COME ERAVAMO Spigolature dal testo RAVANUSA – Il Novecento tra storia e cronaca di Gina Noto e Diego Termini Per gentile concessione degli Autori continuiamo la pubblicazione di alcuni brani del loro testo che ricostruiscono la storia della nostra realtà sociale e che portano alla luce aspetti e personaggi particolari, spesso sconosciuti alle nuove generazioni, che non debbono scomparire dalla nostra memoria perché testimonianza del cammino di crescita e di evoluzione della vita della nostra comunità. 3 RAVANUSA NEL RISORGIMENTO La famiglia Testasecca - La famiglia Curti Ravanusa vive intensamente i problemi sociali e politici del’Ottocento, sente il bisogno di garantirsi e sin dal 1820 incontriamo una Società di Mutuo Soccorso che raccoglieva artigiani e principalmente falegnami che si posero sotto la protezione di San Giuseppe. Idee liberali ed antiborboniche sono presenti in paese come dimostrano gli appunti inediti del ten. Calogero Testasecca (1909) che ricorda l'attività politica dell'arciprete Pompeo Corso uomo di idee liberali favorevole alla Repubblica Partenopea e per questo perseguitato ed imprigionato. Non è facile ricostruire il mosaico di un secolo tanto ricco di avvenimenti della storia del nostro paese strettamente legata al Risorgimento italiano perché povero di documenti, ma alcune tessere faticosamente ritrovate ci danno conferma del grande travaglio che maturava in una sparuta minoranza della borghesia intellettuale. É opportuno ricordare come il ceto borghese intellettuale ravanusano abbia contribuito a risvegliare l’ambiente e a seminare nei cuori dei contadini il senso della giustizia, dando un contributo alla causa dell’unità. La famiglia Testasecca Una delle famiglie che si distinse per questi ideali fu quella del dott. Angelo Testasecca, figlio di Giovanni, pure medico. Angelo nacque a Canicattì, intorno al 1750 e nel 1790 sposa Agata Corso, sorella dell’arciprete Pompeo Corso e si stabilisce a Ravanusa. Di idee liberali la vita del dott. Angelo non è facile. Controllato e costantemente perseguitato dalla polizia borbonica sarà arrestato perché sobillatore delle rivolte del 1812 e del 1821. I figli di Angelo crescono con gli ideali maturati in famiglia; infatti il 1848 vede protagonisti il dottor Gioachino Testasecca figlio di Angelo ed il barone Giovanni Sillitti Aronica. I due arrestati dalla polizia vengono condannati a morte dal Consiglio di guerra radunato a Ravanusa con l’accusa “di avere fucilato in effigie il ritratto dei reali Borboni”. Fu un periodo difficile per costoro che furono liberati grazie all’amicizia delle loro famiglie con il generale Cronio. Il barone Giovanni Sillitti Aronica fu sindaco di Ravanusa dal 1843 al 1846, il dott. Gioachino Testasecca lo fu dopo l’unità, dal 1861 al 1863. Lo spirito di libertà continua a serpeggiare negli anni successivi e nel 1859 si giunge a nuovi arresti e anche questa volta ne è coinvolta la famiglia Testasecca. Il figlio del dott. Gioachino, Giovanni, laureando in medicina, viene arrestato a Palermo per avere, durante una rivolta universitaria, bruciato un’enciclica papale che ricordava al popolo le benemerenze della dinastia borbonica. Coinvolti anche i fratelli Giuseppe e Calogero i tre vengono allontanati dall’ambiente universitario e “rimpatriati a Ravanusa”. Successivamente i tre fratelli Testasecca ritorneranno a Palermo, protetti dall’allora presidente del tribunale Nicastro e parteciperanno alle imprese garibaldine. Giuseppe, seguì il generale Garibaldi come cappellano militare del I° Reggimento Cacciatori, 18^ divisione, sino alla conquista del Regno di Napoli. Lo stesso fecero i fratelli Giovanni e Calogero. Il primo rimase nell’esercito e partecipò alla battaglia navale di Lissa in qualità di capitano medico sulla nave comandata dall’ammiraglio Vacca; dopo la guerra si trasferì in Uruguay, a Montevideo, dove tenne la cattedra di patologia chirurgica in quella università. Il secondo prese parte alla Campagna d’Africa del 1895-96 col grado di sottotenente contabile. In età avanzata scrisse le memorie di famiglia da cui abbiamo attinto questi dati. La famiglia Curti Anche la famiglia Curti diffonde in paese le idee liberali antiborboniche. Profondamente cattolici i Curti aprirono un asilo nelle loro campagne per i figli dei contadini, anticipavano le sementi e soccorrevano chi aveva bisogno. Don Calogero Curti, arciprete dal 1856 al 1888 fu protagonista del movimento liberale democratico. Nel 1848 sedette nel Parlamento di Palermo e come rappresentante del Comune firmò la decadenza di Ferdinando di Borbone. Autore di articoli liberali, presidente del Consiglio civico, ogni sera, dopo il lavoro, riuniva i contadini per istruirli ai valori della libertà e alla cognizione dello stato di diritto. Uomo dotto e generoso per oltre un ventennio diede il meglio di sé per il miglioramento socio-culturale di Arciprete Calogero Curti Ravanusa. Intanto giungevano in paese anche le idee anarchiche e mazziniane, portate da quel bisogno di libertà che trovava interessati tutti coloro che pur oberati dal peso del lavoro e dalla necessità di sopravvivere non assopivano le loro intelligenze, anzi le stimolavano facendo sognare un avvenire migliore per i loro figli, sacrificandosi per farli studiare, inviandoli a Palermo o a Napoli dove frequentavano l’Università. Il contatto con tali ambienti ed in opposizione al movimento liberale e cattolico, costoro diffondevano nel nostro paese le idee mazziniane e garibaldine. A ciò si aggiunse la propaganda capillare fatta in Sicilia da Michele Bakunin, un anarchico russo che dopo i moti del ‘48 a Praga, a Parigi e a Dresda fu arrestato dalla autorità sassoni che lo consegnarono ai russi. Internato in Siberia riuscì a fuggire e giunto in Italia venne a contatto con gli ambienti mazziniani ed allacciò rapporti con l’estremismo militante. Bakunin diede un valido contributo alla organizzazione della Lega Internazionale del lavoratori da cui Mazzini, contrario alle tesi anarchiche ed al materialismo marxista, prese le distanze. Tra il 1870 ed il 1874 il movimento anarchico ebbe ampia diffusione in Campania ed in Sicilia. Napoli divenne il centro propulsore e organo del gruppo fu il periodico L’Uguaglianza, diretto da un ex prete, Michelangelo Statuti. Sezioni furono aperte anche a Sciacca e Girgenti per impegno di Saverio Friscia, capo degli Internazionalisti di Sicilia e dell'avv. Gaetano Riggio che anima in provincia il Movimento Socialista Internazionale. Alcuni giovani intellettuali di Ravanusa, venuti a contatto con le idee anarchiche aprirono in paese non una sezione ma una società di ben 62 persone, dedicata a Garibaldi, diretta dal barone Francesco Aronica Bordonaro e sostenuta dal sindaco Giovanni Sillitti. Costoro erano di idee aperte alle nuove istanze sociali e contrari al movimento cattolico operante in quel periodo per opera del Curti. La fondazione della Società Garibaldi trovò terreno fertile perché la Chiesa agrigentina aveva avuto un periodo di crisi per la vacanza vescovile di ben 12 anni, dal 1860 al 1872, dovuta all’anticlericalismo diffusosi dopo l’unità d’Italia. Infatti ai vescovi che non prestavano giuramento al nuovo governo, considerato aggressore di Roma, le autorità civili non concedevano il nulla osta. Il clima di attrito tra Chiesa e Stato, fagocitato dall’incameramento dei beni della chiesa, facilitò la diffusione delle idee anarchiche. Il malcontento a Ravanusa crebbe quando i feudi di Furiana, Borginissimo e Drasi, incamerati dallo Stato per essere venduti ai contadini, finirono per impinguare i ricchi signorotti e qualche burgisi. La selva del Convento fu acquistata da un burgisi, Salvatore Di Leo e il convento tolto ai frati divenne Municipio e prigione. Gli anticlericali sobillavano la folla di presunti accordi tra clero e signorotti. Il vescovo Domenico Turano Nel 1872 la sede vescovile viene occupata da mons. Domenico Turano che cercò di arginare i danni dell’anticlericalismo. Venne a Ravanusa dove trovò la Società Garibaldi. All’ingiunzione del vescovo, sostenuta dalla missione del gesuita Vincenzo Basile, i Ravanusani sostanzialmente cattolici che cercavano un sostegno ed un aiuto alle loro disgrazie più che l’ideologia mazziniana e bakuniniana, fecero marcia indietro. In contrapposizione venne costituita la Società Cattolica Pio IX, sotto la protezione di San Giuseppe e molti della Garibaldi passarono a quest’ultima. Promotori furono il vicario foraneo sac. Carmelo Marino, il sac. Felice Lo Presti ed i fratelli Giuseppe ed Angelo Paternò. Lo statuto fu approvato il 24 luglio del 1874 causando la gelosia dei soci della Garibaldi. Il 15 agosto dello stesso anno, giorno di gran festa per il paese, scoppiò una rissa tra i soci della Garibaldi e quelli della San Giuseppe che richiese l’intervento delle forze dell’ordine. Le numerose lettere anonime contrarie alla San Giuseppe giunte alle autorità politiche e le relazioni contrarie del sindaco Giovanni Sillitti e dei carabinieri portarono la Società San Giuseppe e restringere la propria attività anche se resterà operante sino al 1902 sotto la presidenza di Nazareno Sciascia e Giovanni Palumbo. Il vescovo Gaetano Blandini L'opera iniziata da mons. Turano viene continuata dal suo successore mons. Gaetano Blandini divenuto vescovo nel 1885. Conoscitore della diocesi perché ausiliare del suo predecessore, uomo di gran cuore e di vasti orizzonti, consapevole della grave situazione economica e sociale della diocesi si preoccupa di instaurare un nuovo rapporto con il popolo. Partecipe del movimento per il rinnovamento della chiesa condivide il programma dell'Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici e nel 1890 istituisce il Comitato Diocesano e dà il via ai Comitati parrocchiali. Sollecita il clero alla partecipazione alla vita sociale servendosi del giornale da lui fondato, Il Cittadino cattolico. Intraprende una serie di iniziative che vanno dagli oratori festivi alle scuole di formazione religiosa, alla fondazione delle Casse rurali per sottrarre il popolo alle angherie degli usurai. La sua attività è instancabile e meritevole, si preoccupa di rinvigorire la fede e di non trascurare le necessità materiali per alleviare le sofferenze e lo squallore delle classi meno abbienti. La sua opera sociale precorre la Rerum Novarum (1891) di Leone XIII e come ebbe ad affermare mons. Scotton giunto in Sicilia per verificare se la chiesa siciliana avesse recepito le direttive dell'enciclica leonina, definiva la diocesi di Agrigento “un'isola nell'isola”. Mons. Gaetano Blandini Ravanusa fu attenta e partecipe a questo rinnovamento grazie alla presenza di un clero e di una borghesia sensibile alle necessità della popolazione; infatti il 20 settembre 1895 il barone Aronica, Angelo Vizzini, Antonino Aronica, Michele Attenasio, Luigi Vitali, Salvatore Cacciatore e Gaetano Tricoli fondano il Comitato Cattolico. (3 continua )