La necessità dell’ascolto nella ricerca teologica e nella vita cristiana DOMENICO SIGALINI Il Forum dei pastoralisti italiani compie con ponderatezza, ma con decisione i suoi primi passi. Un colloquio presso la facoltà teologica del triveneto a Padova, tenutosi per tutta la giornata di venerdì 8 febbraio ha avuto per tema l’ascolto. Dopo il convegno fondativo di settembre, in cui si sono poste le basi del forum dei pastoralisti, una aggregazione leggera, ma non per questo inoperosa e pleonastica, ci si è dati un compito di approfondimento. Che significa approfondire il significato dell’ascolto e le pratiche ecclesiali di ascolto in una sessione di studio teologico? Il problema più evidente nel definire il proprium di studiosi che si applicano alla teologia pratica è la sua epistemologia, il suo statuto di scienza teologica. Uno dei primi scogli da affrontare, che è anche una delle questioni più appassionanti della stessa vita delle comunità cristiane, è il rapporto con le scienze umane e ancora prima l’atteggiamento che deve caratterizzare il momento in cui il teologo, ma mi piace dire il cristiano, si mette in ascolto della vita, della sua esistenza e di quella degli altri, del suo mondo e del mondo delle relazioni e delle cose, dei fatti che la caratterizzano e delle loro interpretazioni. Le domande semplici Che significa dare un giudizio credente ai fatti che capitano? La vita come viene illuminata dalla fede e, nello stesso tempo, che cosa dice tutto il mare dell’esistenza a me credente? A me che voglio vivere il vangelo, sine glossa, a me che voglio vivere con fede il presente? La fede è un bollo che appiccico alla vita? La vita è una realtà che posso capire al di fuori di una visione di fede? Le domande hanno un risvolto non secondario in una riflessione teologica. Quale lettura della realtà si accoglie nella riflessione e nella prassi pastorale? Quella azione pastorale che mi aiuta a consegnare la mia vita al mistero santo di Dio, che attenzione pone allo spessore profano della vita e ai suoi processi promozionali sia personali che collettivi? Come devo tenere in conto i dati di una ricerca sociologica, comportamentale per fare in modo che l’uomo di oggi si interroghi ancora sul messaggio di Cristo, riesca a vederlo come necessario alla sua felicità e lo viva? Vedere, giudicare, agire Se vogliamo operare una semplificazione, si tratta di dare spessore culturale teologico alla famosa terna: vedere, giudicare e agire e vederne gli sviluppi necessari oggi, nel contesto pluralistico delle conoscenze e dei suoi molteplici modelli. Il problema diventa ancora più delicato se si guarda alle diversificate letture della realtà odierne e alla frammentazione dei saperi dell’uomo. Non c’è più nessun documento del magistero che non faccia un breve excursus nelle scienze umane o nelle immagini più diffuse del reale prima di offrire indicazioni pastorali. È importante anche per i livelli semplici e comunicativi della passione della Chiesa per l’umanità che si approfondiscano questi approcci, perché o le scienze non siano banalmente usate come strumentali o la fede ne sia ingabbiata. La teologia, nei limiti di ogni parola umana tenta di dire l’indicibile, in questo senso è la parola qui e ora della fede. Nel costruire un pensiero e una prassi pastorale, deve condurre il dialogo con le molteplici discipline umane e i punti di approdo del pensiero scientifico e filosofico. Come si articola questo dialogo? Il problema non è nuovo, in questi ultimi 70 anni si sono fatti vari tentativi di rinnovamento e di approfondimento di questa sezione della teologia pratica. Così che oggi esistono varie scuole di pensiero che hanno dato vita a un interessante dibattito epistemologico. Il professore don Luca Bressan ha descritto in maniera molto articolata le varie scuole che si sono susseguite soprattutto nel mondo francese e anglosassone. Si passa dal paradigma empirico di Van der Ven e Piette, al paradigma critico di Mette e Arens, fino al paradigma ermeneutico di Ricoeur e Beaucamp. 1 La grammatica dell’ascolto Una lettura sincronica dei modelli può permetterci oggi di costruire una grammatica dell’ascolto, una grammatica dell’abitare le varie culture sia del passato che quelle presenti e viventi, per poter dire oggi e vivere pienamente dentro la vita umana l’esperienza autentica, nuova, accolta come dono inaspettato, della fede in Gesù Risorto. Dire grammatica dell’ascolto significa studiare le condizioni per un corretto ascolto. A questa riflessione ha dato il suo contributo, chiaro e stimolante, Riccardo Tonelli. Siamo tutti convinti che oggetto della fede è l’esistenza concreta quotidiana, la storia profana, che è storia e avventura di tutti e luogo dove si affaccia la proposta coinvolgente dell’amore di Dio. Il mistero di Dio si affaccia solo attraverso la porta stretta del suo visibile. Per decifrare il visibile e raggiungere in esso la soglia del mistero, la pastorale ha bisogno delle diverse competenze scientifiche: ha bisogno di sociologi, di linguisti, di antropologi, di esperti di discipline progettative, di politologi. Non compie una fredda consultazione, ma vi si pone dentro, le abita per identificare al loro interno le esperienze antropologiche fondamentali. Quando c’è di mezzo l’uomo e la sua libertà la teologia ha bisogno di esprimere amore appassionato, condivisione, quadro di valori orientativi, ricerca e invenzione di senso. Sapienza potremmo dire questo modo di abitare le scienze umane. È quella famosa competenza in umanità che sbilancia sul piano antropologico il contributo sapienziale della teologia. A questo riguardo la ricerca filosofica si offre alla teologia pastorale come l’esercizio di quel modo di vedere e di ascoltare che permette di accogliere plasmandolo il senso della realtà. La filosofia aiuta ad andare oltre l’ingenuo sguardo spontaneo, immediato, naturalistico, caratteristico delle vedute positivistiche del reale, di quei saperi che trattano la realtà come dato immediato e univoco e di quelle concezioni del conoscere che lo riducono a una semplice rappresentazione della realtà (Tommasi). Le stesse scienze infatti debordano dai loro compiti, quando dalla misura fisica o quantitativa di porzioni di realtà pretendono di assurgere a visioni di mondo. La filosofia ha ancora molte cose da dire pure alle scienze, senza essere tacciata di dogmatismo, di chiusura o di censura nei confronti delle scienze esatte, per esempio. Cosa che facilmente viene imputata al sapere teologico. Qui scorgo ancora la non mai tramontata funzione della filosofia come ancella della teologia, almeno come affinità a cercare una verità che va oltre le misurazioni quantitative. In questo contesto allora la teologia pratica non si pone nei confronti delle scienze umane come un osservatore esterno, ma impara ad abitarle attivando trame di relazioni profonde e significative. C’è un coinvolgimento diretto e attivo della propria identità. Memoria cristiana e precomprensione teologica In questo gioco di relazioni viene ad essere attivata, come principio capace di trasfigurare esperienze e significati, la memoria cristiana, come la chiama Bressan, o la precomprensione teologica, come la definisce Tonelli. Memoria cristiana come luogo dell’ascolto che mi permette di trovare nuove dimensioni della vita, anche insospettate, non deducibili dalle logiche delle scienze umane, capaci di aprire nuovi spazi e approfondimenti dell’ascolto. Le stesse scienze umane possono continuare a scavare di nuovo anche per l’apporto della memoria cristiana e così l’esperienza cristiana può raggiungere nuovi approdi antropologici. Dice Tonelli: Il “contenuto” teologico del mistero cristiano «ci porta verso l’evento della Pasqua come dimensione costitutiva di tutto il reale. Riconosciamo una solidarietà profonda dell’umanità con Dio in Gesù di Nazareth: l’umanità dell’uomo è ormai altra da sé, perché è stata progettata e restituita alla capacità di essere volto e parola del Dio ineffabile. Affermiamo la presenza di una forza di male, che trascina lontano dalla vita e dal progetto di Dio sulla vita, come trama personale, anche nell’intricata rete dei processi istituzionali e strutturali. Confessiamo una potenza rinnovatrice che sta già facendo nuove tutte le cose, fino a riempirle tutte di questa ansia di vita. Questi dati teologici segnano la realtà 2 come in filigrana. Ne rappresentano il tessuto connettivo ultimo e decisivo. Non li possiamo riconoscere con la stessa lucida capacità interpretativa con cui elenchiamo fatti e progetti della vita quotidiana (con cui leggiamo il reale attraverso le scienze umane). La coscienza di questi dati ci fornisce però un quadro di precomprensioni soggettive con cui ci collochiamo sul reale, lo leggiamo, lo interpretiamo e ne progettiamo la trasformazione». Il compito del cristiano è sicuramente di ascolto per abitare fino in fondo la vita umana, ma ha la “pretesa” con la sua fede di trasformare. È dimensione costitutiva della pastorale l’impegno di trasformare affinché si realizzi il progetto di Dio sull’uomo e sulla storia. È importante allora vedere quali sono le condizioni irrinunciabili che devono caratterizzare il rapporto tra la teologia e le scienze umane (Tonelli): il dialogo tra le diverse discipline è proficuo solo se ciascuna sa offrire, in modo serio, il proprio contributo originale. Le diverse discipline non possono abdicare alla loro competenza, per dire cose gradite o per orientare alla soluzione dei problemi nella direzione desiderata. il dialogo interdisciplinare è possibile solo quando i diversi interlocutori convergono attorno al problema, consapevoli di non possederne la soluzione in modo autonomo. Ciascuno coglie una parte della realtà o legge tutta la realtà a partire da una prospettiva parziale. È indispensabile una conoscenza minima della “lingua” dell’interlocutore e cioè dello statuto epistemologico della disciplina che l’altro coltiva, dei termini che sono in gioco, del livello di approssimazione che riconosce di perseguire. Il confronto tra le diverse discipline è possibile solo se esiste un principio regolatore del confronto stesso, che funzioni come sede unificante del dialogo. In pastorale, questo principio è l’attenzione all’uomo. E l’approdo di questa ricerca? Non voglio fare un cortocircuito, perché proprio su questi temi, su queste premesse il forum dei pastoralisti è chiamato a continuare lo studio e il confronto in un altro colloquio che si svilupperà nella facoltà teologica di Palermo nel mese di maggio. Intanto però abbiamo dei punti di non ritorno da portare a casa: 1. La pastorale non ha bisogno di programmare ricerche specifiche, quasi per studiare dati e fatti di cui immagina di possedere il monopolio rispetto alle altre discipline fenomelogicoermeneutiche. Lo fa in via eccezionale, quando intende recensire comportamenti e atteggiamenti originali e specifici. Di solito utilizza il materiale prodotto a partire da altre preoccupazioni, consapevole che tutta la complessa vicenda dell’uomo rientra nell’angolo di prospettiva dell’educazione alla fede. Su questo materiale comune lancia uno sguardo, penetrante e specifico. La pastorale affronta le varie interpretazioni riflesse del vissuto culturale attuale per cogliere i segni di novità presenti e i problemi cui si sente di dover dare il proprio contributo specifico (Tonelli). In questo lavoro non è condizionata da una sorta di sopravvivenza, ma sa di dovere vivere quel tipico carattere ecclesiologico che è il pellegrinare normalmente nelle varie situazioni di vita con il suo compito evangelico. 2. Il cristianesimo accetta di lasciarsi contaminare dalle forme culturali che intende abitare, dalle dinamiche di ascolto attivate, nella convinzione che il processo avviato permette ai principi istituenti che porta in sé di attivarsi e di generare nuovi modi per vivere e comunicare l’identità cristiana. Un simile processo è detto di contaminazione perché non lascia immutato nessuno degli elementi che si sono messi in gioco: non resta immutata la cultura ascoltata, che al termine del processo risulta arricchita e trasfigurata dall’incontro con la memoria cristiana; non resta immutato nemmeno il cristianesimo, che si scopre 3 arricchito di una nuova forma attraverso la quale comunicare la sua identità profonda, la sua natura originaria dentro la storia degli uomini.(Bressan) 3. La pastorale definisce il suo statuto scientifico nel confronto interdisciplinare, realizzato dalla prospettiva della fede (l’uomo compreso nel mistero di Dio e chiamato ad una comunione definitiva con lui) e nel tentativo di superare persino la pluralità di approcci in un unico processo in cui discipline epistemologicamente distinte si unificano creativamente in una sintesi nuova rispetto ai contributi che l’hanno costruita. Essa è una scienza autonoma, perché antropologia, scienze dell’educazione, della comunicazione e teologia dialogano attorno all’unico problema in modo interdisciplinare fino al punto da costituire, soprattutto nel momento dell’azione pastorale e della sua progettazione e verifica, un evento transdisciplinare. 4. L’ascolto, e non solo l’osservazione, può aiutare a superare quella sindrome del dover sempre insegnare che spesso isola la comunità cristiana in se stessa. Questo non significa che non si debba servire senza timore la profezia, il dato di fede non disponibile e manipolabile. È importante avere un catechismo, ma ogni credente deve essere capace di dire la sua fede non con l’imparato a memoria, ma dentro la fatica della ricerca della verità piena cui concorre tutta la realtà che Dio ha creato. La Parola di Dio è scritta metà nella vita e l’altra metà nella parola scritta. La teologia pratica ci aiuta a comporre queste metà nella Parola che diventa salvezza per l’uomo di oggi. Ulteriore impegno che rimane è di affrontare tutte queste problematiche che sono sbilanciate dalla parte della teoria, entro le prassi concrete della vita cristiana. La pastorale non nasce oggi; tutte le principali attività della vita cristiana sono coinvolte in questa tensione dell’ascolto. Occorre mettere a fuoco le procedure pratiche, applicarsi seriamente alla verifica, farsi provocare dalle obiezioni di chi concretamente lavora sul campo. All’uopo può essere utile analizzare concretamente come si costruisce una lectio divina, come si opera una evangelizzazione di alcune categorie particolari di persone di culture diverse, come si fa un primo annuncio, che significa specificatamente impegnarsi in quanto cristiani in un territorio difficile. DOMENICO SIGALINI, vescovo di Palestrina, presidente COP 4