RITROVARE UNA SORELLA di Madre Cristiana Piccardo Incontri comunitari in margine alla beatificazione di Suor Maria Gabriella Sagheddu, Trappa di Vitorchiano, gennaio 1983 tratto da : “Alla scuola della libertà”- Editrice Ancora La beatificazione di suor Maria Gabriella ha quasi colto di sorpresa la Comunità Trappista di Vitorchiano. Gabriella era la piccola sorella con la quale si camminava insieme, alla quale si guardava con semplicità dentro la ricca tradizione di grazia lasciata alla Comunità dalle molte sorelle che ci avevano preceduto nel cammino verso il Paradiso e delle quali conoscevamo la vastità della preghiera e della fedeltà, la risonanza ecclesiale e la forza di perseveranza, da cui traeva forza e contenuto il nostro attuale “permanere” nella Trappa. Una beatificazione rendeva all'improvviso “paradigmatica” una vita che si era mossa nel solco della tradizione e della quotidianità. Il tentativo di riscoprirla, di interiorizzarla, di imparare da Gabriella a vivere la vocazione a cui anche noi eravamo chiamate, ha guidato queste povere riflessioni, che fanno parte degli abituali capitoli domenicali, in uso nei nostri monasteri. E tuttavia elaborare tale riflessione ha significato entrare in un'ammirazione,uno stupore incredibile davanti al mistero di predilezione con cui Dio aveva benedetto e colmato la piccola anima di questa sorella. Insegnamento, esame di coscienza, stimolo ad una conversione che vanno ben oltre il momento vissuto e la meditazione che ne è scaturita: Gabriella, permanendo la piccola sorella con cui è dolce camminare tenendola per mano, diventa maestra e segno, punto di riferimento e indicazione vitale. Alcune parole chiave attraversano con continuità impressionante la vita di suor Maria Gabriella: Conversione È come il dinamismo specifico della sua giovane vita e sono molte le testimonianze che ne mostrano la continuità: “corretta completamente (l'impazienza); si è dominata potentemente ( irascibilità); si è molto corretta (spirito critico); si tratteneva, scappava se perdeva la pazienza o si buttava in ginocchio e faceva mea culpa... Lottava e vinceva …. Era pronta a ricevere il suo rimprovero con umiltà..” Ancora prima di entrare in monastero, dopo il superamento di una adolescenza scontrosa e caparbia, dicevano di lei la stessa cosa: “era cambiata…. ha corretto il suo carattere…. c'è stato in lei un continuo progresso…”. C'è, in Gabriella, come l'intuizione tenace di una trasformazione che doveva avvenire perché aveva incontrato “Qualcuno”, come la certezza di un cambiamento che Dio avrebbe operato se lei non avesse opposto ostacoli alla grazia. Tutta la breve vita di Gabriella è come racchiusa dentro la coscienza di una conversione a cui era chiamata e a cui aprirsi senza paura e senza ritorno, con il limpido abbandono di una “certa” chiaroveggenza.. Indegnità Altra parola che percorre la vita di Gabriella come identità costante e convincente. Nel gruppo di lettere che vanno dal 30 settembre 35 ( data del suo ingresso alla Trappa di Grotta ferrata) alla fine del 37 e, comprendenti quindi la data della sua Vestizione (15 aprile 36) e della sua Professione ( 31 aprile 37), la parola “indegnità” ricorre continuamente, mista ad un senso di stupore attonito ed immenso per la misericordia di Dio con lei, così indegna, per la bontà del Signore, il suo amore, la certa predilezione da cui si sente avvolta....” Il Signore ha fatto con me come al figliol prodigo.. Adesso comprendo bene quel detto che dice che Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva” (aprile 36). Vocazione Gabriella ne parla continuamente, ne ha una coscienza limpidissima che la immerge in una gratitudine continua e vigile: “... avrebbe potuto scegliere tante anime molto più amanti, più pure, più innocenti, più degne ma no. Egli ha voluto scegliere me, sebbene io ne sia così indegna. Dopo tanto amore e tante predilezioni, come non potrò sciogliermi nell'amore verso il mio Sposo?. ..Egli ha voluto fare di me l’oggetto della sua misericordia…Il mio cuore si sente mancare al pensiero che mi potrebbero rimandare e sarei più contenta che mi facessero a pezzi piuttosto che uscire dal monastero…. Se anche quando sono partita fossi stata indecisa, ciò che peraltro non era, adesso Gesù mi ha fermato più che mai alla mia vocazione... “(Dicembre 37). Monastero Altra parola che ricorre costante, strettamente unita alla parola vocazione, oggettivando di questa i contorni e ampliandoli alla dimensione della “casa” e della “comunità”: “ E’ una fortuna vivere qui; se per disgrazia si cade, cento braccia sono disposte a rialzarci… Ditegli che mi faccia soffrire cento volte la morte piuttosto che uscire da queste sante mura, dove sono stata accolta con tanto amore ….Vivo, mangio, dormo sotto lo stesso tetto con Gesù e che cosa si vorrebbe di più in questa misera vita mortale?” Le lunghe descrizioni nelle prime lettere del 35, in cui Gabriella racconta ogni dettaglio della casa, delle osservanze, delle cerimonie, rivelano un realismo acuto e vivido unito ad un rispetto semplice e innamorato che trova accenti di stupita tenerezza: “Non sono venuta per vedere i luoghi, ma per rimanervi sempre (ottobre 35)…. Questo luogo è un vero Paradiso (Gabriella descrive l'orto, la vigna, i cavoli, i finocchi... i fiori, le statue) ho trovato qui tante sorelle che mi vogliono bene; …quest'aria sembra fatta apposta per me. Dalle mie superiore non avrei potuto desiderare di meglio... Le mie sorelle. ..benché non possiamo parlarci ci amiamo ugualmente.”. Chiesa –offerta Due parole che in certo qual modo si sovrappongono nell'esperienza spirituale di Gabriella e si muovono in una sincronia semplice e diretta dentro il destino ecumenico che è suo. Come se l'idea di Chiesa rifluisse nel concreto dell'esistenza come coscienza di offerta, come se una passione di consumazione divenisse, per intrinseco dinamismo, “Chiesa”, respiro ecclesiale, modo di essere dentro la Chiesa. Santità Una parola che Gabriella ripete con convinzione precisa e senza mezzi termini sia pur filtrata nettamente dalla coscienza di un’ incommensurabile indegnità: ”Non crediate che voglio dire santa per essere messa sugli altari, che ciò sarebbe presunzione, ma desidero solo la Santità nell'adempimento perfetto dei miei doveri”. Sempre quella nettezza sobria, spoglia, essenziale, di Gabriella che “centra” il problema, sia pure uno dei più ardui come quello della Santità, senza teorizzazioni inutili, senza vaghi svolazzi sentimentali: la cruda nudità della croce che si traduce in “compimento del mio dovere”. Parole che non esprimono tutto, ma che percorrono la sua vita con insistente tenacia, la solcano profondamente, ne tessono il significato e il divenire, crescono dentro la sua crescita e in essa si compiono. Quando, nella festa di Cristo Re, Gabriella pronuncerà la sua professione semplice, dirà: “ I voti veramente sono per tre anni, ma io a questo non ci penso, perché non ci possono più rimandare se non per mancanza di spirito religioso o per malattia maliziosamente nascosta. Ringraziando il Signore io di malattie non ne ho e per mancare allo spirito religioso, prego il Signore di farmi piuttosto morire, non una, ma mille volte si occorre... “(dicembre 37). Proprio in occasione della professione prende tutto il suo rilievo la parola consacrazione. Gabriella ne sviluppa il significato con la chiarezza sperimentale dei semplici di cuore: “Non avrei potuto desiderare giorno più bello della festa di Cristo Re per la mia intera consacrazione a Lui, che deve essere il Re del mio cuore e della mia anima”. Gaudio dell'appartenenza a cui Gabriella vorrebbe associare tutti: “Benedici ( lunga teoria di persone e intenzioni specifiche: superiori, sorelle, parenti, benefattori, amici... ) ed entra in loro come Re a prenderne possesso”. Gaudio di un'appartenenza che diventa coscienza di una dignità nuova che struttura la sua persona: “Nella semplicità del mio cuore ti offro tutto lietamente, o Signore... E Tu nel giorno della tua festa regale, vuoi fare di questa misera creatura una regina ….Vieni e regna nell'anima mia come Re d'amore!” E una regina può essere audace: “Padre Eterno, mostrate che in questo giorno il vostro Figlio va a nozze e stabilite il suo regno in tutti i cuori”. Appartenenza che sfocia come conseguenza logica nell'abbandono e nella riconoscenza: “ Ti ringrazio e mi abbandono…” Lla preghiera piccola e povera che sarà come il ritornello nel canto umile della vita . E proprio perché piccola e povera, diverrà una preghiera vasta e universale fino all'abbraccio della grande preghiera cristologia: “Che siano uno, Padre”... Ed è ancora nella gaudiosa ricoscienza dell’appartenenza che nasce come forza liberante la constatazione della propria indegnità, poiché è solo l'amore che trasforma il limite in speranza di salvezza e in spazio di tenerezza: “ Avete mai visto, voi, a Dorgali, degli sposi, anche più ricchi e nobili , che avessero una messa così solenne al loro sposalizio ? Eppure io, lì l’infima di tutti, l'ho avuta! A me! è stato domandato se volevo accettare Gesù come mio modello e sposo e io (quasi d'euforia di un impossibile privilegio!)... ho letto la cedola della professione, l'ho firmata in mezzo al coro e ho aggiunto una croce!”. Una sottolineatura vigorosa, volitiva, ma pur densa di stupore e di miracolo Una riflessione su queste parole che tracciano la vita di Gabriella ci potrà forse aiutare a cogliere il messaggio della sua vita e della sua offerta, anche se solo il Signore conosce il perché di una storia e resta il misterioso artefice del suo compimento e del suo significato. Il suo cammino di conversione " ... un temperamento asprigno" la definisce sua madre; ostinato, tendenzialmente indomito e ribelle, critico e contestatore, le cui impennate affiorano anche durante il noviziato, anche se seguite da un'immediata e quasi ostinata riparazione ( il famoso mea culpa ). Su questo temperamento si iscrive come linea costante quella dinamica di conversione che possiamo cogliere fin dagli albori dell'adolescenza dorgalese. Nelle testimonianze dorgalesi., Gabriella appare come una ragazzina ben dotata di difetti. Alcune testimonianze sono assai dure: " quando si metteva in testa di fare una cosa, non cedeva finché non riusciva a farla o a ottenerla.... Non era cattiva, ma voleva sempre vincere lei… era capricciosa, irascibile e imprecava anche lei.”. In questo profilo veramente “ asprigno“ compaiono tenui elementi significativi di un cammino che in lei opera lo Spirito Santo che mai tradisce l'uomo. Al cuore della ribellione di "Maù " ecco allora affiorare: " " un sorprendente senso dell'obbedienza, sia pur dentro apparenze contraddittorie: " Obbediva brontolando, ma era docile...; diceva di no e tuttavia andava subito...; era testarda e riottosa, ma obbediente... " Una dimensione precocemente adulta del “dovere”:, “ Era una scolara diligente... Studiò sempre... A scuola era una delle prime e aiutava anche le compagne ... È sempre stata promossa…”, ma attendeva anche ai lavori in famiglia con uguale impegno e “ andava anche in campagna a raccogliere il lino e a portare la frutta”, faceva anche il bucato, persino quando, durante l'inverno, bisognava spezzare il ghiaccio per trovare l'acqua gelida in cui lavare... Cose normali nella vita del contesto culturale di allora, e tuttavia, su quella ragazzina ostinata e caparbia, sia la mamma che la maestra possono contare: non mancherà al suo dovere. Un'assenza di vanità e pettegolezzo, rara nell'ambito del piccolo paese. E tuttavia di Gabriella si dice: " non era vanitosa e non si interessava dei fatti altrui" "; anzi, rivela come una ripugnanza a farsi vedere in pubblico e ad essere notata: "preferiva rimanere con gli abiti usuali anche nei giorni di festa-dice un'amica e soggiunge- era per fare compagnia a me, che non avevo il costume sardo: insieme passavamo sempre per la porta secondaria della Chiesa per non farci notare... “. Appare così in una Gabriella ancora bambina questo solco di grazia che scava nella volontà caparbia e traccia sentieri di obbedienza, di impegno, di riserbo. In un temperamento che diremmo scolpito con l’accetta, già Dio opera la potatura dell'obbedienza che fruttifica in un senso serio e totalitario dell'esistenza prestissimo concepita come un " dovere" ; già il naturale riserbo diviene modestia, desiderio di non essere notata: poco a poco, sotto la mano sapiente dello Spirito, diverrà quel senso profondo della propria indegnità e piccolezza che ci affascinerà incontrando la semplicissima umiltà della giovane Trappista. Restano, in questa adolescenza vivace, tutto il gusto delle allegre tombolate, delle giocate a carte, la passione per i romanzi d'amore da cui è difficile staccarsi per obbedire alla mamma o andare ai Vespri... Resta una gran voglia di vivere. Fra i 17 e i 18 anni avviene in Gabriella uno scatto di qualità, ma, come sempre avviene, nessun fatto evolutivo delle persone si improvvisa. Già fra i 3 e i 7 anni Gabriella aveva sperimentato il senso tragico e doloroso della vita attraverso la morte: cinque morti in pochi anni. I due nonni, il papà, due fratelli piccoli, Bartolomeo e Antonio, di meno di un anno di vita... Più tardi, nel 32, muore Giannantonia, la sorella che le quasi coetanea, giacché è di soli due anni minore di Gabriella. Quando Giannantonia muore, Gabriella ha già quasi 16 anni e questa morte viene a spezzare i legami ormai profondi di affetto, di affinità, di lunga convivenza. La malattia, la povertà, la morte: esperienze estremamente precoci che solcano l'adolescenza di Gabriella con una dimensione dolorosa e ineluttabile, come mistero insondabile dei disegni di Dio sulla vita dell'uomo, come spessore di assoluto che incombe sulla fragilità dell'esistenza umana... Non possono non aver segnato profondamente questa giovinezza ostinata e intensa: " non era un tipo che si abbattessediranno di lei-le sue difficoltà le superava con animo paziente e consapevole”. E tuttavia non sono state solamente le prove della vita che hanno segnato la trasformazione resasi palese in Gabriella diciottenne. Alcune testimonianze precise: " dopo i 13 anni non ebbe più scatti d'ira... "; "... Alla domenica non giocava più a carte o a tombola perché andava a fare il catechismo... " Cresce lo spirito di preghiera: "... Dopo i 18 anni frequentava i sacramenti ogni giorno... "; "... Dopo i 18 anni cominciò a fare la meditazione e faceva l'adorazione mensile diurna e notturna..."; " si vedeva andare in chiesa proprio per pregare... "; "... Verso i 18 anni cambiò decisamente e si distinse per il suo spirito di preghiera...” Cresce la carità, che è frutto della preghiera: "... Ricordo la pazienza e la costanza nell'assistere una donna del vicinato, poi morta di cancro... “; "... Andava a trovare con frequenza un'ammalata, commiserandola per la sua vita giovanile poco onesta... "; “... Preferiva rimanere vestita con gli abiti usuali per fare compagnia a me che non avevo il costume... “. Una carità discreta, senza apparenze: quando andava ad aiutare una vicina, appena finiti i mestieri, la sua frase consueta era: “ora me ne vado" , anche se la pregavano di trattenersi. Aveva finito.... scompariva. Cresce in lei una nuova sensibilità ecclesiale ed apostolica: "... Si iscrive all'Azione Cattolica... " lei che non aveva voluto iscriversi fra lei Aspiranti, perché" .. L'Azione Cattolica è una cosa seria e bisogna rispettarla: se ci si iscrive, bisogna mettere in pratica i doveri! “ Infatti ".. Quando si iscrisse, di sua iniziativa, divenne così assidua che dovetti più volte richiamarla perché non si ricordava di rientrare in casa...” Cresce soprattutto in Gabriella l'ascolto interiore. Di lei Don Meloni dirà: " si lasciò guidare!”. Un abbandono semplice, lineare, deciso: " Don Meloni non vuole-dichiarava-e bisogna obbedire”. Senza introspezioni e ritorsioni- " bisogna" -netto e volitivo come la punta di un diamante. Così quando liberamente e fortemente sceglierà a vocazione religiosa sarà normale per lei dire: " mi mandi dove vuole! ". Che era dunque avvenuto in Gabriella? Solo il mistero e il miracolo della grazia sempre operante nel credente, solo l'azione dello Spirito che sempre muove il cuore dell'uomo verso l'incontro col Divino, sempre il fiorire della conversione nel solco buono della terra che si lascia arare da Dio. Così poco a poco nel tenue filone dell'obbedienza infantile riottosa ma già persistente, fiorisce la radicalità di un assoluto che si consegna totalmente alla volontà di Dio: su un riserbo acerbo e scontroso di una bimba ostinata fiorisce una luminosa tensione verso una verginità consapevole e una scelta di appartenenza al Signore; l'impegno infantile che ne faceva una scolaretta studiosa e il senno della ragazzina che ben presto si assumeva tanta parte del lavoro di casa e dei campi, sia allarga ora a gesti di carità più vasta, sia allarga al sacrificio di sè, a gesti di impegno ecclesiale quali l'Azione Cattolica, il catechismo parrocchiale, l'aiuto in chiesa... Il temperamento si addolcisce, scompaiono poco a poco gli scatti d'ira, le battute aspre e ribelli, si impone il profilo di una giovanissima donna pensosa ed austera, dolce e riservata, che sa fare le sue scelte e le vuol vivere, che prega come “ascoltando Qualcuno “. Gli elementi della conversione, che saranno la caratteristica dominante della breve esistenza claustrale di Gabriella, sono già tutti contenuti nel rapido crescere dell'adolescenza verso la giovinezza. Nel monastero Ritroviamo in Gabriella gli stessi elementi temperamentali tipici della bambina e dell'adolescente dorgalese, e gli stessi elementi del processo di conversione iniziato alle soglie della giovinezza. Il processo della conversione appartiene allo stesso processo evolutivo dell'esistenza: solo chi ha iniziato un vero cammino di conversione si accorge che più passa il tempo più si scopre agli inizi di una reale trasfigurazione interiore; più passa il tempo più ci si accorge di aver bisogno di sostegno, di correzione, di lasciarsi interrogare dalla vita; più si cammina dentro la conversione e più si diventa sanamente diffidenti di noi e ricettivi di un'evoluzione costantemente da compiere, da vivere come se fosse nuova ogni giorno e ogni giorno da ricominciare. Poichè la conversione appartiene alla legge della crescita umana ed è come il respiro della Santità . Chi non vive dentro un processo umile e fecondo di continua conversione non accetta come maestra la vita e si appoggia sullo stimolo chiuso del suo criterio e della sua giustificazione, in definitiva del suo orgoglio; quel tragico meccanismo di morte in cui i fatti, gli incontri, le gioie e i dolori della vita non sono più crescita, non sono più vita, ma minaccia, incubo, sterile vuoto. Gabriella sa di essere entrata in monastero con tutto il bagaglio delle sue intemperanze giovanili, con gli sprazzi ancora vivi della sua cocciutaggine infantile e dei suoi scatti d'ira; sa di essere entrata con la sua vecchia voglia di prevalere, di dominare gli altri e di non lasciarsi mettere i piedi in testa da nessuno... È ancora lei... Se deve aspettare con pazienza alla porta dei superiori se ne va stizzita; se le fanno un'osservazione, si indispettisce: "... Non tocca a lei farmi questa osservazione: mangio quello che voglio io! " Come da una matassa aggrovigliata si dipana lentamente in lei una coscienza lucida del male che la travaglia e matura un ulteriore passaggio che appare caratterizzato dagli elementi semplicissimi dell’ ascesi monastica, soprattutto l'accettazione della correzione. Le testimonianze ne riportano un’eco ricorrente: "... Ha dominato il suo carattere, si è molto corretta...”. Nulla di particolarmente eroico in Gabriella, ma il segno preciso di un cammino che non avrà ritorni: si corregge, si apre alla correzione. L'espressione esteriore di questa tenace volontà di correzione affiora nitida da quell'antica pratica dell’ ascesi monastica, forse ormai caduta in disuso, ma così piena di quella saggezza forte che viene dall'umile ascolto: " non si scusava mai.. . si metteva in ginocchio e si batteva il petto..., si riconosceva sempre colpevole anche quando si trattava di un'osservazione generale..., era pronta a ricevere il suo rimprovero e taceva... " E se talvolta la natura si ribellava, allora taceva ancora ma “... Si tratteneva e scappava via..., magari diventava tutta rossa, ma dominava le sue reazioni e preferiva allontanarsi... " . Bisogna sinceramente riconoscere che questo tipo di comportamento è diventato ormai raro nella nostra vita. Il tipo di esaltazione della persona e dei suoi diritti, in cui la cultura moderna ci ha immersi, ci rende normalmente reattivi e ribelli di fronte ad un'osservazione anche giusta. Tutti i conflitti della nostra sensibilità, della permalosità e della vanagloria, sotto l'etichetta della sovrana libertà della persona, scattano ancora prima della riflessione: la giustificazione, la difesa e, di conseguenza, l'accusa degli altri... Tutti i meccanismi dell'orgoglio fino alla vigliaccheria, alla menzogna, alla ribellione. Di fronte ad un'osservazione la nostra battuta è quasi sempre la stessa: “ Eh si, hai ragione, ma vedi...” raramente rispondiamo: " Si, hai ragione... Come potrei cambiare? " E’ come venuta meno la saggezza di quell'antico mea culpa, di quel silenzio impastato di un'umiltà e di ascesi che rendeva percettivi anche gli strati più riposti della coscienza e rendeva vigili a cogliere nuove possibilità di conversione, appelli sempre più radicali di Dio. Non è in discussione il valore di un'obbedienza dialogata, ma va sottolineato il valore incontestabile di quei diaframmi di silenzio e di umiltà che difendevano la persona dall'istintività e amplificavano dentro di lei spazi di ascolto e di interiorizzazione, oggi troppo rapidamente bruciati da una dialettica inconsistente e parolaia. Una citazione del Decreto sull'Ecumenismo, paragrafo 7, è particolarmente significativa in proposito: " Ecumenismo vero non c'è senza interiore conversione; poiché il desiderio dell'unità nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall'abnegazione di se stesso e dal pieno esercizio della carità. Perciò dobbiamo implorare dallo Spirito Divino la grazia di una sincera abnegazione, dell'umiltà e mansuetudine nel servire e della fraterna generosità di animo verso gli altri... Anche delle colpe contro l'unità vale la testimonianza di San Giovanni: " Se diciamo di non aver peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi" ( 1 Giovanni 1,10 ). Perciò con umile preghiera chiediamo perdono a Dio e ai fratelli...”. In questo decreto del Vaticano II troviamo quasi la spiegazione teologica e l'humus dottrinale profondo di quel piccolo, quasi ostinato, mea culpa quotidiano in cui affonda la vocazione ecumenica di Gabriella e-perché no ?-la stessa vocazione della povera Trappa di Grottaferrata, nella quale sovrabbondavano certamente limiti e difetti, ma dove germinava anche una coscienza semplicissima della propria povertà, povertà storica, povertà di mezzi economici, povertà culturale, povertà morale... Una povertà evidente e tangibile che, ancora oggi, a distanza di mezzo secolo, ritroviamo nel volto più interiore ed autentico dell'attuale comunità... Una povertà che era solo da accettare, da respirare nella pazienza dei giorni per lasciarsene lavare il cuore. Oggi anche di fronte al mistero vocazionale ha preso spazio quella mentalità critica, analitica e spesso materialistica e calcolatrice, che valuta, compara e verifica, prima di assumere. Non è un male, certamente, soprattutto se serve a farci entrare con più totalità nella verità di una vocazione. Ma ai tempi di Gabriella ci si tuffava in ciò che si trovava, a corpo morto, senza ritorni, nel mare della santa volontà di Dio e... chi sa, forse si toccava più rapidamente il fondo di un autentico abbandono e si balzava rapidamente oltre il retaggio delle mille angosce e paure dell'analisi psicologica. Che cosa dunque fiorisce in questo piccolo cuore di Gabriella che si apre ad un permanente " stato di amore" ? Poche cose, piccole cose che, forse, proprio per la loro piccolezza diventano infinite: È un piccolo cuore che serve: faceva volentieri qualunque lavoro... Si offriva per i lavori più faticosi... Se sapeva di lavori trascurati dalle sorelle cercava di completarli senza dir nulla a nessuno... Volentieri... Offrendosi... Senza dir nulla... Troviamo qui gli stessi elementi che caratterizzeranno la sua offerta della vita. Ancora una volta percepiamo che i grandi gesti non si improvvisano mai! È un piccolo cuore umile: nulla di sentimentale in questo umiltà, solo fatti sobri, scarni, concretissimi. Gabriella si riconosce colpevole davanti a qualsiasi osservazione... Desidera scomparire, non essere notata, non attirare l'attenzione... Desidera vivere il suo dovere, e considera tale anche i servizi più faticosi ed umili. Nulla di eroico in ciò, semplicemente il “ suo dovere" . Fa fatica ad accettare la responsabilità di dirigere il lavoro della legatoria, non perché si sente inadeguata al lavoro, ma perché teme di dover comandare qualcosa alle sorelle. Vive il dono del sorriso: che ha soprattutto il sapore della pace e della pazienza. Il sorriso fiorisce raramente sul suo piccolo volto serio ma lo illumina di chiarezza interiore molto vivida. La luminosità della pazienza che trasfigura di dolcezza anche i gesti più semplici della vita. È un piccolo cuore fedele: soprattutto per i superiori Gabriella ha una vera devozione. E la controprova di questa fedeltà è di una consequenzialità sorprendente:... Non ho mai ricercato appoggi fuori del monastero... Sembra un fatto ovvio, eppure chi ha fatto esperienza di quale nudità comporti la vita comune all'interno del monastero, sa quanta fede ci voglia per accontentarsi con cuore puro e fedele di ciò che si trova all'interno del monastero; cosa vuol dire accontentarsi dei superiori che trovi, delle sorelle che trovi, del confessore che trovi, degli strumenti che ti sono dati: è la fede pura e spoglia del cuore che cerca Dio solo. Testimonianze... colte dalle deposizioni ai processi, così spoglie di ogni retorica ed esaltazione vana che possono sottolineare solo un'autentica santità. L'avvenimento che determina la consumazione della vita di Gabriella si inserisce silenziosamente nel quotidiano, col sigillo di ciò che è così ordinario da apparire quasi banale. Anche espressioni che oggi ci sembrano di estrema risonanza: " non c'è felicità più grande di quella di poter soffrire qualcosa per amore di Gesù e per la salvezza delle anime" ( lettera dall'ospedale), allora entrano nella vita di Gabriella come il respiro semplice del quotidiano. Del suo gesto di offerta -sarebbe meglio chiamarlo il suo atto di fede- nessuno, tranne la Madre, sa nulla e, del resto, Gabriella ne parlerà sempre pochissimo. Una ventina di giorni dopo l'offerta qualcuno si accorgerà della tosse persistente, dell'inspiegabile spossatezza in questa giovanissima suora, appena ventitreenne. Gabriella tace... Anche di quei lunghi 15 mesi di calvario, che comporteranno gesti di obbedienza pesanti per lei che li viveva in prima persona-anche se taluni ci possono far solo sorridere, come l'obbedienza di far merenda a metà mattina, o la passeggiata-, soprattutto i soggiorni in ospedale, da Gabriella non sapremo molto. Quel pochissimo che lei manifesterà è una scuola lucida e assoluta per chi vuol capire. Gabriella è davvero un piccolo cuore silenzioso, così come possiamo dire che è un piccolo cuore solitario e distaccato. Una testimonianza è rivelatrice: " io non so dire che cosa piacesse di più a questa suora, né cosa le costasse di più... Non esigeva nulla... Non si è mai lamentata di nulla, anzi più soffriva e più cercava di sorridere... Non racconta i suoi guai a nessuno " Segue scrupolosamente le indicazioni di vigilanza che le sono state date per evitare il contagio... Non entra più in noviziato... Non entra più nella stanza della Superiora.... Una sola volta entra con un permesso particolare nella stanza del noviziato ed è per distruggere i suoi scritti... per non lasciare nulla dietro di sé... Si preoccupa di non usare mai l'abito di lana bianca, che è buono e può servire ad altre... A lei basta l'abito del lavoro e chiederà esplicitamente di essere sepolta con cose vecchie e usate... E in questo quotidiano eccola scivolare via rapida col secchio pesante dell'acqua e la scopa, quando s'accorge che nessuno la vede e non scorge la fatica che fa... Cose da nulla, totalmente insignificanti, eppure quando un malessere fisico ci prende, quando la stanchezza ci prostra, come abbiamo tutte bisogno di essere prese in considerazione e quale amarezza, quale ferita per la sensibilità quando ci sentiamo trascurate, poco ascoltate e non riceviamo quelle cure mediche di cui pensiamo aver bisogno. È normale per tutti e certamente Gabriella non sarà stata diversa da noi, eppure... " io non so dire che cosa piacesse di più a questa suora... ", nessuno ricorda che abbia mai detto: mi va o non mi va. È la grazia che trionfa dell’ istintività, è l'abbandono tranquillo al Signore che canalizza la sensibilità e il desiderio verso altre sponde che non l'appagamento immediato e pretenzioso dell’ io. È un piccolo cuore obbediente: in Gabriella l'obbedienza è senza ritorni, di una totalità sconcertante. Voleva solo ubbidire, diranno di lei. " ha seguitato a fare la passeggiata ordinatale dalla madre Badessa fino a quando la si è vista barcollare sotto lo sforzo e le fu chiesto di non andare più...; faceva sempre la sua lettura, anche quando la febbre appesantiva la testa...; non la si è vista più entrare in noviziato, né nella stanza della madre Badessa... Non toccava più un libro di comunità... Condivideva la stanza dell'infermeria con una sorella che aveva bisogni di aerazione diversi dai suoni; così si cercava di rimediare tenendo mezza finestra aperta e mezza chiusa per accontentare ambedue, col risultato di mettere probabilmente in grave disagio ambedue le inferme...“Ma si obbediva, e il disagio diventava abbandono semplice e forza di pace. Infatti Gabriella diventa: Un piccolo cuore abitato dalla pace: " Questa malattia è la mia ricchezza …” Come è buono il Signore” è la sua continua esclamazione. " Persuasissima di dover morire non pensava che all'incontro col suo Dio...; sto bene-rispondeva a tutti-, contenta di fare quello che vuole il Signore”. Una pace che ha radici di sangue come lo dimostra una lettera dall'Ospedale: " Quando sono arrivata al letto che mi era stato assegnato, alzando la testa, ho veduto di fronte a me è un grande crocifisso... Il mio Gesù era nudo... Si trattava di lasciare la veste monastica come esigeva la disciplina ospedaliera... Si trattava di vivere in camerate comuni, esposta agli sguardi di tutte... Il mio Gesù era nudo... " e la pace si fa profonda nel cuore. "Quando penso al mio monastero e specialmente di notte, le lacrime mi scendono giù dagli occhi e non posso dire altro che queste parole: mio Dio alla tua Gloria! " Ecco dove affondano le radici della “ pace” di Gabriella: un Cristo in croce, nudo, vinto, immolato, consumato... “... Il mio sacrificio è niente di fronte al suo" . " Mio Dio la tua Gloria!” Circa 30 anni dopo la morte di Gabriella, il Concilio Vaticano II, evocando il disegno universale della salvezza, proclamerà: " L’Eterno Padre... decise di elevare gli uomini alla partecipazione alla vita divina, e, caduti in Adamo, non li abbandonò... Tutti gli uomini sono chiamati a questa unione con Cristo che è la luce del mondo; da lui veniamo, per lui viviamo, a lui siamo diretti... " (LG23 ) " Seguendo l'esempio di Cristo, fatti conformi alla sua immagine, in tutto obbedienti alla volontà del Padre con piena generosità si consacrano alla gloria di Dio... “ (LG40). Il linguaggio di Gabriella, in piena sintonia ecclesiale, sembra anticipare quello del Vaticano II Vastità dei cuori poveri, dei poveri di Jahvè…....