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I sistemi economici nella storia
Le sfere dell’economia
Qualsiasi sistema economico, di qualsiasi epoca o luogo geografico, può essere suddiviso in tre
sfere: la sfera della produzione, la sfera della distribuzione e la sfera della domanda.
PRODUZIONE
Y=L+K+T
DISTRIBUZIONE
Y = W + PF + R
DOMANDA
Y = Cn + I + Cs
SFERA DELLA PRODUZIONE
Il prodotto sociale Y è il risultato della combinazione dei fattori della produzione: L = lavoro,
K = capitale e T = terra, risorse naturali, energia.
SFERA DELLA DISTRIBUZIONE
Il prodotto sociale Y viene distribuito in forma di W = salari, come remunerazione del fattore
lavoro, PF = profitti, come remunerazione del fattore capitale, R = rendite, come remunerazione del
fattore terra.
SFERA DELLA DOMANDA
I beni e servizi prodotti dal sistema economico verranno domandati per il soddisfacimento dei
bisogni della collettività. Avremo quindi una domanda di consumi necessari Cn,
consumi superflui Cs e investimenti o beni strumentali necessari per produrre altri beni I.
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Il modo di produzione nelle comunità primitive
L
FAMIGLIA
PRODUZIONE
DISTRIBUZIONE
Cn
DOMANDA
Il sistema economico nelle società primitive è molto semplice e rudimentale. Si tratta di
un’economia basata sulla sussistenza e l’autoconsumo. Come unico fattore produttivo abbiamo il
lavoro che consiste nella raccolta di frutti selvatici, bacche erbe, nella cattura di animali, prima con
le nude mani, in uno stadio più avanzato con le prime armi rudimentali (una prima forma di
capitale). Esisteva anche nelle società primitive una preordinata divisione del lavoro, questa non era
il frutto di scelte, ma si trattava di una divisione accettata come naturale: i maschi giovani si
dedicavano alle attività della caccia e della pesca, le donne si occupavano della crescita della prole e
della raccolta dei prodotti che crescevano spontaneamente sul territorio in cui la comunità era
stanziata, i vecchi inabili al lavoro erano i consiglieri della comunità (sacerdoti, indovini,
taumaturghi).
Tutto ciò che veniva prodotto serviva a sfamare la collettività (famiglie). La distribuzione del
prodotto sociale Y avveniva secondo le regole interne in cui era organizzata la società (clan, tribù,
ecc.). La domanda era caratterizzata solo da consumi necessari che servivano per la sopravvivenza.
Naturalmente si parla di un periodo durato milioni di anni. In questo vastissimo arco di tempo si
svilupparono nel mondo moltissime civiltà, ciascuna delle quali provvide a darsi una propria
organizzazione interna, molto spesso diversa dalle altre circostanti. Ai fini dell’analisi economica
però è possibile semplificare la complessità delle molteplici comunità primitive per astrarre un
modello di produzione, distribuzione e domanda che con buona approssimazione può essere
rappresentato come nella tabelle sopra illustrata.
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Il modo di produzione nelle società antiche
FAMIGLIE
SCHIAVE
L
PRODUZIONE
DISTRIBUZIONE
SOVRAPPIU’
SV
SUSSISTENZA
Cn
FAMIGLIE
LIBERE
DOMANDA
Cs
Anche per le società antiche, come per le comunità primitive, valgono le considerazioni già fatte in
precedenza.
Il mondo antico si differenziò moltissimo in relazione all’ordinamento economico, giuridico e
sociale. La società ateniese del VI secolo a.C. era profondamente diversa da quella del III secolo
a.C., la civiltà egizia ebbe un ordinamento differente rispetto alla civiltà dell’antica Roma. In questa
molteplicità di ordinamenti statali, giuridici, sociali ed economici è però possibile individuare alcuni
elementi comuni a tutti.
La società era divisa in due categorie di famiglie nettamente contrapposte: le famiglie libere e le
famiglie schiave. Le famiglie libere erano proprietarie della terra (T) e del capitale (K) che serviva
per la produzione dei prodotti artigianali, i fattori K e T erano quindi di proprietà esclusiva delle
famiglie libere, non esisteva quindi un vero e proprio mercato dei fattori. Le famiglie schiave invece
non possedevano nulla ed a causa della loro condizione, spesso risultante dei saccheggi e delle
guerre di conquista, erano costrette a lavorare a vantaggio delle famiglie libere.
Elemento fondamentale della sfera della produzione era quindi il fattore lavoro (L) prestato
forzatamente dagli schiavi.
La presenza degli schiavi consentiva di non limitare la produzione al semplice soddisfacimento dei
bisogni essenziali come avveniva nelle comunità primitive. Nella sfera della distribuzione ora
compaiono due voci ben distinte la sussistenza ed il sovrappiù. Gli schiavi infatti ricevevano in
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-4cambio del loro lavoro quanto necessario per la sussistenza (Cn), la parte rimanente del prodotto
sociale era accaparrata invece dalle famiglie libere, in forma di sovrappiù (SV).
Appare nei sistemi economici di queste civiltà una nuova grandezza SV, che rappresenta tutto ciò
che rimane della produzione dopo aver tolto quanto necessario per garantire la sussistenza agli
schiavi. Il sovrappiù viene impiegato dalle famiglie libere per una serie di consumi non necessari: i
consumi superflui Cs.
I Cs a quei tempi consistevano in monili, opere d’arte, palazzi, castelli, dimore lussuose per gli
esponenti più insigni della gerarchia sociale. Cs erano anche le spese per le guerre di conquista, per
allestire un esercito che difendesse i confini dello stato, per costruire città fortificate ecc.
La sfera della domanda in questo caso presenta due componenti essenziali Y = Cn + Cs.
Il modo di produzione nella società feudale
FAMIGLIE SERVE
DELLA GLEBA
L
FAMIGLIE
NOBILI
PRODUZIONE
DISTRIBUZIONE
SOVRAPPIU’
SUSSISTENZA
Cn
DOMANDA
Cs
Il crollo dei grandi imperi e delle antiche civiltà (romana, greca, egizia) provocò profonde e
grandiose trasformazioni. Il superamento della distinzione tra famiglie schiave e famiglie libere si
tradusse nella costituzione di nuove forme di organizzazione della società, molto dissimili nelle
varie aree geografiche ma accomunabili per alcune caratteristiche. Questa nuova forma di
organizzazione sociale prese il nome di feudalesimo.
In seguito al declino delle città, la popolazione europea si era addensata nelle campagne in cui i
potenti si erano appropriati delle terre e vi avevano eretto all’interno il proprio castello dal quale
dominavano sui loro possedimenti: il feudo. Divennero marginali e trascurabili le attività mercantili
ed artigianali, prese piede un’economia basata esclusivamente sullo sfruttamento dell’agricoltura,
esercitata dai servi della gleba. I nobili si appropriavano interamente del sovrappiù ottenuto
nell’attività agricola e lasciavano ai servi della gleba il necessario per la sussistenza. Il prodotto
sociale così suddiviso (sussistenza e sovrappiù) veniva impiegato dai servi della gleba per i consumi
necessari e dai nobili per i consumi superflui. Ai servi della gleba venivano assegnati piccoli
appezzamenti di terra per il soddisfacimento dei loro bisogni ma per la stragrande maggioranza del
tempo lavorativo dovevano prestare servizi (corvée) ai nobili, avendo anche l’obbligo di predisporre
e ricostituire i rudimentali mezzi di produzione agricola necessari (K). L’economia monetaria in un
mondo che si basava sull’autoconsumo ed in cui le attività artigianale e commerciali erano
pressoché inesistenti, era del tutto irrilevante.
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La fase della transizione dall’economia feudale
all’economia mercantile
Il sistema feudale nel XII secolo cominciò a manifestare segni di profonda crisi dovuta, da un lato
allo sviluppo delle città e delle attività artigianali che, relegate nella curtis feudale ad un ruolo di
marginalità, trovarono nella città uno spazio ideale per la loro crescita, dall’altro all’acuirsi della
conflittualità tra nobili e servi della gleba, questi ultimi angariati dalle eccessive richieste dei
feudatari che ritenevano sempre più insufficiente la ricchezza per loro prodotta dai servi. Il
crescente sfruttamento dei servi della gleba per incrementare il sovrappiù costrinse i servi della
gleba ad abbandonare le campagne per le città, che offrivano nuove occupazioni al servizio degli
artigiani dei mercanti e dei banchieri che le stavano popolando. Il mercante è la figura che segna il
passaggio dall’economia feudale a quella mercantile e che dà origine al processo di accumulazione
primitiva. L’artigiano, l’orafo, il banchiere, diverranno i principali ed insostituibili finanziatori degli
sprechi delle classi nobiliari, sempre più indebitate per potersi garantire un lusso ed una ricchezza
ormai non più sostenibili. Nella fase di transizione avviene il passaggio della famiglie serve della
gleba a famiglie libere proprietarie del lavoro, delle famiglie nobili a famiglie proprietarie della
terra, delle famiglie dei mercanti, artigiani, banchieri, a famiglie libere proprietarie del capitale.
FAMIGLIE SERVE
DELLA GLEBA
FAMIGLIE
OREFICI BANCHIERI
ARTIGIANI MERCANTI
FAMIGLIE
NOBILI
ACCUMULAZIONE
PRIMITIVA
FAMIGLIE LIBERE
PROPRIETARIE
DEL LAVORO
L
FAMIGLIE LIBERE
PROPRIETARIE DEL
CAPITALE
K
FAMIGLIE LIBERE
PROPRIETARIE
DELLA TERRA
T
I più abili, intelligenti e fortunati di coloro che appartenevano alla classe dei servi della gleba, giunti
nelle città, approfittarono subito delle occasioni che la nuova realtà economica offriva e divennero a
loro volta mercanti, banchieri, artigiani; i meno fortunati andarono ad offrire la loro forza lavoro ai
mercanti, banchieri, artigiani come lavoratori dipendenti e apprendisti. I nobili, ormai sulla strada
della decadenza, rimasero proprietari delle terre, fattore che procurava un rendita decrescente e
meno rilevante di quella prodotta dalle nuove attività. I proprietari del capitale divennero invece
l’elemento centrale della nascita del nuovo modo di produzione capitalistico.
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Il modo capitalistico di produzione
MERCATI L, K, T
DISTRIBUZIONE Y
W
FAMIGLIE LIBERE
PROPRIETARIE
DEL LAVORO
Cn
PF
FAMIGLIE LIBERE
PROPRIETARIE
DEL CAPITALE
I
R
FAMIGLIE LIBERE
PROPRIETARIE
DELLA TERRA
Cs
MERCATI MERCI
DOMANDA Y
Il modo capitalistico di produzione si sviluppa in Inghilterra verso la fine del Settecento ed è
caratterizzato dalla suddivisione in classi della società.
 La classe dei lavoratori salariati, proprietari del fattore lavoro, che offrono le loro capacità
lavorative al capitalista in cambio di un salario, che verrà impiegato per soddisfare i bisogni
primari (Cn).
 La classe dei proprietari del capitale, i capitalisti imprenditori, che prendono in affitto le
terre ai proprietari terrieri, corrispondendo loro una rendita (R), acquistano forza lavoro dai
lavoratori corrispondendo un salario (W), acquistano mezzi di produzione sul mercato dei
fattori ed ottengono un prodotto che, dopo la vendita sul mercato dei beni, garantirà loro un
profitto PF. Il PF verrà poi impiegato per l’acquisto di nuovi mezzi di produzione:
investimento (I).
 La classe dei proprietari terrieri, i nobili, si limita a dare in affitto le terre ai capitalisti
imprenditori e riceve in cambio una rendita che verrà impiegato per i consumi superflui
(Cs).
Essenziali nel modo di produzione capitalistico sono i mercati: il mercato dei fattori in cui si
offrono e si domandano i fattori della produzione L, K, T e il mercato dei beni in cui si offrono e si
domandano beni di sussistenza (Cn), beni di lusso (Cs) e beni d’investimento (I).
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Il modo capitalistico di produzione secondo la teoria
fisiocratica
LAVORO
CAPITALE
TERRA
PRODUZIONE
W
Cn
DISTRIBUZIONE
DOMANDA
SV = R
Cs
In alcune zone della Francia del nord-est si sviluppa, nella seconda metà del Settecento, un nuovo
modo di produzione, che presenta tutte le caratteristiche del modo di produzione capitalistico, anche
se si tratta di un capitalismo ancora rudimentale.
Gli economisti di quel periodo furono assillati da un problema economico fondamentale: indagare
quali fossero le origini del sovrappiù (SV). Una prima risposta venne data da Francois Quesnay,
medico di corte del re di Francia, che nel 1758 scrisse un’opera fondamentale per la storia del
pensiero economico: il Tableau Économique.
In quest’opera Quesnay cerca di descrivere ciò che stava avvenendo in un angolo del suo Paese, non
ancora raggiunto dal vento della rivoluzione industriale. Si erano determinati in agricoltura nuovi
rapporti sociali di produzione, diversi da quelli tipicamente feudali. Una classe di liberi agricoltori,
dotata di propri mezzi di produzione (K) e disposta ad introdurre tecniche produttive più efficienti,
prendeva in affitto le terre (T) dai nobili-proprietari terrieri in cambio di una rendita (R) e assumeva
alle proprie dipendenze dei lavoratori in cambio di un salario (W) riuscendo ad ottenere dal
processo produttivo un sovrappiù (SV) di gran lunga superiore rispetto a quello che si poteva
ottenere dal modo di produzione feudale. Questa ricchezza era frutto, non delle tecniche produttive
e della dotazione di capitale posseduta dagli agricoltori, e nemmeno dal lavoro prestato dagli operai
agricoli, ma unicamente dalla fertilità della terra.
In questo modo il sovrappiù appariva una grandezza tangibile, in agricoltura il prodotto sociale è
concretamente misurabile a causa dell’omogeneità degli input (grano seminato) e degli output
(grano raccolto). Si evidenziò che il grano impiegato come semente e come remunerazione del
lavoro (W) era di gran lunga inferiore, in termini quantitativi, del grano raccolto alla fine del
processo produttivo. La differenza costituiva il sovrappiù. Quesnay era consapevole che nel sistema
economico operavano anche altre classi: quella degli artigiani e quella dei commercianti, ma
considerava queste classi come sterili. Gli artigiani ed i commercianti infatti non producono nulla di
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-8nuovo in termini di sovrappiù ma si limitano, gli uni a trasformare e gli altri a scambiare risorse già
prodotte dal settore agricolo. La terra diventa quindi l’unico fattore in grado di produrre ricchezza.
Quesnay colse l’enorme portata di questo nuovo modo di produzione e nel Tableau si sforzò di
descrivere, con successo, come il capitale (K) anticipato come salario Kw e come semente Kc fosse
il motore principale del sistema economico. Descrisse in modo dettagliato l’intero ciclo produttivo
in cui circolava un’unica merce: il grano. In questo modo diede una prima risoluzione ai problemi
connessi alla teoria del valore, che si prefiggeva di trovare un metodo per misurare tra di loro
grandezze eterogenee.
Si deve a Quesnay anche la diffusione del principio del laissez faire in virtù del quale il sistema
economico doveva essere lasciato a sé stesso senza che la libertà di azione degli operatori
economici potesse essere intralciata dall’intervento pubblico in economia. Questo principio ispirerà
tutte le teorie liberiste del futuro.
Purtroppo Quesnay non fu in grado di cogliere le potenzialità delle classi che egli chiamava sterili:
artigiani e commercianti e si fermò alla descrizione di un modo di riproduzione semplice, in cui il
sovrappiù veniva impiegato dai proprietari terrieri per effettuare consumi superflui (Cs). Non
compare infatti nello schema fisiocratico l’investimento (I).
SFERA DELLA PRODUZIONE
Y=L+K+T
SFERA DELLA DISTRIBUZIONE
Y = W +SV
Y – W = SV
SV = R
Y–W=R
SFERA DELLA DOMANDA
Y = Cn + Cs
I limiti della teoria fisiocratica consistono nel fatto che non viene dato il giusto risalto alle classi che
saranno a fondamento della rivoluzione industriale e dello sviluppo del modo di produzione
capitalistico: la classe degli artigiani, che si trasformeranno poi in industriali, e la classe dei
commercianti.
Un secondo limite si deve individuare nel fatto che il sistema fisiocratico funziona secondo un
modo di riproduzione semplice e non allargato, a causa della mancanza del profitto (PF) nella sfera
della distribuzione e dell’investimento (I) nella sfera della domanda.
A tutto ciò verrà dato una risposta dall’economia classica che si svilupperà in Gran Bretagna
sempre nella seconda metà del Settecento a partire dall’opera del suo esponente principale Adam
Smith, che nel 1776 scrisse Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni.
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Il modo capitalistico di produzione secondo la teoria classica
LAVORO
CAPITALE
TERRA
PRODUZIONE
DISTRIBUZIONE
W
SV
Cn
PF
R
I
Cs
DOMANDA
Secondo la scuola classica la società è divisa in classi chiuse, esiste una scarsa mobilità sociale, è
molto difficile per un operaio diventare imprenditore o che un nobile decada allo status di
contadino. Le tre classi del sistema economico sono:
La classe degli aristocratici, che detiene la proprietà delle terre. Concede le terre in affitto ai
capitalisti imprenditori in cambio di una rendita che impiega per consumi superflui.
La classe dei lavoratori salariati, operai, che offre ai capitalisti imprenditori la forza lavoro in
cambio di un salario di sussistenza che impiega per consumi necessari.
La classe dei capitalisti imprenditori, che acquista il fattore lavoro dai lavoratori salariati, il fattore
capitale da altri capitalisti, il fattore terra dagli aristocratici proprietari della terra, organizza i fattori
acquistati nel processo produttivo ed ottiene un prodotto che, offerto sul mercato dei beni, genera un
profitto. Il profitto verrà impiegato per gli investimenti.
La prima risposta data da Smith ai problemi sollevati dalla teoria fisiocratica fu caratterizzata dalla
considerazione che la classe dei capitalisti non poteva concorrere in misura così significativa al
processo produttivo senza ricevere in cambio un profitto (PF), come sostenevano gli economisti
fisiocratici. La classe dei capitalisti era la colonna portante del sistema economico, non solo
rinnovava ogni anno il suo essenziale ruolo, ma era in grado di realizzare un processo di
riproduzione allargata del sistema perchè poteva disporre di una sua propria quota originale del
sovrappiù, il profitto (PF).
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- 10 Ciò accadeva non solo nel settore agricolo ma in tutti i settori. Non solo dalla terra si ricavava il
sovrappiù ma anche, ed in misura maggiore, nell’industria ed in generale nel settore manifatturiero.
Il sovrappiù non coincideva quindi con la rendita (R), come sostenevano i fisiocratici ma si divideva
in rendite e profitti.
Smith elabora inoltre una nuova teoria del valore – teoria del valore-lavoro.
Il sovrappiù non è infatti una grandezza fisicamente misurabile in termini materiali (grano), bensì
una differenza di valore: la differenza tra il valore, espresso in termini di ore lavoro, del prodotto
sociale Y ottenuto da tutti i settori produttivi ed il valore delle risorse impiegate per conseguirlo:
capitale circolante Kc, capitale fisso Kf e merci anticipate per il sostentamento dei lavoratori
(W = Kw).
Il valore della ricchezza si misura in ore lavoro, due beni possono essere confrontati tra di loro
calcolando le ore di lavoro contenuti in essi. Se per fare un tavolo ci vogliono 10 ore lavoro e per
fare una sedia ce ne voglio 5, il tavolo e la sedia potranno essere valutati in un rapporto 10/5, un
tavolo vale 2 sedie.
Smith introduce inoltre il concetto di divisione del lavoro. Il processo produttivo richiede abilità,
esperienza e conoscenze che un artigiano matura in diversi anni. Smith prende ad esempio la
manifattura degli spilli. Per ottenere uno spillo occorrono superare diverse fasi: sarà necessario
ottenere l’acciaio, ridurlo in sottili laminati, tagliarlo, occorrerà poi fare la punta, la capocchia ed
assemblare il tutto. Se tutto questo venisse fatto a mano richiederebbe molto tempo per opera di
operai esperti, se il lavoro venisse agevolato da una macchina e ciascun operaio si specializzasse in
una sola fase del processo produttivo ciò aumenterebbe la velocità di produzione, l’accuratezza
della lavorazione e abbasserebbe il costo. La suddivisione del processo produttivo in molteplici fasi
avrebbe inoltre aumentato la destrezza dell’operaio e non avrebbe richiesto profonde competenze.
Ciò avrebbe ridotto i costi di produzione e consentito al capitalista imprenditore di assumere donne
e bambini, che avevano un costo del lavoro inferiore, al posto dei lavoratori maschi adulti.
Non furono quindi le macchine che diedero luogo alla divisione del lavoro, ma fu l’applicazione del
principio della divisione del lavoro che favorì la costruzione di macchine sempre più sofisticate e
incentivò le invenzioni industriali.
L’esasperata divisione del lavoro, nell’Ottocento, diede luogo a fenomeni di ribellione da parte
degli operai: il luddismo. L’operaio vedeva nella macchina non un aiuto ma un nemico e la fonte
dello sfruttamento e della disoccupazione. Si verifica anche il fenomeno dell’alienazione: l’operaio,
a differenza dell’artigiano, non si riconosce più nel lavoro che compie, si sente alienato, estraniato.
Mentre l’artigiano curava amorevolmente il frutto del suo lavoro, conosceva tutte le fasi della
lavorazione ed otteneva un prodotto che era la realizzazione e l’espressione delle sue competenze,
capacità, intelligenza, l’operaio si sente una semplice ed insignificante appendice della macchina,
completamente estraniato dal processo produttivo. Marx riprenderà questo concetto e ne farà il
perno della sua teoria economica.
Anche Smith, come Quesnay, riprende il principio del laissez faire, ritenendo che il sistema
economico capitalistico sia animato da una mano invisibile che regola i rapporti economici, senza
che ciò possa essere ostacolato dall’intervento pubblico. È l’egoismo individuale che consente
l’elevazione del livello della ricchezza collettiva; ciascun operatore economico, cercando di ottenere
dalla sua professione il maggior guadagno, automaticamente e inconsciamente concorre a
determinare il massimo livello di benessere per tutta la collettività.
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La moneta nella teoria classica
Anche secondo i classici la moneta è un semplice velo che copre i rapporti reali di produzione. La
teoria dominante in quel periodo è la teoria quantitativa della moneta:
MV = QP
M = quantità di moneta in circolazione
V = velocità di circolazione
Q = quantità di beni e servizi prodotti in un anno
P = livello generale dei prezzi.
Ponendo V e Q come costanti si otterrà che la maggiore o minore quantità di moneta immessa
nel sistema economico non incide sulla quantità di beni e servizi prodotti ma unicamente sul
livello generale dei prezzi.
Il profitto nella teoria classica diventa il motore del processo capitalistico, il capitalista imprenditore
tende ad incrementare il profitto per poterlo impiegare poi per gli investimenti. L’incremento della
spesa per investimenti darà luogo ad una maggior produzione di beni e servizi e ad un processo di
riproduzione allargata.
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La critica marxiana al modo capitalistico di produzione
Nella seconda metà dell’Ottocento la teoria classica viene sottoposta ad una serrata ed approfondita
critica da parte di Karl Marx, filosofo, sociologo, economista e rivoluzionario tedesco. La
personalità di Marx fu molto eclettica, si occupò in modo incisivo di molti campi del sapere
suscitando profonda devozione e aspre critiche ed ostilità. Per quanto concerne il suo contributo alla
storia del pensiero economico occorre affrontare, in modo necessariamente sommario e sintetico,
alcuni concetti espressi dallo studioso nella sua monumentale opera Il Capitale scritta insieme a
Engels tra il 1867 e il 1894, (gli ultimi volumi uscirono postumi).
FORZA LAVORO
CAPITALE M
TERRA
CAPITALE D
LAVORO
PRODUZIONE - DISTRIBUZIONE
SALARIO SUSSITENZA
SFRUTTAMENTO - PLUSVALORE
Cn
Cs
I
DOMANDA
L’analisi di Marx si basa sul concetto di sfruttamento. A suo avviso tutte le società, nelle varie
epoche storiche sono state caratterizzate dal conflitto sociale tra una classe dominante ed una classe
dominata. Nell’antica Grecia esisteva il rapporto schiavo/padrone, tra i due c’era una
disuguaglianza giuridica ed anche economica. Nell’epoca feudale la società era divisa tra Nobili e
servi della gleba, tra le due categorie esisteva una disuguaglianza giuridica ed economica. Il
capitalismo, con la sua affermazione aveva rappresentato una evoluzione rispetto al modo di
produzione feudale, manifestava però delle contraddizioni. Infatti questa nuova forma di
produzione, sviluppatasi negli stati liberali europei era caratterizzata da una eguaglianza giuridica
tra classe dominante (capitalisti) e classe dominata (proletariato) alla quale non corrispondeva una
eguaglianza economica, in quanto i capitalista era proprietario assoluto dei mezzi di produzione, del
capitale, invece l’operaio era proprietario solamente della sua capacità lavorativa, che vendeva al
capitalista in cambio di un salario di sussistenza.
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- 13 Proprio nell’ambito della giornata lavorativa avveniva lo sfruttamento.
Ipotizzando una giornata lavorativa i 10 ore, possiamo scomporla in due parti v ed s :
v=5
s=5
dove
v = capitale variabile o forza lavoro FL (numero di ore in cui l’operaio lavora per procurarsi il
sostentamento)
s = plusvalore, (valore in più prodotto dall’operaio a vantaggio del capitalista)
s/v = saggio di plusvalore o saggio di sfruttamento
più è elevato il numero di ore della giornata lavorativa più sarà elevato il plusvalore, in quanto il
capitale variabile è legato alla sussistenza e non alla produttività. Il capitalista potrebbe anche
comprimere il capitale variabile ma andrebbe incontro ad un limite fisico: la sopravvivenza del
lavoratore.
Il lavoro, quindi, per Marx è una merce del tutto particolare: viene venduta dal lavoratore sul
mercato dei fattori ad un prezzo equivalente al valore del capitale variabile, ma una volta acquistata
dal capitalista, produce, nell’ambito della giornata lavorativa, una quantità di valore superiore, il
valore in più viene trattenuto dal capitalista come plusvalore.
Nel processo produttivo il capitalista impiega oltre al lavoro vivo v (cioè le energie fisiche del
lavoratore), anche il lavoro morto c (cioè il lavoro cristallizzato nelle macchine). Nella teoria
marxiana compaiono quindi due tipi di capitale: capitale variabile v o forza lavoro FL e capitale
costante c.
Se prendiamo in considerazione una merce m, possiamo individuare le sue componenti:
m=c+v+s
in qualsiasi prodotto m troviamo l’apporto delle macchine necessario per produrlo, l’apporto del
lavoro e il plusvalore, il plusvalore.
Secondo Marx, nel modo di produzione capitalistico la moneta non è neutrale, come affermavano i
classici, sostenitori della teoria quantitativa della moneta.
Al modello M – D – M: dalla merce venduta M si ottiene denaro D che servirà per acquistare altre
merci M, nel processo capitalistico si sostituisce il modello:
D – M – M’ – D’
Col denaro D il capitalista compra i mezzi di produzione M (dove M = FL + c)cioè forza lavoro e
macchine. Nella sfera della produzione, grazie alla particolarità della merce lavoro, si ottiene un
prodotto M’› M, in quanto nell’ambito della giornata lavorativa il lavoratore ha creato una quantità
di valore aggiuntivo rispetto a quello del capitale variabile, valore di cui si approprierà il capitalista
M = c + FL
dove FL = v
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- 14 M’ = c + v + s
M’ › M
La merce M’ così ottenuta, una volta venduta, procurerà al capitalista una somma di denaro pari
D’ › D
Il capitalista riusciva ad ottenere un plusvalore dal processo produttivo per un unico motivo:
era proprietario dei mezzi di produzione.
Il capitalista aveva come obiettivo l’incremento del profitto, ciò lo poteva conseguire comprimendo
il più possibile la quota del prodotto sociale che andava ai salari, ricorrendo alla sostituzione dei
lavoratori ed all’introduzione sempre più massiccia di macchine. Il crescente numero dei lavoratori
disoccupati avrebbe determinato la discesa dei salari a causa della concorrenza che si sarebbe
innescata tra i lavoratori, che avrebbero accettato anche salari da fame pur di lavorare, la massa
sterminata dei lavoratori disoccupati venne chiamata da Marx esercito industriale di riserva.
Il capitalismo manifestava in questo aspetto un forte segno di contraddizione. L’incremento
dell’utilizzo delle macchine in sostituzione dei lavoratori in realtà determinava una caduta dei
profitti degli imprenditori e non un aumento.
Se consideriamo infatti il saggio di profitto r come il rapporto tra la quota del prodotto sociale che
va ai profitti (PF ) e il capitale investito (K), avremo:
r = PF/K
nella terminologia marxiana
r = s/(c + v)
da cui dividendo numeratore e denominatore per v si otterrà:
r = s∕v : (c/v + 1)
dove s/v è il saggio di sfruttamento o saggio di plusvalore e c/v la composizione organica del
capitale, dato da rapporto tra le due forme di capitale (capitale variabile e capitale costante).
Il capitalista, riducendo il capitale variabile v ed aumentando il capitale costante c, determinerà
inevitabilmente una caduta del saggio di profitto r, un risultato, quindi, contrario rispetto a quello
che si era prefissato.
Poiché il capitalismo, a causa delle sue innumerevoli contraddizioni, si stava incamminando verso
la sua fine naturale, era necessario che la classe dominata, il proletariato, prendesse coscienza
della sua condizione di sfruttamento e si organizzasse per anticipare la fine di questo modo di
produzione. Era compito dei filosofi e dei capi rivoluzionari favorire la presa di coscienza delle
masse di lavoratori e guidare la rivoluzione, che avrebbe portato, secondo la tesi di Marx, ad una
società senza classi, all’abolizione della proprietà privata, all’abbattimento dello stato liberale, al
comunismo… ma questa è un’altra storia.
Bibliografia essenziale: Economia Politica - Campanella – ed. Hoepli
La didattica dell’Economia Politica – Campanella – ed.Paravia
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