Epitaffio di Sicilo Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. L'Epitaffio di Sicilo è un documento musicale dell'antica Grecia. Esso è costituito da 12 righe di testo di cui 6 accompagnate dalla notazione alfabetica di una melodia musicale frigia, scolpite su una tavola. La sua datazione varia dal I sec. d.C. al II sec. d.C. Fu ritrovato in Anatolia nel 1883, posto sopra una tomba. Fu conservato nel museo di Smirne fino al 1922, dopodiché andò perduto durante la guerra greco-turca in Asia Minore, però ritrovato dopo, usato da una donna nel suo giardino; ora è nel Museo Nazionale di Danimarca. Sebbene ci siano pervenute musiche addirittura antecedenti, come gli Inni Delfici, questo documento è di un'importanza unica, giacché si tratta del più antico brano completo, seppur breve. Gli inni sopra citati, infatti, sono costituiti da semplici frammenti e non abbiamo abbastanza materiale da creare una ricostruzione filologica attendibile. Epigramma [modifica] La prima parte dell'epitaffio è: « ΕΙΚΩΝ Η ΛΙΘΟΣ ΕΙΜΙ · ΤΙ ΘΗΣΙ ΜΕ ΣΕΙΚΙΛΟΣ ΕΝΘΑ ΜΝΗΜΗΣ ΑΘΑΝΑΤΟΥ ΣΗΜΑ ΠΟΛΥΧΡΟΝΙΟΝ » Traslitterato in caratteri latini: « Eikon e lithos eimi; ti thesi me Seikilos entha mnemes athanatou sema polychronion » Tradotto in italiano: « Io sono la pietra, un simulacro. Sicilo mi ha posto qui come duraturo segno di un immortale precetto » Melodia e testo [modifica] In questa ricostruzione della stele funeraria si possono notare, tra le righe del testo, delle indicazioni per la melodia. In particolare, i trattini posti sopra le parole, riguardano la lunghezza delle sillabe. La ricostruzione della stele Il che, tradotto in notazione moderna, da questo risultato: La melodia dell'epitafio Di seguito, il testo dell'epitaffio in greco, la traslitterazione e la traduzione italiana: « Ὅσον ζῇς φαίνοὺ· μηδὲν ὅλως σὺ λυποὺ· πρὸς ὀλίγον ἐστὶ τὸ ζῆν. τὸ τέλος ὁ χρόνος ἀπαιτεῖ. » « Hoson zes, phainou Meden holos su lupou; Pros oligon esti to zen To telos ho chronos apaitei. » « Finché vivi, sii gioioso, non rattristarti mai oltre misura: la vita è breve e il Tempo esige il suo tributo. »