NOZIONI INTRODUTTIVE Le discipline giuridiche analizzano le regole che presiedono all’ordinata convivenza sociale. Tali regole, fra l’altro, non si risolvono in mere regolarità, ma si caratterizzano per il fatto di appartenere alla coscienza-volontà del singolo individuo. Ciò rende le regole giuridiche particolari rispetto a quelle della natura, in quanto: le regole giuridiche sono trasgredibili; le regole giuridiche hanno dimensione storica; le regole giuridiche sono soggette ad interpretazione; le regole giuridiche hanno valenza costitutiva; le regole giuridiche sono soggette a diverse forme di controllo. L’argomento giuridico, più in radice, è sempre una mediazione tra principi-valori di un dato sistema sociale e dinamiche effettive (economiche, sociali, psichiche) entro cui questi principi-valori devono operare. Da questo contatto nasce la regola giuridica. L’ordinamento giuridico può, inoltre, essere visto anche dall’esterno; in quest’ambito si collocano le diverse discipline, quali la teoria generale del diritto, la storia del diritto, la sociologia giuridica. La descrizione di un sistema giuridico, non può procedere in via del tutto lineare. Alcuni concetti fondamentali, devono essere dati per presupposti ossia postulati. Vi è da aggiungere che alcuni di questi concetti hanno natura giuridica, altri invece hanno natura pre-giuridica. La norma giuridica può essere prescrittiva, quando prescrive comportamenti; sanzionatoria, quando prescrive sanzioni; costitutiva, quando prescrive le condizioni dell’esercizio dei poteri giuridici. Il potere giuridico, si collega al potere sociale, tale potere consiste in una preminenza che alcuni acquisiscono nel gruppo, preminenza che se segue una regolarità, assume carattere giuridico e si tramuta in potere giuridico. Il potere giuridico può essere pubblico (se rivolto ad interessi generali) o privato (se rivolto a interessi individuali). Nel primo caso assume considerazione di poteredovere, nel secondo caso di potere-facoltà. Forma di potere giuridico è il diritto soggettivo che consiste in una pretesa di un soggetto che può essere rivolta verso tutti i consociati (diritto soggettivo assoluto) o verso alcuni soggetti determinati o determinabili (diritto soggettivo relativo). Quando il potere è di modificare le situazioni giuridiche altrui si parla invece di diritto potestativo. Al concetto di potere si connette quello di capacità si distingue la capacità giuridica (insieme dei poteri riferibili ad un soggetto), la capacità d’agire (astratta esercibilità di quei poteri) e la legittimazione (esercibilità concreta dei poteri). Nel diritto pubblico dalla legittimazione si distingue la competenza. Il potere, infine, incide nelle sfere giuridiche altrui mediante atti. Entrano in gioco così, le categorie degli atti, fatti e negozi giuridici, a cui si aggiunge nel diritto pubblico il procedimento, ossia un insieme coordinato di atti che sfociano in un provvedimento. La convivenza ha nel tempo assunto diverse forme: si è passati dalle comunità allo stato diffuso, a comunità politiche, fino ad arrivare allo stato vero e proprio. L’esperienza registra varie forme di stato da cui si distinguono le forme di governo. Le prime rappresentano il rapporto che si instaura tra organi governanti e comunità; le secondo invece connotano il rapporto che si instaura tra i diversi organi governanti. Sono forme di stato: la città-stato (connotata per una partecipazione diretta dei cittadini al potere e per una indistinzione di questo); lo stato feudale (ove il potere pubblico trovava ragion d’essere nel legame con il territorio); lo stato medievale (nel quale si afferma una più salda guida centrale); lo stato assoluto (nel quale il sovrano, supportato dai ceti borghesi, tende a sostituirsi alle molteplici varietà dei poteri locali); lo stato patrimoniale (che riferisce una patrimonialità alle cariche pubbliche); lo stato di polizia (che pur nell’ambito di un potere assoluto tende ad affermare il servizio); lo stato liberale (fondato sul rispetto dei diritti inviolabili e sulla divisione del potere); lo stato democratico (fondato sulla partecipazione di tutti i consociati all’esercizio del potere ed in genere caratterizzato da Costituzione rigida). Sono diverse forme di governo: la forma di governo costituzionale (che può assumere carattere tradizionale dell’assolutismo limitato o quello presidenziale nella quale il capo dello stato, da cui dipende l’esecutivo, è eletto direttamente dal popolo); la forma di governo parlamentare (nel quale l’esecutivo dipende dalla fiducia delle camere); la forma di governo semi-presidenziale (nel quale il capo di stato, da cui dipende l’esecutivo è eletto direttamente dal popolo, ma per governare necessita della fiducia del Parlamento); la forma di governo direttoriale (nel quale la magistratura, capo dello stato, è collegiale ed esprime direttamente anche il governo). Risulta trasversale alla distinzione tra forme di stato e forme di governo, quella tra repubblica e monarchia; come anche quella tra stati accentrati, stati federali e stati regionali. LA PLURALITÀ DEGLI ORDINAMENTI GIURIDICI Occorre specificare che non pochi sono gli ordinamenti i quali convivono in un medesimo contesto sociale. Nella società italiana, ad esempio, oltre all’ordinamento dello Stato, convivono quello della Chiesa; delle altre confessioni religiose, gli ordinamenti sportivi, etc. A tal proposito la dottrina parla di pluralismo giuridico. Ove si passi da un punto di vista teoretico, che valuta con eguale metro tutti gli ordinamenti, ad un punto di vista dogmatico, nel quale assume rilievo l’ottica dell’ordinamento dato, non può non costatarsi che l’ordinamento altro può assumere differenziato rilievo: talvolta essendo considerato come vero e proprio ordinamento; altra volta essendo considerato come entità produttrice di diritto; altra volta ancora come attività lecita, libera ed assistita; altra volta ancora come attività illecita. L’ordinamento della Chiesa cattolica ad esempio, è nel nostro sistema, considerato come vero e proprio ordinamento. Importante è sottolineare che per garantire una convivenza tra gli ordinamenti giuridici in un medesimo territorio, è necessario che gli ordinamenti altri (diversi dallo Stato) operino in un ambito rispetto all’ordinamento dato (Stato) di liceità e quindi in uno spazio qualificabile come lecito: ciò è sicuramente tutto ciò che risulta protetto in positivo ma anche in negativo; si può parlare di lecito garantito da norme costituzionali, di lecito garantito da norme legislative o più generalmente del principio secondo cui è lecito tutto ciò che non risulti vietato. Di certo non è un comportamento lecito di un ordinamento altro, quello di pretendere l’esercizio della coercizione fisica, in quanto tale potere è potere ultimo esclusivo dello Stato. L’ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA ITALIANA E LE SUE ORIGINI Un ordinamento di tipo statale si distingue da ordinamenti di tipo diverso per il fatto di avere fini generali e di pretendere l’esercizio esclusivo della forza fisica sulla popolazione che risiede in un determinato territorio. Ogni Stato, dunque, può essere individuato ed identificato in base a questi tre elementi: sovranità, territorio e popolo. L’ordinamento che è oggetto del nostro esame è quello della Repubblica italiana, connotato da un certo territorio, da un certo popolo e da certe istituzioni. Sul territorio di questo Stato si sono succeduti nel tempo diversi ordinamenti. Il giurista si colloca nell’ottica di un ordinamento dato e, alla stregua dei suoi principi, valuta gi altri ed anche quelli precedenti; per fare ciò deve in primo luogo distinguerlo; il che implica un’ottica esterna rispetto all’ordinamento e dunque teoretica; una volta peraltro, riconosciuto l’ordinamento vigente e distinto da quelli che lo hanno preceduto, la valutazione di questo assumerà un’ottica interna, ossia dogmatica. La valutazione teoretica e quella dogmatica possono anche non coincidere: potendo accadere che il sistema attuale consideri se medesimo come prosecuzione del precedente. Il problema della continuità si è comunque, nel nostro ordinamento, posto almeno tre volte: quando venne proclamato il regno d’Italia nel 1861, con l’avvento del regime fascista nel 1922 e con l’entrata in vigore della Costituzione nel 1948. Merita attenzione il fatto che la normativa degli stati pre-unitari conserva vigore nei rispettivi territori e quella dello stato sardo-piemontese si estende in tutto il territorio italiano anche dopo la proclamazione della Costituzione. Ovviamente però, la vigenza di tali norme è limitata al controllo di costituzionalità della Corte costituzionale sulle leggi in questione, controllo di tipo esclusivamente sostanziale (riguardante il contenuto delle norme) e non anche formale, in quanto ad un controllo del genere probabilmente nessuna norma precedente resisterebbe. Dunque le norme previgenti continuano ad applicarsi anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione, solo se con questa compatibile. Si distinguono così i concetti di incostituzionalità e di abrogazione di una legge. Risulta agevole comprendere che, in relazione a quanto detto, anche nei settori politicamente sensibili della legislazione fascista la Corte esercita uno stretto controllo di ragionevolezza. L’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE E GLI ORDINAMENTI SOVRANAZIONALI L’insieme degli Stati convive nel rispetto di un complesso di regole che integrano l’ordinamento internazionale. Queste regole sono di origine consuetudinaria o di origine pattizia (fondata cioè sui trattati). L’ordinamento comunitario viene configurato come una comunità allo stato diffuso nel quale manca l’autorità di un potere centrale. Tale considerazione è però in via di superamento per il fatto di previsione di autorità centrali da parte dei nuovi trattati. Rispetto all’ordinamento internazionale, l’ordinamento nazionale conserva la sua sovranità secondo quanto confermato anche dal principio di impenetrabilità, secondo cui l’ordinamento internazionale è internamente vincolante solo se le sue norme sono recepite dal medesimo Stato. Secondo l’art. 10 Cost. l’ordinamento italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Ciò implica un immediato ed automatico adattamento delle norme internazionali nell’ordinamento nazionale. Tuttavia l’interpretazione della Corte ha portato ad un limitazione all’immediato recepimento delle norme internazionali, alle sole norme consuetudinarie in quanto quelle pattizie non possono ritenersi generalmente riconosciute. È vero, peraltro, che l’art. 117 Cost. nella sua nuova stesura prevede un vincolo per Stato e Regioni al rispetto degli obblighi internazionali e dunque debbono ritenersi vincolanti anche le norme pattizie. Queste clausole hanno ridotto la portata del principio di impenetrabilità ma non lo hanno del tutto eliminato in quanto il rilievo immediato del diritto internazionale poggia, sempre e comunque, su una norma interna. Inoltre la normativa comunitaria non incide sui principi costituzionali e ancor di più su quelli supremi. La nascita dello Stato nazionale, ha portato ad una serie interminabile di conflitti spinti dapprima da ambizioni dinastiche e poi da sentimenti nazionalistici. Già nel medioevo nasce così l’esigenza di un impero che unisse tutte le nazioni. Con il Trattato di Versailles nel 1919 venne creata la Società delle Nazioni, il cui obbiettivo principale era quello di garantire la pace tra gli Stati aderenti. Conclusa anche la seconda guerra mondiale si rinnovò il tentativo di un organizzazione internazionale volta a mantenere la pace e a stabilire relazioni amichevoli tra le nazioni, viene firmato così nel 1945 il Trattato di San Francisco che istituisce l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Tale organizzazione si compone di un’Assemblea generale, di un Segretario generale e di un Consiglio di sicurezza. Viene nel contempo firmato lo statuto della Corte di giustizia internazionale con sede all’Aja a cui vengono poste tutte le questioni giuridiche tra gli Stati aderenti. L’ONU approvò sin da subito una dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948). L’ONU è un trattato aperto all’adesione dei popoli amanti della pace, ma potrebbe diventare un ordinamento sovranazionale limitativo della sovranità interna degli Stati membri: tale eventualità è peraltro prevista dall’art. 11 Cost. A lato dell’ONU operano altre organizzazioni internazionali come l’UNICEF o la FAO. Indipendente dall’ONU e dagli altri ordinamenti internazionali è l’organizzazione internazionale del commercio (WTO), organizzazione che prevede un economia fondata sul libero commercio internazionale. Si riconnette a ciò il fenomeno della globalizzazione che per un verso è portatore dell’aumento del benessere globale e per altro verso svuota i poteri di decisione degli Stati nazionali. Riconducibili al fenomeno della globalizzazione non sono solo fattori economici e di mercato ma anche fattori come internet o l’ambiente. L’idea di garantire una pace universale, si muove di pari passo con l’idea di una federazione dei popoli europei. Nel 1951 viene firmato a Parigi da Francia, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo e Italia il trattato istitutivo di un mercato comune nel settore del carbone e dell’acciaio (Trattato CECA); seguono i due trattati firmati a Roma nel 1957 riguardanti il settore dell’energia atomica (Trattato CEEA o EURATOM) ed il più generale trattato che istituisce una Comunità economica europea (Trattato CEE). Nel 1992 viene firmato il Trattato di Maastricht che istituisce l’Unione europea con obbiettivi di sicurezza e ordine pubblico, attribuendogli distinta identità internazionale, configurando dei cittadini, una moneta unica, etc. Il Trattato di Amsterdam non fa altro che rinforzare quanto posto dal trattato di Maastricht. Da ultimo è stato ratificato il Trattato di Lisbona. Organi della Comunità europea sono: il Parlamento europeo (eletto a suffragio universale diretto, secondo le leggi dei singoli Stati, dai cittadini degli Stati membri; ha funzioni di indirizzo e controllo nonché di codecisione normativa); il Consiglio (composto da un membro di rango ministeriale per ogni Stato che però può variare di volta in volta a seconda della materia del giorno; ha funzioni normative ed esecutivo-amministrative); la Commissione (si compone di uno o massimo due membri per ogni Stato, scelti dai governi interni con l’approvazione del Parlamento europeo; esercita funzioni normative ed esecutivo-amministrative nelle materie attribuitale dai trattati); la Corte dei conti (esercita funzioni di controllo contabile nella gestione del bilancio comunitario). Ruolo fondamentale assumono anche la BCE e la BEI. La funzione giurisdizionale è di competenza della Corte di giustizia europea e del Tribunale di prima istanza; quest’ultimo giudica in prima istanza delle materie riguardanti i ricorsi degli agenti nei confronti di atti relativi al rapporto di impiego e dei cittadini europei nei confronti degli atti delle istituzioni comunitarie. È innegabile che principio cardine dell’Unione europea oltre a mantenere la pace tra i popoli europei è quello di creare e disciplinare un mercato comune fondato sui principi di libera concorrenza e di libera circolazione di persone, beni e capitali. La nostra Corte ha trovato giustificazione all’adesione alla Comunità europea nell’art. 11 Cost. ove prescritto che è prevista una limitazione della sovranità nei confronti di ordinamenti volti ad assicurare la pace tra le nazioni. Nasce inoltre un problema di adattamento del diritto comunitario con quello interno in particolare nei casi in cui i due ordinamenti siano in contrasto. La Corte costituzionale muove nell’idea di una separatezza dei due ordinamenti prevedendo una limitazione della sovranità solo nei settori in cui opera la Comunità e pertanto non è richiesto un controllo di costituzionalità a meno che il diritto comunitario non tocchi i principi cardine della Costituzione. La Corte di giustizia europea invece adotta una tesi contrapposta secondo cui l’ordinamento comunitario è in posizione di preminenza rispetto a quello interno per via dell’accettazione alla limitazione della sovranità. Si parla in tal caso del principio del primato del diritto comunitario. Tra i due ordinamenti esistono comunque degli strumenti di raccordo. Essenzialmente questi sono tre: il principio di attribuzione (che può ricevere, però, interpretazione estensiva secondo l’art. 308 TCE) che impone che ogni atto comunitario deve trovare fondamento in una norma del trattato; il principio di proporzionalità che impone che l’azione comunitaria sia la minima per il raggiungimento degli scopi previsti; il principio di sussidiarietà che impone l’intervento della Comunità europea solo nei casi in cui gli Stati membri operando divisi non siano in grado di raggiungere il risultato al meglio. LA REPUBBLICA ITALIANA: TERRITORIO, POPOLO, SOVRANITÀ L’ordinamento della Repubblica italiana si caratterizza per una sua sovranità, per un popolo e per un territorio. La Costituzione più volte utilizza il termine Repubblica, ora in un contesto nel quale si riferisce ad una determinata forma di governo, ora con riguardo all’ordinamento complessivo; talvolta, ed anzi nella maggior parte dei casi, per Repubblica si intende l’insieme coordinato degli enti fondamentali che la compongono: Stato, Regioni, Province, Comuni, Città metropolitane. Questi enti presentano caratteristiche esclusive: essi sono riconosciuti esplicitamente dalla Costituzione, hanno dimensione territoriale, in quanto assumono la rappresentanza e la cura degli interessi nel rispettivo territorio, e sono dunque enti a fini generali. Un ordinamento statale, non potrebbe coesistere in modo pacifico con altri ordinamenti statali se ciascuno di essi non fosse delimitato in base al fattore della territorialità. Lo stesso diritto internazionale riconosce a ciascuno Stato il potere di esercitare la sua sovranità nel rispettivo ambito territoriale. Il territorio costituisce quindi il criterio di delimitazione della competenza dell’ordinamento statale, per quel che attiene all’esercizio della coercizione fisica. Per l’ordinamento italiano il territorio indica anche il luogo in cui vengono perseguiti i rispettivi fini. I confini della nostra Repubblica sono siglati da accordi internazionali con Francia, Svizzera, Austria e Jugoslavia. L’art. 2 del codice di navigazione riconosce poi la sovranità italiana, anche, nelle sei miglia marine dalla costa. La sovranità si estende inoltre allo spazio atmosferico ma non a quello extra-atmosferico. Essendo tutto il territorio dello Stato composto da quello dei Comuni è inevitabile che il territorio di Province e Regioni sia delimitato in base all’inclusione o meno di questi all’interno dell’ambito territoriale. Ogni intervento costitutivo o modificativo delle circoscrizioni comunali, provinciali o regionali, deve essere sottoposto a complesse procedure previste dagli art. 132 e 133 Cost. ove è previsto che accanto ad una legge è richiesta la consultazione popolare (referendum) che riguarda sia la popolazione che si vuole rendere autonoma sia la popolazione di partenza. Altro presupposto indispensabile per l’esistenza di un ente a fini generali è la presenza, nel territorio dove esso opera, di una collettività, ossia un popolo i cui interessi, questo ente, debba disciplinare, tutela e perseguire. In uno Stato democratico, i componenti del popolo acquistano il nome di cittadini e non di sudditi come negli Stati assoluti. I cittadini si distinguono dai sudditi per essere titolari di diritti politici. La cittadinanza include quindi uno status che rende il titolare in possesso di diverse facoltà. La cittadinanza si può acquistare per nascita da genitori italiani o ignoti (ammesso che si sia nati in territorio italiano) o per beneficio di legge (chi nasce in Italia e vi risiede fino al compimento del 18° anno di età; il coniuge di un italiano dopo sei mesi dal matrimonio). A condizioni meno esigenti la cittadinanza si può acquisire per naturalizzazione, es: soggetto che risiede in Italia da più di dieci anni; con decreto del Presidente della Repubblica. Accanto alla cittadinanza italiana si configura in seguito al Trattato di Maastricht una cittadinanza europea. Il cittadino degli stati extracomunitari, salvo che per motivi turistici, può soggiornare a condizioni decisamente restrittive, essendo limitati i flussi di ingresso previsti di anno in anno con decreto ministeriale e condizionato l’ingresso alla disponibilità di lavoro. L’ingresso è il soggiorno dell’extracomunitario è quindi condizionato oltre che al passaporto anche al visto d’ingresso ed al permesso di soggiorno. In ogni caso lo straniero extracomunitario, gode dei diritti civili, sociali ed economici riconosciuti dalla Costituzione, secondo il principio di eguaglianza dei cittadini dell’art. 3 Cost. La sovranità è il terzo degli elementi che connotano uno Stato. Quello di sovranità è un concetto risalente ritenuto in passato sinonimo di illimitatezza del potere. Una tale concezione di sovranità è però inconcepibile in una democrazia quale la nostra. Sovranità deve allora essere intesa in un senso relativo e complesso: sovranità è originarietà dell’ordinamento (l’ordinamento trova la legittimazione in se medesimo), ultimalità delle istanza di potere e di garanzia, generalità dei suoi fini e pretesa di esercizio esclusivo della coercizione fisica. L’art. 1 comma 2 della Costituzione prevede che la sovranità spetta al popolo che la esercita nei modi e nei limiti della Costituzione. Si delinea così un principio di sovranità popolare, ove probabilmente si intende per popolo il complesso dei cittadini viventi, superando la tesi francese che riferiva la sovranità alla nazione. Il popolo è dunque sovrano, però sono previsti dei poteri ultimi, non illimitati, fra gli organi pubblici. Nasce così la teoria della divisione orizzontale del potere. In questo contesto nasce anche la distinzione tra apparato di governo e comunità. L’esercizio dei diritti politici è peraltro la via attraverso cui la comunità assume il controllo dell’apparato di governo: questi consistono nell’elettorato attivo e passivo, nella partecipazione alle forme di democrazia diretta (referendum), etc. Il diritto di voto è lo strumento più immediato di esercizio della sovranità popolare. Secondo l’art. 48 Cost. il voto è personale, universale, eguale, libero e segreto. La capacità elettorale si acquista con il raggiungimento della maggiore età e solo con limitazione alle elezioni del Senato, al raggiungimento del 25° anno. Sono cause di limitazione del diritto di voto: incapacità civile; condanna penale permanente; indegnità morale. Corrispondente all’art. 48 è l’art. 51 Cost. che concerne all’elettorato passivo. La capacità elettorale passiva si acquista al compimento del 18° anno di età per l’elezioni a consigliere (comunale, provinciale o regionale); mentre sono richiesti i venticinque anni per l’elezione alla Camera e i quaranta anni per l’elezione al Senato. Cause di ineleggibilità o incompatibilità sono molteplici. Sono ad esempio ineleggibili soggetti in grado di esercitare influenze abnormi (es: magistrati), sono ineleggibili, ancora, il Presidente delle Repubblica ed i giudici della Corte costituzionale per via della loro posizione di imparzialità. Cause di incompatibilità sono ad esempio le posizioni che mettono un soggetto in conflitto di interessi. I sistemi elettorali, si connotano in relazione ai modi di scelta dei candidati; al disegno ed all’ampiezza dei collegi; alla formula elettorale. La formula elettorale consiste nella trasformazione dei voti in seggi e sono due i principali sistemi: il sistema maggioritario e il sistema proporzionale; a cui si aggiungono sistemi intermedi. Il sistema maggioritario può essere uninominale o plurinominale. Secondo il sistema uninominale, il territorio viene diviso in collegi, ciascuno dei quali elegge un solo candidato. La maggioranza richiesta può essere relativa (maggioranza del numero di voti) o qualificata (assoluta: maggioranza degli aventi diritto; semplice: maggioranza dei voti validi espressi). Nel caso sia prevista una maggioranza qualificata, non sempre si ottiene un vincitore al primo turno, si procede così ad un secondo turno a maggioranza relativa (ballottaggio). Contrapposto al sistema maggioritario è quello proporzionale, nel cui ambito assume rilevanza il concetto di quoziente elettorale (risultato della divisione tra numero degli elettori e numero di seggi). Attualmente ciascun candidato si presenta collegato ad una lista e ciascuna lista ottiene un numero di voti pari al risultato della divisione fra numero di voti riportati e quoziente elettorale. Ogni cittadino avente diritto al voto, può agire in giudizio per far si che la procedura elettorale sia conforme a quanto previsto dalla legge. LA DIVISIONE ORIZZONTALE DEL POTERE: SENSO, VALORE E FUNZIONALITÀ DI UN PLURALISMO TERRITORIALE Si è visto in quale senso relativo si possa parlare di sovranità della Repubblica italiana. Ma la sovranità di tale ordinamento è cosa diversa dalla preminenza dello Stato rispetto alle altre entità che pure operano nel suo ambito. La sovranità dell’ordinamento complessivo, si comunica, allora, a tutte le entità essenziali che costituiscono la Repubblica: allo Stato, dunque, ma anche alle Regioni, alle Province, ai Comuni e alle Città metropolitane. Si tratta di quella che è stata definita la divisione orizzontale del potere. Tale divisione, solo in parte corrisponde ad esigenze di garanzie (che sono innegabili); mentre è innanzitutto veicolo di più articolata partecipazione democratica. Unico limite potrebbe però essere quello della limitazione del principio di eguaglianza. La divisione orizzontale del potere si articola nei rapporti tra Stato, Regioni ed enti locali minori, rapporti caratterizzati da un complesso equilibrio. In questo ambito, però, una qualche preminenza continua ad assumerla lo Stato, in quanto timone dell’intero sistema. Ciò si evidenzia in diversi casi, con riguardo, ad esempio, al rilievo che assume per la revisione delle norme costituzionali o per il fatto di essere attributario di tutti gli elementi del potere ultimo (potere legislativo, giurisdizionale ed esecutivo), per il fatto, ancora, di integrare la sede di decisione di tutti quei problemi che eccedono l’ambito locale, per il fatto che le sue leggi possono essere immediatamente prescrittive per le Regioni e non viceversa, etc. L’art. 117 Cost., nella sua nuova stesura, attribuisce allo Stato competenze tassative ed esclusive nelle materie di politica estera, difesa, dogane, elezioni nazionali, ambiente, istruzione, moneta, immigrazione, etc. Dalla competenza esclusiva dello Stato si distingue quella concorrente tra Stato e Regioni, ove il primo detta i principi fondamentali della materia e la Regione ogni svolgimento legislativo ulteriore. Materie concorrenti sono: l’ambiente, l’istruzione, la sanità, etc. Nelle materie non specificatamente attribuite in via esclusiva o concorrente allo Stato, la competenza legislativa spetta alle Regioni (criterio dei poteri residui). Le Regioni hanno inoltre un potere di concludere accordi con altri Stati o enti territoriali di altri Stati, tale potere è definito estero (potere estero). Sono enti territoriali a fini generali anche le Province e i Comuni, che secondo l’art. 114 Cost. esercitano poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione; è poi aggiunto dall’art. 117 Cost. che compete allo Stato attribuire le loro ulteriori funzioni fondamentali e la loro organizzazione, sempre nell’ambito dei principi costituzionali. Come per i rapporti tra Stato e Unione europea, anche nei rapporti tra Stato, Regioni ed enti locali territoriali sono necessari dei raccordi, in quanto il criterio della competenza non sempre è sufficiente. Distinguiamo: raccordi automatici, raccordi paritari tra Stato e Regioni; raccordi che implicano una certa preminenza dello Stato ed il principio di leale collaborazione. Raccordi automatici sono quelli strumenti mediante cui lo Stato e le Regioni possono impugnare atti legislativi per motivo di competenza mediante lo strumento del giudizio in via principale ed atti di qualsiasi altra natura mediante lo strumento del conflitto di attribuzione. In entrambi i casi si ricorre innanzi alla Corte costituzionale. Sussiste dunque solo un controllo di tipo giurisdizionale e non anche il controllo, ormai abrogato, sugli atti amministrativi. Sussiste poi un controllo di gestione (rispetto dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento della gestione della cosa pubblica) interno alla Regione ed un controllo esterno, ulteriore, della Corte dei conti. Strumenti di raccordo paritario tra Stato e Regioni sono la Conferenza permanente (presieduta dal Presidente del Consiglio e composta dai presidenti delle Regioni e delle province autonome), con cui ci si consulta nei casi di adozione di provvedimenti generali; e la Commissione parlamentare per le questioni regionali, prevista con riguardo all’ipotesi di scioglimento di consiglio regionale. Tali strumenti di raccordo non sono adeguati quando il provvedimento incida, in via particolare, su una Regione o Provincia autonoma, occorrendo in questi casi altri strumenti specifici di tutela come le intese o i pareri. Sussiste come si è già detto, ancora, una certa preminenza dello Stato sugli altri enti territoriali. Ciò è confermato anche dalla presenza di raccordi che implicano tale preminenza e trovano ragion d’essere nel potere sostitutivo di cui dispone. Può, ad esempio, verificasi che la Regione, pur essendo in astratto idonea alla cura dell’interesse indivisibile, risulti inadempiente, in concreto, rispetto alla tutela di questo. Ove ricorrano ragioni di urgenza, lo Stato può sostituirsi alla Regione per la cura dell’interesse. Nei rapporti tra Stato e Regioni si afferma un principio di leale collaborazione, che conduce, ad esempio, a ritenere necessarie forme consensuali (intese) ove si verifichino sovrapposizioni di competenze. Nei rapporti tra Stato e Regioni è dunque richiesta lealtà e collaborazione. Tale principio nasce dall’intuizione per cui lo scopo complessivo cui è ordinata l’attività dei pubblici poteri è dato dal benessere dell’intera collettività. Le varie competenze, dunque, debbono essere esercitate con modalità non lesive degli altrui interessi. Tale principio trova conferma nell’art. 5 Cost. Anche nei rapporti tra Stati, Regioni ed enti locali minori, distingueremo raccordi automatici, collaborativi, che implicano preminenza dell’istanza superiore. Un raccordo automatico può essere rinvenuto nel fatto che Comuni, Province, Città metropolitane, possono attivarsi, a difesa delle loro rispettive competenze, nei confronti di atti o comportamento di Stato e Regioni, nelle generali sedi di giustizia ordinaria e amministrativa. Sono venuti meno, dopo la revisione del titolo V della seconda parte della Costituzione, i controlli di legittimità sugli atti esercitati da Comitato regionale. Non sono venuti meno invece i controlli sugli organi ed i poteri di scioglimento dei consigli comunali e provinciali per casi di gravi violazioni della legge, di ordine pubblico o di contrarietà alla Costituzione. La Corte dei conti esercita anche nei confronti dei Comuni con più di ottomila abitanti un controllo di bilancio. Un cenno va fatto all’art. 119 Cost. che ha riguardo alla finanza delle Regioni e degli enti locali, secondo cui essa è alimentata da tributi propri, trasferimento di risorse erariali e fondo perequativo. GLI ENTI PUBBLICI Lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni e le Città metropolitane, come si è detto, costituiscono gli enti pubblici fondamentali del nostro ordinamento. Ciascuno di questi enti fondamentali può a sua volta costituire enti con personalità giuridica autonoma per il perseguimento di scopi che rientrano nelle sue competenze. Tali enti assumono il nome di enti pubblici (strumentali). Gli enti territoriali, possono inoltre istituire persone giuridiche di diritto privato come società per azioni. L’ente è pubblico per via del rapporto che ha con l’ente territoriale di riferimento pur mantenendo però una personalità giuridica autonoma. Ciò vuol dire che l’ente risponde dei suoi debiti solo con il suo patrimonio. Nel corso degli anni ’60 ed anche in precedenza si ricorse spesso a questi enti pubblici; dagli anni ’70 in poi però due o tre tendenze, portarono ad un ripensamento generale del sistema. Gli enti pubblici realmente necessari, comunque, persistono tutt’ora. Per definizione ha personalità giuridica di diritto pubblico l’ente che eserciti poteri non rientranti nel diritto comune. I connotati rilevanti dell’ente pubblico sono essenzialmente tre: perseguimento di fini di interessi generali; alimentazione finanziaria principalmente derivante dall’ente territoriale di riferimento; ingerenza organizzativa degli enti territoriali (es: nomina degli amministratori). Conseguenze rilevanti sono l’obbligo di contrarre con procedure di gara (appalto); soggezione ai controlli della Corte dei conti; soggezione ai principi dell’amministrazione pubblica; etc. ENTE, ORGANO, UFFICIO, PERSONA FISICA Abbiamo visto come gli enti territoriali, possano dar vita ad enti giuridici pubblici, dotati di distinta capacità giuridica e d’agire, di distinto patrimonio e di distinta legittimazione processuale. Occorre sottolineare che ad ognuno di questi enti, sono preposte delle persone fisiche che operano per esso. Il rapporto tra persona ed ente, dapprima ritenuto come una mera rappresentanza, è oggi definito rapporto organico. La teoria del rapporto organico rappresenta uno strumento di estrema semplicità e chiarezza per risolvere una serie di problemi che difficilmente sarebbero risolvibili alla stregua del diritto comune. Consente inoltre di riferire responsabilità all’ente anche fuori dall’individuazione specifica della persona fisica. L’art. 28 Cost. prevede, peraltro, la responsabilità diretta del funzionario per gli atti compiuti in violazione dei diritti. Responsabilità però limitata ai soli atti commessi con dolo o colpa grave. Ogni ente si compone di più organi. La parola organo in un primo significato designa la persona fisica attraverso cui l’ente opera; mentre in un secondo significato indica il centro di competenze dell’ente. Questa duplicità di concetti, porta alla distinzione tra legittimazione e competenza. La prima è riferita alla persona fisica, mentre la seconda all’organo in quanto centro di competenza. Il termine organo dunque ha riguardo sia alla persona fisica con cui l’ente opera, sia al centro delle competenze. Dall’organo si distinguono gli uffici, che sono strutture amministrative che svolgono compiti ausiliari e i loro atti non hanno valore esterno. Distinto dal rapporto organico (ove la persona fisica si immedesima con l’ente), è il rapporto di servizio che può essere onorario o professionale. ATTI, FATTI GIURIDICI DI DIRITTO PUBBLICO, PROCEDIMENTI L’ente pubblico è tale per il fatto perseguire interessi generali, per il fatto di finanziarsi fuori da un mercato in regime di concorrenza e per l’ingerenza organizzativa che esercitano su di esso gli enti fondamentali. L’atto di diritto pubblico è più in particolare quell’atto giuridico il quale costituisce esercizio di un potere non comune a tutti i soggetti dell’ordinamento ma esclusivo di alcuni, potere che, in un sistema retto dal principio di eguaglianza come il nostro, non può che essere esercizio di sovranità popolare. L’atto giuridico di diritto pubblico non si connota per una sua efficacia particolare; il medesimo regime (esecutorietà; inoppugnabilità, imperatività), nel nostro sistema giuridico non è comune a tutti gli atti pubblici, non di certo agli atti legislativi o normativi. L’atto di diritto pubblico, si connota, invece, per tre profili fondamentali: per il fatto di inserirsi in un complesso sistema organizzativo e, dunque, per il fatto di presupporre non solo requisiti di legittimazione ma anche di competenza; per il diverso rapporto tra volontà e causa, in quanto quest’ultima assume carattere positivo; per il fatto di esprimersi mediante procedimenti, ossia un insieme coordinato di atti che sfocia in un provvedimento. In teoria generale è ben noto che un potere giuridico può essere esercitato solo se persiste una relazione fra soggetto che esercita detto potere e bene della vita: tutti hanno la capacità di acquistare o vendere un bene, ma è legittimato a vendere un bene solo l’effettivo proprietario. La legittimazione è dunque un presupposto generale per l’esercizio dei poteri giuridici. Nel caso in cui, però, il soggetto che eserciti i poteri sia una persona giuridica di diritto pubblico, questo presupposto si scinde in due requisiti: legittimazione della persona fisica ad operare in nome e per conto dell’ente e competenza dell’organo a cui la persona fisica è preposta, ossia la quantità di potere che viene attribuita a nome dell’organo. Sia il vizio di legittimazione, che di competenza, portano all’invalidità dell’atto. Nel diritto privato la causa del negozio o del contratto è data dalla funzione economica sociale che assolve. La causa nel diritto privato è limite negativo ed esterno alla volontà negoziale, nel senso che integra una condizione perché questa possa assumere rilievo vincolante per l’ordinamento. Diversamente nel diritto pubblico la causa assume un valore positivo in quanto l’atto pubblico è orientato nel perseguimento dell’interesse sociale o collettivo e solo a questo. Tutta la problematica dei vizi della volontà, è stata assorbita nel sindacato di corrispondenza oggettiva e nel sindacato di ragionevolezza. Il sindacato di ragionevolezza, ha avuto origine nel diritto amministrativo con il nome di eccesso di potere. Si è ritenuto censurabile l’atto, innanzi tutto, per il mancato perseguimento dell’interesse pubblico previsto dalla norma che attribuisce il potere (sviamento di potere). Il sindacato di ragionevolezza si estende poi ai vizi di disparità di trattamento, vizi di motivazione, vizi di travisamento dei fatti, vizi di contraddittorietà con precedenti provvedimenti, ingiustizia manifesta, etc. Proprio le ragioni di corretta metodologia che sono alla base del sindacato di ragionevolezza impongono che l’esercizio dei pubblici poteri avvenga attraverso l’adozione di procedimento, oggi inteso come principio generale dell’attività amministrativa secondo la legge 241/1990. Per procedimento amministrativo si intende una serie di atti tra loro coordinati e collegati che sfociano in una decisione finale (provvedimento). Secondo la legge 241/1990 spetta al dirigente dell’ufficio nominare il responsabile del procedimento che ha l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento a tutti i privati interessati. I soggetti coinvolti nel procedimento possono, secondo il principio di trasparenza, accedere alla documentazione amministrativa. Il procedimento si distingue in tre fasi: fase preparatoria, che comprende atti di iniziativa ed atti istruttori; fase costitutiva, che comprende atti semplici, individuali o collegiali; fase integrativa d’efficacia, che comprende atti di controllo ed atti volti alla comunicazione del provvedimento. LE FONTI DEL DIRITTO Perché un atto o un fatto giuridico possa essere considerato fonte di diritto, sono essenziali due condizioni: la sua strutturale capacità di porre in essere norme generali ed astratte ed il riconoscimento di esso come fonte da norma di grado superiore. Le norme poste dagli atti/fatti fonte, possono essere, talvolta, tra loro incompatibili. In un sistema come il nostro, non essendo possibile applicare due norme incompatibili contemporaneamente, sono stati posti dei criteri di soluzioni delle antinomie; tali sono: il criterio gerarchico, il criterio di competenza, il criterio cronologico ed il criterio di specialità. Il criterio gerarchico e quello di competenza operano in alternativa, nel senso che l’applicazione di uno esclude quella dell’altro. Il criterio gerarchico attribuisce preminenza alla norma posta con fonte di livello superiore, mentre quello di competenza attribuisce preminenza alla norma posta nell’ambito effettivo delle sue competenze. Il criterio cronologico è invece applicato subordinatamente a quello gerarchico e di competenza e prevede che tra due norme di eguale valore gerarchico ed eguale competenza, sia preminente quella più recente, abrogando e quindi portando alla cessazione degli effetti, quella più antica. L’abrogazione può essere di diverso tipo: l’abrogazione è espressa quando la norma successiva prevede in modo esplicito la cancellazione della norma precedente; l’abrogazione è implicita quando la norma successiva non dichiara la cancellazione della vecchia normativa, ma per via della sua entrata in vigore, l’esistenza della norma precedente è resa impossibile per via di incompatibilità. Infine l’abrogazione può anche essere tacita, tale è ad esempio l’abrogazione di un vecchio codice per via dell’entrata in vigore un codice nuovo. Il criterio di specialità, infine, prevede che in caso di incompatibilità tra una norma generale e una norma speciale, quest’ultima prevale sulla prima. La Costituzione è la fonte sovra-ordinata del nostro sistema, essa è di tipo scritto e rigido, si compone di 139 articoli ove i primi dodici sono principi fondamentale. Si suddivide poi in due parti: la prima parte intitolata dei diritti e doveri dei cittadini, mentre la seconda intitolata dell’ordinamento della Repubblica. La supremazia della Costituzione è, però, come accennato relativizzata da fenomeni come gli ordinamenti internazionali e sovranazionali. Tuttavia la Costituzione si compone di principi supremi intangibili oltre al fatto che negare il valore della Costituzione vorrebbe dire negare la storia del nostro paese. Il nostro testo costituzionale nasce dall’incontro di diversi umanesimi: quello cattolico, quello laicoliberale, quello socialista; ciò deve essere inteso in un senso dinamico, come modello di reciproche garanzie che trascende le occasioni storiche da cui è nato. In questo quadro hanno assunto rilievo le norme programmatiche, indicative per un verso di compiti della Repubblica, e per alto limitative delle garanzie dello status quo. Nel testo costituzionale, più in particolare, è incisa una filosofia politica, ciò giustifica la sua immodificabilità attraverso legge ordinaria, ma anche una certa gerarchia dei principi costituzionali. Il rapporto tra Costituzione e leggi di revisione costituzionale implica una certa preminenza della prima (fonte costituente) sulle seconde (fonti costituite); ciò è stato negato, però da una tesi che vede entrambe le fonti allo stesso livello. Sembra però innegabile una certa preminenza della Costituzione sulle leggi di revisione. L’art. 138 Cost. introduce le leggi di revisione e le altre leggi costituzionali (es: attuazione di statuti speciali). La Corte costituzionale prevede però alcuni limiti alla possibilità di revisione costituzionale, limiti riconducibili ai principi supremi di cui fanno parte innanzi tutto i diritti inviolabili dell’uomo garantiti dall’art. 2 Cost.. E probabilmente i principi supremi sono scritti nei primi tre articoli della Costituzione ossia in una democrazia fondata sul lavoro, nei diritti inviolabili dell’uomo e nel principio di eguaglianza. La prassi è andata distinguendo degli atti particolari come gli atti presidenziali, gli atti ministeriali, le mozioni di fiducia e di sfiducia, etc., tali atti prendono il nome di consuetudini costituzionali da cui si distinguono le convenzioni costituzionali, ossia quei modi consensuali mediante cui gli organi costituzionali risolvono interferenze o possibili contrasti. Fonte di rango primario nel nostro ordinamento è la legge ordinaria. L’art. 70 della nostra Costituzione prevede che la funzione legislativa spetta collettivamente alle due Camere. L’art. 117 Cost. prevede, però, un riparto della competenza legislativa tra Stato e Regioni. La legge è quella fonte che stabilisce norme valide ed efficaci su tutto il territorio nazionale. Il nostro ordinamento vive immerso nell’ordinamento internazionale e negli ordinamenti sovranazionali tra cui quello comunitario è il principale. Inevitabilmente questa situazione determina delle modificazioni anche nel sistema delle fonti. Le fonti dell’ordinamento internazionale sono le consuetudini internazionali e i trattati (norme pattizie) di cui l’art. 10 prevede un immediato ed automatico adattamento nel diritto interno, discorso limitato però, alle sole norme consuetudinarie in quanto solo queste sono considerate generalmente riconosciute. L’art. 117 impone inoltre a Stato e Regioni il rispetto degli obblighi internazionali. Le fonti dell’ordinamento comunitario sono principalmente le seguenti: i Trattati, che integrano una specie di costituzione della Comunità europea, i regolamenti, che impongono norme relative, in particolare, al mercato comune e le direttive, che vincolano lo Stato membro cui sono rivolte al raggiungimento di determinati obbiettivi. I Trattati e i regolamenti sono immediatamente vigenti nell’ordinamento interno; mentre l’attuazione delle direttive spetta alle competenze di Stato e Regioni. Assumono diretto fondamento dalla Costituzione anche gli atti equiparati alla legge ossia gli atti aventi forza di legge. Il regolamento parlamentare è il primo degli atti aventi forza di legge richiamati dalla Costituzione, nell’art. 64 Cost. dove si prevede che ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi membri. L’art. 75 Cost. richiama invece il referendum abrogativo volto all’abrogazione totale o parziale di una legge o atto equiparato. Tale istituto può essere richiesto su istanza di almeno cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali. La proposta si intende approvata solo se abbiano partecipato al voto la metà degli aventi diritto ed ove si sia raggiunta la maggioranza dei voti validi espressi. L’istituto del referendum abrogativo è sottoposto ad un giudizio di procedibilità dinanzi alla Corte di cassazione (volto a sindacare sulla regolare raccolta delle firme, sulla fissazione del titolo, etc.) ed ad un giudizio di ammissibilità dinanzi alla Corte costituzionale. L’art. 76 della Costituzione richiama il decreto legislativo e prevede che la funzione legislativa non può essere delegata al Governo se non con determinazione dei principi e dei criteri direttivi e soltanto per un periodo di tempo limitato e per oggetti definiti. La legge di delega assume il nome di decreto legislativo ed è pari-ordinata alla legge ordinaria. Tale istituto nasce per sopperire alla complessità delle procedure parlamentari. Secondo l’art. 77 Cost. in casi di straordinaria necessità ed urgenza il Governo può, sotto la sua responsabilità, adottare provvedimenti provvisori con forza di legge che devono poi essere presentati il giorno stesso alle Camere per essere convertiti o meno in legge entro sessanta giorni. L’attuazione degli Statuti speciali, è un atto avente forza di legge spetta al Presidente della Repubblica. Vi sono poi ulteriori atti aventi forza di legge, essi sono: i decreti legge anomali, i decreti legislativi luogotenenziali, i decreti del Capo provvisorio dello Stato, etc. Dalla legge ordinaria si distinguono le fonti atipiche e le leggi rinforzate. Sono fonti atipiche quelle leggi che in ragione del loro contenuto e non della loro forma, hanno almeno in parte una forza differenziata: es, la legge di bilancio non può essere soggetta a referendum abrogativo; sono leggi rinforzate invece quelle leggi che in certe materie richiedono anche la presenza di ulteriori atti che la precedano: es, la condizione giuridica dello straniero deve essere disciplinata da previ trattati. Merita attenzione anche il concetto di riserva di legge. Tale istituto nasce nel medioevo, come necessario consenso degli interessati ad ogni incisione nei loro diritti. Oggi l’istituto implica, invece, principalmente una riserva di competenza nella disciplina di una certa materia, alla legge ed agli atti equiparati. La dottrina distingue una riserva di legge assoluta, una riserva di legge relativa ed una riserva di legge rinforzata. La riserva assoluta di legge ricorre quando la Costituzione richiede che la materia sia puramente e semplicemente disciplinata da legge; la riserva relativa di legge ricorre, invece, quando la Costituzione richiede un fondamento legislativo del potere regolamentare o discrezionale dell’amministrazione; la riserva rinforzata di legge ricorre, invece, quando la Costituzione, nel prevede una disciplina della materia solo attraverso la legge, indica anche le finalità o i tipi di interesse che la legge deve raggiungere. Dalla riserva di legge si distingue il principio di legalità secondo cui qualsiasi atto amministrativo deve trovare legittimazione in una legge. Distinti dai regolamenti della comunità europea e dai regolamenti parlamentari, sono i regolamenti intesi come fonte secondaria del diritto. Tali regolamenti incontrano il limite del principio di legalità, non sono retroattivi e devono essere generali ed astratti. La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie in cui ha competenza legislativa esclusiva e alle Regioni in tutte le altre materie. In linea di massima i rapporti tra Stato, Regioni e enti locali in materia di regolamenti seguono il criterio della competenza legislativa. I regolamenti dell’esecutivo sono introdotti dalla legge 400/1988 è sono: i regolamenti di esecuzione; i regolamenti di attuazione ed integrazione; i regolamenti di delegificazione; i regolamenti indipendenti; i regolamenti di organizzazione. Fonte terziaria del diritto è, infine, l’uso o consuetudine. Tale fonte si caratterizza per essere un comportamento ripetuto nel tempo in una determinata società, con la convinzione che esso sia giuridicamente vincolante. INTERESSI TUTELATI, DIRITTI, DOVERI Fino ad ora la trattazione ha toccato i temi dei soggetti giuridici di diritto pubblico (Stato, Regioni, Province, Comuni, Città metropolitane, enti pubblici e organi) e gli atti/fatti di diritto pubblico, da cui si distinguono, come insieme distinto e qualificato, le fonti del diritto. Si tratta ora di toccare il tema dei diritti e degli interessi tutelati, dei rapporti giuridici di diritto pubblico. Il diritto soggettivo è potere di pretendere l’osservanza di certi doveri positivi o negativi od anche di imporre la prevalenza di un interesse. La Costituzione, nella prima parte, distingue tre specie di diritti: diritti civili (ossia le libertà), diritti economico-sociali, diritti politici. Oltre ai diritti, la Costituzione conosce anche gli interessi legittimi, che sono interessi privati garantiti da una legge di diritto pubblico. Esistono poi i doveri, radicati già nella previsione dell’art. 2 Cost., i quali culminano nel dovere di fedeltà alla Repubblica, sancito dall’art. 54 Cost. L’art. 2 Cost., nel riconoscere e garantire la tutela dei diritti inviolabili e nel prevedere i doveri inderogabili costituisce, in qualche modo, la chiave di volta del sistema delle fattispecie soggettive previste dalla Costituzione. Dottrina e giurisprudenza sono state a lungo divise sul carattere chiuso o aperto dei diritti inviolabili. Una prima tesi attribuisce ai diritti inviolabili numero chiuso, tale tesi si muove nella paura di un’introduzione incontrollata di nuovi diritti inviolabili; la seconda tesi, invece, considera i diritti inviolabili come un catalogo aperto, al fine di adeguare la previsione di tali diritti all’evolversi della coscienza sociale. Una terza tesi, osserva che il problema è, nella sostanza, interpretativo occorrendo desumere pur sempre dal complesso insieme dei valori costituzionali le eventuali nuove figure protette. La Corte in un primo momento aveva aderito alla prima tesi, per poi spostarsi verso la seconda. Probabilmente, però, è giusta la terza tesi, ossia quella intermedia che risolve il problema mediante una interpretazione del testo costituzionale. Diritti inviolabili sono, non solo le libertà civili, ma anche tutti gli altri diritti sociali, economici e politici riconosciuti dalla Costituzione. Essi si affermano nei confronti di tutti e nei confronti dello Stato e la lesione o il sacrificio di un diritto inviolabile comporta, secondo una giurisprudenza ormai consolidata, un dovere di risarcimento/indennizzo oltre al danno patrimoniale. L’art. 3 della Costituzione, prevede il principio di eguaglianza. L’eguaglianza tra i cittadini è un principio cardine di una democrazia, mentre l’eguaglianza fra gli uomini è principio che qualifica un’intera civiltà. Il principio di eguaglianza esige una pari soggezione di tutti alla legge e vieta distinzioni meramente soggettive (sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali) a cui si collegano gli elementi oggettivi (dolo, colpa, requisiti attitudinali). Un ulteriore modo di esprimere il principio di eguaglianza è dato dalla massima comune di un pari trattamento di situazioni analoghe e di diverso trattamento di situazioni diverse. Sono escluse dunque distinzioni meramente soggettive, ma dall’esclusione deve essere eccettuata l’ipotesi di distinzioni soggettive (per ragioni sociali, di sesso, etc.) le quali siano volte ad eguagliare situazioni di fatto squilibrate per vari e sovente ingiusti motivi. La Costituzione nell’art. 6 prevede anche una tutela delle minoranze, non è invece affrontato dalla nostra giurisprudenza il problema delle discriminazioni alla rovescia. La semplice esistenza di un ordinamento giuridico, implica la libertà umana. La protezione delle libertà civili è maggiore di fronte a specifiche garanzie costituzionali, nascono a questo punto i diritti di libertà, che rappresentano punti fermi più saldamente difesi all’interno del generale stato di libertà proprio del nostro ordinamento. I diritti riconosciuti dalla nostra Costituzione ruotano, anche nei modi di garanzia, attorno a due fattispecie fondamentali: la libertà personale e la libertà di manifestazione del pensiero, che rappresentano rispettivamente un momento individuale o di socialità privata ed un momento di socialità generale e pubblica. L’art. 13 della Costituzione qualifica la libertà personale come diritto inviolabile dell’uomo. Per libertà personale si intende, innanzi tutto, libertà da coercizione fisica; nella giurisprudenza della nostra Corte ha assunto, anche, rilievo di garanzia rispetto ad obblighi che pongano la persona in uno stato di degradazione giuridica, tale da incidere nella sua dignità sociale. È ancora da osservare che la Corte non riconduce a questa garanzia ogni coercizione fisica, ma solo quelle che superano una certa soglia quantitativa ed a questi fini il criterio della dignità finisce con l’interferire nuovamente con quello della coercizione. Questa libertà è garantita mediante una riserva di legge assoluta, una riserva di giurisdizione ed un obbligo di atto motivato. La riserva di giurisdizione è un meccanismo che rafforza la riserva assoluta di legge, essa condiziona ogni provvedimento restrittivo delle libertà individuali ad una previa autorizzazione da parte del giudice. È consentita, peraltro, la previsione in via tassativa e per legge di casi di eccezionale necessità ed urgenza nei quali l’autorità di polizia può imporre temporanei sacrifici della libertà personale, a condizione di trasmettere gli atti entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria che dovrà, nelle successive quarantotto ore dare convalida o no. Le leggi prevedono, comunque, dei termini massimi di carcerazione preventiva. Le misure di prevenzione personali, costituiscono un’ulteriore forma di restrizione della libertà personale. Esse consistono in ordini che l’autorità di pubblica sicurezza impartisce a determinati soggetti, obbligandoli a fare non fare qualche cosa (es: risiedere in un certo comune). Nel diritto positivo, destinatari delle misure di prevenzioni sono soggetti che già hanno dato prova di capacità delinquenziale. Esistono poi delle misure di prevenzione utilizzate per prevenire fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive; in questi casi l’autorità di pubblica sicurezza impartisce determinati ordini (es: non accedere in un campo di calcio) a determinati soggetti (che hanno preso in passato parte, a episodi di violenza). L’art. 14 Cost. tutela la libertà di domicilio. Secondo l’articolo il domicilio è inviolabile, non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri se non nei casi e nei modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la libertà personale; gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali. Il concetto di domicilio connota il luogo in cui il soggetto può separarsi dagli altri ammettendovi solo persone di sua scelta. È dunque necessario il possesso o almeno la detenzione della cosa. La garanzia del domicilio include profili della garanzia della riservatezza. In ipotesi di convivenza, può sorgere il problema di chi possa legittimamente essere ammesso e salva l’ipotesi di poteri gerarchici radicati nel sistema (es: potestà dei genitori sui figli), deve ritenersi che ogni membro del gruppo abbia il diritto di escludere una determinata persona dal domicilio. La libertà di domicilio è garantita da una riserva di legge, una riserva di giurisdizione ed un obbligo di atto motivato, salvo poteri urgenti riconosciuti all’autorità di pubblica sicurezza, sottoposti a convalida. L’art. 15 Cost. richiama alla libertà e alla segretezza della corrispondenza. La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili, la loro limitazione può avvenire solo per atto motivato dall’autorità giudiziaria e con le garanzie stabilite dalla legge. Per comunicazione si intende l’esternazione dei contenuti psichici mediante strumenti simbolici; si distingue la comunicazione privata dalla manifestazione del pensiero per il fatto che, quest’ultima, si rivolge alla generalità e non a soggetti determinati. La libertà in esame ha ampio ambito di applicazione e si estende non solo alla corrispondenza epistolare, telefonica e telematica, ma anche ad ogni altra forma di comunicazione privata. Il profilo della libertà si intreccia con quello della segretezza a cui si aggiunge anche un profilo di libertà negativo (di non comunicare). La libertà di corrispondenza è garantita e tutelata con una riserva di legge assoluta, una riserva di giurisdizione, un obbligo di atto motivato e da ulteriori garanzie. Sono esclusi, a differenza della libertà personale, provvedimenti provvisori ed urgenti. La nostra Costituzione non contiene una garanzia esplicita del diritto alla riservatezza, perché l’elaborazione della problematica è piuttosto recente. Tale diritto denota un’esigenza di proteggere il soggetto nei suoi profili individuali e di socialità privata dalla pressione dell’ambiente circostante. In un primo significato esso assume protezione dalla curiosità, mentre in un secondo significato esso assume protezione da aggressioni comunicative. Seguendo le direttive europee, è stato istituito anche un’Autorità garante per il trattamento dei dati personali. L’art. 16 Cost. tutela la libertà di circolazione e soggiorno, secondo cui ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio italiano, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in generale per motivi di sanità e di sicurezza; nessuna restrizione può essere fatta per ragioni politiche; ogni cittadino è libero di uscire dal territorio e di rientravi, salvo gli obblighi di legge. Tale libertà è riconosciuta al cittadino e non all’uomo in quanto tale: per un verso, la libertà in questione, esprime uno status (cittadinanza) e per altro verso si ricollega con l’attività mercantile. Occorre ora chiarire il rapporto di questa libertà con la libertà personale. Secondo una tesi sussisterebbe tra le due fattispecie un rapporto di estraneità, essendo l’art.13 garanzia contro misure individualizzate, mentre l’art. 16 contro misure generali. Questa tesi però non persuade, fra l’altro, perché il divieto di restrizione della libertà di circolare per motivi politici sarebbe inutile ove la garanzia in esame fosse solo nei confronti di misure generali. Negata una rigorosa estraneità tra le due fattispecie, sembra debba negarsi anche la tesi che presuppone un rapporto di inclusione. Si tratta allora di due normative i cui ambiti di applicazione si intersecano senza essere estranei o inclusi l’uno nell’altro. La libertà di circolazione e soggiorno è garantita da una riserva di legge rinforzata. Tale libertà è però condizionata ad obblighi di legge (passaporto, etc.). Si è detto che tale libertà è riconosciuta al cittadino in quanto tale ed in certi limiti anche al cittadino europeo; per i cittadini extra-comunitari vige invece un regime di ammissione restrittivo a cui consegue il permesso di soggiorno ed il riconoscimento dei diritti secondo il principio di eguaglianza. Lo straniero, inoltre, a cui nel suo paese non sia consentito l’esercizio delle libertà democratiche, può richiedere asilo politico nel nostro territorio. Secondo l’art. 17 Cost. i cittadini hanno diritto di riunirsi, pacificamente e senz’armi; per le riunioni in luogo privato ed aperto a pubblico non è richiesto preavviso, mentre un preavviso è necessario per i luoghi pubblici, preavviso rivolto alle autorità di sicurezza che possono vietare la riunione solo per motivi di sicurezza e di incolumità. La riunione è fenomeno di compresenza fisica di più persone non casuale, ma previo concerto, in cui si distinguono gli organizzatori (promotori) dagli aderenti. Le condizioni perché la riunione sia lecita è la inermità e la pacificità della stessa, dove per armi si intende anche quelle improprie. Dall’art. 17 Cost. si desume che la riunione può avvenire in luogo privato, in luogo aperto al pubblico (cinema, teatro, etc.) ed in luogo pubblico (destinato all’uso pubblico). Solo in quest’ultimo caso è richiesto un preavviso all’autorità pubblica di tre giorni, almeno. La riunione può essere vietata solo per comprovati motivi di sicurezza ed incolumità. Secondo l’art. 18 Cost. i cittadini hanno diritto di associarsi (libertà di associazione) liberamente, senza autorizzazioni, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale; sono proibite le associazioni segrete e quelle militari che perseguono fini politici, la disposizione transitoria XII prevede inoltre il divieto di riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. L’associazione è un gruppo che si costituisce con l’adesione dei suoi membri per opera insieme in vista di uno scopo. Dall’associazione si distingue la formazione sociale (art. 2) che è fenomeno più ampio che comprende l’associazione ma anche altro come le aziende, la scuola, la famiglia, etc.; nei quali non esiste un accordo iniziale. Le associazioni per essere lecite non devono essere contrarie alla legge penale e agli altri divieti previsti dall’art. 17. alla libertà in positivo, si accosta la libertà negativa di non associarsi. L’associazione illecita è sciolta dall’amministrazione previa sentenza del giudice. L’art. 19 Cost. tutela la libertà di religione. Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria religione in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume. L’art. 19 garantisce dunque una libertà di professare, propagandare e esercitare il culto religioso. Deve riconoscersi anche una libertà negativa di non credere che corrisponde specularmente alla libertà positiva. La libertà di propaganda equivale al diritto di manifestazione del pensiero, la libertà di professare la religione, deve invece essere preferibilmente intesa con libertà di conformare la propria vita ad un ideale religioso, mentre la libertà di culto è libertà di compiere atti rivolti alla divinità purché non siano contrari al buon costume. L’art. 21 Cost. tutela la libertà di manifestazione del pensiero, libertà eminentemente pubblica, secondo cui tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero attraverso la parola, o lo scritto o ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta a autorizzazioni o a censure, mentre si può procedere a sequestro solo per atto motivato dall’autorità giudiziaria nel caso di delitti per i quali la legge sulla stampa lo prevede espressamente. La ragione di tutela di questa libertà risiede sia nell’interesse individuale, nel bisogno cioè che ciascuno di noi ha di testimoniare i propri convincimenti, sia nell’interesse generale, poiché il progresso in ogni campo non può che avvenire in forma dialettica, attraverso il confronto delle opinioni. Limite alla libertà di manifestazione del pensiero è il buon costume. Meritano attenzioni anche altre libertà previste dalla Costituzione come quelle dell’art. 39 e successivi. L’art. 39 Cost. garantisce la libertà sindacale che è modalità qualificata di libertà di associazione. Ad essa si collega un’autonomia contrattuale collettiva che può trovare limiti solo nella legge e non in poteri dell’esecutivo. Si ritiene implicitamente garantita la libertà di serrata (e cioè, la non punibilità dell’imprenditore che si astiene dalla sua attività), pur senza escludere che la serrata medesima possa integrare elementi di un illecito civile. È riconosciuto, invece, dall’art. 40 il diritto di sciopero, ossia il diritto di sospensione congiunta dell’attività lavorativa rivolta sia ai lavoratori subordinati che a quelli autonomi. L’art. 41 della Costituzione invece, tutela il diritto di iniziativa economica privata, intendendo con questo ogni attività economica produttiva di beni e servizi volti allo scambio nel mercato. Limiti espressi dall’art. 41 sono la dignità, la sicurezza, la libertà e l’utilità sociale dell’attività economica. L’Unione europea ha poi un’ampia disciplina sul mercato e sulla concorrenza.(quest’ultimo volto alla riduzione dei costi). La Costituzione prevede, infine, una garanzia di riserva relativa di legge con riguardo alle prestazioni personali e patrimoniali imposte (art. 23 Cost.); ed una garanzia di corrispondenza della capacità contributiva, con riguardo particolare ai tributi (art. 53 Cost.). Per prestazioni imposte, la Corte, ha inteso qualsiasi obbligazione che derivi da atto dell’autorità e non dal consenso dell’interessato. Più ristretto è invece il concetto di tributo, esso è quella prestazione patrimoniale imposta che non sia giustificata da una causa specifica e particolare. L’insieme degli istituti illustrati (libertà sindacale, diritto di sciopero, libertà d’impresa, principi di prestazioni personali e patrimoniali e tributi), configura, secondo una tesi, il concetto di costituzione economica. Non si nega l’utilità di siffatta problematica, tuttavia è forse più corretto ritenere la Costituzione come un elemento che configura un insieme elastico di compatibilità. LE GARANZIE Secondo le linee tradizionali del nostro sistema, la giurisdizione amministrativa si definisce in base alla natura dell’atto impugnato (atto formalmente amministrativo) di cui si chiede l’annullamento ed alla natura della posizione giuridica incisa (interesse legittimo). Il Consiglio di Stato ha poi esteso la giurisdizione amministrati anche ad atti non formalmente amministrativi quando la loro posizione incisa da atto di diritto pubblico sia di interesse legittimo. Il diritto soggettivo consiste in una pretesa che un soggetto pone nei confronti di tutti (assoluto) o alcuni soggetti determinati o determinabili (relativo), mentre l’interesse legittimo è un interesse privato, tutelato in via riflessa da una legge. È previsto che il potere amministrativo possa incidere sul diritto soggettivo degradandolo ad interesse legittimo: dinanzi ad un potere di espropriazione, il diritto di proprietà, ad esempio, non sussiste in quanto sussiste solo l’interesse legittimo del privato a che l’esercizio del potere pubblico sia conforme alla legge. In tempi recenti, si è fortemente rinnovato in via legislativa il sistema tradizionale, prevedendo ora una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo non più decretata in base alla situazione giuridica soggettiva, ma in base alla materia. Sono esempi di materie che rientrano nella giurisdizione amministrativa esclusiva le concessioni, gli appalti, i servizi pubblici, i conflitti di confine tra Comuni, etc. L’art. 103 Cost. prevede giurisdizioni diverse da quella ordinaria. Tali sono la giurisdizione contabile e quella militare. La prima è posta dinanzi alla Corte dei conti e riguarda i ricorsi nei confronti dei dipendenti dello Stato i quali abbiano cagionato danni all’erario ed i ricorsi rivolti ai dipendi che hanno il maneggio del denaro pubblico o la custodia dei beni pubblici. L’art. 103 Cost. estende poi la giurisdizione della Corte dei conti anche in materia di pensioni dei dipendenti pubblici, etc. La giurisdizione militare invece si divide in giurisdizione in tempo di pace, dove il giudice militare giudica solo dei reati commessi da appartenenti delle forze armate; e giurisdizione in tempo di guerra dove la giurisdizione militare ha, al pari della giurisdizione amministrativa e contabile, carattere espansivo. Diversa dalla giurisdizione ordinaria, amministrativa, contabile e militare, è la giurisdizione costituzionale della Corte costituzionale, le cui funzioni sono: giudizio di costituzionalità delle leggi e degli atti aventi forza di legge, giudizio esperibile in via incidentale ed in via principale; conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni e tra Regioni; conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato; giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo; giudizio di accusa del Presidente della Repubblica per alto tradimento ed attentato alla Costituzione. Secondo l’art. 134 Cost. la Corte giudica della costituzionalità delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni. È ovvio che tra le leggi statali o regionali impugnabili dinanzi alla Corte, sono da annoverare anche le leggi atipiche e quelle rinforzate, come pure le leggi meramente formali. Possono essere oggetto del giudizio di costituzionalità anche le leggi costituzionali e quelle di revisione per i requisiti di formazione ed anche per i limiti sostanziali ad esse riferibili. Gli atti con forza di legge, che sono sindacabili, integrano un’ampia categoria che comprende anche il decreto legislativo, il decreto legge, i referendum abrogativi, i decreti di attuazione degli statuti, etc. La Corte ha invece negato un sindacato sui regolamenti parlamentari, come non sono sindacabili nemmeno gli atti con valore regolamentare (che spettano al giudice ordinario o speciale) e gli atti della normativa europea. Parametro di giudizio per il sindacato di costituzionalità è in primo luogo la Costituzione, a cui si accostano anche le altre leggi costituzionali e le leggi di revisione. Il giudizio di costituzionalità di una legge o atto equiparato, può essere posto in via incidentale o in via principale. Accesso incidentale vuol dire che la questione di costituzionalità può e deve essere sollevata nel corso di un giudizio innanzi ad un giudice ordinario o speciale. Il carattere incidentale del giudizio implica la rilevanza della questione sollevata ai fini del decidere la causa nel corso della quale essa è sorta. Il giudizio in via principale è invece uno strumento riservato allo Stato e alle Regioni e tra queste, nei loro reciproci confronti, per garantire il riparto costituzionale delle competenze. L’art. 127 Cost. prevede che il Governo possa promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione. La Regione può, analogamente, promuovere la questione ogni qual volta abbia a riscontrare che lo Stato o un’altra Regione abbia adottato un atto che leda la sfera di competenza sua propria (entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione). La Corte rinviene una certa asimmetria nella legittimazione a ricorrere, riconoscendo alo Stato una legittimazione generale, per qualsiasi vizio di costituzionalità, mentre alle Regioni una legittimazione ristretta alla costituzionalità relativa alla propria sfera di competenza. La Corte giudica in via definitiva con sentenza, mentre tutti gli altri provvedimenti sono adottati con ordinanza. Sono principalmente tre i tipi di sentenza della Corte: le sentenze di accoglimento, che dichiarano incostituzionale la norma sottoposta al sindacato, rendendola priva di efficacia ed inapplicabile, dal giorno successivo alla sentenza; le sentenze di inammissibilità, che dichiarano la questione inammissibile per la sussistenza di ragioni che precludano l’esame delle censure proposte nell’atto introduttivo del giudizio (es: la questione è irrilevante nel giudizio in via incidentale; la questione è proposta oltre i sessanta giorni dalla pubblicazione dell’atto); le sentenze di rigetto, che dichiarano infondata la questione. Dalle sentenze di rigetto si distinguono le sentenze interpretative di rigetto ossia quelle questioni con cui la Corte dichiara infondata la questione non per una non giustificazione del dubbio di legittimità, ma per una cattiva interpretazione della legge impugnata. Le sentenze di accoglimento possono poi essere di diverso tipo: sentenze di accoglimento parziale (la Corte dichiara illegittima la disposizione solo per una parte del testo); sentenze additive (la Corte dichiara illegittima la disposizione nella parte in cui non prevede ciò che invece sarebbe costituzionalmente necessario prevedere); sentenze sostitutive (la Corte dichiara illegittima una questione nella parte in cui prevede X anziché Y e provvede a correggere tale previsione). Una più completa giustiziabilità dei rapporti tra Stato e Regioni e fra Regioni è assicurata dal conflitto, che si estende a qualsiasi altro atto possa ledere le rispettive attribuzioni. L’oggetto di tale conflitto può, dunque, essere il più vario e deve essere preposto con ricorso dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla notifica, pubblicazione o conoscenza dell’atto impugnato. Nel giudizio tra Stato e Regioni è necessaria l’esistenza di un atto da impugnare, invasivo o lesivo, della competenza costituzionale difesa. La nostra Costituzione introduce, con l’art. 134 Cost., l’istituto del conflitto tra poteri dello Stato. Soggetto legittimato del conflitto è, dunque, ogni organo dello Stato il quale eserciti in via indipendente una competenza costituzionalmente attribuita. Tale conflitto non presuppone l’adozione di un atto, potendo anche essere virtuale e derivare, cioè, da una semplice situazione di minaccia o incertezza nell’ordine costituzionale. La Corte giudica anche dell’ammissibilità del referendum abrogativo. Tale giudizio consiste in un interpretazione estensiva dei limiti costituzionali da parte della Cost., a cui si aggiungono altre cause di inammissibilità come l’inammissibilità di proposte che investano norme di grado costituzionale o anche l’inammissibilità di requisiti non omogenei e sufficientemente chiari. Il giudizio di accusa nei confronti del Presidente della Repubblica, per alto tradimento ed attentato alla Costituzione, è un giudizio che si compone di due fasi: la prima fase consiste nella messa in accusa del Presidente della Repubblica dalle due Camere in seduta comune a cui segue la nomina di commissari incaricati di sostenerla dinanzi alla Corte. La seconda fase si svolge dinanzi alla Corte costituzionale come un vero e proprio processo di procedura penale.