BOLLETTINO U.C.F.I. (UNIONE CATTOLICA FARMACISTI ITALIANI) – SEZIONE DI VERONA VIA GIBERTI n. 11 C.A.P. 37122 VERONA TEL. 045/594006 E-MAIL: ethical@brembenet .it SITI INTERNET: www.ucfi.it e www.farmacieverona.it Per annullare la ricezione del presente bollettino è sufficiente inviare una e-mail all’indirizzo : [email protected] N. 2/13 Di fronte ad una procedura che permette all’embrione di svilupparsi al di fuori dell’utero materno per tutti i nove mesi necessari alla sua maturazione ECTOGENESI La dott.sa Hung-Cing-Liu del Center for Reproductive Medicine and Infertilità del Weill Medical College (USA) ha fatto un esperimento, che rientra in una procedura di ricerca che permette , grazie a specifici strumenti, all’embrione di svilupparsi al di fuori di un utero umano per tutti i nove mesi necessari alla sua maturazione ed alla vita autonoma: l’articolo esamina la logica scientista della produzione artificiale dell’uomo, che nell’esperimento in questione trova una sua nuova espressione simbolica. L’ampiezza dei temi bioetici continua ad accrescersi e lo dimostrano le dimensioni delle enciclopedie, l’ultima di recente pubblicazione. Ma lo spazio maggiore è sempre occupato dai problemi della procreazione con mezzi artificiali di vario tipo. Non è facile spiegare, anche se molti hanno cercato di farlo, le ragioni di questo accanimento della scienza applicata nei confronti dei vari meccanismi che portano alla nascita di nuovi individui della specie umana. Non può essere, certamente, l’esigenza di aumentare in modo artificiale i miliardi di persone che abitano sulla terra, al punto di occupare anche territori ostili e poveri di risorse, causando sofferenze e diseguaglianze sempre più gravi. Può sicuramente avere un ruolo il profondo e radicato impulso alla prosecuzione della specie che in tempi non molto lontani – un secolo al più – si doveva arrendere alla ineluttabilità dei limiti personali congeneti od acquisiti della capacità riproduttiva dei singoli. A questi ostacoli la scienza ha cercato di porre rimedio in vari modi, piegando ai propri fini ed utilizzandoli, i processi naturali, altre volte sfociando addirittura nella artificiosità spinta, in genere incurante dei problemi etici. L’ectogenesi è un capitolo di quest’ultima e ad essa appartiene il recente esperimento di un iniziale processo annunciato dalla dott.ssa Hung-Cing-Liu del Center for Reproductive Medicine and Infertility del Weill Medical College (USA) costituito dalla procedura, che per mezzo di specifici strumenti, permette all’embrione di svilupparsi al di fuori di un utero umano, per tutti i nove mesi necessari alla sua maturazione ed alla vita autonoma: tecnica che assume significato anche simbolico nell’ambito della logica scientista della produzione artificiale dell’uomo. A quanto risulta, la struttura dello strumento è composta da una camera di sviluppo, nella quale l’embrione è radicato ad un tessuto endometriale umano cresciuto artificialmente; un sistema di alimentazione, connesso alla camera di sviluppo per fornire le sostanze nutritive necessarie alla crescita dell’embrione; un sistema di ossigenazione, connesso al sistema di alimentazione, che aspira l’ossigeno atmosferico e lo include nel liquido di alimentazione, identica ad una macchina cuorepolmoni; un sistema di filtraggio, connesso alla camera di sviluppo che ripulisce le sostanze di scarto rilasciate dal feto durante la crescita, ed impedisce il proliferare di batteri o virus, identica ad una macchina per dialisi; un’unità di controllo computerizzata, connessa con sensori elettronici alla camera di sviluppo. Tutte queste assemblate tecnologie sono attualmente già esistenti, tuttavia importanti motivi etici, legati all’aborto ed alla clonazione umana hanno impedito il rilascio e la costruzione di un prototipo di utero artificiale per esseri umani. 1 Recentemente la bioeticista inglese Anna Smajdor, docente alla University of East Anglia (UK) e ricercatrice in bioetica all’Imperial College di Londra, ha sostenuto la necessità di dedicare urgentemente fondi pubblici destinati alla ricerca sull’utero artificiale per emancipare le donne da questi “relitti ancestrali” e “barbari” che sono la gravidanza ed il parto, fonti di dolore e di oppressione. La proposta della Smajdor è veicolata dalla rivista Cambridge Quarterly of Healthcare Ethics e riprende precedenti posizioni della ricercatrice. Gravidanza e parto altro non sarebbero che malattie di lunga durata, incompatibili con una società liberale, ed i valori sociali attuali risulterebbero inconciliabili con la riproduzione naturale che riduce le donne a mere “portatrici di bambini”. La Smajdor chiede “di dare priorità alla ricerca sull’ectogenesi come alternativa alla gravidanza” e di scegliere l’utero artificiale per una società in cui non siano più le donne a correre i rischi della gravidanza e del parto: che “lungi dall’essere indispensabili per garantire il legame materno possono ostacolare la capacità di prendersi cura dei loro bambini.” La Smajdor non è certo sola in questo ennesimo attacco alla riproduzione naturale. Tra gli altri merita un ricordo il biologico e filosofo francese Henri Atlan, già membro del Comité consultatif national d’éthique pour les sciences de la vie et de la santé (Ccne) francese, il quale prevedendo uno sviluppo dell’utero artificiale ritiene che la sua realizzazione segnerà “la possibilità di una evoluzione verso una vera uguaglianza dei sessi”. Non vi è dubbio, ove per un momento si voglia prescindere dai rilevanti ed evidenti aspetti bioetici, che l’utero artificiale, con il suo pur grossolano tentativo di imitare il prodigioso utero naturale – organo di accoglienza dell’embrione, di nutrimento, di trasmissione nell’arco di molti mesi di messaggi sonori e biochimici in gran parte misteriosi ed irriproducibili – non è realmente assimilabile a tanti altri prodotti della scienza tecnologica che la medicina ha creato nell’ultimo mezzo secolo con finalità diagnostiche e soprattutto terapeutiche sostitutive. Si tratta spesso di invenzioni di grande ingegno e di rilevante e spesso decisiva utilità, ormai irrinunciabili, le quali possono presentare talora problemi medici, giuridici e deontologici, alcune volte anche bioetici, per gli aspetti negativi correlati a inevitabili complicanze, non di rado gravi ed anche mortali. Non si potrebbe certo rinunciare alle attrezzature per l’emodialisi e la plasmaferesi, alla circolazione extracorporea, alle valvole cardiache, alle varie protesi, talora sofisticatissime, agli arti, fino alla chirurgia robotica, malgrado i suoi costi. Sono solo alcuni esempi nel cui ambito è oggettivamente difficile individuare seri problemi bioetici se non quello, indubbio e doloroso, costituito dalla frequente indisponibilità di questi strumenti, per moltissimi pazienti, specie nelle aree povere e non dotate di presidi medici aggiornati ed efficienti. Tutto questo avviene nel contesto del pur discusso progresso tecnico con le sue ricadute positive per l’umanità e con i suoi effetti anche dannosi, sull’uomo e sull’ambiente. In questo sempre più rapido ed incessante movimento si coglie il frutto dell’istinto creativo dell’uomo che lo ha portato fino al viaggio sulla luna ed ai tentativi di studio di alcuni pianeti, per uno stimolo che nasce dalla curiosità innata ma anche dall’ambizione e dal desiderio di gareggiare. Ma pretendere di assimilare queste tecniche sostitutive e di ausilio tecnico ad un utero artificiale senza considerare la sua collocazione in una zona intoccabile del processo procreativo, appare con evidenza un grave superamento della soglia di ciò che è bioeticamente e umanamente accettabile. Lo stesso aspetto tecnico già appare inconsistente e addirittura può considerarsi una sperimentazione cieca sull’uomo nascente compiuta nella prevalente ignoranza scientifica di ciò che avviene realmente nel lungo periodo di intima convivenza della madre e del feto. Non bastano a superare queste lacune di conoscenza le pur interessanti ricerche sul dialogo, specie biochimico, che si ritiene avvenire nel corso di nove mesi. Quanti scambi avvengono tra madre e figlio a noi finora ignoti? E’ evidente che la creazione di un grossolano luogo di accoglienza del feto, se può forse consentirgli comunque lo sviluppo prodotto dalle sue intrinseche forze naturali, non può invece offrire nulla del protratto nutrimento globale fatto non solo di sostanze nutrienti che la madre gli assicura. Perfino la mancanza delle ormai accertate risposte dolorose che il feto è in grado di dare e che sono un segno di vitale importanza nella fisiologia dell’uomo, è una carenza rilevante nella crescita endouterina naturale. Senza dire, di converso, degli straordinari apporti organici e psichici di cui la gravidanza gratifica la madre nella maggior parte dei casi. Già queste constatazioni sono sufficienti per affermare il disvalore biologico e bioetico di questi progetti. Purtroppo il significato morale e simbolico della procreazione si sta progressivamente indebolendo sulla base, principalmente, dell’aumento degli aborti, specie di embrioni di sesso femminile, cui non fanno certo bilanciamento, dal lato opposto, filiazioni e gravidanze snaturate non solo per soddisfare desideri personali ma, addirittura, per poter affrontare nuove ideologie circa la struttura della società umana. In Italia con prudente preveggenza, l’art. 13 comma 3 lettera c della legge 40/2004 “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita” ha vietato “interventi di clonazione mediante trasferimento di nucleo o di scissione precoce dell’embrione o di ectogenesi sia a fini procreativi sia di ricerca”. Ma questa legge, saggia e abbastanza efficace, è purtroppo continuamente attaccata proprio nelle sue zone più cruciali, nei baluardi eretti a difesa della 2 procreazione. Il perverso fascino del presunto progresso relativista continua ad esercitare la sua azione pericolosa e dannosa cui bisogna opporre senza sosta la difesa bioetica nella prospettiva della Global Bioethics di Van Rensselaer Potter (1988), secondo cui ognuno è responsabile nel proteggere la natura del mondo per la sopravvivenza dei nostri discendenti. Questa Bioetica, pur continuamente minacciata, continua ad essere il ponte fra le scienze e l’umanità sul quale non può transitare l’utero artificiale Angelo Fiori (tratto da Medicina e Morale 2012/2, pagg. 161-165) 3