-1- I sistemi economici nella storia Le sfere dell’economia Qualsiasi sistema economico, di qualsiasi epoca o luogo geografico, può essere suddiviso in tre sfere: la sfera della produzione, la sfera della distribuzione e la sfera della domanda. PRODUZIONE Y=L+K+T DISTRIBUZIONE Y = W + PF + R DOMANDA Y = Cn + I + Cs SFERA DELLA PRODUZIONE Il prodotto sociale Y è il risultato della combinazione dei fattori della produzione: L = lavoro, K = capitale e T = terra, risorse naturali, energia. SFERA DELLA DISTRIBUZIONE Il prodotto sociale Y viene distribuito in forma di W = salari, come remunerazione del fattore lavoro, PF = profitti, come remunerazione del fattore capitale, R = rendite, come remunerazione del fattore terra. SFERA DELLA DOMANDA I beni e servizi prodotti dal sistema economico verranno domandati per il soddisfacimento dei bisogni della collettività. Avremo quindi una domanda di consumi necessari Cn, consumi superflui Cs e investimenti o beni strumentali necessari per produrre altri beni I. -1- -2- Il modo di produzione nelle comunità primitive L FAMIGLIA PRODUZIONE DISTRIBUZIONE Cn DOMANDA Il sistema economico nelle società primitive è molto semplice e rudimentale. Si tratta di un’economia basata sulla sussistenza e l’autoconsumo. Come unico fattore produttivo abbiamo il lavoro che consiste nella raccolta di frutti selvatici, bacche erbe, nella cattura di animali, prima con le nude mani, in uno stadio più avanzato con le prime armi rudimentali (una prima forma di capitale). Esisteva anche nelle società primitive una preordinata divisione del lavoro, questa non era il frutto di scelte, ma si trattava di una divisione accettata come naturale: i maschi giovani si dedicavano alle attività della caccia e della pesca, le donne si occupavano della crescita della prole e della raccolta dei prodotti che crescevano spontaneamente sul territorio in cui la comunità era stanziata, i vecchi inabili al lavoro erano i consiglieri della comunità (sacerdoti, indovini, taumaturghi). Tutto ciò che veniva prodotto serviva a sfamare la collettività (famiglie). La distribuzione del prodotto sociale Y avveniva secondo le regole interne in cui era organizzata la società (clan, tribù, ecc.). La domanda era caratterizzata solo da consumi necessari che servivano per la sopravvivenza. Naturalmente si parla di un periodo durato milioni di anni. In questo vastissimo arco di tempo si svilupparono nel mondo moltissime civiltà, ciascuna delle quali provvide a darsi una propria organizzazione interna, molto spesso diversa dalle altre circostanti. Ai fini dell’analisi economica però è possibile semplificare la complessità delle molteplici comunità primitive per astrarre un modello di produzione, distribuzione e domanda che con buona approssimazione può essere rappresentato come nella tabelle sopra illustrata. -2- -3- Il modo di produzione nelle società antiche FAMIGLIE SCHIAVE L PRODUZIONE DISTRIBUZIONE SOVRAPPIU’ SV SUSSISTENZA Cn FAMIGLIE LIBERE DOMANDA Cs Anche per le società antiche, come per le comunità primitive, valgono le considerazioni già fatte in precedenza. Il mondo antico si differenziò moltissimo in relazione all’ordinamento economico, giuridico e sociale. La società ateniese del VI secolo a.C. era profondamente diversa da quella del III secolo a.C., la civiltà egizia ebbe un ordinamento differente rispetto alla civiltà dell’antica Roma. In questa molteplicità di ordinamenti statali, giuridici, sociali ed economici è però possibile individuare alcuni elementi comuni a tutti. La società era divisa in due categorie di famiglie nettamente contrapposte: le famiglie libere e le famiglie schiave. Le famiglie libere erano proprietarie della terra (T) e del capitale (K) che serviva per la produzione dei prodotti artigianali, i fattori K e T erano quindi di proprietà esclusiva delle famiglie libere, non esisteva quindi un vero e proprio mercato dei fattori. Le famiglie schiave invece non possedevano nulla ed a causa della loro condizione, spesso risultante dei saccheggi e delle guerre di conquista, erano costrette a lavorare a vantaggio delle famiglie libere. Elemento fondamentale della sfera della produzione era quindi il fattore lavoro (L) prestato forzatamente dagli schiavi. La presenza degli schiavi consentiva di non limitare la produzione al semplice soddisfacimento dei bisogni essenziali come avveniva nelle comunità primitive. Nella sfera della distribuzione ora compaiono due voci ben distinte la sussistenza ed il sovrappiù. Gli schiavi infatti ricevevano in -3- -4cambio del loro lavoro quanto necessario per la sussistenza (Cn), la parte rimanente del prodotto sociale era accaparrata invece dalle famiglie libere, in forma di sovrappiù (SV). Appare nei sistemi economici di queste civiltà una nuova grandezza SV, che rappresenta tutto ciò che rimane della produzione dopo aver tolto quanto necessario per garantire la sussistenza agli schiavi. Il sovrappiù viene impiegato dalle famiglie libere per una serie di consumi non necessari: i consumi superflui Cs. I Cs a quei tempi consistevano in monili, opere d’arte, palazzi, castelli, dimore lussuose per gli esponenti più insigni della gerarchia sociale. Cs erano anche le spese per le guerre di conquista, per allestire un esercito che difendesse i confini dello stato, per costruire città fortificate ecc. La sfera della domanda in questo caso presenta due componenti essenziali Y = Cn + Cs. Il modo di produzione nella società feudale FAMIGLIE SERVE DELLA GLEBA L FAMIGLIE NOBILI PRODUZIONE DISTRIBUZIONE SOVRAPPIU’ SUSSISTENZA Cn DOMANDA Cs Il crollo dei grandi imperi e delle antiche civiltà (romana, greca, egizia) provocò profonde e grandiose trasformazioni. Il superamento della distinzione tra famiglie schiave e famiglie libere si tradusse nella costituzione di nuove forme di organizzazione della società, molto dissimili nelle varie aree geografiche ma accomunabili per alcune caratteristiche. Questa nuova forma di organizzazione sociale prese il nome di feudalesimo. In seguito al declino delle città, la popolazione europea si era addensata nelle campagne in cui i potenti si erano appropriati delle terre e vi avevano eretto all’interno il proprio castello dal quale dominavano sui loro possedimenti: il feudo. Divennero marginali e trascurabili le attività mercantili ed artigianali, prese piede un’economia basata esclusivamente sullo sfruttamento dell’agricoltura, esercitata dai servi della gleba. I nobili si appropriavano interamente del sovrappiù ottenuto nell’attività agricola e lasciavano ai servi della gleba il necessario per la sussistenza. Il prodotto sociale così suddiviso (sussistenza e sovrappiù) veniva impiegato dai servi della gleba per i consumi necessari e dai nobili per i consumi superflui. Ai servi della gleba venivano assegnati piccoli appezzamenti di terra per il soddisfacimento dei loro bisogni ma per la stragrande maggioranza del tempo lavorativo dovevano prestare servizi (corvée) ai nobili, avendo anche l’obbligo di predisporre e ricostituire i rudimentali mezzi di produzione agricola necessari (K). L’economia monetaria in un mondo che si basava sull’autoconsumo ed in cui le attività artigianale e commerciali erano pressoché inesistenti, era del tutto irrilevante. -4- -5- La fase della transizione dall’economia feudale all’economia mercantile Il sistema feudale nel XII secolo cominciò a manifestare segni di profonda crisi dovuta, da un lato allo sviluppo delle città e delle attività artigianali che, relegate nella curtis feudale ad un ruolo di marginalità, trovarono nella città uno spazio ideale per la loro crescita, dall’altro all’acuirsi della conflittualità tra nobili e servi della gleba, questi ultimi angariati dalle eccessive richieste dei feudatari che ritenevano sempre più insufficiente la ricchezza per loro prodotta dai servi. Il crescente sfruttamento dei servi della gleba per incrementare il sovrappiù costrinse i servi della gleba ad abbandonare le campagne per le città, che offrivano nuove occupazioni al servizio degli artigiani dei mercanti e dei banchieri che le stavano popolando. Il mercante è la figura che segna il passaggio dall’economia feudale a quella mercantile e che dà origine al processo di accumulazione primitiva. L’artigiano, l’orafo, il banchiere, diverranno i principali ed insostituibili finanziatori degli sprechi delle classi nobiliari, sempre più indebitate per potersi garantire un lusso ed una ricchezza ormai non più sostenibili. Nella fase di transizione avviene il passaggio della famiglie serve della gleba a famiglie libere proprietarie del lavoro, delle famiglie nobili a famiglie proprietarie della terra, delle famiglie dei mercanti, artigiani, banchieri, a famiglie libere proprietarie del capitale. FAMIGLIE SERVE DELLA GLEBA FAMIGLIE OREFICI BANCHIERI ARTIGIANI MERCANTI FAMIGLIE NOBILI ACCUMULAZIONE PRIMITIVA FAMIGLIE LIBERE PROPRIETARIE DEL LAVORO L FAMIGLIE LIBERE PROPRIETARIE DEL CAPITALE K FAMIGLIE LIBERE PROPRIETARIE DELLA TERRA T I più abili, intelligenti e fortunati di coloro che appartenevano alla classe dei servi della gleba, giunti nelle città, approfittarono subito delle occasioni che la nuova realtà economica offriva e divennero a loro volta mercanti, banchieri, artigiani; i meno fortunati andarono ad offrire la loro forza lavoro ai mercanti, banchieri, artigiani come lavoratori dipendenti e apprendisti. I nobili, ormai sulla strada della decadenza, rimasero proprietari delle terre, fattore che procurava un rendita decrescente e meno rilevante di quella prodotta dalle nuove attività. I proprietari del capitale divennero invece l’elemento centrale della nascita del nuovo modo di produzione capitalistico. -5- -6- Il modo capitalistico di produzione MERCATI L, K, T DISTRIBUZIONE Y W FAMIGLIE LIBERE PROPRIETARIE DEL LAVORO Cn PF FAMIGLIE LIBERE PROPRIETARIE DEL CAPITALE I R FAMIGLIE LIBERE PROPRIETARIE DELLA TERRA Cs MERCATI MERCI DOMANDA Y Il modo capitalistico di produzione si sviluppa in Inghilterra verso la fine del Settecento ed è caratterizzato dalla suddivisione in classi della società. La classe dei lavoratori salariati, proprietari del fattore lavoro, che offrono le loro capacità lavorative al capitalista in cambio di un salario, che verrà impiegato per soddisfare i bisogni primari (Cn). La classe dei proprietari del capitale, i capitalisti imprenditori, che prendono in affitto le terre ai proprietari terrieri, corrispondendo loro una rendita (R), acquistano forza lavoro dai lavoratori corrispondendo un salario (W), acquistano mezzi di produzione sul mercato dei fattori ed ottengono un prodotto che, dopo la vendita sul mercato dei beni, garantirà loro un profitto PF. Il PF verrà poi impiegato per l’acquisto di nuovi mezzi di produzione: investimento (I). La classe dei proprietari terrieri, i nobili, si limita a dare in affitto le terre ai capitalisti imprenditori e riceve in cambio una rendita che verrà impiegato per i consumi superflui (Cs). Essenziali nel modo di produzione capitalistico sono i mercati: il mercato dei fattori in cui si offrono e si domandano i fattori della produzione L, K, T e il mercato dei beni in cui si offrono e si domandano beni di sussistenza (Cn), beni di lusso (Cs) e beni d’investimento (I). -6- -7- Il modo capitalistico di produzione secondo la teoria fisiocratica LAVORO CAPITALE TERRA PRODUZIONE W Cn DISTRIBUZIONE DOMANDA SV = R Cs In alcune zone della Francia del nord-est si sviluppa, nella seconda metà del Settecento, un nuovo modo di produzione, che presenta tutte le caratteristiche del modo di produzione capitalistico, anche se si tratta di un capitalismo ancora rudimentale. Gli economisti di quel periodo furono assillati da un problema economico fondamentale: indagare quali fossero le origini del sovrappiù (SV). Una prima risposta venne data da Francois Quesnay, medico di corte del re di Francia, che nel 1758 scrisse un’opera fondamentale per la storia del pensiero economico: il Tableau Économique. In quest’opera Quesnay cerca di descrivere ciò che stava avvenendo in un angolo del suo Paese, non ancora raggiunto dal vento della rivoluzione industriale. Si erano determinati in agricoltura nuovi rapporti sociali di produzione, diversi da quelli tipicamente feudali. Una classe di liberi agricoltori, dotata di propri mezzi di produzione (K) e disposta ad introdurre tecniche produttive più efficienti, prendeva in affitto le terre (T) dai nobili-proprietari terrieri in cambio di una rendita (R) e assumeva alle proprie dipendenze dei lavoratori in cambio di un salario (W) riuscendo ad ottenere dal processo produttivo un sovrappiù (SV) di gran lunga superiore rispetto a quello che si poteva ottenere dal modo di produzione feudale. Questa ricchezza era frutto, non delle tecniche produttive e della dotazione di capitale posseduta dagli agricoltori, e nemmeno dal lavoro prestato dagli operai agricoli, ma unicamente dalla fertilità della terra. In questo modo il sovrappiù appariva una grandezza tangibile, in agricoltura il prodotto sociale è concretamente misurabile a causa dell’omogeneità degli input (grano seminato) e degli output (grano raccolto). Si evidenziò che il grano impiegato come semente e come remunerazione del lavoro (W) era di gran lunga inferiore, in termini quantitativi, del grano raccolto alla fine del processo produttivo. La differenza costituiva il sovrappiù. Quesnay era consapevole che nel sistema economico operavano anche altre classi: quella degli artigiani e quella dei commercianti, ma considerava queste classi come sterili. Gli artigiani ed i commercianti infatti non producono nulla di -7- -8nuovo in termini di sovrappiù ma si limitano, gli uni a trasformare e gli altri a scambiare risorse già prodotte dal settore agricolo. La terra diventa quindi l’unico fattore in grado di produrre ricchezza. Quesnay colse l’enorme portata di questo nuovo modo di produzione e nel Tableau si sforzò di descrivere, con successo, come il capitale (K) anticipato come salario Kw e come semente Kc fosse il motore principale del sistema economico. Descrisse in modo dettagliato l’intero ciclo produttivo in cui circolava un’unica merce: il grano. In questo modo diede una prima risoluzione ai problemi connessi alla teoria del valore, che si prefiggeva di trovare un metodo per misurare tra di loro grandezze eterogenee. Si deve a Quesnay anche la diffusione del principio del laissez faire in virtù del quale il sistema economico doveva essere lasciato a sé stesso senza che la libertà di azione degli operatori economici potesse essere intralciata dall’intervento pubblico in economia. Questo principio ispirerà tutte le teorie liberiste del futuro. Purtroppo Quesnay non fu in grado di cogliere le potenzialità delle classi che egli chiamava sterili: artigiani e commercianti e si fermò alla descrizione di un modo di riproduzione semplice, in cui il sovrappiù veniva impiegato dai proprietari terrieri per effettuare consumi superflui (Cs). Non compare infatti nello schema fisiocratico l’investimento (I). SFERA DELLA PRODUZIONE Y=L+K+T SFERA DELLA DISTRIBUZIONE Y = W +SV Y – W = SV SV = R Y–W=R SFERA DELLA DOMANDA Y = Cn + Cs I limiti della teoria fisiocratica consistono nel fatto che non viene dato il giusto risalto alle classi che saranno a fondamento della rivoluzione industriale e dello sviluppo del modo di produzione capitalistico: la classe degli artigiani, che si trasformeranno poi in industriali, e la classe dei commercianti. Un secondo limite si deve individuare nel fatto che il sistema fisiocratico funziona secondo un modo di riproduzione semplice e non allargato, a causa della mancanza del profitto (PF) nella sfera della distribuzione e dell’investimento (I) nella sfera della domanda. A tutto ciò verrà dato una risposta dall’economia classica che si svilupperà in Gran Bretagna sempre nella seconda metà del Settecento a partire dall’opera del suo esponente principale Adam Smith, che nel 1776 scrisse Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni. -8- -9- Il modo capitalistico di produzione secondo la teoria classica LAVORO CAPITALE TERRA PRODUZIONE DISTRIBUZIONE W SV Cn PF R I Cs DOMANDA Secondo la scuola classica la società è divisa in classi chiuse, esiste una scarsa mobilità sociale, è molto difficile per un operaio diventare imprenditore o che un nobile decada allo status di contadino. Le tre classi del sistema economico sono: La classe degli aristocratici, che detiene la proprietà delle terre. Concede le terre in affitto ai capitalisti imprenditori in cambio di una rendita che impiega per consumi superflui. La classe dei lavoratori salariati, operai, che offre ai capitalisti imprenditori la forza lavoro in cambio di un salario di sussistenza che impiega per consumi necessari. La classe dei capitalisti imprenditori, che acquista il fattore lavoro dai lavoratori salariati, il fattore capitale da altri capitalisti, il fattore terra dagli aristocratici proprietari della terra, organizza i fattori acquistati nel processo produttivo ed ottiene un prodotto che, offerto sul mercato dei beni, genera un profitto. Il profitto verrà impiegato per gli investimenti. La prima risposta data da Smith ai problemi sollevati dalla teoria fisiocratica fu caratterizzata dalla considerazione che la classe dei capitalisti non poteva concorrere in misura così significativa al processo produttivo senza ricevere in cambio un profitto (PF), come sostenevano gli economisti fisiocratici. La classe dei capitalisti era la colonna portante del sistema economico, non solo rinnovava ogni anno il suo essenziale ruolo, ma era in grado di realizzare un processo di riproduzione allargata del sistema perchè poteva disporre di una sua propria quota originale del sovrappiù, il profitto (PF). -9- - 10 Ciò accadeva non solo nel settore agricolo ma in tutti i settori. Non solo dalla terra si ricavava il sovrappiù ma anche, ed in misura maggiore, nell’industria ed in generale nel settore manifatturiero. Il sovrappiù non coincideva quindi con la rendita (R), come sostenevano i fisiocratici ma si divideva in rendite e profitti. Smith elabora inoltre una nuova teoria del valore – teoria del valore-lavoro. Il sovrappiù non è infatti una grandezza fisicamente misurabile in termini materiali (grano), bensì una differenza di valore: la differenza tra il valore, espresso in termini di ore lavoro, del prodotto sociale Y ottenuto da tutti i settori produttivi ed il valore delle risorse impiegate per conseguirlo: capitale circolante Kc, capitale fisso Kf e merci anticipate per il sostentamento dei lavoratori (W = Kw). Il valore della ricchezza si misura in ore lavoro, due beni possono essere confrontati tra di loro calcolando le ore di lavoro contenuti in essi. Se per fare un tavolo ci vogliono 10 ore lavoro e per fare una sedia ce ne voglio 5, il tavolo e la sedia potranno essere valutati in un rapporto 10/5, un tavolo vale 2 sedie. Smith introduce inoltre il concetto di divisione del lavoro. Il processo produttivo richiede abilità, esperienza e conoscenze che un artigiano matura in diversi anni. Smith prende ad esempio la manifattura degli spilli. Per ottenere uno spillo occorrono superare diverse fasi: sarà necessario ottenere l’acciaio, ridurlo in sottili laminati, tagliarlo, occorrerà poi fare la punta, la capocchia ed assemblare il tutto. Se tutto questo venisse fatto a mano richiederebbe molto tempo per opera di operai esperti, se il lavoro venisse agevolato da una macchina e ciascun operaio si specializzasse in una sola fase del processo produttivo ciò aumenterebbe la velocità di produzione, l’accuratezza della lavorazione e abbasserebbe il costo. La suddivisione del processo produttivo in molteplici fasi avrebbe inoltre aumentato la destrezza dell’operaio e non avrebbe richiesto profonde competenze. Ciò avrebbe ridotto i costi di produzione e consentito al capitalista imprenditore di assumere donne e bambini, che avevano un costo del lavoro inferiore, al posto dei lavoratori maschi adulti. Non furono quindi le macchine che diedero luogo alla divisione del lavoro, ma fu l’applicazione del principio della divisione del lavoro che favorì la costruzione di macchine sempre più sofisticate e incentivò le invenzioni industriali. L’esasperata divisione del lavoro, nell’Ottocento, diede luogo a fenomeni di ribellione da parte degli operai: il luddismo. L’operaio vedeva nella macchina non un aiuto ma un nemico e la fonte dello sfruttamento e della disoccupazione. Si verifica anche il fenomeno dell’alienazione: l’operaio, a differenza dell’artigiano, non si riconosce più nel lavoro che compie, si sente alienato, estraniato. Mentre l’artigiano curava amorevolmente il frutto del suo lavoro, conosceva tutte le fasi della lavorazione ed otteneva un prodotto che era la realizzazione e l’espressione delle sue competenze, capacità, intelligenza, l’operaio si sente una semplice ed insignificante appendice della macchina, completamente estraniato dal processo produttivo. Marx riprenderà questo concetto e ne farà il perno della sua teoria economica. Anche Smith, come Quesnay, riprende il principio del laissez faire, ritenendo che il sistema economico capitalistico sia animato da una mano invisibile che regola i rapporti economici, senza che ciò possa essere ostacolato dall’intervento pubblico. È l’egoismo individuale che consente l’elevazione del livello della ricchezza collettiva; ciascun operatore economico, cercando di ottenere dalla sua professione il maggior guadagno, automaticamente e inconsciamente concorre a determinare il massimo livello di benessere per tutta la collettività. - 10 - - 11 - La moneta nella teoria classica Anche secondo i classici la moneta è un semplice velo che copre i rapporti reali di produzione. La teoria dominante in quel periodo è la teoria quantitativa della moneta: MV = QP M = quantità di moneta in circolazione V = velocità di circolazione Q = quantità di beni e servizi prodotti in un anno P = livello generale dei prezzi. Ponendo V e Q come costanti si otterrà che la maggiore o minore quantità di moneta immessa nel sistema economico non incide sulla quantità di beni e servizi prodotti ma unicamente sul livello generale dei prezzi. Il profitto nella teoria classica diventa il motore del processo capitalistico, il capitalista imprenditore tende ad incrementare il profitto per poterlo impiegare poi per gli investimenti. L’incremento della spesa per investimenti darà luogo ad una maggior produzione di beni e servizi e ad un processo di riproduzione allargata. - 11 - - 12 - La critica marxiana al modo capitalistico di produzione Nella seconda metà dell’Ottocento la teoria classica viene sottoposta ad una serrata ed approfondita critica da parte di Karl Marx, filosofo, sociologo, economista e rivoluzionario tedesco. La personalità di Marx fu molto eclettica, si occupò in modo incisivo di molti campi del sapere suscitando profonda devozione e aspre critiche ed ostilità. Per quanto concerne il suo contributo alla storia del pensiero economico occorre affrontare, in modo necessariamente sommario e sintetico, alcuni concetti espressi dallo studioso nella sua monumentale opera Il Capitale scritta insieme a Engels tra il 1867 e il 1894, (gli ultimi volumi uscirono postumi). FORZA LAVORO CAPITALE M TERRA CAPITALE D LAVORO PRODUZIONE - DISTRIBUZIONE SALARIO SUSSITENZA SFRUTTAMENTO - PLUSVALORE Cn Cs I DOMANDA L’analisi di Marx si basa sul concetto di sfruttamento. A suo avviso tutte le società, nelle varie epoche storiche sono state caratterizzate dal conflitto sociale tra una classe dominante ed una classe dominata. Nell’antica Grecia esisteva il rapporto schiavo/padrone, tra i due c’era una disuguaglianza giuridica ed anche economica. Nell’epoca feudale la società era divisa tra Nobili e servi della gleba, tra le due categorie esisteva una disuguaglianza giuridica ed economica. Il capitalismo, con la sua affermazione aveva rappresentato una evoluzione rispetto al modo di produzione feudale, manifestava però delle contraddizioni. Infatti questa nuova forma di produzione, sviluppatasi negli stati liberali europei era caratterizzata da una eguaglianza giuridica tra classe dominante (capitalisti) e classe dominata (proletariato) alla quale non corrispondeva una eguaglianza economica, in quanto i capitalista era proprietario assoluto dei mezzi di produzione, del capitale, invece l’operaio era proprietario solamente della sua capacità lavorativa, che vendeva al capitalista in cambio di un salario di sussistenza. - 12 - - 13 Proprio nell’ambito della giornata lavorativa avveniva lo sfruttamento. Ipotizzando una giornata lavorativa i 10 ore, possiamo scomporla in due parti v ed s : v=5 s=5 dove v = capitale variabile o forza lavoro FL (numero di ore in cui l’operaio lavora per procurarsi il sostentamento) s = plusvalore, (valore in più prodotto dall’operaio a vantaggio del capitalista) s/v = saggio di plusvalore o saggio di sfruttamento più è elevato il numero di ore della giornata lavorativa più sarà elevato il plusvalore, in quanto il capitale variabile è legato alla sussistenza e non alla produttività. Il capitalista potrebbe anche comprimere il capitale variabile ma andrebbe incontro ad un limite fisico: la sopravvivenza del lavoratore. Il lavoro, quindi, per Marx è una merce del tutto particolare: viene venduta dal lavoratore sul mercato dei fattori ad un prezzo equivalente al valore del capitale variabile, ma una volta acquistata dal capitalista, produce, nell’ambito della giornata lavorativa, una quantità di valore superiore, il valore in più viene trattenuto dal capitalista come plusvalore. Nel processo produttivo il capitalista impiega oltre al lavoro vivo v (cioè le energie fisiche del lavoratore), anche il lavoro morto c (cioè il lavoro cristallizzato nelle macchine). Nella teoria marxiana compaiono quindi due tipi di capitale: capitale variabile v o forza lavoro FL e capitale costante c. Se prendiamo in considerazione una merce m, possiamo individuare le sue componenti: m=c+v+s in qualsiasi prodotto m troviamo l’apporto delle macchine necessario per produrlo, l’apporto del lavoro e il plusvalore, il plusvalore. Secondo Marx, nel modo di produzione capitalistico la moneta non è neutrale, come affermavano i classici, sostenitori della teoria quantitativa della moneta. Al modello M – D – M: dalla merce venduta M si ottiene denaro D che servirà per acquistare altre merci M, nel processo capitalistico si sostituisce il modello: D – M – M’ – D’ Col denaro D il capitalista compra i mezzi di produzione M (dove M = FL + c)cioè forza lavoro e macchine. Nella sfera della produzione, grazie alla particolarità della merce lavoro, si ottiene un prodotto M’› M, in quanto nell’ambito della giornata lavorativa il lavoratore ha creato una quantità di valore aggiuntivo rispetto a quello del capitale variabile, valore di cui si approprierà il capitalista M = c + FL dove FL = v - 13 - - 14 M’ = c + v + s M’ › M La merce M’ così ottenuta, una volta venduta, procurerà al capitalista una somma di denaro pari D’ › D Il capitalista riusciva ad ottenere un plusvalore dal processo produttivo per un unico motivo: era proprietario dei mezzi di produzione. Il capitalista aveva come obiettivo l’incremento del profitto, ciò lo poteva conseguire comprimendo il più possibile la quota del prodotto sociale che andava ai salari, ricorrendo alla sostituzione dei lavoratori ed all’introduzione sempre più massiccia di macchine. Il crescente numero dei lavoratori disoccupati avrebbe determinato la discesa dei salari a causa della concorrenza che si sarebbe innescata tra i lavoratori, che avrebbero accettato anche salari da fame pur di lavorare, la massa sterminata dei lavoratori disoccupati venne chiamata da Marx esercito industriale di riserva. Il capitalismo manifestava in questo aspetto un forte segno di contraddizione. L’incremento dell’utilizzo delle macchine in sostituzione dei lavoratori in realtà determinava una caduta dei profitti degli imprenditori e non un aumento. Se consideriamo infatti il saggio di profitto r come il rapporto tra la quota del prodotto sociale che va ai profitti (PF ) e il capitale investito (K), avremo: r = PF/K nella terminologia marxiana r = s/(c + v) da cui dividendo numeratore e denominatore per v si otterrà: r = s∕v : (c/v + 1) dove s/v è il saggio di sfruttamento o saggio di plusvalore e c/v la composizione organica del capitale, dato da rapporto tra le due forme di capitale (capitale variabile e capitale costante). Il capitalista, riducendo il capitale variabile v ed aumentando il capitale costante c, determinerà inevitabilmente una caduta del saggio di profitto r, un risultato, quindi, contrario rispetto a quello che si era prefissato. Poiché il capitalismo, a causa delle sue innumerevoli contraddizioni, si stava incamminando verso la sua fine naturale, era necessario che la classe dominata, il proletariato, prendesse coscienza della sua condizione di sfruttamento e si organizzasse per anticipare la fine di questo modo di produzione. Era compito dei filosofi e dei capi rivoluzionari favorire la presa di coscienza delle masse di lavoratori e guidare la rivoluzione, che avrebbe portato, secondo la tesi di Marx, ad una società senza classi, all’abolizione della proprietà privata, all’abbattimento dello stato liberale, al comunismo… ma questa è un’altra storia. Bibliografia essenziale: Economia Politica - Campanella – ed. Hoepli La didattica dell’Economia Politica – Campanella – ed.Paravia - 14 -