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Modulo 25: Una finestra sulla macroeconomia
25. 1. Caratteri fondamentali
Già nel Modulo 2 avevamo provveduto a fornire una definizione di macroeconomia
affermando che essa guarda al comportamento dell’economia nel suo insieme, in particolare
le dinamiche che interessano talune grandezze aggregate come la produzione totale di tutti i
beni e servizi e la variazione del livello generale dei prezzi, che prende il nome di inflazione.
Allora non avevamo la benché minima idea di dove ci avrebbe condotto lo studio e gli
strumenti di cui disponevamo erano estremamente poveri. Da questa lezione fino alla
conclusione del corso ci accingeremo a studiare gli argomenti che costituiscono il fondamento
della macroeconomia. Alla luce di ciò, la definizione che avevamo dato ci sembrerà
estremamente sintetica e riduttiva.
La scienza macroeconomia inizia a compiere i suoi primi passi attorno agli anni Trenta,
soprattutto attraverso il prezioso contributo fornito dagli studi attraverso i quali l’economista
britannico Keynes cercò di dare una spiegazione alla catastrofe della Grande Depressione.1 Da
allora le priorità nella scelte di politica economica sono cambiate, ma in tutte le economie di
mercato, possono distinguersi in linea generale alcuni obiettivi fondamentali che informano
ancora le principali questioni macroeconomiche.
1. Perché a volte la produzione e l’occupazione diminuiscono e come si può ridurre la
disoccupazione? Tutte le economie di mercato presentano fasi alterne di espansione e
contrazione che prendono il nome di cicli economici. Durante le fasi di contrazione del
ciclo, la produzione di beni e servizi diminuisce e milioni di persone perdono il lavoro.
Per una buona parte del periodo post-bellico, un obiettivo chiave della politica
macroeconomica è stato l’uso della politica fiscale e monetaria per ridurre la gravità
delle fasi di contrazione e la disoccupazione. Inoltre, a volte i paesi attraversano periodi
di elevata disoccupazione che persistono anche quando le loro economie sono in
espansione. All’inizio degli anni Novanta, nei maggiori paesi europei, una percentuale
che si aggirava intorno al 5-10% dei lavoratori risultava disoccupata da oltre un anno;
la macroeconomia esamina le fonti di tale persistente e dolorosa disoccupazione. Una
volta analizzate tutte le possibili diagnosi, l’economia può anche suggerire eventuali
rimedi, che possono andare, in questo caso, dalla riforma delle istituzioni del mercato
del lavoro, mediante la riduzione dei vincoli che scoraggiano le assunzioni o l’aumento
John Maynard Keynes (Cambridge 1883 – Tilton 1946) è tra i padri fondatori della moderna macroeconomia
tanto che spesso si fa riferimento al suo contributo come alla “rivoluzione keynesiana”. L’opera in cui sono
presenti i fondamenti del suo pensiero è The general theory of employment, interest and money (Teoria generale
dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, meglio nota come “Teoria generale”, datata 1936).
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della flessibilità dei salari: la vita e le sorti di milioni di persone dipendono dalla
capacità dei macroeconomisti di trovare le risposte giuste a queste domande;
2. Qual è l’origine dell’inflazione e come si può tenerla sotto controllo? Fornendo una
definizione poco tecnica, ma sostanzialmente esatta, l’inflazione è il tasso di variazione
di un indicatore del livello generale dei prezzi. Gli economisti hanno scoperto che gli
alti tassi di inflazione hanno un effetto corrosivo sulle economie di mercato,
nell’ambito delle quali i prezzi sono una misura dei valori economici e guidano le
scelte che i vari operatori quotidianamente assumono. Quando i prezzi aumentano
rapidamente, tale criterio subisce una distorsione: i cittadini sono disorientati,
commettono errori di valutazione e trascorrono molto tempo preoccupandosi
dell’inflazione che erode i loro redditi. Questa semplice constatazione è uno degli
esempi che spiegano come rapide variazioni dei prezzi portano all’inefficienza
economica. Di conseguenza la politica macroeconomica ha posto sempre più l’accento
sulla stabilità dei prezzi come obiettivo prioritario. In Italia, ad esempio, il tasso di
inflazione è sceso da oltre il 15% annuo alla fine degli anni Settanta, fino a meno del
5% annuo nei primi degli anni Novanta. Attualmente, l’inflazione ha subito una
attenuazione per via degli effetti della crisi economica, anche se nei primi mesi del
2009 è tornato ad aumentare leggermente, anche per effetto della timida ripresa. 2 Non
tutti i paesi hanno avuto uguale successo nella stabilizzazione del livello dei prezzi: in
alcuni paesi ex socialisti, come Russia e Ucraina, si sono attraversate fasi in cui prezzi
erano soggetti ad aumenti vicini al 1000% annuo, o anche di più. Perché possiamo
affermare che l’Italia è riuscita a domare l’inflazione e questi paesi no? La
macroeconomia può suggerire quale ruolo debbano svolgere le manovre di politica
fiscale adottate dai governi e le decisioni di politica monetaria adottate da banche
centrali indipendenti per il contenimento dell’inflazione;
3. Come può una nazione controllare il proprio tasso di crescita economica? La
macroeconomia si preoccupa anche del benessere a lungo termine di un paese. Nel
lungo periodo l’aumento del potenziale produttivo di una nazione è l’elemento
fondamentale per determinare la crescita di salari reali e del tenore di vita. Negli ultimi
venticinque anni il rapido sviluppo di paesi asiatici come il Giappone, la Corea del Sud,
Taiwan, e in periodi più recenti Cina e India, ha fatto aumentare notevolmente il
reddito medio della popolazione. È importante sapere quali fattori determinino
un’effettiva crescita di lungo periodo; un grande deficit di bilancio pubblico o della
bilancia commerciale ha effetti negativi sulla crescita? Qual è il ruolo degli
investimenti in beni capitali, in ricerca e sviluppo e in capitale umano? Lo Stato
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Queste affermazioni trovano sostegno dai dati forniti da Eurostat sull’indice armonizzato dei prezzi al consumo.
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dovrebbe sostenere le industrie chiave con sovvenzioni e una politica industriale
adeguata oppure dà migliori risultati la politica del non intervento.
Un’ultima complicazione nel considerare queste tre questioni fondamentali deriva dagli
inevitabili compromessi tra i diversi obiettivi: ridurre il deficit del bilancio può esigere che si
accetti una crescita più lenta nel breve periodo; aumentare il tasso di crescita della produzione
a lungo termine può richiedere maggiori investimenti in know-how e capitale, ma tali
investimenti diminuiscono il consumo corrente di prodotti alimentari, abbigliamento e attività
ricreative.3 Tra tutti i dilemmi macroeconomici, uno dei più drammatici riguarda la scelta tra
bassa inflazione e bassa disoccupazione. L’elettorato richiede bassa disoccupazione ed elevata
produzione, ma gli alti livelli di produzione e occupazione fanno salire i prezzi e i salari:
l’inflazione tende ad aumentare nei periodi di rapida crescita economica. Per prevenire
l’inflazione galoppante i responsabili politici sono perciò obbligati a “raffreddare” l’economia
quando cresce troppo in fretta o quando la disoccupazione diventa eccessivamente bassa.
Non ci sono formule semplici per risolvere questi dilemmi e tra gli esperti di
macroeconomia vi sono grandi divergenze di opinioni sull’approccio adeguato da adottare
quando si è di fronte a complicazioni di questo tipo. Tuttavia, con solide conoscenze
macroeconomiche si può quanto meno ridurre al minimo il sacrifico che inevitabilmente si
provoca anche scegliendo la strategia migliore.
25. 2. Obiettivi e strumenti della macroeconomia
Dopo aver individuato e discusso i principali obiettivi della politica macroeconomica si
possono affrontare due questioni più concrete. Innanzitutto, come valutano gli economisti le
prestazioni globali di un’economia? In secondo luogo, quali sono gli strumenti di politica
economica con i quali si possono raggiungere tali obiettivi?
Produzione. Obiettivo ultimo dell’attività economica è produrre i beni e i servizi richiesti dai
cittadini. Cosa potrebbe essere più importante per un’economia che fornire generi alimentari,
abitazioni, scuole e attività ricreative alla popolazione? La misura più completa della
produzione totale di un’economia è il prodotto interno lordo (Pil).
Definizione 25.1: Il prodotto interno lordo (Pil) stima il valore di mercato di tutti i prodotti
finiti e dei servizi realizzati in un paese nel corso di un anno.
Samuelson e Nordhaus (1996). Letteralmente know-how significa “sapere come”, indica il complesso di abilità
teoriche e pratiche necessarie a svolgere una attività lavorativa.
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Esistono due modi distinti per misurare il prodotto interno lordo: otteniamo il Pil nominale, se
valutiamo il valore della produzione utilizzando gli effettivi prezzi di mercato )o prezzi
correnti); al contrario abbiamo il Pil reale, se calcoliamo il valore della produzione in base a
prezzi che manteniamo costanti (ad esempio prendendo a riferimento i prezzi di un anno base).
Anche se esistono diversi punti di vista critici, allo stato attuale osservare le variazioni del Pil
reale costituisce il miglior criterio di misura generalmente disponibile per stabilire il livello e
la crescita della produzione, e i dati che se ne ricavano sono utili per tenere sotto controllo in
maniera attenta l’andamento dell’economia di una nazione.
Altre considerazioni possono essere effettuate quando rivolgiamo lo sguardo al lungo
periodo. Nonostante la dinamica del Pil sia soggetta a fluttuazioni di breve periodo, che
abbiamo detto chiamarsi cicli economici, le economie avanzate presentano generalmente una
crescita costante, a lungo termine, del Pil reale e un miglioramento del tenore di vita. In
queste circostanze parliamo di crescita economica.
Definizione 25.2: Il Pil potenziale è la tendenza di lungo periodo del Pil, e rappresenta la
capacità produttiva a lungo termine dell’economia o la quantità massima che l’economia può
produrre mantenendo stabili i prezzi.
Il Pil potenziale è anche definito livello di produzione in condizioni di elevato impiego:
quando un’economia opera in base al proprio potenziale la disoccupazione è bassa e la
produzione elevata.4
Nel corso dei cicli economici il Pil effettivo si discosta dal proprio livello potenziale. Nel
1982, ad esempio, l’economia statunitense ha prodotto quasi 300 miliardi di dollari in meno
rispetto alla produzione potenziale, il che ha rappresentato una perdita di 5000 dollari per
famiglia in un solo anno. La differenza tra il Pil potenziale e quello effettivo viene definita
divario del Pil. Quando quest’ultimo è elevato significa che l’economia attraversa una fase di
contrazione e opera ben entro i limiti delle possibilità di produzione. Le contrazioni vengono
definite recessioni quando il divario è ridotto, depressioni quando il divario è elevato.
Alta occupazione/bassa disoccupazione. Il secondo obiettivo principale della politica
macroeconomica è l’alta occupazione, cui si accompagna la bassa disoccupazione.
Generalmente, i cittadini aspirano a trovare lavori stabili e ben pagati senza dover cercare o
attendere troppo a lungo. Il tasso di disoccupazione tende a variare a seconda dei cicli
economici: quando la produzione è ridotta, la domanda di manodopera diminuisce e il tasso di
disoccupazione aumenta. La disoccupazione ha raggiunto proporzioni drammatiche durante la
Grande Depressione degli anni Trenta, e anche relativamente alla attuale crisi economica, gli
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Cfr. Samuelson e Nordhaus (1996) – Cap. 21.
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esperti dicono che i paesi attraverseranno una fase di jobless recovery, ovvero una ripresa del
Pil mantenendo tuttavia un’alta disoccupazione.
Prezzi stabili. Il terzo obiettivo macroeconomico consiste nel mantenere prezzi stabili in
mercati liberi. Assicurare la libertà dei mercati è una questione complessa, che si fonda, tra
l’altro, sul presupposto che un’economia di mercato ben funzionante sia il modo più efficace
di organizzare la maggior parte delle attività economiche. Sappiamo che in un mercato libero i
prezzi sono determinati in massima parte dalla domanda e dall’offerta e i governi si astengono
dal controllare il prezzo dei singoli beni: solo consentendo alle imprese di prendere
liberamente le proprie decisioni sulla produzione e sui prezzi la società può sfruttare lo
stimolo della prospettiva di profitti ai fini dell’interesse comune. Questo obiettivo prevede in
secondo luogo che si impedisca a livello generale dei prezzi di aumentare o diminuire troppo
bruscamente, in quanto le sue rapide variazioni distorcono le decisioni economiche delle
aziende e dei singoli individui. La variazione nel livello dei prezzi è misurata mediante il
tasso di inflazione, che indica il ritmo di crescita o diminuzione del livello dei prezzi da un
anno all’altro. Si verifica una deflazione quando i prezzi diminuiscono (cioè quando il tasso di
inflazione è negativo). All’altro estremo c’è l’iperinflazione, un aumento dei prezzi
estremamente rapido, che può variare ad esempio del 1000% o addirittura dell’1000000% (un
milione per cento!) annui. In situazioni come queste, che storicamente sono accadute nella
Germania della Repubblica di Weimar negli anni Venti, nel Brasile degli anni Ottanta o nella
Russia degli anni Novanta, i prezzi non hanno praticamente più significato e il funzionamento
dell’intero sistema economico si inceppa.5
25. 3. Strumenti di politica economica
Immaginate di trovarvi al posto del presidenti degli Stai Uniti o del presidente del consiglio
italiano: la disoccupazione cresce e il Pil cala, o magari un recente, rapido aumento dei prezzi
del petrolio ha fatto impennare l’inflazione, e il valore delle importazioni sale molto più
velocemente di quello delle esportazioni. Che cosa può fare il Governo per migliorare i
risultati economici? Quali strumenti “politici” si possono utilizzare per ridurre gli effetti di
questi accadimenti?
Gli organismi predisposti ad assumere decisioni in ambito economico, dispongono di
diversi strumenti che si possono utilizzare per influire sull’attività macroeconomica. Uno
strumento di politica economica è una variabile sotto il controllo di organismi predisposti che
può influire su uno o più obiettivi macroeconomici, vale a dire che, modificando le politiche
Solo per dare un dato circa gli effetti dell’iperinflazione, nella Germania della Repubblica di Weimar circolava
la banconota da 1 milione di marchi.
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fiscali, monetarie e di altro genere, tali soggetti possono guidare l’economia verso un migliore
mix di produzione, stabilità dei prezzi e occupazione.
Politica di bilancio. Per politica di bilancio (o fiscale) si intende il complesso di modalità
attraverso le quali si sostanzia l’intervento dello Stato.
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La tassazione influisce sull’economia in due modi: innanzitutto le imposte riducono il
reddito dei cittadini lasciando ai cittadini un “reddito disponibile” per i consumi
minori. In questo modo, dunque, la tassazione tende a ridurre i consumi e quindi,
come vedremo, il livello della produzione. Le imposte, inoltre, incidono sul prezzo dei
beni e dei fattori della produzione, quindi contribuiscono ad alterare la struttura degli
incentivi condizionando i comportamenti. Se ad esempio si tassano in modo sempre
più pesante i profitti delle aziende, queste ultime sono disincentivate dall’investire in
nuovi beni capitali; se, al contrario si permette di dedurre dalle imposte parte delle
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spese per beni capitali, le imprese saranno stimolate ad aumentare gli investimenti.
Molte disposizioni delle leggi fiscali hanno un importante effetto sull’attività
economica;
La spesa pubblica, per alcuni aspetti che verranno chiariti in seguito, consiste negli
acquisti di beni e servizi effettuati dalla PA. La spesa pubblica definisce la rispettive
dimensioni del settore privato e pubblico, cioè quale parte del Pil sia consumata dalla
collettività anziché dai privati. Dal punto di vista macroeconomico, la spesa pubblica
influisce sul livello globale della spesa in una economia e quindi sul livello del Pil.
I trasferimenti pubblici comprendono i pagamenti che la PA effettua a singoli
individui che non forniscono in cambio alcun bene o servizio. Esempi di trasferimenti
sono i sussidi di disoccupazione, pensioni di anzianità invalidità e di guerra; in
definitiva il sostegno ai redditi di gruppi di cittadini che si trovano in una condizione
di svantaggio.
Politica monetaria. Il secondo grande strumento della politica macroeconomica è la politica
monetaria, che gli organi predisposti attuano gestendo la moneta, il credito e il sistema
bancario della nazione. Ma cos’è esattamente la moneta? Oggi si usano contanti e assegni
come mezzi di pagamento: la banca centrale può regolare il quantitativo di denaro
disponibile in un’economia, che chiamiamo massa monetaria. Come può una variabile
apparentemente secondaria come la massa monetaria avere un impatto così forte sull’attività
macroeconomica? Anche se questi meccanismi verranno approfonditi nella parte del corso a
ciò dedicata, iniziamo a prendere confidenza con questi argomenti osservando che attraverso
la variazione della massa monetaria, la banca centrale può influire su molte variabili; quali i
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tassi d’interesse, i corsi azionari, i prezzi delle abitazioni e i tassi di cambio: la restrizione
della massa monetaria determina tassi di interesse più elevati e investimenti ridotti, che a loro
volta provocano una riduzione del Pil e un’inflazione più bassa. Se al contrario, il paese
fronteggia una recessione, la banca centrale può aumentare la massa monetaria in circolazione
riducendo i tassi di interesse e stimolando l’economia. 6 L’esatta natura della politica
monetaria, cioè il modo in cui una banca centrale controlla la massa monetaria e i rapporti
esistenti tra moneta, produzione e inflazione, è uno degli aspetti più affascinanti e controversi
della macroeconomia.
Politiche dei redditi. Nelle analisi che seguiranno ci concentreremo soprattutto sugli
strumenti descritti. Tuttavia, per completezza, si osservi che quando l’inflazione minaccia di
diventare incontrollabile, i governi cercano disperatamente di stabilizzare i prezzi. La
manovra tradizionalmente utilizzata per rallentare l’inflazione è l’adozione di misure fiscali e
monetarie restrittive per ridurre la produzione e aumentare la disoccupazione; ma questa
strategia si rivela spesso molto costosa. Alcuni studiosi sostengono che la riduzione di pochi
punti di inflazione spesso richieda la rinuncia ad alcuni miliardi di Pil. 7 Di fronte alla
necessità di manovre così dispendiose, i governi hanno spesso optato per altre soluzioni,
aventi ad oggetto salari e prezzi, e consistenti in un controllo diretto, per i casi più gravi, o
nell’emanazione di direttive facoltative in materia, per i casi meno gravi. Queste manovre
prendono il nome di politiche dei redditi. Le politiche dei redditi sono lo strumento
macroeconomico più controverso. Molti economisti degli anni Settanta invocavano tali
misure come sistema indolore per ridurre l’inflazione, ma gli scarsi risultati, insieme alla
necessità di adottare un atteggiamento cauto circa la possibilità da parte del Governo di
intervenire sui prezzi, hanno condotto ad una generale diffidenza. Molti economisti sono ora
convinti che siano semplicemente inefficaci, altri ritengono che il loro effetto sia ben peggiore,
che interferiscano cioè con la libertà dei mercati, impediscano le variazioni relative dei prezzi
e non riescano a ridurre l’inflazione. La maggior parte dei paesi industrializzati ricorre a
queste decisioni solo in caso di vera emergenza.
25. 4. Le relazioni con l’estero
Tutte le nazioni partecipano all’economia globale e sono collegate tra loro mediante il
commercio e la finanza. I rapporti commerciali di importazione ed esportazione di beni e
servizi sono evidenti: l’Italia, ad esempio, importa macchinari dalla Germania o esporta
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Questa situazione è proprio ciò che sta accadendo in questo periodo in cui si scrive. La crisi economica
deflagrata nel settembre 2008 (ma le cui avvisaglie erano apparenti già almeno un anno prima) ha causata una
grave recessione. Per contrastare questa tendenza i tassi di interesse praticati dalle principali banche centrali del
mondo sono ai minimi storici, alcuni addirittura molto prossimi allo zero.
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Cfr. Samuelson e Nordhaus (1996).
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articoli di abbigliamento negli Stati Uniti. I rapporti finanziari si hanno ad esempio quando gli
Stati Uniti contraggono prestiti con la Cina per finanziare il proprio deficit di bilancio, o
quando negli Stati Uniti i portafogli dei fondi pensione vengono diversificati investendo in
mercati emergenti dell’Asia e dell’America Latina. 8 Gli stati controllano attentamente le
correnti di scambio con l’estero. Un indice particolarmente importante sono le esportazioni
nette, ovvero la differenza numerica tra il valore delle esportazioni e quello delle importazioni.
Un valore positivo indica che le esportazioni eccedono le importazioni. In questo caso si ha
un surplus, nel caso opposto si ha un deficit.
Mentre i legami tra le economie diventano sempre più stretti, i policy maker dedicano una
crescente attenzione alla politica economica internazionale. Il commercio internazionale non è
infatti fine a se stesso, anzi, le nazioni se ne preoccupano seriamente poiché rappresenta uno
strumento per contribuire ad accrescere il tenore di vita interno. I principali aspetti oggetto di
preoccupazione sono le politiche commerciali, i sistemi dei tassi di cambio e il coordinamento
delle proprie politiche macroeconomiche.
Politiche commerciali. Questi strumenti si sostanziano nell’adozione di dazi doganali,
contingentamenti e altre normative che limitano o favoriscono le importazioni e le
esportazioni. La maggior parte delle politiche commerciali ha scarso effetto sui risultati
macroeconomici di un paese, tuttavia talvolta, come negli Trenta, le restrizioni agli scambi
internazionali sono talmente aspre da causare gravi conseguenze.
Gestione del mercato dei cambi. Il commercio tra nazioni è inevitabilmente influenzato dal
tasso di cambio, ovvero il prezzo della valuta di un paese rispetto a quelle degli altri paesi.
Alcuni paesi o gruppi di paesi adottano sistemi differenti per regolare il sistema dei cambi che
li riguarda, in alcuni casi i cambi sono lasciati liberi di fluttuare, a seconda delle interazioni
tra domanda e offerta (come ogni altro prezzo), altri decidono di stabilire, al contrario, un
tasso di cambio fisso. Una soluzione intermedia è quella di permettere al cambio di fluttuare
ma all’interno di limiti prefissati, come è avvenuto, dieci anni prima dell’adozione dell’euro,
per i paesi europei che nel 1992 aderirono allo SME (Sistema Monetario Europeo).
Coordinamento delle politiche macroeconomiche. Questa interazione di decisioni
coinvolge generalmente le banche centrali e i leader dei paesi che vi partecipano. Le misure
fiscali e monetarie di un paese possono avere effetti anche sui paesi vicini. Dal G7 al G8, dal
G20 al G2, con una certa regolarità i rappresentati dei principali paesi industrializzati si
riuniscono in vertici internazionali per discutere e adottare misure attraverso le quali poter
Per “portafoglio” si intende un paniere di attività finanziarie (azioni, obbligazioni, altro) che rappresenta la
soluzione di investimento di una o più persone fisiche e/o giuridiche.
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centrare obiettivi comuni. In tali incontri vengono discussi una grande varietà di argomenti di
respiro macroeconomico, che vanno dal modo di affrontare le variazioni del prezzo del
petrolio e le turbolenze finanziarie internazionali, dal contrasto agli sconvolgimenti legati
all’ambiente alla soluzione di emergenze umanitarie. Questi appuntamenti ci ricordano,
periodicamente, che le economie non possono farcela da sole e che i singoli paesi devono
tenere costantemente sotto controllo l’eventuale instabilità economica che ha origine al di
fuori del limite rappresentato dai propri confini.
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