La cultura (voce dell’Enciclpedia Treccani) Cultura L'insieme delle cognizioni intellettuali acquisite ed elaborate in un processo di formazione individuale, fondato sull'apprendimento di alcuni saperi e il cui scopo è la formazione di una personalità matura. Più in generale con un significato formatosi fra 18° e 19° sec., il termine indica l'insieme dei modi di vivere, esprimersi e pensare che caratterizza qualsiasi gruppo umano. L’antichità e il medioevo Cultura, in latino, significa "coltivazione della terra". Fu Cicerone il primo a parlare di cultura animi, ossia di "coltivazione dello spirito", intendendo con essa il processo di formazione della personalità (che i latini chiamavano humanitas, umanità, e i greci paidèia, da pàis, paidòs "ragazzo"). Anche se i termini erano diversi, l'ideale educativo era il medesimo: per diventare persone mature era necessario coltivare il corpo con la ginnastica e l'animo con la letteratura, la retorica e la filosofia. Tale formazione era connessa con la vita sociale, giacché gli antichi erano convinti che soltanto all'interno della società l'uomo potesse realizzare la sua vera natura. Nel Medioevo l'ideale formativo assunse un significato religioso, perché lo scopo ultimo dell'uomo era la salvezza dell'anima. L'umanesimo e l'illuminismo L'Umanesimo segnò un recupero del significato mondano della c.: l'attenzione tornò a concentrarsi sul mondo e sull'uomo, esaltando la libertà e la creatività del primo e l'armonia del secondo. Il Rinascimento, inoltre, attenuò il carattere teorico-contemplativo della c., insistendo sulla capacità umana di trasformare il mondo e rivalutando le arti pratiche. La c. conservò tuttavia ancora un carattere aristocratico, cioè di attività riservata agli 'uomini superiori'. Soltanto con l'Illuminismo si cominciò a pensare alla c. come a qualcosa che doveva essere messo a disposizione di chiunque volesse migliorare sé stesso e far progredire la vita sociale. L'Enciclopedia, diretta da D. Diderot e J.-B. d'Alembert, è nata da questa convinzione e ne rappresenta il miglior esempio. Ma è con i filosofi dei Lumi - e in particolare con Voltaire - che il concetto di c. si ampliò includendo i modi di vivere e di pensare che caratterizzano un popolo. La cultura dalla filosofia all'antropologia Su questa strada si collocò J. Herder, secondo il quale le diverse culture (incluse quelle extraeuropee) sono come le piante e i fiori di un grande giardino, tra i quali non ha senso stabilire chi sia più avanti e chi più indietro, perché è proprio la diversità a fare bello il giardino. La lezione di Herder fu fatta propria dagli etnologi tedeschi dell'Ottocento, che indagarono le più svariate forme di cultura., contribuendo all'affermazione del nuovo concetto di cultura, che non designava più soltanto le attività intellettuali, ma - come scrisse E.B. Tylor - qualsiasi capacità e abitudine acquisita dall'uomo in quanto membro di una società. Il novecento Nel 20° sec. il concetto di c. ha occupato un posto di rilievo nelle riflessioni sulla civiltà, nella sociologia e nella psicoanalisi. Secondo O. Spengler le c. sono come organismi biologici, che seguono un loro corso evolutivo e infine decadono: l'Occidente si trova ormai in questa fase, in cui lo slancio vitale si sta esaurendo. I sociologi, come T. Parsons o E. Durkheim, hanno in genere visto nella c. un sistema il cui scopo è la socializzazione degli individui, ossia l'apprendimento di modi di pensare, sentire e agire condivisi da una data società. Secondo S. Freud la c. nasce da quella repressione parziale degli istinti che è indispensabile per permettere una qualsiasi forma di vita sociale; ma l'eccesso di repressione può disgregare la vita sociale, creando il 'disagio della civiltà'. La cultura - approfondimento di Adriano Favole La riflessione sul significato di 'cultura' rappresenta uno dei maggiori apporti al sapere contemporaneo forniti dalle scienze sociali, in particolare dall'antropologia culturale. La concezione antropologica della cultura ha contribuito nel Novecento a dissolvere la teoria biologica delle razze, permettendo di conciliare l'universalità e la varietà dell'esperienza umana. La formulazione del concetto da parte di E.B. Tylor conserva intatta la sua chiarezza: "Cultura o civiltà, intesa nel suo ampio senso etnografico, è quell'insieme complesso che include le conoscenze, le credenze, l'arte, la morale, il diritto, il costume e qualunque altra capacità e abitudine acquisita dall'uomo in quanto membro di una società" (La cultura primitiva, 1871). Se la definizione classica di cultura privilegiava l'idea di erudizione, di acquisizione di un sapere 'elevato', espresso per lo più in forma scritta, da parte di un'élite, la definizione di Tylor estende la cultura a tutta l'umanità; la cultura consiste nell'insieme dei saperi, delle pratiche, delle abitudini che ogni uomo acquisisce in quanto membro di una particolare società. L'incompletezza della natura umana Alla base della concezione moderna e scientifica di cultura vi è un insieme di autori, soprattutto filosofi, i quali, in epoche diverse, hanno proposto un'immagine dell'uomo come essere carente, incompleto, manchevole. A differenza di gran parte degli animali, gli esseri umani nascono 'nudi', privi di un apparato istintuale efficiente. La natura umana è biologicamente incompleta e solo l'intervento della cultura, di una cultura - ossia di saperi e pratiche non inscritte nel codice genetico, ma tramandati da una generazione all'altra - consente di ovviare a queste lacune originarie. Nel corso del Novecento non solo le scienze sociali, ma anche discipline come la paleoantropologia e le neuroscienze hanno fatto proprio il paradigma dell'incompletezza. Gli studiosi della filogenesi (la 'storia' della specie umana) hanno mostrato che capacità culturali, come l'uso di attrezzi e la trasmissione di sapere, erano presenti già milioni di anni fa negli antenati dell'Homo sapiens sapiens. La cultura ha contribuito a modellare una natura umana 'incompleta' fin dagli albori della storia della specie. Allo stesso modo, nel processo ontogenetico (lo sviluppo e la crescita dell'individuo), la cultura non si limita a sovrapporsi a una struttura biologica predeterminata: lo sviluppo dell'encefalo umano richiede l'immersione e l'interazione con un ambiente linguistico e culturale che contribuisce in maniera determinante alla formazione delle connessioni neuronali (teoria della plasticità dell'encefalo umano). L'estendersi del dominio della cultura A partire dalla nuova definizione del concetto (sintetizzabile nella formula di Tylor) e dal paradigma dell'incompletezza, gli antropologi hanno progressivamente esteso il dominio della cultura. Molti ambiti della vita umana considerati per lungo tempo 'naturali' appaiono oggi, viceversa, il prodotto di complesse costruzioni culturali. La definizione del maschile e del femminile; l'organizzazione della famiglia e della parentela; le concezioni del corpo, della salute e della malattia; le emozioni. Tutti questi aspetti della vita degli esseri umani appaiono oggi profondamente condizionati dalla cultura e nuovi ambiti disciplinari quali l'antropologia di genere, l'antropologia medica, l'etnopsichiatria, l'antropologia delle emozioni si incaricano di indagare le dinamiche culturali che sono all'origine di questi fenomeni. La progressiva erosione di terreno della natura umana da parte della cultura ha tuttavia fatto emergere il rischio di cadere in forme di determinismo culturale: dissolta la teoria biologica delle razze, l'antropologia non rischia di riprodurre una forma di 'razzismo culturale'? L'uomo è prigioniero della propria cultura? Dinamismi e aperture Per rispondere a queste critiche gli antropologi sono stati costretti a ridefinire nuovamente il concetto di cultura. Essi sottolineano oggi maggiormente l'apporto degli individui nei processi di mutamento e di trasformazione delle culture umane; l'esistenza di differenze culturali tra i diversi gruppi che compongono una società (le "culture egemoniche" e le "culture subalterne" di cui parlava A. Gramsci, i "dislivelli di cultura" di A.M. Cirese); i prestiti e gli scambi tra le culture. Le culture umane sono dinamiche anche perché non consistono solo in schemi di rappresentazione e interpretazione della realtà (le culture come 'testi' secondo la metafora proposta da C. Geertz), ma si esprimono in comportamenti, pratiche, azioni (l'habitus teorizzato da P. Bourdieu). Esse sono letteralmente incorporate Ripensare la cultura dagli esseri umani. Anche i recenti processi di globalizzazione hanno spinto gli scienziati sociali a ripensare la cultura. Se un tempo le culture apparivano legate a precisi territori, oggi la facilità degli spostamenti e delle connessioni (mass media, Internet ecc.) favoriscono il formarsi di culture delocalizzate. Un autore come U. Hannerz definisce la cultura in termini di "habitat di significato". Le culture appaiono costruzioni meticcie, frutto di incontri e di scambi o di "connessioni e deconnessioni", per usare la metafora informatica introdotta da J.-L. Amselle. Se tuttavia le scienze sociali rifiutano oggi una concezione rigida e deterministica delle culture, molto spesso questa viene fatta propria dal discorso politico. Gli aspetti di apertura e di dinamismo sono occultati da processi di reificazione (nei quali le culture sono considerate alla stregua di res, "cose, oggetti" dai confini netti e incontrovertibili) e di sacralizzazione. Se le culture sono in sé stesse aperte, esse vengono spesso considerate come se fossero entità chiuse, impermeabili al tempo e al mutamento. La teoria dello "scontro di civiltà" proposta da S. Huntington è forse l'esempio più evidente di una concezione rigida e chiusa delle culture umane.