Alberto MASTROMATTEO PERSONALITÀ GIURIDICA PUBBLICA, PERSONE GIURIDICHE PUBBLICHE. Par. 1. La personalità giuridica pubblica: distinzione rispetto a quella privata. La personalità giuridica pubblica è istituto di difficile inquadramento sistematico, tale categoria conglobando una congerie di enti collettivi della più varia specie: dallo Stato, agli enti locali; dagli organismi di diritto pubblico, ai c.d. in house providing; per finire, ad una moltitudine di enti privatizzati che, come vedremo in seguito, al ricorrere di dati requisiti vengono considerati “pubblici” (si pensi a comitati, associazioni e fondazioni istituiti con atto dello Stato o di altro ente pubblico; alle imprese a prevalente partecipazione pubblica, etc.). In premessa, notiamo come in Italia si alternino, principalmente, due correnti sull'inquadramento di tale categoria. Una prima, c.d. monistica, condensa il proprio concetto nell'asserzione secondo cui il diritto amministrativo «in molti punti è parte, in altri è svolgimento, in pochissimi modificazione del diritto civile inteso largamente e a modo romano»1. In questa prospettiva, quindi, si tende a massimamente minimizzare l'autonomia del diritto amministrativo e, quindi, le potestà autoritative degli enti pubblici, per ricondurre queste a extrema ratio, eccezione, a fronte dell'applicazione generale del diritto civile o comune. Secondo una seconda teoria, c.d. dualistica, la base di partenza è sempre la “regola” del diritto civile. Da tale premessa, i fautori di tale teorica affermano che nello Stato convivono un “ente politico” ed una “persona civile”, essendo esso nel primo caso “sovrano”, che esercita poteri autoritativi, nel secondo “ente morale”, che agisce iure privatorum2. Pertanto, a seconda che si tratti della prima o della seconda natura, differenti saranno gli atti che esso compie ed il regime giuridico 1 L. Meucci, Istituzioni di diritto amministrativo, VI ed., Torino, 1909, p. 7. L'illustre Autore precisa il proprio concetto affermando che anche quando sia ius singulare esso «non apparisce se non in figura transitoria nel campo del diritto, lasciando subito luogo alle applicazioni de' principii e pigliando anche nelle sue eccezionali determinazioni figura degli istituti civili». 2 A. Bonasi, Della responsabilità penale e civile dei ministri e degli altri ufficiali pubblici secondo le leggi del Regno e la giurisprudenza, Zanichelli, Bologna, 1874, spiega che lo Stato assolve «un duplice ordine di funzioni e di attribuzioni perfettamente distinte. Per le une si presenta siccome investito del sovrano potere incaricato di dettare le leggi, di prendere tutte le disposizioni necessarie perché siano eseguite, di distribuire la giustizia, di mantenere l'ordine e la sicurezza fra i cittadini proteggendo i loro interessi morali, intellettuali e materiali […]. Per le altre ci apparisce come una grande persona morale, una persona giuridica o civile, avente i suoi beni, le sue proprietà, i suoi interessi, i suoi crediti e i suoi debiti». 1 loro tipico. E così, quando lo Stato è ente politico vi sarà prevalenza dell'interesse pubblico su quello privato; quando, invece, è persona civile i suoi atti saranno regolati dal diritto privato. Deduciamo, pertanto, la centralità del diritto civile, a prescindere dalla teoria adottata nell'analizzare il fenomeno di cui si discorre, anche se, secondo le teorie monistiche, essendo lo Stato prioritariamente “sovrano”, il diritto civile deve subire una serie di deroghe ben ampia, recedendo e lasciando spazi cospicui di intervento al diritto amministrativo. Per quanto concerne il dato normativo civilistico di principio sulle persone giuridiche occorre segnalare due norme. In primo luogo, rileva l'art. 11 del codice civile, che titola "Persone giuridiche pubbliche" e recita così: «Le province e i comuni, nonché gli enti pubblici riconosciuti come persone giuridiche, godono dei diritti secondo le leggi e gli usi osservati come diritto pubblico»3. Il significato “generico” della disposizione è quello di rendere inapplicabili alle persone giuridiche pubbliche gli articoli che regolano la costituzione, la modificazione, l'estinzione degli enti privati ed i rapporti tra questi e le persone fisiche che ne fanno parte, salvi i casi in cui la legge speciale (cioè, formulata per categorie di enti) o singolare (ossia, formulata in riferimento al singolo ente) tacciano su talune questioni e le norme civilistiche siano compatibili con la disciplina pubblicistica. L'altra disposizione è l'art. 4 della l. 20 marzo 1975, n. 70 (recante le disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente – c.d. legge del parastato) che espressamente vieta la costituzione o il riconoscimento di nuovi enti pubblici mediante atti diversi dalla legge. Conseguentemente, non è possibile istituirne di nuovi mediante atti amministrativi. Tuttavia, in dottrina e in giurisprudenza si ammette la possibilità di effettuare il riconoscimento legislativo della personalità giuridica pubblica anche implicitamente. Pertanto, occorre individuare gli elementi rivelatori di tale qualità, per distinguerla dalla natura privata degli enti. E così, soprattutto in passato, si è indicato quale requisito nel senso appena detto quello degli interessi perseguiti dall'ente. In questa prospettiva, si considerava persona giuridica pubblica quella 3 V. Cerulli Irelli, “Ente pubblico”: problemi di identificazione e disciplina applicabile, in Ente Pubblico ed Enti Pubblici, a cura di V. Cerulli Irelli e G. Morbidelli, Giappichelli Editore, Torino, 1994, p. 84 e 85, spiega che «l'organizzazione pubblica complessivamente intesa è composta anzitutto di una congerie assai multiforme di organizzazioni (o Amministrazioni) che a loro volta si aggregano nello Stato, nelle Regioni, nelle Province, nei Comuni (e negli altri enti locali), soggetti giuridicamente esponenziali, in virtù del complesso meccanismo della rappresentanza politica, delle rispettive Comunità territoriali […]. Queste organizzazioni, raggruppate nei soggetti giuridici di riferimento, sono le organizzazioni pubbliche per definizione, propriamente politiche, come quelle direttamente e senz'altro esponenziali della istituzione politica. Per esse non ha alcun senso predicare la pubblicità: esse sono quello che sono, come configurate dalla legge, e la pubblicità con esse, se così si può dire, si identifica. Ma tra le organizzazioni che compongono l'organizzazione pubblica complessivamente intesa ve ne sono altre, alle prime sempre in vario modo collegate […] ma da esse almeno formalmente distinte, perché dotate di propria personalità giuridica: si tratta cioè di organizzazioni che si esprimono in soggetti giuridici diversi dallo Stato, le Regioni, ecc. Queste organizzazioni sono denominate enti pubblici nel nostro linguaggio corrente [...]». 2 la cui attività fosse finalizzata a realizzare interessi generali, privata, invece, quella il cui agire fosse teso alla realizzazione di interessi particolari4. Ma è di tutta evidenza la mancanza di attualità di tale criterio, vista la frequenza con cui realtà private perseguono scopi di latitudine generale. Infatti, la giurisprudenza fornisce chiarimenti a riguardo già dai primi anni '80. In particolare, la Cass., Sez. Un., 16 luglio 1982, n. 42125, da un lato, con proposizione a contenuto negativo, esclude che si possa inferire la natura pubblica di un ente dalle finalità di pubblico interesse da esso perseguite, pur se queste siano proprie dello Stato o presentino per esso particolare rilevanza; dall'altro, afferma che la detta qualità si evince da «elementi estrinseci e formali». Nell'individuare tali elementi, poi, la Suprema Corte fa riferimento allo «speciale regime giuridico al quale l'ordinamento sottopone alcune categorie di persone giuridiche in considerazione del pubblico interesse connesso con l'oggetto della loro attività» e «l'inserimento istituzionale, variamente atteggiato, delle persone giuridiche nella organizzazione della pubblica amministrazione quali organismi ausiliari per il raggiungimento di finalità di interesse generale». La Cassazione specifica, inoltre, l'ultimo assunto, intendendo tale inserimento come «da un lato, l'attribuzione di poteri e prerogative analoghi a quelli dello Stato e, dall'altro, l'assoggettamento ad un sistema di controlli inversamente proporzionale all'autonomia dell'ente, ma in ogni caso di un certo grado d'intensità». Peraltro, per individuare la natura dell'attività compiuta dall'ente, il Supremo Giudice non considera dirimente il collegamento tra quello e le sue finalità istituzionali, bensì il tipo di organizzazione con cui essa viene realizzata. Sicché, sarà pubblicistica quell'attività che si svolge con il ricorso ad un'organizzazione improntata a criteri pubblicistici; sarà, per contro, privata quell'attività che, anche se rivolta a perseguire finalità istituzionali, si svolge mediante un'organizzazione improntata a criteri di economicità, «cioè tesa al procacciamento di entrate remunerative dei fattori produttivi». Questa serie di considerazioni inducono un'illustre dottrina a concludere che «lo Stato e gli altri enti pubblici non hanno più il monopolio dei “fini di pubblico interesse”»6. A completamento di questo percorso è infine intervenuta una declaratoria di illegittimità costituzionale7, con cui il Giudice delle Leggi ha ritenuto meritevole di revisione giuridica il sistema degli enti con scopi assistenziali, che, nel complesso, aveva indotto la precedente giurisprudenza a formulare il principio di cui alla massima «l'assistenza gratuita ai poveri è finalità di carattere eminentemente pubblicistico»8. In particolare, La Corte ha ritenuto fosse 4 Si deve addirittura ad Ulpiano (a cavallo tra il II ed il III secolo d.C.) il merito di aver ricondotto a categoria per primo tale criterio differenziale, allorché, in considerazione degli interessi perseguiti dallo specifico soggetto giuridico, condensava l' "essere" pubblico e privato, rispettivamente, nelle formule «quod ad statum rei romanae spectat» e «singulorum utilitas». 5 In Mass. F. it., 1982, v. Impiegato dello Stato e pubblico [3440], n. 125. 6 Così, F. Galgano, Persone giuridiche, Zanichelli, Bologna, 2a ed., sub) art. 11, p. 144. 7 C. Cost., 30 luglio 1981, n. 173, in F. it., 1981, I, c. 2617. 8 L'art. 1 della l. 17 luglio 1890, n. 6972 (cd. Legge Crispi), da cui la giurisprudenza inferiva la massima predetta, così 3 costituzionalmente illegittimo l'art. 25, commi 5, 6 e 9, del d.p.r. n. 616 del 1977, che, sistematicamente letto in combinazione con le disposizioni della legge Crispi, negava alle associazioni private la possibilità di perseguire scopi assistenziali. Il contrasto del detto sistema con il dettato costituzionale veniva ravvisato sulla base degli artt. 18, 19, 30 e 38, Cost., che garantiscono il pluralismo nelle istituzioni e negli scopi da queste perorati 9. Naturalmente, il definitivo tramonto del criterio di cui si è detto finora, ha spianato la via alla necessità di individuarne di ulteriori. Pertanto, secondo la giurisprudenza costante, l'elemento di discrimen tra persone giuridiche pubbliche e private viene dato «dall'inquadramento istituzionale della persona giuridica (perché possa essere definita pubblica) nell'apparato organizzativo della Pubblica Amministrazione e cioè dal rapporto di ausiliarietà in cui tale soggetto di diritto si trova rispetto allo Stato»10. La giurisprudenza concretizza il principio mediante il ricorso ad una serie di indici utili al riscontro dell'astratta sussistenza di quell'inquadramento. Invero, questi, che i giudici definiscono indici, sono stati in passato propugnati da varia dottrina come requisiti distintivi tra natura pubblica recita: «sono istituzioni di assistenza e beneficenza soggette alla presente legge le opere pie ed ogni altro ente morale che abbia in tutto o in parte per fine: a) di prestare assistenza ai poveri, tanto in istato di sanità quanto di malattia; b) di procurare l'educazione, l'istruzione, l'avviamento a qualche professione, arte o mestiere, od in qualsiasi altro modo il miglioramento morale od economico». Tale disposizione è stata abrogata solo con il d.lgs. 4 maggio 2001, n. 328 (c.d. decreto di riordino), che ha assegnato alla competenza delle regioni di stabilire gli indirizzi ed i criteri di gestione degli istituti di assistenza. 9 Le controversie che hanno spinto i giudici menzionati ad una rivisitazione dei rapporti tra “interesse” e natura degli enti che lo perseguono sono state originate in gran parte da questioni relative alle c.d. IPAB (Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza), quelle organizzazioni, cioè, che si propongono di prestano assistenza ai poveri e che ne procurano l'educazione, l'istruzione e l'avviamento professionale, oltre che il miglioramento morale ed economico. A. Propersi, G. Rossi, Gli enti non profit, Il Sole 24-ore, Milano, 1999, pp. 107 e ss, le distinguono in: Istituzioni a carattere educativo (si pensi agli orfanotrofi); Istituzioni a carattere sanitario (ospedali per poveri); Istituzioni a carattere economico (come, ad esempio, i ricoveri). 10 Cfr., inter alios, Cass. 12 marzo 1942, 676, in Giur. it., 1942, I, 3, p. 83; Cass., 11 agosto 1945, n. 755, in Giur. it., 1946, I, 1, p. 51; Cass., 20 ottobre 1955, n. 3043, in Mass. Giur. it., 1971, p. 388; Cass., 12 febbraio 1973, n. 402, in Giust. Civ., 1973, I, p. 763; Cass., Sez. Un., 19 luglio 1982, n. 4212, cit.. Secondo F. Galgano, op. cit., p. 145, la conclusione è frutto dell'accoglimento da parte del Supremo Giudice (a sez. un.) di una combinazione della teoria normativa, da lui proposta già negli anni '70, e quella del rapporto di servizio, proposta da G. Miele, La distinzione fra ente pubblico e privato, in Riv. Dir. Comm., 1942, I, p. 72. Dice l'Autore: «La teoria normativa riporta la pubblicità dell'ente alla valutazione dello Stato-ordinamento, anziché dello Stato-persona: si fonda sul tenore del presente articolo [n.d.r., art. 11, c.c.] e, alla stregua di questo, considera pubblica la persona giuridica che la legge sottrae alla disciplina del codice civile e sottopone ad un regime speciale, formulato per categorie di enti, o addirittura singolare, formulato per una singola persona giuridica. Rispetto alle persone giuridiche regolate dal codice civile (associazioni, fondazioni, società ecc.), che sono le persone giuridiche di diritto comune, gli enti pubblici si presentano, a questo modo, come persone giuridiche di diritto speciale […] o di diritto singolare […] Oltre che sull'art. 11, la teoria normativa si fonda sull'art. 2461, relativo alle società per azioni di interesse nazionale, dal quale emergono i limiti di compatibilità fra la norma della società per azioni e le deroghe al diritto comune dettate da leggi speciali o singole: la società resta tale – ossia un ente di diritto comune – nonostante la “particolare disciplina circa la gestione sociale, la trasferibilità delle azioni, il diritto di voto e la nomina degli amministratori, dei sindaci e dei dirigenti». Dal canto suo, la teoria del rapporto di servizio con lo Stato si è distinta per essere stata la prima ad aver interrotto il nesso tra la natura dell'ente e le finalità di interesse generale. Tuttavia, essa, pur adattandosi agli enti strumentali, risulta inadattabile agli enti pubblici territoriali. Inoltre, si osservava che il rapporto di servizio con lo Stato, specie in passato, era ben ipotizzabile anche nei riguardi di enti che non venivano ritenuti pubblici: come nel caso delle società per azioni in mano pubblica, alle quali la giurisprudenza attribuiva con certezza natura privata, demandandone la disciplina interamente al codice civile, anche nel caso si trattasse di società a totale partecipazione pubblica: cfr., Cass., 17 febbraio 1975, n. 616, in F. it., 1976, I, c. 106. Ma sul punto, rimandiamo infra, al paragrafo 4. 4 e privata degli enti, ma nessuno di essi, da solo, è mai stato sufficiente ai nostri fini. E così essi si riassumono nei seguenti: a) l'ente viene creato o riconosciuto dallo Stato11; b) esso viene esplicitamente definito “pubblico” dalla legge istitutiva12; c) lo Stato esercita nei suoi confronti un'attività di vigilanza e controllo13, volta ad impedire all'ente che la propria azione contrasti con le finalità istituzionali con carattere pubblico14; d) sussiste un rapporto di servizio tra ente pubblico e Stato15; e) all'ente vengono attribuiti poteri (ab antico definiti “d'imperio”), che gli consentano di raggiungere le proprie finalità autonomamente16. Par. 2. Una panoramica: dalla macrodistinzione all'abolizione delle categorie. Come detto, la nozione di “ente pubblico” comprende una categoria talmente vasta ed eterogenea di soggetti giuridici che appare difficilmente ipotizzabile delinearne un tratto generale comune. L'art. 11, c.c., infatti, accanto a province e comuni, menziona “gli enti pubblici riconosciuti come persone giuridiche pubbliche”, nozione questa che, appunto, comprende sia quegli enti che vengono espressamente istituiti con legge ed ai quali questa assegna tale qualità, sia quei soggetti collettivi privati “riconosciuti e pubblicizzati” con atto normativo, che ne modifica, quindi, la natura. Come si è visto, poi, occorre valutare concretamente le singole fattispecie17 per ricondurle “alla disciplina del caso”. Per tale ragione, taluna dottrina ha avvertito la necessità di teorizzare almeno una regola generale dal contenuto negativo: e cioè che, dato il fenomeno di «detipicizzazione» degli enti pubblici18, tutti gli enti che vengono regolamentati dalle discipline speciali (sia collettive, cioè di categoria, sia singolari, ovvero riferentisi al singolo ente) sono insensibili al “diritto comune”, diritto, questo, che, generale e “comune”, si applica a quegli enti che, invece, non ricevono 11 Anche se vi sono enti pubblici costituiti per iniziativa privata ed enti privati creati dallo Stato, che, oltretutto, ne regola l'esistenza. 12 Tuttavia, una dichiarazione formale non è mai di per sé idonea ad assurgere a criterio, ben potendo, in concreto, l'ente essere regolamentato con tratti privatistici. 13 Ma esistono numerosi enti privati soggetti ad un controllo più o meno pregnante da parte dello Stato. 14 La strumentalizzazione dell'attività di controllo e vigilanza statale al monitoraggio del rispetto delle finalità istituzionali dell'ente trova giustificazione anche nei riguardi degli enti privati. 15 Cfr. retro sub) n. 10. 16 Tuttavia, si danno ipotesi di persone giuridiche pubbliche non dotate di poteri siffatti e, al contrario, persone giuridiche private cui vengono attribuite potestà costrittive per l'attuazione dei propri fini. 17 È peculiare l'osservazione di T. Ascarelli, Norma giuridica e realtà sociale; Il problema preliminare dei titoli di credito e la logica giuridica; Tipologia della realtà, disciplina normativa e titoli di credito, in Problemi giuridici, I, Giuffrè, Milano, 1959, secondo il quale è da escludere che si possa parlare di una “persona giuridica” come di una “fattispecie”, posto che essa non è un dato della realtà, ma una creazione del diritto, composta da una serie di elementi di disciplina giuridica (ai quali può per ipotesi corrispondere il dato della realtà, come ad esempio una struttura associativa reale, un gruppo o corpo sociale; ai quali, tuttavia, il dato reale può anche non corrispondere). 18 Si deve alla dottrina amministrativa l'individuazione del fenomeno. Al riguardo, si vedano, tra gli altri: A.M. Sandulli, Enti pubblici e enti privati di interesse pubblico, in Giust. Civ., 1958, I, pp. 1943 e ss; M.S. Giannini, Lezioni di diritto amministrativo, Jandi Sapi, Roma, 1961, p. 160; S. Cassese, Partecipazioni pubbliche ed enti di gestione, Edizioni di Comunità, Milano, 1962, pp. 85 e ss. 5 disciplina particolare19. Peraltro, come anticipato retro, le regole del codice civile troveranno ulteriore applicazione anche nei riguardi degli enti pubblici, nei limiti in cui le leggi particolari non regolino taluni aspetti e sempre che siano compatibili con la normativa speciale e le finalità istituzionali degli enti stessi. Altra dottrina20 ritiene che l'individuazione di ciò che è pubblico deve essere contestualizzata al dato positivo di un ordinamento in un certo periodo storico: sicché, il nostro ordinamento italiano e la nostra Costituzione inducono ad escludere che per “pubblico” debba intendersi solo ciò che concerne lo Stato, ma che in quel concetto debba rientrare anche ciò che è soltanto “in rapporto” con lo Stato. Tale rapporto deve riscontrarsi con una valutazione “in concreto” e non, quindi, sulla base della astratta previsione di legge. In altri termini, sono gli elementi strutturali della fattispecie a consentire di individuare ciò che può definirsi ente pubblico. E per fare ciò, tale dottrina ricorre agli indici rivelatori già segnalati retro (inserimento nell'apparato amministrativo dello Stato; potere d'imperio; organizzazione; controllo e vigilanza da parte dello Stato, ecc.). Altra dottrina21, ancora, consapevole della necessità di distinguere le due categorie in esame, prende le mosse della propria costruzione giuridica dalla distinzione tra norme di organizzazione (o organizzatorie) e norme di comportamento (o d'azione). Le prime sono quelle che modellano la struttura dell'ente e ne regolano i poteri organizzativi; le seconde, invece, sono quelle che disciplinano gli effetti della proiezione dell'attività dell'ente verso l'esterno. Ebbene, la dottrina in commento definisce “pubblici” (e, pertanto, non si applica la disciplina “comune”) quegli interessi collettivi alla cui realizzazione sono finalizzati l'organizzazione e l'esercizio dei poteri di imperio che «lo Stato demanda, in via primaria, ad una collettività o formazione minore, assumendola, come ordinamento secondario, dotato di poteri autoritativi, nel proprio ordinamento». Per contro, devono considerarsi aventi natura privata quegli interessi di tipo operativo o d'azione, pur se superindividuali, «che gli enti pubblici perseguono, ponendosi come normali soggetti di diritto». Ne consegue la definizione di persona giuridica pubblica, come quella, riconosciuta, che si inserisce nella organizzazione dello Stato, per espresso volere di questo, «con poteri primari organizzativi e d'imperio», utili a sostituire il potere dello Stato, nei settori d'interesse, con gli stessi poteri autoritativi. Persone giuridiche private, per contro, saranno quegli enti che «svolgono la loro attività primaria nel campo operativo come normali soggetti giuridici, anche se per il raggiungimento di un 19 Cfr. F. Galgano, op. cit., pp. 122 e ss. Questo diritto, in sostanza, è il frutto di un fenomeno di «oggettivazione» del diritto privato, ovvero che si applica a prescindere dalla natura, pubblica o privata, dell'ente e della finalizzazione dell'attività di questo: in questo senso, S. Orlando Cascio, Il «nuovo volto» del diritto privato, in Riv. Dir. Civ., 1964, II, p. 76; cfr. anche R. Nicolò, in Enc. del dir., XII, v. Diritto civile, p. 915, secondo cui la qualificazione “pubblica” della proprietà, dell'impresa, del contratto è solo «il riflesso della qualità del soggetto e della natura superindividuale dell'interesse protetto, ma non l'indice di una essenziale diversità di struttura». 20 V. Ottaviano, in Enc. del dir., XIV, v. Ente pubblico, pp. 963 e ss. 21 G. Tamburrino, Persone giuridiche, associazioni non riconosciute e comitati, in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale (fondata da W. Bigiavi), Utet, Torino, 1997, pp. 108 e ss. 6 interesse collettivo»; sicché, un interesse del genere giustifica l'intervento dello Stato sull'esistenza dell'ente, ma tale intervento possiede un carattere solo secondario22. C'è infine chi sostiene che la distinzione in esame sia oramai inutile23, data l'impossibilità di trovare un criterio univoco, utile ad individuare quando ci si trovi in presenza di un ente pubblico o privato, e visti i casi concreti, caratterizzati da enti pubblici che realizzano esclusivamente atti di diritto privato e che intrattengono con i propri dipendenti solo rapporti di diritto privato. Queste circostanze, unite al dato normativo di cui al codice civile del 1942, dimostrano, nell'opinione dell'Autore, che gli enti pubblici, non costituendo più una categoria che possa ritenersi omogenea, con disciplina omogenea, ma summa di più normative di specie, non abbiano «alcuna importanza operativa, bensì un significato meramente conoscitivo». Par. 3. La disciplina degli enti pubblici24. - La disciplina delle leggi “singolari”. Rinvio. Si è già detto che gli enti pubblici, in primis, sono regolati dalla legge singolare che li istituisce o li riconosce come persone giuridiche pubbliche25 e/o dalle leggi particolari, “collettive”, che ne 22 Invero, ci lascia perplessi l'estrema difficoltà concreta di comprendere quando l'intervento dello Stato possa ritenersi primario o secondario. Lo stesso Autore, op. cit., p. 113, ammette che «esistono certamente “zone di confine”, ma ciò non può autorizzare – crediamo – alla instaurazione di un “tertium genus” che non trova affatto accoglimento nel nostro ordinamento, laddove l'inquadramento nell'una o nell'altra categoria va sempre effettuato». Peraltro, l'Autore cerca di precisare il suo pensiero nel senso che il detto inquadramento «va effettuato esclusivamente sul piano esegetico e concreto. Cioè, va visto caso per caso su quale piano effettivamente lo Stato ha voluto porre il nuovo ente da esso riconosciuto, se primieramente sul campo organizzatorio, inserendolo nella propria organizzazione per il raggiungimento degli (o di uno degli) scopi pubblicistici ed organizzativi suoi propri, dotandolo di poteri d'imperio e autoritativi, ovvero se, sempre primieramente, sul piano operativo e di comportamenti, quale normale soggetto di diritto per il raggiungimento di finalità anche superindividuali e collettive». 23 Così, S. Cassese, op. cit., pp. 85 e ss. Dal canto suo, V. Cerulli Irelli, op. cit., p. 85, pur ritenendo fondata la posizione negatrice di Cassese dal punto di visto sostanziale o funzionale, non la ritiene fondata dal punto di vista formale, data la necessità avvertita dall'Autore di «affrontare il problema dell'applicabilità in concreto delle norme positive riferite alla categoria». 24 Si deve a G. Tamburrino, op. cit., pp. 95 e 96, un'efficace classificazione delle fonti normative applicabili agli enti pubblici, le quali si possono distinguere in tre gruppi: «a) In primo luogo le persone giuridiche pubbliche sono rette dalle disposizioni peculiari e primarie che riguardano ciascuna di esse: tali disposizioni possono essere date da leggi speciali o da norme consuetudinarie, o anche da disposizioni dello statuto dell'ente approvato con atto dello Stato […]. b) In secondo luogo, vanno applicate alle singole persone giuridiche di diritto pubblico norme e princìpi di carattere generale che possono trarsi e dalle leggi speciali a ciascun gruppo e dai canoni fondamentali dell'ordinamento pubblicistico: norme e princìpi di carattere generale comuni a tutta la categoria delle persone giuridiche pubbliche e che quindi vengono a differenziare la disciplina propria di questa categoria dalla disciplina propria della categoria delle persone giuridiche private […]; c) Infine […] la giurisprudenza ha ritenuto applicabili anche alle persone giuridiche pubbliche norme e princìpi dettati per le persone giuridiche private, allo scopo di colmare lacune della disciplina particolare e sempre che siano compatibili con la disciplina pubblicistica speciale e generale». A tale ultimo proposito, quindi, normalmente all'ente pubblico saranno applicabili quelle norme del codice civile che regolano l'attività che proietta verso l'esterno l'agire dell'ente, salvo, appunto, che tali questioni vengano espressamente regolate dalle disposizioni particolari istitutive o di disciplina dell'ente medesimo. 25 V. Cerulli Irelli, op. cit., p. 86, distingue gli enti pubblici in base al differente modo di nascere. Essi infatti almeno nel corso dell'ultimo secolo «da una parte, sorgono senz'altro per opera di un atto di organizzazione assunto dallo Stato (o altro pubblico potere) per far fronte a proprie esigenze organizzative e funzionali. In tali casi l'ente nasce, per così dire, come un ufficio dello Stato […] dotato di personalità giuridica distinta dalla propria. […] L'altro fenomeno, molto diverso dal primo in termini sostanziali, può essere indicato come quello del riconoscimento 7 regolano talune categorie omogenee (si pensi, per esempio, al T.U. Enti locali, d.lgs. 10 agosto 2000, n. 267)26. - La disciplina generale di diritto pubblico. Il fenomeno della privatizzazione del diritto amministrativo. Nei confronti degli enti pubblici troveranno applicazione i principi e le norme generali del diritto amministrativo, salvo quanto derogato dalla normativa particolare. In premessa, giova precisare che in questa branca del diritto il legislatore utilizza molti istituti e concetti propri del diritto civile. Questo meccanismo legislativo, prende il nome lato sensu di “privatizzazione”27 del diritto amministrativo28. Ebbene, in generale, si presume che quando il legislatore utilizza tecnicamente un concetto proprio del diritto privato egli intenda rinviare alla disciplina di questo, per quanto non espressamente e diversamente regolato. I problemi sorgono, invece, in tutte quelle ipotesi in cui manchi la coincidenza lessicale tra il termine utilizzato nel diritto pubblico e quello proprio del diritto civile. Per esempio, si pensi agli accordi ed alle convenzioni che le pubbliche amministrazioni stipulino con soggetti privati ai sensi dell'art. 11 della l. 241 del 1990. Ebbene, in questi casi, mancando una disciplina generale sulla negozialità pubblica da contrapporre a quella privata, la disciplina di questa dovrà giocoforza applicarsi per quanto non siccome pubbliche di preesistenti organizzazioni, in genere ascrivibili all'autonomia privata o sociale, comunque differenziate rispetto allo Stato, e all'origine esponenziali di interessi diversificati rispetto a quelli propri dello Stato. In questi casi la “pubblicità” cala sulle preesistenti organizzazioni producendo determinate conseguenze di ordine positivo (che sono quelle che comporta, appunto, la pubblicità stessa)». 26 Non essendo questa la sede per offrire un'analisi dettagliata delle norme singolari e di categorie di cui si è fatta menzione, si rinvia alla manualistica di diritto amministrativo (ex multis, cfr. E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2010; V. Cerulli Irelli, Lineamenti di diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, 2010) ed alle trattazioni monografiche (tra cui, AA.VV.,“Ente pubblico”: problemi di identificazione e disciplina applicabile, in Ente Pubblico ed Enti Pubblici, a cura di V. Cerulli Irelli e G. Morbidelli, op. cit.; AA.VV., Studi in tema di società a partecipazione pubblica, a cura di M. Cammelli, M. Dugato, Giappichelli, Torino, 2008; AA. VV., La nuova costituzione economica, a cura di S. Cassese, Ed. Laterza, Bari, 2007; D. Cosi, Enti pubblici. Organismi pubblici in forma privata, enti privati di rilievo pubblico, Aracne editrice S.p.A., Roma, 2009). 27 La “privatizzazione” di cui si discorre in questa sede è fenomeno diverso, da non confondere, con la privatizzazione intesa come una «vicenda comportante la sostituzione del regime di diritto pubblico con un regime di diritto privato», in relazione ad enti collettivi. Il fenomeno viene descritto da E. Freni, Le privatizzazioni, in La nuova costituzione economica, a cura di Sabino Cassese, op. cit., p. 217; l'Autrice prosegue spiegando che questa può essere formale o sostanziale: si ha la prima quando si assiste a «la trasformazione di un ente pubblico in una persona giuridica formalmente privata (è il caso degli enti pubblici economici trasformati in società per azioni controllate dallo Stato)»; si ha la seconda quando, invece, lo Stato cede il «controllo dell'ente a soggetti privati (è il caso, ad esempio, della Telecom SpA, trasformata in società per azioni a partecipazione pubblica, il cui controllo è stato successivamente ceduto a privati)». 28 C. Ibba, Le società «legali», Giappichelli, Torino, 1992, pp. 34 e ss., sul meccanismo di applicazione della legge civile agli istituti pubblici che ad essa operano il richiamo, chiarisce che la legge gioca un diverso ruolo rispetto al sorgere dell'ente: a) in primo luogo, ci sono casi in cui essa prevede un'applicazione diretta del diritto privato, sia mediante un'espressa adozione di un istituto privatistico, sia mediante una trasformazione coattiva di un istituto pubblico in privato; b) ci sono ipotesi, poi, in cui la legge obbliga l'amministrazione ad utilizzare uno strumento privatistico (l'Autore, vagliata una numerosissima serie di norme, afferma che «il dato che colpisce immediatamente è, per così dire, la rarefazione degli enunciati coattivi»); c) in alcune ipotesi, ancora, la legge “invita” la pubblica amministrazione ad utilizzare strumenti di diritto privato; d) infine, si danno previsioni di legge in cui questa facoltizza soltanto l'amministrazione a ricorrere ad essi. 8 espressamente previsto dallo ius singulare29. Per quanto riguarda i principi di diritto pubblico e le norme generali di diritto amministrativo, in particolare, riteniamo utile offrire un quadro sintetico delle principali disposizioni del genere. Uno dei problemi principali della dottrina del passato era quello di distinguere tra enti pubblici e privati, in quanto solo ai primi si sarebbe applicata la disciplina del pubblico impiego. L'interesse per la questione si è però ridotto con l'entrata in vigore del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (T.U. sul Pubblico Impiego), con cui si è privatizzato in generale il rapporto di lavoro tra dipendenti e Pubblica Amministrazione, riconducendolo alla disciplina di diritto privato, salve talune deroghe espressamente previste dal T.U., che concernono sia talune categorie di lavoratori 30, sia la fase delle assunzioni che, attenendo alla sfera dell'organizzazione e delle dotazioni organiche degli uffici, mantiene rilievo pubblico e resta soggetta al principio costituzionale del concorso pubblico, stabilito dall'art. 97 della Carta fondamentale. Ancora, per quel che concerne gli aspetti dell'organizzazione e dell'attività degli enti pubblici trovano applicazione le norme della l. sul procedimento (l. 241/1990)31. Discorso, questo, che vale in particolare in tutte le ipotesi in cui l'ente eserciti poteri autoritativi. Peraltro, secondo la giurisprudenza maggioritaria, gli atti compiuti dall'ente pubblico sono soggetti al diritto d'accesso anche quando la sua attività venga esercitata iure privatorum32. 29 La Cass., 10 gennaio 2003, n. 157, in F. it., 2003, I, cc. 78 e ss., generalizzando sui mutamenti intervenuti negli anni sul rapporto tra cittadini ed amministrazione, ha prospettato un «inquadramento degli obblighi procedimentali nello schema contrattuale, come vere e proprie obbligazioni da adempiere secondo il principio di correttezza e buona fede». 30 I magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia nonché il personale che svolge funzioni nelle materie di attività della Banca d'Italia, della Consob e dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. 31 G. Napolitano, Pubblico e privato nel diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2003, p. 44, osserva come tale legge superi la «connotazione meramente strumentale all'emanazione del provvedimento e pone, invece, l'amministrazione “al servizio del cittadino”». Tale premessa consente all'Autore di giungere ad un'ulteriore conclusione, corollario della precedente, e cioè che «da un lato, diventa possibile configurare nuovi diritti al procedimento ed alla 'erogazione' dell'atto; dall'altro, trova esplicito riconoscimento il modello dell'amministrazione consensuale, sul quale convergono le istanze (i miti) del diritto paritario». Pertanto, in questa prospettiva, il rapporto Stato-cittadino soggiace ad un procedimento di trasformazione tendente alla mutua “consensualità”, tipica delle relazioni di diritto comune. In parallelo, sul piano processuale, le riforme degli ultimi decenni sul processo amministrativo, culminate nel d.lgs. 2 luglio 2010, n.104 (in attuazione dell'art. 44, della l. 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al Governo per il riordino del processo amministrativo), tendono ad avvicinare questo al modello del processo civile, tale fenomeno venendo riassunto nella ormai abusata formula secondo cui il giudizio de quo “si sta trasformando da giudizio sull'atto a giudizio sul rapporto” (prova essendone l'aumento di poteri – di cognizione, istruttori e decisori – attribuiti al giudice amministrativo per risolvere le controversie sottoposte alla sua giurisdizione, in particolare esclusiva). 32 Cfr., tra le sentenze più recenti ed ex plurimis, Cons. St., 1 ottobre 2008, n. 4739, in F. Amm., CDS, 2008, 10, p. 2764, secondo il quale «La natura di ente economico di soggetti gestori di pubblici servizi (nella specie S.I.A.E.) non incide negativamente sull'azionabilità del diritto di accesso ad opera del soggetto interessato, rientrando tale categoria nella dizione indifferenziata dell'art. 23 della legge n. 241 del 1990 ciò perché l' attività amministrativa cui si correla il diritto di accesso non concerne solo l'attività di diritto amministrativo, ma anche quella di diritto privato posta in essere da detti soggetti che, pur non costituendo direttamente gestione del servizio, è collegata a quest'ultima da un nesso di strumentalità derivante, anche sul piano soggettivo, dall'intensa conformazione pubblicistica. Ne consegue che anche i loro atti posti in essere e disciplinati dal diritto privato rientrano nell'attività di amministrazione degli interessi della collettività e, dunque sono soggetti ai principi di trasparenza e di 9 Inoltre, sempre nelle materie dell'organizzazione e dell'attività, la distinzione tra ente pubblico e privato rileva anche al fine di stabilire la giurisdizione del giudice ordinario o di quello amministrativo. Ricordiamo, poi, che l'ente pubblico, che rivesta la qualifica di “impresa”, è sottratto alle procedure fallimentari, ai sensi degli artt. 2221, c.c., e 1, comma 1, R. D. 16 marzo 1942, n. 26733. In un ottica di promozione dell'iniziativa privata, l'art. 10, comma 10, d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, vieta agli enti pubblici di acquisire lo status di «organizzazione non lucrativa di utilità sociale» (onlus). La natura pubblica dell'ente comporta anche l'applicazione, dei principi in materia di danno erariale, ai suoi dipendenti o, comunque, a coloro che nello svolgimento delle proprie mansioni maneggino denaro di provenienza pubblica. Peraltro, pronunzie relativamente recenti della Corte dei Conti hanno ridotto la portata del problema, posto che la ristrutturazione del modelli organizzativi della Pubblica Amministrazione ha determinato il passaggio «dalla responsabilità amministrativa dei soli amministratori e dipendenti pubblici per il danno patrimoniale da essi determinato alle finanze dell'amministrazione di appartenenza (in relazione alla violazione di obblighi di servizio), alla ‘responsabilità finanziaria’. Si tratta di una generale forma di responsabilità patrimoniale per danno alle pubbliche finanze, in cui possono incorrere tutti i soggetti che abbiano maneggio o che utilizzino pubbliche risorse e che si configura, in via generale, in relazione alla violazione di obblighi nascenti in capo al soggetto stesso dalla finalizzazione delle risorse pubbliche»34. Infine, la qualifica di ente pubblico comporta l'obbligo per questo di ricorrere alle procedure di evidenza pubblica di cui al d.lgs. 163/2006 (T. U. Dei pubblici appalti) nei casi in cui esso, nell'esercizio della sua attività, debba indire gare per l'assengazione di appalti di lavori, servizi e forniture con soggetti terzi ed alle condizioni previste dal decreto medesimo. Peraltro, esaurita la fase prodromica alla stipulazione del contratto, ad esso si applicherà la disciplina civilistica che regola i rapporti tra le parti, salve talune eccezioni stabilite dal codice dei contratti pubblici, come, ad esempio, in punto di esecuzione. imparzialità, non avendo la legge n. 241 del 1990 stabilito alcuna deroga in tal senso». 33 A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, 15, Impresa e Lavoro, tomo 1, II ed., Torino, 2001, p. 738, spiega tale deroga al regime generale delle imprese «con la loro stessa natura giuridica, che impone procedure “particolari” di soluzione della crisi economica»: tali procedure comprendono la liquidazione ai sensi della l. 4 dicembre 1956, n. 1404, e successive modificazioni; la liquidazione coatta amministrativa, disciplinata da particolari leggi di settore; altre eventuali procedure disposte con provvedimenti ad hoc. Peraltro, l'Autore osserva come altre leggi speciali sottraggano alle procedure fallimentari «particolari categorie di imprese, indipendentemente dalla loro natura pubblica o privata, in ragione della rilevanza pubblicistica dell'attività». 34 In tal senso, Corte dei Conti, sez. giurisd. per la Regione Lombardia, 22 febbraio 2006, n. 114, in www.dirittodeiservizipubblici.it. Ne deriva che i medesimi principi potrebbero concernere anche un'associazione, un comitato o una fondazione nel caso che l'ente pubblico interessato destini somme per il relativo funzionamento ed un loro dipendente le distragga dalle finalità pubbliche previste: il Giudice Contabile giunge ad estendere la propria giurisdizione anche ai dipendenti di tali enti, sebbene essi presentino veste formale privata. 10 - La disciplina di diritto civile. Last but not least, nei confronti degli enti pubblici trovano applicazione de residuo le disposizioni del codice civile35, qualora queste siano compatibili con la disciplina pubblica. La tecniche con cui si modella il diritto comune, volte a renderlo compatibile con le esigenze connesse al pubblico agire (in considerazione degli interesse perseguiti dagli enti pubblici), sono di due tipi. La prima valuta l'ammissibilità dell'utilizzo del diritto comune sia nell'an che nel quomodo36. La seconda, invece, consiste nell'aggiunta o nella sostituzione di una o più disposizioni alla regola di diritto privato richiamata. In quest'ultima ipotesi, ci si deve chiedere se si tratti di una mera integrazione alla fattispecie comune oppure se, data la pregnanza delle deroghe rispetto a quest'ultima, si configuri una fattispecie atipica. Nella prima ipotesi, la disciplina generale “comune” trova applicazione residuale, per tutti gli aspetti, quindi, che non vengano espressamente regolati dalla disposizione speciale. Nella seconda, invece, occorre ponderare l'importanza delle deroghe rispetto al tipo, ché, qualora siano tali da modificare strutturalmente la fattispecie tipica, possono indurre l'interprete finanche a disapplicare le regole generali, pur se relative ad aspetti non disciplinati dalla norma speciale, in quanto incompatibili con la nuova fattispecie delineatasi37. Per quanto concerne i soggetti collettivi, può accadere che il legislatore configuri degli enti speciali, la cui disciplina, cioè, si compone di una fattispecie base, strutturata sui modelli classici, ed una disciplina particolare, integrativa di quella generale e che qualifica ulteriormente questa. La specialità può incidere sulle parti o sull'oggetto sociale38. 35 Tale riduttiva affermazione, pur mutuata dalle teorie di illustri autori civilisti (v., fra gli altri, F. Galgano, op. cit.), merita di essere spiegata/integrata con quanto affermato dalla dottrina amministrativa. In particolare, G. Napolitano, op. cit., p. 103, nell'inquadrare le funzioni normative del diritto privato (dal punto di vista dell'amministrativista), ne configura tre tipi e osserva quanto segue: «In primo luogo, esso [il diritto privato] costituisce la disciplina ordinaria dell'organizzazione e dell'attività amministrative: il regime del soggetto e quello dei relativi atti sono privatistici e ciò determina, salvo diversa previsione, l'applicazione delle corrispondenti regole civilistiche. In secondo luogo, il diritto privato opera come disciplina 'concorrente', rappresentando, cioè, un ordine ulteriore di regolamentazione e di valutazione dell'amministrazione. Lo 'statuto' fondamentale di questa rimane pubblico. Le condotte assunte in attuazione e nel rispetto della disciplina pubblica costituiscono, tuttavia, anche elemento di una fattispecie ordinata dal diritto civile. In terzo luogo, il diritto privato svolge una funzione suppletiva a integrazione della regolamentazione degli istituti tradizionalmente considerati propri del diritto amministrativo». 36 Tale tecnica viene utilizzata sia in leggi speciali sia nelle norme generali che trasfondono principi civilistici nelle materie originariamente disciplinate dal solo diritto pubblico: si pensi ai casi della originaria versione della disciplina riformatrice del pubblico impiego (art. 2, l. 29/1993) o alle disposizioni in materia di accordi procedimentali (art. 11, comma 2, l. 241/1990). G. Napolitano, op. cit., p. 142, osserva come tale modalità di valutazione della compatibilità, sebbene da una prospettiva diversa, sia implicitamente richiamata «nell'art. 11 c.c., ove si afferma che le persone giuridiche pubbliche “godono dei diritti secondo le leggi e gli usi osservati come diritto pubblico». 37 In questo senso, cfr. G. Napolitano, op. cit., p. 146. In senso non dissimile, cfr. G. Marasà, Le società, I, Società in generale, in Trattato di diritto privato, a cura di G. Iudica e P. Zatti, II ed., Milano, 2000, pp. 275 e ss. 38 G. Napolitano, op. cit., p. 147, spiega, quanto alle parti «la puntualizzazione del generico riferimento codicistico alla pluralità dei sottoscrittori si ha quando la costituzione del soggetto è riservata agli appartenenti ad una 11 Pertanto, tendenzialmente, le norme del codice civile su associazioni, comitati, fondazioni e società troveranno applicazione integrale qualora gli elementi di specialità introdotti con le disposizioni particolari non siano idonei a modificare la tipicità della struttura di tali enti; diversamente, qualora il risultato normativo sia tale da configurare enti atipici, laddove normalmente tale atipicità concerne elementi della fattispecie quali parti39 o oggetto40 dell'ente, occorrerà operare un vaglio di compatibilità delle norme generali con quelle speciali, che potrebbe condurre, appunto, all'inapplicabilità delle prime a questi enti. A conclusione del quadro delle discipline che regolano lo svolgimento dell'organizzazione e dell'attività delle persone giuridiche pubbliche, riteniamo d'interesse evidenziare l'opinione di buona parte della dottrina amministrativista41, a tenore della quale vige il principio di funzionalizzazione degli schemi privatistici al perseguimento degli interessi pubblici. Tale principio è stato pensato inizialmente con riguardo alla contabilità di Stato e a quella degli enti locali e si è poi affermato con riferimento tendenzialmente generale a tutti i settori in cui l'ente pubblico agisce iure privatorum. Ad esempio, per quanto concerne la contrattualistica, a partire dall'instaurazione del vincolo negoziale, fino alla gestione del rapporto e all'adempimento dell'obbligazione, agli schemi negoziali si sovrappongono quelli autoritativi, del potere, e quelli procedimentali. E così, il fenomeno di transizione dell'agire pubblico verso il polo della "privatizzazione" e della relativa disciplina soffre, al contempo, una tensione opposta, che riconduce la direzione dell'agire privato dei soggetti pubblici verso un polo "pubblicistico", quantomeno "funzionalizzato", appunto, al perseguimento di finalità pubbliche e, quindi, avvinto dall'obbligo del rispetto della corrispondente normativa. Comunque, nello svolgimento dell'attività dell'ente di riferimento, lo scostamento dal baricentro verso uno dei due estremi (interessi pubblici o interessi privati) dovrebbe aiutare a comprendere quale natura dell'ente prevalga e, conseguentemente, quali regole (se pubbliche o private) debbano applicarsi in principio per colmare le lacune che un'eventuale legge speciale manifesti. determinata categoria o prevede un assetto organizzativo particolare»; invece, quanto all'oggetto «il problema si pone ogni qual volta l'oggetto dell'attività, in ragione della sua rilevanza pubblica, determini l'applicazione di una disciplina distinta che reagisce allo 'status' soggettivo». E così enti con specialità in relazione alle parti sono le organizzazioni ambientali, quelle di volontariato e dei consumatori, le federazioni sportive, le società a partecipazione pubblica con finalità lucrative; invece, sono enti speciali quanto all'oggetto le società che operano nei servizi di pubblica utilità e negli appalti. 39 Nell'opinione del più volte menzionato G. Napolitano, op. cit., p. 148, tale fenomeno concerne soprattutto le ipotesi di costituzione unilaterale dell'ente, sicché «l'assenza genetica della pluralità di parti configura un'alterazione del modello tipico e non semplicemente un'integrazione o un rafforzamento di alcuni suoi elementi. Tale ipotesi ricorre per tutte le figure costituite o 'trasformate' per legge, nonché per quelle derivanti da un atto dell'amministrazione, sulla base di una specifica norma abilitatrice». Sul punto, ci si permette di rimandare al nostro A. Mastromatteo, Le incerte soluzioni sulla natura da attribuire all'ente collettivo istituito da un ente pubblico: un tentativo di risistemazione, in Il civilista, 7-8, 2011, pp. 17 e ss., ove analizziamo il caso di costituzione di un comitato non riconosciuto da parte di un ente locale. 40 Sull'oggetto, i casi maggiormente ricorrenti sono quelli in cui venga utilizzato un modello societario, pur in assenza di un oggetto sociale esclusivamente finalizzato ad obiettivi di lucro, liddove, invece, lo statuto dell'ente preceda uno scopo in concreto incompatibile con la produzione di utili. 41 Cfr., inter pluris, M. Dugato, Atipicità e funzionalizzazione nell'attività amministrativa per contratti, Milano, Giuffrè, 1996, pp. 18 e ss. 12 Par. 4. L'organismo di diritto pubblico: un possibile punto di riferimento. Nel qualificare un ente come pubblico e, quindi, in senso lato per individuare l'esistenza di una pubblica amministrazione non si può prescindere, ad oggi, dal rivolgere profonda attenzione al diritto comunitario, per come, in particolare, interpretato dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea. Tale Giudice, infatti, che, si ricorda, è strutturato sul modello dei sistemi di common law, costituendo, le sue sentenze, un precedente che possiede forza di legge sull'interpretazione della normativa comunitaria, ha avuto modo di pronunciare una serie di statuizioni anche nella materia che ci riguarda. Nel fare ciò, la Corte ha postulato una lettura sostanziale al fine di individuare l'esistenza di una pubblica amministrazione, ammettendo, ad esempio, la diretta applicabilità nei confronti di un ente, ritenuto "statale", della direttiva 9 febbraio 1976, n. 207, in materia di discriminazioni fondate sul sesso nelle condizioni di lavoro42. Il Giudice comunitario43 ha affermato, nel caso, che esso «fa comunque parte degli enti ai quali si possono opporre le norme di una direttiva idonea a produrre effetti diretti un organismo che, indipendentemente dalla sua forma giuridica, sia stato incaricato, con un atto della pubblica autorità, di prestare, sotto il controllo di quest'ultima, un servizio di interesse pubblico e che dispone a questo scopo di poteri che eccedono i limiti di quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti tra i singoli». In altri termini, il Giudice Comunitario attualizza il senso dell'antico brocardo secondo cui nomina sunt consequentia rerum. In questa scia si inserisce anche cospicua giurisprudenza nazionale che, con particolare riguardo alle società a prevalente partecipazione pubblica, ha optato per una lettura sostanziale delle fattispecie al suo esame e, conseguentemente, per una qualificazione in senso “pubblico” delle relative strutture sociali44. E così, il Consiglio di Stato45, nel valutare la natura pubblica ad es. della 42 Ricordiamo che le direttive, c.d. self executing, ovvero quelle precise ed incondizionate, qualora non siano state ancora recepite con legge nell'ordinamento nazionale, pur non avendo efficacia c.d. orizzontale, cioè nei rapporti tra soggetti privati, hanno efficacia c.d. verticale, cioè trovano diretta applicazione nei rapporti tra soggetti/apparato dello Stato (pubbliche amministrazioni) e privati: per conseguenza questi ultimi possono azionare le pretese sulle stesse fondate a tutela delle proprie posizioni giuridiche soggettive. 43 Con sentenza 12 luglio 1989, in causa 188/89, Foster c. British Gas, in Racc., 1990, I-3133. 44 C. Vitale, Modelli privatistici di collaborazione stabile tra amministrazioni: le società a partecipazione integralmente pubblica nel sistema locale, in Studi in tema di società a partecipazione pubblica, cit., p. 92, spiega che «i passaggi essenziali del percorso argomentativo seguito dai giudici amministrativi sono due. Si guarda alla struttura e al funzionamento di tali società (costituzione, poteri speciali attribuiti ad alcuni azionisti, controllo pubblico, attività svolta...), per poi dedurne la natura pubblicistica e concludere per l'applicabilità ad esse di una disciplina “speciale”, appunto». L'Autrice critica l'approccio con l'osservazione secondo cui, così opinando, «la teoria dalla quale si muove determina ciò che si osserva». 45 Con sentenza della sez. IV, 4 febbraio 2005, n. 316, in www.giustizia-amministrativa.it. Prima ancora, il Cons. St., sez. VI, 2 marzo 2001, n. 1206, in F. it., 2002, III, c. 423 e ss., individua una serie di indici sintomatici della natura pubblica del soggetto in forma societaria, che possono estendere la propria portata applicativa anche agli enti 13 SCIP s.r.l., ritiene occorra svolgere adeguatamente un'istruttoria, per ponderare assetto e funzionamento interno della società. E qualora ci si trovi dinanzi ad una privatizzazione solo formale dello svolgimento delle funzioni occorrerà concludere per la sottrazione della società «ad un inquadramento nella sfera del diritto privato e configurare una longa manus ed una portatrice di poteri autoritativi propri». In questo iter normativo/giurisprudenziale, si colloca anche la configurazione della nozione di organismo di diritto pubblico: istituto, questo, originato dal diritto comunitario, in seguito assorbito anche dal nostro ordinamento che, nel recepire le direttive comunitarie in materia 46, all'art. 3, comma 26, del d.lgs. n. 163/2006 (c.d. Codice degli appalti di lavori pubblici, servizi e forniture), definisce tale soggetto come «qualsiasi organismo, anche in forma societaria: istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale 47; dotato di personalità giuridica48; la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti associativi che maggiormente interessano questa sede: istituzione per legge o per provvedimento amministrativo su apposita previsione legislativa; previsione ex lege del nome o dello scopo dell'ente; per le società, la riconducibilità del pacchetto azionario di maggioranza ad un soggetto pubblico; la sottoposizione della società o dell'altro ente privato a speciale disciplina, derogatoria al diritto societario o a quello comune proprio degli altri enti (associazioni, comitati, fondazioni, etc.). 46 In passato si era posto il problema dell'inapplicabilità della disciplina concorrenziale comunitaria in materia di appalti pubblici di lavori a tutta una serie di soggetti formalmente privati, ma sostanzialmente fortemente collegati con il pubblico potere. L'art. 1, comma 2, lett. b) della Direttiva «lavori» 89/440/CEE (ripreso in termini sostanzialmente identici dalle direttive «servizi» e «forniture»), dispone che si debbano considerare amministrazioni aggiudicatrici, oltre che lo Stato e gli enti pubblici territoriali, «gli organismi di diritto pubblico», che sono soggetti giuridici istituiti per soddisfare specificamente bisogni di carattere generale, non aventi carattere industriale, né commerciale, dotati di personalità giuridica e la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione è soggetta al controllo di questi ultimi, oppure i cui organi di amministrazione, di direzione o di vigilanza, sono costituiti da membri di cui più della metà sia designata dallo Stato, dagli enti locali o da altro organismo di diritto pubblico. 47 Secondo la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 15 gennaio 1998, C-44/96, Windpark Groothusen GmbH & Co. Betriebs KG, v Commission of the European Communities, il requisito teleologico sussiste anche se l'attività dell'ente non è finalizzata esclusivamente ed in modo assorbente alla cura dell'interesse generale, avente carattere non industriale, né commerciale. 48 La definizione, com'è intuibile, è idonea a ricomprendere sia la personalità giuridica pubblica, che quella privata, infatti, la forma privata dell'ente non è affatto idonea ad escludere ex se la natura pubblica del medesimo. Inoltre, per valutare la sussistenza del requisito non bisogna fare riferimento all'acquisto della personalità giuridica tipico dell'ordinamento interno, ossia, per quel che ci riguarda, quello che si consegue mediante il procedimento di riconoscimento (cfr. cap. …). Infatti, la ratio sottesa all'interpretazione che costantemente i Giudici di Lussemburgo offrono del diritto comunitario è quella della “uniformazione” di tale diritto tra i singoli Stati membri, in un'ottica di libera circolazione di cose, persone e capitali tra gli stessi. Ne deriva l'impossibilità di interpretare una nozione comunitaria, attraverso il filtro del diritto interno, in maniera tale da farla risultare in contrasto con quei principi. Peraltro, alla luce della riforma del titolo V della Costituzione un'eventuale norma interna o l'interpretazione ad essa data dal giudice nazionale, in contrasto con il diritto comunitario e l'interpretazione che di questo fornisce la Corte di Giustizia, sarebbero foriere di declaratoria di illegittimità costituzionale da parte della nostra Consulta, ex art. 117, Cost., per come riformato. Non può pertanto prescindersi dall'interpretare il requisito della personalità giuridica nel senso di autonoma soggettività dell'ente, autonomo centro di imputazione di diritti e obblighi (è, quindi, il caso anche di un comitato o di un'associazione, non riconosciuti, istituiti da altro ente pubblico). 14 pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico49». Tale norma fa proprio, quindi, il metodo dell'approccio sostanziale alla valutazione della natura del singolo ente collettivo all'esame dell'interprete, proprio sulla scia del diritto comunitario, che fondava tale disposizione sull'assunto della necessità di garantire una logica di impronta marcatamente concorrenziale, la libertà di iniziativa economica e la non discriminazione tra le imprese, sia nazionali che straniere. Il codice degli appalti, peraltro, nell'adottare e disciplinare l'organismo di diritto pubblico di matrice nazionale non ne ha limitato l'obbligo di rispetto delle norme sull'evidenza pubblica agli appalti superiori alla soglia comunitaria, ciò implicando la conseguenza che la relativa disciplina si applica anche agli appalti c.d. sotto soglia. Se ne può inferire la conclusione che tale istituto, ormai entrato di pieno diritto tra quelli che costellano il panorama degli enti pubblici nazionali, non è stato assorbito dal nostro ordinamento semplicemente con il fine di funzionalizzarne l'essenza al rispetto della normativa comunitaria, ma per volontà del legislatore acquisisce una prospettiva di trasversalità al sistema. Invero, una dottrina50, con particolare riferimento al tema della trasformazione di alcune categorie di fondazioni da pubbliche a private e con specifico riguardo alla materia delle assunzioni di personale da parte di questi enti, evidenzia l'incoerenza di sistema che verrebbe a crearsi qualora, a fronte di enti “privatizzati” per i quali la legge espressamente dispone la sottrazione alle regole del pubblico concorso (ipotesi ammessa dall'art. 97, comma 3, Cost.), si avrebbero interi settori “privatizzati in massa” (si prendano ad esempio le società a prevalente partecipazione pubblica) rispetto ai quali la legge non ha cura di specificare che vengano sottratti alle regole del pubblico concorso, perché lo presupporrebbe, avendoli già sottratti alla disciplina sulla contabilità pubblica e avendoli intesi trasformare in soggetti privati a 360°, per consentire loro di gareggiare nel mercato libero a parità di condizioni con le altre imprese. Inoltre, da parte di altra dottrina, sempre nella prospettiva di favorire un'interpretazione “privatistica” totalitarista dei fenomeni di privatizzazione, si ritiene che in questi casi non possa ricorrersi neanche alla nozione di organismo di diritto pubblico per stabilire se, a prescindere dalla veste giuridica indossata dall'ente, esso debba considerarsi comunque pubblico, con ciò che ne 49 In generale, si tenga presente che il concetto di “influenza dominante”, da parte dell'amministrazione o di altro organismo di diritto pubblico nei confronti dell'ente all'esame dell'interprete, nel diritto comunitario è valutato mediante l'individuazione di molteplici elementi sintomatici, fra loro alternativi, assai simili a quelli che i singoli ordinamenti, come il nostro, hanno individuato per attribuire la qualità di “pubblico” ad un ente. E così, è il caso del finanziamento prevalente da parte dell'Amministrazione; del controllo pubblico sulla gestione; della nomina pubblica di un numero di componenti di organi di amministrazione, vigilanza e controllo dell'ente, superiore alla metà; per le imprese pubbliche, poi, si aggiungono i casi di detenzione della maggioranza del capitale sottoscritto dell'impresa ed in cui l'amministrazione dispone della maggioranza dei voti attribuiti alle quote emesse dall'impresa. Secondo la Corte di Giustizia, 1 febbraio 2001, causa C-237/99, Commissione delle Comunità europee v Francia, tali elementi sintomatici, che possono ricorrere anche disgiuntamente, consentono di riscontrare una “stretta dipendenza” dell'organismo di diritto pubblico nei riguardi dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di diritto pubblico. 50 Tra gli altri, cfr. A. Maltoni, Enti pubblici e privati in forma di fondazione, in Dir. Amm., 2006, 4, pp. 824 e ss. 15 consegue. Si osserva, infatti, che tale nozione avrebbe rilievo soltanto da un punto di vista funzionale e, cioè, in particolare, con riguardo alla scelta del contraente nelle gare ad evidenza pubblica51. E sarebbe, questa, una propensione naturale del sistema comunitario, da cui deriva la cit. norma del codice degli appalti, che allorché qualifica non intende creare un “sistema”, ma intervenire incidentalmente ed estemporaneamente in un settore. In senso contrario alle proposizioni dianzi segnalate, osserviamo che già Autorevole dottrina52, in passato, con riguardo al tema delle assunzioni nel pubblico impiego, evidenziava l'inesistenza di alcuna norma che esimesse «l'ente pubblico (anche se economico) dall'osservanza delle regole da seguire nelle proprie determinazioni e nelle proprie scelte (onde in materia sembra dover avere applicazione, tra l'altro, salvo espresse deroghe legislative, la regola generale della necessità del pubblico concorso: a. 97, 3° co., Cost.; e comunque debbono avere applicazione i princìpi di legalità, imparzialità, ragionevolezza, ai quali ogni pubblica Amministrazione deve necessariamente attenersi nella propria azione)». Così, in generale, nell'ordinamento non esiste alcuna norma che esima quegli enti che possono ricondursi alla nozione di organismo di diritto pubblico dall'essere sottoposti alla disciplina propria degli enti pubblici stricto sensu intesi. Ché, anzi, per lo meno in materia di appalti pubblici, esiste proprio una norma che va nella direzione opposta: e cioè l'art. 121, comma 1, del codice degli appalti pubblici, che sancisce il principio in forza del quale per tutti i contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie comunitarie, si applicano (oltre alle disposizioni della parte I, IV e V del codice) “anche le disposizioni della parte II in quanto non derogate dalle norme” del titolo dedicato ai contratti sotto soglia. In altri termini, posto che la parte II del Codice concerne anche tutte le norme afferenti ai contratti sopra la soglia comunitaria, se ne inferisce che l’articolo 121, al citato comma 1, ha fissato, in via di principio e salve espresse previsioni di legge contrarie, un parallelismo tra la disciplina dei contratti sopra soglia e quella dei contratti sotto soglia. E così, sulla scorta di un'interpretazione sistematica degli artt. 121, cit., e 3, 51 A. Romano Tassone, Le fondazioni di diritto amministrativo: un nuovo modello, relazione al convegno organizzato dall'Università di Palermo su Le fondazioni come modello di gestione per la pubblica amministrazione, Palermo, 13 maggio 2005, p. 15 del dattiloscritto, in http://www.diritto-amministrativo.org, afferma che «l'ordinamento comunitario ha, del resto, una tradizionale vocazione casistica ed anti-sistematica, sicché sembra eccessivo conferire alla nozione uno spessore globalizzante che essa, dichiaratamente, non intende possedere». In senso non dissimile, G. Napolitano, op. cit., pp. 172-173, osserva come i fautori delle teorie sostanzialiste, che vogliono riconoscere soggetti pubblici in alcuni enti anche attraverso lo schermo formale che attribuisce loro natura privata, commettono un errore che «deriva dal fraintendimento della nozione comunitaria di organismo di diritto pubblico. Una parte della scienza giuridica e della giurisprudenza, infatti, non cogliendone il carattere funzionale, affronta anche tale questione in termini 'sostanzialisti': si chiede, cioè, se un dato soggetto è o non è un organismo di diritto pubblico e magari traccia su questa nuova frontiera una diversa linea di confine tra ente pubblico e privato. Ad un più attento esame, emerge, però, come la qualificazione serva soltanto a determinare i soggetti tenuti ad applicare una certa normativa; non ad individuare una nuova natura giuridica di cui si possa predicare l'attribuzione addirittura come termine di identificazione». Se ne deduce a fortiori l'impossibilità di far conseguire ad una “qualificazione” una vis espansiva tale da poter configurare un soggetto giuridico in senso pubblicistico. 52 A. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Jovene, Napoli, 1989, p. 261. 16 comma 25, e 32, comma 1, lett. a), cod. app., dovrà applicarsi agli organismi di diritto pubblico anche la disciplina sugli appalti sotto soglia. Ma noi ne inferiamo un argomento globalizzante: e cioè che agli enti riconducibili alla nozione di organismo di diritto pubblico debba applicarsi tutta quella serie di norme che abbiamo ricordato retro (cfr. par. 3), ivi incluse le regole sull'evidenza pubblica e quelle sull'accesso all'impiego mediante pubblico concorso; le regole sulla responsabilità erariale del personale che agisce in nome e per loro conto e che maneggia pubbliche risorse nello svolgimento delle funzioni53 e così via dicendo; tutto ciò vero, qualora ricorrano i requisiti dell'organismo di diritto pubblico, salvo il caso che, naturalmente, la legge istitutiva dell'ente preveda regole particolari che deroghino a quelle generali54. Peraltro, alla lettura “funzionalizzata” della disciplina comunitaria, osserviamo criticamente che non è possibile limitare l'efficacia di una qualificazione normativa nel nostro ordinamento: ché, anche se il diritto comunitario possiede queste caratteristiche, dettate dalla ricerca di un compromesso tra le istanze dei sistemi di common law e quelle dei sistemi di civil law, non può per ciò solo farsi ripercuotere in tal senso l'effetto che da una norma comunitaria si proietta sul versante nazionale. E ciò è vero, a fortiori, quando quell'istituto di matrice comunitaria viene recepito nel nostro ordinamento con legge interna, che peraltro, come visto, nel caso del codice degli appalti, amplia gli orizzonti dell'istituto, svincolandolo in qualche misura dai ristretti limiti cui la normativa comunitaria aveva inteso funzionalizzarlo. D'altronde, il nostro sistema, si sa, non consente al legislatore di emanare una legge, governandone tutti gli effetti, riprova essendone l'impermeabilità che la giurisprudenza ritiene di possedere rispetto, finanche, alle Relazioni di accompagnamento ad un legge (che non sono fonti 53 E non si vede perché tali non debbano considerarsi, ad esempio, quelle confluite nel fondo di un comitato, dotato dell'unica macro “oblazione” versata dall'ente locale che lo abbia istituito; oppure il patrimonio della fondazione, istituita e finanziata (oltre che, poi, in certa qual misura controllata) dall'ente università; etc. 54 In senso conforme all'impostazione da noi preferita, si segnalano un gran numero di pronunce della giustizia amministrativa e ordinaria: ex pluris, cfr. Cons. St, VI, 5 marzo 2002, n. 1303, in F. amm., CDS, 2002, p. 705, secondo cui la nozione in parola esercita nell'ordinamento interno un'influenza tale da aver «contribuito, in via generale, ad allargare l'ambito dei concetti di atto amministrativo e di soggetto amministrativo (con conseguente estensione della giurisdizione del giudice amministrativo), in modo che atti espressione dei medesimi interessi sul piano teleologico non vengano distinti in base ad un dato meramente formale»; così, anche Cons. St., VI, 17 settembre 2002, n. 4711, in F. amm., CDS, 2002, p. 2146. Inferendo la natura di ente pubblico della R.A.I. s.p.a, la Cass., Sez. Un., 23 aprile 2008, n. 10443, in F. amm., CDS, 2008, 4, II, p. 1062, ha statuito che «poiché la Rai s.p.a. è un'impresa pubblica (sotto forma societaria, in cui lo Stato ha una partecipazione rilevante), operante nel settore dei "servizi" pubblici di telecomunicazioni radio e televisive in concessione, assoggettata ai poteri di vigilanza e di nomina da parte dello Stato e costituita per soddisfare finalità di interesse generale (di cui all'art. 7 d.lg. 31 luglio 2005 n. 177), essa deve essere qualificata come organismo di diritto pubblico tenuto ad osservare le norme comunitarie di evidenza pubblica, nonché le rispettive norme interne attuative, per la scelta dei propri contraenti in tutti gli appalti di valore eccedente le soglie indicate per i servizi di cui all'art. 7 del d.lg. n. 158 del 1995 (ad eccezione delle sole procedure per l'aggiudicazione di appalti che siano relativi specificamente a servizi di radiodiffusione e televisione - settore "escluso" dalla direttiva 92/50/Cee del 18 giugno 1992) [...]». In senso sostanzialmente analogo, in riferimento alla Società Autostrade per l'Italia s.p.a., v. Cons. St., IV, 13 marzo 2008, n. 1094, in www.dejure.giuffrè.it, che, qualificando detta società come organismo di diritto pubblico, afferma che «in quanto tale, opera come un'amministrazione aggiudicatrice tenuta al rispetto delle norme sugli appalti pubblici, anche se ha natura privatistica». 17 normative, ma che disvelano la ratio legis) ed alle stesse leggi interpretative, che vengono a loro volta interpretate dai giudici. In definitiva, l'ingresso nel nostro ordinamento di un testo di legge rende obiettivo il suo significato e le categorie che da esso derivano: ciò vero anche se, per tornare al nostro caso, il legislatore comunitario, e quello nazionale in fase di recepimento, pone norme “in funzione” di un obiettivo preciso. 18