa per le questioni tedesche, il gesuita Robert Leiber. Fra padre Leiber e il vescovo
Hudal esisteva una sorta di corretta ostilità. Un giorno, comunicandogli la decisione del Vicariato di
Roma contraria alla pubblicazione di una breve preghiera per i soldati caduti all'Est, padre Leiber
gli disse, freddamente, che “la Russia, sotto un certo aspetto, conduceva una guerra santa per la
patria”. Hudal corse a sfogarsi sulle pagine del suo diario, annotando: “E' difficile andare più in là
nell'odio contro la Germania”. Nel dicembre 1942 “Gerarchia”, la rivista della Rivoluzione fascista
fondata da Benito Mussolini, pubblicò un giudizio durissimo sul pensiero religioso nazista. L'autore
era il filosofo e accademico d'Italia Francesco Orestano. Orestano sosteneva che una vittoria tedesca
avrebbe rappresentato un evento disastroso per quella civiltà in cui l'Italia si identificava così
profondamente, e per la stessa idea di Europa. In quei giorni, anche “Rivoluzione Fascista”, un
periodico di Siena che apparteneva ad un nipote del Duce, Vito Mussolini, pubblicò un articolo
contro la concezione religiosa del Terzo Reich. Goebbels annotò sul suo diario: “E' superfluo
rispondere ora a simili affermazioni, Con ogni probabilità, potremo affrontare la questione della
Chiesa apertamente soltanto dopo la guerra”. I commenti di Goebbels erano, tra l'altro, la migliore
conferma dei timori di Orestano. Hudal riteneva che fosse stato Mussolini ad ispirare l'attacco al
Terzo Reich, perché la persecuzione della Chiesa in Germania e nei territori occupati metteva in
imbarazzo il Partito fascista e rappresentava un ostacolo per i sondaggi di pace con gli Alleati
tramite il Vaticano. Così, preparò una risposta al professor Orestano e la fece stampare in un libretto
di 28 pagine da distribuire ai suoi amici. L'essenza del suo scritto era che si poteva ancora contare
sul “grande Reich tedesco” per la difesa e la salvaguardia dei Paesi più deboli, “nel rispetto della
loro autonomia religiosa e culturale”.[…]
Monsignor Hudal si arrese finalmente soltanto nel '44. Fra la sorpresa generale, fondò un “Comitato
austriaco di liberazione” a Roma e ripudiò quella cittadinanza tedesca che, sei anni prima, era stato
orgoglioso di ricevere. Incominciò anche a scrivere articoli sul ruolo dell'Austria nel “nuovo
ordine”. E quando lo accusarono di avere aiutato, nell’immediato dopoguerra, alcuni gerarchi
nazisti a fuggire in Sud America, nascondendoli in casa sua, a Roma, egli potè legittimamente
sostenere di avere assistito anche antifascisti ed ebrei. Il giorno stesso della retata del 16 ottobre
1943 nel ghetto ebraico di Roma, anche su sollecitazione dell’ambasciatore tedesco in Vaticano
Ernst von Weizsäcker, personalmente schierato sulle posizioni di Pio XII, Hudal scrisse una lettera
al capo delle SS di Roma, Kappler, nella quale si poteva leggere: “Nell’interesse dei buoni rapporti
che sono esistiti finora tra il Vaticano e il Supremo Comando tedesco, vi prego di ordinare con
sollecitudine l’immediata sospensione di questi arresti sia a Roma che nelle zone limitrofe.
Altrimenti, temo che il Papa reagirà con una presa di posizione pubblica contro tali azioni” (tratto
da Dan Kurzam, “The Race for Rome”, 1975, ripreso da Michael Phayer, “Il Papa e il diavolo”,
2008). […]
Va altresì tenuto conto di una circostanza per lo più ignorata dagli storici: Alois Hudal, apertamente
e dichiaratamente filonazista, poteva costituire in un certo senso una garanzia, per la Chiesa di
Roma, contro eventuali progetti aggressivi da parte del Terzo Reich: una sorta di copertura, di
ombrello protettivo per le migliaia di iniziative ecclesiastiche in opposizione alle direttive hitleriane
e in difesa delle famiglie ebree. E in ogni caso, per quanto concerne l’aiuto prestato ai nazisti in
fuga dall’Europa alla fine del conflitto, anche se i vertici del Vaticano fossero stati informati di ciò
che facevano Hudal e Dragonovic, come in realtà è assai verosimile, non si potrebbe certo accusare
la Chiesa di avere cercato di salvare delle vite dalla morte: rientrava, e rientra, nella sua missione.
Peraltro lo stesso Hudal, nel dopoguerra, replicando a chi lo accusava di essere stato un sostenitore
di Hitler, potè dimostrare di avere salvato la vita di numerosi ebrei aiutandoli a fuggire da Roma. Se
si approfondisce la conoscenza del ruolo che Hudal ebbe nei rapporti tra Vaticano e Terzo Reich, si
scoprirà che l’ala più intransigente del Partito nazista (da Martin Bormann ad Alfred Rosenberg)
diffidava di lui al punto da vietare che i suoi scritti circolassero in Germania (vedi David Alvarez e
Robert Graham, “Spie naziste contro il Vaticano”, San Paolo, 2005, pag. 144). In un documento
dell’Ufficio per la Dottrina del Partito, egli veniva definito “terrorista letterario” e le sue opere
“libelli teologici contro la visione del mondo nazionalsocialista”.
Luciano Garibaldi
(per gentile concessione
dell’editore Lindau)